Terronitvmagazine5

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ANNO 1 NUMERO 5 DISTRIBUZIONE GRATUITA ONLINE

Foto di Maria Angela Bolzan

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STUPOR MUNDI


L’e d i t o r i a l e Non avrei mai voluto scrivere un articolo per ricordare te caro Gianni Iscaro. Mai !

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Cari lettori, altresì, ho “ceduto” con dovere e piacere “l’angolo editoriale” al grande Luisi proprio in onore di questa triste dipartita perché Fernando oltre alla sua valenza è un sannita e quindi è giusto che scriva un conterraneo per un compatriota. Eppure oggi in questo numero debbo, ahimè, ricordare un amico fraterno, un compagno di battaglie indipendentiste, un combattente puro, sincero, onesto dal credo Duosiciliano, una persona perbene. Invero e senza ombra di dubbio posso affermare che Gianni era la persona più buona che conoscessi e abbia mai conosciuto (non lo scrivo per retorica), è proprio così! Tutti i giorni dalla nefasta notizia non faccio altro che crucciarmi pensando a lui, al carissimo Fausto, esimio fratello e alla sua famiglia nonché alla bravissima mamma. Una tragedia umana caduta improvvisamente che proprio non ci si riesce a spiegare. Proprio vero che avendo un cuore grande questi, forse per troppo altruismo, lo ha lasciato sotto il peso del tanto amore. Al tuo ultimo saluto ho pianto tanto e come se ho pianto mamma mia, ho perso un riferimento, ho perso un ancora. Ho ascoltato il ricordo che tuo fratello Fausto ci ha raccontato e mi sono e mi rimarranno impressi per sempre le seguenti parole sulle tante di un inteso discorso: “…non mi piace parlare italiano, io sono bagnarese, sono beneventano, sono duosiciliano e di mio fratello posso dire che era nu brigante e sin da sempre l’aggio sfuttute pe’ chiste episodjo: Gianni teneve tre anni (per la sua bontà e ingenuità che ha sapientemente conservato fino a quando ha raggiunto la Casa del Padre) addimmannaje ‘a mamm se se puteva spuorcá ‘o cazone. Ecco questo era mio fratello…” Ciao Gianni riposa in pace

Ciao Gianni, amico mio! Purtroppo, il tuo cuore ha cessato di battere, indomito guerriero sannita e duosiciliano! La tua morte ha lasciato, per i tuoi cari e per chi ti ha conosciuto, tanto dolore e il ricordo di un uomo buono e generoso. Ora veglia sulla tua cara madre e sui tuoi fratelli. Aiutali nella rassegnazione cristiana. Rassegnazione non intesa come oblio, abbandono o rinuncia, ma l’affidarsi nelle mani della Provvidenza sull’esempio di Cristo, vincendo su tristezza e rabbia. Donaci la forza e la luminosità del tuo sorriso. Quel sorriso che mi regalavi ogni volta che ci incontravamo e che veniva prima del nostro ciao. Ferdinando l’Insorgente M A G A Z I N E


SOMMARIO

M A G A Z I N E

4 attualità il meme 6 10

Registrazione n 1 - marzo 2021 Tribunale di Nocera Inferiore

Anno 1 - Numero 5 chiuso il 27/04/2022

cultura / territorio lo spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana

Editore Creative Media Srl Direttore Responsabile Mario Stanzione

credenze / tradizioni o munaciello

Direttore Editoriale Fernando Luisi (Ferdinando l’Insorgente)

/ stragi 12 trinacria una terrorista di nove anni

14 personaggi federico II: stupor mundi non tutti sanno che... 17 forse i savoia credevano che il bidet fosse una chitarra

Redazione Mimmo Bafurno Cinzia Bisogno Giuseppina Iovane Daniela La Cava Armando Minichini Mino Paolillo Angelica Sarno Edoardo Vitale

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italici 19 criminali cesare lombroso, teorico dell’antimeridionalismo

IN COPERTINA Il cielo azzurro della Puglia, visto dal cortile di Castel del Monte.

della canzone popolare 20 interpreti o’ vico ‘e mast’errico

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calabria / leggende pentadattilo: la leggende della mano di pietra

24 arte lizzie siddal, il volto dei preraffaelliti foto del mese 26 la la pastiera M A G A Z I N E

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ANNO 1 NUMERO 4 DISTRIBUZIONE GRATUITA ONLINE

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attualità

IL MEME

L’Informazione quasi seria al tempo del digitale Ferdinando l’Insorgente

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a pandemia e la guerra mai come prima hanno determinato una svolta nel campo dell’informazione. Una svolta favorita passando dal mondo analogico a quello digitale. Il documento analogico è un prodotto (documenti cartacei, foto, registrazioni audio e video su nastri) che ha una sua dimensione fisica, presente nello spazio e occupandone un volume. Il documento digitale è un documento creato attraverso un’elaborazione elettronica, che si ottiene: • trasformando un documento di testo, un tracciato audio, una foto o un filmato dal formato analogico a quello digitale;

• ottenendo direttamente un testo, foto o filmato direttamente in formato digitale (nativo digitale). Il termine digitale indica che tale rappresentazione è di tipo numerico, ovvero che la grandezza fisica su cui si basa assume valori numerici discreti. Un documento digitale contiene informazione codificata con un linguaggio convenzionale in bit, memorizzata in modo permanente su un determinato tipo di supporto fisico (disco rigido o compact disc). La documentazione digitale è una rappresentazione astratta e numerica della realtà sensoriale. Nel passato l’informazione godeva solo del supporto analogico, peraltro limitato. Questa condizione trovava una comunicazione ridotta e ne limitava quindi l’evoluzione.

Un meme sulla guerra russio-ucrania M A G A Z I N E


Grazie alla digitalizzazione e alla globalizzazione, la singola informazione viene velocemente veicolata alla popolazione in possesso di strumenti che ne permettano la conoscenza. In poco tempo una notizia, con questo strumento d’innesco e d’innesto, raggiunge milioni di persone, diventando i fruitori del “meme”. Ma cosa è il “meme”? Il “meme” è un’entità informativa che si diffonde, come un virus, da una mente all’altra; un’unità autoreplicante d’informazione culturale. La cultura umana rappresenta il nuovo brodo primordiale, come ci fa intendere Richard Dakwins nel suo Il gene egoista e in altre opere, dove il “meme” è il nuovo replicatore. Esempi di memi sono idee, frasi, melodie, mode, modi di modellare vasi o costruire archi. Proprio come i geni si propagano nel pool genico saltando di corpo in corpo grazie ad ovocellule e spermatozoi, così “il meme” si propaga nel pool memico saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, è imitazione. Quando una determinata forma di “meme” prende vita e si sviluppa con una notizia precisa oppure un’idea, questa viene veicolata rapidamente, grazie ai supporti digitali, attecchisce nelle menti dei fruitori, creando modelli di pensiero. Il pensiero può diventare azione, ripercuotendosi nel quotidiano, influenzando il comportamento di popoli e dell’opinione pubblica. Ma cosa succedese l’informazione alla base di un “meme” è falsa o distorta? Una volontaria e consapevole diffusione di dati falsati o costruiti abilmente in errato e fuorviante può essere paragonato ad un cancro, nella sua forma primitiva, e alle sue metastasi rappresentate dalle singole unità dei “meme” diffusi. L’espansione di questo cancro plasma e condiziona l’opinione pubblica secondo precisi progetti creati per la

manipolazione delle masse e la creazione di nuove finestre di Overton. Oggi queste masse, diversamente dal passato, hanno strumenti di difesa più deboli contro questi virus. La storia recente è piena di “meme” difettosi che hanno plasmato e plasmano l’opinione pubblica e su determinati argomenti, dove i media di regime, il mainstream, completa l’operazione etichettando e facendo credere alla popolazione che queste notizie, false e tendenzose, rappresentano la verità assoluta. Nella storia dell’Umanità i “meme” ci sono sempre stati e sono stati abilmente messi in circolazione dai detentori del potere. Purtroppo, con l’avvento dell’era informatica e digitale, questi virus hanno accresciuto il loro potere di contagio. Coloro i quali propagano notizie artefatte sono i servizi compiacenti agli ordini dei gruppi e padroni con grosse risorse finanziarie. Chi non si allinea, invece, non gode di risorse economica e diventa vittima di persecuzioni di ogni tipo. Ma noi ci schiereremo sempre con la libera e corretta informazione. Quella libera e corretta informazione destinata a far riflettere le persone, non invitandole a dare risposte ma a fare domande e, principalmente, a non credere nella verità assoluta. Questa è la linea da seguire del nostro giornale.

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cultura / TERRITORIO

Lo spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana Edoardo Vitale

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iprendiamo il discorso con Adriana Dragoni, autrice del Saggio Lo Spazio a 4 dimensioni nell’arte Napoletana, edito da Pironti, che ci continua a parlare della prospettiva Napoletana. La prima parte dell’intervista è stata pubblicata nel numero precedente. Certo la mancanza di armi testimonia una civiltà pacifica ed è interessante questa iscrizione che dice che questi greci conoscevano Omero, (Nestore è un personaggio dell’Iliade) e amavano i conviti, la poesia, la storia e i rapporti d’amore. Da Pithecusa (Ischia), alcuni Grecia approdarono sul continente, dove, in una fertile pianura, fondarono, nell’ottavo secolo, la loro cit6 tà. La chiamarono Onda (= Kume, Cuma). E il mito racconta di un poeta cieco, il cumano Omero (= cieco, nella lingua di Cuma), che, mentre cantava l’Iliade e l’Odissea, descriveva la vita dei greci più antichi. Questi antichi greci avevano il culto dell’ospitalità (Odissea libro VI), amavano la propria terra e la difendevano dall’invasione dei nemici. Così Ulisse userà ogni mezzo per tornare a Itaca e sterminerà i Proci che avevano occupato la sua reggia. (Odissea libro XXII). 8 L’ALFIERE Il carattere pacifico della politica estera si riscontra quasi semprenella storiastoria e i rapporti d’amore. napoletana. Da Pithecusa, alcuni Greci Però, dall’inizio del approdarono sul continente, V secolo, dall’Africa i dove, Fenici in una fertile fone dal pianura, Nord Itadarono, nell’ottavo secolo, la loro lia gli Etruschi, più volcittà. La chiamarono Onda te attaccarono Cuma per (=Kume, Cuma.). E il mito racconta terra cieco, e per ilmare. di un poeta cumano Omero (= Cuma cieco,“Gli nellaEtruschi lingua diodiavano Cuma), che, mene l’attaccavano solo per tre cantava l’Iliade e l’Odissea, l’invidia descriveva la floridezza della città” (Polibio, la vitaedei greci più antichi 200-118a. C.) Ma, nel frattempo, asQuesti antichi greci avevano il culto dell’ospimodello umano dell’arte talità sorbivano (Odissea illibro greca. VI), amavano la propria terra e la difendevano dall’invasione dei nemici. Così Ulisse userà ogni mezzo per tornare a Itaca e ster-

I Cumani si difesero vittoriosamente, finché, insieme ai greci Siracusani, con una battaglia navale (474 a. C.), gli inflissero una tale sconfitta che quelli non osaronopiù attaccarli e tornarono da dove erano venuti. Così, nel V secolo, sulle rive tirreniche tornò la pace e vi poté sorgere una nuova città, Neapolis, accanto alla più antica Partenope. Secondo una accreditata tradizione, essa fu fondata dai Cumani, i quali, più tardi, quando Cuma fu distrutta dai Sanniti, (438 a.C.), vi si rifugiarono in massa. Cosicché questa nuova città, Napoli (=Nea Polis), ebbe l’esperienza urbana dell’antica Cuma, una città che ora non c’è più. Napoli, invece, esiste ancora e, nella sua eccezionale continuità storica, la più lunga nel mondo occidentale, ancora conserva il retaggio dell’umana esperienza della vecchia città marinara. In che senso questo retaggio è importante per la prospettiva napoletana? È illuminante pensare concretamente a un uomo di allora che vive in riva al mare, Non ha l’immagine di un mondo stabile, ma quella del continuo movimento delle onde, e contempla l’ampiezza del curvo orizzonte lontano. È un’immagine del mondo ben diversa da quella che ha l’uomo terricolo. Il marinaio conosce il senso del viaggio che lo porta ad allontanarsi settembre 2021 da casa per la pesca o per il commercio o per sperimentare l’avvenno. È un’immagine del tura. Immaginiamo mondo ben diversa da un gruppo di uomiquella che ha l’uomo ni su una barca di terricolo. Il marinaio allora: una società conosce il senso del viaggio certamente molto coesa. che lo porta ad allontanarsi da Il loro capo è il nostromo casa per la pesca o per il comche, alle onde,l’aval mercio oattento per sperimentare vento, Immaginiamo al cielo, crea un unagruppo stradadi ventura. alla nave. Penso che l’idea uomini su una barca di allora:guiuna da fosse lo “stare tutti sulla stessa società certamente molto coesa. Il loro barca”. La loro immagine capo è il nostromo che, attento del allemondo onde, al è un’immagine corale. vento, al cielo,

Coppa di Nestore, ritrovata ad Ischia. M A G A Z I N E

crea una strada alla nave. Penso che l’idea guida fosse lo “stare tutti sulla stessa


ormai sommersa dal mare. Claudio ebbe quattro mogli, tra cui la famosa Messalina, che andava per postriboli cercando amanti. E infine si innamorò della bella Agrippina e ne adottò il figlio, Nerone, che lei aveva avuto dal primo marito (Tacito “Annales”XIII). Più tardi, Nerone si innamorò perdutamente della bellissima Poppea. che pretese che Agrippina, che le era ostile, fosse eliminata. E Baia fu il luogo d e l

Secondo la tradizione, durante l’Impero Romano, Paolo di Tarso, andando a Roma, si fermò a Napoli e qui l’antica religione fu assorbita nel Cristianesimo. I Cristiani furono perseguitati da alcuni imperatori, come Diocleziano (244/305, imperatore dal 284). Mentre l’imperatore Costantino proclamerà l’Editto di Tolleranza (313), che sancisce la libertà di culto anche per i cristiani e l’imperatore

Raffaello Sanzio, Battaglia di Ostia, Roma, Stanze Vaticane. Mentre le donne, lasciate a terra, in piena autonomia, risolvevano da sole i vari problemi quotidiani. Ed è bello immaginare la società napoletana sicura e tranquilla. Ma ecco che vi irrompe Roma, che conquista con le armi le poleis della Magna Graecia. Esse ottennero la cittadinanza romana, cioè persero la propria piena autonomia politica, ma conservarono la propria cultura, la lingua greca e anche le proprie magistrature. I primi conquistatori romani avevano una mentalità pratica, non certo raffinata. Ma si innamorarono della cultura di quei greci così allegri e vitali: della loromusica, delle feste, del teatro, della poesia e della filosofia. Neapolis e i suoi dintorni divennero meta di unturismo culturale di alto livello. Così dai greci della Magna Graecia, prima ancora che da quelli della Grecia balcanica (conquistata più tardi, nel 146 a.C), i Romani appresero l’ellenistico modello della figura umana, che poi l’Impero di Roma diffuse nel mondo e che ha ispirato nei secoli tanti artisti. Già durante la Repubblica, i maggiorenti romani, come Cicerone (106-43 a.C.), ebbero casa a Napoli. Ma poi furono gli imperatori della famiglia Julia ad amare Napoli e i suoi dintorni, incominciando appunto da Ottaviano Augusto. Tiberio addirittura si trasferì a Capri.

Il successore, Claudio (43-54 d.C.), amò Napoli, dove soggiornò e scelse il suo teatro scoperto per mettere in cena alcune rappresentazioni da lui ideate. A Baia fece costruire ville, statue e ninfei, che oggi sono visibili nel castello-museo del luogo e nell’antica città ormai sommersa dal mare. Claudio ebbe quattro mogli, tra cui la famosa Messalina, che andava per postriboli cercando amanti. E infine si innamorò della bella Agrippina e ne adottò il figlio, Nerone, che lei aveva avuto dal primo marito (Tacito “Annales”XIII). Più tardi, Nerone si innamorò perdutamente della bellissima Poppea, che pretese che Agrippina, che le era ostile, fosse eliminata. Proprio Baia fu il luogo del matricidio. Nel castello di Baia ci sono le testimonianze dell’arte romana. Così a Ercolano, a Pompei, nel Museo Archeologico di Napoli. In verità, quest’arte non può definirsi “romana”: è invece nella tradizione magnogreca. Pensavo a quelle antiche statue di imperatori e di uomini illustri, che venivano collocate inluoghi pubblici e hanno grandezza maggioredel normale nonché una certa rigidità che li rende più imponenti. Sì, queste sono caratteristiche romane. Mentre l’arte magnogreca si esprime più liberamente in altre opere e negli affreschi dipinti nelle case private, che, superando quella composizione,

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imponente e simmetrica, che è nello spirito ro- barbaro Odoacre, un mercenario dell’esercito mano, hanno spesso una singolare costruzione romano, fece prigioniero l’ultimo Imperatore, il prospettica, che, considerando elementi di una giovanissimo Romolo Augustolo. stessa composizione ripresi da diversi punti di Ricordo. Era il 476, l’Impero di Occidente è finito. settembre 2021 vista, costituisce il preludio alla prospettiva set- Romolo Augustolo sarà condotto nell’isolotto di il Cristianesimo religio- napoletana. prende, all’incirca, oltre l’Italia centro-settentrionale, tecentesca Megaride, vicino al luogo in cui Partenope si è lae l’Impero in due parti. l’Europa centrale. Secondo la tradizione, durante l’Impero Romano, sciata morire, dove c’era il Castrum Lucullianum, Lo schema dell’Impero sarà ordinato gerarchicameno Romano d’Oriente a Paolo di Tarso, Roma, siefermò a Napoli Castel dell’Ovo. E a Napoli entrano i barbari e la capitale dell’Impero te andando in vassalli,avalvassori valvassini. In questaora parte e qui l’ a ntica religione fu assorbita nel Cristianesimo. Goti. Ravenna, dove il barbaro d’Europa, le città vanno scomparendo. I feudatari vivosercito romano,I fece prino in castelli fortificati eda sono padroniimpedi terre (feudi) e tardi Giustiniano, imperatore di BisanCristiani furono perseguitati alcuni Ma più il giovanissimoratori, Romolocomedei loro coltivatori, considerati imperatore “servi della gleba” (= di Diocleziano (244-305, zio, volle ricostruire l’antico Impero Romano. È una zolla di terra). dal 284). Mentre l’imperatore Costantino procla- il 535. La guerra greco-gotica si concluderà nel Ma saranno questi “servi della gleba” a costruire, poi, ro di Occidente è finito. merà l’Editto di Tolleranza (313), la il mondo, 553. L’Esarca di Ravenna, (il funzionario bizandi guardare il Comune. E ad avere un che modosancisce ndotto nell’isolotto di di culto per cristiani l’imperatoche anche li porterà ad iaccettare la eprospettiva toscana.tino che governava, in nome dell’imperatore di ui Partenope silibertà è lasciastrum Lucullianum, ora Nel 380, 726 l’imperatore di Bisanzio Leone III Isaurico re Teodosio, nel proclamerà il CristianesiOriente l’Italia), osservando che qui è guerra ntrano i barbarimo Goti. scatena, anche per controbattere la propaganda religione di Stato. continua, comprende che Napoli deve essere diimperatore di Fu Bisanzio, dell’Islam, la lotta distruzione delle lui a dividere l’Impero in per duelaparti. Stabilì la immagini fesa da un esercito cittadino e deve avere quale ro Romano. È il 535. La sacre (=iconoclastia), che durerà anche durante il capitaledi dell’Impero Romano d’Oriente a Bisan- governatore un magister militum, un duca. Così, derà nel 553. L’Esarca nono secolo. zio (= Costantinopoli) e la capitale dell’Impero nel 554, nasce il Ducato napoletano, che, nella ntino che governava, in Napoli è storicamente una civiltà che ama l’immagid’Occidente ne a Milano e poi a Ravenna, dove il sua nte l’Italia), osservando e da sempre ha una raffigurazione in forma umana massima estensione, va da Amalfi a Gaeta. mprende Osservo che ancora una volta Naa da un poli non ha voluto una guerra ma e quale si è solo difesa. Ma che cosa accatum, un de nel resto d’Italia? Ducato Accade che, nel 568, quindimassima eta. ci anni dopo la riconquista bi8 a volta zantina, l’Italia viene invasa da erra ma un popolo barbaro, noto per la accade sua smania di dominio e la sua crudeltà. I Longobardi invadoici anni l’Italia no l’Italia centro-settentrionale, barbaro, formando un regno con capitale nio e la Pavia. vadono E determinano la divisione tra formanItalia centro-settentrionale e a. one tra Italia meridionale, che avranno e Italia due storie e due prospettive die storie verse. È famoso il capo dei Longobardi, il feroce Alboino, che, bardi, il avendo ucciso il capo di un altro cciso il arbaro, popolo barbaro, costringe la fiposarlo glia di questi a sposarlo e a bere assassinel teschio del padre assassinato nda nel dicendo “bevi, Rosmunda nel l passateschio di tuo padre”. Ma con il saranno i. passare del tempo, i Longobardi esiderio saranno civilizzati, diventando oma. Il cristiani. hi. Che Non diminuirà, però, il loro deinfine siderio di conquista. MinacciaE nella cento, il no Roma. Il Papa chiederà aiuto oronato, ai Franchi, che verranno in suo

Sacro ro com-

Inconorazione di Ruggero il Normanno, mosaico, Palermo.

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Il duca Teodoro (719/729) accoglie le monache e i monaci scappati da Bisanzio e arrivati a Napoli con le immagini sacre e le reliquie dei santi. Nel frattempo l’Europa era stata sconvolta dall’invasione islamica, iniziata con l’egira da più volte, chiese aiuto ai soccorso e infine debelleranno i Longobardi. Napoli,(622) che,voluta attaccata Maometto. Nell’ottavo secolo, aveva iconquistaE nella notte di Natale dell’anno Ottocento, il l’Islam Normanni, quali si trovavano nei pressi. Questi to la incoronato, Sicilia e la Spagna. Ad Oriente, in batterono sul finire del franco Carlo Magno sarà dal Papa, non solo i Longobardi ma conquistaalle porte di Vienna. secolo, arriveràrono Imperatore del Sacro diciassettesimo Romano Impero. Questo la Sicilia e tutta l’Italia Meridionale, uniC’è un’altra Napoli non faceva parte del Impero comprende, all’incirca, oltre questione. l’Italia cenficando nell’unico Regno di Sicilia il territorio Regno dei Longobardi. Ma, poi altri Longobardi, tro-settentrionale, l’Europa centrale. che va dal Trontoindia Pantelleria. Napoli amava la dal Regno pavese, si erano spostatiealfuSud, E Lo schema dell’Imperopendenti sarà ordinato gerarchicasua libertà l’ultima città a capitolare. Ma i cercarono di conquistare Napoli, che, attaccata più mente in vassalli, valvassori e valvassini. In que- Normanni la rispettarono e Federico II, figlio volte, chiese aiuto ai Normanni, i quali si trovavano nei sta parte d’Europa, le città vanno scomparendo. della regina normanna Costanza d’Altavilla, vi pressi. Questi non solo batterono i Longobardi ma conI feudatari vivono in castelli fortificati e sono pa- fondò, nel 1224, l’Università degli Studi, la quistarono la Sicilia e tutta l’Italia Meridionale, unifidroni di terre (feudi) ecando dei loro coltivatori, consiprima università non ecclesiastica dell’Occinell’unico Regno di Sicilia il territorio che va dal derati “servi della gleba” (= di una zolla di terra). dente europeo. Tronto a Pantelleria. Napoli amava la sua libertà e fu Ma saranno questi “servi dellacittà gleba” a costruire, Con la morte, nel 1250, di questo grande Re e l’ultima a capitolare. Ma i Normanni la rispettaropoi, il Comune e ad avere un modo di guardare Imperatore, si accesero le lotte per conquistano e Federico II, figlio della regina normanna Costanza il mondo, che li porterà ad accettare la prospetre il suo exdegli regno. d’Altavilla, vi fondò, nel 1224, l’Università Studi,Vinsero gli Angioini. Così tiva toscana. le antiche città della la prima università non ecclesiastica dell’Occidente Magna Graecia vennero a Con la morte, nel 1250,essere di questo grandedegli Re e amici del Re, una sorta di Nel 726 l’imperatore dieuropeo. Bisanzio Leone III Isaudominio si accesero le lotte per conquistare suo ex Imperatore, rico scatena, anche per controbattere la propafeudatari, cheil instaurarono una economia baregno. Vinsero gli Angioini. Così le antiche città della ganda dell’Islam, la lotta per la distruzione del- sata sull’agricoltura. Magna Graecia che vennero a essere le immagini sacre (=iconoclastia), durerà Ledominio antiche degli città amici magno-greche si spopolarono. del Re, una sorta di feudatari, che instaurarono una ecoanche durante il nono secolo. Napoli è stori- Tranne Napoli, che divenne capitale del Regno. nomia basata sull’agricoltura. Le antiche città magnocamente una civiltà che ama l’immagine e da Napoli è l’unica città del mondo occidentagreche si spopolarono. Tranne Napoli, chenata divenne sempre ha una raffigurazione in forma umana le, che, dalcapimare, conserva, grazie alla tale del Regno. della divinità. Il duca Teodoro (719-729) acco- continuità della sua storia, l’antico retaggio Napoli è l’unica città del mondo occidentale, che, glie le monache e i monaci scappati da Bisanzio marinaro. La sua prospettiva è unica al monnata dal mare, conserva, grazie alla continuità della e arrivati a Napoli con le immagini sacre e le do, diversa da quella del resto d’Europa. Persua storia, l’antico retaggio marinaro. La sua proreliquie dei santi. ché da diversa la resto sua storia. Dopo la monarchia spettiva è unica al mondo, diversa quellaèdel Nel frattempo l’Europad’Europa. era stata sconvolta dall’inangioina, Napoli conobbe quella aragonese, poi Perché diversa è la sua storia. vasione islamica, iniziata con lal’egira (622) angioina, volu- fu capitale ispanica e, per breve tempo, austriaca. Dopo monarchia Napoli conobbe quella ta da Maometto. Nell’ottavo secolo, l’Islam aveva Infine fu la capitale aragonese, poi fu capitale ispanica e, per breve tempo, borbonica. Sempre fu riconquistato la Sicilia eaustriaca. la Spagna. Ad Oriente, in spettata la sua civiltà Infine fu la capitale borbonica. Sempre fu e la sua tradizione. Prima sul finire deldiciassettesimo secolo, arriverà alle di diventare una provincia italiana. Fu allora che rispettata la sua civiltà e la sua tradizione. Prima di porte di Vienna. diventare una provincia italiana.l’identità, e con essa la dignità, di Napoli incoFu alloranon che faceva l’identità, e con essa la dignità, di NapoliE Napoli a morire. C’è un’altra questione. Napoli parte minciò a indebolirsi. incominciò indebolirsi. E Napoli a morire. del Regno dei Longobardi. Ma,apoi altri LonTuttavia, cara professoressa, sono certo che il poTuttavia, professoressa, che ilsaprà popo-ridare vita e forza alla sua gobardi, indipendenti dal Regnocara pavese, si era- sono polo certo di Napoli lo di Napoli saprà ridare vita e forza alla sua straordino spostati al Sud, E cercarono di conquistare straordinaria civiltà. Il mondo ne ha bisogno. naria civiltà. Il mondo ne ha bisogno.

Lo stemma Normanno. M A G A Z I N E

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credenze / tradizione

O MUNACIELLO,

Vi arricchisce o vi appezzantisce Angelica Sarno

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na delle figure esoteriche più famose e ca-

ratteristiche della tradizione partenopea è il MUNACIELLO oppure è chiamato MONACIELLO. Si tratta di uno spiritello, rappresentato come un ragazzino deforme o una persona dalla bassa statura, una sorta di gnomo, vestito con un saio. Ancora oggi ci si chiede se questa figura sia stata inventata dai racconti popolari o se, invece, sia realmente esistita. Le sue manifestazioni sarebbero numerose: di simpatia, quando lascia monete e soldi nascosti dentro le abitazioni, o fa piccoli scherzi che si tramutano in numeri da giocare al Lotto; di apprezzamento, quando sfiora le belle donne, o di dispetto, quando occulta e rompe oggetti o soffia nelle orecchie di chi dorme. Sulla nascita di questa credenza, ci sono varie ipotesi, la prima la fornisce la scrittrice Matilde Serao, fondatrice del quotidiano Il Mattino, secondo la quale il munaciello sarebbe un personaggio realmente esistito e sarebbe uno dei tanti “figli della colpa”, tra Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante di panni, ed il garzone Stefano Mariconda, nel XV secolo.

Poiché la storia d’amore era fortemente contrastata soprattutto dalla famiglia di lei, la coppia ricorreva ad incontri clandestini durante la notte, cui il giovane garzone si recava percorrendo un pericoloso sentiero sui tetti di Napoli. Fu proprio nel corso di una di queste camminate che Stefano fu assalito e gettato nel vuoto, sotto gli occhi della fidanzata. Caterinella, in stato interessante, chiese ed ottenne di rinchiudersi in un convento della zona, dove diede alla luce un bambino piccolo e deforme che ella prese a vestirlo con un abito bianco e nero da monaco (Domenicano). La sua figura dalla testa troppo grande e dal corpo troppo piccolo, che si aggirava per le strade del quartiere Porto, destava disgusto e sospetto, che presto si tradusse in continui insulti e sgarbi nei suoi confronti. Da questo, all’attribuirgli poteri soprannaturali benevoli o malevoli il passo fu breve. In particolare, se il cappuccio dell’abito era di colore rosso, se ne traevano auspici di buon augurio, mentre la malasorte veniva associata al cappuccio nero. Dopo la morte di Caterinella, la situazione peggiorò ulteriormente, e gli vennero attribuite ogni sorta di avvenimenti sfavorevoli, dalle malattie alle nuove tasse, e gli assalti anche fisici alla sua persona peggiorarono. Infine, il munaciello scomparve misteriosamente, e la voce popolare

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fu che fosse stato portato via dal diavolo, anche se poco dopo furono ritrovate in una cloaca delle ossa che avrebbero potuto essere quelle del nano, forse assassinato dai parenti della madre. Dopo la sua morte, il popolo napoletano continuò a vederlo nei luoghi più disparati dei quartieri bassi, e alla sua sete di vendetta cominciarono ad essere attribuiti tutti gli eventi sfavorevoli della vita quotidiana. La sua esistenza in quanto spirito divenne presto un fatto comunemente accettato, ma si iniziò anche ad attribuirgli poteri magici connessi alla credenza che dalle sue apparizioni potessero ricavarsi dei numeri fortunati da giocare al lotto. Altra leggenda invece vuole che il munaciello fosse l’antico gestore dei pozzi d’acqua (il “pozzaro”), il quale riusciva (per la sua statura piccola) ad entrare nelle case passando attraverso i canali che servivano a calare il secchio, inoltre l’abito dei pozzari richioamava quello monastico. Poiché spesso i pozzari non venivano pagati dai loro committenti, costoro si “vendicavano” entrando nelle case dei Signori e rubando per sé oggetti preziosi. Gli stessi oggetti preziosi, talvolta, venivano poi donati dai pozzari alle loro amanti, nelle cui case i gestori dei pozzi si intrufolavano sempre attraverso i canali per calare il secchio. Anche per questo la leggenda vuole che il munaciello talvolta rubi, talvolta doni. Un famoso proverbio napoletano recita: «‘O munaciello: a chi arricchisce e a chi appezzentisce» Vi è anche una terza ipotesi, che descrive il munaciello come un piccolo demone, dispettoso perché cattivo, anche quando lascia monete (in tal caso, il denaro sarebbe un’offerta ai vivi per attirarli dalla sua parte). Il munaciello tenderebbe, dunque ad esprimersi, nei confronti degli abitanti della casa dove si appalesa, con tipiche manifestazioni: • di simpatia (lasciando monete nascosti dentro l’abitazione, oppure facendo scherzi che possono essere trasformati in numeri al lotto); • di antipatia (nascondendo oggetti, rompendo piatti e altre stoviglie, soffiando nelle orecchie dei dormienti);

• di apprezzamento (sfiorando con palpeggiamenti le belle donne). In nessuno dei tre casi suddetti bisogna però rivelarne la presenza: secondo la tradizione, possono capitare disgrazie e sfortuna a chi rivela una visita del munaciello. Ci si può propiziare questo benefico spiritello domestico con il cibo, nella speranza di vedere trasformato il cibo in oro; ma non ci si deve vantare di tali doni soprannaturali, altrimenti svaniscono così come sono apparsi. Quando il munaciello si manifesta di persona, pare che appaia alle persone sempre nel cuore della notte, ma solo a coloro che sono nel più estremo bisogno, dopo che è stato tentato di tutto. Lui senza parlare farebbe cenno di seguirlo; chi ha il coraggio di farlo verrebbe portato in qualche posto dove è nascosto un tesoro. Il munaciello non porrebbe nessuna condizione per il suo utilizzo, non richiederebbe alcuna promessa di rimborso, non esigerebbe né dazio né servizio in cambio. Non si sa se questi tesori siano i frutti di guadagni illeciti o i frutti del lavoro industrioso, messi da parte per le occasioni d’amore e di carità. Si dice che in molti abbiano fatto improvvisamente fortuna grazie al suo intervento e quindi, quando qualcuno ha avuto un arricchimento improvviso, si dice “Forse avrà il munaciello in casa”. Si dice anche che il tesoro portato in dono dal munaciello sia appropriato per le esigenze di chi l’ha ricevuto. M A G A Z I N E


TRINACRIA / STRAGI

UNA TERRORISTA DI 9 ANNI Angelina Romano, aveva solo 9 anni, ma i Piemontesi la fucilarono perché ritenuta un pericolosissimo brigante Mimmo Bafurno

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orreva l’anno 1862, 160 anni fa, quando andò in scena la “Rivolta dei Cutrara” a Castellammare del Golfo (TP). Si trattava di una rivolta dei siciliani che si rifiutavano di passare cinque anni della loro vita al servizio dell’esercito piemontese. I giovani delle famiglie ricche, i Cutrara, pagavano e venivano esentati dalla leva, invece i poveri dovevano piegarsi al volere di casa Savoia. Una storia di violenza e di crudeltà che i libri di storia del nostro Paese ignorano. Stanchi delle sopraffazioni subite e per le esose tassazioni gli abitanti di questo paesino scesero in piazza al grido di “Abbasso la leva e morte ai Cutrara”. La legge della leva obbligatoria, fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 1861 e il primo gennaio 1862 gran parte della popolazione capeggiata da due popolani Francesco Frazzitta e Vincenzo Chiofalo insorse contro queste ingiustizie. Dopo avere piantato una bandiera rossa al centro del paese furono assaltate la abitazioni del commissario alla leva e del comandante della guardia nazionale, che vennero catturati ed uccisi e le loro case bruciate. Arrivarono i Bersaglieri da Palermo e i giovani scapparono nelle campagne circostanti.

In mancanza d’altro l’esercito invasore diede libero sfogo su sette inermi, radunatisi nelle campagne di contrada Falconiera, per tenersi lontani dagli scontri in paese: furono scoperti e barbaramente trucidati per ordine del generale sabaudo Pietro Quintino. I nomi sono noti e pubblicati in Castellammare del Golfo. Maria Crociata, una ragazza non vedente di 30 anni; Marco Randisi, bracciante analfabeta di 45 anni; Benedetto Palermo, sacerdote; Angela Catalano, vedova di 50 anni; Angela Calamia, una disabile di 70 anni; Antonino Corona, disabile di 70 anni. Alla fine dell’esecuzione si sentì il pianto di una bimba che aveva assistito alla fucilazione. Angelina Romano, poco più di 8 anni, aveva visto tutto, così fu girata con il viso al muro e “giustiziata”, come le più pericolose delle brigantesse. Era il 3 gennaio 1862, le ore 13 di un freddo venerdì. ATTENZIONE: la becera propaganda filo unitaria ha fatto circolare IN RETE UNA FOTO DI UNA INDIO DELLE AMERICHE, CHE ERRONEAMENTE è STATA IDENTIFICATA CON ANGELINA ROMANO. LA FOTO è palesemente falsa.

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STRATEGIE

di Ruggiero

Riefolo - w Da decenni, o ww.comreco.it rmai, mi sto co nfrontando sen in continua ev za nessun risu oluzione ed es ltato positivo pansione. Un con un mondo meridionalisti mondo fatto d frastagliati in tu i P ar ti ti tt , e le Regioni mer Movimenti e gr una linea guid idionali. Non si uppi a che porti ad u ri es ce n , purtroppo, a tr a sintonia e con arrivare all’unio cordia nelle più ovare ne di questo m variegate ipote ondo. si possibili per Nessuno, e lo sc rivo con un no d o in gola, intende fa cento in avanti re un passo ind . Ripeto sempre ietro per potern ed in continuazion che vuole rapp e farne e che un organ resentare le ista ismo “Partito, M nze di un territ per oltre un se o vimento” orio umiliato, b colo e mezzo istrattato, deru ha bisogno di b remare verso u at o e insultato concordia, unit n futuro di risc à e numeri. Tu atto e responsa sfide per la rin tt i d o vremmo bilizzare i nost ascita. ri conterranei p er aff ro Abbiamo due ntare le strade da perco rrere: La prima sareb be quella di az zerare tutto e ri organismo che partire insieme possa mettere in per la costituzi sieme tutte le re one di un La seconda potr al tà te rr itoriali dell’ex R ebbe essere ques eg n o. to progetto tras il Comitato Ref versale che abb erendario per l’ ia m o messo in piedi ottenimento dei raccolta firme p con Referendum D er proporre il R el ib er at ivi nei Comuni eferendum Cost in questa funes e la ituzionale con il ta Repubblica o quale scegliere d iv en ta re se Confederazion Ritengo che qu restare e di Stati come esta iniziativa p la o Sv ss a iz d ze iv ra. verso quella ag enire la locomo ognata unione. tiva per trainar e P il o ss p o a p p o ortare i vertici stringersi in un lo meridionale di questo travag patto federativ o li at p er o m co er stituire, finalm e divenire l’imm idionalismo a ente, un Partito agine di un Sud U n a ic cu o i ch se forse, pensiam e possa essere rve unione e n o troppo e non on moltitudine ci d fo i p ca en li zz si un solo progett eri. Sì perché, iamo su un un o. ico argomento ; Un pensiero u nico ed “Carmine Crocc o, nato in un mon do di violenze e l’esistente, vede soprusi, lui stesso arrivare con i b violento e ribelle ersaglieri toscop ingiustizie e sopr verso adani un disor usi, il delitto elev dine maggiore, ato a legge. E co ante litteram, u pi ù gravi sì diventa capo n genio militare brigante, un re fr a i pi ù br sistente illanti che l’Itali Questo servirà a abbia avuto.“ se dovessimo vi (N ic n ol ce a re la battaglia Zitara) comreco.it per per il federalis poter proporre m o co n n el il le singole Reg Comitato www credibile e per ioni meridion . preparare i veri al i n u o n st a ri proposta politi rappresentanti a servire il nost ca territoriali. Poli ro popolo. tici accorti, seri Mi auguro che e pronti da parte vostra ci sia la massi voglio fare: ma adesione e coesione. E un a esortazione “RICORDATEV I CHE DOVE NON ARRIVA Con grande fed LA FORZA CI e meridionalista VUOLE L’AST e st ima vi esorto a UZIA”. futuro dei patri partecipare a q oti che ancora u es n to o n p ci ro sono ma che ve getto per il ben e ricche. e rranno e trovera nno delle terre rifiorite

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personaggi

FEDERICO II: STUPOR MUNDI Monarca illuminato, letterato e filantropo, parlava ben nove lingue e fondò la prima Università non cattolica del mondo occidentale Armando Minichini

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ederico Ruggiero, passato alla storia col nome Federico II, nacque nel 1194 a Iesi da Costanzo d’Altavilla e da Enrico Hohenstaufen, figlio di Federico Barbarossa , imperatore del Sacro Romano Impero e che nel 1194 era stato incoronato Re di Sicilia. Enrico, morirà in circostanze misteriose, tre anni dopo, quindi Federico a soli tre anni si trovò erede di un vasto impero. Un anno dopo salì sul soglio pontificio Innocenzo III e da subito mise in chiaro che il suo ideale di fondo sarebbe stata la ierocrazia, la convinzione, cioè che il papato rappresentasse sulla terra il potere che aveva il compito di controllare tutti gli altri. In poco tempo il papa riuscì a risolvere alcune delle questioni più urgenti: i territori della Chiesa furono presto ricondotti sotto l’autorità pontificia; per i Comuni del nord e del centro, Innocenzo incoraggiò la formazione di leghe per assicurare un’eventuale resistenza a nuovi progetti imperiali simili a quelli del Barbarossa. Ma la grossa questione politica del papato era che le sue terre – situate nel centro della penisola – non potevano venire schiacciate da un unico potere che si instaurasse a nord e a sud di esse: questo guidò la sua politica nei problemi di successione alla corona di Sicilia e a quella di Germania.

Per la Sicilia, il Papa appoggiò Costanza e l’erede Federico, minacciati dalle aristocrazie normanne. In Germania, invece, dove la corona era elettiva, Innocenzo pensò di puntare sul partito anti-svevo, rappresentato da Ottone di Braunschweig, a lui si contrapponeva Filippo di Svevia, zio di Federico. I principi tedeschi scelsero Ottone, che divenne imperatore con il nome di Ottone IV; l’appoggio papale era stato lusingato con ampie assicurazioni circa la libertà della Chiesa nel territorio imperiale. Ma nel 1208 Filippo di Svevia fu assassinato: da allora, sentendosi libero da rivali e forte per la sua alleanza con il re d’Inghilterra, Ottone cominciò a venir meno ai suoi impegni con Innocenzo. A quel punto il papa mutò le alleanze, accostandosi al re di Francia Filippo II Augusto e soprattutto a Federico re di Sicilia, il quale nel 1212, a 18 anni, fu incoronato re dei Romani, e nel 1213 garantì a sua volta al Papa che mai si sarebbe immischiato nelle questioni ecclesiastiche tedesche, rinunciando anzi a controllare le elezioni episcopali in Germania: una querelle che risaliva al secolo XI. Gli promise inoltre che non avrebbe mai promosso l’unione tra il regno di Sicilia e l’impero . Morto Innocenzo nel 1216, con il successore le cose mutarono. Il nuovo pontefice, Onorio III, aveva un carattere certamente meno saldo del predecessore, e Federico II ne approfittò subito: il 22 novembre del 1220 si fece incoronare imperatore a San Pietro, a Roma, dopo aver indotto la nobiltà tedesca ad attribuire

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la corona di Germania al figlio Enrico, ma senza abdicare al regno di Sicilia. Era dunque la sola Germania che egli lasciava al figlio, pur mantenendo su di essa, in quanto imperatore, la suprema guida. Al contrario, non intendeva affatto abbandonare la Sicilia, anche perché vi era stato allevato e presumibilmente si sentiva per cultura più italo-normanno che tedesco; ma, soprattutto, conosceva bene le straordinarie possibilità economiche del regno e ne valutava appieno la non meno straordinaria posizione geografica. Nel regno di Sicilia Federico II avviò subito un programma di rafforzamento delle istituzioni, indicendo due grandi assise a Capua e a Messina (1220-1221), durante le quali ordinò che tutti i diritti regi calpestati in passato dai feudatari fossero immediatamente reintegrati. Introdusse inoltre nel regno il diritto romano Conosciuto come stupor mundi (stupore del mondo) tra i suoi contemporanei, l’imperatore era dotato di un’inestinguibile curiosità intellettuale: esperto in filologia, matematica, astrologia, algebra, medicina e scienze naturali, si dice che Federico conoscesse ben nove lingue. La sua eredità culturale è incarnata nell’Università di Napoli, fondata dall’imperatore nel 1224 per disporre di un ceto di funzionari fedeli istruiti all’interno dei confini. Federico favorì inoltre lo studium medico di Salerno, centro di cultura fondato sulle innovazioni nel campo portate dalla cultura araba. Tra 1217 e 1221 Papa Onorio organizza una spedizione in Oriente: una parte delle truppe era giunta in Terrasanta, ma il grosso si era invece diretto al porto egiziano di Damietta, preso d’assedio nella convinzione di poter così nuocere al sultano al-Malik al-Kamil, della stessa famiglia del Saladino, costringendolo a trattare e a cedere Gerusalemme in cambio della pace e della sicurezza commerciale. Tuttavia il sultano non aveva ceduto e l’impresa era fallita. In quel frangente Federico, che come imperatore avrebbe dovuto prender parte alla spedizione, si era in realtà ben guardato dal venire in aiuto dei crociati, a parte qualche gesto

formale; non aveva infatti alcun interesse a inimicarsi al-Malik al-Kamil, i cui territori erano così vicini alla Sicilia e con il quale era, per giunta, in ottimi rapporti diplomatici. Nel 1227, alla scomparsa di Onorio III, salì al soglio pontificio Gregorio IX. e si era speso a lungo in favore della crociata. Dall’inizio del suo pontificato pretese dunque un impegno di Federico in tal senso. Ma non era l’unico motivo di dissidio fra papa e imperatore: lo Svevo non aveva mai adempiuto agli obblighi che si era assunto in merito alla separazione tra impero e regno di Sicilia; inoltre, si intrometteva nelle elezioni episcopali del regno con l’evidente scopo di favorire persone a lui fedeli. Federico aveva più volte promesso a Onorio III che avrebbe organizzato una spedizione e dovette rispettare il suo impegno per ordine di Gregorio. Nell’autunno del 1227 la spedizione tanto voluta dal papa era sul punto di partire, ma tra le truppe scoppiò un’epidemia. Il pontefice accusò allora l’imperatore di voler tergiversare e lo scomunicò. Fu allora che, per placare la furia di Gregorio IX, Federico si decise a partire. Era il 1228

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Nel frattempo, però, l’imperatore aveva saputo guadagnarsi in Terrasanta solidi diritti dinastici sposando l’ereditiera della corona di Gerusalemme, Isabella-Iolanda di Brienne: quindi si presentava in Palestina come legittimo pretendente al trono. Coglieva poi l’occasione per rinsaldare i suoi rapporti di amicizia con il sultano, che dal canto suo era favorevole a una trattativa. Si arrivò dunque a un compromesso: Gerusalemme veniva ceduta a Federico, ma priva di mura e con l’esclusione dell’area della Cupola della Roccia, la moschea di Umar, considerata dall’Islam il luogo più santo di Gerusalemme. Fu così che, nel 1229, Federico poté cingere a Gerusalemme la corona del regno. Gregorio IX, intimorito da un Federico che usciva rafforzato da quell’impresa, giunse quindi al paradosso di bandire una crociata contro lo stesso imperatore. Le truppe pontificie invasero il regno di Sicilia e Federico dovette rientrare in fretta per difendere i propri territori. Nel 1230 si arrivò a un trattato, siglato a San Germano-Ceprano, secondo il quale lo Svevo forniva ampie garanzie sulla libertà del clero nel regno e in cambio il papa lo liberava dalla scomunica In questo scenario apocalittico, nel 1241 Gregorio morì, lasciando aperta la difficile questione della sua successione. Il conclave, nel tentativo di calmare gli animi, elesse un papa di

compromesso, l’anziano Celestino IV, che morì pochi giorni dopo la nomina. Finalmente, nel 1243, salì al soglio pontificio Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna, che assunse il nome indicativo di Innocenzo IV. Il nuovo pontificato cominciò subito all’insegna dello scontro con l’imperatore, che l’anno precedente aveva dovuto far fronte alla ribellione in Germania del figlio Enrico; la corona era poi passata all’altro figlio Corrado. Nel 1244 Innocenzo IV riuscì a organizzare il Concilio, temuto da Federico, a Lione, dal quale l’imperatore ne uscì non solo scomunicato, ma addirittura deposto. Poco tempo dopo, Federico subì due sconfitte a Vittoria e a Fossalta contro i Comuni, nel 1248-49, e vide molti dei suoi più fidati alleati tradirlo: incluso Pier della Vigna, il suo consigliere in Sicilia, sebbene sulla realtà del tradimento qualche dubbio sussista. Poi improvvisamente, nel dicembre 1250, Federico II morì a Fiorentino di Puglia. La propaganda guelfa sparse la notizia, calunniosa, che fosse stato ucciso dal suo stesso figlio naturale, Manfredi. Le cause del decesso restano tuttavia incerte. Dopo di lui l’impero sembrò declinare e il potere teocratico dei pontefici trionfare. Ma si trattava di un trionfo di breve durata, come si sarebbe compreso mezzo secolo più tardi con il papato di Bonifacio VIII.

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forse non tutti sanno che...

I SAVOIA CREDEVANO CHE IL BIDET fosse UNA CHITARRA

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b bene sì, anche chi allo stadio si sente dire dalle tifoserie del Nord “lavatevi, opppure, PUZZATE COME CANI”, che quando loro si sciacquavano i loro gingilli nel fiume o in una tinozza già usata da altri “membri” familiari, nel Regno delle Due Sicilie, esisteva un oggetto che permetteva una accurata igiene intima personale. Stiamo parlando del bidet.

Alla Reggia di Caserta è ancora possibile ammirare in tutto il suo splendore il primo bidet della storia

d’Italia. La sua diffusione nel nostro paese ha inizio grazie all’innovativa regina di Napoli, Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, sposa di Ferdinando IV di Borbone, (poi Ferdinando I delle Due Sicilie) che ne fece installare uno nelle sue stanze private della Reggia di Caserta, ignorandone l’etichetta di “strumento di lavoro da meretricio” ovvero da casa d’appuntamenti. Difatti il bidet venne utilizzato perlopiù da varie escort nelle case d’appuntamenti, per sciacquarsi e rinfrescarsi tra un cliente e l’altro. Diciamo quindi che non veniva considerato proprio uno strumento da signore, nobili tra l’altro; però quando la regina di Napoli lo portò per la prima volta in Italia questo sanitario si diffuse a macchia d’olio tra il popolo che lo continua ad usare tutt’ora. L’esemplare (nella foto a lato) è composto da un catino in metallo appoggiato su una struttura di legno scuro intarsiato. Si narra che quando i Savoia arriva-

rono nel Regno delle Due Sicilie non sapevano nemmeno cosa fosse il bidet. Dovendo inserirlo nell’inventario dei beni ritrovati nella Reggia (saccheggiati sarebbe più corretto…), non sapendo come definirlo, scrissero di uno “strano oggetto a forma di chitarra“. I Borbone in effetti avevano un concetto molto avanzato di igiene personale (cosa stranissima per la loro epoca), tant’è che nella Reggia vi è una vera e propria stanza da bagno. Una vasca in granito con acqua corrente (all’inizio solo fredda, poi anche calda), una toilette in marmo di carrara e un elegantissimo bidet… come detto, il primo bidet della storia italiana.

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Ciao sono Lea, non amo definirmi, poiché non voglio collocarmi o avere un unico obiettivo nella Vita! Ma in questo momento sono qui per cercare di aiutarvi, nel miglior modo possibile, nella scelta di alcune figure professionali per il vostro giorno da favola. Voi spose, come consuetudine in uno dei giorni più importanti della vostra vita, vi affiderete ad uno studio Fotografico, scelto in base ad un passaparola di voce pubblica, parenti, amici o semplicemente su un social!

Piacere...

LEA

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Il fotografo, da voi scelto, curerà in ogni minimo dettaglio, l’aspetto principale delle foto e grazie alla sua professionalità ripercorrerete, attraverso quelle immagini, il vostro giorno tanto atteso. È giusto che voi Spose, sappiate che in quel preciso momento, ignare di molte dinamiche, avrete chiuso un pacchetto di foto e video, semplicemente basandovi su un lavoro esclusivamente fotografico. Quest’ultimo, per la realizzazione del vostro video, si avvarrà o del “ragazzo” che lavora per quello studio o di un’equipe esterna che si occuperà del montaggio. Qui entriamo in scena Noi…chiamati semplicemente Videomaker! Noi principalmente “impariamo” a conoscervi! Noi cureremo ogni minimo dettaglio della vostra storia d’Amore, dalla semplice canzone che vi ha fatto innamorare, ai minimi particolari del matrimonio. Grazie all’esperienza che ci contraddistingue, “all’occhio” nascosto ma attento a tutto ciò che vi circonda, saremo sempre un passo avanti… per non perdere nessuna scena importante che suggella quel giorno! Abbiamo come obiettivo di realizzare un video superiore ai classici già visti sul mercato! Gli Sposi avranno un video fresco, nuovo, che racconta ciò che loro provano realmente e non un montaggio privo di richieste soggettive! Per quale motivo dovreste sceglierci? Non abbiamo schemi fissi, ne limiti né imposizioni! Vogliamo rispettare i vostri gusti, le vostre esigenze, raccontare una storia… la vostra STORIA! Quindi è bene scindere le due figure professionali…Noi amiamo definirci Creativi! E proprio come degli Artisti lavoreremo su alti standard qualitativi rispettando le vostre scelte! Noi non saremo i Protagonisti del vostro matrimonio, avrete la sensazione di essere scrutati semplicemente da lontano…saremo lì in un angolo nascosto… Il nostro Motto? #faifintachenoncisono Infatti ci sarete voi per Noi in prima linea…Perché siete voi i Nostri Protagonisti! M A G A Z I N E


criminali italici

CESARE LOMBROSO, TEORICO DELL’ANTIMERIDIONALISMO Q uesta grandissima faccia di cazzo che vedete in foto si chiama, o meglio chiamava Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, nato a Verona e di religione ebraica. Potremo già termnare l’articolo poiché il luogo di nascita e la religione già direbbe tutto e invece vogliamo darvi qualche dettaglio in più su questo CRIMINALE, che solo per una certa parte d’Italia è ritenuto il padre della Criminologia Moderna ma che ha fatto sbellicare di risate la comunità scentifica dell’epoca. Si deve a Cesare Lombroso, (anche se si sarebbe dovuto L’OMBRosA, dal bicchiere di vino che i veneti bevono nelle osterie) feticista di reperti dei criminali (disegni, manufatti) , infatti egli amava il teschio di Giuseppe Villella da Motta Santa Lucia, in Calabria, poiché questo teschio ha illuminato (e purtroppo non fulminato) l’idiota veronese; infatti era stata proprio l’autopsia su quel cranio a indurlo a concludere che delinquenti si nasce, e c’è poco da fare.Tutta colpa della “fossetta occipitale mediana”. Era universalmente noto l’appassionato contributo che il veronese, e i suoi seguaci più fedeli (Niceforo, in primis), avevano dato, nella fase post unitaria, alla creazione e diffusione di un’idea del Sud come luogo irredimibile. La questione meridionale? Il malumore dei contadini calabresi, lucani, siciliani, campani? Il brigantaggio? Non era altro che un problema di strutture anatomiche, di atavismo criminale. Altro che ragioni storiche, economiche e sociali, altro che terre da distribuire ai contadini: al Sud sono concentrate troppe “fossette occipitali mediane”, ci vive una “razza maledetta” che si può affrontare solo con i tribunali militari e la legge “Pica”. È grazie a Lombroso, che la “diversità” del Meridione viene visto come segno dell’inferiorità antropologica. Non era di certo un picciotto, e forse non era neppure un brigante, Giuseppe Villella condannato per sospetto brigantaggio entrato nel carcere di Vigevano nel 1863,e morto di tisi pochi mesi dopo: il suo corpo “stortillato” fu offerto al bisturi e al compasso di Lombroso, titolare della cattedra di psichiatria all’Università di Pavia, che, riconoscente per l’illuminazione ricevuta, sottrasse il suo cranio e lo unì alla sua raccolta privata. Secondo la legge Pica per essere qualificato brigante, e trasferito automaticamente nelle carceri settentrionali, bastava essere parente di briganti, o essere trovato armato in un gruppo di tre persone. Nell’archivio di Stato di Catanzaro si ricorda un Giuseppe Villella fu Pietro condannato nel 1844 per aver rubato a un ricco possidente 5 ricotte, due forme di cacio e due pani.A dargli, post mortem, fama perenne ci pensò Lombroso. “Il Comune di Motta Santa Lucia da anni si batte perché il teschio del concittadino Villella Giuseppe possa essere restituito al paese natale per un riscatto morale della città perché il teschio del Villella non è il simbolo dell’inferiorità meridionale (…) e la sua esposizione viola il sentimento di pietà per i defunti”. Per il giudice Gustavo Danise del Tribunale di Lamezia Terme il comune d’origine del cittadino italiano Giuseppe Villella ha ragioni sacrosante. Tanto più che, rigettata da un secolo la teoria di Lombroso, mancano ragioni scientifiche che ne giustifichino possesso ed esposizione. M A G A Z I N E

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INTERPRETI DELLA CANZONE popolare

O’ VICo ‘E MAST’ERRICO

La pop band salernitana che spazia da Viviani agli Alunni del Sole Pina Iovane

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l gruppo, che prende il nome dal famoso sonetto in vernacolo di Raffaele Viviani, si propone la divulgazione e il sostegno della canzone napoletana, quale mezzo espressivo e creativo, di aggregazione e confronto, strumento del possibile recupero e della conservazione delle tradizioni campane, veicolo di conoscenza e mezzo per la salvaguardia di ogni identità culturale e sociale. Il progetto si inserisce in una sorta di percorso dell’animo, un progetto per il recupero e la valorizzazione della nostra storia personale e di quella patria, un viaggio tra storia, miti e leggende, con i loro simboli, le loro valenze, le loro contraddizioni, ma con un sentimento volto verso una nuova epoca, quella che stiamo vivendo, a cui dobbiamo assicurare i nostri ricordi e quelli di chi ci hanno preceduto, affinché quel mondo non si faccia nebuloso, evanescente, fino a scomparire.

Per la realizzazione di questo programma i brani in repertorio hanno come comune denominatore l’amore, quello vero, per la propria terra. Canzoni composte con sentimenti mutevoli: • di nostalgia e rimpianto: Nato ccà, Patria nosta e Salierno quann’è sera, • di ribellione : Son’‘a sulo; • di speranza: Sott’ a ‘stu cielo ‘e Napule, Che bella jurnata; • parodistici caricaturali: ’O Vico niro, Facimmo o’ blues e Statte buono. Per una più capillare diffusione del progetto, tutti questi brani, arrangiati con sonorità e ritmi molto diversi (dal rhythm and blues al country, dal jazz al dubstep, dal rock alla tarantella, ecc.), unitamente al brano Nonna nonna, omaggio al compianto Paolo Morelli degli “Alunni del Sole”, e a qualche brandello del sonetto in vernacolo O’ Vico ‘e Mast’Errico, di Raffaele Viviani (da cui il nome della pop-band), sono stati raccolti in un album (cd e usb card), con pieghevole esplicativo, dal titolo PATRIA NOSTA,

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Gli artisti che costituiscono la band sono: Giovanni Michelangelo Cirillo batteria, cajon e percussioni; Carmelo Coccaro voce, tastiere, mandolino e chitarra acustica; Pietro De Rosa voce parlata e basso; MariaGrazia Lancellotti e Tony Matarazzo voce; Antonio Bruno voce e chitarre, “il capo-orchestra”. due parole importanti in un’epoca caratterizzata, ahinoi, dalla desocializzazione, l’indifferenza, l’egoismo e il cinismo, due parole che hanno una grande valenza pedagogica, specie per le giovani generazioni. Il nome della band si richiama, come già detto, a un famoso sonetto in vernacolo uno dei componimenti più belli del grandissimo artista Raffaele Viviani, una composizione esilarante, un quadro d’autore variopinto, pieno di spunti di riflessione, un patrimonio che non deve restare nell’oblio, ma da trasmettere e consegnato alle nuove generazioni. Quest’opera è un tessuto di umanità, con un ordito e una trama particolarissimi, tipici e complessi, che sintetizzano tutto in loro stessi.

Nel vicolo si articola, una realtà antropologica estremamente variegata, che “naturalmente” è protagonista nel teatro della vita di tutti i giorni, oscillando tra la commedia e la tragedia. Attraverso la fusione di relazioni umane, emozioni e passioni, nel vico l’esistenza, portata ai massimi termini, trova la sua esaltazione, sia nel bene che nel male. Una dimensione assestante, sopra le righe e sopra ogni criterio di valutazione, come quella della cultura partenopea. È evidente che, un fenomeno umano così variegato e ricco non poteva non essere fonte di ispirazione per poeti e parolieri, ai nostri ha fornito la denominazione … M A G A Z I N E

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CALABRIA / leggende

Pentadattilo: la leggenda della mano di pietra Daniela La Cava

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ra tutte le vicende che il panorama letterario ci offre, le opere che maggiormente rimangono impresse nella mente dei lettori, narrano di amori contrastati come Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca, Tristano e Isotta e molti altri. Alcuni di questi personaggi sono realmente esistiti altri invece, sono il frutto del genio di grandi scrittori. Eppure, esistono storie in cui le vittime dei grandi amori ostacolati da famiglie rivali non sono i due amanti ma gli artefici stessi delle ostilità. In una leggenda storica intrisa di mistero, superstizione, condizioni umane e sociali difficili, ambientate al tramonto del sec. XVII, due giovani amanti appartenenti a famiglie rivali, furono causa di una strage la cui crudeltà riecheggia ancora oggi tra le dita di quella enorme mano di pietra che ha dato il nome al feudo: Pentedattilo, dal greco cinque dita. Già molto tempo prima che la tragedia si consumasse, un’antica leggenda predisse che la città sarebbe stata un giorno schiacciata da una mano. E così avvenne! Quella mano, l’unica parte visibile del gigante dormiente, disteso alle falde dell’Aspromonte con il volto rivolto verso la bellissima e inviolata costa che il Mar Ionio abbraccia, prima di congiungersi con il Mar Tirreno. Quella stessa che avrebbe un giorno schiacciato al suo interno tutta la città. Tra le casette diroccate che ascendono fino alla cima delle grandi dita, Pentedattilo troneggia nei colori mozzafiato che i raggi del sole irradiano nel cielo prima di sorgere o di tuffarsi nel blu del mar Ionio mentre si prepara ad avvolgere l’aria con il suo manto stellato. All’orizzonte questa mano troneggia, in ogni condizione atmosferica, sia con il cielo limpido, che come che tra le burrasche che a volte, inondano lo sfondo celeste di lampi e schiaffeggiano case e alberi con i folli venti che soffiano in quella terra posta tra i monti ed il mare.

In quelle notti senza luna, il mistero e l’arcano si insinuano nella mente dei pochi abitanti rimasti, mentre riecheggiano ovunque urla, pianti e lamenti come spettri che rivivono la violenza che subirono in vita. Ma... cosa accadde effettivamente? Ricorreva la Pasqua del 1686, quella notte all’interno del castello si consumò una tragedia familiare la cui genesi, secondo la narrazione popolare, risale ad un diniego di convolare a nozze. Lorenzo Alberti, signore di Pentedattilo nega l’accordo sancito dal defunto padre di concedere la mano della sorella Antonia al barone Bernardino Abenavoli, signore dell’adiacente feudo di Montebello. Ipotesi credibile, poiché a quel tempo ai sentimenti non veniva attribuito alcun valore, semplicemente i matrimoni erano considerati affari commerciali in cui in gioco non c’erano l’onore e la felicità dei figli, ma il prestigio del casato, l’accumulo di ricchezze e le simpatie dai pater familias verso i più graditi candidati. Ma la natura umana non può soffocare il desiderio crescente né il disonore subìto! Quando la fiamma dell’amore divampa, non esistono freni alla passione così come all’ira di fronte all’onta inflitta. Così quando il barone apprese la notizia che la donna che le era stata promessa in sposa, avrebbe dovuto sposare un altro pretendente, accecato dalla rabbia, ne meditò il rapimento. Nonostante i propositi pacifici e l’avvertimento di non nuocere a nessuno, il barone non comprese che, seppur affidabili, i mercenari non si accontentavano

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di un’irruzione ma si abbandonarono a scelleratezze prive di ogni limite. Fu così che, mentre Bernardino Abenavoli, promesso sposo, ritornava al suo castello portando tra le braccia la bellissima Antonia, gli uomini al seguito, che avrebbero solo dovuto trattenere i familiari per non ostacolare il sequestro della marchesa, non esitarono a massacrare tutti i presenti senza escludere donne e bambini. Quando il barone venne a conoscenza dell’esito del rapimento fu troppo tardi, niente poteva più essere salvato! Egli evitò di parlarne subito alla sua amata e si affrettò a sposarla appena fu giorno. Ma il sangue non genera amore, né viene corrisposto, e inutili furono le sue premure e attenzioni tra soggiorni clandestini e fughe interminabili. I due, si separarono poco tempo dopo. Antonia trascorse il resto dei suoi giorni chiusa in un convento mentre al barone non rimase altro che arruolarsi sotto falso nome per sfuggire alla cattura in qualità di unico responsabile di quella efferata strage. Così narra la leggenda, ma le fonti storiche lo confermano? Solamente in parte. La promessa di matrimonio del vecchio marchese, padre di Antonia, e il rifiuto da parte del fratello Lorenzo che succedette poco tempo dopo, risultano attendibili, ma non l’amore corrisposto! Alla luce di queste testimonianze è lecito supporre che lo sposalizio non rappresentava il

coronamento di un sogno d’amore, ma un astuto espediente, per appropriarsi del feudo di Pentedattilo; per concretizzare i desideri amorosi, invece era sufficiente ricorrere al classico “ratto della fanciulla”. Il rapimento di una giovane donna era da sempre considerato un metodo tradizionale ed efficiente, menzionato anche nei miti greci, per soddisfare un capriccio amoroso. Un rimedio intrigante e veloce ad una momentanea infatuazione? Questa ipotesi potrebbe trovare fondamento dall’immediato e documentato abbandono della ragazza in un convento: una rivincita, dal tragico epilogo, alle offese inflitte … chissà? Non dimentichiamo che la nobiltà non era rappresentata solo dal titolo, ma intorno ad essa ruotavano molteplici meccanismi di onori e privilegi, legati al nome del casato, al legame di parentela con la corona, al grado di nobiltà, le gesta degli antenati, ecc. Al di là di ogni spontanea congettura, e dopo un’attenta analisi dei documenti archivistici pervenuti, possiamo convalidare l’ipotesi di un disaccordo tra donna Antonia ed il padre dovuta al rifiuto categorico della ragazza alla proposta di un’unione con il barone di Montebello; testimonianze reali che, da sole, smentiscono clamorosamente l’autenticità della leggenda, ma questa è tutta un’altra storia…

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LIZZIE SIDDAL IL VOLTO DEI PRERAFFAELLITI Cinzia Bisogno

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robabilmente ai molti questo nome sarà sconosciuto, ma vi sarà capitato certamente di vedere il suo bellissimo volto in molti dipinti. Lunghi capelli color rame, volto delicato ed enigmatico al contempo, dipinti dal potere evocativo e misterioso, nella migliore tradizione della Confraternita dei Preraffaelliti, lei, Lizzie Siddal. Ho “conosciuto”, si fa per dire, Lizzie a 15 anni, quando su una bancarella in un mercatino, ho visto un libro che ha attirato la mia attenzione dalla copertina. Da sempre affascinata dal mondo dell’arte, mi colpì l’immagine che ritraeva un giovane bellissimo, anche se dall’aspetto distante e inquieto, per cui lo presi e cominciai a leggere la prefazione di quella che doveva essere una bellissima storia d’amore, consumata tra pittura e poesia, in una Londra grigia e fredda dell’epoca vittoriana.

Dante Gabriele Rossetti, l’ho letto avidamente, un testo che non ho mai prestato a nessuno, perché sono molto gelosa dei miei libri, ma di questo in particolare, perché ogni volta che ne ho voglia, ritrovo lei, Lizzie Siddal, e riconosco in essa la fragilità che accomuna tante donne, madri, figlie, amanti, sorelle, che resistono da sempre alle avversità della vita, e consentitemi, per un motivo o per un altro, credo ci sia un pò di Lizzie in ciascuna di noi. Nonostante la Siddal sia stata una delle più emblematiche figure del primo decennio dell’epoca dei Preraffaelliti e non sia stata mai apertamente femminista, o emancipata dal punto di vista sociale, appare subito evidente la resilienza di questa donna alle innumerevoli avversità della sua breve vita. Resterà per me sempre l’emblema della bellezza e del tormento, perché era bella Lizzie, molto bella, ma anche molto tormentata. Elizabeth Eleanor Siddal, conosciuta anche con il diminutivo Lizzie nacque a Londra nel luglio del 1829, è stata modella, poetessa e pittrice inglese. Da modista in una bottega a modella dei Preraffaelliti, incarnava perfettamente l’ideale di femminilità degli stessi, eppure per la sua esangue carnagione incorniciata da lunghi capelli rossi e definita dalla carnalità delle sue labbra, non era proprio la donna eterea che i pittori amavano idealizzare. Fu scoperta dall’artista britannico Walter Howell Deverell che la presentò ai Preraffaelliti, pittori appartenenti a una corrente nata in epoca vittoriana, che avevano come obiettivo quello di abolire i modelli in essere dell’arte vittoriana e più in generale, quella accademica che si rifaceva ai vecchi maestri, attraverso la sperimentazione di nuovi stili di vita e di relazioni personali, radicali quanto la loro arte. L’arte dei Preraffaelliti fu per certi versi affine alla corrente del Simbolismo e dell’Art Nouveau, e può essere definita la trasposizione pittorica del tardo Romanticismo e del Decadentismo. Fu loro musa ispiratrice per la sua notevole bellezza, e proprio posando per Dante Gabriele Rossetti,

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“E quando grosse lacrime cadranno,

(E cadranno, Dio sa che cadranno) Digli, madre, che sono morta per un grande amore Anche il mio cuore morente era felice. E madre cara, quando il sole tramonterà E il pallido prato della chiesa ondeggerà, Trascinami verso il velato crepuscolo E nascondimi tra i sepolcri. Da - At Last

uno dei maggiori esponenti dell’arte Preraffaellita, che fu anche suo maestro, che la Siddal se ne innamorò e lo sposò solo nel 1860, perché avversata dalla famiglia del pittore. La loro fu una relazione intensa, segnata dalla malinconia innata di lei e dal genio libertino di lui. Un amore Maudit, che vede la giovane Siddal, dalla bellezza efebica, dalla salute cagionevole, e prigioniera di un fragile e doloroso tormento interiore, al centro di un amore leggendario nella Londra del 1800. A quei tempi non era semplice lavorare come modella, spesso questo lavoro veniva associato a quello di prostituta, provocando non poca sofferenza alla Siddal, amplificando la ferita della sua malinconia. É noto che posando per l’Ophelia di John Everett Millais la Siddal fu costretta a posare immersa per ore in una vasca da bagno, per rendere quanto più realistica la sua interpretazione del personaggio shakespeariano. Dimostrò la sua resistenza anche quando, essendosi rotta una lampada preposta a riscaldare l’acqua, continuò a posare immersa in acqua fredda e fu colpita da bronchite che ne minò la sua già delicata salute. Di carattere insicuro e solitario, la sua salute precaria peggiorò ulteriormente per l’uso che ella faceva del laudano, sostanza stupefacente di uso medico che era usata anche come droga, dalla stessa Siddal utilizzata sia come rifugio per placare i dolori seguiti alla bronchite, ma anche per placare le sofferenze emotive di una vita travagliata e complessa. I continui tradimenti di Rossetti, che non era proprio un compagno fedele e la morte di suo padre peggiorarono la sua stabilità mentale. Ma fu nel 1861 quando diede alla luce una bambina morta e dalla depressione che ne seguì, che Lizzie non si riprese mai più.

Nel 1862, ormai rassegnata, scrive un biglietto a Rossetti e si suicida con una massiccia dose di laudano, biglietto distrutto dallo stesso Rossetti, per evitarle una sepoltura indegna in terra sconsacrata. Lizzie Siddal non fu solo modella, a sua volte fu pittrice. Rossetti, prima di diventarne marito, fu anche il suo maestro. La giovane Siddal amava dipingere fin da bambina, ma la sua passione fu sempre osteggiata dalla sua famiglia. Grazie a Rossetti che perfezionò la sua attitudine pittorica, espose nel 1857 per la prima volta al salone Preraffaellita alcuni disegni e un autoritratto. Lizzie fu poetessa, scrisse poesie che denunciano, seppur velatamente, (in quanto all’epoca alla donna non venivano riconosciuti tutti i diritti), le condizioni in cui versava la vita delle donne vittoriane, le quali avevano tanti problemi legati all’imposizione di ruoli e comportamenti sociali. Ha dato voce con forza a donne che erano prostitute, a donne sedotte e abbandonate, a donne abusate, con il fil rouge che le porta tutte al baratro dell’autodistruzione come direzione estrema di liberazione, un disincanto notevole, dettato anche dalla sua natura tendenzialmente depressiva. Quindici poesie intime e drammatiche, intrise di tormento e malinconia, di fragilità e paura, nelle quali descrive e allo stesso tempo esorcizza tutte le sue sofferenze, e in alcune di esse, sembra addirittura presagire la sua tragica sorte. M A G A Z I N E

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la foto del mese

La Pastiera 26

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Dolce Pasquale per eccellenza, quella napoletana deve avere 7 strisce M A G A Z I N E

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