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o allenare?

Tallonatori

e piloni rimangono ruoli primari anche nel rugby moderno e infatti si moltiplicano nel roster: a Treviso Fabio Ongaro - tra permit e giocatori sotto contratto - ne segue più di quindici ma sarebbe importante rivedere il sistema di sviluppo, magari puntando sulle seconde squadre. che un’ora, oggi tra recupero, altri carichi, puoi fare sedute specifiche da 15 minuti. E con gente, quelli aggregati, che stanno con noi due giorni, il tempo si riduce. Ricordo quando Vittorio Munari parlava di 4-6 mesi per formare un giocatore per la Celtic League e la consideravano un’esagerazione. Invece no, aveva ragione”.

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In attesa di una meritata vacanza in Grecia e poco dopo la doccia fredda per il passaggio di Andrea Masi al Tolone (“non se lo aspettava nessuno, ha sorpreso tutti”), Fabio Ongaro riflette sul suo ruolo al Benetton: ufficialmente allenatore della mischia, in realtà qualcosa di diverso.

“Noi siamo una squadra che deve ottenere risultati, però accogliamo un mix di giocatori già formati e molti che arrivano dalle giovanili e dal Top 10. Ma in prima linea spesso non sono pronti per il livello più alto, quindi non possiamo allenarli e basta, vanno formati. E questo comporta di perdere il focus su altre cose”.

Il discorso di Fabio è figlio anche dell’epoca in cui viviamo: quando giocava ai Saracens c’erano tre tallonatori. Punto. Ora lui ne ha il doppio da gestire, ma sono cambiate le metodologie di lavoro e sono cambiati i carichi in settimana, perché le partite sono più probanti rispetto all’epoca. “Quando giocavo io potevamo allenarci con la macchina della mischia an -

Un dato che conforta è la capacità dei ragazzi di oggi di migliorarsi e compiere dei balzi in avanti, perché allenarsi con la prima squadra del Benetton (di fatto la Nazionale) è uno stimolo e un livello tale che chi ha le capacità può davvero emergere. “Un esempio che mi piace fare è quello di Mirko Spagnolo. Io lo conosco dal 2016, quando aveva 15 anni. All’epoca non avrei puntato un euro ma da un anno all’altro è esploso. E adesso è un buon giocatore (e il Benetton ha scommesso fino al 2026 su di lui, ndr). Io però dico sempre ai ragazzi: arrivare in vetta in Italia non è difficile, perché siamo pochi e la concorrenza non è alta, il difficile è rimanerci”.

Il problema è anche questo, come rimanere in vetta se c’è poca possibilità di giocare? Al momento i migliori prospetti si allenano due giorni a Treviso e poi fanno ritorno al club di Top10 (d’ora in poi serie A Elite, ndr), però il mercoledì è spesso giorno libero, quindi si allenano dal giovedì per la domenica. Ma non sempre trovano spazio, perché si preferisce puntare su chi è sempre presente e - come dare torto a chi decide in questo senso? - su chi si prende uno stipendio full time dal club. “Il risultato è che i ragazzi fanno panchina. Ma se li fai allenare per il livello URC devono poi mettersi alla prova, altrimenti li perdi. A me piacerebbe avere una seconda squadra nel massimo campionato, non in lizza per il titolo. Sarebbe una vetrina per chi è reduce dall’infortunio, per chi deve fare minutaggio. Anche perché il Top10 non è il massimo a livello di ritmo, ma per le prime linee va benissimo: impatti e mischie ne hai quanti ne vuoi e ci sono fior di giocatori con cui confrontarti”. Sembriamo troppo concentrati sulla mischia e su due ruoli molto specifici ma il rugby moderno si fonda ancora moltissimo sulle fasi statiche. “Cercano in tutti i modi di ridurre le mischie, in nome dello spettacolo, e per ragioni di sicurezza. Infatti faccia - mo spesso meeting con l’obiettivo di evitare i reset e le cadute a terra. Ma poi, con una media a livello internazionale di 12-13 mischie, di solito da un minuto, un minuto e 20’’ l’una, stiamo parlando di quasi un terzo della partita. Quindi mettere gli avversari sotto pressione in mischia significa mettere sotto pressione il tallonatore nel lancio successivo, i piloni che devono sollevare, le seconde per le chiamate. Il ruolo della mischia è ancora molto importante ed è una delle cose più rugbistiche che ci siano”.

La digressione è utile per capire cosa allena un allenatore della mischia nel 2023, dato che tempi e modalità sono cambiati e anche la rotazione dei singoli è un fattore da tenere in considerazione: “A parte esercizi palla in mano di 2v1, 3v2 e cose del genere, lavoro molto sulla postura e sulla conoscenza del proprio corpo in mischia. Perché piloni e tallonatori non solo devono essere tecnici ma devono anche vincere uno scontro individuale con l’avversario. E poi mi concentro sulla combattività, la resilienza, la capacità di soffrire. In mischia non puoi andare indietro, devi resistere. E quando non ci arriva la tecnica, devi metterci la combattività. Abituarsi alla pressione della mischia chiusa a un livello come l’URC non è da poco. E quando hai raggiunto quello dovrai prepararti a gestire una discesa con le prime linee inglesi e francesi”. Secondo Ongaro, nell’attuale campionato del Benetton le mischie sono “gentili”, ovvero pulite. C’è molta tecnica e il vero obiettivo è far uscire un ovale veloce e di qualità. Nelle coppe, invece, si ha a che fare con transalpini e inglesi e la musica cambia: “Si basano molto sulla superiorità in mischia per incanalare il match, in campionati talmente impegnativi che ogni partita diventa una guerra. Questa attitudine ad avere sempre il coltello fra i denti è qualcosa cui devi abituarti. E il confronto con squadre che, se sentono l’odore del sangue, non vedono l’ora di ammazzarti è un banco di prova, soprattutto per una squadra giovane come noi”. Dicevamo del roster del Benetton: tra piloni e tal - lonatori è molto ben fornito. Ma in ruoli in cui la maturità si raggiunge alle soglie dei trent’anni, i biancoverdi sono decisamente messi male a chiocce per il ruolo: tra i tallonatori il decano è il ventisettenne Nicotera (1996), mentre fra i piloni solo Tetaz Chaparro e Zani (entrambi 1989) rispondono a queste caratteristiche. E Ferrari, classe 1994, ha appena finito un lungo processo di affinamento. “Simone è un buon esempio per farvi capire cosa significa formare un giocatore di prima linea: con lui lavoriamo dal 2016. Si sono spesi tanto tempo ed energie per arrivare al giocatore che ha tenuto in piedi la mischia a Tolone in semifinale. Non per togliere qualcosa agli altri ma, uscito lui, non abbiamo più tenuto. Perché dovremmo poter sempre avere in campo un giocatore di grande esperienza che aiuti gli altri. Spesso per necessità di recupero, chiamate in Nazionale che riducono i minutaggi, per turnover (i ragazzi reggono 3-4 partite al massimo di seguito, poi non performano più adeguatamente), il mio “branco di giovani”, come mi piace chiamarli, si ritrova a confrontarsi con gente con più esperienza e meglio preparata a livello fisico. In un ruolo in cui il gioco sporco è all’ordine del giorno”.

Giacomo Nicotera, 27 anni, si è affermato con continuità dopo una lunga gavetta tra Mogliano, San Donà e Rovigo.

A destra, Nahuel Tetaz Chaparro, ha disputato due stagioni al Benetton. L’Argentina lo ha incluso nella lista dei 48 convocati per la preparazione in vista del Mondiale. Nella pagina a fianco, Gianmarco Lucchesi, 22 anni, prodotto delle accademie toscane.

Dopo i piloni è bene aprire il capitolo tallonatori: ruolo molto delicato che necessita di capacità di leadership, spiega Ongaro, perché, oltre a scendere in mischia, lancia in touche. Una responsabilità enorme. E anche questa non si può improvvisare, viene con il tempo. “Penso a un Lapo Frangini, classe 2002 e qualità da vendere, anche invidiabili, ma quest’anno per salire di livello è andato via di casa, si deve inserire in un gruppo nuovo. Non possiamo pensare che un giocatore buono in Under 20 in automatico vada bene in URC. Ci vuole tempo e la possibilità di giocare con continuità: noi non possiamo garantirlo per questi ruoli, una seconda squadra li trasformerebbe e guadagneremmo tempo”.

“L’avrei portato a occhi chiusi (Sergio Parisse ndr). Al di là dell’amicizia. Spesso abbiamo parlato di come ha fatto ad andare avanti fino alla sua età. Io ho smesso a 34 anni per ragioni più mentali che fisiche. Dopo la partita, gestire i dolori, gli orari fissi, gli allenamenti… Sono arrivato a dire addio per quello. Lui ha dato prova di una determinazione che lo avrebbe portato a essere campione in qualsiasi sport avesse praticato.

Chiudiamo con domande a raffica, per toglierci delle curiosità.

Tallonatore preferito attuale? “Julien Marchand, la crescita che ha avuto mi ha davvero sorpreso. Gli invidio la realtà con cui si confronta ogni settimana (gioca allo Stade Toulosain, ndr). Però subito dopo c’è Lucchesi, per me Gianmarco è fortissimo e ha quel veleno toscano che fa la differenza”. Mondiali e Eddie Jones? “Lo sento spesso, siamo rimasti in ottimi rapporti. Lui è davvero un numero uno. Ha evitato una brutta figura con l’Inghilterra a fine ciclo e ha subito trovato una panchina importante come l’Australia. Certo, con gli inglesi ha avuto la possibilità di lavorare su una generazione molto forte, però è arrivato a un passo dal Mondiale. E nessuno è mai durato così tanto su quella panchina. Penso che ci sorprenderà ancora anche con i Wallabies”.

Sergio al Mondiale? “L’avrei portato a occhi chiusi. Al di là dell’amicizia. Spesso abbiamo parlato di come ha fatto ad andare avanti fino alla sua età. Io ho smesso a 34 anni per ragioni più mentali che fisiche. Dopo la partita, gestire i dolori, gli orari fissi, gli allenamenti… Sono arrivato a dire addio per quello. Lui ha dato prova di una determinazione che lo avrebbe portato a essere campione in qualsiasi sport avesse praticato. E il Mondiale, per me, se lo era guadagnato così: sul campo. Avrebbe aggiunto qualcosa nel gruppo azzurro e lo avrebbe aiutato nei momenti di difficoltà. Penso che se Crowley lo avesse conosciuto meglio, lo avrebbe portato. Però le scelte si fanno secondo diversi fattori, in base a chi ti consiglia. Ed è andata così”.

E a Quesada alla guida della Nazionale dopo i Mondiali? “Sempre avuto feedback positivi dai giocatori argentini e parigini. Dalla sua ha l’essere giovane (relativamente, visto che ha 49 anni, ndr), ambizioso, con tanta energia. Non gli manca il coraggio, e per la nostra panchina serve. Non è un posto facile, la vetrina del Sei Nazioni è qualcosa di enorme. Comunque come consiglio gli direi di lavorare tanto e bene con le franchigie. Solo uniti, insieme, possiamo vincere”.

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