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ALLARME CONSERVATORE

Noi abbiamo già da tempo e in questo ultimo periodo di lavori parlamentari ripetutamente segnalata e stigmatizzata l'inconcepibile dedizione di quasi tutto il Parlamento italiano (le oneste eccezioni si perdono, si scoloriscono·nella massa) a Giovanni Giolitti, Coloro che ci seguono haMo certamente notato l'articolo acre, amaro , v io lento del nostro Ckcotti che paragonaw il Parlamento italiano a una Bisanzio · di esautorati e di eunuchi, di incompetenti e di venduti. L'altm gio rno, uno dei nostd collaboratori riponeva sul ta ppeto l'inquietante fenomeno e domandava : Qual è il regime che governa l'Italia? C'è più la costituzione o è stata soppressa o semplicemente so~pesa ? O siamo dinnanzi a una vera e propria forma di dittatura del Potere Esecutivo impersonato ormai In una sola persona che fa tutto: la p olitica interna e la politica estera.? Che espelle Hervé e rinnova la Triplice? Oggi, leggiamo sul non sospetto Co"ien della Sera u n articolo che sembra scritto da una penna sovversiva d ì astensioni sta o quasi, e che susciterà una certa emozione negli ~mbienti politici, quantunque sia noto ormai che il giornale lombardo , di quando in qua ndo, assume atteggiamenti d i fronda più o meno sinceri, semplicemente per dimostrare la sua indipendenza dalle ,Ottries governamentali. L'articolo in questione non solo una rampogna spiegata ma è anche u n grido d'allarme : Salvia.mo dalla rovina l'istituto parlamentare.

Per noi, socialisti rivoluzionllri che riponiamo tutta la nostra migliore fiducia ndl'azione delle masse e consideriamo la lotta elettorale come un episodio - e non il principale I - della nostra multiforme attività demolitrice e ricostruttrice, per noi che siamo dei suscitatori di bisogni e dei sobillatori di coscienze, l'allarme conservatore nppresenta un nuovo sintomo ddla profonda c1isi che travaglia il regime politico da cui siamo governati. Perché :.i.ttraverso la degenenzione ~eg li istituti parlamentari, noi scorgiamo evidente 1A decadenza delle stcsSC fon:ne politiche di Governo. I ceti dirigenti n on· sono all'altezza del loro compito storico. Di qui l'impressione generale cli disagio, il sordo rnalcont~nto diffuso nell' opinione pubblic:.i. che non ha più fiducia nell'ingegno e nella capacità degli uo mini che reggono - in_ questo critico momento - i destini d ella N azione. Cosi, ora che tutto è « compiuto » e, in un certo senso, irreparabile, gli stessi conservatori che hanno sino a ieri favorito l'affermarsi della dittatura giolittiana e l'hanno subiu, s'avvedono di essere g iunti al limite dell'abisso e protestano, non già contro la dittatura in quanto significa livragazione dei diritti del Parlamento, ma in quanto , ostruendo le vie legali, prepara a breve SClldenza le esplosfoni insurrezionali dei popoli. i'3. lo stesso motivo che ha sospinto Giolitti a largire il quasi suffrag io universale. Ecco perché l'abbiamo accettato, senza levare inni d'entusiasmo al cielo, come hanno fatto ì nostri ex amici di des tra.

Il grido d'allarme è de ttato da un motivo squisitamente reazionario. Ecco perché non ci commuove.

Non è per un improvviso amore delle masse agricole del M ezzogiorno - sempre trascurate e massacrate da tutti i Governi d 'Italiané per una rapida, inesplicabile accettazione dei principi della sovra- , nità popolare che Giolitti si è deciso all'allargamento del suffragio. Chi lo crede è vittima, nell'un caso e nell'a1tro, di una g rande illusione.

L'allargamento del voto dev'essere considerato come il più segnalato servigio reso da Giolitti alla monarchia. È un abile tentativo fatto allo scopo di ridare nuove linfe all'org.i.nismo ormai inaridito del parlamentarismo italiano che, come altrove, è necessario alla borghesia alla quale serve da ane1lo di congiunzione fra H potere esecutivo e la massa.

È stato un decennio di esperienza governamentale che. ha forzato Giolitti alla concessione di una riforma che nessuno o ben pochi e inte rnùttentemente avevan chiesto. Il dilemma era semplice : o r ivalorizzare l'istituto parlamentare italiano o decretarne - con atto regio -,._ Ja morte. Giolitti è stanco della sua dittatura, perché è larvata, è simulata ed è quindi la più pericolosa perché inganna ed esaspera. Riuscirà il te ntativo giolittiano? I prodromi non sono confortanti.

Il suffrag io universale che doveva o dovrebbe moralizzare la vita politica itiUana, selezionando gli uomini ed elevando le idealità, sem· bra destinato invece a demoralizzarla perpetuando gli ibridismi e le camorre nel Paese,. le clientele e le dedizioni nel Parlamento.

Eppure non dovrebbe essere cosl. Fra i molti benefici « immateriali » della guerra libica uno ci veniva con particolare iosisteru:a V?,ntato : la unificazione psicologica del popolo italiano ·e l'acetescirnento del senso civko e morale.

La guerra ci ha trasformati, dicevano gli. apologisti della medesima. La Nazione si ritrova nel suo «civismo» (cosi ottuso, di regola, negli italiani). I va.lori morali della nostra vita politica son o in r ialzo . E per j diversi Corriert della Sera, esempio preclaro di civ ismo era quello offerto dalla maggioranza giolittiana quando nella famosa sedut a deJ. l'annessio ne soffocava con urla. selvagge e ing iurie i dio te 1a critica onesta e preveggente di Filippo Turati. Ora dinhanzi alle palinodie del Corn"ere della S era, noi siamo in diritto di chiedere : il senso civico è dunque scomparso col finire della guerra? E i tanto celeb ri « valori morali» me li trovate voi, o Diogeni in pantofola del moderatume che ama truccarsi qualche volta en frondem? [Sir], Perché la Camera italiana non ha _rjuovato un po• di « senso civico », d i « di gnità mo· raie>) per almeno, non diciamo respingere, ma semp licemente discu~ tere la pace di Losanna e l'intempestivo rinnovamento della T riplice Allcanz..1. ? E il « Paese >> ? n Paese tace. i;: assente.

O n on è rappresentato dalla Camera attuale .o Ja guerra non lo ha psico logicamente unito, né moralmente dngiovanito, come i panegiristi della medesima van cantando, perchC in tal caso avrebl:>e fatto sentire la sua protes ta.

Gli è che il « Paese )> soffre g li stessi mali del Parlamento. h stracco, esaurito, sfiduciato. Per rianimarlo non basta protestare plato nicamente contro i fatti compiuti della dittatura giolittiana, m a bisogna porre sul t1ppeto il probleil'la. istituzionale cotne problenu fonda.men ta.le della politica italiana. I conservatori non ci seguiranno, ceno, su qu esto pericoloso teueno . L'ora ci sembra particolarmente propizia.

Dall'A vanti!, N. 3SJ, 22 dk~mb~ 1912, XVI ( a, 592).

VERSO LA PACE?

Il bilancio delle prime due settimane di trattative a Londra fra i delegati della Quadruplice e q u elli della Turchia non è invero t ale da giustificue troppo rosee speranze e neppure, forse, l'odierno t emperato ottimismo de ll'apìnionc pubblica europea, Di concreto vi si è facto ben poco. Si è perduto molto tempo, solo per esauri re gli inciden ti preliminari e pregi udiziali sollevati dai turchi che - come è noto e gli italiani lo sanno per la triste esperien za di Ouchysono abilissimi nell'escogitare sempre nuovi pretesti per ottenere dilazio ni o rinvii. E forse il loro g ioco continuerebbe tuttora se ì giornali inglesi non lo_ aves sero chiaramente deplorato. O ggi, la Turchia conosce le richieste d egli alleati e sabato dovrà dare una risposta, Durante questo intervallo la Turchia con sulterà gli amici che le sono rimasti in Austria e probabilmente - sabato - presenterà delle contropro poste. Pensare che la Turchia accetti siç el templiciter i patti della Quadruplice è semplicemente assurdo. La Turchia non può fumare la sua sentenza di morte, poiché, se le condizioni degli alleati sono veramente quelle pubblicate dal Times, la Turchia - accettandolea vrebbe finito di esistere come p ot enza europea. D egli antichi territori non le rimarrebbe che il b revissimo Hinterland di Costantinop o li e la costa dei Dardanelli Tutto il r esto - eccettuato Salonicco, la cui sorte non è peranco decis~ e le i sole dell'Egeo - costituirebbe il premio della vittoria da dividers i fra gli a lleati. Ora la Turchia sotÌ:oscriv erà o no le concfu:ioni degli alleati - che pottanno essere eventualmente rimaneggiate nella discussione avvenire -a seconda dei suggerimenti dell'Austria. Se l'Austria non incoraggia con una condotta reticente ed equivoca i B a11bald del partito militare turco che vanno farneticando la r8wmch, e la g uerra ad oltranza, è chiaro che la Turchia si rassegnerà, volente o nolente, al fatto compiuto, Se l'Austria invece- pei fini o bliqui della sua politica bak.anicaecciterà la. Turchia a resistere, allora sarà d1 nuovo la guerra, au. n on più circoscritta nell'Oriente, bens} divampante in tutta Europa. Questa terribile eventualità ! stata ammessa apertamente da Poincaré nei suoi ultimi expod1 alla Camera franee5e. ·u nervosismo c on cui a ttesa la risposta dei delegati turchi pienamente g iustificat o, perché da esso dipende la pace o la g uerra. La situazione politica in ternazionale è quindi incerta. Né a rassicurare gli spiriti ansiosi g iov:a.no molt o i primi risultati della conferenz:a. deg li ambasciatori. Ci trovi:a.rno dinnanii a due d eliberazioni di massima, che p ossono tradursi nella realtà di domani o rima nere nella carta come o neste intenzioni e nulla più. Certo, l'acco rdo di tutte le potenze n el :riconoscere l'auto nomia albanese è un fatto di grande importanza che dev'essere considerato -a nostro modesto avviso - come un successo d ella diplomazia austriaca, ma pur accettando il principio dell'autonomia, restano altre gravi questio ni da risolvere. Lo Stato albanese sarà autonomo, ma con quali confini ? È nella delimitazione dei confini che p ossono sorgere nuove ragioni d i conflitto fra l'Austria che vagheggia una grande AJban ia e g li Stati limitrofi, che non la possono tollerare, perché dovrebbc; o rinunciare alle conquiste territo riali dei loro eserciti.

Anche p er il porto serbo, L'accordo fra Le grandi p o tenze è semplicemente di massima .

Noi crediamo che la tesi dello sbocco serbo sull'Adriatico sia stata in qualche modo pregiudicata dal contegno del Pasie c he fu - io un certo momento - troppo loquace per non dir Jinguacciuto, ma o ra che la Serbia ha ridotto le sue pretese al m inimo, dev'essere soddisfatta e· non taglieggiata o sacri6.cata. Noi socialisti vediamo con simpatia e per mo tivi in perfetto accordo colle nostre premesse dottrinali l'avvento commerciale della G iovane Serbia nel mare Adriatico.

La trasform1zione delle economie: arretrate (come: la agrico la domi nante in Serbia) in economie complesse, capitalistico-banca rie, è il presupposto logico, diremmo marxistico, dello sviluppo del pro letariato e della fiodtura del socialismo. Ora, lo sbocco sul mare provocherà, coll' andare del te mpo, una profonda alterazione nella costituzione economica della Serbia ; il sorgere d i una bo r ghesia industriale sarà accompagnato fatalmente dal sorgere del proletariato, nel senso classico della parola, e: anche in Serbia, co me nelle altre nazioni capitalistiche, il conflitto tra forme e forze di produzione si esaurirà fatalmente nel socialismo.

Anche la diplomazia, come abbiamo detto, ma per ragioni agli antipodi delle nostre:, ha accettato in massima il programma minimo serbo. E con ciò, pur non essendo superate tutte le difficoltà del problema, le speranze di una soluzione pacifica sono leg germente aumentate. Dell'ajfaire Prohaska non è più il caso di parlare. È uno d ei soliti scandalosi bluff cui ricorre la stampa nazionalista di tutti i paesi quando v uole montare l'ambiente. I giornali v iennesi che avevano riferito con lus so di precisi particolarì il massacro del console, ora dinnanzi· a un Prohaska reduce e sano e salvo, non sanno più come mascherare la loro vergogna.

Le prime delibere degli ambasciatori non legittimano dunque ccccssivi entusiasmi e abbiamo detto perché. Se poi si pensa che l'Austria continua la sua mobilitazione, non parrà strano se noi osserviamo la situazione con occhio pessimista e se richiamiamo il proletariato italiano e il Partito Socialista a vigiliu:c in quest'ora grigia in cui fril spennze di pace e timori di g ue rra maturano i destini dell'Europa di domani.

Dall'Avanti.', N. 358, 2) di(~bre 1912, XVI (a, )92).