SOCIETÀ D I STUDI STORICI P E R I L MONTEFELTRO collana
di
studi
e
testi
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STUDI MONTEFELTRANI
M I L A N O
-
D O T T .
A.
GIUFFRÈ
E D I T O R E
-
1971
premessa
Risulta ben evidente che in molteplici settori della vita umana vi sono state più intense trasformazioni nell'ultimo secolo che nei venti precedenti. Mai, comunque, come in questi ultimi tempi, l'uomo ha avuto in mano gli strumenti per operare coscientemente, o per provocare incoscientemente, profonde e rapide modificazioni sia nell'ambiente fisico che negli stessi rapporti della vita di relazione. In questo quadro, tuttavia, al recente progresso tecnico, economico e sociale, non si è accompagnato un corrispondente processo di elevazione civile e culturale, per cui si corre il rischio che questa generazione, e le successive, senza rendersene nemmeno conto, annullino o pregiudichino secoli di storia e di civiltà, proprio in nome del progresso. Questo pericolo è maggiormente incombente in una terra, come la nostra, ricca di memorie storiche, ma ancora poco studiate e conosciute: si tratta di un patrimonio che va salvato, per noi e per le future generazioni. Per questi motivi di base, dall'iniziativa di un nucleo di studiosi e dall'adesione spontanea di enti e cittadini del Montefeltro, nel corso del 1970 è nata la SOCIETÀ D I STUDI STORICI PER MONTEFELTRO.
Giustamente, da parte di alcuni, sono state sollecitate opportune chiarificazioni circa gli scopi proposti, l'estensione territoriale, la strutturazione organica, amministrativa e finanziaria della Società. Alcuni di questi interrogativi possono trovare direttamente nello Statuto le relative risposte. Da parte di altri si è rilevata l'improprietà della denominazione assunta, in quanto, sotto il profilo strettamente giuridico, non si tratta di una società vera e propria, bensì di una associazione di diritto privato a indirizzo culturale e senza
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STUDI
MONTEFELTRANI
scopo di lucro. La ragione di tale adozione terminologica, comunque, trova il suo fondamento nella derivazione storica del vocabolo « società », e nell'uso di esso ormai quasi generalizzato da parte di simili, più antiche e celebri consociazioni. Anche la nostra, quindi, va intesa come « societas », cioè come libera manifestazione di pensiero e di volontà da parte di più persone, rivolta al perseguimento di fini prestabiliti, a prescindere dall'accezione comune che il termine ha assunto attualmente in campo economico. Questi fini, come precisato dall'art. 2 dello Statuto, sono orientati verso molteplici indirizzi, ì quali hanno come comun denominatore il patrimonio culturale di un territorio che presenta una certa omogeneità etnico-geografìca, storico-politica, socio-culturale: cioè il Montefeltro. Naturalmente i confini geografici stabiliti nell'art. 3, hanno solamente un valore orientativo, costituendo i lati perimetrali dell'antica diocesi di Montefeltro. In effetti, con riferimento alla inequivocabile derivazione storica del nome della diocesi da quello della « civitas » (Mons Feretri), di Montefeltro si può parlare solo puntualizzando la estensione della circoscrizione ecclesiastica, tuttora perdurante e pia o meno elastica nel corso delle vicende storiche. Questo è, infatti, l'unico punto sicuro per poter determinare l'antica regione feretrana: la diocesi ha preceduto di vari secoli il comitato, che fu sempre di estensione ben pia limitata, a causa della inclusione di vari territori sotto la giurisdizione civile della Massa Trabaria. D'altra parte, i conti di Montefeltro, nel corso dei secoli, non hanno mai avuto piena giurisdizione su tutto il Montefeltro. Autonomi ed indipendenti da essi, e non di rado in lotta contro gli stessi, erano i conti di Carpegna, i nobili della Faggiola, i signori Malatesta, i conti di Piagnano e le varie famiglie consortili sparse. La stessa capitale del Montefeltro, la città che ha dato il nome alla regione feretrana e il predicato
PREMESSA
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agli stessi conti — 5. Leo — è stata molto spesso fuori del loro dominio, almeno fino al secolo XV. In questo contesto è necessario dissipare vecchie e nuove distorsioni di prospettiva storica, non per suscitare anacronistiche polemiche, bensì per amore di verità storica. Impropriamente ed indebitamente, da parte della prevalente comune opinione, ed anche ad opera di eminenti studiosi, Urbino viene considerata la capitale del Montefeltro, mentre nella realtà Urbino è situata fuori del territorio feretrano. Solo verso il 1226 i conti di Montefeltro ottennero anche il titolo di conti di Urbino, e vi si trasferirono, conservando, ben distinti dai nuovi, l'antico titolo e gli originari possedimenti. Nel 1443 ottennero il titolo ducale col predicato di Urbino, ma di Montefeltro rimasero unicamente conti: in tal modo ebbero sempre a qualificarsi, e ad essere qualificati, in tutti gli atti pubblici e privati. Il fatto che anche studiosi di chiara fama, a questo proposito, non abbiano idee chiare sul Montefeltro, ci fornisce una ulteriore conferma della necessità e della validità culturale della nostra istituzione. Le nostre prospettive, per quanto modeste siano le nostre intenzioni ed il nostro campo d'indagine, vengono rivolte all'approfondimento di argomenti e questioni particolari del Montefeltro, con l'unico fine di poter offrire un contributo alla ricerca storica. Che altre pubblicazioni affini, già benemerite ed illustri, quali gli Studi Romagnoli e gli Studi Urbinati, includano questa zona nell'area marginale dei singoli interessi d'indagine, non esclude il fatto che il Montefeltro stesso raccolga un proprio gruppo di studiosi, locali e non locali, i quali, con maggiore specificità d'intenti, si dedichino alle ricerche storiche circostanziate sul territorio feltresco. Alla maggior parte degli studiosi romagnoli e urbinati, il Montefeltro interessa di riflesso, con riferimento alla famiglia comitale omonima. Questa ha avuto, anche recentemente, vaste ed approfondite trattazioni storiche. Di converso, pertanto.
STUDI
MONTEFELTRANI
agli S T U D I MONTEFELTRANI spetta il compito di indagare, anche e soprattutto, sulle altre famiglie signorili, sulle comunità locali, sui personaggi sconosciuti, sulla vita ecclesiastica minore. In questo nostro sforzo, confidiamo di trovare la più larga comprensione e adesione nei cittadini più sensibili alle patrie memorie. Confidiamo di suscitare in altri studiosi locali, specie fra i giovani, l'amore per la ricerca storica su eventi e personaggi della nostra terra. L'impegno, la collaborazione e lo spirito di dedizione di tutti per una causa nobile e disinteressata, potrà garantire l'auspicato perseguimento di quei fini, per i quali la società si è costituita. È compito dei giovani raccogliere questa eredità, potenziarla e trasmetterla ai loro discendenti, affinchè questa nostra pagina dì cultura e di testimonianza di civiltà non venga a mancare. Confidiamo, in modo del tutto particolare, nella sensibilità degli amministratori dei comuni e degli altri enti del Montefeltro: data la natura scientifica delle pubblicazioni, non potranno aspettarsi immediati e diretti vantaggi turistici dagli Studi Montefeltrani. Tuttavia, questi potranno sempre rappresentare la base e costituire il punto di riferimento anche per quei pubblicisti che avranno l'incarico di valorizzare le singole località, tramite la divulgazione popolare delle più genuine e caratteristiche memorie storiche o dei più singolari monumenti artistici di ciascun comune.
I N D I C E
Premessa
PIER
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ANTONIO
tica CittÃ
FRANCESCO
GUERRIERI
DALLA
Del luogo e
CASTELLACCIA,
dell'an-
di Pittino
V.
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LOMBARDI,
Ricerche
su
Castrum
Glocii:
ipotesi
ed
indizi
LUIGI
23
TONINI,
FRANCESCO
V.
Valori
LOMBARDI,
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CECINI,
architettonici
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BUSCA,
GIUSEPPE
LUIGI
XII
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33
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su due torrioni
sconosciuti
attribuibili
a
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Martini
Premesse
Sasso
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e documenti
inediti per la storia della
for-
Simone
Giovanni
TOMBINI,
DONATI,
sec.
dei Faggiolani
.
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Ipotesi
POTITO,
del
L'origine
di S. Leo
inedito
Cesco di Giorgio
AMEDEO
del duomo
di Montefeltro
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Biografia di G. B. Marini, storico del Montefeltro
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Regesti
Francesco
79 Sormani
di pergamene
inedite
Vescovo
del
Montefeltro
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PIER
ANTONIO
DALLA
GUERRIERI
CASTELLACCIA
del luogo e delVantica città di pittino
Nell'iniziare il primo numero di questa Collana di studi e testi, non si poteva mancare di rendere omaggio al più antico fra gli scrittori che hanno pubblicato memorie storiche sul Montefeltro, vale a dire Pier Antonio Guerrieri dalla Castellaccia di Carpegna, a trecento anni dalla sua morte. Nato il 23 luglio 1604, come risulta dal lì libro dei battesimi della Pieve, fu sacerdote all'Abbazia del Mutino dall'anno 1624 al 1635, come egli stesso annota nel III capitolo del terzo volume della sua opera. Nominato parroco di S. Maria Valcava, vi restò oltre 33 anni (cfr, cap. VII). Era ancor vivo nel 1668, ma il 6 giugno dell'anno seguente, nella stessa parrocchia, vi era già un altro Rettore. (Cfr. Liber Baptizatorum della Pieve di Macerata F., ad annum). Nel 1667 pubblicò, a Urbino da editore anonimo, la prima parte dell'opera « D E L L A CARPEGNA A B B E L L I T A E D E L M O N T E F E L T R O I L L U S T R A T O » . La seconda parte fu stampata a Rimini, dal Simbeni, nel 1668. Dallo stesso editore era stata stampata, nel 1667, la quarta parte, « Genealogia di Casa Carpegna ». // terzo volume, quello che più particolarmente riguarda il Montefeltro, fu raccolto nel primo tomo dei « Rerum Feretranarum Scriptores » dello Zucchi-Travagli, conservati nell'Archivio Comunale di Pennabilli. I primi tre capitoli furono pubblicati da Filippo Manduchi (Rocca S. Casciano 1924); i rimanenti sei capi sono tuttora inediti: è intenzione nostra promuoverne, quanto prima, la pubblicazione. II Guerrieri, a tre secoli dalla sua morte, merita un tal riconoscimento. E che la sua opera contenga, pur con gli inevitabili limiti intrinseci, apprezzabili valori storici e storiogra-
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PIER
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GUERRIERI
DALLA
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fici per il Montefeltro, è dimostrato dal seguente estratto su Pitinum Pisaurense, tratto dal capitolo VII, inedito. Nonostante le ovvie lacune ed imprecisioni, preferiamo trascrivere questo saggio senza note, rinviando il dovuto commento alla futura edizione completa della parte non pubblicata. Questo stesso estratto, d'altra parte, riveste un carattere di estrema attualità. Infatti, nell'ottobre 1970, la Soprintendenza alle Antichità per le Marche autorizzò alcuni limitati lavori di scavo nell'area archeologica di Pitinum. Risulterà ben evidente che ciò che è stato rinvenuto ora, era già stato trovato oltre tre secoli fa e il Guerrieri, da buon cronista, descrive analiticamente i reperti. Se non fosse per lo stile, tipicamente secentesco, potrebbero sembrare le annotazioni di un testimone oculare degli scavi eseguiti ai giorni nostri. Questo quadro, tuttavia, conforta la nostra opinione, orientata a promuovere ulteriori scavi, tramite più organiche ricerche e con studi maggiormente approfonditi, condotti con quel metodo e con quel rigore scientifico che non si poteva pretendere da uno studioso dell'epoca del Guerrieri. E non lo si creda un lavoro inutile: i reperti archeologici di Pitinum Pisaurense possono rappresentare le basi per una graduale soluzione dei molti problemi — scaturiti, dibattuti e non chiariti — intorno alla vita ed alla civiltà delle popolazioni del Montefeltro e di tutta la Regione Flaminia, in epoca romana e preromana. Sotto S. Arduino, seguitando il corso del Lapsa si trova una spiaggia, che si chiama il Piano di Pittino, al quale venne un tal nome dall'antichissima Città di Pittino, che trovavasi fondata ai piedi di essa Valle. Cominciava questa parte dal piano di Trebbiano, di contro al piano di Pittino e il centro di essa ove è ora l'antica Pieve di Macerata. Seguitava poi sino alla Collina di Persena intorno alle rive del Lapsa, entro ai quali confini si sono sco-
D E L LUOGO E DELL'ANTICA CITTÀ D i PITTINO
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perte in più tempi molte anticaglie che di mano in mano verrò raccontando. E perchè questa è una delle più notabili memorie del Montefeltro, così ci tratteremo alcun poco a considerarle. Ed io che nell'esordio di questa Regione, ho promesso di tesservene le lodi, non verrò meno alla parola, ma fornito di fatti e di notizie raccolte con esattissima diligenza, mi accingerò all'opera. Ma innanzi tutto voglio dire come gran raccoglitore di queste sia il più volte mentovato Cimarelli, diligentissimo Scrittore, i l quale riportando i nomi delle sette Città dell'Umbria Senonia, che furono distrutte dai Goti e poi con altre sorti riedificate, rammenta la Città di Pittino e la sua distruzione e come dalle sue macerie, come fenice dal rogo, sorgesse a novella vita, Macerata. Vedi CimarelH, Parte I , lib. 1°. L a autenticità del citato Autore sarebbe sufficiente a provare la certezza della storia relativa alla Città di Pittino, ma siccome alcuni vollero dargli nota di essere su questo soggetto alquanto parziale, così io ho preso con ogni diligenza e fedeltà ad esplorare più addentro queste antichità ed ho dovuto convincermi che il Cimarelli ne scrisse con fondamento, nè altro è da ripetersi della sua narrazione se non che egli pose Pittino al Monte Persena, quando per la tradizione e per gli scavi fatti e cose rinvenute, doveva situarlo d'intorno al luogo della Pieve di Macerata. Vero è che anche il Persena non manca di antichità. Ond'io per avere a rintracciare le più sicure testimonianze di antichi Scrittori deliberai di consultare la celebratissima libreria d'Urbania, ove vidi coi miei occhi proprii la famosa memoria lasciatavi dall'ultimo Duca d'Urbino, per cui n'ebbi il mio pieno intento, riportandone estesi e notabifi estratti, dei quafi mi son avvalso in questo ed altri gravi propositi della presente operetta. E tanto più mi fu grato di averla veduta e consultata, inquanto che essa Libreria è stata trasportata a Roma d'ordine di Papa Alessandro V I I , l'anno 1658. CoU'au-
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CASTELLACCIA
torità dunque di quegli antichissimi ed autorevoli Libri andrò tessendo l'Istoria dell'Antico Pittino. Claudio Tolomeo nelle narrazioni geografiche al lib. 8°, nominando le undici Città antiche dell'Umbria, per la prima pone Pittino. E d alla stessa tavola della stessa Geografìa, nella figura d'Europa, alla Regione Italia, si veggono in profilo accoppiate due Città marittime e due mediterranee. Le marittime sono Rimini e Pesaro, le mediterranee Cesena e Pittino. E tanta distanza si misura in essa Tavola da Rimini a Pesaro, quanta da Cesena a Pittino o poco piìi per dritta linea. E perchè Tolomeo fiorì ai tempi di Antonino Pio, decimo sesto imperatore, che regnò dall'anno 140 al 163 dell'era volgare, epoca in cui Pittino era ancora in piedi, perciò lo scrittore ne fece ricordo e la pose al grado 43"^ con Cesena, Rimini e Pesaro, Città ugualmente antiche e dei tempi della Romana Repubblica. Gio. Ant. Maggini, nelle sue correzioni a Tolomeo, pone Umbriae Pittinum. Filippo Cluerio, autore di molta fama, che scrisse intomo alle antichità italiche, e di cui le opere tutte intere in cinque volumi in foglio stampate nel 1624, si veggono nella citata L i breria d'Urbania, nel primo volume intitolato — Italia Antiqua — lib. 2 trattando dell'Umbria Senonia e venendo a Pittino, manifesta la sua opinione che la Città di Pittino nell'Umbria fosse nel luogo stesso ove ora è Macerata Feltria, dandole per piìi nobile vicinanza il Tiferno, cioè S. Angelo in Vado, detto Tifernum Metaurense. Non ignorando esso Scrittore, che altri Autori fanno menzione di altri Pittini oltre a questo nostro, così egli e di questo e di quelli, così la discorre: — Pittinum oppidum fuit qua sane situm id nunquam fuit quippe quod aliud fuerit eodem nomine oppidum in Vestinis circa Vomanum amnem. Ad ejus discrimine hoc Umbriae Pittinum cognominatum fuit Pittinum Pisaurense. — Indi il Cluerio riportò l'iscrizione antica, la
DEL
LUOGO
E
DELL'ANTICA
CITTÀ
DI
PITTINO
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quale oggi trovasi posta sotto le Loggie del Palazzo dì Pesaro ed è così espressa: Abejenae C. F . = Balbinae Flaminicae ~ Pisauri et Arimini — Patronae Municipi — Pitinatium Pisaurensium = Huic anno Quinque nat. = Petini Apri = Mariti ejus = Plebs urbana Pisaurentium = Ob merita = eorum cui = Imp. . . . = Jus commune liberorum = Concessit. = L.D.D.D. = Il Cluerio nella sua narrazione mi scioglie un dubbio, ingeneratomi da alcune persone amanti delle patrie istorie, le quali sostengono che i l Pittino fosse presso alFAppemimo del Borgo, ovvero a Mercatello. I l Cluerio riconoscendo due Pittini, uno nei Picenti, che sono gli Abruzzesi d'oggi, presso il Vomano, coll'autenticità di Plinio che dice: — in agro Pitìnate trans Aperminum apud flumen Vomanum — e l'altro, nel luogo ove è Macerata, chiarisce affatto la questione e non lascia alcun dubbio. Alessandro Ferrarlo, nel suo Lexicon Geographicum, pone un terzo Pittino. Tornando al Cluerio, assegna i l nostro Pittino Pisaurense presso al Tiferno Metaurense, che è S. Angelo in Vado, non intende però che fosse d'intorno alle sue Alpi, nè in luogo dell'Appennino del Borgo di Città di Castello, ma si bene spiega che fosse dove è oggi Macerata, colle seguenti parole : —• Ego vero XII milL passum numero quae habet Tabula Inter Pittinum et Thifernum, sive Thifernum calligo fuisse Umbriae Pittinum eo situ ubi nunc conspicitur celebre Oppidum Maceratae. Certe hodie hoc tractus triangulari complura tria haec Oppida sunt omnia praecipua, Ariminum, Pisaurum et Macerata. Qua ratione commodo ac ritu praedicta Abiena Balbina simulque Flaminica Arim. et Pisaur. simulque Patrona Maceratae sive Pittini fuise patet. — E per doppia testimonianza, lo stesso Cluerio nella figura ortografica inserita nel secondo volume delle sue Opere, inti-
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GUERRIERI
DALLA
CASTELLACCIA
tolato — Corografia — rappresentando in essa parte della Provincia dell'Umbria Senonia chiarisce al vivo il suo pensiero, ponendone sott'occhio la prospettiva. Dapoichè a nostro proposito egli figura distintamente a' suoi luoghi e i due Fiumi distinguendoli, Isaurum Amnis et Crustumium Flumen, cioè Foglia e Conca che sboccano nell'Adriatico; e dalla parte della Foglia si vede un Fiumicello a suo luogo delineato, che è i l Lapsa, il quale procede dal Monte di Carpegna e mette sua foce nella Foglia, nel mezzo appunto del suo corso. Ivi presso si vede la mostra di una Città coU'iscrizione « Pittinum ». Se mi è lecito aggiungere a quanto ne scrisse dottamente n Cluerio una mia opinione, direi che Pittino non fu mai circondato da mura, ma che si prevalse a sua difesa de' monti circostanti, come appunto la Città di Sparta e dei Sabini, non che l'antico Fulgineo, oggi Foligno, di cui cantò Silvio Italico nel Lib. V i l i : Parvuloque Jacens sine moenibus arvo Fulginea. E questa mia sentenza non sarà del tutto improbabile se si consideri che da' suoi ruderi si raccoglie essere essa Città stata composta di edifici e di abitazioni distaccate e non già di muraglie di notabile lunghezza e giranti. Si raccoglie pure essere stata formata di due corpi, uno dove è la Pieve di Macerata, e l'altro appiedi al piano di Trebbiano, a riscontro del Piano di Pittino, che son luoghi circondati da monti e bagnati da Fiume. In comprova di ciò, i l medesimo leggiamo nelle Antichità di Sarsina di Filippo Antonini, i l quale dice che non ebbe mura a somiglianza di Sparta e delle Città Sabine e di Fuligno, di cui scrisse le Storie Lodovico Giacobilli di essa patria. ^ E d eccovi, credo, appieno soddisfatti intorno al luogo del nostro Pitino, per quanto ho potuto raccogliere da libri antichi e moderni. Non voglio ancora ristarmi dal dire come gH Scrittori latini applicano la parola Oppidum indistintamente tanto alle Castella, quanto alle Terre e Città.
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LUOGO
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A completare la descrizione del nostro Pittino mi rimane ad aggiungere le notabili antichità ritrovate e scoperte di fresco a' tempi nostri. Ripigliando il corso delle rive del Lapsa, ove il fiume rallenta il corso per trovare letto più piano, vi si presenta la Pieve di Macerata, la quale si ritiene essere stata con Macerata stessa fabbricata colle macerie dell'antico Pittino. Di che ne serbano i segni le stesse mura, le quali evidentemente appaiono composte di rottami e diverse pietre tolte da più vecchi edifizi e applicate secondo che portava il caso o la struttura. Dove nella cortina di esse mura, e particolarmente nella facciata di essa Chiesa e delle muraglie principali de' casamenti si vede rarità di pietre poste a caso, secondochè emergono dalle ruine, come pezzi di travertini e di marmi con bellissimi lavori di fogliami, d'intagli, di Capitelli di diversi ordini. E perchè questa Pieve è nel luogo più piano, così si stima che ivi consistesse la più nobile parte dell'antica Città, notando che essa Pieve posa sulle più notabili fondamenta di una grossezza di circa cinque piedi, composte di tutte pietre. Dentro questa Chiesa sull'altar maggiore sta un Crocefisso in rifievo molto pietoso e divoto, il quale è degno d'esser veduto e contemplato con compunzione di cuore, essendo stato lavorato con sì fine artifizio e con sì naturali colori, che sembra vivo e spirante. Quindi è che questo Crocefisso è stimato una pregevolissima reliquia, e dall'Ercolani fu cantato con questo verso, unitamente alla campana posta in sulla Torre: Et cruce Qui pendet nec minus aere sacro. Questa Pieve colle sue entrate fu unita al Vescovato Feretrano l'anno 1540, con rescritto Apostolico di Papa Paolo I I I , ad istanza di Ennio Filonardo Vescovo Feretrano e Card. Verulano. Egli dimandò ciò per la residenza del suo Vicario, nelle commozioni e rivolgimenti successi per la guerra di S. Leo. L'ultimo Arciprete di essa Pieve fu Paolo de' Barzi di S. Angelo in Vado, per la cui rinuncia fu ottenuto il Breve e
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conseguita l'unione, la quale fu poi confermata da Clemente Ottavo nel 1591. E questa fu chiamata la Pieve di Pittino, leggendosi negli istrumenti antichi ed anche nella Bolla di Paolo I H : — Plebem S. Casciani de Pitino. — Intorno a questa Pieve ne' terreni contigui in più luoghi si sono scoperte e ritrovate anche a' tempi nostri varie antichità dimostranti la notabilità del luogo, come muraglie di ampi edifìzii con pietre maestrevolmente lavorate, magnifiche stanze sotterranee con nobilissimi pavimenti a musaico. Anche al bifolco conducendo l'aratro è spesse volte intervenuto di rinvenire medaglie e monete sia di bronzo sia d'argento le quali da me attentamente esaminate, vi ho letto i nomi di Vespasiano, di Domiziano, di Trajano e di Adriano. Innanzi alla porta della Casa del Pievano si vede fermata la metà di una grande pietra di marmo bianco in forma di tavola, ritrovata parimenti nei campi vicini. Sembra appartenesse ad un bagno, cosa di grande uso a que' tempi, come si legge in quella metà che tuttavia si conserva, desiderandosi anche l'altra. balneum fecit pavimentum tepidarium ipse refecìt nus Munìcipii signum fortuna idem balneum suspendit piscinamque fecit jam vetustate corruentem sua pecunia refecit.
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'
Il luogo di questo bagno fu ritrovato pochi anni or sono presso la Pieve nel campo de' Merelli, dove fu discoperta una stanza di forma quadra, murata a lastrico, con sotto un pavimento di mattoncini istoriato. Intorno a detta stanza apparivano ancora i suoi tubi di piombo e spiragU per dove entravano le acque nel bagno e piscina, che di que' tempi erano di grande uso presso tutti i popoli dell'antichità e specialmente de' Romani, come si legge in tutti gli Scrittori loro, e come si è detto di sopra.
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LUOGO
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DI
PITTINO
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Dinanzi alla Pieve medesima fu scoperto negli anni passati, nel suolo stesso del Cimitero, presso la via pubblica un edificio (pianta) di notabile e soda struttura. Sopra la Pieve, salendo l'erta che va a S. Teodoro, si vede allato alla via una smisurata pietra di travertino, quale si giudica essere stata un'ara della gentilità, per alcuni segni ivi scolpiti. Seguitando la stessa via s'incontrano gli stessi pezzi di travertino condotti a pulimento ed insieme conservati come reliquie d'ignoti edifici ritenendosi che Tantico Pittino si distendesse per le Colline di Persena, luogo veramente gentile ed ameno. Nell'erta della piiì volte mentovata Pieve fu nel secolo passato scoperta una Colonna quadra di marmo, con lettere in quella scolpite, lette da Nicolò Abstemi, cioè: SATURNO P A T R I SACRUM
I l che denota esservi stato un tempio di Saturno, venerato dagli Itali, cui diede i l nome e come cantò Virgilio, in quel verso : Salve magna parens frugum. Saturnia tellus. E per la età dell'oro che portò esso nume, mentre discese nel Lazio a regnare con Giano: Primus ab aetereo venit Saturnus Olympo Aureaque, ut perhibent, iUo sub rege fuere Saecula, sic placida populos in pace regebat. Così possiamo dire che gli antichi Pittinati fossero seguaci delle virtìì primitive. Un'altra consimile memoria di Saturno si ricava da un'anticaglia scoperta non ha molt'aimi, cioè un frammento di lapide, di finissimo marmo bianco, nel quale sono incise le seguenti parole in caratteri romani assai grandi: L . Lucius L . M Cum secum Saturnina Nomine L . Lucii M Optimi patri ù ^
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CASTELLACCIA
Questa lapide fu trasportata nella Terra di Macerata, e si conserva nella Spezieria di G. Pieri. Parimenti venne ritrovata una testa d'Idolo di finissimo marmo bianco egregiamente scolpita, la quale si trova in casa di Paolo Tentori, da cui fu scoperta in un suo campo sul Lapsa. Un'altra testa con tutto il busto fu scavata a pie del Colle di Persena, laureata e di bel bianco marmo, forse un Apollo, che ora trovasi in Casa Marescalchi. Similmente sull'altra sponda del Lapsa, dirimpetto alla Pieve, fu scoperta pochi anni or sono una pietra di travertino quadra, di palmi tre d'altezza e due di larghezza da una parte tutta di lettere ripiena, e però come cosa notabile fu portata nel borgo di Macerata e collocata sulla piazza del Mercato. L a qual lapide dimostra essere stata posta in un Tempio di Giunone, dalle Matrone sue seguaci. Questa divinità dai gentili era tenuta come tutelare de' matrimoni e dei parti, era chiamata Regina degli Dei ed aveva quattordici Matrone per compagne; e questa in corrispondenza dei quattordici effetti che l'aria produce cioè la Serenità, i venti, le nubi, la pioggia, la grandine, la neve, la rugiada, le forgori, i tuoni, le comete, riride, i vapori, i baleni, e le caligini e nebulosità, siccome tratta Macrobio sopra la genealogia degli Dei de' gentili. Le quali Deità dipendenti da Giunone adoravano que' buoni antichi per averli propizj delle loro influenze e non nefaste, e perciò ergevano loro Templi e Simulacri. Le parole scolpite in essa Tavola sono di due maniere di caratteri, uno grande e l'altro piccolo. I caratteri piccoli che sono pure assai non si poimo leggere distesamente, per essere corrosi dal tempo; i grandi e maiuscoli danno le seguenti parole: MATRONIS JUNONIBUS SACRUM
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Di quanto pregio fossero tali Deità presso gli Antichi Gentili ne fa menzione Virgilio nel I dell'Eneide, in que' versi posti in bocca di Giunone ed Eolo, Re dei venti : Sunt mihi bis septem praestanti corpore Nymphae Ouarum, quae forma pulcherrima, Deiopeam Connubio jungam stabih, propriamque dicabo Omnis ut tecum meritis prò talibus annis Exigat, et pulchra faciat te prole parentem. Quindi si può ritenere che in questi luoghi un tal Tempio fosse una delle primarie grandezze. E da questa possiamo congetturare che molte altre consimili ve ne fossero, come da segni e reliquie che si vanno tuttora discoprendo e da altre molte tuttavia latenti. Deggio ancora soggiungere che molte cose riguardanti le Deità e gU Idoli furono già distrutti dallo zelo degli Antichi Pittinati, allorché, lasciata l'idolatria, abbracciarono il Cristianesimo, nel bel principio della predicazione evangelica. Discesi quindi i Goti, fecero il resto, distruggendo la Città ed insieme le Chiese sorte di recente, con tutto ciò che di antico e di nuovo vi rimaneva. Per ultimo contrassegno delle antichità di Pittino, dirò degli Acquedotti scoperti all'età presente in riva del Lapsa e de' suoi condotti di piombo murati tra fortissime e durissime muraglie, i quali attingevano l'acqua dal vicino monte di Carpegna e traendola verso i l Passo di Pittino, immettevano nel luogo della Pieve. Altro condotto dalla Fogliola appresso S. Teodoro, attraverso muraglie con lastrico, s'incamminava alla volta di Pittino. Un terzo ancor piìi notabile si discoperse per lo piano di Trespiano, il quale mettendo capo in una copiosa fonte della Villa Carbone, guida i l suo tributo per mezzo a' vigneti e coltivati al Piano di Pittino. Tante acque con sì mirabile spesa volte e dirotte ad un sol luogo, mostra la vastità e popolazione del luogo stesso. Per le memorie pertanto e per le testimonianze recate di sopra, si può indubitatamente affermare il luogo dell'antico Pìt-
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DALLA
CASTELLACCIA
tino essere quello ove ora è posta la sua Pieve e che dalle sue macerie, come fenice dal suo rogo, sia surta Macerata. Per il che non vi sia grave che qui riporti im epigramma dettato dall'Ugolini Maceratese: Subter Carpineum fuit Urbs antiqua Pitinum Qua Phoebis ad ortum ducit Isapis aquas Venit ab arctois gens tesis gothica, et Urbem Municipem Romae vestit in excidium. Hinc Macerata subis cunas sortita faretro Qualis perenne surgit araba Phenix. Da quale Re de' Goti in qual tempo precisamente Pittino rimanesse distrutto, non rimane la memoria. Gli Scrittori che di lui parlarono e le tradizioni dicono fosse distrutto dai Goti. Nicolò Astemio, parlando di Pittino, dice, — Diruta, ut fama est, a Gotis — Così il Cluerio, Leonardo Aretino ed i l Cùnarelli. Avendo poi io usato particolari diligenze in queste ricerche, e consultate diverse istorie intorno alle discese de' Goti in ItaUa, avvenute in piìì tempi, come Procopio, l'Aretino suddetto, Pietro Messia, Bart. Platina, ne riporterò alcuni brani, formando quelle congetture che faraimo al nostro proposito. I Goti, Popoli della Gozia, Svezia e Norvegia, potentissimi e ferocissimi, ebbero molti Re. I l primo di questi trasse la sua origine da un Orso, di cui Martino del Rio nel libro delle sue dottissime disquisizioni, al Capo: De immaginatione in actu generationis — riferisce la Storia scritta da Sasso Grammatico, cioè che un Orso domesticatosi con una bella e nobil donzella, ne nacque un fanciullo, che fatto uomo fu di tal gaghardia e ferocia da essere invincibile. Costui pel suo valore fatto Re dai Goti, prese l'insegna dell'Orso e li condusse alle pugne. I Re dei Goti discesi in Italia per depredarla e signoreggiarla, furono otto, e di questi farò succinta narrazione. I I primo fu Ancalario, il quale venne in ItaUa nell'armo 384 e fè pace con Graziano Imperatore nel 387. -i^:
DEL
LUOGO
E
DELL'ANTICA
CITTÀ
DI
PITTINO
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Il secondo fu Alarico nel 410. Costui tenne assediata Roma per due anni, poscia la prese e la mise a ferro e fuoco. Il terzo fu Radagaiso nel 415. Congiuntosi con altri Goti condotti da Alarico, attraversata la Francia, l'Ungheria, l'Austria, la Schiavonia, la Dalmazia, a guisa di torrente devastatore, scesero in Italia, spargendo per tutto morti e ruine. Il quarto fu Genserico, capo de' Candoti e de' Goti. F u in Italia nel 460, a' tempi di Papa Leone I . Con lui discese puranco Attila, detto « Flagellum Dei », ma non passò il Po, trattenutovi miracolosamente da quel Papa, e tornossene in Ungheria. I l quinto fu Teodorico, il quale si fè chiamare Re d'Italia circa il 480. Combattè e vinse Odoacre, conquistando tutta la Italia col suo valore, aggiungendovi la Sicilia, la Dalmazia, la Libumia, l'Illirico e la Borgogna. Il sesto fu Teodato che regnò in Itaha nel 535. Questi fè creare Papa Silverio, di che ingelosito l'Imperatore Giustiniano, mandò contro di lui Belisario, i l quale riebbe Napoli che si era ribellata, poi Roma tenuta dai Goti, i quali si ritirarono a Ravenna. Belisario si fortificò in Roma, dove fu assediato da Vitige. Venuti a giornata, questi ebbe la peggio e fuggì esso pure a Ravenna. Assediatovi dal vincitore, fu preso con tutta la sua famiglia e baroni, che seco condusse a Costantinopoli, dopo aver in cinque anni ricuperata quasi tutta l'Italia. I l settimo Totila entrò in ItaMa l'armo 536. F u a Montecassino, riconosciuto da S. Benedetto, quantunque in abito da fantaccino. Assediò Napoli; la prese e si fè Signore della Sicifia. Venuto nelle nostre parti, minò Pesaro e Fano, come scrive Procopio. Poscia, cavalcato a Roma, la prese per fame e la saccheggiò. Allora Giustiniano mandò in Italia l'eunuco Narsete, Capitano di gran nome, il quale, rinforzato dalle genti di Alboino Re dei Longobardi, die battaglia ai Goti, che vinse e tagliò apezzi. L a giornata avvenne nella pianura tra Cagli e il Furio. Totila, ferito, andò a morire a Capra, ora Caprese,
PIER
ANTONIO
GUERRIERI
DALLA
CASTELLACCIA
presso il Tevere. Così conta Procopio e non fu vero che fosse a Broscetto il fatto e la morte di Totila. L'ottavo fu Tela, il quale successe a Totila e fu ugualmente oppresso dal valore di Narsete poco lungi da Nocera. E così nell'anno settantaduesimo che Teodorico s'incoronò Re d'Italia, i l regno dei Goti si spense insieme col nome, l'anno di nostra salute 578. Ma fra i tanti incendi, devastazioni e scorrerie che distrussero l'impero de' Romani e mutarono la faccia non che d'Italia del mondo, a quale epoca, a qual fatto attribuir si deve la distruzione di Pittino? A me sembra che ciò attribuir si debba con qualche probabilità a quando gli eserciti di Alarico e Rodogaico congiunti insieme transitarono per queste nostre parti, mandando tutto a sterminio e mina, che fu negli anni 410 al 416. Creder si può che nelle istesse impetuose emzioni e lacrimevoli eccidj venissero distrutte altre nobili e famose Città Itahche, come Brescia incendiata da Rodogaico nel 412, Modena, Milano, Reggio e Mantova esposte agli impeti primi di questi depredatori d'Italia. Il più volte rammentato CimarelH dà indizio che la Città di Pittino fosse distmtta da que' primi barbari che disertarono il Tifemo Metaurense; io poi volendo approfondire un tal fatto, ho ritrovato in certi manoscritti di Giulio Cesare Peverazio Maceratese, come la Città di Pittino, che era situata tra i due fiumi Foglia e Conca, era ancora in piedi nell'anno 150. E di più il Dott. Nicola Merolli di questa stessa patria serbava tra le altre sue carte un Istrumento fatto nella Città di Pittino l'anno 300 dall'Incamazione. Dopo questo tempo, benché venisse in ItaUa Atalarico, esso non diede i l guasto ad alcuna parte d'Italia, poiché visse in concordia coll'Imperatore, nè altro insulto ricevette dai Goti questa Provincia sino al 410 al 416, tempi di Alarico e Rodogaico. E però concludo che nel giro dei ricordati anni così fe^ condì di guerre, devastazioni, scorrerie ed incendi, anche il nostro Pittino soggiacesse al comun fato.
FRANCESCO V . L O M B A R D I
ricerche su castrum glocii: ipotesi ed indizi
Gli scavi archeologici recenti nell'area del municipio romano di Pitinum Pisaurense hanno offerto lo spunto per iniziare l'analisi di un aspetto che la secolare storiografia, soffermatasi sui problemi montefeltrani, aveva completamente ignorato. Si tratta della localizzazione del « Castrum Glocii », di cui permane memoria nel basso medioevo. Infatti, dall'atto di convenzione di Bonconte e Taddeo, conti di Montefeltro, unitamente ai conti di Carpegna, stipulato i l 28 settembre 1228, questo Castrum Glocii risulta compreso nella giurisdizione comitale feltresca (1). Lo stesso castello « cum curte », per la sua collocazione nella enumerazione dei venti feudi, dopo Pietrarubbia e prima di Ranco Vecchio e S. Arduino, non poteva che essere nella vallata che ancora si chiama dell'Apsa di Macerata Feltria. Ma, mentre per Ranco Vecchio la identificazione con S, Vicino di Macerata F . è stata di facile intuizione, (dal libro piìi antico della Mensa Vescovile di Montefeltro, ancora nel X V I secolo, figura la denominazione della chiesa di S. Vicino in Ranco Vedo) (2), per il Castrum Glocii ogni ricerca era risultata vana. Nessuna traccia, infatti, se ne era piti avuta, dopo tale unico accenno, nè in documenti pubblici, nè in atti privati, nè nella toponomastica antica, nè nella topografìa moderna. In realtà, però, almeno un altro riferimento a questo castello si rileva da un passo di un documento ben noto, ma finora sempre male interpretato (3) : infatti, nell'atto di divi(1)
L.
TONINI,
Della
Storia
Sacra e Civile
Riminese,
I I I , app. X L V I I I ,
pag. 4 5 0 , Rimini 1 8 6 2 . (2)
A.M.
ZUCCHI-TRAVAGLI,
Storia
Ecclesiastica
del Montefeltro,
pag.
2 7 3 , Pesaro 1 7 4 5 . (Unico esemplare rimasto, in Bibl. OHveriana, Pesaro). ( 3 ) Archivio Segreto Vaticano, A r m . 6 0 , T . I V , 4 0 2 . Cfr. Miscellanea di notizie storiche di A . degli Abbati Olivieri,
in
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V.
LOMBARDI
sione del Conte Cavalca di Montefeltro (1258), fra gli altri testimoni, quali Drudus de Monte Liciano e Conversus de Monte Copiolo, è presente anche Bemardellus « de Castrogloczi ». E non è escluso che piìì attente indagini possano apportare più precise indicazioni. In complesso, dunque, tale ricerca non poteva ritenersi inutile, anche perchè, considerata la persistenza dei toponimi dall'alto al basso medioevo, questo Castrum Glocii poteva ben essere una deformazione del nome di un antico insediamento di Goti. I l fenomeno di trasposizione della sillaba « ti » in « ci » è comune per tutta la bassa latinità (4), come pure quello, già riscontrato, del « ci » in « zi ». A questa denominazione, poi, facevano eco altre località della zona, come « Castelgoccio », posto proprio sopra la Rocca Antica di Carpegna e, forse, quel « Mons Gotoli », detto anche poi Monteacuto (oggi M. S. Marco), pure possesso dei conti di Carpegna nel 1228, e dei conti di Montefeltro, del ramo di Pietrarubbia, in prosieguo di tempo (5).
Bibl. Oliv. Pesaro, ms. 376, voi. I V , ce. 9 e 16: vi sono riportati due transunti dell'atto, fatti nel 1336. L'uno, proveniente dall'Archivio A r m a n n i di Gubbio, porta la data errata del 24 agosto 1258; l'altro, a data 28 agosto dello stesso anno (die 4 augusti exeuntis), esisteva nell'Archivio di Montecerignone. N e l primo, i l trascrittore legge « castrislochi », confondendo la « g » con la « s » allungata, e senza tenere conto che i l « de » è riferito ad un ablativo singolare (castro), e non plurale (castris). Nel secondo transunto, copiato dallo stesso Olivieri, si h a giustamente « de castrogloczi ». Nonostante, l'illustre studioso, non riteneva di aver decifrato giustamente la pergamena, e si sentiva i l dovere di annotare: « p u t o de Castro Montis L o c h i » . Neppure lui riusciva a identificare piìì tale castello, di cui era scomparsa ogni memoria da quasi cinque secoli. (4) P. R A J N A , / / Trattato De Vuìgari Eloquentia, pagg. 152-156, F i renze 1896. C f r . C A R L O B A T T I S T I , L'elemento gotico nella toponomastica e nel lessico italiano, in I H Settimana di Studi del Centro It. Studi sull'Alto Medio E v o , (1955), Spoleto 1956, pag. 661. 681,
(5) V e d i 30.
nota
1 e
Arch.
Segr.
Vat., Schedario Garampi,
Indice
Altri nomi di località vicine, quali Palazzo dei Gozi, nei pressi di Piagnano e di Mercatale di Sassocorvaro, non sono attribuibili alla denomina-
RICERCHE
SU
CASTRUM
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GLOCII
Non è, comunque, da accogliere la tesi dell'umanista Leonardo Bruni (6), il quale fa passare i Goti di Totila per queste terre, poco prima della battaglia di Tagina (552 d.Ch.), confondendo il Monte Pietralata (Furio), con il Sasso Simoncello di Carpegna. Ma, in effetti, le uniche invasioni barbariche di cui abbiamo notizie sicure in queste zone, riguardano proprio le guerre gotiche, e sono anteriori di circa quindici anni alla loro sconfitta finale. Infatti lo storico Procopio afferma che Vitige, andando ad occupare Ravenna, lasciò duemila soldati a presidiare Urbino, e non meno di cinquecento a Montefeltro (S. Leo), e Cesena. L'itinerario, dunque, passava da queste parti, in quanto la costa era dominata dai greco-bizantini (7). Forse, durante questo passaggio, può essere verosimile che andasse distrutto il municipio di Pitinum. D'altra parte questa ipotesi trova riscontro nella tradizione piti seguita. E , in genere, le tradizioni hanno spesso un fondamento di verità, specie quando si tratta di avvenimenti clamorosi o dolorosi che incidono profondamente nella coscienza delle generazioni (8). zione proposta, bensì sono riferibili alla Famiglia dei Gozi, provenienti da S. Marino, quali eredi dei possedimenti dell'estinta Famiglia dei Conti Oliva. (Nel 1689 Federico G o z i s p o s ò Virginia, di anni 17, nata postuma di Annibale, ultimo conte degli Oliva). (6) L . B R U N I , De Bello Gothorum, libro I H , Venezia 1502. (7) pROCOPio, De Bello Gothico, l i b r o I I , capp. X - X I , col. 203, in R . I . S . T o m o I I , Milano 1729-1738. (8) V . M . C I M A R E L L I , Hisiorie Urbino, pag. 143, Brescia 1642.
degli
Umbri
Senoni
e dello Stato
di
L . A B S T E M I O : « P i t i n u m cuius meminit Ptolomeus, urbe fuit Italiae, in ea ragione quae nunc Mons Feretrus dicitur.... diruta, ut fama est, a G o t h ì s , ubi adhuc Ecclesia B . Cassjano Martiri dedicata, quae Plebs Pitini dicitur... » da un manoscritto di notizie inedite di G . Antimi. Cfr.
G.
COLUCCI,
Antichità
Picene,
T . V I I I , pag.
15, Fermo
1970.
P.A. G U E R R I E R I , Della Carpegna Abbellita e del Montefeltro Illustrato, voi. I l i (1668 ca.), ms. in Archivio Comunale di Pennabilli, cap. V I I I , inedito. :s . u riMra
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FRANCESCO
V.
LOMBARDI
Sulla base di queste tradizioni, veniva spontaneo pensare che vari nuclei degli stessi Goti, i quali avevano distrutto col fuoco Pitinum, non disprezzassero di insediarsi sui terreni già dissodati dai coloni romani, dopo aver goduto gratuitamente il frutto della terza parte dei prodotti loro spettanti per diritto di occupazione (9). Quindi, per andare alla ricerca di questo Castrum Glocii, che è ricordato esistente ancora nel X I I I secolo e che la logica basata sulla tradizione confermerebbe in loco, occorreva analizzare tutte quelle alture che coronano la antica Pieve di S. Cassiano in Pitino. Questa era sorta inequivocabilmente sui resti dell'antico municipio romano, e forse sul punto dove sorgeva i l tempio « Saturno sacrum », come ricorda una lapide marmorea ivi trovata (10). Durante una visita agli scavi, si offrì l'occasione per interpellare varie persone del luogo. Alla domanda se esisteva nei dintorni una località denominata « castello dei goti », o simOmente, nessuno seppe rispondere, non essendovi memoria di tal nome. Ma quando fu chiesto se esisteva un luogo chiamato S. Agata, nessuno ebbe dubbi, e tutti indicarono i l colle boscoso al di là del torrente, prospiciente la zona degH scavi. Là, dunque, c'era stata una chiesa, oggi scomparsa, dedicata a S. Agata, e veniva spontaneo collegare i precedenti indizi con i l fatto che questa santa fu la patrona dei Goti, tanto che ancora esistono varie località e chiese chiamate, appunto, S. Agata dei Goti, In particolare, questa chiesta doveva già essere stata distrutta nel X V I secolo, in quanto non è ricordata nel Ubro della Mensa Vescovile già citato. I l castello, d'altra parte, non
(9) G . L u z z A T T O , Firenze 1963.
Storia
economica
d'Italia
nel Medioevo,
pag.
44,
(10) Corpus Inscriptionum Latinorum, a c u r a di E . B O R M A N N , voi X I , parte I I , pag. 890, n. 6027, Berlino 1801.
RICERCHE
S U
CASTRUM
GLOCII
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compare già più nella descrizione della Diocesi di Montefeltro, fatta per ordine del card. Anglico Grimoard (1371){11). Tuttavia gli indizi si andavano accumulando e tutti concordavano nel senso di un effettivo insediamento di goti su quell'altura. Gli stessi nativi del luogo assicurarono che, ivi, più volte furono trovate ossa di morti e che tuttora c'era una « acquasantiera » in pietra, di enormi dimensioni. Una ricognizione della località ha fatto rilevare, a prima vista, i seguenti dati: — esiste ancora un'antica strada per salirvi, con tracce di fondo lastricato; — la zona si presenta come un balcone in posizione strategica: da un lato si domina tutta la vallata a monte dell'Apsa, con Pietrarubbia, Monteboaggine, Montecopiolo e la Faggiola di Montecerignone, i quali monti presentano tuttora tracce di torri e castelH; dall'altro lato si inquadra il vicino castello ed il borgo di Macerata Feltria; — nella parte di terreno pianeggiante, fresco di aratura, si sono potuti rinvenire innumerevoli pezzi di mattoni cotti, alcuni di buon stampo, uguali a quelli venuti alla luce a Pitinum; altri più rozzi, fatti con argilla giallastra mal cotta; — r « acquasantiera », in realtà, è un pesante monolito, arcuato a tutto sesto, in pietra arenaria concia; con ogni probabilità rappresentava l'architrave di una luce riferibile ad una porta angusta o ad una finestra, della ampiezza di circa un metro. Tale attribuzione è ipotizzabile sulla scorta del fatto che le basi su cui poggiava l'arco sono perfettamente squadrate, incomprensibili in un catino a muro; — sopra il pianoro si stende ad emiciclo, per oltre 150 metri, un terrapieno, indice di un'antica fortificazione. Innumerevoli pietre conce, sparse ed ammucchiate, residui di can(U) G . B . M A R I N I , Saggio di Ragioni della Città di S. Leo, App. X I , pag. 275, Pesaro 1758. Infondata rindividuazione del Paggetti (Monte L o c c i a di Gattaia) comunicata a C. T R O V A , Del Veltro allegorico dei Ghibellini, pag. 272, Napoli 1856.
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tonali, di stipiti di porte, di cornicioni di tetti, stanno a denotare la presenza di un antico agglomerato medioevale. Molte di queste pietre, per ammissione degli stessi proprietari, sono state asportate per la costruzione delle abitazioni rurali nella sovrastante colonia, oggi denominata Monte. Salendo dal terrapieno fino a queste case, si individua tutta una costa che presenta ancora vestigia di antiche costruzioni. Fra le cose più significative trovate sul sentiero che sale in mezzo al carpineto, di primo acchito e senza ricerca sistematica, si ricorderà una pietra antropomorfa, rozzamente scolpita, con scanalature che rivelano la mano delFuomo. Oltre a ciò si è rinvenuta un'altra pietra porosa di origine vulcanica, lavorata a forma di ciambella, presumibilmente usata per lavori artigianali. Più approfondite ricerche potrebbero offrire ben maggiori risultati. In questo quadro, a qualsiasi studioso si sarebbe posto un problema fondamentale per la individuazione di un insediamento umano: cioè quello dell'approvvigionamento idrico di quella comunità per le essenziali attività biologiche. L a soluzione si potè avere solo quasi sulla cima della collina. Là, infatti, scavata nella roccia arenacea, una cisterna quadrata, larga circa cinque metri e profonda oltre dieci, dopo un'estate ed un autunno di particolare siccità, presentava una consistente falda d'acqua. Proprio sopra la cisterna, una delle case di Monte rivela ancora bene in evidenza le proprie basi costruite su un bastione a sghembo, con una feritoia rettangolare, in senso verticale, svasata verso l'interno. Tale particolare, ascrivibile al basso medioevo, è comunque indice dell'esistenza effettiva di un nucelo residenziale, almeno in tale epoca. L'impressione generale del complesso è che le varie abitazioni partendo dalla chiesa di S. Agata, salivano gradualmente fino al culmine dell'altura, dove c'era i l fortilizio principale. A ciò deve aggiungersi i l reperto mutilo esistente nel museo diocesano di Peimabilli, che ancora nessuno ha mai
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GLOCH
analizzato. Anche se catalogato come proveniente da Pitinum, è piti verosimile che fosse stato trovato su questa costa. Si tratta di una stele rettangolare m arenaria, nella quale si staglia la figura di un animale stilizzato, presumibilmente un leone; in fondo al bassorilievo corre, scolpita, una treccia a tre corde. Mentre il disegno presenta delle reminiscenze di derivazione bizantina, Tintreccio del cordolo è di chiara tendenza altomedioevale (12). Questo ritrovamento, forse ultimo resto, con r « acquasantiera », della chiesa di S. Agata, ohre a testimoniare la presenza in loco di insediamenti barbarici, rappresenta uno dei rari monumenti di scultura preromanica di tutto i l Montefeltro. n Nonostante quanto si è esposto, non vi sono ancora prove irrefutabili che tale luogo sia, senz'altro, il Castrum Glocii, e che lo stesso sia di fondazione gotica. Tuttavia i vari indizi, come la localizzazione dell'atto del 1228, la tradizione, una primitiva chiesa dedicata a S. Agata, i resti di un borgo medioevale, finora senz'altro nome, tutto fa propendere per una identificazione che presenta contomi non del tutto destituiti di fondamento. Sulla base di tale impostazione, si può tentare di prospettare anche il problema di quando, e perchè, questo castello venne distrutto o abbandonato. A livello di ipotesi, si potrebbe prendere in esame il fatto che esso rappresentava la punta avanzata dei possedimenti dei conti di Montefeltro, a poche centinaia di metri dal borgo di Macerata. Questa Comunità, nel X I I I secolo, era retta da una consorteria di famiglie l i bere (13) (tra le quali prevalse poi quella dei Gaboardi), sempre indipendenti dalle giurisdizioni comitali Mmitrofe,
(12)
cosiddetta
GÉZA
DE
FRANCOVICH,
^longobarda
»,
in Atti
//
problema del
pag. 2 6 5 , Spoleto 1 9 5 1 . (13)
TONINI
cit.,
app.
LXXIII,
pag.
delle
I Congresso 503.
orìgini di Studi
della
scultura
Longobardi,
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Il momento di attrito più intenso fra i l Comune di Macerata ed i conti feltreschi, si avvicinò verso i l 1298. In questo tempo, ucciso il conte Corrado dai suoi stessi sudditi nel castello di Pietrarubbia (14), i l conte Taddeo, suo fratello, fu preso, carcerato e ucciso proprio dai Gaboardi (15). A questi, evidentemente, doveva ben infastidire una tal scolta nemica, a un tiro di balestra dal loro castello, in posizione elevata di fronte a questo. E se distruzione vi fu, del Castrum Glocii non rimase che pietra su pietra. Del nome si perse ogni memoria, trarrne i l ricordo di un luogo di culto dedicato a S. Agata. Delineato questo quadro generale, sarà compito delle future ricerche e dei prossimi studi, confermare o smentire, in tutto o in parte, quanto è stato esposto sulla sola scorta di ipotesi indiziarie e di considerazioni di ordine logico.
(14)
ANNALES
CESENATES,
(15)
Ivi,
1118.
col.
in R.T.S., T . X I V , col. 1116, Milano 1729-38.
L U I G I TONINI
valori architettonici del duomo di san leo
Il Duomo, enigmatico ed espressivo monumento dell'arte Romanica, si erge, inserito tra la Pieve, costruzione preromanica del IX secolo, ed una torre campanaria pure romanica, al margine Ovest del masso roccioso attorno al quale è arroccato S. Leo, con Tasse longitudinale chiaramente orientato in direzione Est-Ovest. L a configurazione del terreno, con cui l'edificio si integra mirabilmente sino a formare quasi un tutt'unico, è tale che la facciata risulta del tutto inaccessibile per lo strapiombo sul quale si prospetta; l'accesso principale è pertanto risolto, come nelle basiliche pagane, lateralmente, quasi al termine del lato Sud. A i lati della porta, restaurata, come appare da una scritta nel sottarco, per munificenza di Pio IX nel 1883, in alto, due pietre rozzamente scolpite aggettanti dalla struttura muraria — due vaghi semibusti — vogliono forse ricordare, quella di sinistra, i l santo Leone a cui i l tempio fu dedicato, e, quella di destra, il vescovo Valfrerus durante il cui episcopato fu posta mano alla costruzione. Nei menzionati semibusti, « benché molto malconci dal tempo, si vede nondimeno chiaramente l'abito sacro della pianeta, e si legge nella cartella di uno le lettere sufficientemente distinte San Leo. Non però ugualmente intelligibile è la parola scolpita nella cartella dell'altro, a cagione di essere le lettere un poco guaste, e corrose e di piti con abbreviatura » (1). L'edificio ci si presenta come una Chiesa di notevoli dimensioni, una lunghezza complessiva di m. 36,20 per una lar(1) G . A . L A Z Z A R I N I , Lettera scrìtta nel mese di maggio dell'anno 1757, al Nobilissimo ed Eruditissimo Sig. Annibale degli Abati Olivieri, Patrìzio di Pesaro da Giovanni Andrea Lazzarini Pesarese, i n ; G . B . M A R I N I , Saggio di ragioni della città di S. Leo, Pesaro 1758, p. 308.
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LUIGI
TONINI
ghezza di m. 18,30, completamente costruita in pietra arenaria con mattoni e con masselli di pietra calcarea qua e là inseriti quasi a scopo decorativo. A l riguardo uno scritto del 1757 riporta:
^
« L a materia dell'una [Pieve], e dell'altra [Duomo] è tutta in pietra viva, lavorata in tanti pezzi riquadrati di forma alquanto bislunga. V i è però qualche differenza tra le qualità della pietra; imperciocché quella del Duomo è più uniforme e nella pasta, e nella grana e nel colore, che biancheggia alquanto, ed é lavorata assai pulitamente con un sottilissimo strato di cemento cormessa e legata con mirabile eleganza » (2). ^
L'esterno è scandito agh angoli e in corrispondenza delle suddivisioni interne, da sottili contrafforti e decorato nella facciata a salienti, nei fianchi e nelle absidi, alla maniera lombarda, ritmato cioè da lesene collegate fra loro dal solito motivo ad archetti pensili, con 6 o 7 archetti tra lesena e lesena, ad eccezione del corpo del transetto che porta solamente la decorazione ad archetti. Tale configurazione, se certamente non ci prepara alla complessità e alla forza espressiva che ci sorprende entrando, ci fa però intuire, con i suoi movimenti di masse e con le sue determinazioni formali, la strutturazione interna: suddivisione in tre navate, di cui la mediana sopraelevata rispetto alle lateraU, tagUate quasi nel mezzo dell'alto corpo dal transetto e terminanti in absidi di cui le laterali meno sviluppate; e ci mette parimenti in grado di coghere alcuni aspetti di quello che può essere chiaramente identificato come il tema generale di tutto l'organismo : impostazione planimetrica molto semplice che ricorda da vicino quella dei primi edifici dell'arte romanica quale si sviluppò nel secolo IX nell'Italia del Nord, nella Francia meridionale e nella Catalogna, e — perchè no? — (2)
Ibidem,
p. 307.
VALORI
ARCHITETTONICI
D E L DUOMO
DI
SAN L E O
37
quella della vicina Pieve, a cui fa riscontro una complessità altimetrica ed una accuratezza nelle determinazioni formali e nella ricerca dei ritmi compositivi, che ci richiamano ben più sviluppati e raffinati modelli. AlTintemo la suddivisione in navate è realizzata mediante robusti pilastri compositi ai quah si alternano anche due coppie di colonne classiche, su cui si impostano longitudinalmente due serie di archi, a sesto acuto nella nave, e a tutto sesto nel presbiterio. L a maggior larghezza, circa uguale a quella della navata centrale, della quinta campata, che ha comportato una maggior altezza in corrispondenza delle navate laterali, permette ridentificazione del corpo trasversale del transetto e l'impostazione su di una pianta all'incirca quadrata, della cupola, o meglio della pseudo-cupola, all'mcrocio di questo corpo con con la navata centrale. Quest'ultima, come il transetto ed il presbiterio, è coperta con una volta a botte realizzata, come tutte le altre e la pseudocupola, in pietra spugnosa calcarea, per evidenti problemi di carattere statico, ed è suddivisa ki campate da sottarchi nascenti dai pilastri compositi e, in corrispondenza delle colonne, da mensole figurate a mo' di cariatidi. Sulle navate laterali « le coperture assumono smgolare forma di volte metà a botte di sesto bicentrico, metà a crocerà (quarto di vela), quelle verso l'esterno, in funzione di archi di spinta, come nei monumenti romanici dell'Auvergne e del Languedoc. Anch'esse vengono rafforzate da archi trasversi che impostano su colonne incastrate nei muri d'ambito sui quali si disegnano arcate cieche a pieno centro » (3). I capitelli che sormontano le quattro colorme, come d'altronde le due basi (una specie di anfora con quattro leoni alati, due dei quali smussati, ed un capitello rovesciato), e le stesse colonne, sono certamente spoglie di più antichi monu(3)
L.
SERRA,
L'Arte
nelle Marche,
Pesaro 1929, p. 110.
38
LUIGI
TONINI
menti, mentre tutti gli altri sono della cosiddetta forma cubica, ornati in ogni faccia di rustiche sculture ispirate ai simboli cristiani, alla flora, aUa fauna ed al lavoro dell'uomo, che « rammentano quelli delle pievi rurali di Toscana » (4). I l presbiterio si presenta notevolmente sopraelevato rispetto al piano della nave, quasi una tribuna chiusa, un santuario a sè, sicuramente riservato al solo clero, in cui i l rito si doveva svolgere in un isolamento austero, al di fuori della curiosità dei fedeh. V i si accede per mezzo di una « scala di venti gradini, che non è l'originaria, ma è taghata, con tutta probabilità, più ampia al posto di essa, di fronte alla navatella di sinistra; doveva farle riscontro un'altra dinanzi alla coUaterale destra, come appare dalle tracce d'iimesto sulla parete del transetto » (5). Si scende invece nella cripta, posta al di sotto del presbiterio, tramite due scale simmetricamente disposte ai lati, in asse e al termine delle navate laterali, ricavate, quella di destra parzialmente, totalmente l'altra, nel vivo del masso roccioso su cui è impostato l'edificio. L a cripta, certamente, come vedremo in seguito, la parte più antica di tutto l'organismo, risulta suddivisa in campate da due pilastri compositi che proseguono l'allineamento di quelli della nave e da « vari rocchi di colorme romane, analoghi a quelli che si vedono abbandonati anche all'esterno della Chiesa e che si vogliono provenienti da un tempio a Giove Feretrio » <6). Su tali elementi portanti si impostano, attraverso capiteUi, i più estemi a cubo, e barbarici con motivi bizantini gli altri, vaghe volte a crociera. Tre bifore, due delle quali chiaramente non originali ma frutto di un restauro abbastanza recente, poste nella facciata. (4) p.
E . BERTI
TOESCA,
145/150. (5)
(6)
L .
SERRA,
Ibidem.
op.
cit,
Le Chiese
di S. Leo,
« L e V i e d'Italia » 1932,
VALORI
ARCHITETTONICI
D E L DUOMO
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,
rischiarano le tre navate; un'altra grande ed interessante bifora e due finestre a strombo, una per parte, illuminano la crociera mentre sia nella cripta come nel presbiterio, la luce penetra attraverso monofore a strombo, e, caratteristica unica del presbiterio, da due occhi di luce. Queste poche e rade aperture provocano forti contrasti chiaroscurali e, per le loro ridotte dimensioni e forme, mantengono l'interno in una penombra rotta da luci violente e radenti che ne accentuano il rifievo plastico. Mentre le semplici linee architettoniche esterne e l'impostazione planimetrica analoga a quella di una basilica paleocristiana a tre navate, priva di transetto, sono espressione inconfondibile dell'architettura romanica lombarda, l'andamento altimetrico e le determinazioni formafi fanno pensare ad influenze, per le volte a botte con archi trasversi, delle architetture protoromaniche, come già detto, deUa Francia meridionale e della Catalogna, e soprattutto di quella borgognona dei monaci cistercensi, specialmente per il verticafismo dell'interno dovuto, oltre che a certi rapporti dimensionali, all'uso dell'arco a sesto acuto, e per la grande pseudocupola traforata nel mezzo (come l'ultima campata defla botte nella navata centrale), da un occhio « quasi avesse dovuto servire da imposta ad una torre, come appunto usava nelle costruzioni dei cistercensi, le cui regole disponevano che la torre fosse non di muratura ma di legno. È da aggiungere che l'ampio uso delle volte che dà importanza al Duomo di S. Leo potè forse essere favorito daUa mancanza di materiale ligneo osservando che la copertura estema di tutta la Chiesa formata da grandi lastroni riposa immediatamente sull'estradosso delle volte senza legname » (7). Se non fu certamente la mancanza di legname, ipotesi tra l'altro in netto contrasto con quella della torre lignea, che favorì la scelta per la copertura di un elemento costruttiva(7)
E .
BERTI
TOESCA,
op.
cit.
41^
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w.r.R Ì O
LUIGI
TONINI
;H:5KA
iitòXfV
mente arduo e vincolante per le spinte che genera, per la scelta, il dimensionamento e la determinazione formale delle strutture portanti, l'ipotesi che la copertura non sia, o non sia mai stata, completa, non è certamente da sottovalutare. Per quanto può riguardare la datazione del monumento, è possibile avere un punto di riferimento da una data rilevabile in uno dei pilastri della navata centrale, precisamente l'ultimo, entrando, a destra, in cui « tra m ornamento di due logore teste, a mezzo rilievo scolpite, sta incisa questa iscrizione, la quale... dice così: Anni Domini Nostri ab Incarnatione M.C.LXXIII Siccome altro non vi si legge, e l'iscrizione è certamente intera, giacché nè sopra, nè sotto apparisce alcuna traccia di altre lettere, e le pietre a queste annesse sono così pulitamente e così bene con essa collegate, ch'è manifesto essere stato in questa guisa tutto il pilastro a prima giunta fabbricato... » (8). Non sono certo mancate le discussioni sul valore e significato di questa iscrizione; alcuni studiosi la presero come datazione di un restauro: u-,.
: i
« L a cattedrale di S. Leo, piccola città del ducato di Urbino, offre un esempio rimarchevole di questa sostituzione dell'arco acuto invece dell'arco a tutto sesto. Questa Chiesa venne restaurata nel 1173, come ci attesta una iscrizione che leggesi nell'interno. Gli archi della nave, la quale è la parte restaurata sono acuti, mentre quelli del coro, che è la prima costruzione, sono a tutto sesto » (9).
e ancora: « Si potrà ora senza incertezza affermare che la cattedrale di S. Leo, mentre dimostra una antichissima fon(8)
G.A.
(9)
S.
LAZZARINI,
D'AIGINCOURT.
op.
cit.,
Storia
p.
307.
dell'arte.
Prato 1829,
C>
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dazione, manifesta ancora, per una iscrizione che ancora conservasi e che il Marini riproduce, come nel 1173 vi avessero luogo tutti quei restauri che visibilmente si scorgono scorrendo le navate » (10). Altri la presero come indubbia datazione delTintero complesso: « Nè vi è da dubitare che essa ['iscrizione] segua veramente l'epoca della costruzione, quando di questa si riguardino i particolari. Nella parte anteriore, come nel transetto, gli archi, raddoppiati, sono già a sesto acuto; e quanto vi è qua e là di scuUure ornamentah può ben riferirsi alla metà del secolo X I I » (11). Altri infine ne mettono persino in dubbio l'autenticità: « Ma a parte che i caratteri della scritta rendono probabile che essa sia stata incisa in tempi assai tardi, la data 1173 è troppo prematura per una costruzione in cui l'impronta gotica è così spiccata. Bisogna spingersi almeno verso la fine del secolo X I I o il principio del X I I I , non essendovi alcun fondamento per una datazione di eccezione se non forse la viva azione dell'arte francese » (12). Si pensa però che per chiaramente intendere l'esatto valore di tale iscrizione sia necessario non solo fare un esame degli elementi formah del monumento, ma soprattutto ricostruirne, attraverso un'analisi comparata di tutti gU elementi che lo compongono, la storia: cosa che si è cercato di fare durante il rilievo che in queste pagine viene presentato. Tale lavoro, impostato alcuni anni fa, inizialmente con la collaborazione degli architetti Nedo Pivi ed Alberto Massi,
(10)
p.
A.
RICCI,
Storia
dell'architettura
557. (11)
E .
BERTI
(12)
L .
SERRA,
TOESCA, op.
cit.,
op.
cit.
p.
111.
in Italia,
Modena
1859,
voi. I ,
42
y--
LUIGI
TONINI
\.y.'j^if,
t^i^-r'
unicamente allo scopo di applicare — per verificarli — alcuni principi metodologici suU'analisi dei monumenti, in vista di una loro possibileriqualificazioneformale e funzionale, non si presenta come una semplice rilevazione dello stato attuale del monumento, ma, proprio per le finalità che lo hanno motivato, come rilievo storicizzato, come rilievo cioè, nel quale e con i l quale si è tentato di ricostruire tutte le fasi costruttive ed i restauri attraverso i quali l'edificio è passato. Alcuni dei risultati dell'indagine sono purtroppo rimasti al puro livello di ipotesi, non solo per l'effettiva diffìcile interpretazione di alcuni elementi e per la scarsità della documentazione rintracciabile, ma soprattutto per i notevoli limiti concessi all'anafisi: fimiti di mezzi, di tempo, di attrezzature e limiti imposti dalla impossibilità di eseguire saggi di un certo rifievo sia aU'estemo che aff'intemo della Chiesa. Nonostante le accennate limitazioni, sono tuttavia scaturiti dall'analisi alcuni fatti altamente significativi che ci hanno indotto a concludere che i l Duomo possa definirsi come i l risultato di una serie di interventi spaziati in un certo intervallo di secoli e pertanto di concezioni spaziali e formali e di esigenze funzionali diverse. Che la fase costruttiva datata non sia la prima ce lo rivela la presenza, sia all'esterno che all'interno del Duomo, di elementi lessicali del tutto estranei e chiaramente precedenti al linguaggio del X I I secolo. Ci si riferisce in particolare a tutti quegH elementi ricavati direttamente per scavo dal masso roccioso e che si possono facilmente osservare nella cripta (testina scolpita, partenza degli archi, scale) nonché all'esterno lungo i lati Nord e Sud. Si tratta certamente di resti di un organismo abbastanza complesso ed articolato, forse l'antico monastero, si direbbe rupestre, su una parte del quale fu costruita nel IX secolo la Pieve, come ci attesta G. B . Marini nel suo Saggio di Ragioni
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43^
della città di S. Leo: « Dentro i l castello di Montefeltro ben può credersi fosse la Chiesa Cattedrale; e si sa di certo, che v'erano due monasteri, uno di S. Leone, di S. Severino l'altro, per attestazione tratta dai registri di Gregorio I L E San Leo ereditò la Cattedrale e ambedue i monasteri; i l primo fu convertito in Vescovado colla Chiesa Maggiore Antica, alla Vergine dedicata [Pieve] » (13). L a nuova Chiesa fu dedicata alla Vergine dato che per la sua costruzione venne scelto il luogo, già certamente profondamente venerato, in cui si trovava il sacello costruito dallo stesso San Leone in onore a Maria Assunta ed in cui egli stesso, dopo la morte, avvenuta il l"" agosto 360, riposò in un sarcofago di pietra. Posteriore, ma non certamente di tre secoli, fu la costruzione di quella parte del Duomo che nei rilievi viene indicata come prima fase, e sicuramente avverme nell'ambito di uno dei momenti di fulgore della vita sociale ed economica, quando come sede vescovile e fortezza inespugnabile con corti regali. San Leo si pose certamente come punto di convergenza di un notevohssimo territorio. Nel 964, con la resa di Berengario I I ad Ottone I , su S. Leo cadde il silenzio e con esso una crisi che si protrasse per circa 150 anni. Secondo la tradizione, nel 1155 la Signoria di S. Leo viene donata da Federico Barbarossa al conte Antonio del ramo di Carpegna che assunse come cognome l'antica denominazione della città, Montefeltro, dando così origine a quella famigUa per opera della quale nel X I I secolo « quella che era una impervia fortezza, posta a sbarramento della Val Marecchia, tra la pianura romagnola e la strada di accesso alla valle del Te-
(13)
G.B.
MARINI,
op.
cit.,
p.
27.
LUIGI
TONINI
vere, divenne una città vescovile assai decorosa e mirabilmente munita... decorosa sede d'una corte cavalleresca e gentile » (14). È in questo spirito di rinnovamento, che pervase sicuramente tutta la città, e di risveglio economico che va inquadrato l'intervento (seconda fase) del 1173, quando tutto il complesso. Duomo, vescovado e Sede dei Canonici, fu profondamente rielaborato presumibilmente per opera di maestranze cistercensi provenienti dalla Francia, con l'ampliamento della Chiesa sino alle dimensioni attuali e la ricostruzione degli altri corpi di fabbrica. Questi nuovi costruttori portarono, si, nuovi modi costruttivi, ma certamente li adattarono a quelli della viva tradizione architettonica del posto e presumibihnente ripresero o proseguirono indicazioni planimetriche già esistenti. Si sostiene che l'intervento del 1173 investì tutto l'organismo per l'evidente unitarietà tra i l corpo della nave, il transetto ed il presbiterio, unitarietà nell'impostazione del sistema statico, basato sul concetto di affidare all'ossatura delle navate laterali la funzione di garantire la stabilità della navata maggiore, e di considerare la copertura a volta come prosecuzione curva del muro perimetrale inteso nella duplice funzione di diaframma tra esterno ed in temo e di organo portante; unitarietà nell'idea: di accogliere cioè i fedeli in una sede severa ed essenziale e di chiuderli entro un vano arcuato ed avvolgente; unitarietà nella forma architettonica, che chiaramente riflette la stmttura possente, ordinata ed articolata della società dei X I I secolo. L a particolare differenziazione formale degli archi, che tante discussioni ha suscitato, potrebbe essere stata suggerita dalla necessità di contenere al massimo nel corpo della nave — data anche la positura dell'edificio — le spmte longitudinali.
(14)
G .
FRANCESCHINI.
/
Montefeltro,
Dall'Oglio,
1970,
p.
113.
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LEO
A tale proposito possiamo ricordare che tanto l'arco a sesto acuto, che a parità di larghezza della campata provoca una spinta laterale minore, quando gli archi di spinta trasversali, chiaramente individuabili nella strutturazione delle navate laterali, e le arcate cieche nei muri d'ambito, sono tutti elementi del linguaggio del romanico cistercense quale si sviluppò attorno al Mille; e che proprio da questi elementi, chiarificati nella loro funzionalità e generafizzati nel loro uso, nasce il linguaggio gotico del quale i cistercensi furono il principale tramite di diffusione. Ritornando ora a delineare la storia dell'edificio, la presenza di tracce di porte, una di fronte alla porta d'ingresso e due nel lato Sud (di quest'ultime una nel muro del transetto e l'altra in quello del presbiterio) ci rivelano — come d'altronde ci attestano le rare memorie rintracciate — che il Duomo nel secolo X I I non si presentava come edificio isolato, ma bensì come corpo di fabbrica di un organismo piti complesso. Osservando che la porta del transetto risulta oggi, per la sua altezza, impraticabile dall'interno, nacque il dubbio che i l liveUo deUa nave non fosse l'originale : un piccolo saggio non solo risolse tale dubbio, ma, confrontando altimetricamente la positura della base scoperta con quella delle basi ancora, seppur parzialmente, visibili nella navata opposta, dette la prova di un'affascinante ipotesi che, a livello di intuizione, era sorta durante i rilievi, cioè che la struttura deUa Chiesa fosse stata posta, nel X I I secolo, molto liberamente —- come molto libera è l'impostazione planimetrica : non un angolo retto, non un asse di simmetria, non un interasse costante — su piani a quote diverse, piani che è pensabile ritenere preesistenti e forse reafizzati per soluzioni e scopi diversi. Sarebbe oltremodo interessante ricostruire con ulteriori saggi l'esatta positura di questi piani, il cui movimento doveva magistralmente concludere a terra la già pur superba plasticità dell'alzato.
46
LUIGI
TONINI
Un'altra nota di notevole importanza dovevano pur essere le due scalette che, molto più rapidamente dell'attuale scala, dovevano collegare i piani della nave con quello del presbiterio e delle quali peraltro sono ancora chiaramente visibili le tracce. Successivo a questo, si scopre un altro intervento (terza fase), che può definirsi di restauro creativo. Si attribuiscono ad esso, sempre per presumibile opera di maestranze cistercensi, la ristrutturazione della volta della navata centrale e della pseudocupola, forse crollate per l'eccessivo peso e ricostruite con materiale piìì leggero, nonché l'isolamento di parte dell'edificio. Un ulteriore importante intervento (quarta fase) si ebbe nel X V I secolo, precisamente nel 1554, quando, completato l'isolamento del Duomo con la demofizione del Vescovado, cercando di attenuare la complessità dell'organizzazione interna, si portò in piano il pavimento della navata col conseguente interramento delle basi dei pilastri di destra e si sostituirono le due ripide scalette del presbiterio con due di minor pendenza e maggior larghezza, procedendo alla chiusura deUe scalette della cripta ed alla loro sostituzione con una posta al centro, ed infine alla intonacatura delle pareti inteme. A parte le considerazioni di carattere formale e le tracce rilevabifi, un'ulteriore prova di tali lavori la possiamo trovare nella già citata lettera del 1757 in cui vengono descritte le due Chiese di S. Leo e in cui tra l'altro si legge: « Le due navate laterali del Duomo hanno su in cima due comode e belle scalinate larghe tutta quanta la navata, ciascuna di venti gradini, che portano al piano elevato del Presbiterio, il quale é circondato da balaustra. Queste scale però, e questa balaustra, come si veggono al presente, sono opera non antica, ma fatta fare da non so qual Vescovo, cred'io, del secolo passato. Sotto al Presbiterio vi é la confessione sostenuta da colonne, a cui si
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47
discende da alquanti scalini del piano terreno della navata di mezzo... L'interiore della Chiesa Pieve, è stato imbiancato con un'intonacatura di calce; e lo stesso è avvenuto delle pareti del Duomo, a riserva dei pilastri » (15).
Lasciato poi per secoU in uno stato di completo abbandono, verso la fine del secolo scorso ci si accorse che il Duomo « reclamava solleciti provvedimenti sì all'interno che all'esterno per la sua conservazione. Necessario anzi indispensabile, era un lavoro d'incatenamento delle arcate per efiminare ogni spinta che tendesse ad aprire la navata centrale ed a spostare le laterafi, accelerandone la rovina. Pur conveniente era lo scoprimento della cortina in pietra delle pareti defia navata centrale, già coperte d'intonaco, e necessario del pari erano il restauro delle volte delle navate minori e dell'abside; nonché a tempo la totale ricostruzione del pavimento » (16). Tutti questi lavori di consolidamento e restauro dell'interno iniziarono nel mese di aprile del 1893, mentre non si dette mano ad un altro lavoro parimenti consigliato, il rifare cioè « la rimasta copertura a squame, senza alterarne l'attuale fisionomia e procurando di garantire l'estradosso sovra il quale irmnediatamente posa la copertura con un battuto a cemento, o con un mattonato a pozzolana, affinché ad ogni eventuale spostamento dello squame, l'acqua, riversandosi sopra un compatto piano inclinato, trovasse insormontabile ostacolo che l'impedisse d'infiltrare nelle volte sottostanti » (17). I piti recenti interventi furono compiuti in quest'ultimo secolo, precisamente nel 1925, quando, demofita la scala di destra del presbiterio e riaperte le due scalette della cripta, fu demolita quella centrale, fu costruito il corpo di fabbrica ora adibito a sacrestia e fu demolito quello che era stato ad(15)
G.A.
L A Z Z A R I N I , op.
cit.,
p.
307.
Relazione del comm. G I U S E P P E C O N T E Monumenti Marche ed Umbria, R o m a 1 9 0 3 . (16)
(17)
Comm.
GIUSEPPE
CONTE
SACCONI,
op.
SACCONI,
cit.
Ing. Capo dei
48
LUIGI
TONINI
dossato, non si sa in quale anno e con quale funzione, ad una parte del lato Sud; e nel 1934, quando contemporaneamente ad opere di consolidamento della Pieve, furono eseguiti diversi lavori di restauro alle superfìci sia esterne che inteme e aperte le due finestre al termine delle navate lateraH. Ora questo monumento che pur è uno dei pili espressivi dell'architettura medioevale quale si espresse nell'Italia centrale, risulta in parte muto e sordo ad ogni comunicazione, per cui si pensa che ogni eventuale e necessaria operazione di riqualificazione debba essere impostata solamente nel senso di una sua rivitalizzazione, cioè nel farlo megfio corrispondere aUe attuali esigenze della collettività. Tutto questo vuol dire renderlo piià appropriato ad un uso, pratico o culturale che sia, intendendo quest'ultimo come facoltà del monumento di essere espressione chiara e nitida, e perciò comprensibile da chiunque, dei valori culturali che lo hanno generato. In questa prospettiva va sottolineato quello che è stato uno dei maggiori limiti dell'analisi : la mancata chiarificazione di quelle che furono le motivazioni dì carattere sociale, economico e refigioso che portarono a creare un complesso religioso notevole per mole, complessità costruttiva e raffinatezza formale, che subito sicuramente si erse come punto di convergenza di un estesissimo territorio, ma non fu polo di sviluppo di quelle strutture urbane che pur lo contenevano.
FRANCESCO V . L O M B A R D I
Vorigine dei faggiolani alla luce di un documento inedito
L a figura di Uguccione deUa Faggiola non poteva mancare di sollecitare gli storici ed i genealogisti, antichi e moderni, nel tentativo di inquadrare il personaggio sullo sfondo della sua famiglia e del luogo donde questa ebbe origine. I l particolare interesse fu suscitato sia dalle note vicende di cui egfi fu protagonista a cavafio fra i secoli X I I I e XIV, sia dal problema, a lungo dibattuto ed ancora aperto, se proprio ad Uguccione sia stata dedicata la cantica dell'Inferno dantesco (1), sia dalla discussa identificazione dello stesso personaggio con il « Veltro ». Certo è che già il Boccaccio, circa l'anno 1364, ancor vivi i diretti discendenti di Dante, poteva testimoniare che il Poeta, durante il suo esifio, «... quando con quelli della Faggiola,
1) È bene precisare che il documento, comprovante tale dedica, è stato oggetto di critica serrata da G . B I L L A N O V I C H , La leggenda Dantesca del Boccaccio, in Studi Danteschi X X V I I I , (1949), il quale l'attribuisce ad una « inventio » retorica del Boccaccio stesso. Si tratta, c o m ' è noto, della famosa lettera ad Uguccione da parte dì un frate Ilario del Monastero del Corvo, « in faucibus Macre » dalla quale si desumerebbe anche un ipotetico viaggio del Poeta a Parigi. N u l l a vieta di pensare che una tale dedica possa esservi stata effettivamente, in quanto, se il Boccaccio la riporta, qualche « voce » poteva ben circolare in tal senso per la terra di Romagna, nelle cui cancellerie soggiornò fra il 1345 e il 1348. M a , finora niente autorizza a concludere che un assunto storico del genere possa trovare la sua base proprio in tale lettera, anche se sussistono inspiegabili (ed inspiegate dallo stesso Billanovich, pag. 88 nota), similitudini ed assonanze terminologiche fra la lettera d'Ilario ad Uguccione — che sarebbe spuria — e quella, rinvenuta successivamente, di Dante a Cangrande della Scala — che sarebbe vera. Parimenti, fra l'altro, non si p u ò con sicurezza identificare Uguccione con il Veltro dantesco, neppure richiamandosi al sirventese ghibellino romagnolo del 1277 (cfr. A . F . M A S S E R A , / / Sirventese romagnolo del 1277, in Archivio Storico Italiano, Firenze 1914, pagg. 3-17), dedicato al conte G u i d o da Montefeltro. ,^
52
FRANCESCO
V,
LOMBARDI
ne' monti vicino ad Urbino, assai convenevolmente, secondo il tempo e le lor possibilità, onorato si stette » (2). L'Annalista Vicentino (1330 ca.), che certamente aveva avuto notizie bene informate, dice che Uguccione « Populo dominabatur exiguo, quae quidem ora, ut perhibent. Massa Trabaria nuncupatur » (3), in quanto i possedimenti dei Faggiolani si estendevano in tale terra, specie dopo il diploma di Ludovico il Bavaro (1328) (4). Di simile orientamento sono i versi encomiastici di Fazio degli Uberti, ghibellino come Uguccione, mentre i l guelfo Dine Compagni si era limitato a definirlo, con un certo disprezzo: « Rilevato di basso stato » (5). Albertino Mussato, pure storico contemporaneo, afferma che i l casteUo principale dei Faggiolani si trovava nel comitato di Rùnini (6), forse sulla scorta di antichi e perduranti legami fra essi e tale città, al pari di altri signori feretrani (7). Ma forse è piìì probabile che l'errore sia dovuto affa necessità di chiarire con immediatezza l'ubicazione geografica di un oscuro castello che aveva dato i natali a così noto personaggio: in realtà la Faggiola era alle sorgenti di quelfiumeMarecchia che, appunto a Rimini, aveva la sua foce. G . B O C C A C C I O , Trattatello X V , pag. 1 1 5 , Livorno 1 9 0 8 .
(2)
cap.
in laude di Dante,
a cura di G . Gigli,
(3) FERRITI VICENTINI, Histpria, in R . I . S . , t. I X , col. 9 7 8 , Milano 1 7 2 9 - 1 7 3 8 . E non si dimentichi che Uguccione era stato diverso tempo a Vicenza, con incarichi pubblici.
( 4 ) F . BocK, Mittelalterliche Kaiserurkunden in Alten Urbinater in Quellen und Forschungen, voi. X X V I I , pag. 1 6 1 , R o m a 1 9 3 6 - 3 7 . (5)
FAZIO
DEGLI
UBERTI,
Dittamondo,
libro I I , cap. XXX, vv.
Archiv, 46-48,
a cura G . C o r s i , Bari 1 9 5 2 . D I N O C O M P A G N I , Cronica, a cura di I . D e l Lungo, in pag. 1 4 6 , Città di Castello 1 9 0 7 . (6) Milano
A.
MUSSATO,
De
Gestis
Italicorum,
in R . I . S . ,
R.LS.2,
t. X V I ,
t. X, col.
601,
1729-38.
(7) L . T O N I N I , Della Storia L X X X I , pag. 5 1 9 , R i m i n i 1 8 6 2 .
sacra
P. L i T T A , Famiglie celebri Italiane, feltro, tavola unica, Milano 1 8 5 0 .
e civile Signori
riminese,
voi. I I I ,
della Faggiola
nel
:'^;!: .> •
app.
Monte. , ;Ì-
L'ORIGINE
DEI
53
FAGGIOLANI
Ma è fuor di dubbio che il castello della Faggiola, sopra Casteldelci, sia sempre stato sotto la giurisdizione ecclesiastica di Montefehro e considerato incluso nel perimetro di quel « comitatus » di Montefeltro, nel cui territorio, peraltro, la giurisdizione civile era prerogativa di innumerevoli feudatari locali e di famiglie consortili libere. Infatti Benvenuto da Imola, nel suo famoso commento alla Divina Commedia (1376), ben chiaramente specifica che, oltre ai Montefeltro, e ai Malatesta, anche Uguccione era originario del Montefeltro (8), Lo stesso Marco Battagfi, annalista riminese del X V secolo, individua bene l'origine e la successiva espansione territoriale dei Faggiolani : « De Hugguiccione de Fazola. Domus de Fazola vacante Imperio in Italia incepit esse magna, partem Imperi] semper prò posse penitus secuta in Monteferetro, et Romandiola et Tuscia » (9). Dopo queste antiche notizie, non si comprende come mai gfi Annalisti Camaldolesi fanno derivare questa Famiglia dal territorio di Caprese, in quel di Borgo S. Sepolcro, senza addurre alcuna prova attendibile (10). Fra gli altri, ricordati dal Muzi (11), nessuno riesce ad inquadrare esattamente la zona d'origine dei Faggiolani, forse per mancanza di conoscenza geografica diretta dei territori, che pure, in tutti gli atti loro, sono sempre ben individuati. Lo stesso Muzi ,oltre a dare un'inesatta descrizione dell'arma dei Faggiolani, (tre sbarre d'oro, invece di una sola, obliqua in (8)
BENVENUTI
IMOLENSIS,
Antiquitates Italiae
Medii
Aevi,
Commentarium Milano
in
Dantis
Comedia,
1738-1743, t. I , col.
in
1102:
«et
sicut Ugucio de F a g ì o l a de eisdem montibus » è detto nel trattare di G u i d o d a Montefeltro, Inf. (9)
M.
di Castello (10)
XXVII.
BATTAGLI,
Annales
in R . I . S . 2 , t. X V I , p. I l i , pag.
Camaldulenses,
t. V , pag. 229, Venezia (11)
Marcila,
37,
Città
1912.
G.M.
Città di Castello
MUZI,
1844.
di G . B .
MITTARELLI
e
A.
COSTADONI,
1758-1760. Memorie
civili
di Città
di Castello,
t. I , pag.
83,
54
FRANCESCO
V.
LOMBARDI
campo rosso), segue la tesi di Mons. Oraziani e li fa derivare anche lui dal territorio di Caprese (12). I l che, se pure per i tempi più remoti, non è da escludere sulla scorta di vari indizi (tutta la nobiltà della zona tiberina e anche del Montefeltro, avrebbe avuto la sua primitiva origine nei « longobardi » di Caprese), resta da provare come fatto storico sul piano della documentazione. D'altra parte, anche i l maggior studioso delle gesta di Uguccione, i l grande storico napoletano del XIX secolo, Carlo Troya, il quale al line di conoscere « de visu » la zona del suo presunto « veltro » dantesco, si è arrampicato su queste giogaie del Montefeltro, fu tratto in inganno dalla denominazione della omonima Faggiola situata vicino a Montecerignone, che non appartenne mai ai Faggiolani, bensì ai Conti di Montefeltro (13). Questo autore era troppo teso a dimostrare l'identificazione del « veltro » con Uguccione, e a tal fine, proprio in mancanza di fonti documentarie precise, forse inconsapevolmente, era portato a nobilitare la sua origine facendolo derivare dal più illustre Casato della zona, quale era quello dei conti di Montefeltro. Già nella prima delle due pubblicazioni dedicate al « veltro », aveva fatto discendere i Faggiolani da un ramo dei conti di Carpegna: «... giova il pensare che alcun titolo di eredità ovvero di appannaggio assegnò ad un Ranieri di Carpegna la fortezza della Faggiola, Poscia si accrebbe insieme, (12)
Ivi, pag.
90.
C . T R O Y A , Del Veltro allegorico dei Ghibellini, Napoli 1856, si sforza di sostenere il contrario. M a che la Faggiola di Montecerignone continuasse a rimanere nella giurisdizione comitale dei Montefeltro, ce Io conferma proprio un atto da lui stesso pubblicato a sostegno della sua tesi, senza accorgersi che tale documento (app. X X I I pag. 332) prova proprio l'inverso. Si tratta della vendita del « castellare » della Faggiola del Conca, fatta al Comune di Macerata (Feltria) da parte di vari proprietari, i quali affermano di averlo acquistato dall'ancor vivo Taddeo, figlio del fu conte Malatesta « de Petra Rubea ex Comitibus Montis Feretri ». Tale atto risultava giacente nell'Archivio del Conte di Carpegna, trascritto nel libro « Delle Antichità e Privilegi di C a s a Carpegna », parte I , n. 78. (13)
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DEI
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FAGGIOLANI
declinò insieme la prosperità dei conti di Carpegna e dei Faggiolani: comuni furono alle loro case i nomi, le divise, le insegne » (14). Il problema genealogico venne più acutamente svolto dal Passerini sulle « Tavole » del Litta, tramite un'attenta successione di personaggi ed una localizzazione precisa dei feudi. Ma, per quanto riguarda questo autore, non si riesce a capire come mai abbia voluto la forzatura storica di far derivare, anche lui, i primi Faggiolani (cioè Ranieri di Ranieri, padre di Uguccione), da Taddeo, conte di Montefeltro e figlio di Montefeltrano. I l primo a proporre quest'ipotesi fu il Clementini (15). Da rilevare ancora il Repettì, i l quale indica come primo feudo dei Faggiolani, quel castello di Corneto, sul versante del Savio, che fu parimenti loro possesso, identificando il « Rinier da Corneto » (Inf. X I I , 137), con Ranieri padre di Uguccione (16). Tralasciando altri che non hanno apportato rilevanti novità sul problema delle origini della Famiglia, un erudito locale infine, il Dominici, ha riproposto il problema in termini di localizzazione geografica, ribadendo che la patria dei Faggiolani va ricercata nel Montefeltro, ed esattamente sullo spartiag^ue fra il fiume Savio ed il Senatello-Marecchia, fra la zona di Casteldelci e quella di Alfero, cioè sui primi contrafforti del versante adriatico che digradano dal massiccio del monte Aquilone-Fumaiolo (17). Lo stesso autore non è stato poi in grado di delineare la primitiva successione genealogica dei personaggi e di trovare C . T R O Y A , Del Veltro allegorico di Dante, pag. 11, Bari 1932. (15) P. L i T T A cit., tavola unica. C . C L E M E N T I N I , Raccolto Istorico ecc. Rimini 1617, pag. 5 3 5 . (14)
(16) E . R E P E T T Ì , Dizionario t. I I , pag. 8 4 , Firenze 1 9 3 5 .
(17) L . tria 1959.
DOMINICI,
S.
geografico
Agata Feltria
fisico e storico
illustrata,
della
Toscana,
pagg. H O ss., Novafel-
FRANCESCO
V.
LOMBARDI
Fanello di congiunzione con i Signori di Casteldelci, limitandosi a farli risalire, sic et simpliciter, ai Carpegna. Ecco, dunque, che si prospetta di una qualche utilità i l tentativo di riaprire i l discorso, con metodo rigoroso e sulla scorta dei documenti editi ed inediti, nella speranza che possano venire alla luce ulteriori prove che valgano a confermare, e magari a correggere, le nostre argomentazioni, sviluppandole in ampiezza ed in profondità. Da parte nostra si tenterà di svolgere il tema, procedendo a ritroso, dai personaggi posteriori nel tempo, per risalire man mano ai più antichi fra quelli conosciuti, seguendo due filoni distinti, nella prospettiva di giungere ad un unico vertice. L a nostra base di partenza poggia sulla considerazione che per tutto il secolo X I I I e fino al secondo decennio del XIV, i signori di Casteldelci, oltreché costituire una Famiglia ben distinta dai Faggiolani, non risultano essere stati loro soggetti in modo alcuno. Infatti, solo nel 1328 anche Casteldelci figura fra i possessi dei Nobifi di Faggiola (18), i quali dovevano averlo acquistato verso il 1316(19). Che le due famiglie siano state distinte, nonostante che i l castello principale della Faggiola fosse proprio sovrastante il borgo di Casteldelci, è comprovato da un atto del 1313 (20). In esso risulta che Donna Guitta del fu Ranieri di Casteldelci aliena terre, « latere Dominorum de Fagiola ». ' Non sappiamo se questo Ranieri si possa identificare con quel « Nobilis Vir Nerius, filius olim Lupi de Castro lUicis »,
(18) A . T H E I N E R , Codex diplomaticus t. I , n. 7 2 6 , pag. 5 5 4 , R o m a 1 8 6 1 . (19) L a data 1 3 1 6 , in A . M . Z U C C H I 2 3 5 , ms. in Archivio Comunale Pennabilli.
domimi TRAVAGLI,
temporalis Annales,
S.
Sedis,
t. I T I , fol.
(20) A . M . Z u c c H i T R A V A G L I , Storia Ecclesiastica del Montefeltro, pagina 2 9 , Pesaro 1 7 4 5 . Unico esemplare esistente in Bibiblioteca OHveriana Pesaro, bianche le prime 2 5 pagine.
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DEI
FAGGIOLANI
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ricordato in un atto del 1311 (21), ma è ben verosimile, data l'identità dei possessi. Pure dello stesso casato dovrebbe essere quel « Ranieri de Castaldeto » che nel 1288, con altri, viene posto sotto la giurisdizione del Rettore di Massa Trabaria (22); e fors'anche quel Ranieri d'Ancisa, (località poco a monte), che è parte nel lodo con i conti di Carpegna e l'abate dì Badia Tedalda, nell'anno 1267 (23). Questi Ranieri non vanno assolutamente confusi con quello della Faggiola, vivente contemporaneamente, e padre di Uguccione: le frequenti omonimie di personaggi appartenenti a famiglie, consanguinee o meno, sono presenti anche nel Montefeltro. Ecco perchè è necessario chiarire che la successione dei Faggiolani si articola parallelamente a quella dei nobili di Casteldelci, su un territorio contiguo. Nel 1298, al lodo con l'Abbate del Trivio, figurano Uguccione e Ribaldo, anche a nome del fratello Fondazza, tutti « quondam Raynerii de Fazola » (24). Dunque, questi era già morto a tale data e con ogni probabilità il suo decesso risaliva al 1292 circa (25). Era, però, ancor vivo nel 1289, quando è ricordata una sua precedente mediazione nell'atto con cui i conti di Carpegna liberano dalla serviti! gli abitanti di Bascio, in Val Marecchia (26). Ma, evidentemente, a causa della sua età avanzata, la direzione della pohtica familiare era in mano aifigU: infatti, tre anni prima, nel 1286, Uguccione presenzia al trattato d'armistizio nell'alta valle del Tevere (27). Questi già si era fatto notare per i fatti d'arme del 1281-82 « ... et in ilio tempore
(21)
Ivi, pag. 59.
(22)
A.
(23)
Copia in ms. 376, I V , ce.
(24)
A n n . C a m . cit., t. V , pag. 335.
THEINER
cit.,
n.
457,
pag.
295.
19-20, Biblioteca OHveriana Pesaro.
(25) E . R I B U S T I N I , Cenni sulla Famiglia della Faggiola e t c , in G u i d a Illustrata dell'alta valle del Tevere, pag. 331 ss., Rieti 1901. (26)
Libro
(27)
MUZI,
Nero, Mem.
Archivio Palazzo Carpegna, Carpegna. Civ.
cit.
t.
I,
pag.
84.
58
FRANCESCO
V.
LOMBARDI
comhustus fuit Mercatellus et Petra Rubea et fuit in Illa cavalcata Uguzonus de Fazola... » (28). Nel 1274, comunque, Raniero della Faggiola, è già un personaggio di primo piano della zona e possiede molte terre di questa fascia d'Appennino, come risulta da una convenzione fatta dagli uomini di Monte Coronaro con i monaci del Trivio (29); nel 1268, i l vescovo Nicolò di Città di Castello consacra la chiesa di « S. Maria in Prateria », (oggi Pratieghi), e « Raniero Fasciola » la dota (30). È noto, infatti, che i possessi dei Faggiolani ricadevano nelle circoscrizioni di altre diocesi, quali quella di Sarsina e castellana, oltre alle pertinenze nella diocesi di Montefeltro. Ancor oggi i vertici delle singole circoscrizioni si toccano nell'altura denominata « poggio dei tre Vescovi » (31). Le più antiche notizie di Ranieri sono quelle del 1256, quando figura nel trattato fra i Montefeltro, i Massani e Città di Castello (32), nonché quella del 1252 (33), citata nei libri regesti del Comune di Casteldelci (34). Non ci risulta che la storiografia sia risalita più a ritroso. Ecco perché è opportuno analizzare i due atti che chiariscono la precedente dinastia dei Faggiolani, di cui uno almeno, direttamente o indirettamente conosciuto dal Troya e dal Ga-
(28) A . L e z i o , / Corradi, di Gonzaga, signori di Mantova, Storico Lombardo, X L (1913), voi. X X , pag. 140. (29)
P. L i T T A
in Archivio
cit.
(30) G . M . M U Z I , Memorie ecclesiastiche pag. 163, Città di Castello 1842.
di Città
di Castello,
voi. I I ,
(31) Confinante è ora la diocesi di Sansepolcro, Ì cui territori facevano già parte di quella castellana. (32) G . M . M u z i , Mem. l'anno 1266).
Civ.,
cit. t. I , pag. 24 (per errore è indicato
(33) L . D O M I N I C I cit., pag. 147, dà la data del 16 maggio 1252. I l T r o y a , cit. ( E d . 1856), A p p . V , pag. 283, dà la data 16 marzo 1252. (34) P . A . C A L V I , Ad Pseudo Feretranum Apologeticon, pag. 31, Venezia 1739, non si menzionano nè date, n è personaggi, rinviando « E x Libris Regestis Communitatis Castri lUicìs.
L'ORIGINE
DEI
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FAGGIOLANI
murrini (35). È questo l'atto con cui Ugo, conte di Montedoglio, vende a Uguccione Novello, figlio del fu Uguccione di Taddeo, la metà del castello di Fresciana, alle sorgenti del fiume Marecchia (36). L a data è del 10 aprile 1258. L a pergamena della vendita dell'altra metà risulta finora inedita; in essa si legge « ...Ranerius de Fagiola filius olim domini Ranerij de Casaldelci... vendidit seu revendidit et tradere et dare promisit ... domino Uguicioni novello fìlio condam domini Uguicionis Dadei de Fresciana ... medietatem castri totius de Fresciana prò indiviso et medietatem ipsius curie et districtus ... prò pretio et nomine iusti pretii quatuor centum viginti quinque libras bonas ... Actum in burgo Sancii Sepulcri ... Et ego Salutius imperiali auctoritate iudex ordinarius et notarius... » (37). L'atto porta la data del 13 settembre 1258. Da esso, dunque, si deduce che Ranieri detto della Faggiola, padre di Uguccione, per sua stessa esplicita ammissione, è figlio di Ranieri di Casteldelci. Questi altri non è che quel Ranieri, figlio di Taddeo, citato nell'atto del 1232 dal fratefio Uguccione di Taddeo di Casteldelci, allorché sottopone i suoi beni alla S. Sede. Questi castelfi erano : Alfero, Corneto, Nasseto, Montegiusto, Fragheto, Vifie di Monterotondo, Ville di Calanco, Rocchetta, Selvapiana, « Montis Portiule », Fonte Chiusi, Castello Vecchio (della Faggiola?), Monte Rotolino, Rofelle, Fresciana, tutti fra alto Savio e alto Marecchia (38). Proprio l'indicazione di quest'ultimo castello ci consente di identificare il precedente Uguccione di Taddeo di Fresciana con Uguccione di Taddeo di Casteldelci. Infatti è noto che, negli atti privati, in mancanza di cognomi, i vari signori ve-
(35) C . T R O V A cit. a nota 1 4 ) , pag. 1 2 . E . G A M U R R I N I , Istoria genealogica delle Famiglie umbre. Famiglia Bufalini, t. I I , pag. 1 9 1 , Firenze 1 6 7 1 . ( 3 7 ) Archivio di Stato Firenze, Cartapecore della Convento 7 8 , filza 1 7 6 .
(37) (38)
Ivi, filza 1 7 3 . L A . M U R A T O R I , Antiquitates
cit., t.
I,
col.
226.
nobili
toscane
e
Badia
Fiorentina, .
60
FRANCESCO
V.
LOMBARDI
nivano designati ora col nome di uno, ora col nome di un altro dei loro possedimenti sui quali avevano giurisdizione. Si rileverà come, già in tale epoca, Uguccione ed i l fratello Ranieri, figli di Taddeo, possedessero un territorio esteso quanto quelli dei conti di Carpegna o dei conti di Montefeltro, e fossero quafificati come « nobili », pur non avendo il titolo comitale. ^ Riprendelfto l'esame degli atti citati, si noterà che l'acquirente è Uguccione Novello, figUo di Uguccione di Taddeo di Casteldelci, cugino di primo grado ex-patre del venditore, cioè di Ranieri della Faggiola, capostipite del ramo omonimo e padre del grande Uguccione. Siccome i venditori sono due, Ugo di Montedoglio e Ranieri della Faggiola, ciascuno di metà di un castello « prò indiviso », e siccome nel secondo caso si tratta di una rivendita a Uguccione NoveUo, vien spontaneo pensare che gli stessi Faggiolani avessero acquistato, in un primo tempo, la metà del castello di Fresciana, appartenente al ramo collaterale per la divisione avvenuta, al fine di ricomporre la proprietà, aggiungendola alla metà loro spettante per eredità e diritto di divisione. Successivamente è pensabile, ma non dimostrabile, che metà di detto casteUo sia andato in dote, sempre « prò indiviso » ad una donna dei Faggiolani sposa a uno dei Montedogfio, finché il conte Ugo, con l'atto dell'aprile del 1258, lo vende ad Uguccione Novello. Non si può escludere, tuttavia, altra diversa causa della cessione ai Montedoglio da parte dei Faggiolani. Spezzata nuovamente l'unità del castello, pur rimanendo « prò indiviso » la proprietà ed i diritti giurisdizionafi, è comprensibile come Ranieri della Faggiola trovi conveniente rivendere l'altra metà allo stesso Uguccione Novello, del ramo di Casteldelci e Fresciana, il quale, in tal modo, ricompone i diritti reali e personali del castello di Fresciana, con tutta la curia ed i l distretto, nelle proprie mani.
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DEI
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FAGGIOLANI
Come, poi, i suoi discendenti abbiano perduto il nome ed il possesso di detto castello, si desume da un atto del 1271, riportato nella Cronaca della Badia Fiorentina, sempre all'Archivio di Stato di Firenze. Con esso, il « Dominus Uguicio olim Uguicioni de Fresciana, cum fìlio suo Berardo », vende a Tedalgrado, abbate del Monastero di S. Angelo de' Tedaldi « de Massa Trabaria Castellanae Diocesis », acquirente a nome e per conto dello stesso Monastero, tutto i l castello di Fresciana. Da quanto sopra esposto risulterà chiaro che le due famiglie, di Faggiola e di Casteldelci, erano originarie dal medesimo ceppo. Uguccione e Ranieri erano fratelli e figli di Taddeo di Casteldelci, forse gli stessi « de Massa Trabaria » che, nel 1220, sono presi sotto l'apostolica protezione da papa Onorio I I I , dietro canone annuale di un falcone da caccia (39). B sempre da tenere presente che molte delle loro terre, da parte della curia romana erano considerate come facenti parte defia Massa, e che lo stesso censo di « unum asturem » ritorna nell'atto del 1232, sopra citato. Sembrerebbe, tuttavia, che già dal 1234 i due fratelli avessero diviso le proprietà, o per lo meno alcune di esse, stante il fatto che Uguccione di Taddeo, per conto suo e senza il fratello Ranieri, per sè e per i suoi figfi, giura cittadinanza al Comune di Rimini (40). Comunque sia, il padre loro, di nome Taddeo, non può essere affatto identificato con il conte Taddeo di Montefeltro, in quanto questi era vivo ancora nel 1249 e non avrebbe permesso ai suoi figli di disporre di beni e territori. Inoltre, a parte il fatto che i beni della zona di Casteldelci non figurano fra quelU della convenzione dei Montefeltro con Rimini (41), non è certo credibile che se il conte Taddeo rimase nella consorteria feltresca, ai suoi figli fosse permesso uscirne. (39) Roma
Regesta
Honorii Papae III, a cura di P. Pressutti, voi. I I , pag. 4 4 7 ,
1888.
(40)
L.
(41)
Ivi, app. X L V I I I , pag. 4 5 1 .
TONINI
cit., voi. I l i , app. L X X X I , pag.
519.
,.>i^^:>-
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FRANCESCO V. LOMBARDI
Si è fatto anche il nome di Taddeo, conte di Carpegna, vivo nel 1223 (42); il ripetersi dei nomi e la contiguità dei feudi potrebbe costituire, unitamente alla somighanza degli stemmi, solo un tenue indizio a favore. Ma resta, comunque, sempre da provare con documenti appropriati, e non con supposizioni, la linea di comune discendenza. D'altronde i Carpegna, come pure i Montefeltro, sono sempre qualificati come « comites », titolo risalente a più antiche investiture, mentre gli antenati di Uguccione della Faggiola, e anche i suoi discendenti, vengono designati solo come « nobiles »; e parimenti si rileva per quelH di Casteldelci. Con ogni probabilità altri non erano che uno dei tanti gruppi, o consorterie di uomini liberi che, poco a poco, hanno ampliato i loro originari possedimenti. Anzi, si ha l'impressione che in tutta la zona del Montefeltro, da secoli, si fossero stanziate innumerevoli famigUe autonome, indipendenti e, di fatto, con propria giurisdizione. Tali gruppi riconoscevano, secondo i tempi e le vicende storiche, secondo i loro interessi immediati o le loro propensioni ideologiche, talora la suprema, ma lontana, autorità dell'Imperatore, talora quella altrettanto tenue e precaria, della Chiesa romana. Anche i conti di Montefeltro, nonostante che tale predicato possa far pensare erroneamente ad una giurisdizione su tutto il « comitatus », altri non erano che una di queste famiglie, al pari dei conti di Carpegna, dei signori Malatesta, dei Guidi di Petrella, dei conti di Piagnano, e di tanti altri ancora, se si considera la primitiva esiguità dei loro domini, agli albori del X I I I secolo (43). Fra questi, dunque, si collocano anche i Faggiolani ed i nobiU di Casteldelci. (42)
E . WINKELMANN,
Acta
Imperli
Inedita,
t.
II,
pag. 16, Innsbruck
1885. (43)
L.
TONINI
prossimo saggio.
cit., in nota 41). Tale ricerca sarà oggetto di un mio
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Concludendo, i l Taddeo progenitore di questi ultimi dovrebbe essere quello ricordato come confinante di uno dei beni di proprietà della « Cella inter Paras », in un atto del 1211 (44). Non è, invece, possibile stabilire quale rapporto di parentela questi avesse con quell'« Orlandus de Casteldilce », che è uno dei « milites » nella guerra fra Rimini e Cesena (1216), sotto i l comando mifitare di Buonconte da Montefehro, e che da lui ottengono i l compenso per il servizio prestato alla testa delle proprie singole masnade (45). Ecco, dunque, che si è cercato di far luce sul discusso problema e di delineare, con il maggior ordine possibile, la genealogia dei Faggiolani e dei nobifi di Casteldelci. I l lavoro non sarà stato disutile, soprattutto se verrà considerato come base per ulteriori approfondimenti. A tal fine, per maggior chiarezza, si propone la struttura di uno schematico albero genealogico, suUa scorta delle argomentazioni che si è cercato, via via, di sviluppare. Taddeo di Casteldelci (1211)
I
Ranieri di Casteldelci (1232) Ranieri della Faggiola (1252-1292)
1 UGUCCIONE DELLA
Uguccione di Casteldelci (1232-1234)
I Uguccione Novello di Fresciana (1258-1271)
Ranieri di Casteldelci (1288)
I
Lupo (?)
FACCIOLA
(1250 c a . - 1 3 1 9 )
Berardo (1271) di Fresciana
Ranieri di Casteldelci (1311) Guitta di Ranieri (1313)
(44) Regesta Chartarum Italiae, Regestum Camaldulensem, a cura di L . Schiaparelli e F . Baldasserroni, voi. I I I , n. 1504, pag. 65, R o m a 1907-9. (45)
L.
TONINI
cit.,
app.
XXV,
pag.
419.
APPENDICE
Atto di rivendita che fa Ranieri della Faggiola a Uguccione Novello di Fresciana, sulla metĂ del castello di Fresciana, (Borgo S. Sepolcro, 13 settembre 1258). T
In nomine domini amen, anno a nativitate eiusdem.Millesimo/ducentesimo quinquagesimo octavo.Indictione Jprima.mense septembris die tertio/decimo intrante.tem^ pore domini alexandri pape I I I J . et romani imperij/vacante imperatore. Ranerius de fagiola filius olim/ domini rane5 rij de Casaldelci asserens se sui iuris esse propter etatem ex/certa scientia et non per aliquem iuris vel facti errorem per se suosque fifios et heredes/vendidit seu revendidit et tradere et dare promisit.quod proprium iure/proprio et in perpetuum quod condititium iure condititiu unde pertinuerit domino Ugni/cioni novello filio condam domini Uguicionis dadei de fresciana per se suis/ fifiis et heredibus seu cui iussuum concesserit stipulanti.Medie10 tatem castri/ totius de fresciana prò indiviso et medietatem ipsius curie et districtus sicut / idem dominus Ugucio dicto Ranerio de fagiola vendiderat ut in carta empti/ionis continetur manu mei Salutii notarij infrascripti.Silicet domos edifitia / terras vineatas aratorias silvas nemora prata pascua saxa rupinas./ pedagia.iurapatronatus et ecclesiastica, homines 15 mulieres.ficta census.donamenta / pensiones albergarla servitia debita.prestationes operarum et alias quascumque/ libertinos usucapta.praescripta consueta,dissueta.homminia hommagia. angarias./ perangarias.aquas aquibulos aqueductus aque decursus valles mon/tes colles.cactias.venationes captiones volucrum et ferarum.proprias condicti/tia feudata et omnia afia et
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Rogito della vendita del casteUo di Fresciana (13 settembre 1258) - I parte.
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Rogito della vendita del castello di Fresciana (13 settembre 1258) - 11 parte.
L'ORIGINE
DEI
FAGGIOLANI
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singula corporalia et incorporalia eulta, et inculta./mobilia immobilia se seque moventia iura et actiones. petitiones et omnia singula / et alia et omne id sive totum seu quicquid idem Ranerius de fagiola venditor habe/bat tenebat vel alius prò eo vel habere poterat de iure vel de facto ex dicto priori contractu ven/ditionis sibi facto, cum superioribus inferioribus finibus pertinentiis iacentiis acces/sibus et egressibus suis usque in vias publicas. et cum omnibus et singulis super se et infra se seu / intra se habentis in integrum et cum omni iure et actione et usu seu requisitione sibi ex dieta me/dietate dicti castri venditi et eius curie aliquo modo pertinente sive exspectante. Ad liabendum / tenendum ac possidendum et quicquid sibi et suis filiis et heredibus deinceps placuerit faci/endum quod proprium ipsi pertinet quod condititium item pertinuerit et si quid iuris dictus Ranerius / venditor habebat in dieta medietate castri predicti et eius curia occasione venditionis predicte / sibi facte dicto domino Uguicioni eisque heredibus in perpetuum renuntiavit spetiafi pacto atque / concessit. ut a modo dictus emptor ipsam medietatem castri predicti et eius curie prò in/diviso cum suis pertinentiis sibi habeat teneat sive retineat ut ipse tenuerat /ante quam eam rem dicto Ranerio vendidisset nullo tamen sibi preiudicio generando ex / eo quod ipsam medietatem castri predicti et eius curie vendiderat. Et omne ius et actionem / realem personalem et omnem aliam quae et quas dictus Ranerius de fagiola habebat vel habere / poterat vel sperabat in medietate castri predicti de fresciana prò indiviso et eius curia et di/strictu ex dicto contractu venditionis sibi facto a predicto domino Uguicione manu mei Saluti] notarij / prescripto vel ex quacumque alia causa vel iure et adversus omnem personam et locum ex causa praedictae/ venditionis dicto domino Uguicioni dedit cessit concessit atque mandavit constituens / ipsum emptorem dominum et procuratorem in rem suam et posuit ipsum in locum suum ut deinceps/ in curia et extra possit agere causari experiri exagere replicare et se tueri et quicquid sibi et suis/fìliis et heredibus
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V.
LOMBARDI
deinceps placuerit facere utiliter et directe prò pretio et nomine iusti pretii/ quatuor centum. viginti quinque. libras bonas denariorum provisonorum. quod pretium totum dictus Ranerius venditor/presente me notarlo et testibus infrascriptis con45 fessus fuit a dicto Domino Uguicione habuis/se et recepisse non spe future renuntiationis.pro vendictione datione concessione ac revendictione / suprascripta. sciens rem predictam venditam sive medietatem Castri predicti et eius curie multo ^ p l u r i s / vel maioris pretii esse vel valere et quatiscumque pluris vel maioris vel maioris pretii valet / etiam si excederet ultra dimidiam iusti pretii donavit eidem emptori totum pure libere/ irrevocabiliter intra vivos prò iusto merito ab eodem recepto 50 ut donatio valeat secundum/legem.renuntians non habiti non soluti sibi pretii non numerati sibi et non recepii et numerati non iusti ex/ceptioni. Cause ingratìtudinis doli mali condictionis indebiti sine causa et iniuxte causa et omnibus / aliis benefìtiis et exceptionibus et constitutionibus legum et civilibus capitulis constictutis burgi vel civi/tatis aretii vel alicuius loci prescripti et futuris causis sibi conpetentibus vel conpetituris in hoc scripto./ et puram vacuam liberam et expeditam tenutam et possessionem 55 diete medietatem Castri predicti et eius/curie dominus Ranerius dicto domino Uguicioni dare et tradere et demittere promisit quoties / et quando opus fuerit et licentiam sua auctoritate tenutam et possessionem mittendi et retinendi dein/ ceps sibi concessit quocumque voluerit sine vinculo legis et litis causa. Interim prò eo et eius/nomine ex nomine se constituit possidere donec possessionem diete medietatis Castri predicti et eius curie tenutam intraverit corporalem. Et promisit dictus 60 Ranerius venditor prò se suisque fi/liis et heredibus suprascripto domino Uguicioni emptori prò se suis filiis et heredibus seu cui /iussuum concessit stipulanti suprascriptam revendictionem dationem cessionem et concessionem et renun/tiationem et hunc contractum et omnia et singula quae in eo continetur rata et firma perpetuo / habere atque tenere et non revocare
L'ORIGINE
DEI
FAGGIOLANI
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non molestare non tollere non litigare confiteri et non negare./ et promisit etiam dictus Ranerius venditor quod iussuum alicui non dedit non fecit non dabit /non faciet huic contractui nociturum vel nocÏvum et si ab eo contra factum apparerei revocare / et defendere promisit ab omni persona legittime suis expensis omnibus in curia et extra.alioquin / ex pacto approbato inter eos quod non teneatur dictus Ranerius defendere non pretium restituere / nisi de suo proprio solo dato et facto et non aliter. et dolum malum abesse et perpetuo abfuturum./Omneque dampnum litis et expensas ac inter esse eidem domino Uguicioni integre refÏcere / et resarcire promisit in totum dictus Ranerius quod et quas in curia vel extra dixerit se fecisse vel / substinuisse propter dictis vel aliquid predictorum credendo et stando suo simpHci iuramento tamen/ in dampnis et expensis sine testibus et aliis probationibus honere et judiciis taxatione. et / nullo modo contrafacere vel venire occasione aliqua vel exceptione nuUaque iuris vel facti exceptionem / opponere inpendendas sub pena dupli exstimationis scripte medietatis dicti Castri venditi et/ eius curie ut prò tempore plus valuerit per stipulationem sollempnem promissa et in singulis capitulis / in solidum committenda et exigenda. quam penam dictus Ranerius dicto domino Uguicioni dare / et solvere promisit si non servaverit onmia et singula quae in hoc contractu continetur aut si in aliquo per se / vel per alium aUquando contra feceret vel veniret. et pena soluta vel non.rato manente contractu./pro qua pena si comnittaretur danda et solvenda et propter dictis et omnibus et singulis inviolabiliter / attendendis et observandis. dictus Ranerius venditor obligavit se personaliter suosque / fihos et heredes et omnia bona sua presentia et futura realiter iure pignorationis suprascripto domino Uguici/oni emptori dans sibi licentiam dictorum suorum bonorum obligatorum sua auctoritate tenutam et possessionem in/gredi. Interim per eo se constituit precario possidere.
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FRANCESCO
V.
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Et ego Salutius notarius infrascriptus presente suprascripto Ranerio venditori volenti percepì per/guarentistiam ex forma capituli constituti burgi et civitatis aretii ut observet omnia suprascripta./ Actum in burgo Sancti sepulcri in presentia et testimonio. Sere Cappanarij.uido olim ruber/ti.Guimmontis ruberti eius fratris.Gilli tascionis.Sabatini Clarij domini peregrine/.Martini Guilielmini montis dolii. Salimbeni muge Griscolaioli. Raspulii sir/ventis domini ugonis montis doUii et alios teste regatos./ Ego Salutius imperiali auctoritate iudex ordinarius.et notarius.predictis ìnterfui / rogavi, scripsi.et publicavi. Mi è gradita l'occasione per ringraziare pubblicamente il Principe Guidubaldo di Carpegna Falconieri ed il Rev.do Amedeo Potito che mi hanno cortesemente segnalato l'atto.
NANDO C E C I N I
ipotesi su due torrioni sconosciuti attribuibili a francesco di giorgio martini
MoNDAGANO - T o r r i o n e rotondo del
Castello.
CERIGNANO - Superstite torrione esagonale del Castello.
ì
« D'altre grosse e ricche castella che in questa Feltria Regione fondate si veggono, io ragionar potrei: ma volendo scriver di ciascheduno quanto si deve non fora un volume assai grande bastevole: onde lasciando degna materia ad altri di poterne scrivere, io per non dirne poco tralascio il molto... » (1). • Di contro al Cimarelli e al suo stile ridondante si dedica una nota, redatta come ipotesi di lavoro, a due piccole e quasi sconosciute località del Montefeltro, alle quali tuttavia si può ascrivere una dimensione storica e artistica non trascurabile. Cerignano e Mondàgano sono due frazioni di Macerata Feltria, uno dei centri piti importanti del Montefeltro. Le loro vicende storiche sono legate a quelle del capoluogo. Macerata Feltria non ha ancora avuto la sua monografìa come è toccato per felice sorte ad altre località del Montefeltro. Pertanto si rimanda alla vasta bibliografìa montefeltrana e in particolare a un saggio di Pietro Franciosi (2). Nella descrizione del Montefeltro per ordme del cardinale Anghco (1371) al paragrafo dedicato al Castrum Maceratae si legge: « Item in comitatu dicti castri sunt istae villae, videlicet viOa Modagani, in qua sunt focularia 10, villa Clarignani in qua sunt focularia 12 ...» (3). (1) V . M . C I M A R E L L I , Istorie dello Stato di Urbino de' Senoni detta Umbria Senonia e de lor gran fatti in Italia delle Città e luoghi che in essa al presente si trovano, di quelle che distrutte già furono famose et di Corinalto che dalla ceneri di Sausa hebbe origine, Brescia 1649, p. 139. (2) P, FRANCIOSI, Rocche e castelli del Montefeltro: Macerata Feltria, in « Rassegna Marchigiana per le arti figurative, le bellezze naturali, la musica». V i l i (1930), n. 4-5 (genn.-febb. 1930), p. 125-144. (3) G.B. MARINI, Saggio di ragioni della città di Sanleo detta già Monteferetro, Pesaro 1758, p. 279.
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NANDO CECINI
I due toponomi sono così presenti dalla seconda metà del XIV secolo in un documento di enorme importanza storica. Mondàgano è situato sulla collina che, come uno sperone, si inserisce ad angolo nella confluenza dei fiumi Foglia e Apsa. Dominando le vallate con un vasto raggio di osservazione e chiudendo come baluardo gli accessi, era l'ambiente naturale per una fortificazione militare. L a posizione era praticamente inaccessibile; anche oggi vi si sale a fatica per una mulattiera disagevole e franosa. Probabilmente originaria dì Mondàgano era la famiglia De Aghinis, più tardi trasferita a Carpegna. Nel 1356 troviamo un notaio Matteo del fu Rogerio De Aghinis da Carpegna che roga a Rimini (4) e sempre dello stesso notaio si leggono atti riferentisi agU anni 1355, 1357, 1366 e 1368. Un documento dell'agosto 1364 rogato dallo stesso Matteo De Aghinis è segnalato nello spoglio degli archivi di S. Marino, da Annibale Abati Olivieri in un manoscritto della biblioteca Oliveriana di Pesaro (5). I documenti citati dovrebbero confermare l'origine dell'etimo Mondàgano (mons Aghinis). Sempre nella stessa zona, ancor più nel cuore del Montefeltro, verso Carpegna, esiste un'altra locahtà chiamata Cagliàgano (Cà degU Aghini). C i sembra pertanto logico ravvisare una interdipendenza tra i territori in questione e la famiglia degU Aghini. Cerignano (esiste anche una variante Cergnano) è una località in Val di Teva, una vallata trasversale che collega i l bacino dell'alto FogHa con quello del Conca. L'importanza storica della Val di Teva non è stata sottolineata in maniera sufficiente per il ruolo determinante che ha (4) O . MONTENOVERSI, Pergamene di Rimini e Faenza nell'Archivio di Stato di Roma, in «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna», Serie I V , voi. X I V (1924), p. 9 1 . (5) E . VITERBO, Inventario dei manoscritti della biblioteca Oliveriana di Pesaro, voi. I X ( X X X V I I della serie), Firenze 1923, p. 24.
D U E TORRIONI ATTRIBUIBILI A F . GIORGIO MARTINI
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avuto nelle comunicazioni tra il ducato di Urbino, la Repubblica di S, Marino e la Romagna. Guardando per un attimo una carta geografica si intuisce la facilità e la brevità del percorso. Fino a pochi anni fa, tuttavia, la valle era priva di strade moderne. D'altronde però è spiegabile il sorgere nel secolo XV di un castello come Cerignano e il piccolo centro intorno ad esso sviluppato, tra l'ahro attualmente disabitato. Il castello era a un tempo punto di riferimento, di protezione e di difesa. Un documento fondamentale per questa nota è stato rintracciato nell'archivio comunale di S. Leo in un manoscritto del principe degli storici montefeltrani. Giovan Battista Marini, intitolato « Raccolta di memorie del Montefeltro » che per la ricchezza di informazioni e di documenti meriterebbe di essere edito (6). I l regesto viene pubblicato per la prima volta seguendo la notazione del Marini : « E x repertorio di Scritture e Discorsi, Ricordi, già esistente nell'archivio dei Duchi di Urbino. Carta 486. Ora Archivio segreto Vaticano. « Possessione che da Gio. Corso d'Antonio Bonifazi soldato del Co: Federico di M. Feltro, Urbino e Casteldurante et fu presa in suo nome delU castelU et lor pertinenze et territori] infrascripti, cioè: Carignano, Valditeva, e Monte Altavelio, in virtù della dichiarazione fatta da Pio I I quando accomodò le differenze che passavano tra Ferdinando d'Aragona, re di Sicilia, et il conte Federico da una, et i l sig. Sigismondo e Pandolfo Malatesta da Rimini dall'altra. Da Urbino 24 9mbre 1469 » (7). Lo stesso Marini aggiunge che la data 1469 è errata e si deve leggere 1460. (6) Ringrazio l'amico Vittorio Lombardi che mi ha segnalato il manoscritto e mi ha dato la possibilità di pubblicarlo. (7) G.B. MARINI, Raccolta di memorie del Montefeltro, Ms. Archivio Comunale di S. Leo, c. 57 r.
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NANDO CECINI
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Un attento biografo di Federico da Montefeltro conferma la donazione del papa : « Et facta questa pace, la santità de papa Pio, per remunerare el conte Federico de la sua virtù et de le sue digne opere, de consensu omnium Cardinalium, dette et donò al conte Federico circa quaranta terre de quille che erano state del signore Sigissimondo in Montefeltro ultra quille che prima ce havea esso conte Federico » (8). Nell'archivio comunale di S. Leo, un altro documento inedito, trascritto dal Marini, elenca alcune terre della donazione pontificia a Federico da Montefeltro. Tra le altre è citato anche il castello di Cerignano. Nel regesto del Marini si legge questa notazione : « Pio I I investe i l conte Federico di Montefeltro de' luoghi già concessi al padre Guidantonio aggiungendovi di più il vicariato della terra di Pergola, del vicariato di Spoleto, e li castelli di Monte Altavelìo, Chiarignano e Valditeva ultimamente in virtù del compromesso fatto dal dicto Papa Pio tra Sigismondo Malatesta e el Co: Federico ad esso conte aggiudicati per petenza, et alcuni altri luoghi e terre, che quello allora possedeva » (9). Cerignano è così una delle quaranta terre del Montefeltro che dal potere di Sigismondo Malatesta passavano a Federico da Montefeltro all'apice della sua gloria militare e politica. Tutta la letteratura storiografica conferma l'episodio: il Baldi (10), rUgoUni(ll), il Soranzo(12), e il Franceschini (13). (8) P.A. PALTRONI, Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico Duca d'Urbino (a cura di W. Tommasoli), Urbino 1966, p. 201. (9) G . B . MARINI, Raccolta di memorie dei Montefeltro, Ms. Archivio Comunale di S . Leo, c. 50 v. (10) B . BALDI, Vita e fatti di Federico da Montefeltro, duca d'Urbino, Roma 1824, voi. I l i , p. 63. (11) F . UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, Firenze 1859, voi. I , p. 435. (12) G . SORANZO, Pio II e la politica italiana nella lotta contro i Malatesti, Padova 1911, p. 141. (13) G . FRANCESCHINI, Quattordici brevi di Pio II a Federico da Montefeltro, in « Atti del Convegno per il quinto centenario della morte dì
DUE TORRIONI
ATTRIBUIBILI A F . GIORGIO
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Tra il 1460 e il 1463 i castelli e le rocche del Montefeltro ritornarono definitivamente sotto il dominio del duca Federico d'Urbino, che programmò una serie di interventi per restaurarle e renderle più idonee ai suoi criteri militari di difesa. Passarono più di dieci anni prima che si potesse parlare della reahzzazione del progetto di ristrutturazione o di nuova costruzione delle opere difensive del Montefeltro. La sovrintendenza della poUtica architettonica venne affidata da Federico di Montefeltro al senese Francesco di Giorgio Martini. Si rimanda ai saggi di Corrado Maltese (14) per le notizie dei soggiorni urbinati di Francesco di Giorgio e dei rapporti intercorsi tra il duca Federico e l'architetto senese, che di fatto aveva ereditato le funzioni che tra il 1465 e il 1472 erano state affidate a Luciano Laurana. L'attività del Martini durante il periodo urbinate è vertiginosa. In un passo del suo trattato scrive che il duca Federico gli aveva commissionato centotrentasei edifìci « oltre a quelli loci sacri » (15). In così vasto fervore di opere che coprono tutto il territorio del ducato di Urbino « l'insieme delle rocche del Montefeltro rappresenta l'episodio centrale, la piattaforma più vasta ed omogenea delle esperienze tattiche e di ingegneria militare ideate ed attuate da Francesco » (16). Pio I I », Siena 1968, p. 149; G . FRANCESCHINI, / Montefeltro, Milano 1970, p. 4 7 1 . (14) C . M A L T E S E , Opere e soggiorni urbinati di Francesco di Giorgio, in « Studi artistici urbinati » I (1949), Urbino 1949. C. M A L T E S E , L'attività di Francesco di Giorgio Martini nelle Marche attraverso il suo trattato, in «Atti dell'XI Congresso di Storia dell'Architettura», Marche 1959, Roma 1965. (15) F . D I GIORGIO MARTINI, Trattato di architettura militare (a cura di C. Maltese), Milano 1967, voi. I I , p. 4 2 7 . (16) M. D E Z Z I BARDESCHI, Le rocche di Francesco di Giorgio nel ducato di Urbino, in « Castellum » 8 (1968), Roma 1968, p. 102. Il saggio dell'architetto Dezzi Bardeschi è la piìi aggiornata e seria monografia sulla attività del senese nel Montefeltro. Purtroppo non ha citato le due torri oggetto del nostro saggio, che del resto furono ignorate anche dal
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Si deve sottolineare che tanto attivismo non è frutto di un attestato di potenza, ma scaturisce da « un piano strategico ben congegnato, elaborato da Federico e dai suoi collaboratori più diretti, da cui nascono sia le nuove rocche progettate e costruite da Francesco, sia gli interventi di restauro ai recinti fortificati esistenti per imprimere loro un rinnovato e potenziato assetto difensivo. Esso si fonda sul criterio generale di rivedere il sistema di difesa dei fondi valle lungo i corsi dei fiumi, le zone nelle quaU preferenzialmente si svolgeva e si scvolge la massima attività di scambi agricoli commerciaU e dove maggiore era ed è la concentrazione degU insediamenti umani » (17). In questa larga progettazione si inseriscono le due torri di Mondàgano e di Cerignano con i frammenti di mura ad ad essa collegati, così da far ragionevolmente supporre che in questa ultima località ci fosse qualcosa di più di una torre, forse anche una rocca e quanto meno un complesso sistema difensivo. L a torre di Mondàgano è di forma ciHndrica come la vicina torre di avvistamento di Piandimeleto (18) sulla me-, desima direttrice geografica. È costruita con materiale risultante da un conglomerato di pietrame e malta, tipico dell'architettura militare del tempo e usato da Francesco di Giorgio Martini prima dell'impiego dei mattoni. L a tecnica strutturale è ad anelli sovrapposti scanditi da cornici che fasciano l'edificio, così come nei torrioni della dettagliatissimo « Elenco degli edifici monumentali. Provincia di Pesaro-Urbino », voi. X X X I X , Roma 1930, compilato dal più attento studioso d'arte marchigiana, il prof. Luigi Serra. (17)
M. D E Z Z I BARDESCHI,
(18)
C . MALTESE,
op. cit.,
L'attività...
cit.,
p. 103. p.
289.
In nota il Maltese aggiunse : « Qualche torre disegnata nel Magliabechiano ha un carattere simile alla torricina in questione. Vedi il foglio 54 r » . Il che verrebbe autorevolmente a suffragare la nostra ipotesi che la . torre di Mondàgano sia stata progettata dall'architetto senese.
DUE
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TORRIONI ATTRIBUIBILI A F . GIORGIO MARTINI
rocca di Sassocorvaro (19) e nel superstite torrione della rocca di Cagli (20). Della costruzione di Mondàgano sono rimasti l'anello scarpato del basamento e una parte diroccata del secondo anello sul quale tra l'altro è stata aperta una finestra abusiva. Tra i due anelli è ancora visibile la fascia di separazione a cordolo e si distinguono nettamente almeno due posizioni delle spingardiere. Attualmente la torre è ricoperta da un tetto in cotto; l'interno è utilizzato come cappella, dedicata a S. Nicolò (21); si scorgono anche tracce di un affresco del X V I secolo di difficilissima lettura date le pessime condizioni ambientali. Sia la torre di Mondàgano, a pianta circolare, sia la torre di Cerignano, a pianta esagonale, molto meglio conservata e unica parte superstite di un maggiore complesso difensivo, si possono far risalire all'attività di Francesco di Giorgio Martini compresa tra i poh della fortificazione di S. Leo e la rocca di Cagli. GU anni dunque del primo soggiorno urbinate tra il 1477 e il 1485. A questo periodo i l Maltese ascrive all'attività del senese oltre al citato intervento nella fortificazione di S. Leo, la rocca di Sassocorvaro, i l palazzotto e le mura di Montecerignone, la rocca di Sassofeltrio, una torre di avvistamento a Pian di Meleto, oltre ad altre opere fuori del Montefeltro (22). L a torre di Cerignano è di forma poligonale irregolare. Rappresenta un buon esempio della ricerca sperimentale di Francesco di Giorgio Martini e delia sua mventiva architettonica. « Quella libertà e funzionalità di configurazione dei tracciati portava Francesco ad adottare per le torri una pianta (19) W. T O M M A S S O L i , La rocca di Sassocorvaro, s.l. nè s.d. (20) L . M i C H E L i N i Tocci, Le rocche di Francesco di Giorgio, Pesaro 1967. (21) P.A. G U E R R I E R I , La Carpegna abbellita e il Montefeltro illustrato. M s . inedito Archivio Comunale Pennabilli, voi. I I I . (22)
C. M A L T E S E , L'attività...
cit, p. 289.
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che vagamente rassomiglia a una punta di lancia, ed è qui che va cercata, piìi che altrove, la ben nota anticipazione dei baluardi » (23). È lecito perciò pensare che la torre di Cerignano possa essere un'anticipazione delle tecniche architettoniche che il Martini appUcherà in rocche di ben maggiore mole e importanza; per primo a Pergola impiegando lo stesso materiale grezzo di Cerignano, negli anni successivi, quando già lavorava per i Della Rovere, nella rocca di Mondolfo e soprattutto di Mondavio, dove al pietrame sostituì il laterizio con uno stupefacente risultato. Una attenta lettura della torre di Cerignano, con l'impegno di poter dare in un tempo successivo il rilievo tecnico della torre stessa e del perimetro murario ancora visibile tra la folta vegetazione, ci permette dì rilevare la solida struttura dello spigolo della scarpata, proteso verso il fondovalle e lo slancio della struttura verticale certamente privata nel tempo dei beccatelli, sostituiti da un tetto in cotto, così da trasformare la torre in un fienile, come attesta anche l'apertura sconsideratamente aperta alla base della scarpata. Un'altra apertura è stata ricavata all'altezza dell'incontro tra la scarpata e la torre, così come pure una finestra che contrasta visibilmente con l'armonia delle aperture delle spingardiere. Nell'insieme le torri di Mondàgano e di Cerignano sono un valido documento di eleganza architettonica non disgiunta dalla funzionalità militare, tipiche costanti dello stile di Francesco Di Giorgio Martini, tanto da non essere azzardato ascriverle all'attività del grande senese.
(23)
C . M A L T E S E , L'attività...
cit., p.
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AMEDEO POTITO
premesse e documenti inediti la storia della fortezza
del sasso simone
CARPEGNA (Pesaro) - Pareti rocciose del Sasso Simone (m. 1204).
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SASSO SIMONE (m. 1204 s.m.) - Relazione inedita fatta da Francesco di G . B. Anitrini al Granduca di Toscana. - Ultima pagina: disegno della Torre e del Corpo di Guardia della fortezza Medicea.
Il Sasso di Simone e il Sasso di Simoncino, così chiamati secondo la più antica denominazione, costituiscono due gigantesche bastionate rocciose, scoscese da ogni lato e con una cima prativa pianeggiante. A l pari delle penne di S. Marino, della rupe di S. Leo e del monte della Verna, si tratta di conformazioni geologiche di calcare zoogeno, poggianti su argille scagliose. Si elevano a picco per un centinaio di metri sullo spartiacque tutto coperto da una cerreta cedua, fra le vallate del Mutino-Fogha e dello Storena-Marecchia. ^ I l Sasso di Simone, da tre secoli abbandonato e situato in mezzo ad una landa priva di insediamenti umani per chilometri intorno, è accessibile solo tramite mulattiere da Sestino, da Case Barboni, da Valpiano di Pennabilli, da Carpegna e dal colle di S. Maria delle Serriole (oggi Passo della Cantoniera). Il massiccio rappresenta il confine fra la Toscana e le Marche, fra la provincia di Pesaro e quella d'Arezzo: un antico termine in pietra concia è stato ritrovato proprio sul ciglio del burrone nord, che si affaccia sulla conca di Carpegna. Mentre il Sasso di Simoncino è territorio di questo Comune, i l Sasso di Simone rientra quasi completamente nel circondario di Sestino. Tale particolarità geopolitica ha origini storiche non ancora sufficientemente studiate e documentate. Il Sasso di Simone, nel corso di ahneno un millennio, ha avuto delle vicende storiche estremamente interessanti. Anche tralasciando un primitivo insediamento di monaci basiliani (1), la famosa Abbazia di S. Angelo al Sasso Simone fu (1) L'ipotesi è stata fatta sulla base del toponimo « fosso dei greci », tuttora persistente, e sull'esistenza verosimile di analoghi monasteri in tutte le principali rupi della zona. Per il monte Titano (S. Marino) cfr. Epistola Eugippii presbyteri ad Paschasium (anno 511), in Thesaurus Monumentorum
82
AMEDEO POTITO
centro importante di vita religiosa ed eremitica quasi fino agli albori del X V I secolo: ad essa risalgono le piti antiche pergamene che si conservano sul Montefeltro (2). Una volta abbandonata l'Abbazia, il luogo di culto sì trasformò in avamposto strategico-militare : nel 1566 Cosimo I de' Medici, Granduca di Toscana vi fece costruire una fortezza. •„....-:. • , r - \ . ) . , v - • Il progetto generale prevedeva la costruzione di 47 case, da farsi entro il recinto delle mura (3); le spese relative venivano ripartite fra le comunità di Sestino, Pieve S. Stefano, Badia Tedalda, Verghereto e Sansepolcro. Già nel 1567 vi sì trasportava i l tribunale che era a Sestino, ed al podestà del Sasso fu dato il titolo di Capitano. I l primo a portare questo titolo, nel 1575-76, fu Luigi di Cosimo Pitti, come risulta dai nn. 56-58 dell'Inventario di cause civili e criminali compilato dalla Cancelleria di Verghereto et Annessi nel 1796-98, attualmente in mio possesso. Il disegno della fortezza era stato redatto da Baldassarre Lanci (4), da Urbino, passato agli ordini di Cosimo I quale ingegnere e sovrintendente alle fortificazioni. L a costruzione fu dal Lanci affidata a G . B . Bellucci da S. Marino (detto il Camerini, oriundo per taluni da Macerata F.) (5), il quale aveva già collaborato con Gerolamo Genga alla fortezza di Eccl. et Hist., sive Henrici Canisii Lectiones Antiquae, t. I , pag. 411, Argentinae 1725. (2) Verranno pubblicati i regesti su questa collana da Mons. Luigi Donati. (3) E . R E P E T T I , Dizionario geografico, fisico e storico della Toscana, t. V , pag. 203, Firenze 1843. (4) I l Lanci disegnò le mura e le fortificazioni di Siena, Lucca e Grosseto; cfr. G . VASARI, Le Vite de' più eccellenti pittori scultori et architetti, a cura C . L . Ragghianti, Milano 1949, voi. I l i , pag. 700. A. O R LANDI, Abecedario Pittorico, pag. 85, Venezia 1753. Visse dal 1510 al 1571, cfr. C . PROMis, Biografia di ingegneri militari italiani, Torino 1874. (5) A l suo nome sono legati il castello di Piombino e le fortificazioni di Portoferraio, nell'isola d'Elba. Cfr. VASARI, cit., pag. 99-102; ORLANDI,
DOCUMENTI
INEDITI DELLA FORTEZZA D E L SASSO SIMONE
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Terra del Sole, presso Castrocaro. Entrambe facevano parte di un sistema di fortificazioni destinate a proteggere i confini del Granducato di Toscana oltre lo spartiacque appenninico, sul versante adriatico, premendo sullo Stato della Chiesa in terra di Romagna e sul Ducato di Urbino. In particolare, la fortezza del Sasso di Simone rappresentava un cuneo inespugnabile puntato verso lo stato urbinate, ben visibile dalle stesse logge del palazzo ducale, cosicché « assicurando in uno gli amici, raffrena parimenti gli inimici popoh » (6). In mezzo a queste due signorìe, come stato cuscinetto, si trovavano le antiche contee di Carpegna e Scavolino, feudo antico dei conti di Carpegna. L a fortezza del Sasso di Simone fu terminata dal Camerini verso il 1572, ma già nel 1597 il complesso architettonico era in cattive condizioni di stabilità a causa degli agenti atmosferici, particolarmente incidenti sulle strutture murarie in tale luogo, posto a 1200 metri di altitudine. Tale situazione è minuziosamente descritta in una lunga relazione inedita (che si spera di poter pubblicare in prosieguo, e di cui si offre in saggio una pagina con disegni), fatta dal capomastro Francesco di Gio. Battista Anitrini (7). Nel 1749, il Warren (8), scrive che il fortilizio del Sasso fu abbandonato fin dall'anno 1673 «per ordine del Granduca ». Verosimilmente la decisione trova il proprio fondamento nel fatto che, assorbito il ducato di Urbino dallo Stato Pontificio, i rapporti fra questo e la Toscana si svolgevano, piti
(6) V.M. C I M A R E L L I , Historie degli Umbri Senoni e dello Stato d'Urbino, pag. 23, Brescia 1642. (7) Archivio di Stato Firenze, Capitani di parte, filza 766, n. 161 ss. (8) A.S.F., Fortezze della Toscana, c. 205, con a lato il testo in francese, in Raccolta di Piante delle principaU Città e Fortezze del Granducato dì Toscana, levate d'ordine di Sua Maestà Imperiale sotto la Direzione del S.re Odoardo Warren, colonnello del Battaglione d'Artiglieria e Direttore Generale delle Fortificazioni di Toscana, MDCCXLIX.
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AMEDEO POTITO
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che su un piano strategico-militare hmitaneo, su uno scacchiere politico-diplomatico ben più vasto. In questo contesto, la lontana guarnigione distaccata in lande sperdute ed impervie non aveva più alcuna ragione di esistere. Tuttavia il baluardo si rivelò nuovamente di grande utilità, proprio come punto d'appoggio, nella famosa vertenza fra i l Granducato di Toscana e la S. Sede per la successione alle due contee di Carpegna, a seguito della estinzione dei rispettivi rami maschih. Da esso, infatti, partirono le spedizioni per occupare Scavolino, nel 1738, e Carpegna nel 1749 (9). Abbozzate queste prime premesse, i documenti, finora inediti, che di seguito verranno pubblicati, potranno ulteriormente contribuire a far delineare un quadro maggiormente completo e reale di un'epoca e di una località di alto interesse storico per il Montefeltro.
(9) G . V I T A L I , Successi della Carpegna etc. Manoscritto, in « Archivio Palazzo Carpegna».
APPENDICE
I. A.S.F., Missive e Responsive, lettera 136. 29 luglio 1572
^'
Ill.mo. et Ecc.mo S^ Duca (1)
Ringratio sommamente v.e. della visita fattami in nome suo il Conte di Montebello, et parimenti della nuova datami, et se Ă V . E . occorre valersi di me, e delle cose mia, ne pigli sicurtĂ , si come io gliele offerisco volentieri. Dio nostro sig*^. le doni ogni contento. Dar Sasso di Simone el di X X V I I I I di luglio 1572(2).
- -
per servirla E l gran Duca di Toscana (3)
S". Duca d'Urbino.
n.
A.S.F., Missive e Responsive, lettera 163. Ill.mo et Ecco.mo S^^.
Primo Maggio 1574
Dalla famiglia del Bargello di S. Leo è stato ammazzato senza alcuna causa el luogotenente del sasso di simone su la
(1) Guidubaldo I I della Rovere, duca di Urbino. (1538-1574). (2) Cosimo I venne a visitare la fortezza del Sasso di Simone, forse in occasione della sua inaugurazione. (3) Cosimo I de' Medici (1537-1574).
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AMEDEO POTITO
fiera di Montecoppioli, et perchè intendo che parte de delinguenti si trovono prigioni prego V.Ecc.za a non voler permettere che shnile assassinamento resti impunito, ma se ne faccia quella dimostrazione che farei io se fusse intervenuto il caso à un vasallo di V.Ecc.za, et come io spero et confido della bontà et buona iustitia sua, et me le raccomando di cuore che Dio la prosperi. Di Fiorenza, il dì p° di maggio 1574. Di V.Ecc.za
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E l gran Duca di Toscana (1) P. Duca d'Urbino (2).
HI.
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A.S.F. Missive e Responsive, lettera 1456. Borgo S. Sepolcro ' "^"^ ;^ 2 luglio 1576 Ill.mo et Ecc.mo S. Duca patron mio semp. oss. Tengo ordini dal ser.mo Gran Duca, mio S.re, d'usar ogni diligentia in perseguitar et cercar di spegner questi Banditi et asassini che continuamente fanno tante mal'opere, et di trattare, et tener sopra ciò intelligentia con U ministri di v.e. Ill.ma Però m'è parso signifficarli che questi tali s'intende che sono verso il sasso, alle penne de bigh, et alli luoghi convi-
(1) L a firma è di Francesco I de' Medici (1574-1587), in quanto Cosimo era morto pochi giorni prima, il 21 aprile 1574. Infatti alla grafìa tremolante della lettera precedente, succede una scrittura diversa e ben più ferma. (2) Duca d'Urbino era ancora Guidubaldo I I della Rovere, che morì pochi mesi dopo, il 28 settembre 1574. ,.
DOCUMENTI INEDITI DELLA FORTEZZA D E L SASSO SIMONE
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Cini et confinanti et tanto de Banditi di S, Al.Ser.ma, quanto di V.E.Ill.ma, tenendosi uniti fra loro; Onde per l'effetto che di sopra la supp.co si degni ordinarmi con chi de sua ministri io devo negotiar questo fatto, che mediante le forze concessemi da S.Al. quando vi sarà detta intelligentia co li detti ministri di V.E.Ill.ma si farà assai profitto, et s'impedirà à questi scelerati la fuga et la speranza di potersi salvar, o in questi stati, o in quello di lei, alla quale baciando humiimente la veste la prego ogni felicità et contento. Dalla Fortezza del Borgo S^, il di 2 di luglio 1576. Di V . E . Ill.ma
-^L^n Afezionato Piero Martelli iV
A.S.F., Capitani di parte n. 149, filza 722. 14 luglio 1568 L a Comunità et huomini di Sestino fid.mi di V . E . I . con reverentia gli espongono come sendo affaticati per la Muraglia del Sasso di Simone et che per benessere di tutto il paese dicto è necessario rifare un ponte rovinato sul fiume della Foglia al quale se no si ripara no solo no si potrà passare per esso, ma anche la terra minaccia rovina perché il deto fiume comincia a batter nelle mura. Peranco confidati nella clementia di V . E . I . la suppUchiamo che si degni commetter al S. Proveditor della decta Muraglia del Sasso che faccisì rassettar decto ponte et rimediar al disordine futuro et che la dieta spesa si distribuisca a un soldo per scudo nel modo che si fanno le case della Muraglia del Sasso o si vero vadino alla borsa delle spese universali dello Stato del che si faranno obligati; alla quale desiderano ogni felicità.
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AMEDEO POTITO
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A . E . F . Capitani di parte, filza 156, n. 177. Ser.mo Gran Duca L i Rappresentanti i l Capitanato del Sasso di Simone narrano a V.A.S. esser astretti per scudi 12 per la visita del Capitano delle Strade et i l Comune di Sestino per scudi 52 et essendo una medesima podesteria i l Sasso et Sestino ricorrono a V.A.. supplicando si degni di commettere che piglmo per mezzo solo et non per dua.
VI Da un foglio di pergamena, in cui venivano registrate le sentenze : + Mario di Piero Picchino da Sestino già messo al Sasso. Condannato alle forche, alla restituzione del grano rubato, alla refazione del danno alla fabrica del Sasso. Adì 5 settembre 1587 fu eseguita detta sententia corporale per il ministro di Giustizia come alle sententie n. X I I I . (di altra mano) fu apicato X febbraio. + M(adonn)a Solomea di EvangeUsta di detto luogo condannata alla forcha, alla restituzione del grano rubato, alla refatione del danno a la fabrica. Adì 7 novembre 1587 fu exeguita dieta sententia in persona di detta Solomea per il ministro di giustizia come alle sententie a carte XIII, (d'altra mano) fu apicata. 1
ENZO BUSCA
giovami francesco sormani, vescovo di montefeltro
L a ricerca delle antiche memorie del Montefeltro molto spesso ricorda un nome: il vescovo Sormani. A questo nome è legato il trasferimento della sede vescovile da S. Leo a Pennabilli; a lui si deve la fondazione del Seminario Feretrano. Nacque a Milano nel 1522 da famiglia di antica origine feudale. Poco si sa dei primi 37 anni di vita. Si laureò in utroque. F u arciprete di Mandello Larìo (Como). Nel milanese doveva essere assai noto e stimato, perché il Capitolo del Duomo di Milano, il 2 marzo 1559, lo nominò nuovo Vicario Generale, al posto di Giovanni Bescapé, caduto sotto la Inquisizione. I canonici, « considerantes doctrina, probitate, virtutibus et rerum experientia Rev. di Juris Utrisque Doctoris /. Francisci Sormani ... deputant eum prefate Ecc. Med. ... vicarium generalem et specialem in spiritualibus et temporalibus » (1). L'incarico di Mons. Sormani quale Vicario Generale fu di breve durata. Neppure un anno. Lo stesso 1559 fu inviato da Roma un vicario nominato dal Card. Ippolito I I d'Este. Intanto veniva nominato vescovo di Milano Carlo Borromeo che, per i primi anni, secondo le abitudini del tempo, governò per mezzo di un suo ausiliare, mons. Donati Vescovo di Bobbio, il quale morì poco dopo. A Milano si attendeva con interesse la nomina del nuovo Ausiliare. I l senatore Giovanni Rainoldo, e poco dopo il conte Filippo Borromeo, scrivevano all'Arcivescovo suggerendogli la nomina del Sormani « persona degna et qualificata » (2). An-
(1) C . MARCORA, La Chiesa Milanese nel decennio 1550-1560, in «Memorie storiche della Diocesi di Milano», voi. V i l i , (I960), pag. 485. (2) Idem, voi. IX, pagg. 490-491.
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ENZO BUSCA
che se Carlo Borromeo non lo nominò Vicario tuttavia lo tenne fra i suoi collaboratori e, in modo particolare, gli affidò l'incarico di fondare — secondo uno dei più impegnativi decreti del concilio tridentino — il Seminario Milanese, Frequentemente da Roma il Borromeo scriveva al Sormani riguardo alle vicende del Seminario (3). Nel primo Sinodo milanese il Sormani è nella commissione « prò regimine Seminarii ». Tale Sinodo si svolse il 29-31 agosto 1564(4). In breve Sormani ebbe una posizione preminente nella chiesa milanese, esperto di governo e di amministrazione, convinto assertore delle nuove direttive del conciUo. : Pio V conosceva Sormani e nel Concistoro segreto del 6 marzo 1566 lo nominò vescovo di Montefeltro, I l nuovo presule aveva solo 44 anni : il papa inviò al neo eletto una lunga lettera, con cui gh conferiva ùnmediati pieni poteri sul Montefeltro, in attesa del possesso ufficiale (5). Comincia così la vicende del vescovo Sormani nel Montefeltro. Secondo la cronologia dei voscovi feretrani, comunemente accettata, egli fu il quarantesimo vescovo della diocesi. Politicamente, in questo periodo, gran parte del Montefeltro era sotto il ducato di Urbino, retto da Guidubaldo (15441574) e dal figlio Francesco Maria della Rovere (1574-1631). Mons. Sormani, prima di prendere possesso, si informò dello stato della Cattedrale in S. Leo : le informazioni furono quanto mai negative. Mancava, anche una residenza per il vescovo, che abitava a Valle S. Anastasio, e i canonici « spe nulla distributionum alliciente », quasi mai si riunivano per
(3) Da una lettera inedita «Roma 23 febbraio 1565» (Archivio dei Barnabiti, Lettere di S. Carlo, Tomo I , fol. 13), risulta che il Borromeo bonariamente dice al Sormani di scrivergli con minor impegno. (4) C . MARCORA cit., voi. IX, pagg. 248-260. (5) Lettera inedita in Archivio Segreto Vaticano, A.R. 42; t. 25,
G.
F . SORMANI VESCOVO DI MONTEFELTRO
9^
la recita deirUffizio. Tutto questo contrastava con le recenti decisioni del Concilio di Trento (6). Sormani arrivò nel Montefeltro con un programma ben preciso di riforme. Cominciò i lavori di restauro della cattedrale di S. Leo. quando giunse al vescovo un preciso ordine del duca Guidubaldo di Urbino : « Nolo Seminarium nec Canonicorum residentia in dieta Civitate, sed in terra Pennae Billorum eiusdem diocesis ». I motivi di questa decisione del duca erano di carattere strategico-militare (7). Il vescovo pensò di trasferire « munera Ecclesiae Cathedralis, salvo titulo Civitatis » alla chiesa CoUeggiata di S. Bartolomeo in Pennabilli, unendo i due Capitoli. Egh stesso avrebbe fissato la sua dimora in tale località. Era un trasferimento provvisorio, condizionato dalle momentanee difficoltà politiche. Sormani sottopose a Pio V le sue intenzioni, e il Papa, il 10 luglio 1570, firmò i l decreto di trasferimento. Ma questo alla morte del Pontefice (1 maggio 1572), non era stato ancora eseguito. Gregorio X I I I , poco dopo la sua elezione, firmò la Bolla di esecuzione del trasferimento (8). L a Bolla fu firmata, ma non giunse a destinazione e nel 1574 ancora nel Montefeltro non se ne sapeva nulla. Quando la notizia divenne ufficiale, tutto i l territorio fu in subbugUo. Iniziò una accanita polemica tra i fedeli di S. Leo e quelh di PennabilH. I l Duca di Urbino fece opera di conciliazione, ma invano. L'inimicizia era soprattutto profonda fra i Canonici di S. Leo e quelh della CoUeggiata di Pennabilli. Particolarmente tenace, e nemico del vescovo Sormani era i l Prevosto del Capitolo leontino. Marmo Belluzzi, che era pure pievano di S. Leo e di Pieve Corena. Forte dell'appoggio del (6) Relazione prima di Mons. Sormani alla S. Sede sullo stato della Diocesi di Montefeltro, 23 marzo 1590, in Archivio S. Congregazione del Concilio, ad annum. (7) Ivi. (8) Bolla « Aequum Reputamus » del 25 maggio 1572. -V:^'
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duca di Urbino, contrastò in ogni modo i progetti della Curia. L a situazione era piuttosto tesa, tanto che la S. Sede inviò Mons. Ragazzoni quale visitatore apostolico; questi sostenne apertamente i programmi del vescovo feretrano (9). -iQuando costui fu abbastanza sicuro di avere in pugno la situazione, decise di costruire una nuova cattedrale al posto della CoUeggiata di S. Bartolomeo che era in condizioni pessime e su un terreno instabile. • :': Nel Sinodo del 7 ottobre 1577 conficcò una croce nel luogo su cui doveva sorgere l'altare maggiore della costruenda cattedrale: questa ebbe il titolo e il nome di S. Leone. Nel 1580 era a buon punto e si pensava al problema dell'Episcopio. L a chiesa fu consacrata nel 1588: sulla porta principale, insieme con lo stemma del vescovo, era scritto : D . L E O N I D I C A T U M MDLXXXVIII - JOANNES FRANCISCUS SORMANI E P S . F E R E T R A N U S AEDIFICANDUM
CURAVIT.
In dieci anni, Sormani vedeva coronato il suo sogno di una nuova e degna cattedrale, presupposto per una comunità diocesana rinnovata, secondo i canoni tridentini. Ma le acque, anziché calmarsi, si agitarono ancora di piia. Il clero era decisamente contrario alla definitiva dimora del vescovato in Pennabilli e ostacolava la costruzione del seminario. A un certo punto il Sormani si sentì solo e completamente isolato. Cominciò a risiedere sempre meno a PennabiUi e addirittura si trovò in disaccordo con la S. Sede che, sollecitata dai pennesi, esigeva la residenza in loco. L a polemica arrivò fino al domicilio coatto in Roma, dall'aprile 1594 al 1597. Tornò in diocesi stanco e ammalato, ma abitò di fatto vicino a Rimini fino alla morte, avvenuta nel 1601. i< Fra le sue grandi reahzzazioni, ricorderemo prima di tutto i numerosi Sinodi Diocesani. Secondo il concilio di Trento dovevano celebrarsi ogni anno. Sormani ne tenne venti in trenta(9) Visitano Apostolica Feretrana, in Arch. S. Congregazione Concilio, anno 1574. .f-- > ; ^ . ,
del
G.
F . SORMANI
VESCOVO DI MONTEFELTRO
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quattro anni di governo episcopale. I suoi incarichi fuori diocesi, e le vicende degli ultimi anni, gli impedirono di tenerli « quotannis ». Ecco il prospetto dei Sinodi, ricavato dall'Archivio della Curia di Montefeltro:
Data
Luogo
N. presenti
8- 6-1566 18- 6-1567 15- 7-1568 17- 8-1570 11- 9-1571 13- 9-1572 13- 7-1573 7-10-1574 27- 6-1580 18- 5-1581 26- 6-1582 27- 6-1583 27- 6-1585 26- 6-1586 16- 7-1587 1- 9-1588 19- 9-1589 17- 5-1590 22- 4-1592 30- 9-1593
Macerata F . Pennabilli S. Agata F . S. Marino Macerata F . Valle S. Anastasio Valle S. Anastasio Pennabilli Macerata F . Pennabilli S. Agata F . S. Marino Macerata F . Pennabilli S. Agata F . S. Marino Macerata F . Pennabilli S. Agata F . S. Marino
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— non elenc. — — Ili
U6 non elenc. 138 139 139 135 159 132 128 128 131 122 100 112
Vicario Generale
Papa
Bolognini » » » » » » » Giannini » » G. B. Fabri Giannini » Olivieri Bartolucci Moricucci Santarello Tomaso Cyro Leonardello
Pio V » » » Gregorio X I I I » » » » » » » Sisto V » » » » » Clemente V U I »
Scopo di questi frequenti sinodi era la riforma del clero, degli ordini religiosi e del popolo cristiano. Tutte le disposizioni furono raccolte dal Sormani in un volumetto che regalò al clero nel penultimo sinodo del 1592 (10). PubbMcò anche un breve catechismo : con dispiacere il vescovo rileva che molti parroci non celebrano neppure di domenica; un chierico o un monaco, che non sa il Credo, l'Ave e il Pater non può fare da padrino; un decreto condanna (10) Manoscritto in Archivio Diocesano Pennabilli. Decreta Synodalia, Rimini 1592. L a notizia sul catechismo si desume da pag. 81 del precedente. Irreperibile.
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L a personalità del vescovo Sormani emerge nella sua piena validità anche quale Visitatore ApostoUco. Le gravi difficoltà cui andò incontro nel Montefeltro per la spinosa questione del trasferimento della sede vescovile finì per rattristare l'ultimo periodo del suo episcopato. Ma la preparazione culturale, la capacità di valutare le situazioni, l'organizzazione realizzatrice, lo zelo apostoHco, in una parola tutte le doti fondamentali di un pastore di anime e insieme di uomo di governo, fanno del Sormani una delle personalità ecclesiastiche più in vista della fine del secolo X V I e fra i benemeriti della riforma tridentina. Il conciUo di Trento aveva incentrato nei vescovi l'onere delle riforme. Basi di queste riforme erano la residenza in diocesi dei vescovi titolari e la visita alle parrocchie almeno ogni due anni. Tuttavia molti vescovi erano restii ad abbandonare la residenza in Roma e tornare alle rispettive sedi a combattere con Prevosti, canonici, parroci, abbati. Nonostante le insistenze di Pio V , molti persistevano ad abitare in Roma, tanto che fu deciso di mandare nelle diocesi dei visitatori apostolici. Furono questi, per lo piìi, uomini dotti e santi, i quali con la testimonianza della propria vita e con l'azione energica garantirono l'applicazione delle disposizioni tridentine. Tra questi si ricorderà lo stesso S. Carlo Borromeo, G. Ragazzoni, A . Marchesani, GB. Castelli, oltre al Sormani. Visita all'Abbazia di S. Cristoforo di Urbania(ì3). Sormani vi fu inviato, nel 1567 da Pio V . Era una abbazìa « nullius », di cui era commendatario il card. Ferdinando de' Medici, che naturalmente esercitava il suo mandato per mezzo di un suo vicario. L'abbazia era ridotta in deplorevole stato, sia dal punto di vista economico, sia sotto il profilo morale-disciplinare. Le notizie di questa visita del Sormani, quale inviato apostolico, sono desumibili all'archivio della Curia di Urbania. Si tratta di un manoscritto di una cinquantina di pagine tuttora inedite. (13)
Ivi, anno 1574, e Archivio Diocesano di Urbania, n. 15, fase. I I .
G.
F . SORMANI VESCOVO DI MONTEFELTRO
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Anche la situazione delle altre chiese e parrocchie non era migliore: Pio V , avuto sentore dalle prime relazioni, che la situazione era peggiore delle previsioni, con un Breve del 3 settembre 1567, aumentava le facoltà al visitatore suo. Ricevuto il Breve, Sormani, ritenendo* non esse cunctandum sed celeri executione incumbendum », lo stesso giorno iniziò la visita alle altre parrocchie e monasteri, emettendo decreti per l'applicazione delle decisioni tridentine. Vìsita alla diocesi di Rimini: 1571 (14). Per lo Stato Pontificio, Pio V aveva predisposto un piano di riforma, dividendolo in quattro parti, e inviando per ognuna un visitatore. I l vescovo di Montefeltro fu destinato a Rimini, Cesena, Cervia, Ravenna, Forlì, FoMmpopoli, Bertinoro, Faenza, Sarsina e Bologna. I l Breve di nomina del 3 febbraio precisa il campo di azione. Sormani, « totius Provinciae Romandiolae Visitator » si accinge senza indugi al compito aflfidatogh. La prima visita fu minuziosa e riguardò tutti gli aspetti della vita della diocesi di Rimini. Si interessò della posizione del vescovo Giulio Parisiani, che non risiedeva ed era in lotta con i canonici. Costoro lo accusarono di vari addebiti, tra cui di essere giocatore di dadi, nepotista nel dare prebende, e soprattutto di tresche « de donne de Roma ». Severa fu pure la visita ai Canonici. L a pecora nera del Capìtolo è l'arcidiacono, particolarmente immorale, e accanito giocatore « a primera ». L a relazione della visita a Rimini si conclude con una serie di decreti da applicarsi in tutte le parrocchie. Visita Apostolica a Cesena: 1572(15). Durò dal 10 gennaio al 28 febbraio. In questo periodo consegnò al vescovo 269 decreti, con l'intimazione di attuarli entro Pasqua.
(14) Archivio S. Congregazione del Concilio, anno 1571, « Visitatio Apostolica Arimin. ». Si tratta dì due ampi volumi, il primo dei quali di 796 pagine. (15) Ivi, anno 1572, e Archivio Diocesano di Cesena.
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Visita Apostolica a Ragusa (oggi Dubrovnik-Jugoslavia) : 1573. È l'ultima visita di Mons. Sormani ,la più tormentata. Si tratta di avvenimenti poco noti agli storici e solo alcuni ne fanno rapidi accenni. Le uniche notizie si trovano nell'Archivio Vaticano e sono del tutto inedite. C'è un Breve, datato 14 agosto 1573, che spiega i motivi e le facoltà della visita. Nello stesso si fa anche riferimento alla Bolla di nomina, di cui è scomparsa ogni traccia. Comunque la Visita è del 1573, e anche il Pastor dà questa data. Morto Pio V ed eletto Gregorio X I I I , costui non aveva confermato il Sormani quale Visitatore in Romagna, ma lo aveva inviato in Dalmazia. Non è credibile che il nuovo Papa mancasse di fiducia in Sormani: probabilmente lo zelo, la tenacia, e anche una certa pignoleria dimostrata dal Sormani a Rimini e a Cesena avevano suscitato un notevole malcontento fra i religiosi, ai quaU egli non aveva risparmiato rimproveri e centinaia di decreti. Si può pensare che Gregorio X I I I sollecitato da tante persone interessate, abbia ritenuto opportuno sospendere le visite del Sormani in Romagna, inviandolo nella difiScile e delicata missione di Ragusa. Di questa visita l'unica relazione si trova nell'Archivio Vaticano, ed è un fascicoletto di 11 fogli manoscritti, senza data e con timbro « Vescovo di Montefeltro », a titolo: « Relatione delli Capi principali della visita di Ragusa fatta a Ns. » (16). Si tratta di una lettera interessantissima, nella quale il Sormani illustra al Papa l'ambiente ostile e prevenuto nel quale ha dovuto svolgere la sua missione, nonché tutte le difficoltà incontrate. Lo scrivente ha paura di citare nomi e persone come testimoni, perchè ha motivo di temere per la loro vita. L'arcivescovo di Ragusa, il quale evidentementt aveva tutto da perdere da questa visita, gli aveva creato una situazione di (16)
Archìvio Segreto Vaticano, AA.I.18, n. 365.
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aperta ostilità, insistendo sul fatto che il vescovo Sormani era venuto per fare man bassa deUe ricchezze della Chiesa locale. Tenuto conto della particolare psicologia di quelle popolazioni (era piuttosto diffuso un animus antiromano, analogo a quello che favorì la rivolta dei protestanti), è facile immaginare in quale terreno doveva agire il visitatore. Ecco il quadro che Sormani fa al Papa sull'arcivescovo: « È accusato di heresia, sodomia, concubinato, ladreria, falsità, di blasfema, di haver dato una bevanda ad aborto, di fare libelli contro Vhonor ... ha nipoti homicidiali con li quali ha bravato in camera mia di amazarmi; ha subornato con danaro il mio notaio, di modo che restino ruinati tutti i processi della visita.., ». L'accenno al suo notaio ci fa capire che Sormani trovò ostili perfino i suoi collaboratori. Le « centinaia de scutti » dell'arcivescovo raguseo facevano miracoli. Anche il telogo, un canonico di Ravenna, si schiera dalla parte dell'arcivescovo per « scutti centocinquanta ». Come ultimo tentativo Sormani tentò di convocare il Sinodo. Ne venne fuori una farsa, tutta a danno del visitatore. L a relazione del Sormani si conclude con una serie di suggerùnenti al Papa, primo fra tutti « mutar questo arcivescovo, et mandarne quanto prima un altro Chatoheo et zelante, qual non temi la morte a servizio di Dio ». Conclude augurando prosperità e successo al Papa e toma a ricordare « alla S.tà V . che questi suspetti restino nelle sue mani ». Aveva motivo di dubitare che gli « scutti » ed i sicari dell'arcivescovo di Ragusa avessero presa anche alla corte papale. Come s'è detto, Sormani Giovanni Francesco, Vescovo di Montefeltro, morì nel 1601. L'atto di morte, trovato dopo lunghe ricerche nella biblioteca Gambalunghiana di Rimini (17), dice che trapassò il 20 dicembre, nel palazzo di un Castaldi,
(17)
Rinvenuto da D . Pietro Sambi.
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vicino al convento delle Grazie sul colle di Covignano di R i mini, e fu sepolto nella chiesa dei Padri Francescani di Montemaggio di S. Leo (18).
(18) D . GIACINTO MARTINELLI, Gambalunghiana Coli. 4.Ă&#x152;.II.35.
Memorie di Scalca, ms. in Bibl.
Le ricerche e la trascrizione dei vari atti e documenti inediti presso l'Archivio Segreto Vaticano e presso l'Archivio della S. Congregazione del Concilio, sono state fatte da Don Pietro Sambi, attualmente Segretario presso la Nunziatura Apostolica nel Cameroun. La pubblicazione di questo saggio mi offre la gradita occasione per porgere pubblicamente all'insigne studioso ogni piĂš vivo ringraziamento. ;
GIUSEPPE TOMBINI
biografia di g. b. marini storico del montefeltro
Giambattista Marini nacque in S. Leo il 5 aprile 1689 da Marino e da Donna Angela, come risulta dai libri arcipretali di detta città. È un discendente in linea diretta di un Michele Marini che si trova compreso nell'elenco del ceto nobile di S. Leo, redatto in S. Leo i l 5 luglio 1593. Famigha chiara per civili e patriottistiche virtiì e che successivamente venne decorata dal titolo baronale col predicato di S. Leo, per distinguerla dalla consanguinea comitale famiglia dei Marini di S. Arcangelo di Romagna (1). Ricevette la prima educazione in loco e subito si dimostrò di ingegno svegho, di mente acuta e penetrante e soprattutto dotato di uno spiccato senso critico. Ben presto si distinse fra i compagni per la facilità di parola, l'amore allo studio e per la vasta memoria. All'età di dieci anni indossò l'abito clericale e i l suo comportamento modesto e devoto erano segni indubbi di una incipiente vocazione alla vita sacerdotale. A 12 anni partì per S. Marino con l'intento preciso di seguitare gh studi nel Collegio, fìorentissimo a quei tempi, di quella Repubblica. Compiuti con ottimo profìtto i quattro anni di Belle Lettere, passò allo studio della Morale e della Teologia, poiché si era sempre mantenuto in lui l'idea di farsi sacerdote. Queste sono le brevi notizie biografiche che abbiamo potuto desumere da una inserzione che s'intitola : « Brevi cenni intorno alla vita di G.B, Marini Sanleese, 1842 », inserita ne] secondo volume della « Raccolta di memorie del Montefeltro », del Marini, da un suo pronipote Achille Marini (2). 0) (2)
L . DOMINICI, La Regale S. Leo, S. Agatafeltria 1956, p. 1 6 1 . L'anno dopo usciva in Urbino con ì tipi della Venerabile Cappella
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Consacrato sacerdote, ci risulta che concorse per il beneficio di Pieve Corena, ma senza ottenerlo (3). Dopo la traslazione della sede vescovile da S. Leo a Pennabilli per i chierici nativi di S. Leo i tempi si fecero difficili. La maggior parte di essi erano costretti « ex Pinensum odio » a concorrere in altre diocesi, dove diversi erano riusciti a vincere « beneficia pinguia ac splendida » o ad andare ad occupare mansioni presso la Curia Romana o in altre città e diocesi (4). A l Marini, che delle regioni e dei diritti di S. Leo, contrastati dai pennesi era i l principale e il più valido sostenitore, non toccò sorte migliore. Ancora giovane, segnalatosi per dottrina e per ingegno, meritò di essere chiamato a Gubbio come intimo Segretario dei Chiar.mi Prelati Bonaventura e Manciforte. Le aspettative dei due bravi Prelati non furono deluse, perchè il Marini vi prestò un servizio da loro lodatissimo. Lo troviamo poi Arciprete di Ginestreto nella Diocesi di Pesaro per i l lungo periodo di 26 anni. Dai registri dei battesimi di quella parrocchia risulta infatti che i l Marini amministrò ivi il primo battesimo il 5 aprile 1736 e l'ultimo nel giugno 1762. La bolla pontifìcia di nomina (che insieme al decreto di esecutorietà dell'Ordinario diocesano, si conservano nell'archivio vescovile di Pesaro), porta la data delle calende di marzo del 1735, emanata da Papa Clemente X I I nel V I anno del suo pontificato. I l decreto di esecutorietà deirOrdinario diocesano è in data 15 marzo 1736. Poco dopo, e cioè il 22 luglio del 1736, per la sua profonda conoscenza nelle scienze sacre e nel diritto canonico e civile, fu insignito del Diploma dottorale dall'Illustre Signor del SS. Sacramento un volumetto di A C H I L L E MARINI intitolato: Piano per una storia completa della Provincia di Montefeltro. (3) P . A . C A L V I , Ad pseudo feretranum apologeticon Jo. Baptistae Marini, Venetiis apud Simeonem Occhi 1734, pag. 140. (4) G . B . MARINI, Apologeticon Feretranum, Pesaro 1732, pag. 167.
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Conte Alessandro Roverella di Ferrara, la cui famiglia aveva avuto il privilegio di impartire tali diplomi dagli augusti imperatori Federico I I I e Massimiliano I I e ratificato dai Sommi Pontefici Leone X e Clemente V i l i . Fra le espressioni di elogio date al Marini in questo Diploma, ci è caro riferire le seguenti, perchè stanno a confermare ciò che di lui abbiamo fin qui detto e diremo in seguito : «... Perillustris, ac admodum Reverendus Dominus Joannes Baptista Marini Feretranus, Archipresbiter S. Mariae Genestreti Pisaurensis Dioeceseos scientia, moribus, ingenio, doctrina, studisque praeclarus, qui assidui vigiliis multis ab hinc Annis Juri Canonico et Civili operam sedulo dedit laboriosam etc. ». Né in mezzo agfi studi giuridici, storici e letterari dimenticava i doveri del suo ufiìcio pastorale, anzi era assiduo ed attentissimo nell'adempierli. Era la guida, l'edificazione ed il conforto del gregge che gli era stato affidato. Col massimo zelo si prodigava ai vantaggi spirituali e temporali dei suoi parrocchiani, sia di giorno che di notte. Fornito e ricco pertanto di tah preziosi pregi, non è da meravigharsi che il Marini venisse consultato e spesso impiegato in affari di maggior importanza e che fosse molto stimato ed amato da coloro che ebbero l'avventura di conoscerlo. Fra coloro che ebbero per lui una costante predilìzione ed una particolare amicizia, autenticata da una copiosa corrispondenza tuttora esistente (5), ricorderemo Annibale degli Abati Olivieri (6), Giuseppe dei Conti Garampi (7) di Rhnini, Giovanni (5) G.B. MARINI, Raccolta di memorie del Montefeltro, manoscritto inedito in tre volumi, archivio comunale San Leo, voi. I I , Fogg. 240-246; Manoscritto 376, p. I V , C . 131-135 Biblioteca Oliveriana Pesaro. (6) Annibale degli Abbati Olivieri, pesarese (1708-1789) grande archeologo, Storico ed erudito, (7) Giuseppe dei Conti Garampi (1725-1792), prelato, storiografo e diplomatico di Rimini; archivista segreto del Vaticano, dal 1785 Cardinale. Ha riordinato le carte del Monastero del Mutino (voi. I l i , f. 285-295), ha copiato le scritte lapidarie di Pitinum Pisaurense (voi. I l i , C . 279). Ha
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Andrea Abate Lazzarinì (8), Lucantonio Gentili (9) da Torricella e i l nipote Callisto Marini (10). Fu amico di mons. Giovanni Battista Passeri (11), grande erudito pesarese, di Guidubaldo Angelini (12) gentiluomo di Gubbio. I suoi interessi storici poi lo portarono ad allacciare contatti con altri storiografi ed archeologi dell'epoca, come ad esempio il Tiraboschi (13) di Senigalha, mons. Domenico Pazzi (14) di Città di Castello, mons. Domenico Giorgi (15) ed altri. Parecchi sono gli studiosi che lo richiedono di notizie che riguardano i loro studi particolari. Alcuni poi glieli richiedono tramite il nipote CaHisto. Bernardo Gentili (16) lo studioso che aiutò Callisto Marini a ritrovare le due lettere di Clemente I V riguardante Taddeo da Montefeltro, chiede di saper qualcosa dell'antico Castello di S. Severino (vescovo Sep-
trascriUo memorie dall'Archivio di Montecerignone (Ragioni di San Leo pagg. 176 e 181). Ha scritto le Memorie della beata Chiara da Rimini. (8) Giovanni Andrea Lazzarini, di Pesaro (1710-1801) pittore, architetto, letterato, teologo, scrittore e poeta. (9) Lucantonio Gentili da Torricella di S. Agatafeltria. Nel 1722 scrisse un «Compendio della vita del glorioso San Marino». Morì in Pesaro ed è sepolto nella chiesa dei PP. Cappuccini. (10) Callisto Marini, figlio di G. Marini e Rosa Sciamanni nacque a Pesaro. Nipote di Giambattista, raccolse per lui molte memorie riguardanti il Montefeltro negli archivi del Vaticano in Roma, in Germania, e nella biblioteca Regia di Parigi. (11) Giambattista Passeri, di famiglia patrizia pesarese, oriundo di Gubbio (1694-1780). Letterato giurista, archeologo, naturalista e poeta. (12) Guidubaldo Angelini, gentiluomo di Gubbio, bibliotecario delia Libreria Sperelli e custode dell'Archivio Armanni. (13) C . Tiraboschi, gentiluomo e storico di Senigalha, ancora vivente nel 1739 (voi. I l i , f. 243). (14) Domenico Pazzi, abate di Città di Castello. (15) Domenico Giorgi, prelato domestico di S. Santità Benedetto XTV. Il Marini ebbe da lui copia della famosa bolla di Papa Onorio I I (30 aprile 1125) che contiene la «Confirmatio honorum omnium, S. Ecclesiae Feretranae », al Vescovo Pietro di Montefeltro. (16) Bernardo Gentili, nobile di S. Severino.
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tempedano) presso S. Leo. I l Conte Nicola Antonelli (17), lo richiede (sempre tramite il nipote Callisto) per parte del dotto Abbate Compagnoni (18), di sapere dove si trovi la tonaca di Gualdo. I l nipote Callisto risponde con sicurezza che i l suo riveritissimo Sig. Marini avrebbe potuto soddisfare il desiderio di entrambi (19). La vasta erudizione culturale e storica del Marini, specie per ciò che riguardava i l Montefeltro, era nota ed apprezzata perfino nella Curia Romana. Per ordine di Roma, stese nella Curia Vescovile di Pesaro, i necessari processi riguardanti Suor Serafina da Montefeltro, figlia del Conte Guid'Antonio e di Caterina Colonna, moglie di Alessandro Sforza, di poi monaca ed Abbatessa del Monastero del Corpo di Cristo in Pesaro. In occasione di questi processi, il Marmi ebbe la sorte di sottoporre come uno dei deputati, ad esame vecchie scritture (20). Il 17 luglio 1754 Serafina da Montefeltro fu ascritta dal Sommo Pontefice Benedetto X I V nel numero dei Beati. Ha avuto l'incarico di fare lo spoglio dei manoscritti della biblioteca Albani di Urbino (21). Nel 1738 fu incaricato dalla Santa Sede di raccogliere le antiche notizie intorno ai due Feudi di Carpegna e di Scavolino (22). E ciò, io penso, in relazione alla disputa tra le Corti papale, imperiale e del granduca di Toscana, per i l possesso dei domini dei Carpegna dopo l'estinzione della linea maschile
(17) Nicola Antonelli, Conte ed aiutante di Studio di Mons. d'Avrac. (18) Compagnoni, Abbate, molto dotto. Uditore dell'Eminentissimo Card. Barberini. (19) Voi. I l , parte I I , pagg. 103-104. (20) MARINI, Saggio di Ragioni, pag. 1 5 1 . (21) Voi. I l i , f. 2 4 2 , 2 4 5 . (22) MARINI, Saggio di Ragioni, p. 7 1 , voi. I l i , f. 4 1 (lettera del 2 5 maggio 1739), f. 2 4 2 (lettera del 2 2 giugno 1739), f. 2 4 0 (lettera del 2 6 luglio 1739).
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della Casa omonima. I l Marini con le sue ricerche nelle città e nei luoghi dello Stato di Urbino inerenti ai suddetti feudi, ha fornito materiale interessantissimo per sotenere le buone ragioni della Santa Sede su quelle terre, così vivamente e tenacemente ambite da Firenze, la cui secolare aspirazione era di aprirsi la strada per arrivare all'altro mare (23). Una riprova che al Marini fossero affidate delle mansioni che lo tenevano lontano per lunghi periodi dalla sua parrocchia lo si rileva anche dal registro dei battesimi di Ginestreto di Pesaro, dove si vede che per lunghi intervalh questo sacramento è stato amministrato da altri sacerdoti. Non c'è riuscito di trovare né dove né quando morì il Marini. Da due fugaci cenni autobiografici (24), sappiamo che egh giunse all'età di oltre 90 anni. Egli, che ha scritto tante cose, era molto restio a parlare di sè e dei suoi familiari. Di costoro abbiamo un semplice accenno vago e indeterminato nelle « Ragioni di S. Leo » dove dice : « Questa pietra comperata da uno dei miei fratelh... » (25). Un altro accenno della morte del fratello don Antonio, arciprete di Gatteo di Rimini, l'abbiamo indirettamente da una lettera del nipote Calhsto (26). L'unica memoria inserita nei suoi scritti che riguarda qualcuno della sua famigUa è la morte del padre. Questo documento e la breve notizia della morte del fratello, riportate dal
(23) L a controversia si risolse in un nulla di fatto e nel 1861, alla proclamazione del Regno d'Italia, la questione fu messa a tacere per sempre. (24) Voi. I l i , f. 164: « I o Giambattista Marini che mi trovo in età di 89 anni, attesto coram deo, che mentre ne avevo circa 80 di meno, vidi quando Mastro Sinibaldo (di Montemaggio) scalpellino e muratore faceva calare giù per la scala che è a cornu epistolae dell'aitar maggior del Duomo a poco a poco con gran fatica e diligenza, adoperando a tal effetto un grosso palo di ferro, il coperchio dell'Urna che io allora non sapevo essere stata del corpo di S. Leone... ». I l 5 maggio 1780 era ancora vivo come risulta da una lettera all'Olivieri c.lr. ms. 351 C . 380. (25)
MARINI, Ragioni, pag. 61.
(26)
Voi. I I I , f. 113.
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nipote Callisto sono per noi importanti. Essi ci fanno vedere quanto lo spirito cristiano fosse profondamente radicato non solo nel padre di Giambattista, ma in tutta la famiglia Marini e ne informasse la vita di tutti i membri. Ciò spiega, come vedremo in seguito che anche nella polemica contro gli avversari per la vexata quaestio della traslazione della sede episcopale da S. Leo a Pennabilli, i l Marini si mantenga sempre in un piano superiore di correttezza, di signorilità e di carità cristiana a differenza degli avversari (27), che specie come l'Abate Calvi, spesso scendono in un piano molto basso e a titoli che forse risuonerebbero meglio in una bettola che in una disputa storico-letteraria, e per di piìi riguardante cose ecclesiastiche. Unanimi sono i contemporanei e i posteri nel riconoscere in Giambattista Marini un sacerdote buono, pio, molto intelligente e di vasta erudizione. « I l dotto Arciprete Giambattista Marini » (28) lo chiama il Cav. Melchiorre Delfico. « Uomo di grande dottrina, specialmente nelle antichità feretrane » (29) dice Filippo Ugolini. « L'eruditissimo scrittore delle ragioni di S. Leo » (30) lo chia-
(27) Lo Zucchi Travagli, che in chiave polemica col Marini aveva scritto una « Storia Ecclesiastica del Montefeltro », preso da pentimento per l'eccessivo spirito di campanile che spesso lo faceva trascendere, impedì che l'opera fosse divulgata e fece dare alle fiamme tutte le copie già stampate. L'unico esemplare superstite si trova nella biblioteca Oliveriana di Pesaro ed è mancante delle prime 2 5 pagine. Anton Maria Zucchi Travagli nacque a Pennabilli il 1 4 ottobre 1707, fu appassionato cronista e raccoglitore di memorie storiche feltresche. Mortagli la moglie, si fece sacerdote e morì nel 1780 a S. Teodoro di Maceratafeltria, dove era parroco; di lui abbiamo gli Annaìes Feretrani, in dodici volumi in folio, per gran parte inediti, ed inoltre i Rerum Feretranarum Scriptores, in otto volumi, esistenti all'Archivio Comune di PennabiUi. (28) MELCHIORRE D E L F I C O , Memorie storiche della Repubblica di San Marino, Milano 1804, pag. 7. (29) FILIPPO UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, Firenze 1859, voi. I , pag. 5. (30) CAMILLO MARCOLINI, Notizie Storiche della provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro 1883, pag. 5.
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ma Camillo Marcolini. « Sacerdote dotto, pio intelligentissimo » (31) lo definisce Luigi Dominici, appassionato cultore di memorie feretrane tuttora vivente. I l Prof. Gino Franceschini, lo storico pili profondo e qualificato dei nostri giorni delle cose dei Montefeltro, lo pone tra gli « eruditi di chiara fama » del Settecento e dice chiaramente che per la storia del Montefeltro « ancor oggi l'opera fondamentale rimane pur sempre quella di Giovambattista Marini » (32). Il Marini è ricordato dai posteri non tanto per la bontà, la dottrina, l'ingegno, l'amor di patria, quanto per la sua opera di storico. Scrisse r« Apologenticon Feretranum », edito dalla Gavelli di Pesaro nel 1732, il « Saggio delle Ragioni di S. Leo detta già Monteferetro », edito dalla stessa Gavelli nel 1758. Raccolse con infaticabile diligenza, discernimento, accuratezza gran copia di notizie disposte in tre grossi volumi di « Miscellanee » riguardanti non solo la sua S. Leo, ma tutta la provincia Feretrana e le sue grandi quattro Famiglie da essa espresse e cioè i Carpegna, i Montefeltro, i Malatesta e i Faggiola. Tutto ciò che ha potuto trovare che riguardava il Montefeltro, egli ha trascritto. Ha fatto nei riguardi di questa « regiuncola » ciò che il Muratori ha fatto su scala nazionale, per ciò lo possiamo benissimo considerare il « Muratori Feretrano » tanto più che anche nei metodi della raccolta delle sue memorie ha seguito i canoni storiografici del « grande Maestro ». Chiudiamo questa breve biografia del Marini, con i versi di un poeta arcade osimano del secolo passato, che ponendolo tra le « Feretrie alme gentih di virtù amiche » (31)
L U I G I DOMINICI, cit., pag. 1 6 1 .
(32)
GINO FRANCESCHINI, / Montefeltro, San Sepolcro 1963, pag. 135.
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di lui dice : « Giambattista Marini, e quali Iodi, Convienti a que' sublimi pregi, che te adornaro, immaginar poss'io? Tu di pietà sacerdotale esempio; Tu di dottrina, e cortesia modello; Tu difensor de la tua Patria invitto; Vivran sempre di te memori, e grati I Leontini, e finché il Sol rinasca. Chiara avrai da' tuoi scritti, e nobil fama » (33).
(33) DORILO MEGARESE, / Fasti della Città Montefeltro, Foligno 1862, pagg. 32-33.
di San Leo, detta già
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regesti di pergamene inedite del montefeltro I - sec. XII
Essendo stato richiesto della mia modesta collaborazione per questa collana di studi storici feretrani, ho creduto opportuno offrire un saggio delle piià antiche memorie scritte che possediamo negli archivi del Montefeltro, integrate da altri istrumenti notarih che riguardano questa zona, e conservati altrove. Oltre ai documenti conservati nell'Archivio di Stato della Repubblica di S. Marino, che costituiscono la principale e più fornita raccolta mantenutasi fino ad oggi, quelli più antichi sono rappresentati dalle pergamene dell'Abbazia del Sasso Simone e di quella di S. Maria del Mutino. Erano, queste, due abbazie di Monaci Benedettini, l'una sorta sul Sasso Simone, l'altra su un poggio prospiciente la riva sinistra del Mutino. L a prima era denominata di S. Michele Arcangelo, o più semplicemente S. Angelo, con una chiesa eretta in suo onore sulla sommità del massiccio roccioso, poco lontano dalla croce di ferro innalzata ai primi di questo nostro secolo. Tanto del Monastero, come della chiesa, non sono rimasti neppure i ruderi; quelli che ancora affiorano, infatti, appartengono alla Fortezza costruita dai Medici con il materiale del distrutto monastero. Il culto di S. Michele era assai diffuso presso i Longobardi e, in preferenza, si sceglievano delle alture per erigergli le Chiese. Può darsi che ancor prima del monastero sussistesse la chiesa, come pure potrebbe azzardarsi l'ipotesi che vi fosse anteriormente una comunità di monaci basiUani, sulla scorta di un debole indizio, cioè l'esistenza in zona di un fosso, tuttora denominato « fosso dei greci ». Purtroppo mancano documenti scritti, e quelli che l'archeologia ci potrebbe fornire aspettano accurati scavi : in tal modo si potrebbe comprovare come effettivamente il Sasso Simone
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fosse abitato dagli antichi Umbri e, forse, fin dall'età della pietra. Possiamo, comunque, ritenere che il monastero sorgesse circa il Mille. L a seconda abbazia era quella di S. Maria del Mutino (oggi Monastero, a vaile di Frontino). Anche per questa non abbiamo documenti che ci provino l'anno della sua erezione. Rimangono imponenti avanzi sia della chiesa primitiva che del monastero, oltre ad una statua lignea della Madonna che si può assegnare al Duecento. L'una e l'altra comunità, come possiamo arguire dagli atti notarih, non ebbero gran numero di monaci e finirono nel secolo XV, quando le abbazie passarono in commenda. Le pergamene loro spettanti, in numero di alcune centinaia, sono rimaste nell'Archivio Capitolare del Montefeltro, e di esse sappiamo che il Card. Giuseppe Garampi compilò un regesto che non è certamente quello conservato in detto archivio, per le molte inesattezze che vi si riscontrano e che un tal studioso non avrebbe potuto commettere. Pertanto lo ritengo redatto da un ignoto estensore verso la fine del '700. Questo regesto riporta, in riassunto, 133 atti notarili e reca il titolo « Ristretto de Beni Enfiteotici e d'alcune altre cose ricavate dall'antiche pergamene del Monastero di S. Angelo di Simone », ed è, comunque, abbastanza interessante perchè diversi documenti, ivi riassunti, non esistono più nell'Archivio Capitolare. Oltre al fondo di pergamene citato, altre (in numero di 131) se ne conservano presso le Clarisse di S. Agata Feltria, Queste monache ebbero i loro monasteri fin dalla prima metà del sec. X I I I a S. Antimo, sulla via che conduce a Casteldelci, e dal sec. X I I I a S. Vincenzo presso Rocca Pratiffi. Qualche pergamena del sec. XIV è conservata presso i Minori Conventuali di S. Marino. Sono le poche reliquie scritte del Montefeltro. Leggendo gU scrittori di storia feretrana, quali l'Olivieri, il Guerrieri, lo Zucchi-Travagli ed il Marini, si possono rin-
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tracciare tanti altri documenti che oggi piià non esistono. Infatti, oltre all'edacità del tempo e all'incuria degh uomini, vi fu lo sperpero delle vendite di certi documenti. Chi scrive possiede alcune pergamene relative al Montefeltro, risalenti ai secoli X I I I e XIV, ricevute in dono da chi le comprò sui mercati. L'Archivio che avrebbe dovuto esserne il più ricco, quello cioè della Curia Vescovile, possiede documenti solo dalla metà del secolo X V I , pur essendovi un volume di rogiti del sec. XV, redatto a Piandimeleto. E ciò si spiega perchè, a quanto è ritenuto per tradizione, quando l'Archivio era a Valle S. Anastasio, andò distrutto per un incendio. In questo quadro ho ritenuto opportuno pubblicare queste pergamene, che presentano un notevole valore per la storia feretrana. Di esse, da vari anni e nei momenti lasciatimi l i beri dal mio ministero, ho cercato di fissare i regesti, perchè fosse evitato il pericolo incombente su ogni tipo di documenti pergamenacei. Di questi documenti fornirò un primo saggio, limitandomi al secolo X I I , nella speranza di poter continuare via via, fino alla loro completa pubblicazione. Come si può rilevare, le notizie contenute in tali rogiti sono ben poche; tuttavia, man mano che ci si inoltra nei secoli seguenti, il loro interesse aumenta considerevolmente e, inserite nel contesto della storia, completano e lumeggiano certe vicende. Il criterio che ho tenuto nella trascrizione ed interpretazione dei testi, riportando integralmente alcuni atti, o le parti che possono interessare il Montefeltro, è quello di trascrivere fedelmente gli originali, compresi gli errori, con tutta esattezza, tenendo conto di quanto sia necessaria la precisione all'interpretazione della storia. Le iniziali dei nomi sono quasi sempre di carattere minuscolo, servendo le maiuscole, più che altro, come punto di riferimento nella stesura dell'atto, per rendere più facile la ricerca di quanto poteva interessare. Le pergamene pubblicate in questo saggio sono venti, e tutte riferibili al sec. X I I ; mi
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sono permesso di riportare, per quanto riguarda la n. 19, anche il sunto dell'estensore del citato « Ristretto », per far comprendere maggiormente i diversi criteri che ho ritenuto opportuno usare nella trascrizione dell'atto. N. I (anno 1131) (1). « Anno millesimo CXXXI mensis iunii inditione nona. Petimus nos leo et Viviano / et petrus fìlli quondam leto et guidolo fìlio johannis petimus da (2) tibi rainerius (3) abbas a (nobis) / et a nostris filiis et nepotibus nostri mascolini et si nos scripto leo et Viviano et petrus et guido/lo fìlio johannis nepote nostro et si qualiscumque de nos scripti nominati sine rede obierit / reiuncta sua parte ad iUi qui supravixeri. Idest petimus nos scripti petitoris de res/scripto monasterio octo tremissi de terra uso feretrano (4) cum omnia que infra se / et
(1) L a pergamena è abbastanza ben conservata, salvo il margine. È la più antica che si conservi nell'Archivio del Capitolo Feretrano. L'atto è redatto nella forma notarile della bassa latinità e presenta interessanti forme lessicali. (2) « Petimus da tibi » : ecco un primo saggio di forme volgari inserite nel contesto della struttura dell'instrumentum. (3) Poiché non è specificato il Monastero, non sappiamo se sia Abbate del Sasso di Simone o del Mutino. Probabilmente si tratta di quest'ultimo, considerando che il fondo dì Caresto è vicino a tale Monastero. (4) I l tremisse era la terza parte dell'asse. Nella Lex Alamannorum (Tit. I , cap. 6/3) abbiamo: « tremissus est tertia pars solidi et sunt denarii quattuor». L a monetazione bizantina, specie il soldo d'oro (di gr. 4,55) e le varietà minori, ebbero notevole diffusione nell'Esarcato, nella Pentapoli e nell'Italia meridionale, tanto bizantina che longobarda. Dei sottomultipli fu molto usato il tremisse che, come si è detto, era un terzo di soldo. Il tremisse passò poi ad indicare una misura terriera, come si può vedere nel Chronicon Farfense (in R.LS., Tom. 2, col. 404): «Vineam de tremissis I V emit pretio bovis unius ». Tale misura terriera poteva variare da regione a regione; infatti il notaio Petrus (vedi perg. n. 20) specifica « octo tremissi usu feretrano ». C'era distinzione anche fra l'uso feretrano e l'uso massano, come si ricava esplicitamente dalla pergamena n. 14.
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supra se abentes que est posita in fundo caresto de subto (5) commentiante mensura usque se compievi octo tremissi de terra de res scripto monasterio de ip/so nostro linimento de scripti petitoris que non abemus a iure scripto monasterio pet(imus) a nobis et a nostris filiis et nepotibus abendum tenedum mefiorandum et non inalienan/dum per nulliusmodis in aliis hominibus trasferre et per singulos annos (pensio)/ne persolvere in mense martio uno denario infortiato (6) et un[...]/la et tres focatie et due para bovum et tres opere manualis aptis (tem)/poribus pretio libres due fortiati et sì quoque tempore nos scripti petitoris/ aut filiis et nepotibus contra ista cartula ire aut aigere corrum/pere et si supra pensione non dederimus et omnia quod scriptum non observaveri/mus et non adimpleverimus permittimus nos scripti petitoris et filiis et nepo/tibus nostris esse compositurus unam libram arienti a tibi scripto abbatis et tuis suce/soribus soluta pena haec cartula firma permanead. Signum manu scripti petitori quod scriptum rogavi. signum manu johannis de petrus de teuzo et sinto et johannis/bono rogati sunt testes. Ego petrus notarlo scripsi quod scriptum et compievi ».
N. I I (anno 1168) (7). « In nomine coeterne summeque deitatis Christi adventus annorum curriculo millesimo ac centesimo sexagesimo octavo (5) È il « Caresto de Planano », come è scritto sul tergo della pergamena. (6) Gli « infortiati » erano una specie di moneta « forte », così chiamata perchè la materia usata era piii pura e meno adulterata. (7) L a pergamena è ben conservata ed è la prima del notaio « Guarinus ». Ve ne sono altre cinque recanti i suoi atti. L'ultima reca la data 1187. Il suo segno notarile è la mano sinistra spiegata. È singoiare il protocollo che ha un certo sapore classico. Confrontando le sue stesure si noteranno i diversi modi con cui apre l'atto.
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imminente et papa in errore existente (8) Federico rege mense (9) die nono introeunte cum prima indictione volvente territorio feretrano et massano (10). Peto ego quidem in dei nomine leo laurentii », per sé e per i suoi figli fino alla terza generazione, « a vobis silicei Ugone (11) dei gratia monasterii Simoni abbatis cum conventu monachorum tuorum » ... « quicquid habet et tenet vivianus arcadors a scripto monasterio in plebe carpinii et in plebe sistini(12) et in fundo carpinio et in fundo lacus et in fundo serra cumini et in ranco de gualteri » e altri luoghi da ottenersi alla sua morte. « Unum praetium accepisti a me tres libras lucenses». ... «Sic sane ut annualiter post vero obitum scripto Viviano inferamus scripto monasterio pensionis nostrae unum denarium lucense (13) et (8) « Papa in errore » : questa frase, che ritorna in altri atti, vuole indicare che nel 1168 era antipapa Pasquale I I I (morto il 20 settembre dello stesso anno). Il successore, Callisto I I I , sì sottomise a Papa Alessandro m il 29 agosto 1178. (9) Manca il mese. (10) Per territorio feretrano, qui si intende il Comitatus, a prescindere dalla circoscrizione della diocesi feretrana, che comprendeva anche parte del territorio « massano », cioè la Massa Trabaria. ( 1 1 ) Ugo è il primo Abbate del Sasso Simone specificamente nominato negli atti. Non sappiamo i nomi dei suoi antecessori. In seguito abbiamo Amizo (1178), e Galterius (1199). (12) L a Pieve di Carpegna, sotto il titolo di S. Giovanni Battista, è antichissima ed è nominata nella Declaratoria di Papa Onorio I I a Pietro Vescovo Feretrano del 1125. È stata più volte rifatta. Una iscrizione scoperta nel 1961 precisa: « A nativitate Domìni Anni sunt 1182». I più antichi arcipetri che risultano dalle pergamene del XIII secolo sono « Petrus de Carpineo » nel 1215; «dominus Rainaldus », nel 1241; «Domino Martino » nel 1270. A tutt'oggi, non risulta che nessun storico del Montefeltro abbia avuto notizia dei nomi di tali arcipreti. (Cfr. G . SORIANI, Notizie Storico-Artistiche della Pieve di Carpegna, Macerata F . 1921). La Pieve di Sestino è quella antichissima dedicata a S. Pancrazio, sorta su un antico edificio romano. Era nel territorio della giurisdizione civile della Massa Trabaria, pur appartenendo alla diocesi di Montefeltro fino al 1518. (13) I denari in uso in questo periodo sono quelli di Lucca. In seguito si useranno sempre quelli ravennati e anconitani. Per pensione, o servizio, si intendeva generalmente qualsiasi obbligo
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prò obsequio unam petiam carnis cum tribus focatiis et una ex is sit prò commestione deferentis amiscere (14) et duo opera manuum ad vinca et duo ad messione in aptis temporibus et una opera bovis ad rumpare seu ad seminare et unum stareo de anona cum una focatia ». « Johannes ruffus Et Agostolus rodulfì Et leonello et Ubertinus et fusculus de petiis testes adesse huius rei rogati fuere. Ego Guarinus scriba ». (Segno notarile una mano aperta) N. I l i (anno 1168) Dal Ristretto etc. « Esistendo Federico Re H 12 Maggio Indizione prima. GuiUelmo de Ricca addimanda per se e suoi figli a terza eredità compita a Ugone Abbate del Monastero di Simone la terra del detto monastero concessali nella Pieve di Carpegna in fondo di S. Pietro in Barione (15) in due luoghi ed in altri due luoghi ove si dice Ranco Maggio e tra le serre che è la terza parte del Monastero del predetto luogo colla Risserva delle decime della predetta Robba a favore del Monastero. Avendo ricevuto detto Abbate il prezzo di sette soldi di Lucca. Sotto annuale pensione di un denaro di Lucca. Guarino notarlo se ne rogò ».
gravante coloro che avevano in enfiteusi un fondo. L'« obsequium », invece, riguardava il vitto, il vestito e, in genere, i cibi. Ecco, quindi, spiegata la specifica distinzione che si trova quasi sempre negli atti notarili. Nei secoli seguenti sarà specificato anche Fuso che si dovrà fare della pensione, ad esempio per la compera di vesti, o per rifacimento di stabili. (14) Amiscere (amisere o ammiscere), significava la prestazione dei cibi e lo stesso pasto. Spesso è esplicitamente detto che una focaccia serva per colui che portava l'obsequium; altrimenti questo andava a finire in bocca al portatore, durante il cammino a piedi! Nella pergamena n. 19 è detto : « sine comestione referentis ammisero ». (15) È una località situata nella parrocchia di S. Pietro di Carpegna. Barione, o Bariona, era la denominazione dei fossati, come appare da una determinazione di confini del 1372 (Cfr. ZUCCHI TRAVAGLI, Race. Ist., Tomo I I I , fol. 362). Noto era il Piano di Barione, che il Guerrieri (Parte I I ) , nomina come uno dei principali possedimenti della Famiglia Cima di Carpegna.
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N. I V (anno 1169) Archivio di Stato Firenze. « In nomine domini ab incarnatione eius anni sunt M C L X V I I I I (16) Indictione sexta mense februario die ultimo et papa in errore federico rege territorio massano. Peto ego quidem in dei nomine Martolus de marro prò me in vita mea et prò filiis meis rodulfo et Silvestro et benincasa » ed eredi « a vobis silicet Ugone dei gratia Symonensi abbati » ... « unam petiam » di terra « in plebe sistini et in fundo ubi dicitur campo vedo que fuit de res ursone quod habuit guilielmus iruzella a prefato monasterio » ... « cuius rei latere primo siminicus et a secundo domincia et a tertio ruffi et a quarto via publica » per il prezzo di otto soldi di Lucca « ut anualiter pensionis nomine inferamus scripto monasterio unum denarium lucense » ... « et prò obsequio unam petiam camis cum tribus focatiis et una ex is sit prò comestione deferentis amiscere ». « Ego martolus scriptus petitor ut supralegitur scribere rogavi. Tardutius benzonius et Johannes tiniosi et vivolus guillelmi testes huius rei rogati fuere. Guarinus notarius hec omnia scripsit ». N. V (anno 1170). « In nomine domini ab incarnationis eius anni sunt MCLXX Indictione tertia mense februario die X I I introeunte et papa in errore Federico rege territorio Feretrano. Petimus nos quidem in dei nomine ursolus et Johannes filli de johanne praesbitero andree et prò nostris filiis et nepotibus » fino alla terza gene(16) L'indizione è sbagliata; dovrebbe essere la seconda. L a lezione, comunque, non dà adito a dubbi. Gli anni si facevano decorrere o « ab Incarnatione » (25 marzo), o « a Nativitate » (25 dicembre). Nel primo caso (in uso specialmente in Toscana), l'anno incominciava l'ottavo giorno dopo il 25 marzo, cioè il 1° aprile; nel secondo caso aveva inizio otto giorni dopo il 25 dicembre, quindi il 1" gennaio. Nel Montefeltro era in uso « ab incarnatione », in prevalenza.
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razione « A vobis silicet Ugone dei gratia monasterii Simonis abbate et appari conventu monachorum vestrorum » ... « in montem carpiniiCs'/c) et in villa terra eulta et inculta quicquid habuit et tenuit vigolo johannis petioni da predicto monasterio » ... « Pretium a nobis accepisti V i l i solidos lucae, licentiam igitur nobis dedisti scripta res introire et per presbiterum rusticum vestrum nuntium in vestiri ». La pensione e l'ossequio sono identici a quelli della perg, 2. « Nos Ursulus et Johannes scripti petitoribus ut supralectis scribere rogavimus. Vivolus guillelmi Et guilielmus rodulfì et andreas johannis testes. (Guarinus) notarius haec omnia scripsit ». N. V I (anno 1172). « (In nomi)ne domini ab incarnatione eius anni sunt MCLXXII indictione quinta (m)ense madio die I I I exeunte (17) et papa in errore Federico rege terr(ito)rio feretrano et massano. Paginam per enphìteusis contractum facio ego (quidem) in dei nomme Ugo dei gratia monasterii Simonis abbas cum consesu monachorum meorum vobis in Christi nomine berte et imelde et marie quondam andree johannis de petio filiis in duabus partibus et in terciam partem johanni et ugone quondam pepo johannis de petio fìhi » e figli e nepoti fino alla terza generazione, « Idest concedo vobis de propria terra scripti monasterii quicquid habuit et tenuit prenominatus Johannes de petio a predicto monasterio in fundo carpinio et in plebe sistini... » ... « unum pretium a vobis accepi quadraginta soldos lucae. Lieeat igitur vobis omnes praememoratam causam introire et per praesbiterum martinum nostrum nuntium investiri » ... « sic (17) Bisogna tener presente che, nell'uso notarile, il mese si divideva in due parti. L a prima, dal 1° al 15 si designava come « mense intrante »; e il numero corrispondeva alla data effettiva; la seconda parte andava dal 30 (o 31), al 15 del mese, designandosi come « mense exeunte », e facendosi, quindi, il calcolo al rovescio. In questo atto il « mense martio die I I I exeunte » sta ad indicare il 29 marzo.
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nempe omne secundo anno ìnferatis scripto monasterio prò pensione unum lucense denarium et prò obsequio in natale domini unam petiam camis cum tribus focatiis et una ex is sit prò comestione deferentis amiscere et in mense madio unum agnum et una opera manuale ». « Johannes rufus Et Johannes ursi Et scriptus praesbiter Martinus testes ad suprascriptae huius rei rogati fuere. Guarinus notarius haec omnia scripsit ». N. V I I (anno 1172). « In nomine domini dei aeterni. Anni eius sunt MCLXXII Indictione V In mense Lullo Et ideo quidem martianus raignerii quondam fìlius cum mea bona voluntate fatio hanc paginam refutationis (18) atque traditionis ecclesiae sancti angeH sitae in monte simone et tibi domino abbati ugoni tuisque successoribus et monachis eiusdem monasterii in perpetuo. Hoc est nominative do et trado atque refuto omnem rationem et omnem pertinentiam quam habeo nomine pensionis sive aliquo modo a prefata ecclesia de bonis quae fuere rusticelli briti (19) quondam filli sive ab uxore suae imeldae sicuti est in plebe foMe (20) et in plebe sistini vel in ahis locis ubicumque inveniri potuerit praedicta ecclesia deimpare ut haec pagina permaneat una cum hominibus arboribus silvis aquis aquae moHs terra eulta et inculta sic habeat ad habendum tenedum fruendum et fatiendum quicquid ei placuerit cum suis rectoribus omni tempore. Unum recepì praetium sicut Inter nos convenimus X et octo libras infortiatorum et novem soldos ». Se da parte sua o degli eredi non si mantenessero i patti, si accetta la pena di trentasei libbre di inforziati. (18) L a « refutatio » era la concessione di qualche cosa e quindi la successiva trascrizione. (19) Spesso si incontrano nomi che hanno dato origine a cognomi tuttora esistenti nel Montefeltro. È il caso dei Briti, ora Brizzi, o Brizi. (20) È la Pieve di S. Lorenzo in Foglia, ossia di Belforte Isauro. Attualmente funge da Cappella al Cimitero. (Vedi anche Pergg. n. 2 e n. 6).
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« Acta ad ecclesiam sancti Leonis in rude (21). Signo manus praedicti martiani. Investitor fuit martinus paganelli et testis cum rolando ranutii cum moise cum martino aimerado et cum fìlio suo petro et cum multis aliis. Ego Gregorius comunis masse notarius scripsi et peregi », {Non c'è il segno notarile). N. V i l i (anno 1172). «In nomine dei etemi anni ab incarnatione eius sunt MCLXXII mense ianuarii intrantis indictione V Cartula donationis traditionis et ofissionis que fatio ego in dei nomine rigolus fìlius quondam albericus ad ecclesiam beato sancto Johanne in vedo (22) prò dei timore et luminarie (23) anime mee et anime genitore meo vel genitrice aut quondam parentorum meorum ut deus et dominus noster Jesus Christi fatiad medelam de peccatis meis in die juditii ante tribunal Christi hoc est una petia de terra quae est posita in loco qui dicitur (cam)po de la fonte da l(a) via usque a la silva[..,]re meo ante os dies iudicari a scripta ecclesia[...lin manu de presbitero rodulfo de almo a una de[...lta ecclesia. Qua licentiam ab[...lsacerdo[...]ecclesia detinetis cum vestri posterisque successoribus in scripta re ire introire investire abere tenere a iure de scripta ecclesia usque in perpetuum. Et meritum fuit sicut a me placuit unde per-
(21) Presumibilmente si trattava della chiesa di tal nome, non lontano da Miratoio, ora distrutta. (22) L a pergamena è assai rovinata. L a chiesa di S. Gianni, oggi nella Diocesi di Borgo S. Sepolcro, è stata distrutta. L'attuale chiesa è stata costruita con il materiale dell'antica. Murate sulle facciate, vi si possono osservare ancora pietre scolpite di epoca romanica. L a designazione « in vedo » è usata spesso (Cfr. nella Declaratoria di Onorio I I la Pieve di S. Martino di Casteldelci, erroneamente trascritta come « in vivedo »). (23) Si deve distinguere fra « luminare », che significa sfoggio di ceri per il funerale e « luminaria », accensione di ceri per festa. (Jui si tratta di suffragio in senso lato.
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mitto cum meisque haeredibus vel successoribus scripta rem defendere et auctoriare da omni homine omnique tempore sub pena dubpla de scripta re valienti et postea ista cartula immobilis permanead omnique tempore ibi fuit scripto praesbitero rodolfus actum in lo plano de cepali. Signo manu de petrus de albericus et leo[...]filii quondam albericus et pepule de aimo rogati sunt testes ». « Et ego bonus fìlius notarius scripsi ». {Manca il segno notarile). N. IX (anno 1174). « In nomine domini ab incarnatione eius anni sunt M C L X X I I I I (in)dictione V I I mense aprili die X introeunte et papa in errore federico rege territorio feretrano. Sciendum est quod girardus bassus et teobaldus bassus sunt petitores a monasterio Simonis usque in tertia progenies masculina expleta et in qualis sopravixerit de quatuor petiis terrae de scrìpto monasterio site in fundo carpinio p(rima)p(etia) posita a casa bassi Secunda in loco quod dicitur cumo[...](de) pratizello tercia posita in loco qui dicitur prato de leto Quarta sita ad fonte candulfi et hoc prò pretio quinquaginta soldos lucae et annualiter inferant prefatui monasterio in nataUs domini unum lucae denarium prò pensione et prò obsequio unam petiam camis cum tribus focatiis et unam ex is sit prò comestione deferentis amiscere et uno sextario de anona et decimas et una opera boum[...] ». « Praesbiter rusticus fuit investitor scriptae rei. Ugolinus lucari Et giradus imelde Et albericus guillelmi rogati sunt testes. Guarinus notarius haec omnia scripsit ». N. X (anno 1175). « In nomine Christi anni eius MCLXXV mense decembri indictione V i l i . Cartula confìrmationis traditionis fatio ego
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donnus ugo abbas sancti angeli Simonis cum voluntate fratrum confirmo et trado vobis johanni et andrea filiis de leo magnano et filiis et nepotibus vestris m(a)sculis m quibus supravixerint hoc est medietate de omne quod nobis pertinet de tenimento quod bezo habuit et tenuit da la maricula (24) et rivotorto usque ad serra de massa[...] et pretium fuit triginta et octo soldos et pensione debeatis unum parium de pulMs et duas focatias et unum denarium de Iucca et investitor fuit andrea castaido. Et testes fuerunt bonus filius tignosi iacobo malanocte rogati sunt testes ». « Ego ugolinus notarius scripsi et peregi ». {Manca il segno notarile}. N. X I (anno 1175). « In nomine domini nostri Jesu Christi Anno incarnationis eius Millesimo CLXXV temporibus in quibus romana ecclesia erat in discessione (25) et federici imperatoris die (26) mensis ienaurii indictione V i l i . Pagina donationis traditionis in piis seu venerabihbus locis facte. Quam fatio ego quidem in dei nomine Johannes quastablade et frisa ienitrice mea dedit et tradidit omnia mea pertinentia quae mihi pertinent da materno vel de avio meo Leo de petro mea sponte do et trado in perpetuum tibi in Christi nomine Dominus Ugo dei gratia abbas monasterii sancti angeli in simone praesenti acceptori prò te tuisque successoribus in eodem loco regulariter permanentes in perpetuum. Ut supradixi per hanc pagina do dono et trado quicquid ego habeo et detineo in massa in plebe sancti Laurentii in folca in parochia sancti martini in upignani (27) prò redentione anime mee vel parentum meorum ». (24) È chiaramente indicato il fiume Marecchia, mentre non è chiaro quale fosse il torrente rivotorto. È da sottolineare la forma italiana « da la ». (25) Vedi nota n. 8. (26) Non è indicato il giorno. (27) L a località è oggi denominata Lumpignano, fondo vicino S. Sisto.
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« Signum manuus scripto donatore ad omnia quae supra. Signum manuus praesbiteri petri Johannis clerci Ugohnus fratris eius mendicus montis vacario (28) hii omnes rogati sunt testes. Presbiter aimerigus testis et investitor huius rei. Johannes scriptus notarius ».
N. X I I (anno 1178). « In nomme (domini ab in)carnatione eius sunt MCLXXVIII Indictione X I mense apriUs die V I (ex)eun(te) (et) temporibus Alexandro papa et frederico regis territorio massano. Paginam (perem)phiteusis contractus facio ego quidem in dei nomine amizo dei gratia monasterii Simonis (abbas) cum consensu monachorum meorum tibi in Christi nomine Leonardo viventis ildebrandi fìHo » ed eredi fino alla terza generazione « Id est concedo vobis de propria terra scripti monasterii una petia posita in plebe fohe in loco qui dicitur zengi quae sortitur cum ilhs qui dicitur burii quae fuit olim fuedo de leoni bifolco et vinca da piro fusco q(uae) fuit de tenimento de andrea rizo et una petia quae sita a casa Laurentii et sit fruges de tota praedicta re sub potestate scripto Ildebrando in vita sua. Cuius rei latus primo de petra da casa laurentii et secundo sunt vie publice et a tertio videlicet fossatellus et a quarto silicet ecclesia sancti Johannis et inde veniente in prima fine. Unde praetium accepit scriptum monasterium a te prefatus aldebrandus centum soldos lucae liceat igitur vobis scriptam rem introire et per matheum de fabro nostrum nuncium investiri». ... « Sic nempe ut annualiter prò pensione et prò obsequio nomine quattuor denarios lucae inferatis scripto monasterio et decimas de scripta re et non aliud ». « Ego amizo abas manu mea scripsi Ego dominus martinus manu mea scripsi Urso sessanus Et Johannes letonis Et scrip-
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Difficile a localizzarsi: forse Monte Boagine.
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tus matheus de fabro testes ad suprascripta huius rei rogati fuere. Guarinus notarius haec omnia scripsit ». N. X I I I (anno 1180). « (In nomine domini Jesu Christi) anni eius MCLXXX [...]Indictione X I I I Cartula confìrmationis pensionis facio ego quidem in Christi nomine dominus amizo abbas et rector eclesie sancti angeh Simonis una cum fratribus meis confirmo et trado tibi Rainaldo fìho agresti castelani et fratribus tuis medietatem et aham medietatem tibi brunolo fìlio praesbiteri johannis sancte barbare » ... « et insuper praesbiter Johannes habeat suprascriptam medietatem puerì ad frutandum in vita sua » fino alla terza generazione « hoc est res suprascripte eclesie nostram vineam quam habemus in domicelli prope casam de li castelani quam modo habemus ad nostras manus ad nostram donicariam (29) [...] fines ab uno latere tenent li beczi de subtus est res de li castelani et ab alio similiter et superius est via» ... «praetium fuit V I libre lucensium et anuahter reddere debeatis in Christi nativitate unam petiam camis cum duabus focatiis et I I I denarios lucenses et una opera de manibus ad melare et decimas vini ». « Ego amizo abbas manu mea scripsi ego Ugo monachus et presbiter manu mea scripsi ego dominus gualterius monachus manu mea scripsi ego presbiter Johannes monachus manu mea scripsi ego Johannes praesbiter et monachus manu mea scripsi et hoc factum fuit in le vìe piane cum testibus petro glandeloso andrea rainaldi ganfrenelh brunolo marismi vescovellus qui vocatur magister qui fuit investitor rogati sunt testes. Ego ugolinus notarius scripsi et peregi ».
(29) Per « donicaria » o « dominicaria » si intendevano i doni dati per disposizione testamentaria alla Chiesa.
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« Ego Johannes sacri palatii lateranensis et communis masse notarius. ... Exemplum ut in eius autentico confecto per manu Ugolini (notarii) inveni nihil addens vel diminuens ». N. X I V (anno 1186) Arch. Stato Firenze. « In nomine Christi anni eius M C L X X X V I mense februario indictione I I I I Cartula confìrmationis pensionis fatio ego dominus amizo abbas et rector ecclesie Simonis confirmo et trado cum arduvino de sua pertinentia vobis Ugo et guillelmo filii de bianco vobis et heredibus vestris in perpetuum hoc est unum tremissum de terra et silva in plano de soia de subtus da uno torbello(30) ad ahum ad tremissum massanum (31) et pretium fuit X soldos et investitor fuit apadrìnus aldebrandi et annuahter reddere debeatis unum denarium in pensionem ». ... « Et hoc factum fuit in mercato sistini cum testibus apadrino amizo massimi verolo guifielmi zaniolo lambertutii rogati sunt testes. Ego ugolinus notarius scripsi et peregi ». N. XV (anno 1187). « In nomine domini ab incarnatione eius Anni M C L X X X V I I Indictione V mense [...] introeunte temporibus Urbani papae et frederici imperatoris regis territorio feretrano Pagina perenphiteusis contractus quam facio ego quidem in dei nomine Amizo dei gratia monasterii Simonis abbas cum conventu monarchorum meorum vobis in Christi nomine Andreas et Ugolinus filii petri « fino alla terza generazione ». Idest concedo vobis de propria terra scripti monasterii una petia in plano barione (32) Cuius rei latera primo tenet scriptum monasterium [,..] aillis qui (30) Marecchia (31) (32)
Torbello si chiama ancor oggi il torrente che confluisce nel nei pressi di Molino di Bascio. Per la differenza col tremisse feretrano vedi nota n. 4. Per Plano Barione vedi nota n. 15.
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dicitur fuscardelli et a tercio ecclesia sancti arduini (33) e a quarto est barione ». ... « Unde praetium a vobis accepi decem soldos lucenses ». ... « [...] de uno anno infe(ratis) scripto monasterio in natale domini capponem unum cum una gallina et cum una focatia [...] et omne quarto anno unum denarium lucense pensione [...] et nihil aliud. Rainutius rizardi Et girardus davi (34) Et ugolinus alberici Et scriptus Johannes ursi capharelh testes ad suprascriptas huius rei rogati fuere. Guarinus notarius haec omnia scripsit ». N. X V I (anno 1190) Dalle pergamene delle Clarisse di S. Agata Feltria (35). « In nomine domini. Anni eiusdem Incarnationis MCLXXXX in mense marcii Indictione octava tempore clementi pape et federici imperatoris et henrici regis Ego Kirpilius index Interpretatus suam sentenciam in qua data fuit inter bellafante et bencivine sua ex una parte et ex alia johannem et rigo fìlios aunessti qui condemnavit rigum et johannem in quarta parte mobihum et immobilium unius medietatis [...] i l lius de qua contraversia erat inter eos quia albericolus de recolo tempore sue mortis habebat omnia ahaque In ipsa sententia continetur confirmo.
(33) L a chiesa di S. Arduino, attualmente in rovina, si trova su un roccione di conglomerati in comune di Pietrarubbia. (34) « Davi » dovrebbe leggersi « davit » (Davide), come si ha nella perg. n. 20. (35) È la pili antica delle 131 pergamene rimaste nell'Archivio delle Clarisse di S. Agata Feltria. Queste ebbero sede originaria nel convento dì S. Antimo e in seguito in quello di S. Vincenzo nel Rettorato di S. Agata: di essi, non rimane che qualche vestigio. I l Monastero di S. Antimo, presso la riva sinistra del Senatello, ebbe origini assai antiche (come quello dt Castel Begni, presso Montecerignone), comunque non anteriori al sec. XIII. Una tradizione 1Ì vuole fondati da S. Agnese, sorella di S. Chiara. Tuttavia le chiese erano già prima esistenti.
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Hoc actum fuit in presencia martinus monti fatonii (36) tebertengus ricius cavasenno tebaldinus et andreas testes fuerunt. r Ego clemens notarius scripsit et complevit ut supra ». (sic), N. X V I I (anno 1195) Dalle pergamene delle Clarisse di S. Agata F. « In nomine domini anni sunt MC nonagesimo (V) [...] marcii Indictione X I I I in territorio feretrano tempore celestini pape et henrici imperatoris paginam perpetualis vendictionis nec non cdonationis (sic) transactionis quam fatio ego martinus de fuscolo et siveri et iugalibus meis ymelda et berta tibi in Christo raynaldo et iugahs tua galiana vestrisque filiis et heredibus in perpetuum Videlicet duobus petie terre prima petia est posita in fundo monteflore a I latere paulo a I I latere li manzonni a I I I letere Johannes orlando a U H letere emptore. Secunda petia posita in fundo pezalonga a I latere occialino a I I latere casabazi a I I I latere laurentius de rayno ego benedictolo cum iugale mea gisla vendo tibi raynaldo et qualvìna iugali tua vestrisque heredibus in perpetuum Videlicet de mea propria parte una petia posita in fundo pezalonga et in plebe (37) sancte (36) È l'attuale Montefotogno, in Comune di S. Leo. (37) Si tratta dell'antica Pieve di Scavolino, la cui chiesa parrocchiale mantiene lo stesso titolo. Situata piìi in basso, presso Villa Caliendi, è nominata nella Declaratoria di Onorio I L S. Mustiola era assai venerata nel Montefeltro, come possiamo arguire dalle varie chiese erette in suo onore. Per piii ampie notizie vedi MONS. R A F F A E L E BIANCHI, La Città di Chiusi all'inclita patrona S . Mustiola V. e M., Chianciano 1891 e anche GAETANO LORINI, S . Mustiola V. e M. Patrona di Chiusi, Città della Pieve 1887. I l Vescovo dì Chiusi, Mons. Carlo Baldini mi faceva notare che la Santa era di grande statura, come aveva rilevato dalla ricognizione delle ossa; e, inoltre, che Ìl nome, anziché dal latino « mus », poteva ben derivare da una voce dalmata, equivalente ad « ascila ». L a tradizione conferma, infatti, la sua provenienza dalla Dalmazia, facendola parente dell'imperatore Claudio. E si potrebbe ipotizzare che un tale culto fosse portato nel Montefeltro dai Santi Marino e Leone, anch'essi dalmati.
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mustiole a I latere tabuno de Ugolino bianco a I I latere a I I I latere a U H latere emptore cum omne quod intra se et fra se abentibus et pertinentibus ». ... « Unum ego martinus de fuscolo et siveri accepi pretium a te raynaldo pretio nummorum lucentium soldos XXII et si pluri pretii fiat tibi in dono. Et ego benedictolo accepi pretium a te raynaldo pretio nummorum lucensium soldos novem et si pluri pretii fìat tibi in dono. L i cead tibi raynaldo [...] introire ad faciendum ex inde quicquid placuerit in perpetuum cum omnibus pertinentiis ». ... « Paginam cuius vendictionis promittimus et obligamus nos nostrosque (filios et) heredes tibi raynaldo tuisque heredibus omni tempore defendere et auctoriare in placitum vel extra placitum sub ' pena reddendi pretium duplum prò pena absoluta et pagina firma permaneat. Signo manibus martinus de fusculo et siveri et benedictolo et iugalibus nostris ymelda et berta et gisla omnes insimulque hanc paginam scribere rogavi. Deoteadiutì fuit investitor et testis paulus leo befardo leo de orlando adamo de vivolo Rubolo salagrino omnes isti rogati sunt. Ego martinus notarius ec omnia scripsi et compievi ». N. X V m (anno 1195). « In nomine domini ab eius incarnatione anni sunt MCLXXXXV Indictione X I I I mense decembris diebus X V exeunte temporibus Celestini papae et henrici imperatoris territorio feretrano Petimus nos quidem in dei nomine Johannes de zìngis atque asensolus fìlius dominici bagaporci prò me et fratribus meis guidolo et rainerio atque johanne in una medietate et martinus filius ugoli bagaporci prò me et fratre johanne A vobis silicet Wualterìo (38) dei gratia mutinensis
(38) Wualterio è abbate del Monastero del Mutino. Appare anche in un atto del 1207, mentre nel 1214 appare già abbate « Augustinus ». Vedi nota 40.
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abbate vestrisque successoribus Idest de propria terra vestri monasterii nobis concedistis « fino alla terza generazione » in plebe carpinii [...] feretranae termissos in quattuor locis huc usque habuistis et tenuistis iure iam dicti monasterii ad montem onici ad casam derotia Unum pretium a nobis recepistis XXVI soldos lucenses et annuatim nomine pensionis unum denarium lucense et prò obsequio in natale domini unam petiam camis cum duabus focatiis omni secundo anno una ex iis focatiis sit prò commestione defferentis amisere et non aliud ». « Rainerius sancti georgii silvester de monst ... ei investitor testes ad suprascriptae rei rogati fu(erunt). Crispinianus feretranus dei gratia notarius haec o(mnia scripsit) » (manca il segno notarile). N. XIX (anno 1197). « In nomine domini ab incarnatione eius anni sunt MCLXXXX V I I Indictione X V in mense januarius V I die exeunte Et temporibus celestini pape Et henrici imperatori territorio feretrano Petimus nos quidem in dei nomine valentinus et nomaius germani ohm filii soperclo prò nobis et prò vigilelmo gingia et prò filiis et nepotibus « fino alla terza generazione ». A vobis amizo abbas dei gratia monasterii Simonis vestrisque successoribus Idest ». ... « de petia terre vestri monasterii concedistis que est posita in plebe carpinei et in fundo casa pecci medietatem quicquid est infra talibus lateribus videlicet primo latere tenet pecci I I via et al tertio et al quarto ecclesia sancti nicholai (39) veniente in prima fine. ... « Et pretium a nobis (39) È la chiesa di S. Nicolò di Carpegna. L a parrocchiale venne, in seguito, trasferita nel Piano di Vagnarino (l'attuale paese di Carpegna). Durante il Regno Napoleonico fu soppressa per legge ed il beneficio parrocchiale, con il nome, passò all'attiguo convento dei frati conventuali, già consacrato a S. Francesco. S. Nicolò ebbe un culto particolare nel Montefeltro, proprio nella sua qualità di patrono dei castelli, come a Pietracuta, Antico, Casteldelci, Pennabilli, Mondàgano, Viano, Secchiano, Val di Teva. , .
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accepisti V libras luce Et annnualiter inferre debemus in natale domini ad predicto monasterio prò servitio unam petiam carnis et una focatia sine comestione referenti ammisere et uno denario pensione luce ». « Et valentinus et nomaius scripti petitores ut supra legitur scribere rogavimus. Vivolus guilelmi et deutaiudi et beneincasa testes ». E bonus fìlius gratia dei notarius haec omnia scripsit », N. 19 bis (Stessa pergamena desunta dal Ristretto). « 1197-Gennaio 12 indizione nel pontificato dì Celestino, Valentino per h Figli e nepoti ebbe da Amizo abbate del Monastero di Simone e mancando i maschi per una femmma che restasse nel suo patrimonio, Una pezza di terra del Monastero posta nella Pieve di Carpegna in Fondo Casa Pecci lati il Pecci la strada e la Chiesa di S. Niccolò da due parti. Per prezzo di cinque Lire di Lucca e per pensione annuale a Natale dare un pezzo di carne una focaccia ed un denaro di Lucca. Se ne rogò Bono notaio ». N. XX (anno 1199). « In nomine domini ab incarnatione eius anni sunt MCLXXXX nono Indictione secunda m(ensis) junius V i l i dies introeuntis Et temporibus innocentii papae imperatore carente territorio feretrano Paginam perhenfìteosis contractus quam ego quidem in (dei nomine G) alterius abbas monasterii Simonis (40) dei gratia Vobis in Christi nomine u[...] et lazarus germani filii girardo bassi « ed eredi fino alla terza generazione » Idest concedo vobis terra de s(cripto) monasterio uno tremisso et medio ad tremisso feretrano in loco qui dì(citur) plaze primo latere
(40) Galterius è Abbate del Sasso Simone: è singolare come, negli stessi anni l'abbate del Mutino abbia lo stesso nome (vedi nota 38), tanto da far pensare che le due Abbazie fossero unite in tale periodo.
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L U I G I DONATI
tenet curia I I scripto monasterio I I I comparatori I I I I [...] monasterio veniente in prima fine et in [..,] concedo vobis quarto de uno tremisso de terra in la valle de molendino que est posita scripta res in plebe carpinii ». ... « praetium a vobis accepi de scripta res XX soldos lucenses Ucead igitur vobis scriptam rem introire per meum nuntium girardo de davit « ... » Sic nempe annualiter inferatis ad scripto monasterio prò servitio et prò pensione in mense marzo I (de)nario lucense ». « Fabbro de rainolus et agura et Johannes de Ugolino fabbro inscriptus investitor testes ad suprascriptae huius rei rogati fuere. Ego bonusfilius dei gratia notarius haec omnia scripsi » {manca il segno notarile).
INDICE Premessa
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P I E R ANTONIO G U E R R I E R I DALLA CASTELLACCIA, Del luogo e dell'an-
tica CittĂ
di Pittino
7
FRANCESCO V . LOMBARDI, Ricerche su Castrum Glocii: ipotesi ed indizi
23
L U I G I TONINI, Valori architettonici del duomo di S. Leo
33
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FRANCESCO V . LOMBARDI, L'origine dei Faggiolani alla luce di un documento inedito
49
NANDO CECINI, Ipotesi su due torrioni sconosciuti attribuibili a Francesco di Giorgio Martini
69
A M E D E O POTITO, Premesse e documenti inediti per la storia della fortezza del Sasso Simone
79
ENZO BUSCA, Giovanni Francesco Sormani Vescovo di Montefeltro
89
G I U S E P P E TOMBINI, Biografia di G. B. Marini, storico del Montefeltro
103
L U I G I DONATI, Regesti di pergamene inedite del Montefeltro - I sec, XII
115
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