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3. I negoziati tra Roma e Tirana sulla Grande Albania

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cazione straordinaria” di 10.000 lire come forma di risarcimento per i suoi beni rimasti in Serbia e posti sotto sequestro. Anche questa somma, come le spese d’albergo di Ferhad Draga e figlio, fu pagata attingendo al fondo riservato Albania, gestito direttamente dal gabinetto di Ciano41. Ferhad e Ali Draga rimasero figure essenziali della politica italiana nel Kosovo. Forse non è solo un aneddoto ricordare che, nel dicembre 1941, Ciano ordinò che, proprio per la rilevante personalità di Ferhad, invece della vecchia berlina Fiat 1100 che gli si era concessa per metterlo in condizione di svolgere i suoi incarichi, si acquistasse per lui una vettura nuova42 . COPIA PER L'AUTORE 3. I negoziati tra Roma e Tirana sulla Grande Albania

Il soggiorno del capo kosovaro a Roma si ebbe contemporaneamente alla missione svolta nella capitale italiana da una delegazione della Commissione albanese per la delimitazione dei confini. Questo organo, costituitosi a Tirana sotto la presidenza di Tefik Mborja, segretario del partito fascista albanese, raggruppava, oltre al presidente del Consiglio Superiore Fascista Corporativo, Terence Toçi43, e molti membri del governo e ministri di Stato, anche vari senatori, consiglieri superiori, gerarchi, alte personalità albanesi, e numerosi rappresentanti dei territori liberati. La Commissione inviò a Roma una delegazione con il compito di presentare il punto di vista albanese e di appurare quanto si era deciso circa i confini della futura Albania.

41 Appunto per Benini, 27 giugno 1941; Appunto per il Gabinetto di Ciano, 2 luglio 1941 71/07060/91, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Ferat Bey Draga. 42 Ciano a Jacomoni, 5 dicembre 1941, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Ferat Bey Draga. 43 Sull’importante figura e sull’opera dell’italo-albanese Terence Toçi, v. RITA TOCCI, Terenzio Tocci mio padre (Ricordi e Pensieri), Corigliano Calabro, Arti Grafiche Ioniche, 1977.

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La delegazione, guidata dal senatore Mustafà Kruja e della quale erano membri due ministri del governo Verlaci, Xhemil Dino e Feizi Alizoti, e due diplomatici, i ministri plenipotenziari Berati e Shtylla, ebbe una serie di riunioni con Benini e Scammacca durante le quali si discussero in dettaglio le rivendicazioni territoriali per il Kosovo e per la Macedonia44. Anche la delegazione inviata da Tirana, come aveva già fatto Ferhad Draga, propose un programma massimo di annessioni e in così stridente contraddizione con quanto era stato stabilito a Vienna che ci si pose l’interrogativo se non fosse ormai opportuno informarla delle decisioni sulle nuove frontiere45. Ciano rispose positivamente e Pietromarchi e Scammacca provvidero, nel corso di una riunione a Palazzo Chigi, il 22 maggio, a mettere al corrente la delegazione albanese COPIA PER L'AUTORE della nuova sistemazione confinaria. I delegati albanesi convennero pienamente sull’importanza dei risultati che si erano raggiunti e che i due funzionari italiani, carte alla mano, si sforzarono di magnificare, ma domandarono che in sede di delimitazione dei confini si apportassero delle modifiche “per ragioni puramente sentimentali”. La prima richiesta riguardava il piccolo territorio montenegrino di Plava, che aveva scarso valore economico, ma era d’importanza storica e morale enorme per l’Albania, in quanto luogo delle lotte nazionali dell’epopea cantata dal sommo poeta albanese, il francescano padre Gjergj Fishta. Inoltre, pur non pretendendo di rimettere in discussione l’intero confine a nord del Kosovo

44 Scammacca a Jacomoni, 24 maggio 1941, lettera n. 71/05275/1248, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. 45 Appunto del SSAA, Ufficio I, Roma, 19 maggio 1941 in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. Sull’appunto è scritto: “Sua Ecc. Benini ha sottoposto l’appunto all’Ecc. il Ministro, il quale autorizza a mettere al corrente gli albanesi. 19 maggio 1941. Scammacca”. Su una copia dell’Appunto è anche scritto: “L’Ecc. Ciano ha autorizzato. Si è provveduto informare i membri della Deleg. Alb. Nel senso voluto. Sc.”

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annesso, come pure evidentemente si sarebbe voluto, si desiderava almeno Vucitern, rimasta alla Serbia e posta a sud di Mitrovica, al di fuori del bacino minerario di Trepča che interessava i tedeschi, nonché Kaçanik con la stretta omonima, senza pregiudizio della restante delimitazione stabilita per il massiccio del Ljuboten e il bacino minerario di Belovište. La sistemazione ottenuta per la regione dei laghi col pieno diritto sulle acque, pur con la dolorosa perdita di Ohrid, ma con l’acquisizione del monastero di San Naum, soddisfaceva pienamente gli albanesi46. A conclusione di questo primo giro di consultazioni, il governo albanese venne informato ufficialmente del nuovo tracciato confinario, mentre la delegazione fu ricevuta in udienza da Ciano, da Vittorio Emanuele III e da Mussolini47 . COPIA PER L'AUTORE Per tutto il mese di giugno, la delegazione lavorò intensamente a contatto con i funzionari del ministero degli Esteri e del sottosegretariato allo scopo di chiarire al meglio le rivendicazioni territoriali albanesi e di esaminare i sistemi di tutela delle minoranze albanesi che sarebbero rimaste fuori dai confini del nuovo stato. Si era subito concordato, infatti, sull’opportunità di stipulare accordi bilaterali di protezione delle minoranze con i paesi confinanti, scartando ogni altra soluzione, quali l’opzione di nazionalità, sia con l’obbligo di cambiamento di dimora sia senza quest’obbligo (prevista dall’accordo italo-jugoslavo per la Dalmazia) o lo scambio di popolazioni48 .

46 Appunto per l’Eccellenza il Ministro del SSAA, Ufficio I, Roma, 22 maggio 1941 (l’appunto reca la scritta “Visto dall’Ecc. il Ministro”), in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. 47Appunto per l’Eccellenza il Ministro del SSAA, Ufficio I, Roma, 25 maggio 1941, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. 48 Appunto per Ciano, senza data, sulla riunione del 7 giugno 1941, tra Scammacca, Di Fossombrone, consigliere giuridico del Ministero, e la delegazione albanese, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 1.

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L’idea di uno spostamento della popolazione albanese, stimata in circa 200.000 anime, di cui 80.000 in territorio ex jugoslavo ora serbo e 120.000 in territorio bulgaro, era emersa durante il primo giro di consultazioni, come misura per dar modo a tutti gli albanesi di entrare a far parte della nuova Albania e soprattutto per consolidare l’assetto etnico, in modo da porre su basi definitive la sistemazione di pace. Ma, seppure quest’idea avesse avuto dei sostenitori da parte italiana, che si rifacevano in qualche modo al modello degli accordi sulla minoranza tedesca dell’Alto Adige, trovò compattamente contrari tutti i delegati albanesi. In realtà, al di là delle belle parole e delle pure sincere espressioni di compiacimento per l’allargamento territoriale dell’Albania, per gli albanesi non c’era nulla che si doveva rendere definitivo nella sistemazione COPIA PER L'AUTORE confinaria e tanto meno come base della futura pace. A dimostrarlo valgano le considerazioni che sia Kruja, sia Berati e Alizoti misero per iscritto proprio sul problema del destino degli albanesi rimasti fuori dal Regno, tutte tese a confutare ogni altra soluzione, che certo era stata loro proposta, che non fosse quella degli accordi di protezione delle minoranze. Kruja bocciò drasticamente l’idea di uno scambio di popolazioni con una serie di convincenti argomentazioni. Innanzitutto, il numero degli albanesi rimanenti in territorio serbo e bulgaro era il doppio dei serbi e bulgari che sarebbero rimasti in quello albanese. Il nuovo stato albanese, dunque, non era preparato, e non lo sarebbe stato in un breve lasso di tempo, a ricevere improvvisamente queste quarantamila famiglie, ovvero 200.000 nuovi abitanti. Altra ragione era la differenza climatica tra le regioni d’origine degli emigrandi e le zone agricole nelle quali sarebbero stati destinati, ritenute meno salubri. Il trasferimento di queste popolazioni veniva poi bollato come “inumano” perché effettuato contro la volontà degli stessi albanesi, tenacemente attaccati alla loro terra natia; infine, dal punto di vista politico, un’evacuazione degli albanesi avrebbe pregiudicato definitivamente la sorte futura di quei

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territori. Il sistema delle opzioni, altro rimedio esaminato da Kruja, pur in apparenza più equo, poneva gli optanti di fronte all’atroce dilemma di scegliere tra il richiamo “del sangue”, il richiamo della nazione, e le proprie radici, la terra che custodiva le spoglie dei loro cari. Vi era poi un problema politico non indifferente nell’adottarlo, cioè il rischio di dover accettare un trasferimento unilaterale, dato che con tutta probabilità le minoranze albanesi avrebbero optato per trasferirsi nel nuovo stato albanese, mentre bulgari e serbi in Albania, che il senatore stimava intorno ai centomila individui, non avrebbero optato per il trasferimento entro i propri stati nazionali. Non c’era altra soluzione, quindi, che quella degli accordi bilaterali per assicurare alle minoranze di entrambe le COPIA PER L'AUTORE parti la tutela dei diritti di minoranza. Con convinzione Kruja affermava: “È vero che questi diritti, garantiti nel passato dalla defunta S.d.N. sono stati impunemente calpestati. Ma questa violazione si è potuta consumare dai più forti contro i più deboli che non erano protetti che dall’impotente Società delle Nazioni. Gli accordi bilaterali hanno invece funzionato abbastanza bene, perché le parti contraenti avevano nelle proprie mani la stessa arma di rappresaglie. Ciò è anche il caso nostro oggi. Se i governi bulgaro e serbo mancassero ai propri obblighi verso le minoranze albanesi, altrettanto farebbe il governo albanese verso quelle bulgare e serbe”49 . Anche Berati e Alizoti vennero alle conclusioni di Kruja, più o meno con le stesse motivazioni, ma furono più espliciti sulle finalità che ci si proponeva. Insistettero, infatti, sull’idea che uno scambio di popolazioni avrebbe pregiudicato, inutilmente, il futuro delle terre evacuate, mentre si potevano tranquillamente attendere tempi migliori, confidando sul fatto che l’elemento albanese

49 Il problema delle minoranze albanesi. Appunti del senatore Kruja (gli appunti furono rimessi dal diplomatico albanese Karazi il 9 giugno 1941), in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 1.

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non sarebbe stato facilmente assimilato a causa della differenza religiosa e linguistica. Un trasferimento forzato e repentino della popolazione, che essi stimavano, però, in 250.000 persone, sarebbe stato considerato “una grave sevizia” e avrebbe creato gravi problemi all’interno dell’Albania. Il sistema delle opzioni, infine, secondo i due esponenti albanesi, era praticabile solo per minoranze piccole, mentre in alcune zone gli albanesi erano la grande massa della popolazione e dunque la Bulgaria non sarebbe stata d’accordo. Vi era, tra l’altro, il rischio che gli slavi abitanti in Albania, ritenuti circa 100-150.000, optassero sì per la Bulgaria, ma rimanessero concentrati lì dove erano, ovvero nella zona confinaria a stretto contatto con lo stato nazionale, dando vita a nuovi fenomeni di irredentismo. COPIA PER L'AUTORE I due delegati albanesi ipotizzavano anche la possibilità di un’opzione con l’obbligo di cambiamento di domicilio entro un certo periodo di tempo, ma solo per respingerla come foriera di gravi inconvenienti: si sarebbe data in mano a bulgari e serbi un’“arma temibile” per costringere gli albanesi a emigrare, adottando misure vessatorie per spingerli a optare per l’Albania. Inoltre, come aveva già sostenuto Kruja, Berati e Alizoti erano del parere che la popolazione slava presente nei nuovi confini albanesi, più sensibile alle ingiunzioni delle autorità religiose e civili bulgare, avrebbe optato in misura trascurabile, dando luogo a un trasferimento unilaterale. Non rimaneva, dunque, anche per loro che il sistema della protezione delle minoranze nazionali basato su accordi bilaterali che, come aveva dimostrato quello tra Romania e Jugoslavia, avrebbero assicurato efficacemente una reciprocità di trattamento delle rispettive minoranze. L’Albania, d’altro canto, era pronta a garantire alla minoranza slava scuole in madrelingua, libertà di religione e forme d’autonomia politica, chiedendo per le minoranze albanesi un identico trattamento. Gli accordi bilaterali, dunque, garantiti dal Nuovo Ordine imposto dall’Italia e dalla Germania, erano l’unica strada

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percorribile al momento: “È possibile – concludevano – che tutte queste speranze siano vane, ma non sarebbe opportuno scartare questi metodi ponderati di protezione minoritaria senza averli sperimentati. Rimane sempre tempo per addivenire a una intesa di scambio delle popolazioni”50 . Pare fin troppo evidente che l’insistenza dei delegati albanesi sugli accordi di protezione delle minoranze non scaturiva solo da considerazioni umanitarie o di civiltà giuridica. Le minoranze albanesi dovevano rimanere dove erano e non dovevano essere assorbite affinché potessero attendere, in un futuro imprecisato, l’arrivo dell’Albania. La sistemazione confinaria della Grande Albania, dunque, doveva rimanere provvisoria, semplicemente perché quella che si era creata non era la vera Grande Albania, ma COPIA PER L'AUTORE solo un’Albania più grande. Il documento che a chiusura della tornata di colloqui romani la delegazione albanese rimise al sottosegretariato fu, in un certo senso, scioccante per gli italiani. Era una relazione riassuntiva delle rivendicazioni albanesi che si erano di volta in volta esposte con quattro annessi esplicativi. Il primo annesso era relativo alle rivendicazioni verso il Montenegro, ovvero le regioni di Antivari, Tuzi, quella di Hoti e Gruda, nonché quelle di Plava e Gusinje. Il secondo annesso si occupava delle rivendicazioni nel settore nord e nord orientale ovvero dei distretti di Peshteri, Rozhaja, Peja, Novi-Bazar, Mitrovitza, Vuciterni, Pristina, Podujevo, Ghilani, Perizovik e Kačanik. Il terzo annesso rivendicava le zone della regione dei laghi e i distretti di Krisheva, Prilep e Monastir. Il quarto annesso, infine, chiedeva per l’Albania i distretti di Florina, Kosturi e Grebenè, e le regioni del Pindo e dell’Epiro, contestando la convinzione che stava prendendo corpo a Roma di dover lasciare que-

50 Promemoria sulla salvaguardia delle minoranze albanesi che rimangono al di là dei nuovi confini, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 1 su cui si legge la minuta di Scammacca: Promemoria “del Ministro Berati, sul quale è d’accordo anche l’Ecc. Alizoti. Rimesso il 10. VI.1940/XIX”.

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ste regioni alla Grecia. La seconda parte del documento, infatti, trattava delle rivendicazioni di ordine economico, concentrandosi sostanzialmente sul vecchio contenzioso con la Grecia circa le terre appartenute agli albanesi della Ciamuria51 . Ma che significato poteva avere rimettere alla fine di un mese di negoziati sui confini un documento come questo? Significava semplicemente ribadire che la vera Grande Albania era uno stato composto da tutti i territori che formavano i quattro vilajet ex turchi di Scutari, Kosovo, Monastir e Janina. Era l’Albania della Lega di Prizren del 1878 ed era ancora quella per tutti i patrioti albanesi anche nel 1941. La lotta per l’unità nazionale del popolo albanese aveva solo conseguito un traguardo ragguardevole, ma era lungi dall’essersi conclusa. Per gli albanesi d’Albania, dunque, COPIA PER L'AUTORE come per quelli del Kosovo, la vittoria conseguita contro la Jugoslavia era sentita come una vittoria mutilata. A fine giugno la delegazione ritornò a Tirana dove la Commissione, sotto la presidenza di Mborja, si riunì in seduta plenaria per ascoltare la lunga relazione letta da Kruja sull’attività svolta a Roma e sui risultati conseguiti. La seduta fu abbastanza movimentata per l’evidente insoddisfazione dimostrata da molti membri con richieste di chiarimento ed espressioni di preoccupazione per la sorte dei territori non ancora assegnati, che costrinsero Kruja e Mborja a far opera di rasserenamento degli animi52. In quest’opera di distensione, trovarono un valido appoggio in Terence Toçi, che pronunciò un vigoroso e solenne discorso di fronte al Consiglio superiore corporativo, che magnificava il grande traguardo raggiunto e si incentrava sulla missione di avanguardia dell’impero che veniva ora affidata all’Albania nei Balcani. Un contributo alla moderazione fu poi apportato dalle misure che a Roma si erano

51 Appunto di Scammacca per il GAB-AP, 22 giugno 1941, 71/06605/1799, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. 52 Jacomoni a Ciano, 30 giugno 1941, t. 6447/561, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini.

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prese o si era in corso di prendere per dare maggiore autonomia agli organi locali e consentire una più diretta partecipazione degli albanesi alla vita delle terre liberate53 . Particolarmente spinosa, nell’immediato, si presentò la questione della delimitazione dei confini con il Montenegro. Jacomoni aveva già comunicato le richieste minime del governo di Tirana al momento in cui si era appreso della sua costituzione a stato indipendente. Già all’epoca, Mussolini e Ciano, nonostante il parere contrario di Mazzolini, alto commissario per il Montenegro, si erano orientati nel senso di dare soddisfazione alle richieste degli albanesi inoltrate da Jacomoni54 . A fine giugno, a corroborare le rivendicazioni del governo albanese giunse a Tirana un minaccioso appello dei capi albanesi COPIA PER L'AUTORE di Hoti, Gruda, Trepshi, Tuzi e Koçi, affinché i loro territori venissero annessi all’Albania, dichiarandosi pronti a tutto pur di non avere a che fare con gli odiati montenegrini e minacciando di far prendere alla situazione una “piega irreparabile” se non fossero stati ascoltati55. Definire i confini albanesi col Montenegro era divenuta una priorità per evitare incidenti56. La cosa fu subito sfruttata dal governo di Tirana e il 5 luglio giunsero a Roma Koliqi e

53 Jacomoni a Ciano, 2 luglio 1941, t. 6584/0180, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. 54 Sulle vicende montenegrine, v. GIANNI SCIPIONE ROSSI, Mussolini e il diplomatico. La vita e i diari di Serafino Mazzolini, un monarchico a Salò, Soveria Mannelli, Rubettino, 2005, pp. 97-111. In particolare sulla questione dei confini con l’Albania v. qui stesso il Diario di Mazzolini alla data del 21 maggio 1941. 55 Meloni a Ministero degli Esteri, telespr. 9777, senza data, ma di fine giugno, in ASMAE, SSAA, B. 78 f. “Montenegro”. Col dispaccio si trasmetteva un appello, datato 27 maggio da Scutari, e firmato dal presidente del municipio di Tuzi Sherif Hyseni, dal presidente di quello di Gruda Dok Martini, e con le firme di Bajram Muji da Tuzi, Nikoll Miri e Gjek Çuni da Gruda e Hasan Begu da Vranje. Vi si legge sopra un appunto: “La questione è ormai decisa in senso favorevole all’Albania limitatamente a Hoti e Gruda. Sc.” 56 V. CIANO, Diario, alla data del 30 giugno 1941.

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Kruja con la richiesta di essere ricevuti da Ciano urgentemente al fine di discutere con il ministro l’attribuzione all’Albania della conca di Plava e Gussinje57. Nonostante le perorazioni di Mazzolini e le sue espresse preoccupazioni circa il pericolo di gravi reazioni montenegrine in caso di nuove mutilazioni territoriali58 , Mussolini, cui fu rimessa la questione, decise di risolvere in senso favorevole agli albanesi la controversia sulla frontiera. Il desiderio di soddisfare al massimo il nazionalismo albanese ebbe il sopravvento, ma forse non fu estranea alla decisione del «duce» anche la volontà di dare un colpo al prestigio della monarchia che ripetutamente si era espressa in favore del mantenimento del Montenegro nei confini del 191459. L’Albania, dunque, si ingrandiva a scapito del Montenegro con le regioni di Peć e Giakoviza, di Plava e COPIA PER L'AUTORE Gusinje, di Tuzi, Hoti e Grudi e di Dulcigno (Ulcinj). Ciano scrisse a Jacomoni di far rilevare come l’Italia realizzasse un “sogno secolare” degli albanesi, mentre con Mazzolini si premurò di insistere sul fatto che le frontiere avevano un “valore puramente morale ed amministrativo trovandosi ambedue i popoli nell’orbita di Roma”60 . Era evidente che la decisione italiana doveva essere recepita in modo assai diverso in Montenegro e in Albania. Mazzolini comunicò da subito le profonde impressioni suscitate presso i montenegrini e l’aggravarsi della situazione da ogni punto di vista e l’im-

57Appunto urgente del SSAA, Ufficio I, Roma, 5 luglio 1941, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. Vi si legge sopra:”L’Ecc. il Ministro riceverà Koliqi e Kruja. Sc.”. 58 Mazzolini a Ciano, 8 luglio 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 362. V. anche il Diario di Mazzolini alle date del 7, 11, 12 luglio 1941, in ROSSI, Mussolini e il diplomatico, cit. 59 V. a questo proposito anche CIANO, Diario, alle date del 10 e 21 maggio 1941, nonché il Diario di Mazzolini alle date dell’11, 22 e 26 maggio 1941, in ROSSI, Mussolini e il diplomatico, cit. 60 Ciano a Jacomoni, 8 luglio 1941 e Ciano a Mazzolini, 9 luglio 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, DD. 363 e 367.

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possibilità di mettervi riparo con i limitati mezzi a sua disposizione61. Il 13 luglio, infatti, all’indomani della proclamazione dell’Assemblea costituente montenegrina scoppiò la rivolta popolare che avrebbe dato la stura al movimento di resistenza contro gli occupanti62. L’adesione alla resistenza nazionalista, come poi a quella comunista, vista in questa ottica, fu inizialmente adesione allo slavismo contro gli albanesi, al cristianesimo ortodosso della antica Terza Roma contro l’Islam albanese: alla Russia si guardò, nuovamente, come nel secolo passato come all’ancora di salvezza e all’antica protettrice antiottomana-antimusulmana e antitedesca. Al contrario di Mazzolini, Jacomoni poteva comunicare la “gioiosa impressione” destata dalla decisione di Mussolini e gli immediati riflessi che essa avrebbe avuto nel “cementare unione COPIA PER L'AUTORE italo-albanese e disarmare, di fronte alla evidenza e grandezza dei risultati, superstiti avversioni e prevenzioni”. Nel paese cardine della comunità imperiale, insomma, la posizione dell’Italia ne usciva rafforzata sia per aver patrocinato l’unificazione nazionale, sia come elemento indispensabile per la sua difesa e conservazione future63. Il luogotenente poteva, dunque, registrare, pur nella perdurante sensibilità per le questioni territoriali, un deciso miglioramento dello spirito pubblico in relazione all’unione con l’Italia e ai vantaggi che essa aveva e avrebbe in futuro arrecato. Questo miglioramento, tra l’altro, già in atto per la fine della guerra, per i segni della ripresa economica e per la regolarità degli approvvigionamenti, era stato ancor più favorito dai provvedimenti presi o annunciati per dare maggiore autonomia agli organi locali e consentire una più diretta partecipazione albanese allo studio dei problemi delle terre liberate64 .

61 Mazzolini a Pietromarchi, 10 luglio 1941 e Mazzolini a Pietromarchi, 11 luglio 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, DD. 369 e 375. 62 V. TOMASEVICH, War and Revolution, cit., pp. 138-142. 63 Jacomoni a Ciano, 14 luglio 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 384. 64 Jacomoni a Ciano, 2 luglio 1941, t. 6584/0180, in ASMAE, SSAA, B. 78, f.

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