

ed in Mag
Swedlinghaus Srl Magazine di informazione ad uscita Mensile
Responsabile Editoriale: Dafne Perticarini
Layout e Impaginazione: Massimiliano Mancini
Copyright: Swedlinghaus Srl
Riproduzione parziale o totale vietata
In questo Numero sono intervenuti: Redazione Swedlinghaus Davide Longo Pietro Catalano Eros Scarafoni Giacomo Longo Emanuela Panke
Swedlinghaus Srl
Via E. Berlinguer 5 63844 Grottazzolina (FM) ITALY
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Editoriale di Davide Longo
La Fiera dell’Anno
Intervista a Pietro Catalano, commerciale estero Come si affronta un mercato nuovo
Intervista a Eros Scarafoni di Fontegranne La crescita dell’artigiano grazie a ricerca e tecnologia
Resoconto dell’evento del 23 settembre
“Le 4 vite di un impasto”: una serata a porte aperte
Intervista a Giacomo Longo La nuova generazione cresce in azienda
Iter Vitis: domande a Emanuela Panke
L’itinerario della vite fa bene al vino e alle sue aziende
La Fiera dell’Anno
Editoriale di Davide Longo

Tra meno di un mese Milano sarà la capitale mondiale dell’ospitalità professionale: Host 2023 è la fiera di settore per cui noi di Swedlinghaus abbiamo un’attenzione particolare. Esponiamo in questa manifestazione dal 1991 e per noi è un riferimento nel panorama mondiale nell’ambito dell’accoglienza, l’hotelliere e il settore Ho.Re.Ca.
Quest’anno sono previsti più di duemila espositori, provenienti da tutto il mondo. Vista anche la pausa di quattro anni dall’ultima edizione senza le limitazioni causate dal COVID, gli argomenti che porteremo sono sostanziosi: il nostro obiettivo è anticipare le innovazioni del domani attraverso l’esposizione di nuovi prodotti, i cooking show di German Scalmazzi e la presentazione di nuovi sistemi di cottura.
Si può anticipare l’innovazione
del futuro solo partendo dalle direttive nate oggi: tra le principali ci sono la ristorazione veloce, la cucina fusion e l’evoluzione del pranzo settimanale ad assomigliare sempre più a un anglofono brunch piuttosto che a un tradizionale pranzo di stampo mediterraneo.
Tra gli espositori di Host, il 40% sono di provenienza internazionale e si stima che arriveranno migliaia di persone da tutto il mondo, partendo dai giovani mercati dell’est al consolidato ovest. Ci aspettiamo grandi cose, quindi, perché proprio questo appuntamento potrà darci la spinta per chiudere con rinnovato successo il 2023. Le aspettative sono alte, ci stiamo preparando al meglio e cercheremo di rappresentare il Made in Italy delle attrezzature professionali con la consapevolezza che tutto il mondo ci verrà a guardare,
cercando nei nostri stand la risposta alla domanda: “cosa ci riserva il futuro del food?”
Prevediamo di ricevere molti buyer, oltre ai normali visitatori che vorranno incontrarci; a oggi il numero di richieste è alto e anche dalla comunicazione quotidiana vediamo la grande voglia di tutti, di tornare a vivere e lavorare a pieno regime, vivendo questa fiera come segno della ritrovata normalità.
Ci auguriamo il meglio, per noi e per chi verrà a trovarci, sapendo che sarà un successo grazie all’impegno costante di tutta la nostra squadra, che vive questi eventi internazionali come un modo per confermare i risultati della sua costante passione per l’eccellenza.
ManagingCome si affronta un mercato nuovo
Intervista a Pietro Catalano, commerciale estero
La conoscenza di tante lingue è l’ultimo degli strumenti necessari per avere successo.
Il tuo profilo lavorativo
La mia carriera lavorativa nel settore delle macchine per la somministrazione di bevande e alimenti si è sviluppata come commerciale estero. Ho avuto anche degli incarichi come export manager con un’azienda che si occupa di pasticceria e gelateria, tra le più grandi del settore. Questa esperienza è durata più di dieci anni, come responsabile vendite esterne sono stato nel campo per circa trent’anni.
L’incontro con Swedlinghaus e Davide
Eravamo in una fiera del settore nel sudest asiatico, non ricordo di preciso il Paese. Avevamo gli stand uno di fronte l’altro; io avevo fatto la prenotazione per una certa dimensione dello stand con un certo allestimento, una volta arrivato ho trovato i pallet già posizionati, ma mancava quasi tutto l'allestimento. Chiamai la direzione e mi feci riportare tutto, ma intanto vedevo che dallo stand di fronte mi guardavano ridendo. Arrivato ciò che mancava, montai il mio stand; loro di Swedlinghaus mi
diedero una mano, poi, però, confessarono: “Te lo dobbiamo dire: la roba che mancava l’abbiamo presa noi.” Durante i giorni della fiera io e Davide iniziammo ad andare a cena insieme, facendo delle lunghe chiacchierate, e da quel momento è nata una bella amicizia, poi iniziammo a fare fiere insieme: allestivamo un solo stand con le mie aziende e i suoi macchinari, il che ci permetteva di avere spazi più grandi e belli. Questo è avvenuto più di venti anni fa. A un certo punto della mia carriera ho scelto di uscire dall’azienda in cui lavoravo come dipendente e mi sono messo a fare il libero professionista: avevo completato la mia crescita professionale lì e oltre non sarei potuto andare, così mi sono buttato in una nuova sfida lavorativa. Grazie a questo salto sono arrivato a toccare ogni anno quasi tutti i continenti, è stato un bel periodo, anche se molto intenso. I luoghi dove più riuscivamo ad avere successo con Swedlinghaus, con cui avevo iniziato a collaborare, erano il sudest asiatico e il Medio Oriente: abbiamo passato intere settimane nelle principali città
di queste aree per costruire e sviluppare la rete dell’azienda.
Oltre a questo, Davide mi chiese anche di occuparmi del mercato del Lazio e quindi per un periodo coprii anche il mercato nazionale legato a quella regione. Tranne quella parentesi, la nostra collaborazione si è sempre concentrata all’estero e ci siamo divertiti molto, intendendo con divertimento il lavoro che ci ha dato soddisfazioni, non divertimento con un’ampia accezione perché di sicuro non si viaggiava per fare i turisti.
Come è cambiata la tua figura con l’evoluzione del mercato internazionale?
La figura del commerciale estero è cambiata radicalmente: anni fa era quello che doveva solo ed esclusivamente vendere, di tutto il resto se ne occupavano altri uffici come quello marketing, comprese le relazioni con il cliente.
Poi, con la globalizzazione e l’avvento di Internet e della tecnologia diffusa, si è capito che c’era bisogno anche di strategie e il mio lavoro è cambiato.
Così la figura del commerciale richiesta dalle aziende è diventata più complessa: egli doveva essere in grado di trovare e sviluppare nuovi mercati, mettendo in atto strategie adeguate. Le strategie le studiavo in base alle esigenze del cliente: andavo sul posto e giravo per capire, relativamente al settore food, cosa mangiassero, quanto grandi fossero le porzioni, quali erano i prezzi al dettaglio e così via. Questa è la bella trasformazione che ha portato me e i miei colleghi a vivere un lavoro più emozionante. Le tendenze del mercato si evolvono sempre e tu devi stare al passo con tali cambiamenti, ma per fare questo bisogna toccare con mano. Nonostante la tecnologia ci permetta di fare molto lavoro a distanza, con una videochiamata ad esempio, solo di persona si possono rilevare le vere esigenze del cliente.
Come si fa il commerciale
Quando ti contatta il cliente, ti può dire al telefono qualsiasi cosa riguardo il suo assetto e tu devi andare a verificare. Per questo, oltre alle fiere, in base al tipo e alla grandezza del rapporto con il cliente, bisogna andarlo a trovare con cadenza periodica. Questo serve anche per dire “L’azienda c’è”. Quando andavo in un nuovo mercato, mi informavo innanzitutto degli usi e costumi del luogo e della popolazione perché alcune cose in certi luoghi le devi fare in un determinato modo: anche il biglietto da visita va saputo porgere perché nel sudest asiatico prenderlo dalla tasca e darlo all’interlocutore è visto come poco educato o troppo famigliare; il modo corretto è prenderlo con entrambe le mani per gli angoli superiori e porgerlo così all’altra persona.
Come si vende
Non ho mai tirato fuori subito il
catalogo perché il tuo interlocutore perde subito interesse: le macchine alimentari sono di base quelle, seppur con mille varianti, e non accendi l’interesse mostrando subito le tue. Ci sono state delle volte che ho chiuso contratti senza mai aver tirato fuori il catalogo, solo chiacchierando con il cliente e impiegando il nostro tempo a capire quali fossero i suoi bisogni: se io non conosco il suo vero bisogno, proporre senza criterio i miei prodotti lo farà sentire non compreso, così cercherà altrove la soluzione che gli manca. Se invece lo ascolto, lui mi dice cosa gli manca e da lì, cercando la soluzione per lui, posso entrare dentro la sua fiducia e iniziare un rapporto. A questo punto l’apertura del catalogo avviene perché il cliente ti chiede di mostrargli ciò che gli serve. La verità è che a quindici mila chilometri da qui, se il cliente che si trova dall’altra parte di questa distanza non ha fiducia dell’azienda, non acquista: non è il fornitore sotto casa che può andare a trovare quando vuole. L’assenza fisica dell’azienda deve essere sopperita dalla fiducia reciproca e dalla serietà, come fa Swedlinghaus che invia i pezzi richiesti in tempi record, proprio perché sa che il cliente, soprattutto se molto lontano, conta su quello ed è quello a farlo stare tranquillo.
Il cliente quindi compra te? No, non è così: tu commerciale sei lì a nome dell’azienda, vendi l’azienda, sei l’azienda, non riguarda te stesso, tu non esisti, metti in risalto le doti dell’azienda. Quando diventi simpatico al cliente è l’azienda che lo diventa perché tu sei il volto dell’azienda per cui lavori; non è un ruolo egocentrico, tutt’altro. In altre parole, tramite la simpatia che il cliente ha per te, sviluppa empatia e fiducia verso
l’azienda che ti ha mandato da lui.
Alla luce di tutto ciò, qual è la cosa più bella del tuo lavoro?
È aver avuto l’opportunità di conoscere centinaia di culture differenti, che hanno fatto sì che la mia mente diventasse aperta di fronte a qualsiasi situazione. Ci sono anche i lati negativi e di sacrifici ne ho fatti tanti per costruire la mia carriera: in primis il fatto che ho tre figli che sono cresciuti vedendomi poco perché a volte partivo e tornavo anche dopo venti giorni, visto che i clienti erano lontani e si univano spesso le visite a più clienti, in nazioni diverse, per ottimizzare tempi e costi di permanenza.
Quale caratteristica deve avere senza dubbio un commerciale estero?
Non la conoscenza di tante lingue, quello è l’ultimo degli strumenti necessari. Oggi molti ragazzi sembrano credere sia quello l’elemento essenziale, mentre sarebbe così se dovessero andare a fare i traduttori, invece per fare i commerciali bisogna conoscere gli standard di questa professione, nozioni che si imparano con l’esperienza e senza i quali non si può avere successo.
Belmonte Piceno è il paese in cui sorge l’azienda Fontegranne di Eros Scarafoni, artigiano caseario che ha saputo creare prodotti eccellenti grazie alla ricerca e al desiderio di crescere. L’azienda di famiglia con lui si è aperta allo sviluppo di nuovi prodotti caseari d’eccellenza, oltre a vantare una produzione di olio, confetture, sottoli e salumi selezionata. Traendo ispirazione dalla tradizione contadina e utilizzando la sapiente evoluzione dei grandi chef, l’azienda artigianale ha saputo coniugare i migliori aspetti dell’enogastronomia italiana per segnare la sua strada.
Come inizia la ricerca
La ricerca ha rappresentato il primo passo nella mia avventura imprenditoriale: seguendo le tracce di quelli che io chiamo i caci persi, ho prima trovato le loro tracce e poi mi sono spinto a creare altri formaggi. Comunque, la ricerca continua, così come la creazione di nuovi prodotti. La necessità di cercare è legata sicuramente alla scarsità di prodotti nel territorio marchigiano, da qui il desiderio di crearne di nuovi.
Il rapporto con la ristorazione
Se la domanda fosse stata “Preferisci come cliente il mondo della ristorazione o quello della gastronomia?”
la mia risposta a occhi chiusi sarebbe “la ristorazione”. Affermo questo
La crescita dell’artigiano grazie a ricerca
e
tecnologia
Intervista a Eros Scarafoni di Fontegranne
buon prodotto si fa anche con la tecnologia, non solo con la fantasia.
perché lavorare con un cuoco ti pone di fronte a una sfida: egli accoglie il tuo prodotto e ti accetta perché gli è piaciuto ciò che offri, ma inoltre ti dà la possibilità di crescere perché il suo giudizio, se lo fai tuo, è come se ti ponesse davanti una scelta, che tu puoi accettare o rifiutare ma se l’accetti, ti permette di evolvere nella ricerca e nella produzione.
La nascita di un nuovo prodotto caseario
Tutti i prodotti caseari partono innanzitutto da uno spunto tecnologico: il latte si può lavorare in centinaia di maniere e difatti in Italia abbiamo 500 tipologie di formaggi. Il latte è sempre lo stesso, che sia vaccino od ovino: quello che cambia sono le tecnologie, cioè le temperature, l’acidificazione, le rotture, la stagionatura. Sono tutti particolari che, a seconda di come sono scelti, segnano la differenza tra un formaggio e l’altro. Difatti si parla di tecniche di lavorazione, che una volta scelte, segnano la strada del nuovo prodotto. Oppure ci si pone prima la domanda “Cosa voglio fare?”: che sia un formaggio a pasta molle o a pasta dura, anche questo tipo di scelta indica la direzione per lo sviluppo di un nuovo prodotto caseario. Dopo, naturalmente, interviene la fantasia, compresa quella usata per la scelta dei nomi,
che devono essere evocativi, visto che poi dobbiamo vendere e quindi comunicare al cliente i nostri prodotti nel modo più allettante.
Cosa aiuta un’azienda artigiana a crescere Quando ho iniziato, la mia amicizia con l’enologo e Cavaliere Alberto Mazzoni mi ha segnato, la cui opera nelle Marche è stata importante. Gli chiesi all’epoca: “Quali sono gli elementi che fanno avere successo a un prodotto e a un produttore?” Lui mi elencò questi tre aspetti: la qualità intesa come un prodotto che deve essere buono, il prezzo che deve essere giusto sia per chi lo produce sia per chi lo compra e il servizio perché il cliente lo devi sempre assistere. Questo vuol dire che se nel mese di agosto lungo la costa mi chiedono una consegna straordinaria, gliela devo fare, così come accade a Natale.
Quella sua indicazione mi rimase impressa e la seguii, poi è chiaro che c’è dell’altro: la possibilità di attingere a finanziamenti pubblici per avere un’azienda meccanicamente e tecnologicamente adeguata aiuta. Un buon prodotto si fa anche con la tecnologia, non solo con la fantasia e quindi sono tutti aspetti a cui dare il giusto peso nello sviluppo di un’azienda artigiana di successo.


Le Quattro Vite di un Impasto
una serata a porte aperte
Resoconto dell’evento del 23 settembre

Sabato 23 settembre, Swedlinghaus ha aperto di nuove le porte della sua sede di Grottazzolina per condividere con clienti e appassionati le novità del mondo pizza, grazie alla magistrale presenza dello chef Alessandro Negrini. Il tema della serata era chiaro dal titolo scelto: “Le 4 vite di un impasto”, un percorso che durante la serata ha mostrato e fatto assaggiare ai presenti la duttilità di un impasto per pizza altamente idratato, preparato con la farina del Molino Pasini, partner della serata.
Il palco della Swedlinghaus, come è ormai consuetudine del suo format, è stato messo al servizio di aziende e realtà del territorio interessanti e meritevoli, ognuna delle quali ha contribuito alla riuscita della serata, dal birrificio agricolo Jester di Petritoli, che ha offerto la degustazione di birre in abbinamento al menù, alla cooperativa sociale il Talento di Morrovalle, le cui verdure, pesti e passata di pomodoro sono stati i protagonisti dei topping delle pizze realizzate per gli ospiti. A questa realtà è stato devoluto l’incasso della serata ed eventuali successive libere offerte dei partecipanti. Seduti ai tavoli e serviti dai giovani ragazzi dell’Istituto Alberghiero IISS
Carlo Urbani, Sez. E. Tarantelli, di Sant’Elpidio a Mare, gli ospiti sono stati intrattenuti dalla musica dal vivo del duo composto da Daniele Cococcioni e Annalisa Marcucci e dalla speaker di Radio Fermo 1, Silvia Remoli, che ha gestito il palco per l’intero evento, intervistando i protagonisti e conversando con il pubblico.
In cucina Alma Delia, foodblogger di successo e media partner dell’azienda, ha affiancato il maestro Negrini nella preparazione delle quattro proposte: pizza fritta, pinsa romana, pizza tonda e infine un pane, semplice e appena sfornato, servito con l’olio EVO della cooperativa. La torta realizzata dal maestro pasticcere Marco Bolognari, con impresso sopra il logo della SwedlinFactory, una delizia vegana di cioccolato e pistacchio, ha chiuso la cena informale.
Come già è chiaro da queste prime righe, dietro questa e le altre iniziative
analoghe della Swedlinghaus c’è il desiderio di fare rete, condividendo traguardi e supporto vicendevole. Nasce perciò l’idea di creare un palco, un momento d’incontro all’interno dell’azienda, tra luogo di produzione e scuola di cucina, per dare modo a chi vive nel territorio e ai clienti anche più lontani di toccare con mano quello che l’azienda ogni giorno fa: innovazione, comunicazione e sviluppo. Farlo stando in compagnia è il modo migliore, quello che crea conversazioni che diventano collaborazioni e stimoli di crescita.
La serata si apre con la pizza fritta, prima servita come “pasta cresciuta” e poi condita in due versioni, mortadella e pistacchio e pomodoro con formaggio, entrambe abbinate alla birra Solina, fatta con orzo e una parte di grano antico del tipo Solina appunto.

Al microfono parla il sindaco di Grottazzolina, Alberto Antognozzi, che dà il via alla serata, poi la parola passa allo chef Negrini, che illustra il percorso della degustazione mentre gli invitati vengo-
no serviti. La presentatrice Silvia intervista Erri Morlacca, fondatore del birrificio Jester, che racconta di come sia tornato alla terra per scelta e del suo desiderio di valorizzare soprattutto le risorse del territorio, come la mela rosa dei Sibillini, presidio Slow Food, utilizzata per fare il sidro. Mentre gli ospiti mangiano, è la volta della cooperativa Il Talento di farsi conoscere: lo fa nella persona del presidente, Gabriele Astolfi, e poi tramite i ragazzi, che hanno allestito all’ingresso dell’azienda un punto vendita con i loro prodotti e che si raccontano, rispondendo alle domande della giornalista e mostrando tutta la loro positiva energia. Nell'attesa iniziale molti hanno comprato i prodotti della cooperativa e durante la serata c’è chi si alza per sgranchirsi, andando a fare nuovi acquisti. Intanto la musica si alterna alla voce della speaker, l'atmosfera è conviviale, con il grande schermo iconico, elemento distintivo delle serate Swedlinghaus, che mostra ciò che accade in cucina a chi è fuori.
Girano tra i tavoli impiegati dell’azienda, clienti, fotografi, impegnati in tante piccole conversazioni tra cui si insinuano silenziosi i giovanissimi ragazzi dell’istituto alberghiero: questi hanno 15, 16 anni e sono orchestrati dal cordiale insegnante Pierpaolo Piermarini, già intervistato nel precedente numero del nostro magazine. Il professore spiega al microfono che i suoi ragazzi stanno frequentando il secondo anno, appena iniziato.
“Non sono ancora bravi” afferma con sincerità “stanno imparando, hanno scelto un lavoro che si svolge mentre gli altri loro coetanei si divertono e quindi sono da apprezzare per l’impegno mostrato.” Tutti applaudono perché il servizio è davvero impeccabile, intanto dalla cucina esce una nuova portata.
È il momento della pinsa: aperta dal maestro Negrini e subito farcita, è servita con stracciatella preparata dallo chef, abbinata con prosciutto e mortadella.
Jester presenta la seconda birra servita, poi Alma Delia parla con Silvia del suo ruolo in cucina e delle collaborazioni avute con l’azienda, spiegando le sue origini, di donna
cresciuta in una famiglia di ristoratori e con tanti anni di esperienza alle spalle, che solo in tempi recenti si è dedicata alla comunicazione sui social network, riscontrando un meritato successo.
Dopo la pizza fritta e la pinsa, è il momento della pizza tonda, che Negrini specifica non doversi chiamare napoletana perché la pizza è per definizione napoletana. La sua versione chiamata "sottobosco" ha vinto i campionati mondiali, ci viene detto, e tutti i presenti sono d’accordo col parere dei giudizi.
È invitato a parlare al microfono Davide Longo, che presenta la Factory e i corsi che qui si tengono tutto l’anno. Silvia gli chiede curiosità riguardo i mercati esteri e le tante fiere presenziate dall’azienda, così ci viene spiegato come ogni paese abbia i suoi prodotti di punta, ad esempio gli Stati Uniti si sono appassionati alla macchina per fare la pasta e all’affettatrice Volano, forse per il suo aspetto retrò unito all’alta tecnologia made in Italy. La cena volge al termine, arriva il pane caldo ai cereali, altra birra nei bicchieri e la musica prende il posto

delle chiacchiere per regalare qualche minuto di pausa. Infine, è di nuovo Alessandro Negrini a prendere la parola: incalzato dalla speaker, egli ci spiega la ricetta perfetta per la pizza da fare a casa, che tutti possono replicare con successo. Ci sono alcune domande dal pubblico e così ci si avvia alla conclusione, con chiacchiere tra i tavoli in attesa della torta servita con la birra Catuai, una Stout al caffè la cui varietà dà il nome alla birra, che termina la degustazione a marchio Jester.
Dopo ancora altra musica, gli ospiti sono salutati a uno a uno e se ne vanno con le braccia cariche dei pacchetti de Il Talento. Arrivederci al prossimo evento a porte aperte firmato Swedlinghaus, un modo efficace di confrontarci e mettere alla prova le doti comunicative dell’azienda, usate come strumento di supporto anche per le tante realtà che accettano di affiancarci in quest’avventura imprenditoriale raccontata ogni mese su Swed in Mag.
La nuova generazione cresce in azienda
Intervista a Giacomo Longo
Da poco entrata in azienda, la nuova generazione della dirigenza Swedlinghaus racconta la sua giovane esperienza, tra le prime fiere all’estero e la voglia di sviluppare la comunicazione dell’azienda.
Dalla comunicazione al commerciale estero, stai conoscendo diversi ambiti dell’azienda. Che percorso hai fatto da quando sei entrato?
È da qualche mese che sono in azienda, almeno in ufficio. In realtà sono partito dal piano di sotto, in produzione, facendo esperienza verso la fine delle scuole superiori: d’estate lavoravo lì e imparavo a fare le
affettatrici. Dopo ho partecipato a qualche fiera, per iniziare a vedere da vicino quell’aspetto dell’azienda. Dal 2023 sono entrato ufficialmente in ufficio, dopo aver partecipato a qualche riunione, e sono stato assunto.
Adesso faccio il jolly, soprattutto nel reparto commerciale: quando i ragazzi hanno più lavoro, io li aiuto confermando gli ordini, rispondendo ai clienti, per quello che posso anche in inglese e spagnolo, visto che ho studiato lingue. Cerco anche nuovi clienti, sia dall’ufficio sia quando siamo in fiera. In altre parole, sto imparando e mi affiancano diverse figure dell’azienda in
questa fase di formazione interna.
Sei da poco tornato dalla fiera in Cambogia, a Phnom Penh
Siamo stati alla fiera, io e il commerciale estero Giacomo Trapé, e poi a fare una visita in Thailandia da clienti, per un totale di una settimana di viaggio. Era la prima volta che visitavo quei luoghi e soprattutto era la prima volta che viaggiavo da solo, insieme al commerciale.
La mia paura nasceva all’idea d’interagire con le persone che avremmo incontrato, soprattutto mi sono chiesto come comportarmi davanti a eventuali domande tecniche perché non mi sento ancora adeguatamente
formato. In realtà il mio ruolo è stato di ascoltatore, oltre che accompagnatore, e mentre Giacomo parlava io prendevo appunti per capire come affrontare certe richieste e quindi abbiamo fatto un classico affiancamento. Ho partecipato a quello che in inglese si chiama small talk, le chiacchiere per conversare in generale, e anche in questo ho dovuto mettere un certo impegno perché l’inglese parlato nei paesi asiatici non è quello canonico e comunque ci sono modi e usi diversi, a cui non sono abituato, per cui è meglio stare concentrati. I nostri clienti asiatici erano curiosi di capire chi io fossi, un volto nuovo rispetto al solito, e la mia è stata una vera introduzione in un mondo nuovo.
La fiera vera e propria come è andata?
Siamo stati un giorno e mezzo circa, una “toccata e fuga” perché eravamo nello stand del nostro distributore e quindi, pur rappresentando noi l’azienda con più macchinari esposti, c’era una squadra nutrita che si occupava di tutto, noi eravamo lì per offrire consulenza tecnica. Questo distributore è il nostro cliente forse più grande e il suo stand era rivolto al mercato della Cambogia e del Vietnam. Noi abbiamo offerto la nostra assistenza perché loro, pur essendo preparati, non conoscono tutti i prodotti e quindi avere noi era un punto di forza per chi chiedeva informazioni. Lo stesso distributore ci ha chiesto di organizzare in futuro una formazione presso di lui, proprio perché è importante per loro poter rispon-
dere a ogni richiesta e problema tecnico, una cosa che la Swedlinghaus fa già, anche con corsi periodici in azienda per il mercato italiano.
Che impressione ti ha fatto la fiera, per la tua esperienza sinora?
Per essersi svolta a Phnom Penh, che fa più di due milioni di abitanti, mi è parsa molto piccola, però concentrata perché il nostro distributore ha detto che ha venduto molto. Secondo me, proprio perché l’esposizione è stata ridotta, con pochi stand, e i visitatori tanti, è per questo che le vendite sono andate bene. Tale dimensione ridotta presuppongo sia dovuta al fatto che per loro l’anno della riapertura post COVID è stato il 2023, a differenza di noi, che abbiamo rilanciato la nostra economia già dall’anno scorso.
La cosa bella è stata anche girare per la fiera e vedere il loro mondo del food, che è totalmente diverso dal nostro, con prodotti mai visti in Italia: un’esperienza bella, colorata, con tutta la cultura asiatica davanti agli occhi.
Quindi ti piace il ruolo di commerciale estero?
Mi piace ma ho capito che è difficile perché con le persone devi avere tanta pazienza, nel senso di avere la sensibilità per capire come comportarti e non è facile in un Paese diverso e con una cultura tanto diversa dalla nostra. Non ti puoi comportare con i clienti in modo standard, anche se parliamo dello stesso tipo di prodotti: uno magari proviene
dal sud America e si pone in modo molto rilassato, senza creare pressione, l’asiatico invece fa subito tante richieste, vuole capire, cerca indicazioni e tu devi saperti approcciare nel modo giusto con entrambi. Lo stesso discorso, naturalmente, vale in Europa e sapersi comportare non è facile, ci vuole tanta esperienza che va al di là della conoscenza delle macchine che vendiamo.
Tu hai una specializzazione in comunicazione degli eventi e quindi ti chiedo, in collegamento ai tuoi studi, quali parti dell’azienda vorresti in futuro sviluppare e come, se ci hai già pensato? SwedlinFactory ha tanto potenziale, ne parlo con mio padre a volte, e vorrei sfruttarlo meglio in futuro. Si potrebbero fare tante cose legate a quella parte dell’azienda, tanto da farla diventare nel tempo un ramo importante, quasi a sé, che produce eventi, corsi online con personalità di spicco del settore food, oltre alla possibilità di avere una formazione attestata con noi, obiettivo che stiamo raggiungendo grazie al recente accreditamento. Per ora sono solo idee, ma su cui l’azienda sta già investendo e lavorando.
Il nostro impegno nella comunicazione del vino aiuterà anche i Paesi produttori in sede di Comunità Europea.
L’itinerario della vite fa bene al vino e alle sue aziende
Iter Vitis: domande a Emanuela Panke

Iter Vitis: ruolo e obiettivi Iter Vitis è un itinerario culturale del Consiglio d’Europa. Il programma degli itinerari culturali del Consiglio d’Europa è nato con Il cammino di Santiago de Compostela, circa 40 anni fa. Oggi il programma annovera circa 50 itinerari certificati, Iter Vitis è stato certificato nel 2009 e fondato nel 2007. Il Consiglio d’Europa certifica gli itinerari in base a una serie di rigidi criteri: possono essere delle strade lineari – generalmente si tratta di cammini religiosi come la via Francigena – o possono essere delle reti tematiche che rappresentano degli argomenti che sono stati fonda-
mentali per lo sviluppo dell’identità europea. Questi sono legati a un personaggio (la strada di Napoleone), a un movimento artistico (l’itinerario degli impressionisti), all’archeologia (la rotta dei Fenici).
Quando nel 2007 abbiamo candidato l’itinerario della vite (non del vino) volevamo fosse riconosciuto il patrimonio legato alla viticoltura e al relativo savoir faire, al paesaggio, all’ampelografia; è stato un po’ difficile farlo accettare perché il vino era visto soprattutto come prodotto commerciale. Dimostrando che la viticoltura ha un forte legame con l’identità europea, dato dalla storia,
dal paesaggio e dal metodo di produzione, alla fine siamo stati riconosciuti e abbiamo strutturato una rete con altri Paesi, che hanno una tradizione e un patrimonio culturale legati alla vite. Oggi ne rappresentiamo 23. I Paesi nella rete di Iter Vitis sono sia membri del Consiglio d’Europa, che conta molti più Paesi di quelli che fanno parte dell’Unione Europea (46 in tutto), sia a esso esterni: il nostro network va dal Portogallo alla Tunisia, da Israele all’Armenia, l’itinerario della vite supera i confini e i limiti politici diventando un mezzo efficace per un dialogo interculturale.
Iter Vitis non è una strada del vino, non ci limitiamo a sviluppare dei prodotti turistici: la nostra ambizione è quella di creare una mappatura culturale di siti archeologici, paesaggistici e museali in cui trovare testimonianze dell’evoluzione della cultura della vite in Europa.
Le nuove candidature
Gli Stati si uniscono a noi grazie a candidature istituzionali: per lo più interagiamo con i Ministeri, a seconda del Paese abbiamo l’adesione di Ministeri dell’agricoltura, della cultura o del turismo. Poi in alcuni territori anche musei, Comuni e Università decidono di aderire per portare avanti progetti specifici. La nostra è una
Federazione e in alcuni Paesi abbiamo anche delle associazioni nazionali, che gestiscono autonomamente le attività.
Il progetto del vino in anfora

Dal nostro itinerario principale si sviluppano degli itinerari tematici, che possono essere legati a un vitigno, come la Malvasia, o a una tecnica di produzione, come è nel caso dei vini kasher o del vino in anfora. Il Portogallo, per esempio, nel Comune di Vidigueira, ha una storica produzione di vino in anfora e da loro è partita l’idea di unire tutte le località con questa tradizione. Vidiguiera si è connessa con l’isola del Giglio, in Toscana, e poi con la Georgia, che è il Paese emblematico
per questo tipo di produzione. Uno dei valori aggiunti del nostro itinerario è quello di dare anche a piccole realtà, come i comuni rurali, una finestra sul mondo per trovare dei legami grazie a cui costruire progetti comuni, che diversamente non troverebbero. Questa è la forza della rete.
Nelle Marche
Per ora non abbiamo attività progettuali nelle Marche; siamo partiti recentemente con l’attuazione dell’accordo quadro con l’associazione dei Borghi più Belli d’Italia, grazie al quale sono stati inclusi alcuni Comuni, come Moresco, Morro d’Alba e San Ginesio. Contiamo per il 2024 di avere un progetto sulle Marche come quelli già in atto in Sicilia e in Toscana.
Le aziende private Anche le aziende private trovano delle opportunità di integrazione con noi: non posso aderire come membri perché solitamente lavoriamo con enti pubblici, ma esse sono comunque coinvolte nelle attività di promozione e valorizzazione dei singoli territori. Il nostro impegno nella comunicazione del vino come prodotto culturale aiuterà anche i Paesi produttori in sede di Comunità Europea, in primis nella legislazione sull’etichettatura: il vino non è solo un prodotto commerciale, come altri alcolici, ma un prodotto culturale che rappresenta l’identità europea e come tale va difeso.

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