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Giù al Sud

a quello europeo. La sensazione è che la vocazione allo spettacolo del Super Rugby lasci per strada precisione e intensità che invece abbiamo visto nelle finali di Champions Cup, Challenge e Urc.

di Walter Pozzebon

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In un recente articolo apparso sul Times, Stuart Barnes, leggendaria apertura dell’Inghilterra e ora apprezzato opinionista sportivo, offre ai lettori la propria provocatoria visione sullo stato attuale del rugby e sul gap tra i due emisferi. Barnes non è nuovo ad articoli graffianti che spesso hanno dato vita a feroci dibattiti: lo scorso anno definì Sam Cane “non all’altezza nemmeno per la Nazionale italiana” e nel 2020 chiese l’esclusione dell’Italia dal 6 Nazioni. Nel pezzo in questione Barnes sottolinea come il divario tecnico tra i due emisferi si stia progressivamente ampliando a favore delle compagini europee. L’avevamo sottolineato anche noi nel numero di giugno di Allrugby, ma Barnes non usa mezzi termini e parla di un vero e proprio “enormous adbvantage” che l’Europa ha in questo momento. Come dargli torto d’altronde? La fase storica attuale vede infatti una convergenza di situazioni mai così favorevoli al Vecchio continente. C’è da considerare innanzitutto l’uscita delle franchigie sudafricane dal Super Rugby. La storica svolta, maturata in periodo Covid ma dettata comunque da motivi logistici e economici, ha scosso notevolmente i vertici del Super Rugby e ha evidenziato come Francia ed Irlanda stiano diventando i nuovi fari del rugby mondiale. La prova della superiorità delle squadre europee d’élite è data dai risultati in campo: se è vero che in URC i sudafricani arrivano in finale con gli Stormers, è pur sempre evidente come le franchigie che alimentano la Nazionale verde oro, nella competizione regina d’Europa cioè la Heineken Champions Cup, siano state spazzate via già ai quarti di finale. Non sorprende quindi che ben nove Springboks abbiano già le valigie pronte per approdare in Europa dopo la Coppa del Mondo. La Nuova Zelanda, che da sempre ha dettato le nuove tendenze del gioco, sembra quindi essere scalzata per il momento. Ed è un momento sbagliato però, perché il Mondiale è alle porte.

Semifinale fra Chiefs v Brumbies, la difesa dei neozelandesi ferma l’incursione di Rob Valetini.

I Chiefs vinceranno la partita 19-6. A destra, Shaun Stevenson, a sinistra, dei Chiefs, e Will Jordan dei Crusaders si contendono il pallone nel corso della finale del Super Rugby Pacific disputata al FMG Stadium Waikato, a Hamilton, lo scorso 24 giugno. I Crusaders si sono imposti 25-20.

Mentre Scott Robertson eseguiva la sua leggendaria breakdance dopo il settimo (!!!) titolo consecutivo dei Crusaders, già erano divampate le speculazioni e i confronti con il rugby europeo.

Tom Cairns degli Exeter Chiefs mette a segno la sesta meta per la formazione inglese nel quarto di finale contro gli Stormers a Sandy Park. Stormers travolti 42-17. Sotto, Un’incursione dell’estremo dell’Irlanda Hugo Keenan nel quarto di finale dello URC disputato a Dublino fra Leinster e Sharks. Sharks umiliati, 35-5.

In effetti, se si comparano le finali di Super Rugby e di Heineken Cup, o del Top 14 francese, emergono notevoli differenze. Nel suo articolo, Barnes crede che ai Crusaders al momento non sia nemmeno lontanamente consentito “sognare di competere” con le compagini europee. Probabilmente ha di nuovo ragione: i Chiefs e i Crusaders hanno mostrato un gioco dinamico e capace a tratti di esaltare abilità individuali sublimi (Mo’hunga, Mc Kenzie e Jordan su tutti), ma la sensazione che resta è che la vocazione allo spettacolo del loro gioco lasci per strada quella precisione e intensità che invece abbiamo visto nelle finali europee.

Il Super Rugby, dove è fortissimo il peso e il controllo esercitato dal management neozelandese, sembra aver perso l’appeal di un tempo. Il voltafaccia delle franchigie sudafricane ha fatto sì che in un certo senso si ripiegasse su sè stesso, cercando di compensare il vuoto venutosi a creare allar- gandosi a est in pieno Pacifico, con le 2 franchigie figiane. È ovvio che così facendo, il livello della competitività si sia notevolmente abbassato.

A livellare ulteriormente verso il basso l’asticella c’è stato inoltre l’esodo di molti giocatori australiani verso il Giappone per scampare alla situazione finanziaria catastrofica della propria Federazione. Escludendo i Brumbies, il ruolo delle franchigie australiane è stato molto prossimo a quello dello sparring partner nell’arco dell’intero torneo.

In questo quadro poco rassicurante, a peggiorare ulteriormente le cose va considerato anche l’acutizzarsi della guerra (i media neozelandesi usano proprio questo termine, “war”) fra i Club e la Federazione. Dall’avvento del professionismo nel 1995 c’è sempre stato in Nuova Zelanda un sistema centralizzato di gestione dei giocatori. Come in Inghilterra. Questo sistema ha sempre portato ottimi risultati. Dal ’96 infatti gli All Blacks hanno vinto l’80% delle partite e soprattutto non hanno mai conosciuto periodi prolungati di under performance. I tour di fine stagione, che di solito sono un test molto indicativo sullo stato di salute dei giocatori, si sono rivelati quasi sempre delle marce trionfali. Sotto la guida di Henry, dal 2004 al 20011, gli All Blacks non hanno mai perso un test match in Europa. Con Hansen ne persero solo 3 (uno contro l’Inghilterra e 2 contro l’Irlanda), per un totale di 3 sconfitte su 42 partite giocate nell’arco di 15 anni. Lo scenario ora è però cambiato.

Il numero delle partite del Super Rugby è diminuito, la stagione si è accorciata e i giocatori non devono sorbirsi continui viaggi estenuanti in paesi con fusi orari tanto diversi. In un simile contesto alcuni club sono diventati allergici ai diktat della Federazione, che di fatto gestisce e monitora costantemente il workload dei giocatori. Gli allenato - ri infatti devono lavorare incorporando nei propri programmi la “rest-policy” imposta dall’alto e si vedono magari costretti a lasciar fuori rosa le superstar nei momenti cruciali. Le interferenze federali, dicono i club, snaturano il torneo e la gente si disaffeziona. È per questo motivo che l’opinione pubblica e i media vedono in Scott Robertson l’uomo chiave per sciogliere tutte queste contraddizioni e rilanciare il movimento.

La pressione su di lui è già enorme. Sembra quasi che l’approccio che accompagnerà gli All Blacks fino al Mondiale sia vagamente fatalista, in attesa dell’arrivo del “Messia”.

Con l’Australia alla disperata ricerca di una nuova identità e il Sudafrica in un pericoloso limbo creato dalle sirene europee, sembra proprio che questo essere l’anno decisivo che, come sostiene Barnes, segnerà la fine del dominio dell’emisfero sud durato quasi ininterrottamente per 30 anni.

Il Super Rugby è il torneo in cui è stato realizzato il maggior numero di mete per partita: 8. Nello URC sono state 7 ogni match, come in Premiership, nel Top14 poco meno di 5 (4,9).

945

Pesi (quasi) equivalenti. Nella finale di Top14 la mischia di Tolosa pesava 945 e quella de La Rochelle 929; nella finale del Super Rugby 942 chili per i Crusaders e 911 per i Chiefs.

Crusaders e Chiefs nella finale di Super Rugby hanno concesso 23 calci di punizione (più 3 cartellini gialli, tutti dei Chiefs). Tra Stormers e Munster, nella finale di Urc i falli sono stati 18 in totale (tre gialli, due a carico del Munster). In Premiership, fra Saracens e Sale Sharks, l’arbitro ne ha fischiati 19 (un giallo per squadra). In Toulouse v La Rochelle i penalty sono stati 22.

Nella finale tra Chiefs e Crusaders ci sono stati 305 passaggi (cinque “buchi” in totale). Tra Toulouse e La Rochelle 189 (9 “line break”). In Saracens-Sale, 300 passaggi, 10 buchi. In Stormers-Munster 360/11.

89,5

Nel Super Rugby la squadra con il miglior tasso di successo nei placcaggi è stata quella dei Blues (89,5%). Nello Urc quattro squadre (nell’ordine Glasgow Warriors, Leinster, Ospreys e Connacht) ha superato il 90%, mentre nessuna è andata sotto l’87%. Nel Super Rugby ben cinque hanno chiuso la stagione al di sotto dell’85% (Brumbies, Moana Pasifika, Fijian Drua, Highlanders e Rebels)

I Chiefs sconfitti in finale dai Crusaders hanno battuto in media 34 avversari a partita, i Cusaders una trentina. Difese allegre, o attaccanti particolarmente efficaci ed elusivi? In Inghilterra i Saracens si sono fermati a 23, nello Urc il Munster è arrivato poco sopra i 18, idem il Leinster.

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