SWEDinMAG 09/2025

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Fare impresa oltre i confini in tempi di incertezze geo-politiche

Fare impresa oltre i confini in tempi di incertezze geo-politiche

Coltivare i rapporti commerciali con paesi in conflitto

Coltivare i rapporti commerciali con paesi in conflitto

Barbara Settembri:

Barbara Settembri: chef, mamma, imprenditrice

chef, mamma, imprenditrice

Conosciamo da vicino la titolare della Locanda dei Màtteri

Conosciamo da vicino la titolare della Locanda dei Màtteri

Swedlinghaus in Sardegna

Swedlinghaus in Sardegna

Intervista a Franco Lapìa

Intervista a Franco Lapìa

Deviango: il vino bianco che nasce… rosso!

Deviango: il vino bianco che nasce… rosso!

A tu per tu con Matteo Lupi

A tu per tu con Matteo Lupi

SOMMARIO

FARE IMPRESA OLTRE I CONFINI IN TEMPI pag. 04 DI INCERTEZZE GEO-POLITICHE

Coltivare i rapporti commerciali con paesi in conflitto: analisi, ascolto, dialogo e proposte

BARBARA SETTEMBRI: pag. 07 CHEF, MAMMA, IMPRENDITRICE

Grintosa, determinata e con una profonda anima sociale: conosciamo da vicino la titolare della Locanda dei Màtteri

SWEDLINGHAUS NELLE CUCINE PROFESSIONALI pag. 10 E NELLE IMBARCAZIONI DI LUSSO IN SARDEGNA

Intervista a Franco Lapìa, nostro rappresentante commerciale e appassionato navigatore sulla sua ‘Vanitosa’

DEVIANGO: IL VINO BIANCO CHE NASCE… ROSSO! pag. 12

A tu per tu con Matteo Lupi, l’enologo che ha trasformato il Sangiovese in una sorprendente eccellenza marchigiana

EDITORIALE

Fare impresa oltre i confini in tempi di incertezze geo-politiche

Coltivare i rapporti commerciali con paesi in conflitto: analisi, ascolto, dialogo e proposte

Il panorama internazionale attuale è caratterizzato da una crescente frammentazione dell’ordine mondiale, da un aumento di conflitti armati e tensioni e da un’instabilità economica dovuta a sfide come la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente e l’ascesa del protezionismo. Questa crisi sta influenzando notevolmente il commercio globale, le catene di approvvigionamento e l’inflazione. Davide Longo condivide la sua esperienza professionale, illustrando come si reagisce in questo contesto.

Con quanti e quali Paesi, in conflitto o confinanti con aree di guerra, la Swedlinghaus intrattiene da anni rapporti commerciali attivi?

Attualmente intratteniamo rapporti commerciali con diversi Paesi che presentano criticità legate a conflitti, sia diretti che indiretti: Iran, Libia, Russia, Israele, Libano e Afghanistan. Con Israele e Libano collaboriamo da molti anni e con prospettive positive. In Russia, nel 2023, abbiamo avviato una collaborazione significativa con un cliente che gestisce in modo ampio il nostro marchio, occupandosi sia della distribuzione che della promozione. Considerando l’attuale attenzione mediatica su Israele, preciso che continuiamo a lavorare con città come Haifa, Tel Aviv e Betlemme, nonostante gli eventi recenti. Ovviamente,

l’andamento commerciale può variare in base all’evolversi della situazione politica. In Libia siamo ben posizionati, in particolare a Tripoli, che rappresenta il nostro hub per la distribuzione locale. In Iran, invece, abbiamo un contatto diretto e consolidato con un cliente che incontriamo regolarmente in fiera e che spesso ci fa visita in Italia.

Si è registrata una diminuzione o uno spostamento della domanda da parte dei Paesi coinvolti in guerre o tensioni politiche?

Il commercio si comporta come un’onda, risentendo inevitabilmente delle tensioni politiche e internazionali. Le dinamiche di domanda si adattano di conseguenza. Per questo credo che l’imprenditore che commercia con l’estero debba interessarsi alla geopolitica internazionale e guardare sempre oltre il proprio ‘orticello’ per poter assestare il tiro in caso di repentini capovolgimenti di situazioni.

Ci sono stati episodi specifici in cui i conflitti hanno interrotto forniture, logistica o pagamenti?

Fortunatamente, non abbiamo mai subito interruzioni dirette legate ai conflitti. Le difficoltà maggiori riguardano i tempi di accredito dei pagamenti: non tanto l’effettiva ricezione, data l’affidabilità dei nostri clienti, quanto i rallentamenti nei trasferimenti verso le banche italiane.

Quali strategie avete adottato per gestire l’instabilità nei Paesi in guerra o ad alto rischio?

In contesti particolarmente delicati a livello politico, spesso i clienti chiedono sconti più elevati perché, in una logica prudenziale cercano di tutelarsi e di risparmiare. Noi, di tutta risposta, siamo predisposti a comprendere i timori e ad agevolare, specie se percepiamo un reale interesse verso il nostro marchio e se questo continua a essere riconosciuto come leader nel mercato locale.

Relativamente agli aspetti economici e finanziari: come sono cambiati i costi logistici e assicurativi per esportare in aree a rischio?

I costi logistici dipendono soprattutto dall’andamento del prezzo del petrolio, che continua a rappresentare un indicatore estremamente influente. Negli ultimi anni, abbiamo riscontrato maggiori difficoltà nell’area asiatica, a causa del blocco nello Yemen e nel Golfo: le spedizioni aeree, soprattutto per volumi importanti, risultano molto costose. Tuttavia, sembra che la situazione delle spedizioni marittime stia lentamente migliorando.

Davide e Giacomo Longo durante un viaggio di lavoro.

In che modo i conflitti hanno inciso sulle politiche per l’export anche negli altri paesi non coinvolti?

L’incertezza sui flussi è una costante nel nostro settore, quindi ne consegue che anche in mercati limitrofi possa calare la domanda ma, se il cliente resta solido e strutturato, sappiamo che prima o poi si verificherà un recupero. Negli ultimi due anni, inoltre, abbiamo esportato anche in Paesi complessi come Senegal, Nigeria, Costa d’Avorio e Cambogia, dove, nonostante le difficoltà strutturali e operative, le collaborazioni si sono rivelate proficue.

Il cambio valutario, l’inflazione o le sanzioni hanno avuto un impatto sulle transazioni commerciali?

In modo forse inaspettato, non abbiamo riscontrato particolari problemi con la Russia. I nostri partner gestiscono lo stoccaggio tramite magazzini in Lituania e Serbia, da cui poi distribuiscono la merce a Mosca, San Pietroburgo e successivamente ad altre aree.

Riguardo a collaborazioni e diplomazia commerciale: avete avuto contatti con istituzioni italiane o internazionali per supportare l’export in zone complesse? Avete creato reti tra aziende del settore per affrontare insieme certe criticità? Lo Stato italiano vi ha fornito supporto, agevolazioni o forme di tutela?

Purtroppo, il supporto istituzionale è pressoché assente. Le aziende, come la nostra, devono trovare soluzioni in autonomia. Abbiamo presentato diversi progetti alla Regione Marche, come quello relativo alla complessa situazione negli USA durante l’amministrazione Trump, ma non abbiamo riscontrato né attenzione né ascolto. Per questo ci affidiamo a consulenti privati e società di analisi, che ci forniscono dati specifici per il nostro settore, in base ai quali elaboriamo strategie commerciali. Uno degli effetti più immediati dei conflitti è la riduzione degli spostamenti da parte dei buyers, a causa di reali rischi per la sicurezza e, talvolta, della chiusura degli aeroporti anche per lunghi periodi, rendendo impossibili gli incontri di persona.

Qual è il ruolo delle fiere internazionali in tempi di crisi geopolitiche?

Ritengo che il contatto diretto e le visite personali – il modello B2B –siano ancora più incisivi delle fiere e restino il metodo più efficace per mantenere saldi i rapporti di fiducia. Inoltre, fare rete con altre aziende, anche provenienti da regioni diverse come Emilia-Romagna o Campania, ci permette di lavorare in sinergia, commercializzando prodotti in modo integrato e costruendo strutture più robuste, capaci di rispondere meglio alle esigenze del mercato, anche in situazioni complesse.

Davide Longo in Messico

Barbara Settembri: chef, mamma, imprenditrice

Grintosa, determinata e con una profonda anima sociale: conosciamo da vicino la titolare della Locanda dei Màtteri di Silvia Remoli

Dentro un elegante palazzo storico del centro di Sant’Elpidio a Mare, la Locanda dei Matteri è molto più di un ristorante. È il regno di Barbara Settembri, classe 1984, nata a Osimo e cresciuta a Civitanova Marche, dove oggi vive con il marito e la figlia Evelyn, adottata nel 2024 dopo un lungo e toccante percorso internazionale. Chef, imprenditrice e donna dal forte senso civico, Barbara non si limita a cucinare piatti eccellenti a base di carne e pesce, ma si mette in gioco ogni giorno con iniziative per il sociale e collaborazioni con istituzioni locali.

Mi concede un’intervista schietta e brillante e ne approfitto subito, iniziando la nostra chiacchierata così:

Chef, favorisca il documento, o meglio, la carta di identità gastronomica!

Nome: Barbara Settembri

Nata: il 24 marzo 1984 a Osimo (AN)

Residente a: Civitanova Marche

Professione: Chef e titolare della Locanda dei Matteri, Sant’Elpidio a Mare, specialità locali di carne e pesce.

Formazione: Scuola alberghiera a Loreto, specializzazione all’Alma nel 2003

Esperienze: stagioni lavorative in Nord Italia, tra Trentino e Veneto, gavetta in pasticceria, 5 anni in Brasile (San Paolo) a rappresentare le Marche al festival internazionale della cucina regionale nel mondo, ecc.

Com’è nato il tuo rapporto con la cucina?

La passione me l’ha trasmessa mia nonna Clara, a Civitanova. La guardavo mentre preparava la panzanella marchigiana e mi lasciava pasticciare. La cucina è sempre stata per me tempo, pazienza, condivisione. Mi sono innamorata della cucina con piatti semplici e autentici. Non cucinerei mai qualcosa in cui non credo o che mi sembra costruito solo per stupire.

Se fossi un ingrediente, quale saresti?

La maggiorana. È un profumo dell’infanzia, delle merende dai nonni e delle domeniche d’estate. Forse è anche per questo che tutte le erbe aromatiche che uso provengono direttamente dal giardino del mio ristorante: sanno di casa e mettono anima in ogni piatto.

Caos creativo o ordine maniacale?

Ordine assoluto. Il mio team lo sa: in cucina ci devono essere rispetto, chiarezza e pulizia mentale. Ecco, mi vien da pensare che, se mantenessi dentro casa lo stesso ordine che ho tra i pensili e le credenze del ristorante, sarei davvero soddisfatta di me, ma purtroppo non è così… (sorride).

Com’è il rapporto con i collaboratori?

Ho 3 collaboratori fissi e diversi ragazzi a chiamata. Mi piace creare un clima sereno, ma con delle regole chiare. Ogni singolo ruolo è fondamentale: prima di mettermi definitivamente ai fornelli ho anche lavorato come cameriera, e ancora oggi amo uscire in sala ad ascoltare i clienti.

Barbara, sei molto attiva anche nel sociale. Ci racconti?

Mi metto spesso in gioco cercando di trasmettere la mia passione per la cucina a tante persone con disabilità e alle fasce più fragili. Collaboro con la Regione Marche, anche tramite una scuola a Servigliano, e tengo corsi di formazione presso centri di accoglienza e di recupero. La cucina è un potente strumento di inclusione.

La tua maternità è una storia che commuove… Sì, ho adottato Evelyn, una bambina peruviana di 5 anni, l’estate scorsa. Dopo 64 giorni passati con lei a Cuzco, siamo rientrate in Italia a metà settembre. La burocrazia è stata dura, ma ci ho creduto fino in fondo. È stata la cosa più difficile e più bella della mia vita.

Evelyn ama la cucina?

La adora ed è una buongustaia.

Appena entra nel ristorante corre in cucina e mi dice: “Mamma, tu sei un capo: posso fare come te?”. È una forza della natura. Ed ora è anche la mia forza.

Hai viaggiato molto per lavoro. Quanto ti ha ispirata e cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Tanto. Ho portato la cucina marchigiana nel mondo: Brasile, Canada, Ungheria, Perù. A San Paolo ho rappresentato l’Italia al Festival della Cucina Regionale Italiana per 5 anni. Ogni luogo mi ha insegnato qualcosa: un ingrediente, un profumo, un colore, un ritmo.

E per finire, concedici un aneddoto legato alla tua attività

Ho avuto diversi personaggi nel mio locale, molti dei quali sono artisti. Tra questi ricordo il regista Pupi Avati, che aveva un’irrefrenabile voglia di pesce, in particolare di canocchie al vapore e ricordo bene che pur di accontentarlo mi scapicollai per realizzarle visto che non era un periodo facile per reperirle. E dai complimenti che mi fece, direi che ne valse proprio la pena!

Swedlinghaus nelle cucine professionali e nelle imbarcazioni di lusso in Sardegna

Intervista a Franco Lapìa, nostro rappresentante commerciale e appassionato navigatore sulla sua ‘Vanitosa’

di Silvia Remoli

Il nostro interlocutore ci accoglie con una voce squillante, dall’inconfondibile accento scandito, tipico dell’isola avvolta da tre mari (Mar Mediterraneo, Mar Tirreno e Mare di Sardegna), mèta estiva di tanti fortunati turisti da tutto il mondo.

In questo contesto da sogno, nei suggestivi locali della movida sarda, potrete scorgere molti prodotti firmati Swedlinghaus, grazie al lavoro del nostro esperto rappresentante di zona.

Franco Lapìa, nato a Nuoro, oggi il volto e la voce di Swedlinghaus in Sardegna. Ma partiamo dall’inizio: com’è cominciato tutto?

In realtà ho iniziato come tecnico centrale alla Telecom. Un bel lavoro, ci sono rimasto otto anni. Poi ho deciso di cambiare vita e sono passato al settore commerciale: prima nella refrigerazione per la GDO, poi mi sono avvicinato all’intero mondo Ho.Re.Ca. È lì che ho capito quanto sia importante saper consigliare con competenza. Oggi lavoro con rivenditori in tutta la Sardegna, aiutandoli a scegliere le soluzioni migliori in base ai gusti e alle esigenze della loro clientela.

La Sardegna è enorme, la gestisci tutta tu?

Solo Sardegna, ma tutta: dal nord al sud, isole comprese! La Maddalena, Sant’Antioco, Costa

Smeralda… conosco ogni angolo. È la mia terra, ne vado fiero e forse ne sono anche un po’ geloso in senso affettivo. Ed è un territorio meraviglioso ma anche esigente: ogni zona ha le sue particolarità e bisogna saperle interpretare.

Parlaci del tuo amore per la Sardegna

Impossibile non amare questi luoghi. Io sono fortunato, vivo a Cala Gonone, un piccolo paradiso incastonato nel Golfo di Orosei. Ho anche una barchetta da pesca, dal nome ‘Vanitosa’, mia fidata compagna di avventure. Vanitosa è perfetta per esplorare il golfo, che offre scorci fantastici, e per raggiungere le calette più nascoste come Cala Luna, Cala Mariolu e la Grotta del Bue Marino.

Immagino che te ne allontani solo per le ferie…

Sì esatto, che spalmo durante l’anno perché in estate resto qui, chi me lo fa fare ad andare via! Ma quando devo ‘staccare’ scelgo un panorama del tutto diverso: mi piace l’arco alpino, le Dolomiti… amo camminare e stare all’aria aperta. E se posso, di tanto in tanto, non mi faccio mancare una capatina a Roma, per una mostra o un tour tra i resti dell’antichità.

Da quanti anni sei con Swedlinghaus?

Sono circa 12 anni. Ho conosciuto l’azienda alla fiera

Host di Milano. Da subito si è creato un bel rapporto, fatto di collaborazione e fiducia reciproca. Lavoro a stretto contatto con Davide Longo e Leonello Virgili: due professionisti sempre disponibili. C’è trasparenza, supporto, e l’obiettivo comune di far conoscere la qualità dei nostri prodotti. Loro credono in quello che producono, tenendo a cuore la formazione continua e sempre aggiornata dei loro referenti di zona. Ci tengo a precisarlo perché con due titolari del genere non è difficile vendere le attrezzature per cucine professionali, che infatti arredano sia locali (bar, pizzerie, forni, negozi alimentari, ecc.), sia barche di lusso e grandi yacht: questi ultimi notoriamente si prestano sia al divertimento sia a incontri di affari, pertanto si presta particolare attenzione alla convivialità e alla buona tavola. Quindi, molto probabilmente, ormeggiata a Porto Cervo, c’è ora una barca che ospita un prodotto a marchio Swedlinghaus nell’arredamento di uno scintillante american bar o in un’impeccabile ‘galley’ a vista sul ponte principale.

Hai detto che conosci bene anche il mondo del food. Da te, a proposito si mangia bene! Puoi dirlo forte! Non dico mai di no a un buon piatto di ravioli al formaggio, il porceddu arrosto, il pane frattau, i culurgiones…

Beh magari, nel tuo prossimo viaggio sulla terraferma, puoi passare di qua e portarci qualche tipica bontà…

Nelle Marche vengo spesso e volentieri, per due motivi: ovviamente perché, amando il mio lavoro frequento corsi di aggiornamento in azienda, ma poi anche perché ho potuto instaurare nel tempo tanti piacevoli rapporti di amicizia.

Deviango: il vino bianco che nasce… rosso!

A tu per tu con Matteo Lupi, l’enologo che ha trasformato il Sangiovese in una sorprendente eccellenza marchigiana di Silvia Remoli

Nel mese di settembre non potevamo non celebrare la raccolta dell’uva e la vendemmia: abbiamo quindi deciso di puntare i riflettori su uno dei vini che provengono dalle nostre dolci colline. E, tra le tante varietà che il territorio offre, ne abbiamo scelto uno davvero particolare, che, per le sue caratteristiche uniche, poteva prodursi solo qui e che, proprio per questo, ha preso il nome dal nostro dialetto.

Un vino bianco da uva rossa? Molti potrebbero storcere il naso. Ma quando dietro c’è una visione autentica, un’enologia consapevole e un legame profondo con la terra, nascono progetti unici come Deviango. Abbiamo incontrato Matteo Lupi, l’enologo visionario che ha trasformato una tradizione familiare in un gesto d’innovazione.

Matteo, partiamo da te: chi sei e come nasce il tuo legame con il vino?

Sono nato a Montelparo, nelle Marche, e il vino per me non è mai stato solo un prodotto: è parte della mia infanzia. Ricordo le vendemmie in famiglia, quando da bambini correvamo tra

i filari, il pranzo tutti insieme, i racconti degli adulti… Oggi molto è cambiato, tutto è più meccanico e veloce, ma quella magia è rimasta dentro di me. Mi sono laureato in viticoltura ed enologia a Udine, sono stato il primo marchigiano a farlo, nel cuore del Triveneto: un territorio d’eccellenza in questo settore. Lì ho capito che volevo specializzarmi nella vinificazione in bianco e nella spumantizzazione, due mondi che mi affascinano profondamente.

Hai girato tanto, ma sei tornato alle origini… Sì. Ho fatto esperienze in Toscana, vicino Firenze, e anche in America, in Canada, a Vancouver. Ho lavorato per una grande azienda internazionale come consulente vinicolo, ma sentivo che mi mancava qualcosa. Il mio territorio, i suoi ritmi, i suoi odori, la lingua, il dialetto, l’autenticità. E così sono tornato per dare valore a ciò che avevo sempre avuto sotto gli occhi.

E da lì nasce Deviango? Esatto. È nato da un’intuizione: valorizzare il nostro Sangiovese delle alte colline del Fermano, un’uva con caratteristiche molto particolari. Cresce a 500 metri di altitudine, ha grappoli grandi con doppia fila di acini, e mantiene un’acidità sorprendente anche a maturazione. È un Sangiovese che non ha nulla a che vedere con quelli più noti delle altre zone italiane. Un giorno, pensando alla mia passione per le bollicine, mi è venuto in mente il metodo Blanc de Noirs, usato in Champagne per ottenere vini bianchi da uve nere. Mi sono chiesto: e se lo facessimo anche noi, con il nostro Sangiovese?

Una sfida non da poco… Come hai convinto gli altri?

Con la forza dell’idea e… tanta passione! Quattro aziende viticole del territorio –Di Ruscio, Geminiani, Vitali e Vittorini –hanno creduto in me e hanno accettato di sperimentare. Senza di loro Deviango non sarebbe mai nato. Sono stati coraggiosi: si sono messi in gioco come pionieri, offrendo le loro uve migliori per un progetto mai tentato prima.

Ma com’è possibile ottenere un vino bianco da uva rossa?

È tutta chimica… naturale al cento per cento! È questa la meraviglia. Quando l’uva viene pigiata, si libera un enzima che ossida gli antociani, i pigmenti responsabili del colore rosso. È un meccanismo naturale di difesa del seme. Gli antociani si comportano come delle guardie del mosto – il “castello interno” – ma se si interviene subito con ossigeno, gli antociani precipitano e il mosto resta chiaro.

Usiamo una tecnica chiamata iperossigenazione, che sfrutta questo processo in modo pulito, senza artifici. È come un decolorante naturale del vino: si applica ossigeno in modo controllato e si lascia che la natura faccia il suo corso.

Descrivici Deviango: che vino è?

È un bianco fermo dal colore giallo paglierino tendente all’ocra, con riflessi caldi. Al naso ha note di fragola e nocciola, un rimando chiaro alla sua origine rossa, ma al palato è elegante, con buona acidità, struttura e corpo. Non tradisce le sue radici, anzi le sublima. Ha un tenore alcolico medio di 12-13 gradi, è molto versatile negli abbinamenti e, soprattutto, ha un potenziale di affinamento altissimo: dopo otto anni è ancora integro, stabile, non si altera facilmente, anzi evolve con finezza.

Il nome è curioso: da dove viene “Deviango”?

Viene dal nostro dialetto marchigiano: “de viango” significa appunto “di bianco”. È un omaggio alle nostre radici e un gioco di parole: è un vino rosso che ha scelto di vestirsi di bianco. Semplice, diretto, autentico. Come noi.

Quando avete iniziato il progetto?

L’idea è nata nel 2016, ma ci sono voluti anni per mettere a punto il procedimento, testare la tecnica, acquistare la strumentazione giusta. Solo nel 2019 siamo partiti con la prima vinificazione ufficiale. Ci tenevamo a fare le cose per bene, senza improvvisare. E oggi siamo fieri del risultato.

Dove vuoi portare Deviango?

Il mio sogno è che questo vino possa diventare ambasciatore del nostro territorio, e far capire che anche le Marche, spesso poco valorizzate, hanno tanto da dire. Non vogliamo solo vendere bottiglie: vogliamo raccontare una storia, far sentire il profumo delle colline, la lentezza del tempo, la verità del nostro dialetto.

In un mondo che corre, vogliamo ricordare che le cose preziose non si monetizzano. Si vivono.

Ogni sorso di Deviango racconta questa verità.

Un Sangiovese fuori dagli schemi, un bianco autentico, un’idea diventata vino.

Swedlinghaus Srl

info@swedlinghaus.it www.swedlinghaus.com

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