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Dicono a ROVIGO

Dopo la conquista dello scudetto - ma l’aveva fatto anche prima - Francesco Zambelli torna a mettere in discussione il sistema di sviluppo basato su Franchigie e Nazionale. A che serve un campionato senza sbocco, dice?

di Roberto Roversi

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“Un mostro a due teste”. Con questa definizione, magari piuttosto forte ma sicuramente efficace, il presidente della FemiCz Rovigo, Francesco Zambelli, ha definito l’attuale impianto sportivo di Federugby nel corso dell’assemblea dei soci del club rossoblù, svoltasi per il rinnovo delle cariche societarie dopo la ricostituzione del capitale sociale. Le due teste alle quali fa riferimento il patron dei bersaglieri sono la nazionale e le due franchigie che militano nell’URC. Non è la prima volta che Zambelli esprime la sua opinione su questo tema, però stavolta ha fatto più rumore del solito ponendo sul tavolo una questione sulla quale da tempo si dibatte nel piccolo mondo del rugby italiano: è stata una buona idea creare il sistema delle franchigie? Considerato che l’obiettivo per il quale nel 2011 si era adottato questo modello era quello di favorire la crescita della Nazionale bisogna dire che i risultati degli Azzurri sembrano smentire la validità di questa scelta. Basta guardare i risultati ottenuti dell’Italia nell’era del Sei Nazioni prima dell’arrivo delle franchigie e quelli conseguiti dopo, per rilevare che è cambiato poco o nulla. Anzi, a voler essere pignoli, negli ultimi dieci anni c’è stato qualche piccolo passo indietro. Tra la Nazionale espressione del campionato domestico e quella figlia del sistema delle franchigie, quindi, non si è visto quel salto di qualità che i fautori della scelta celtica auspicavano: l’Italia resta la cenerentola del Sei Nazioni, alla World Cup non passa mai il turno e naviga costantemente nelle posizioni di retrovia del ranking mondiale. È certo, invece, che quel passaggio abbia creato una divisione netta nel movimento rugbistico italiano con la presenza di un vertice, definito dalla stessa FIR come “alto livello”, e il resto, che a questo punto deve essere considerato il “basso livello” con l’aggiunta di un’anomalia tutta italiana che vede una franchigia di proprietà di un’azienda privata e un’altra, nei fatti di proprietà, gestita e finanziata direttamente dalla Federazione. Ed è su questa situazione che punta il dito il presidente Zambelli. “Oggi tutta l’attività del movimento è asservita alle esigenze delle due franchigie e della Nazionale – spiega il patron rossoblù – Sembra quasi che il campionato e le ambizioni di società storiche, come il Rovigo e il Petrarca ad esempio, siano elementi di disturbo nel progetto della Federazione. Tanto che mi domando cosa serva essere affiliati alla FIR se non vengono tutelati gli interessi dei club.”

Di recente la Federugby ha annunciato una serie di modifiche del massimo campionato. Che ne pensa? “Queste decisioni non sono state discusse con le società però se il tutto fosse finalizzato alla crescita del campionato verso l’alto livello sarei anche d’accordo, ma temo non sarà così. Il torneo resterà fine a sé stesso senza nessun sbocco e saranno sempre le due franchigie e la Nazionale a dominare la scena. Con queste premesse, alcuni sponsor che, con passione, hanno investito molto negli ultimi anni potrebbero abbandonare o ridimensionare il loro impegno. È un rischio concreto. Personalmente posso dire che con questa situazione resterò sicuramente altri due/tre anni solo cercando di allestire

“La riduzione del numero dei partecipanti al torneo non sarebbe in discussione, se fosse indirizzata, con adeguata attività, per creare un concreto supporto alla Nazionale. Poiché così non è, finisce con il rendere tale Élite fine a stessa e scarsamente impegnativa. Giocando meno partite di campionato c’è necessità di inserire altri impegni che non potranno essere solo l’eventuale Coppa Italia. Una competizione europea di terzo livello potrebbe essere una buona soluzione per assicurare ai club della futura Serie A Elite un numero di partite e una visibilità internazionale che giustifichino gli investimenti.” una squadra competitiva e di avviare un percorso che porti al rinnovamento dello stadio Battaglini in modo da renderlo adeguato agli standard necessari per giocare e ospitare le partite internazionali.

Dopo, se non cambiano le cose, si vedrà.”

Ritiene che il passaggio in due stagioni dalle attuali 10 a 8 squadre possa favorire la crescita tecnica del campionato?

“La riduzione del numero dei partecipanti al torneo non sarebbe in discussione, se fosse indirizzata, con adeguata attività, per creare un concreto supporto alla Nazionale. Poiché così non è, finisce con il rendere tale Élite fine a stessa e scarsamente impegnativa. Giocando meno partite di campionato c’è necessità di inserire altri impegni che non potranno essere solo l’eventuale Coppa Italia. Una competizione europea di terzo livello potrebbe essere una buona soluzione per assicurare ai club della futura Serie A Elite un numero di partite e una visibilità internazionale che giustifichino gli investimenti. Non so, però, se questa ipotesi sia stata valutato o meno.”

Si è parlato anche di un protocollo al quale dovrebbero attenersi i club per partecipare al massimo campionato: stadi con capienza minima, strutture adeguate, risorse economiche garantite, ecc. È una strada percorribile?

“Anche qui partiamo da un presupposto condivisibile, ma non si tiene conto della nostra attuale realtà. Con questi criteri diverse società resterebbero tagliate fuori e allora sarebbe necessario ricorrere alle deroghe creando una situazione dove ci sarebbero figli e figliastri. Ci si potrebbe anche chiedere se la Federazione è disponibile a sostenere economicamente quei club che dovrebbero adeguarsi ai parametri richiesti. Dubito che ciò accada se già adesso quasi tutte le risorse a disposizione servono ad alimentare le due teste del mostro. C’è poi anche la questione dell’obbligo della seconda squadra che non mi trova affatto d’accordo. Ripeto: dopo l’Elite abbiamo la Serie A nella quale devono giocare i nostri atleti con desiderano continuare con il rugby. Tempo fa a Rovigo abbiamo fatto una scelta che vuole favorire la filiera rugbistica della provincia. Conclusa l’attività giovanile i giocatori che non rientrano nei piani della prima squadra preferiscono continuare la loro attività negli altri club del territorio che partecipano ai campionati di Serie A e B piuttosto che militare precariamente in una squadra Riserve.”

In questo quadro si inserisce anche il rapporto tra le società del campionato e le due franchigie. Come lo giudica?

“Partiamo dalla questione dei “permit player”. Io sono contrario ad avere nella mia squadra giocatori che si allenano tutta la settimana con una franchigia per poi averli a disposizione solo in occasione delle partite. Non credo che questo sistema aiuti la crescita tecnica del singolo giocatore senza dimenticare le conseguenze di una situazione del genere negli equilibri del gruppo. Salvo la preparazione pre-season, ritengo molto più sensato l’utilizzo del “prestito stagionale” dei giocatori sotto contratto con le franchigie che restano così sempre a disposizione della squadra che disputa il campionato. A Rovigo l’anno scorso abbiamo avuto Tavuyara e per la prossima stagione dovremo formalizzare il prestito di due giocatori provenienti dal Benetton Treviso con il quale abbiamo una buona collaborazione. Non posso dire la stessa cosa delle Zebre visto che si sono accordati con due nostri atleti già a dicembre scorso senza nemmeno informare la società.”

Da tempo si parla di rimettere in piedi la Lega delle società di Serie A. A che punto siamo?

“In passato è stato perso tanto tempo. Con 10 società, ognuna con esigenze e realtà diverse, era difficile trovare dei punti in comune. Di recente si era quasi riusciti in questa impresa, ma è intervenuta la Federazione a sconvolgere le buone intenzioni, introducendo nuovi criteri e una nuova figura come quella del Direttore del Campionato. Magari con il torneo a 8 club ci saranno maggiori possibilità per far rinascere la Lega. Io mi chiedo, però, con quali obiettivi e con quali prospettive potrà muoversi se il ruolo del campionato resterà sempre subalterno alle franchigie e alla Nazionale.”

Cosa vede nel futuro del campionato?

“Devo ammettere che non sono molto ottimista. C’è una situazione nella quale sembra non esserci prospettive per il campionato e che non appare modificabile. Con la creazione delle franchigie abbiamo voluto in qualche modo scimmiottare altre nazioni rugbisticamente diverse dall’Italia. Credo, invece, che ognuno debba fare i conti con la propria real - tà. Dopo più di dieci anni questo modello non mi pare abbia prodotto grandi risultati. Forse tornare a un campionato nazionale forte e competitivo non sarebbe una cattiva idea. Le ultime finali-scudetto hanno dimostrato che ci sono delle potenzialità da sfruttare. La Federazione, però, va avanti per la sua strada. Davanti a questa chiusura, che in qualche modo non gratifica l’impegno di chi come me e i presidenti delle squadre che hanno disputato i play off, ma anche gli altri che hanno investito e stanno ancora investendo sul campionato, non mi resta che dedicarmi esclusivamente al Rovigo ancora per qualche anno. Senza un cambiamento di obiettivi ho già deciso che non mi interessa più partecipare alle prossime riunioni tra le società e la Federazione.” In effetti la Federazione non sembra aver intenzione di modificare i suoi programmi i quali prevedono che tutte le realtà del movimento italiano debbano operare con il solo scopo di sostenere l’attività dell’alto livello. Anzi con la riforma delle Accademie e dei Centri di Formazione potrà controllare e gestire, mettendoli direttamente sotto contratto, anche i migliori elementi che usciranno dai settori giovanili dei club. In questo modo il percorso delineato per “la meglio gioventù” del rugby italiano passerà esclusivamente per la filiera federale (Centri di Formazione, Accademie, Franchigie e Nazionale) escludendo di fatto i campionati seniores, dalla Serie C alla neo Serie A Elite, nei quali giocheranno solo gli atleti ritenuti non idonei al progetto federale. Il rischio potrebbe essere quello di avere tutta l’attività non funzionale alle franchigie e alla Nazionale relegata in un angolo come si fa con le cose che non servono. È vero che le risorse economiche di cui dispone attualmente la Federazione arrivano dall’attività di vertice, ma buttare a mare un patrimonio di un secolo di storia e di tradizione come quello rappresentato dalle società, con le loro naturali ambizioni e giuste esigenze, sarebbe un grave errore.

Gli scudetti vinti da presidente da Francesco Zambelli (2016, 2021, 2023) che eguaglia così il record di Lino Rizzieri, alla guida della squadra campione nel 1962, 1963 e 1964.

I titoli conquistati complessivamente dai Bersaglieri, il primo fu nel 1951, seguito da quelli del 1952, 1953 e 1954. Poi, ai tre degli anni Sessanta, e a quelli dell’era Zambelli, vanno aggiunti i due del 1976 e 1979, e quelli del 1988 e del 1990.

Alberto Chillon è uno dei due giocatori che hanno conquistato lo scudetto sia con la maglia del Petrarca (2011) che con quella del Rovigo (2016 e 2023). L’altro è Dino De Anna che, nel 1977, vinse il titolo a Padova, mentre l’anno prima aveva trionfato con quella rossoblù dei polesani.

Alessandro Lodi è solo il terzo allenatore italiano ad aver portato al successo in campionato Rovigo, i primi due erano stati Umberto Casellato (2021) e Giordano Campice (1962, 1963, 1964). Lo scudetto del 1976 i Bersaglieri lo conquistarono sotto la guida di Julien Saby, quello del 1979 con Carwyn James in panchina. Nel 1988 l’allenatore era Nelie Smith e nel 1990 Tito Lupini, azzurro ma di scuola sudafricana. Nel 2016 Joe Mc Donnell prese a metà dicembre il posto di Pippo Frati. Gli scudetti degli anni Cinquanta non annoverano ufficialmente un allenatore: Mario “Maci” Battaglini (1950-1953) e Aldo Milani (1954) svolgevano contemporaneamente il ruolo di giocatore e allenatore.

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