77 minute read

Capitolo III: 1935-1939

Next Article
Radio

Radio

A parte le bordate che la stampa, già alleata, tirava contro lo Stato italiano e gli esponenti del Regime, specialmente in Francia pullularono i così detti «Uffici di Consulenza» per emigrati, che svolgevano deleteria attività appoggiandosi alle stesse strutture ministeriali italiane; per cui il Gabinetto della Guerra dovette dare ordine, nel 1927, di interrompere ogni rapporto con quegli uffici e di evadere solo le richieste provenienti dagli Uffici Consolari e dalla Segreteria Consolare dei Fasci Italiani all'Estero.

Tornando al tema del coinvolgimento, c'è da aggiungere che l'Esercito fu totalmente assorbito dalle manifestazioni propagandistiche del fascismo all'interno del Paese. La presenza dello strumento militare alle cerimonie, alle inaugurazioni, alle mostre, ai concorsi: alle visite di delegazioni estere, era infatti la degna cornice alla scenografia che il fascimo soleva allestire per interpretare, rappresentare ed esprimere tutta la grandezza, la forza e la potenza del Regime. Gli stessi addestramenti militari e le grandi manovre finirono, con il passare degli anni, per diventare più delle sceneggiate dimostrative che non momenti di verifica dell'efficienza dello strumento militare, e dell'efficacia delle sue dottrine. Rappresentazione ed . 1mmag . . . mano cornsposero e c . . omc1sero così in quella scelta ideologica, intorno alla quale ruota va tutta la macchina propagandistica del fascismo: il culto del «Duce» ovvero dell'imperatore, del Cesare che aveva rimesso ordine nello Stato e godeva del trionfo tra le sue legioni, osannato dal popolo al passaggio. Si ritrovava così anche il perché della necessità ineluttabile della «romanità» nella figurazione del fascismo.

Advertisement

Un idillio, dunque, peraltro rivelatosi in qualche occasione più formale che sostanziale.

L'Esercito, infatti, pur trovandosi immerso fino al collo a fare da supporter alla grandezza del Capo, cercò di salvaguardare la propria dignità, che non ebbe timore di difendere all'occasione. Una di esse fu la Mostra della Rivoluzione Fascista, voluta da Mussolini nel1932 in occasione del decennale della marcia su Roma. Divisa in sale tematiche, la mostra diede spazio anche ai fatti di Fiume e al «Natale di sangue»; il contesto in cui tali eventi furono rappresentati, offensivo per l'Esercito, provocarono il risentimento dei vertici militari. I Capi Ufficio Storico del tempo (colonnelli de Biase, 1932 e Bronzuoli, 1933), in più riprese visitarono le sale della mostra, indicando al dottor Devoto, segretario generale all'esposizione, i documenti da togliere. Cosa che fu fatta di notte e un po' alla volta, perché il pubblico non si rendesse conto dell'incidente. Furono soprattutto «asportati furtivamente» articoli e manifesti contenenti apprezzamenti «non lodevoli» su Caviglia e sui soldati, accusati di crudeltà ingiustificata e

appellati con titoli poco riguardosi (sghcrri, manigoldi).

Un evento sintomatico, anche questo, dei difficili rapporti esistenti tra Esercito e Milizia, reso ancor più evidente dalle parole del Bronzuoli « ... ho esaminato con la cura maggiore) compatibilmente con il tempo) con la folla, e con la sorveglianza dei militi che non consentono di prendere appunti e con i quali era opportuno evitare contestazioni ... » -. Si tenga presente che chi riteneva «Opportuno evitare contestazioni» era un colonnello Capo Ufficio del Corpo di Stato Maggiore, in un momento in cui tale Corpo era una casta cd i rapporti gerarchici tra militari regolati da rigidi formalismi e vincoli disciplinari severissimi.

Per concludere, nel decennio in esame la propaganda mosse tutte le sue pedine per aggregare le masse intorno al consenso e ancor più intorno al Capo, al mito così ben costruito attraverso gli strumenti pubblicistici e la loro manipolazione, i cui effetti saranno duraturi fino al 1940.

Le masse, dal canto loro, furono aperte e pronte a recepire ogni attività promozionale, preparate in questo da alcuni avveduti provvedimenti economici, politici e sociali. E furono così persuase, da non essere scalfite minimamente dalla propaganda avversa interna ed esterna.

Né furono indotte a1la riflessione dall'istituzione del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato; uno strumento repressivo, in verità, non così disumano e feroce come è stato accreditato, se paragoniamo - pur nel rispetto di quanti ne soffrirono - le sentenze da esso pronunciate con i terrificanti processi sommari che altri, contemporaneamente, eseguivano in mezza Europa, senza avvertire neanche la necessità di legittimarli nella forma.

46

1935-1939 Il progressivo accentramento, nel corso di questi anni, della macchina propagandistica nelle mani di un unico Dicastero, potrebbe far pensare ad uniformità di indirizzi e di realizzazioni, almeno a partire dal1935 e fino alla 2a guerra mondiale. Nella realtà non fu così; la guerra italo-ctiopica, la campagna di Spagna, lo scoppio del 2° conflitto mondiale, ebbero come effetto, indubbiamente, l'allargamento dei limiti delle funzioni e delle sfere d 'intervento dei vari organi della propaganda, ma non soltanto questo. Guerre c campagne, infatti, duplicarono i recettori della azione propagandistica: se prima dei conflitti la propaganda era di natura ideologica e diretta soprattutto al fronte interno, ora avanzava la necessità di trasferire, in termini concreti sul fronte di guerra, la propaganda fascista c, quindi, diventava ineluttabile conceqerc deleghe ad altri: in particolar modo, alle autorità militari operanti su tali fronti. Riassumiamo, schematicamente, come era articolato in questi anni l'apparato propagandistico del Regime, quali erano gli organi e quali funzioni essi avevano: - la Commissione Suprema di Difesa, presieduta dal Capo del Governo, predisponeva ed emanava i criteri organizzativi su tutta la materia in vista della mobilitazione; - il Ministero per la Stampa e la

Propaganda, poi Cultura Popolare (1937), ideava, e attuava la propaganda attraverso i mass-media, produceva e controllava i mezzi c gli strumenti di propaganda c di contropropaganda all'interno del

Paese; -il Ministero degli Affari esteri, sviluppava l'azione di informazione, di propaganda e di contropropaganda all'estero; - il Ministero della Guerra, curava all'interno del proprio apparato l'opera di assistenza, propaganda e contropropaganda sulle truppe. Con l'apertura dei fronti di guerra, attraverso propri organi, incominciò a produrre propaganda cd avocò a sé una sempre maggiore autonomia, unita a poteri d'intervento sui massmedia c sugli strumenti della propaganda non solo all'estero e sui fronti, ma anche all'interno del Paese; - il Partito Nazionale Fascista, che aveva un proprio Ufficio Propaganda, con le sue organizzazioni svolgeva propaganda ideologica «Spicciola» all'interno, per la preparazione e la formazione dei cittadini. I suoi interventi arrivavano sino a sovvenzionare giornali e giornalisti, perché i commenti politici avessero sempre forti connotazioni filo-fasciste.

Concorreva anche alla propaganda all'estero. Ricordiamo, infine, che la

Milizia Volontaria Sicurezza

Nazionale, il braccio armato del partito, aveva un proprio Ufficio

Stampa e Propaganda; - il Ministero dell'Interno, attraverso la sua rete informativa e l'opera di controllo c di censura- svolta anche dal Ministero della Guerra - forniva utili elementi per gli indirizzi della

propaganda; -il Ministero della Colonie, poi Africa

Italiana (1937), concorreva all'azione di propaganda e di contropropaganda nelle colonie, o l'attuava talvolta in forma autonoma; - il Comitato Centrale Interministeriale per la Protezione Anti-Aerea c l'Unione Nazionale Protezione

Antiaerea intervenivano nel Paese per l'opera di informazione e di propaganda necessaria al cittadino per la protezione passiva dall'offesa aerea. In breve, la Commissione Suprema di Difesa doveva preparare l'attività propagandistica per la mobilitazione, Cultura Popolare era l'organo direttivo c di controllo della propaganda, tutti gli altri i bracci operativi nei settori di competenza.

È facile immaginare cosa succedesse in pratica. Nonostante, comunque le fughe dall'accentramento, grosso modo Minculpop riuscì a dirigere l'orchestra pubblicistica e tencrne gli strumenti sotto controllo.

Nel febbraio 1936, Galeazzo Ciano, Ministro per la Stampa e Propaganda, presentò alla XIII Sessione della Commissione Suprema di Difesa la relazione per l'organizzazione e il funzionamento dei nuclei di propaganda all'interno e all'estero (NU.P.l.E.).

Nella prima parte della relazione, veniva riassunto quanto era stato fatto precedentemente dal Ministero dell'Interno, che fino al1935 era stato preposto all'attività propagandistica e assistenziale, unitamente al Partito Nazionale Fascista e ai sodalizi

48

patriottici sorti dopo la grande guerra. In sintesi, a partire dal1931- nulla di concreto era stato realizzato negli anni antecedenti- gli Interni avevano costituito un ufficio per la trattazione degli affari della propaganda, chiamandone a far parte un vice prefetto, un funzionario, un archivista, una dattilografa. L'ordinamento del servizio risultava, dalla documentazione agli atti, articolato sul nucleo ministeriale e 93 Organi periferici provinciali, con sede presso le Prefetture del Regno; essi avevano il compito di organizzare, attivare e seguire le attività propagandistiche a livello locale, sotto la direzione e la vigilanza dell'autorità prefettizia. Ciascun organo provinciale era diretto da uno o due funzionari, in genere ufficiali invalidi e funzionari civili a riposo, designati, sin dal tempo di pace, da Guerra e Interno. Sostenevano questi enti distaccati un complesso di oratori e di propagandisti, scelti dai prefetti- d'intesa con il Partito e i sodalizi - tra noti professionisti, ritenuti idonei al particolare incarico e distribuiti nei vari centri di propaganda della provincia. Inoltre, nelle scuole, fu selezionato un folto numero di insegnanti, prescelti dai capi d'istituto c con l'approvazione prefettizia, per svolgere attività secondo un «piano prestabilito», non meglio specificato.

Tale organizzazione fu ritenuta valida dal nuovo Ministero della Cultura, soprattutto per la sua articolazione provinciale, che faceva capo ai prefetti e quindi ai rappresentanti del Governo in

periferia. Era, in definitiva, nelle salde mani del potere centrale. Per cui Ciano provvide ad avviare essenzialmente un lavoro di revisione, teso ad aggiornare, integrare e potenziare la macchina della propaganda, in vista delle finalità da raggt ungere.

Fu così provveduto alla compilazione di un Bollettino di mobilitazione per gli organi provinciali, in modo che essi fossero sempre pronti ad agire, e che avvenissero le debite sostituzioni dci funzionari non più utilizzabili (per decesso, per infermità, per richiamo alle armi, ecc.). Fu istituito l'organo provinciale presso la neonata 94a provincia di Asti (15 aprile 1935). Si procedette alla revisione delle liste dei propagandisti, che accrebbero notevolmente di numero; per evitare spese di trasferimento, essi furono prcscelti c assegnati nei luoghi di residenza dei centri di propaganda. Nel 1936 risultarono istituiti 1.055 centri di propaganda con 3281 propagandisti, tutti selezionati con cura (occupazione, attitudini, benemerenze, ecc.) e schedati.

Fu tenuto conto della necessità di operare propaganda speciale «Spicciola» presso le piccole comunità rurali, che non avevano altrimenti modo di ascoltare conferenzieri, né potevano essere indottrinate o aggiornate sulle direttive del Regime attraverso radio, stampa, cinema. Gli uffici provinciali furono forniti di pubblicazioni; modeste nella quantità e nella qualità (per stessa ammissione della relazione) e illustranti, in prevalenza, il conflitto italo-etiopico.

Quando il NU.P.I.E. fu istituito, nel 1935, e posto alle dipendenze della Direzione Generale della Propaganda del Dicastero, era già praticamente in funzione. Fu articolato su due Sezioni, Interno ed Estero.

La Sezione Interno aveva, per compiti principali: la definizione di un programma, la compilazione di uno schedario degli scrittori, oratori, conferenzieri, pubblicisti; la predisposizione di norme e regolamenti per il funzionamento dell'organo in tempo di guerra; l'accertamento e Ja segnalazione delle deficienze.

Per quanto riguardava il programma da attuare in caso di mobilitazione, esso consistette soprattutto in predisposizioni diramate ai prefetti con circolari riservate per uso interno. Le direttive concernevano soprattutto l'organizzazione- quella accennata-, e la collaborazione della stampa locale, della radio, della cinematografia furono particolarmente caldeggiate le proiezioni. di propaganda d eli 'Istituto Luce , delle scuole.

In occasione del conflitto italoetiopico, fu chiesto di attivare l'organizzazione interna per mettcrla alla prova; con il dichiarato intento di illustrare nella «giusta» luce gli avvenimenti, a sostegno della spinta patriottica che s'era levata nella Nazione, ma con il celato desiderio di contrastare la larga azione di propaganda che il Partito stava mettendo in atto per proprio conto.

L'esperimento, durato dal 28 ottobre all9 novembre 1935, a detta della

49

relazione, confermò una presunta piena efficienza dell'organizzazione.

La Sezione Estero prese invece in consegna il nucleo di propaganda costituito presso il Ministero degli Affari Esteri, la cui attività era risultata pari a zero, a parte un'inchiesta condotta nei vari Paesi sull'impiego del cinema e della radio come strumenti propagandistici c alcune insignificanti iniziative.

In previsione del conflitto italo-etiopico, però, fu accelerata la costituzione dei nuclei di. propaganda all'estero, soprattutto nelle città dove numerose erano le collettività italiane. Gli uffici consolari furono incaricati di porre in atto provvedimenti consoni alle diverse situazioni e alle esigenze dci singoli Paesi. I nuclei furono costituiti, di preferenza, con ufficiali in congedo ed ebbero il compito principale di elevare al massimo il sentimento patrio dei connazionali, di influenzare l'opinione pubblica locale e di trarre elementi informativi da essa. Alla fine, risultarono operanti all'estero 146 nuclei con 631 propagandisti, distribuiti tra Europa, Asia, Africa, Americhe. Nell'America del Nord non fu possibile istituire nuclei, per la mancanza di sedi dei Fasci e di Sezioni ufficiali in congedo, e per la complessa questione della doppia nazionalità degli ìtaloamericani; furono però costituiti comitati patriottici e l'Unione Italiana d'America svolse utilissima opera di propaganda. A differenza dei nuclei operanti all'interno del Paese, quelli all'estero furono efficienti per l'intero

50 periodo del cont1itto italo-ctiopico c svolsero notevole azione di propaganda, nei confronti dei connazionali emigrati e delle popolazioni estere. A tale scopo furono distribuiti pubblicazioni e opuscoli (per un totale di 300.000), articoli (circa 3.000) fotografie (circa 30.000), grafici, diapositive, cinematografie.

Il maggiore Amedeo Tosti, che ebbe il compito di curare la costituzione e l'indottrinamento dei nuclei, sì sottopose a dei veri tour de force, tenendo in pochi mesi numerose conferenze- ben 36, specifica la relazione - in Svizzera, Francia, Belgio, Inghilterra, Rodi, Grecia, Turchia, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Egitto, Tunisia, Algeria e Marocco.

Il materiale propagandistico inviato fu messo a disposizione, oltre che dei nuclei, anche dci giornali locali; difficile sì rivelò, peraltro, l'opera dì propaganda sull'elemento estero, in genere ostile all'Italia. In qualche modo, comunque, fu fatto fronte all'esigenza di orientare a favore delle tesi italiane l'opinione internazionale, utilizzando conferenzieri locali e fornendo ad alcuni giornali accondiscendenti corrispondenze addomesticate. In taluni casi furono efficaci gli interventi polemici, come a Montrcal, ove la vivace reazione dei propagandisti italiani costrinse un conferenziere della radio locale a rettificare, dopo appena un giorno, malevoli giudizi sull'azione militare italiana in Etiopia.

Alcuni opuscoli, come «L 'ultimo baluardo della schiavitù» di Baravelli e

«Quel che Ginevra non vuoi vedere», furono tradotti in sette lingue e in centinaia di migliaia di esemplari, con risultati giudicati importanti per l'opera di penetrazione, di orientamento e di persuasione dell'opinione pubblica internazionale.

Non mancarono particolari forme di propaganda, come quella fatta sui piroscafi, o attraverso Enti industriali e commerciali.

Di quanto fece l'Esercito in particolare, in tale occasione, torneremo a parlarne a parte; annotiamo, per ora, l'atteggiamento «rinunciatario» di Pariani (sottocapo del Corpo di Stato Maggiore), il quale dopo aver sintetizzato la relazione sulla propaganda per la guerra in Etiopia al Gabinetto della Guerra, segnalava la richiesta del Partito di avocare a sé la propaganda all'interno e si pronunciava favorevolmente.

In sede di discussione, il capo del Governo stigmatizzò aspramente alcune critiche che si erano levate circa presunte carenze della propaganda, alternando discutibili affermazioni (l'unico mezzo per convertire il mondo è la vittoria in guerra e non la propaganda) con più realistiche analisi (nessuna meraviglia se la propaganda non fu completamente efficace; si doveva ben essere consapevoli che l'Italia era in conflitto non solo con l'Etiopia, ma con il mondo intero: con le sinistre, per motivi ideologici; con le destre, invidiose dei successi. E con tutti gli stati centrali d eli 'Europa, aggiungeremmo noi, per le apprensioni che la crescita dell'Italia come potenza suscitava). Interessante anche la discussione per la difesa contro le trasmissioni radiofoniche straniere, per le sfacciate affermazioni («oggi il popolo italiano crede ai comunicati, perché ormai sa che noi diciamo la verità») e per i drastici sistemi di rappresaglia via etere suggeriti.

Nella relazione presentata nel 1937 alla XIV Sessione, il nuovo ministro per la propaganda, Dino Alfieri, in sintesi, riassunse e aggiornò quanto già era stato detto in quella precedente.

La propaganda per l'interno ora disponeva, per la mobilitazione, di 3.200 conferenzieri distribuiti in 1.100 centri di propaganda, e di 162 funzionari di concetto per gli organi provinciali. L'unica osservazione degna di nota fu fatta a proposito dell'inazione di tali organi. L'interesse ad agire, infatti, tendeva a diminuire, cd il lavoro organizzativo a rallentare, in quanto la propaganda interna incominciava a cristallizzare come pratica di ordinaria amministrazione in vista di una utilizzazione - la mobilitazione generale - lontana ed eventuale. Alfieri proponeva, pertanto, di autorizzare anche la Sezione Interno a svolgere attività propagandistica, seppure limitata, al fine di tenere allenato e pronto l'intero apparato. La Commissione riconobbe l'utilità di tale proposta; ma difficoltà finanziarie c la necessità di accordi con il Partito Nazionale Fascista fecero soprassedere alla decisione di attivare la Sezione. Era chiaro, ancora una volta, che il Partito non gradiva di essere disturbato

nell'influenza che già esercitava sulle masse.

La propaganda all'estero fu invece mantenuta in vita anche al termine del conflitto con l'Eti.opia; alla fine della campagna, in Africa Orientale soltanto, risultarono operanti 152 nuclei con 700 propagandisti. Continuò la produzione c l'utilizzazione dei consueti materiali pubblicistici (a quelli già prodotti si aggiunsero, nel corso dell'anno, altri 1.050 articoli, 28.020 fotografie, 275 grafici e 2.200 libri e opuscoli) e il maggiore Tosti proseguì il suo peregrinare visitando altri Paesi, tra cui la Spagna.

Il NU.P.I.E. ritenne necessario mantenere in vita i centri di propaganda all'estero, sia per far accettare la conquista italiana «suscettibile di ulteriori sviluppi», sia per contrastare la propaganda comunista, ferocissima per gli avvenimenti in Spagna. Una speciale sezione della Direzione Generale della Propaganda aveva, in proposito, raccolto e distribuito un 'abbondante documentazione sulle atrocità commesse dai «rossi».

In linea con gli orientamenti politici, anche il Corpo di Stato Maggiore ritenne particolarmente utile, dal punto di vista informativo e contro-informativo, lo sviluppo della propaganda anticomunista.

È soprattutto tale sviluppo che preoccupò, nella XV Sessione, il Ministero della Cultura Popolare; preoccupazione tanto evidente da modificare anche il testo della relazione con l'aggiunta della frase «e loro

52 adattamento (riferito ai nuclei all'estero) ad ulteriori necessità». La propaganda comunista - ribadiamo- era diventata invadente e, prendendo spunto dalla guerra civile spagnola, dilagava dappertutto. Anche in Itali.a, dove per oltre un decennio era stata messa a tacere.

La relazione presentata in Commissione riportava pochi accenni ripetitivi- di quanto era stato fatto nell'anno precedente all'interno e all'estero. Metteva però in evidenza gli inconvenienti che incominciavano a verificarsi all'estero, perché alcuni centri tendevano a sfuggire all'accentramento e ad assumere la fisionomia di veri e propri uffici di propaganda autonomi; per cui, dopo averne ridimensionato la composizione numerica, l'organo centrale si era preoccupato di «dare ad essi una figura corrispondente, in certo modo, a quella delle cellule, di cui tanto abilmente si avvale il Governo sovietico per la sua nefasta propaganda». Ancora un riconoscimento alla temibile efficacia dell'azione avversaria, tanto da costituire la parte più importante della relazione e da elencare - dopo aver giustificato alcune deficienze- quanto l'Ufficio Centrale aveva prodotto per la propaganda «antibolscevica»: 300.000 manifesti murali anti-comunisti, 150.000 fotografie di atrocità bolsceviche, 97.000 opuscoli di propaganda antibolscevica.

Il resoconto chiudeva con l'elenco del materiale inviato a scopo di propaganda nella Spagna nazionalista: 1.900 volumi per la costituzione di una biblioteca circolante, con sede a Salamanca; 500

fotografie del «Duce con la spada dell'Islam» per le truppe marocchine franch iste; 500 fotografie del «Duce che trebbia» da diffondere tra i contadini spagnoli; 200.000 striscioni murali con frasi del Duce, opportunamente scelte, per i legionari e per la popolazione spagnola; 500 bandierine italiane per automobili.

In alcuni promemoria, preparati - a titolo di presentazione e di commento alla relazione - per il Gabinetto della Guerra e per il Corpo di Stato Maggiore, comparvero per la prima volta considerazioni integrative sulla «parte militare» e sull' «aspetto militare della propaganda>>. Etiopia c Spagna avevano, infatti, evidenziato alcuni problemi in merito. La propaganda, che già in tempo di pace aveva notevoli risvolti di interesse militare in una Nazi-one Armata per definizione, era destinata a diventare durante le guerre un potente mezzo di lotta, offensivo c difensivo, per agirè sulle forze armate e sulle popolazioni, proprie, amiche, neutrali e nemiche.

Non era saggio quindi non prevedere una minuta organizzazione, che consentisse di passare dall'ordinamento di pace a quello di guerra senza traumi.

Era oltremodo necessario che i militari conoscessero a fondo quanto veniva ratto in pace c contemporaneamente, di comune accordo con l'autorità politica, indicassero,approntassero ed . eseguissero - al momento opportuno l'insieme di attività che avrebbero dovuto sviluppare in guerra.

Apparve pertanto conveniente che, fin dal tempo di pace, l'Ufficio Centrale di Propaganda del Ministero della Cultura Popolare avesse uno speciale ordinamento interministeriale (Cultura Popolare- Forze Armate - EsteriInterno - Partito) c comprendesse un organo di studio, di consulenza e di collegamento con le Forze Armate, con compiti che furono così indicati: -tenere al corrente i ministeri militari dell'ordinamento di pace della propaganda e del suo fun zionamento (orientamento, direttive, sviluppo) all'interno, perché essi possano estendere alle forze armate l'azione esercitata sulla popolazione; -assolvere analoga funzione nei riguardi della propaganda all'estero, perché i ministeri militari possano concorrervi negli ambienti militari stranieri (relazioni con gli stati maggiori, missioni militari, scambi ufficiali, pubblicazioni militari, etc.); - esercitare funzioni di consulenza per la parte militare; - definire la ripartizione dei compiti di guerra fra l'autorità civile (propaganda sulle popolazioni proprie, amiche e neutrali) e l'autorità militare . (propaganda sulle proprie truppe, sulle truppe e sulla popolazione avversaria); -concretare, di concerto, le relazioni di servizio degli organi civili e di quelli militari per il migliore coordinamento della loro azione; -definire i mezzi della propaganda militare, raccogliere il materiale relativo, riprodur/o, immagazzinarlo, mantener/o

a numero e gwrno; -adottare ogni altro provvedimento idoneo ad assicurare a !l 'atto della mobilitazione, e anche prima se ordinato, la pronta entrata in azione, a pieno rendimento, della propaganda di guerra.

È inutile dire che di tale proposte nulla fu fatto; troppo ovvie le considerazioni sul fatto che Cultura Popolare e Partito mai e poi mai avrebbero consentito ingerenze nella loro sfera d'azione. Pavolini, incaricato del Dicastero, rispose chiaro e tondo: collaborazione sì, ma niente di più.

Ancora nella XVI Sessione del 1939 veniva retoricamente riconosciuta l'opportunità di un coordinamento di tutti gli Enti che esercitavano la propaganda, senza che si addivenisse però ad alcun provvedimento concreto.

Anzi, il Partito tenne bene a ribadire il principio (XVII Sessione, febbraio 1940, argomento 14°) che, poiché la sua funzione fondamentale era quella di formare la coscienza politica dei cittadini con annessi e connessi (morale eroica, valori patriottici, spirito di disciplina, di sacrificio, di rinuncia, suprema dedizione alla Patria, eroismo), non ravvedeva la necessità di istituire un apposito organo di propaganda in caso di mobilitazione, le cui funzioni invece potevano benissimo essere assolte dalle sue stesse organizzazioni.

Questo a distanza di anni, ormai, della istituzione dell'Organo centrale di propaganda, di dibattiti e di funzionamento del NU.P.I.E.!

In questa ultima seduta, che

54 precedette l'entrata in guerra dell'Italia, più che le relazioni presentate in sede di Commissione, sono di interesse alcune annotazioni delle stesse relazioni.

Tra esse, soprattutto, la continua, agguerrita campagna anticomunista che fu condotta, oltre che con i consueti strumenti, anche con la realizzazione di due collane pubblicate dagli editori Le Monnier e Bocca (quest'ultima diretta alle «classi colte»). Il Ministero della Cultura Popolare rinvigorì, inoltre, la sua azione in Italia e all'estero offrendo, d'intesa con il Centro di Studi Anticomunisti, un servizio quotidiano di informazioni ai mass-media.

È da annotare, ancora, una prima segnalazione della propaganda contro gli ebrei, attuata con un opuscolo antisemita «Antifascismo in Italia», diffuso all'estero in migliaia di copie e in diverse lingue e- secondo la relazione favorevolmente accolto.

Per la prima volta, infine, nella citata XVII sessione, il Sottosegretario di Stato per la Guerra presentò una propria relazione sulla propaganda militare in guerra, alquanto concisa, ma chiarificatrice del pensiero militare in materia.

Compiti della propaganda dovevano essere: -in pace, l'esaltazione dei valori, il rafforzamento dello spirito patriottico e combattivo delle truppe, l'attuazione di forme assistenziali materiali e morali per i militari e le loro famiglie; - in guerra, l'efficienza morale delle proprie truppe e la vigilanza sul loro

spirito e sulle popolazioni a contatto con esse, la lotta aUa propaganda nemica, la disgregazione delle forze e delle popolazioni avversarie fino alla rivolta. al momento, prevedeva un Ente direttivo (Ministero della Guerra) ed Enti esecutivi (Comandi periferici).

In guerra, avrebbe dovuto essere così articolata: - Enti direttivi presso il Comando Supremo • Ufficio Stampa e Propaganda, per l'assistenza morale e materiale e la propaganda, in collaborazione con gli organi similari delle altre Forze

Armate e con il Ministero della

Cultura Popolare. • Servizio Informazioni Militare , per il servizio di indagine sullo spirito delle truppe operanti e delle popolazioni a contatto di esse. - Enti esecutivi presso le Unità • Sezioni e Sottosezioni P, per l'assistenza e t a· propaganda presso 1c Grandi Unità. • Ufficiali P, con gli stessi compiti presso le minori unità.

Tale organizzazione fu di fatto resa operante allo scoppio del conflitto, in assenza di ogni autorizzazione preventiva. Non fu invece attuata al momento perché respinta - la proposta di costituire presso il Ministero della Cultura Popolare una Sezione Propaganda Forze Armate, che avrebbe dovuto avere le funzioni di nucleo di mobilitazione di un analogo organismo allo scoppio della guerra.

Mentre al vertice si sviluppava il dibattito sull'organizzazione della propaganda in caso di mobilitazione, Cultura Popolare, Partito e Guerra continuarono ad esercitare la loro influenza nel Paese sui cittadini in borghese ed in divisa.

Gli avvenimenti decisivi di questi anni (guerra italo-ctiopica e campagna di Spagna) consentirono di mettere in pratica la teoria, di misurare il livello di consenso che il fascismo aveva ottenuto, di provare l'efficacia degli strumenti utilizzati. Guardando più da vicino, per la parte che ci interessa, esaminiamo cosa avvenne nell'Esercito e quali scambi ebbero le autorità militari con gli organi pubblicistici del Regime.

All'interno dell'Istituzione e in senso lato nelle Forze Armate, continuarono ad essere messi in atto i consueti provvedimenti per il benessere del soldato: spacci cooperativi, posti ristoro, case del soldato, premi in danaro per i meritevoli ed i bisognosi, sussidi alle famiglie, interventi straordinari di natura economica, offerte messe a disposizione da ditte c da fondazioni. Piccole somme appositamente stanziate (L. 1.000 mensili) furono distribuite ai Comandi di Divisione, per consentire ai militari indigenti di pagare il biglietto ferroviario per recarsi in licenza.

Non mancarono provvedimenti tesi all'istruzione e alla formazione culturale del soldato, come le scuole reggimentali per analfabeti, le biblioteche, gli abbonamenti a giornali, libri, riviste. Fu imposto, in proposito, l'abbonamento al

55

«Giornale del Soldato» da pagare con i proventi degli spacci, non solo per i Corpi dislocati in Italia, ma anche per le truppe operanti in Africa e Spagna,«per la sana e patriottica propaganda» che conteneva. Continuamente fu caldeggiata la diffusione tra i militari di «Gioventù fascista», giornale dei fasci giovanili di combattimento, perché anche tra i soldati il periodico alimentasse «la fiamma della fede, dell 'ordinamento e della dedizione alla nobile causa».

Di alcune nuove forme di assistenza promosse dal Regime, per riflesso, ne beneficiarono anche i militari; ad esempio, delle Colonie estive e montane e della Befana fascista, quest'ultima disciplinata da particolari norme all'interno del Ministero della Guerra per agevolare i dipendenti più bisognosi. Essa filiò la «Befana del Soldato», di cui segnaliamo un «incidente» curioso: nel 1940, il Duce non gradì molto il fatto che nei pacchi dono inviati ai soldati fosse stata inclusa una sua fotografia. Temeva, evidentemente, qualche iconoclasta!

Alcuni problemi vennero dai richiamati; nc11935 Baistrocchi dovette intervenire più volte perché fossero adottati i provvedimenti necessari ad evitare le loro lamentele sul vitto, sull'alloggiamento, sui sussidi che le famiglie non sempre ricevevano regolarmente. Una costante attenzione fu posta al miglioramento del rancio, attraverso continue ispezioni fatte anche da ufficiali di grado elevato; nel 1939, fu introdotta la distribuzione giornaliera di

56

un quarto di vino e la quota per il miglioramento rancio fu portata, per ordine di Mussolini, da L. 0,22 a L. 0,30.

I richiami furono anche oggetto di mormorio per le esenzioni concesse - le esenzioni, in ogni epoca, sono sempre state fattori disgreganti e oggetto di forti critiche -; tanto che sulla questione intervenne personalmente il Capo del Governo, ribadendo duramente che non dovevano, in nessun caso, verificarsi favoritismi e che la legge doveva assolutamente essere rispettata; molti casi «particolari», sottoposti alle sue decisioni, furono regolarmente respinti con esito negativo; eccezionalmente furono prese in considerazione solo le richieste di capi famiglia in particolari disagiate con9izioni economiche, al limite della sopravvivenza. Raramente furono concessi rinvii, al posto delle esenzioni, a studenti al termine degli studi e ad operai specializzati indispensabili per l'industria bellica, nei casi in cui essi non rientravano nei disposti di legge. Ulteriori richieste di esoneri e dispense per i ferrovieri (avanzate in sede di discussione alla XIV Sessione della Commissione Suprema di Difesa nel 1937 dal Ministero delle Comunicazioni), furono respinte per la determinante opposizione dell'Amministrazione della Guerra.

In occasione della mobilitazione per l 'Africa Orientale, si prospettò un fenomeno più pericoloso delle proteste per i richiami e gli esoneri: quello degli autolesionismi, delle diserzioni e delle renitenze. Anche se tali reati furono

irrilevanti nelle proporzioni - un documento del settembre 1935 fa ascendere a ci rea 300 i militari condannati - furono presi immediati provvedimenti per combatterli.

Un decreto ministeriale provvide a far sì che i colpevoli fossero comunque destinati a reparti combattenti e imbarcati per l'Africa, e dispose che la pena fosse differita al termine della campagna. In tal modo, non aveva più senso correre il rischio di un processo e di una condanna, perché comunque l'autolesionista, il disertore c il renitente, partivano per il fronte.

A seguito del decreto, l'autolesionismo in pratica scomparve e i casi di diserzione diminuirono con il tempo; ne furono segnalati, dal gennaio al luglio 1939, 73 di cui 15 vcrificatisi all'estero.

Baistrocchi, nell'occasione, fu molto duro con i giudici militari, per la benevolenza usata in alcuni procedimenti e per la difformità dei giudizi emessi da tribunali diversi per gli stessi reati.

Proteste ed elusioni, legate ai richiami e alle mobilitazioni, non assunsero dunque le dimensioni di fenomeni preoccupanti, anche per la vigilanza esercitata e per le pronte disposizioni messe in atto dall'autorità militare.

Pericolosi livelli di guardia non furono mai raggiunti. Al contrario i documenti esaminati (relazioni dei Comandi periferici all'autorità centrale, quelle dei Comandi operanti sui fronti di guerra in Africa e Spagna, le informative del Servizio Informazioni Militare, rapporti periodici della censura epistolare), sembrano avvalorare la tesi che, nonostante i disagi derivanti dalle guerre e le difficoltà di natura economica in cui il Paese incominciava a dibattersi, il consenso generale verso il fascismo restava molto forte c generalizzato, e la fede nel Capo aveva sempre una indiscussa presa sugli animi.

Ciò grazie alla propaganda ed alle attività ad essa connesse, su cui si potranno sempre aprire dibattiti cd affrontarne in chiave critica la scientificità, la mod.ernità, i modelli, ma di cui è innegabile l'efficacia che ebbe sulle masse.

D'altronde, che il messaggio pubblicistico del fascismo anticipasse una delle teorie più attuali e accreditate oggi, fra gli esperti di comunicazione, è cosa poco nota. Più di cinquanta anni or sono infatti l'Enciclopedia Militare scriveva - certamente in aderenza alle dottrine in auge - a proposito della propaganda di guerra, che tutti i suoi mezzi e le sue azioni, che «quanto meno si dichiarano tanto più sono efficaci», devono tendere a persuadere, per <ifar si che alla persuasione segua una determinata condotta». In altre parole, come oggi, la propaganda doveva essere tesa, più che a convincere profondamente, a ottenere comportamenti. Che poi tale concezione avesse dei limiti temporali, poco interessava il pcrsuasore: il prodotto da consumare- ideologico o materiale - cambia in continuazione, per mutamenti o adattamenti evolutivi successivi imposti dalle necessità di mercato; veri, presunti o finti che siano.

In sostanza, fino al1939, tali adattamenti

evolutivi dei temi propagandistici vi furono e si susseguirono nel processo storico, in una mescolanza di obiettivi ideologici e materiali: la vendetta per Adua e la ricerca dello spazio vitale (il posto al sole), la lotta alle «plutocrazie dei cinque pasti al giorno» (ricche, grasse e borghesi), la necessità di acquisizione di materie prime e di sbocchi commerciali, la lotta al bolscevismo, la difesa della razza, il tradimento di Versailles, anzi di Versaglia, italianizzata secondo il costume in uso, furono sciorinati in sequenza per motivare e/o giustificare le guerre.

Capi e gregari militari risposero in pieno ai temi della propaganda, adeguando il loro comportamento alle attese dei promotori. Non poteva essere altrimenti, perché le attività spiegate a loro favore e il prestigio che, all'epoca, derivava dall'indossare la divisa, furono proficui di risultati.

I documenti d'archivio denotano l'orgoglio e l'animosità che proveniva alle truppe dallo status di combattenti in Etiopia e Spagna; entusiasmo e partecipazione di amici, parenti e borghesi erano altrettanto generalizzati. Le voci critiche e i momenti negativi non mancarono; ma certamente - alla pari di quanto avvenuto in altre occasioni - non furono ridondanti, come pentimenti tardivi o storie strumentali hanno voluto far credere.

Riassumiamo, suddividendo - ancora schematicamente e sempre per comodità di lettura - gli avvenimenti, mettendoli in relazione alle attività

58 propagandistiche svolte, in Italia, in Etiopia, in Spagna e in Albania.

Italia. La partecipazione ai conflitti portò in seno alle famiglie dei combattenti benefici economici inaspettati: indennità, sussidi e pensioni supplirono alla mancanza di affetti, e alla lontananza. Tanto che la censura epistolare non mancò di rilevare come molti congiunti esortassero i soldati a restare all'estero, perché potessero usufruire dei benefici economici e delle rimesse di denaro. Allo stesso tempo, specie ai militari inviati in Africa, calde preghiere venivano rivolte dai familiari affinché essi cercassero un lavoro in Colonia, che garantisse loro, a fine guerra, una dignitosa sistemazione.

Molto vive erano infatti, in Italia, le preoccupazioni per la mancanza di lavoro e per il continuo rialzo del costo della vita, specialmente nelle regioni meridionali. A tal punto, che la notizia della chiusura degli arruolamenti per l'Africa e la Spagna (1937) produsse <1orti delusioni negli animi dei disoccupati».

Un a relazione della censura, redatta dal SIM (marzo 1937), mise allo stesso tempo in evidenza che, in tutta la corrispondenza esaminata (35.51 O pezzi) nella sola settimana dal 19 a125 febbraio, non era stata rilevata «la minima frase di imprecazione», ma constatato, invece «un senso di rassegnazione e una certa fiducia in un avvenire migliore».

Le successive relazioni della censura, fino al1939, furono più o meno

analoghe nelle osservazioni.

Dalle lettere pervenute in Italia dall'Africa e dalla Spagna, le voci di protesta si levarono maggiormente negli intervalli dei combattimenti; finché combattevano, le truppe vivevano stati di autoesaltazione- puntualmente registrati nelle corrispondenze - che le autorità militari dovettero perfino frenare. I disagi e le sofferenze patite erano spesso annotati con toni esasperati, ma soltanto perché, in tal modo, risultavano più evidenti e rimarchevoli il coraggio e la bravura personale di quanti scrivevano. Cresceva così il mito del combattente eroico, che senza scarpe, acqua e viveri e magari con la sola baionetta, dopo lunghe marce affrontava orde di sanguinari, barbari guerrieri, vincendoli.

Dall'Africa, impazienze per i rimpatri, per le licenze c per i congeda menti furono segnalati a fine guerra, fino a diventare vera e propria insofferenza di interi reparti, che d1icdevano il ritorno in Patria dopo aver esaurito il loro ruolo di conquistatori dell'Impero. In genere, in tutte le Colonie, lo stato d'animo della massa dei militari anziani era in agitazione per i mancati congedamenti.

Dalla Spagna, si segnalavano preoccupazioni derivanti dalla carenza di notizie, dalle «barbarie» dei rossi, dalle false notizie su comportamenti immorali delle donne rimaste a casa - la propaganda comunista faceva leva sul profondo senso dell' «onore» del maschio italiano-. Il morale dei legionari restava comunque elevato.

Fonte di apprensione per i Comandi furono soprattutto le indiscrezioni c le notizie di carattere militare che i soldati trasmettevano alle famiglie dai fronti. Molte delle lettere censurate lo furono proprio per tali motivi; nelle corrispondenze, infine, non furono mai rilevate espressioni antifasciste o antimilitariste, eccezione fatta per quelle dei militari allogeni, che con frequenza facevano uso di frasi ostili all'Italia, di forti critiche per disagi ingigantiti - e il più delle volte accertati come inesistenti dall'autorità militare-, fino a firme accompagnate da un saluto che sarebbe diventato presto, in tutto il mondo, triste e famoso: «Heil Hitler».

Volendo fare un bilancio statistico sugli interventi operati dalla censura, forzatamente approssimativo, ma sufficientemente realistico, perché non sono disponibili oggi tutte le relazioni compilate al tempo dagli organi preposti, si può affermare che le corrispondenze tolte di corso furono poche migliaia (a fronte di decine di milioni spedite), mentre circa un dicci per cento della posta veniva censurata prevalentemente per i seguenti motivi: -segnalazioni di operazioni . . preparazwne o m corso; militari in - lamentele eccessive per i disagi e per il rancio; -notizie false e allarmistiche; -annotazioni con segni convenzionali (in genere missive amorose); -racconti di stragi inesistenti; -citazione di nominativi di morti c feriti; - segnalazioni di presunte o false epidemie tra le truppe;

- missive con fotografie di impiccagioni di indigeni (dall'Africa) o gruppi di volontari in compagnia di falangisti (dalla Spagna); - lettere con scritte o fotografie oscene.

Nel disporre la censura totale di tutte le corrispondenze, più volte i servizi informativi raccomandarono che gli uffici addetti eseguissero i controlli senza lasciare, possibilmente, tracce di manomissioni; perché i soldati esprimessero - non sentendosi controllati - quanto più liberamente il loro pensiero . .Il lavoro di censura era infatti molto importante non solo a fini informativi e eventualmente repressivi. ma - come annotano le stesse istruzioni emanate in merito - determinante per la propaganda e la contropropaganda. E solo l'il1usoria garanzia dell'intoccabilità della posta (i soldati in effetti conoscevano l'esistenza della censura) poteva fornire elementi utili per tali attività.

Il tenore delle lettere cambiò nc11939, quando si spensero gli ultimi entusiasmi per la vittoria dei legionari in Spagna. I mutamenti interni ed internazionali, l'occupazione dell'Albania, l'ammassamento di truppe alla frontiera jugoslava, l'atteggiamento ostile della Francia - o meglio dei francesi verso gli italiani, anche se non mancarono fenomeni contraddittori come «l'affratellamento» delle truppe di frontiera, che fu causa di preoccupazioni per il Duce-, le tensioni per il rincaro dei prezzi e per gli inasprimenti fiscali, il razionamento dei viveri, incominciarono

60

a minare la «fede» di civili e militari e a far esplodere le lamentele. Nella relazione presentata allo Stato Maggiore Generale nel maggio 1940, in un conciso stralcio privo di ogni annotazione positiva, furono messe in evidenza soltanto le preoccupazioni derivanti dalla previsione di una guerra di lunga durata, dal caro vita, dalle disoccupazioni, dalla difficile situazione economica. Il Duce restava però nell'animo degli italiani ancora al di sopra di ogni critica; incrollabile la fiducia nella sua persona e la capacità a lui attribuita di poter guidare, o meglio dominare, gli eventi.

Ricordiamo, infine, che le leggi sulla difesa della razza avevano portato non pochi problemi, relativi ai cittadini italiani, meticci ed ebrei; il clima di caccia alle streghe che essi dovettero subire fece nascere timori e ansie, specialmente nelle Colonie, in molti che avevano guardato all'Italia come alla loro vera Madre Patria.

L'eccessivo zelo di funzionari e di burocrati costrinse il capo del Governo ad intervenire in più occasioni: un valoroso tenente colonnello dell'Esercito, meticcio, fu perseguitato finché Mussolini non annotò di proprio pugno, sulla pratica con cui si intendeva annientarlo moralmente ed economicamente, «basta, è ora di finirla».

Etiopia. ln una lettera segreta diretta al Ministro delle Colonie, ai Sottosegretari militari (Guerra, Marina, Aeronautica) e al Capo di Stato

Maggiore Generale, il lO agosto 1934 Mussolini invitava i destinatari a stroncare con ogni mezzo tutte le voci sulle intenzioni aggressive del l 'Italia verso l'Etiopia, e disponeva che il Regio Corpo Truppe Coloniali e la linea difensiva delle colonie fosse rinforzata, per prevenire eventuali offensive del Negus. Chiari.va, precisando il suo pensiero, che la critica situazione internazionale (militarismo tedesco, fallimento della conferenza del disarmo, conflitti in Estremo Oriente) non consentiva, al momento, di sottrarre importanti forze militari dallo scacchiere europeo, depauperando il potenziale bellico italiano. I n sintesi, lo sviluppo degli avvenimenti imponevano di rimandare - ma solo di rimandare -la <<questione abissina».

La cauta politica estera condotta fino al 1935 da Mussolini, accettabile e ragionevole al di là degli eccessi verbali c degli infuocati interventi sulla necessità della guerra irrinunciabile e fatale, valsero all'Italia un atteggiamento di celata connivenza, durante la guerra itala-etiopica, da parte delle democrazie occidentali. Nonostante, infatti, la rottura del «Fronte di Stresa» e nonostante l'accesa propaganda condotta da Francia, Inghilterra, Russia e da molti altri Stati, contro la politica aggressiva e guerrafondaia di Mussolini, sostanzialmente i provvedimenti adottati, come le sanzioni della Società delle Nazioni, furono blandi ed ininfluenti sullo sviluppo degli avvenimenti. La flotta inglese, inoltre, si tenne «distrattamente» lontana, durante la campagna, dal canale di Suez, per volontà dello stesso Governo britannico. Tale atteggiamento delle potenze europee ebbe il suo peso sull'alimentazione del conflitto, considerato, dal punto di vista logistico, un vero capolavoro e un modello per i tempi. Gli avvenimenti militari sono noti e furono un indubbio successo, riconosciuto tardivamente anche dalla stampa internazionale che, con un mutamento di rotta sorprendente, passò da iniziali posizioni di ostilità e di incredulità nelle capacità belliche delle Armi italiane, all'ammirazione più compiaciuta della condotta della guerra, a conquista avvenuta. Basta sfogliare quotidiani e periodici dell'epoca, e le segnalazioni e le recensioni stampa trasmesse a Roma dal SIM. dai Comandi e dagli Addetti Militari, per rendersene conto.

Soprattutto i giornali inglesi, austriaci, sovietici, avevano svolto un'imponente campagna denigratoria delle capacità militari italiane; essi preconizzavano, nella primavera dell935, una lunga, sanguinosa guerra, seguita da un'interminabile guerriglia, che avrebbe procurato seri imbarazzi agli invasori. Terreno e capacità belliche degli etiopi avrebbero, secondo i commentatori, inflitto una seconda Adua agli italiani. Nei primi mesi della campagna i toni degli articoli restarono immutati; accrebbero, anzi, la campagna ideologica avversaria e la disinformazione sulle operazioni militari, favorite dai ritardi con cui l'Agenzia Stcfani diffuse inizialmente i

comunicati rispetto alle corrispondenti agenzie straniere, consentendo così che queste precedessero i suoi dispacci con notizie tendenziose o alterate. Tali ritardi furono segnalati con allarmismo dagli Addetti militari itaJiani all'estero, che non potendo disporre di fonti nazionali di prima mano, erano costretti a confutare notizie senza documenti, per rimediare, con una tardiva opera di smentite c di contropropaganda, alle corrispondenze dei giornali esteri.

La rapidità e il successo ottenuto in Etiopia spiazzò, di fronte all'opinione pubblica internazionale, gran parte dci critici militari europei. Al termine del conflitto, il SIM inviò una situazione al Ministero della Guerra, dove veniva messo in evidenza come non solo nei Paesi amici e simpatizzanti della causa italiana, ma anche in quelli ostili, molti pubblicisti e giornalisti avessero finito con il pubblicare scritti favorevoli al nostro Esercito. La voce più autorevole si levò proprio in Inghilterra, e fu quella del generale Fuller, noto ed accreditato scrittore militare, che riconobbe l'abilità del Maresciallo Badoglio nella condotta della guerra e lodò il comportamento delle truppe.

Durante il conflitto in Etiopia, oltre all'azione di propaganda svolta a livello centrale c dai nuclei di propaganda, furono messi in atto altri ed ulteriori provvedimenti, sul fronte di guerra.

Il l o settembre 1935, a seguito di accordi tra Ciano e Mussolini (e dopo che fu vagliata, dibattuta e scartata l'ipotesi di istituire un Servizio storicostampa e propaganda della Milizia,

62

proposto dal Comando Generale della Milizia stessa), fu costituito ad Asmara l'Ufficio Stampa per l'Africa Orientale; a reggerlo fu chiamato il console Casertano. L'Ufficio era integrato da un Servizio foto-cinematografico, in cui prestavano la loro opera tecnici militari e d eli' lstituto Luce.

Compiti dell'Ufficio furono: la trasmissione, al Dicastero della propaganda, delle notizie sulla situazione e sulle operazioni, per la successiva diffusione all'interno e all'estero; la raccolta e l'invio di fotografie e filmati; l'organizzazione delle corrispondenze giornalistiche via radio; l'invio e la ricezione dei giornalisti; la censura sulla stampa tramite elementi designati dal Comando Superiore Africa Orientale. L'Ufficio era articolato in specifici servizi: alloggio e mensa per i giornalisti, telegrafico c postale, censura, radiotelegrafico (notiziario quotidiano), radio (diffusione bollettino), fotocinematografico, informazioni (per i corrispondenti di guerra). l servizi di stretto interesse dei corrispondenti poggiavano su collegamenti con gli ufficiali addetti stampa dei Comandi militari, che fornivano- dopo un primo controllo eseguito dagli Uffici Informazioni dei Comandi stessi - notizie, articoli, illustrazioni .. Questo passaggio obbligato attraversò i canali militari non piacque molto a Casertano, il quale provocò un intervento di Mussolinì presso il Maresciallo De Bono, affinché il suo Ufficio fosse agevolato al massimo e

non fosse sottoposto a censura da altri. De Bono replicò con fermezza, asserendo che a Casertano veniva sempre offerta la massima, sollecita collaborazione e che non consentiva «invenzioni» dannose per la sua serietà. Ribadiva, comunque, che era necessario salvaguardare le esigenze militari e tutelare il segreto in via prioritaria. Restrizioni sempre necessarie in guerra, di cui è possibile fare confronti anche per avvenimenti a noi vicini: il «bavaglio» imposto alla stampa nella guerra del Golfo ha certamente avuto riflessi diversi, sulla formazione dell'opinione, delle libere corrispondenze permesse nel Vietnam.

Con il progredire delle operazioni, il Comando Superiore Africa Orientale accentuò maggiormente il controllo sulla stampa.

Il 7 dicembre 1935, nell'istituire ad Adigrat la base avanzata dell'Ufficio Stampa, ribadiva una circolare norme e restrizioni imposte a giornalisti e corrispondenze.

I giornalisti potevano recarsi nelle retrovie o al fronte solo se autorizzati e accompagnati da ufficiali addetti stampa; dovevano, inoltre, essere indottrinati sugli argomenti che potevano trattare o meno. Le corrispondenze dirette ai giornali dovevano contenere solo le informazioni del notiziario compilato per il Ministero Stampa e Propaganda. Il notiziario, prima della divulgazione al Capo Ufficio Stampa, doveva subire l'approvazione del Servizio Informazioni.

Gli articoli redatti ad Adigrat dovevano essere preventivamente censurati dall'Ufficio l sul posto, e definitivamente ad Asmara, città ove subivano la censura anche quelli inviati per posta. Il commento sulle notizie fornite era preparato dall'ufficiale di collegamento stampa (tenente colonnello Ravenni), che prendeva a sua volta direttive in merito.

Ad Asmara ed Adigrat furono installate per i giornalisti stazioni radio fisse e mobili; furono costituiti due drappelli muletti e messi a loro disposizione, unitamente a mezzi di trasporto meccanici.

Tutte le citate disposizioni furono emanate, ufficialmente, per disciplinare il servizio e per renderlo indipendente dai Comandi delle Grandi Unità di linea; in realtà l'accentramento- come già detto - favoriva il controllo. Lo dimostra una successiva circolare, emanata di seguito alla prima, il 15 dicembre, con cui in sostanza si rimetteva nelle mani di Badoglio ogni decisione relativa alla stampa ed alla censura. La presenza di Badoglio, avvicendato a De Bono caduto in disgrazia per carenza d 'iniziativa, influì molto sul controllo della stampa; nel febbraio 1936, infatti, il Ministero per la Stampa c la Propaganda si affrettò ad assicurare, su richiesta del Gabinetto della Guerra, che aveva revocato alcune disposizioni relative alle corrispondenze giornalistiche provenienti dall'Africa Orientale, e precedentemente impartite ai Prefetti. Un esplicito atto di rinuncia conseguente alle pressioni dei militari, che in più occasioni, sia con circolari

interne che con lettere dirette al Dicastero della Stampa, avevano sollecitato restrizione e limitazioni alle notizie che venivano diffuse sulla campagna.

All'interno della stessa compagine militare, d'altronde, più volte era stato sancito il principio che tutti dovevano «tenere la bocca chiusa»; soprattutto l'ufficialità, la parte più informata e colta d eli 'organizzazione, e quindi la più irretita c coinvolta nella pubblicazione di articoli. Le notizie dovevano essere fornite solo attraverso i canali autorizzati, e gli articoli potevano essere pubblicati solo se preventivamente censurati. Per motivi di sicurezza, non dovevano essere comunicati dati relativi alle truppe, a movimenti dei reparti, alle operazioni, alla produzione agricola e industriale nelle Colonie; né intendimenti operativi, dislocazioni delle forze, composizione di colonne, notizie sul nemico. Né dovevano essere diffusi, con enfasi, comunicati eli vittorie militari, tantomeno quelli relativi a combattimenti in corso e di esito incerto, al fine eli non cadere nel ridicolo.

Ai giornali furono fatte anche «raccomandazioni» circa gli argomenti da privilegiare, soprattutto per controbattere la propaganda della stampa estera: evidenziare che l'Esercito etiopico non era una banda armata alla meglio, ma un 'organizzazione efficiente che si avvaleva anche di armi e mezzi moderni, e di consiglieri militari esteri, forniti da Stati sanzionisti c non (ricordiamo che in Etiopia assistevano il Negus ufficiali

64

francesi, tedeschi, belgi, russi, svedesi, inglesi, svizzeri, greci, turchi, statunitensi, tutti individuati nominativamente dai servizi d'informazione italiani); far risaltare che le soste delle operazioni non erano dovute a insuccessi o incapacità, ma a difficoltà logistiche cd a ragioni strategiche e politiche; controbattere che le forze italiane in campo non erano eccessive, ma adeguate alle necessità, considerando che nessun conquistatore europeo si era mai trovato di fronte un esercito più numeroso ed efficiente di quello etiopico; accentuare che le notizie della stampa estera erano esagerate e contraddittorie, perché rispondevano evidentemente a direttive della coalizione anti-italiana. E così via. Contemporaneamente alle restrizioni e alle raccomandazioni, peraltro, furono diffuse circolari che invitavano a fornire la massima assistenza c la più ampia collaborazione a giornali, riviste e case editrici postulanti informazioni, documenti e immagini della campagna.

Numerosissime le richieste, corrisposte, in Italia; e all'estero, tramite gli Addetti militari. Numerosi anche gli articoli e i saggi pubblicati da militari; una collaborazione sollecitata spesso dai Comandi, previa ovvia censura. A proposito di pubblicistica militare, durante la guerra italo-etiopica non si ripeté il fenomeno rilevante dei giornali di trincea, esploso durante la grande guerra. Fatte salve rare eccezioni, ai soldati, più che giornali confezionati «in casa», pervennero quelli editi sul territorio nazionale o in Colonia,

unitamente a pubblicazioni e stampe di vario genere, offerte da Enti o da privati. Uno dei giornali più «caldeggiati» tra le truppe in Etiopia fu ancora Gioventù Fascista. Spigolando fra i documenti, si coglie la varietà - ma sarebbe meglio dire il <<raccogliticcio»delle letture offerte ai soldati: dal manualetto su usi e costumi locali al Vangelo, dal discorso del Duce alle canzonette, dagli inni al romanzo (d'amore o storico), dalla rassegna enigmistica alle riviste d'automobilismo. Ai soldati, insomma, perveniva tutto - o quasi- quanto veniva pubblicato in Italia. Era stato stabilito, infatti, che a loro giungesse la «resa» eli giornali c riviste, grazie ad una delibera adottata dalla Federazione Nazionale Fascista Editori Giornali; un elenco completo di tale resa ci consente oggi di conoscere con esattezza le testate dei giornali e delle riviste che leggevano i soldati in Africa Orientale; in pratica, i quotidiani e le riviste più diffuse in Patria.

Qualcuno tentò eli ricavare anche profitti da questa febbrile attività tesa ad informare ed acculturare il soldato («un libro per ogni moschetto» era lo slogan promotore); la Società Italiana Arti Grafiche offrì, al Ministero della Guerra, «cassette-biblioteche someggiate» al di L. 55 cadauna (più il costo a parte dei libri e delle riviste da porre a corredo delle cassette); ma la proposta fu respinta: informazione e cultura non dovevano gravare sul bilancio.

Accanto all'offerta di giornali e libri, venne spiegata tutta un'attività tesa all'assistenza e al benessere delle truppe. Oggetto di continua attenzione furono l'alimentazione e le condizioni sanitarie dei soldati. Con il miglioramento rancio furono introdotti numerosi viveri di conforto (agrumi, liquori, frutta fresca reperita sul posto, latte condensato e marmellata); moltissime disposizioni tutelarono l'igiene e la profilassi delle malattie (suggerimenti per l'igiene personale, vaccinazioni per le malattie soprattutto malaria e colera - ;perfino norme per l'istituzione delle case di tolleranza e per la tutela dalla prostituzione). l Comuni furono sollecitati al pagamento degli assegni dovuti ai familiari dei combattenti - furono erogati in sussidi L. 101.814.542 -; furono represse le speculazioni che alcuni civili e militari facevano in prima linea sui tabacchi e su particolari generi.

Furono istituiti spacci cooperativi per i reparti, con anticipazioni dei fondi per l'impianto e per gli acquisti (rispettivamente L. 10.000 e L. 5.000), da prelevare presso la cassa delle Grandi Unità.

Ai soldati giunsero premi e doni offerti da associazioni e privati (numerose le offerte in danaro provenienti dall'estero); in tal uni casi, i premi in danaro furono elargiti a particolari condizioni: la Fratellanza Militare di Arezzo offrì L. 1.000 al primo militare della provincia che fosse stato decorato di medaglia d'argento al valor militare.

Non mancarono pacchi dono e lettere di incitamento, inviate da scuole di ogni

ordine e grado del Regno; testimonianze della partecipazione attiva del fronte interno alla guerra, anche se limitata e non corale come era avvenuto nel conflitto 1915-1918.

In debito conto fu tenuta l'assistenza spirituale, mediante l'assegnazione di cappellani militari, non solo cattolici, ma anche di altre religioni (rabbini e pastori per israeliti ed evangelici); né mancarono i momenti di svago (proiezioni di documentari e di filmati a soggetto, rappresentazioni teatrali, partite di calcio, ecc.).

Eguale attenzione venne rivolta alle truppe coloniali, che, in particolar modo, sollecitavano e gradivano promozioni, ricompense e concessioni di porti d'arma fuori servizio. Niente, infatti, poteva gratificare di più gli indigeni che la palese attestazione della loro condizione di guerrieri, di valorosi guerrieri, decorati e armati.

Sul piano propagandistico ideologico, l'autorità militare dovette contrastare numerose - e talvolta nuove inizia ti ve.

Più che l'Etiopia, furono i Paesi occidentali a promuovere pericolose attività di propaganda. Gli etiopi, infatti, si limi taro no ad una generica azione svolta, all'interno del territorio, attraverso appelli religiosi, di fratellanza, di inviti alla diserzione per le truppe coloniali, di lotta comune all'invasore; all'esterno, tramite i Consolati, invocarono senza troppa convinzione la solidarietà delle Potenze ed aiuti economici e militari. La stessa propaganda specifica contro gli

66

aggressori italiani fu blanda; in un Paese, nel quale le masse versavano in disastrose condizioni di indigenza e dove vigevano leggi tribali, era difficile contrastare la campagna ideologica avversaria, incentrata sulla «civilizzazione» e sulla liberazione dalla schiavitù e, fatto più importante, attuata con provvedimenti concreti- almeno per i bisogni primari, come l'alimentazione e l'assistenza sanitaria man mano che venivano occupati villaggi e città. Le rivalità tra i Capi, e tra le diverse tribù, non facilitavano inoltre il compito.

Più insidiosa fu per l'Italia, la propaganda degli Stati occidentali che, naturalmente, potevano spiegare tecniche, str\)menti e mezzi non disponibili presso gli etiopi.

Attraverso stampa, radio e cinema, la disinformazione e la propaganda degli occidentali- non ultime quelle dei Paesi ritenuti «simpatizzanti», come la Germania - dettero un gran da fare, soprattutto agli Addetti militari, che tempestarono di richieste il Centro per essere aiutati nella loro opera di informazione e contropropaganda.

Comitati e associazioni estere non mancarono di raccogliere aiuti per l'Etiopia anche nei lontani ed isolazionisti Stati Uniti, dove per la prima volta furono segnalate attività di comitati negri a favore dei loro fratelli di razza. Vi furono anche tentativi di organizzare formazioni armate volontarie. cui non restarono estranei i fuoriusciti italiani, soprattutto comunisti.

Ma la propaganda più deleteria restò quella imperniata sulle «atrocità», vere e/o presunte che fossero, commesse dagli italiani sulle popolazioni dell'Etiopia. Insidiosa perché fu la più persistente e distruggeva, nella sostanza, il mito del combattente italiano, buono, mite c civilizzatore.

Sembra, pertanto, opportuno soffermarsi su tali aspetti della propaganda avversaria, e delle misure di contropropaganda che le autorità militari - e politiche - italiane misero in atto per contrastarla, almeno fino al punto in cui è disponibile la rimanente documentazione d'archivio.

I militari furono accusati sulla stampa, attraverso la radio e con altri disparati mezzi di avere perpetrato, nei confronti degli indigeni, delitti e atrocità così riassumi bili: - uso dei gas; - omicidi sfrenati; - violenze sulle persone; - violenze sulle cose, furti, atti di vandalismo, ecc.

Giorgio Rochat ha messo a fuoco il problema dell'uso dei gas nella guerra itala-etiopica in uno studio pubblicato su «Rivista di Storia Contemporanea» (n. 1/1988). A parte alcune osservazioni strettamente personali sugli aggressivi chimici (tecnicamente un'arma come le altre, moralmente, afferma l'autore, non diversa da una scheggia di granata e da una baionetta nella pancia, quantunque con tali analogie e similitudini si potrebbero giustificare le più nefande efferatezze tra-i combattenti), ci sentiamo di condividere con lui alcuni aspetti della questione: l'uso dci gas era stato ipotizzato dai politici e dai militari, fin da Il 'inizio della campagna e non fu - o almeno non fu soltanto - un atto di ritorsione per le atrocità subite (spiegazioni presumibilmente dettate da motivi propagandistici a posteriori, poiché esistono numerosi documenti di archivio in cui è testimoniato come fatto di normale amministrazione l'ipotesi eli impiego degli aggressivi, non solo per la guerra di Etiopia). Al momento, non vi furono freni morali inibitori all'impiego delle armi chimiche, tanto che ne circolò notizia e non furono fatti eccessivi sforzi per impedirne la divulgazione. É sufficiente ricordare i dibattiti sulla stampa del tempo; ed una serie di cartoline di propaganda italiana, ove l'illustratore De Seta raffigurò in una vignetta, addirittura umoristica, un soldato italiano nell'atto di spruzzare mosch ici da - o gas, è la stessa cosa addosso a indigeni impauriti. Una rimozione psicologica dell'accaduto avvenne solo tardivamente in capi e gregari, a distanza di lustri, causata probabilmente dall'aumento di indignazione delle masse nei confronti delle armi chimiche c batteriologiche, implacabili c invisibili portatrici di morte, alla pari del fall-out di un'esplosione nucleare (e forse è stato l'inconscio paragone dell'arma chimica con l'arma atomica a ingenerare la rimozione).

Né sono quantificabili, oggi, gli effettivi danni prodotti dall'uso dei gas in Etiopia fu impiegata soprattutto

iprite, un vescicante ad elevata densità, che si deposita sul terreno, su uomini e animali; non sono disponibili, infatti, fonti documentali e dati statistici in proposi t o né i n archivi italiani, né di altra nazionalità (fatte salve rarissime fotografie che farebbero pensare a perdite molto limitate). Gli «ingenti» effetti dannosi prodotti dagli aggressivi sono testimoniati solo dalla propaganda e da racconti orali. Fonti documentali discutibili, anche in relazione a considerazioni tecniche: molti lanci furono effettuati per motivi tattici (a sbarramento e protezione di colonne italiane, o ad interdizione di area; in pratica, il gas veniva irrorato per costituire una fascia intransitabile a favore di Grandi Unità che non disponevano di forze sufficienti per garantirsi la sicurezza di movimento o di manovra); altri furono inefficaci per la conformazione del terreno (ampi spazi aperti) e per le condizioni atmosferiche (alte temperature e pressioni, rarefazione dell'aria) che ne favorivano la dispersione.

Considerazioni, comunque, che non consentono di valutare statisticamente l'impiego di un'arma che, per i suoi effetti più psicologici che reali, dovette avere soprattutto il risultato di terrorizzare le popolazioni.

A conclusioni più realistiche conduce lo studio dei documenti sui delitti e sulle violenze commessi dai militari italiani sugli indigeni, l'altro grosso motivo conduttore della propaganda avversaria.

La prima certezza, dedotta dalla consultazione delle fonti, è che nessuna

68

direttiva venne impartita dal potere politico-militare, centrale e periferico, di infierire sulle popolazioni indigene. Numerose e ripetute furono invece le disposizioni emanate, intese al rispetto di uomini e cose e all'astensione da ogni atto di coercizione e di violenza, ancor prima delle ostilità.

Una circolare del settembre 1935, dell'Ufficio Politico del Comando Superiore Africa Orientale, così riassume gli ordini emanati: averi e donne debbono essere rispettate nel modo più assoluto ... , non si infierisca contro i soldati abissini. .. , è da evitare l'occupazione di chiese, moschee, cimiteri. .. , ricambiare con denaro le offerte di ospitalità ... , nel caso di reclami, mostrare interessamento ... limitare e compensare i danni causati dai movimenti delle truppe ...... , nel disporre gli accampamenti, tenere conto della necessità dei villaggi.

Successivamente, man mano che si procedette nell'occupazione, furono emanate altre norme, generali e minute, per salvaguardare gli indigeni e le loro proprietà, come il divieto di asportare legna dai villaggi o dai boschi sacri, quello di cacciare, ecc.

I delitti commessi furono atti di violenza individuali ed esclusivamente personali, dettati da natura criminale o sollecitati da stati emotivi commisti di odio e di vendetta. E qui non è difficile comprendere come nella legge statistica dei grandi numeri - durante la campagna furono impiegati complessivamente 14.960 ufficiali a 402.580 sottufficiali e uomini di truppa -

vi possano rientrare casistiche di criminalità. Una realtà amara, ma inevitabile in guerra, in ogni guerra.

Le azioni delittuose e le infrazioni disciplinari, lievi e gravi, furono sempre prontamente represse; le condanne inflitte dai tribunali militari fioccarono. Gli ufficiali incapaci di tenere la disciplina furono rimpatriati a decine; quelli che si macchiarono di deplorevole condotta morale (convivenza con indigene) o di violenze (maltrattamenti) furono processati e duramente colpiti. I casi di furti e danni perpetrati dalle truppe furono altrettanto puniti e i danneggiati risarciti (la certezza del risarcimento produsse, in alcune regioni, un eccesso di lamentele da parte dei locali, tanto che furono sollecitati severi controlli sulle denuncie presentate).

Gli omicidi noti non furono mai tollerati, neanche quando furono commessi in stato di eccitazione e di esasperazione da m!litari che avevano visto i loro compagni atrocemente mutilati. Badoglio intervenne, in proposito, ogni volta che se ne presentò l'occasione, affermando che era «assolutamente necessario porre fine a tali atti di malvagità».

Tutta la documentazione esaminata non offre, purtroppo, una statistica definitiva e completa in campo penale e disciplinare, dati che consentirebbero di mettere un punto conclusivo sull'intera vicenda, all'infuori di ogni tesi soggettiva e strumentale. Nei documenti militari sulla disciplina delle truppe sono archiviate migliaia di denunce, di cui la stragrande maggioranza riguardano infrazioni di lieve entità (divieto di caccia e asportazione di legna); rispecchiano, comunque, in proporzione - per quanto attiene ai tipi di reati commessi- due relazioni statistiche dell'attività giudiziaria del Tribunale Militare del I Corpo d'Armata, relative a incriminazioni presentate dal I e dal III Corpo d'Armata nei mesi di aprile c maggio 1936.

I dati sono così riassumibili: - complessivamente 168 procedimenti, con 200 imputati; -processi archiviati 49, con 43 imputati; -processi definiti con decreti penali 23, con 32 imputati; - processi giacenti 139, con 161 imputati.

Come abbiamo detto le denuncie, in prevalenza, riguardavano contravvenzioni al divieto di caccia, con relativo reato di alienazione di munizioni da guerra; seguivano quelli relativi alla disciplina, al servizio, al patrimonio, alla incolumità delle persone.

Le relazioni annotavano, tra i reati di rilievo dei due mesi indicati, l omicidio volontario nei confronti di un indigeno commesso da un milite e 7 casi di diserzione; ma anche 2 condanne per omicidio e 3 per rapina a carico di indigeni estranei alle Forze Armate.

Facendo ricorso a proiezioni delle relazioni giudiziarie e dei reati segnalati, si ha un quadro abbastanza verosimile e ragionevole dei delitti commessi dagli italiani in Africa durante la guerra d'Etiopia.

Ci interessa, peraltro, mettere in evidenza la guerra psicologica

scatenata intorno a tali eventi; c la contropropaganda spiegata dagli italiani, che ribaltando le accuse, propagandarono gli eccidi subiti, la mutilazione dei Caduti, l'uso da parte etiopica di pallottole esplosive in combattimento, con proteste documentate e fatte pervenire alla Società delle Nazioni a Ginevra.

Secondo una testimonianza inglese, raccolta in India dall'Addetto militare italiano, Io stesso Negus fu impensierito dagli «eccessi» commessi in combattimento dalle sue truppe, tanto da esserne seriamente preoccupato, per le dannose ripercussioni che la diffusione di tali notizie potevano derivare, in campo internazionale, al suo Paese. l promotori italiani della propaganda non mancarono di testimoniare le «barbarie» commesse dagli abissini sulle loro stesse popolazioni, come l'uso dei ceppi sugli schiavi c le torture inflitte a gruppi tribali minoritari e indifcsi, a suffragio delle tesi ideologiche della campagna che stavano conducendo.

Al di là della lotta propagandistica suscitata dalle «autorità», ci sembra di cogliere la spietata, immutevole saggezza del vecchio andante «la guerra è guerra». Una salomonica via di mezzo tra chi ha voluto, in passato, forzatamente rappresentare il combattente italiano come mite e civilizzatore, e chi, oggi, in pedissequo omaggio a certe tendenze storiografiche interessate e dissacratrici, vuole raffigurarlo ad ogni costo feroce e sanguinario.

70

L'unica conclusione certa, ripetitiva ma inoppugnabile, che si può trarre dal conflitto italo-etiopico, è la vittoria delle armi, che collocò definitivamente l'Italia tra le grandi potenze europee e consacrò il mito del capo del Governo. La campagna d'Etiopia fu la vera punta apicale delle fortune italiane e del consenso al fascismo. La partecipazione alla guerra civile spagnola e l'occupazione dell'Albania servirono soltanto a perpetuare l'illusione che la grandezza d'Italia era divenuta inarrestabile.

Spagna. «Nella notte sul2 settembre 1936 due automobili giungevano velocemente al molo di Gaeta. Ne scendevano sette persone dall'aria misteriosa, che erano attese da un tenente di vascello, il quale le faceva salire immediatamente verso un esploratore. Non appena saliti sulla tolda della nave, l'esploratore lasciava l'ancoraggio e si perdeva nel buio della notte ... ».

Non è l'inizio di un romanzo d'appendice, né di spionaggio, né di avventura. É la citazione da una serie di appunti inediti consegnati all'Ufficio Storico nel1937, redatti dal colonnello Nulli, dell'Ufficio S (Spagna) del Ministero degli Affari Esteri, per una storia della partecipazione italiana alla guerra di Spagna. Una guerra «civile» per definizione; ma, come ebbe a dire lo stesso generale Franco (in un colloquio avuto il14 ottobre 1936, a Salamanca, con il tenente colonnello Emilio Faldella), «ormai la guerra non è più civile fra gli spagnoli ... qui vengono a

cozzare delle Potenze». Franco si riferiva alla notizia pervenutagli da Cartagena dello sbarco di 50 carri armati inviati dalla Russia, completi di equipaggio. In realtà, nei tre anni di combattimento i due aspetti convissero: per gli spagnoli (ma non solo per loro) fu una dolorosa ed atroce guerra civile; per le Potenze europee che si tuffarono nel conflitto, la Spagna divenne terreno di scontro ideologico e banco di prova di dottrine, uomini, materiali e tecnologie. Esperienze da sfruttare per l'altra «grande guerra», ormai all'orizzonte.

In Spagna si trovarono soprattutto la Francia e la Russia con i repubblicani, l'Italia c la Germania con i nazionalisti; molti altri Stati ebbero comunque parte nella vicenda, in posizioni meno scoperte.

La Francia intervenne per dichiarati motivi ideologici - il socialista Leon Blumm era alla guida di un governo frontista al momento - e per ovvi motivi di buon senso polifico. Una vittoria del nazionalismo in Spagna avrebbe stretto la Francia in una morsa manovrata da pericolosi confinanti (Italia, Germania, Spagna); come di fatto avvenne.

La Russia contava molto sulla vittoria del comunismo spagnolo; era riuscita infatti, attraverso l'Internazionale, a porre un baluardo bolscevico all'estremo occidente dell'Europa cd aveva tutti gli interessi perché esso si consolidasse per diventare, a sua volta, un centro di diffusione e di proselitismo dello stalinismo. Una necessità strategica, quindi, non solo di natura ideologica.

La Germania nazista non poteva che lottare contro l'affermarsi di una politica e di una ideologia deleteria a tal punto per i( nazional-socialismo, da indurre Io stesso Hitler ad erigersi a paladino contro il comunismo.

Più di tutto, comunque, era di capitale importanza per la Germania un'affermazione militare oltre confine ed una sua vittoria indiretta nei confronti di Mosca, che le avrebbe consentito di consolidare la sua preminenza nell'Europa orientale, soprattutto in Polonia (che incominciava a dare segni di insofferenza), nella Cecoslovacchia (terrorizzata dal riarmo tedesco, ma nell'eventualità di cedimenti pronta a ringalluzzirsi), in Romania (ancora incerta a quale carro agganciarsi).

La dimostrazione dell'efficienza bellica dello strumento militare nazista avrebbe testimoniato la sua rinata potenza; una sconfitta, l'avrebbe trasformata in un colosso dai piedi d'argilla. A Hitler non era concesso un altro scacco internazionale, dopo la battuta d'arresto subita nel1934, con il fallito tentativo di annessione dcii' Austria, proprio per l'intervento del Duce.

Di altra natura furono le cause che indussero l'Italia ad intervenire. l pretesti ideologici che ripetevano la solita propaganda della necessità dì combattere il bolscevismo, il terrorismo rosso, l'anarchia e il disordine, le barbarie, non convincono del tutto. l motivi dell'intervento vanno cercati anche altrove. L'Italia intera viveva ormai il mito dell'Impero; una

constatazione oggi sgradevole, ma all'epoca reale e palpabile. E Mussolini doveva partecipare alla guerra: il capo di uno Stato così potente non poteva esimersi dall'erigersi ad arbitro degli avvenimenti, a chiunque appartenessero. Rinunciare al ruolo di giudice, che con il proprio peso determina i destini dei popoli, non si addiceva al prestigio di un Duce. Queste affermazioni sono riscontrabili nei documenti. É da considerare inoltre che, in caso di sconfitta, la potenza militare dell'Italia non sarebbe stata offuscata. Ancora troppo vivida era la luce riflessa delle imprese in Etiopia all'interno della Nazione; all'esterno, forte era il timore che lo strumento militare italiano, al momento, suscitava.

L'avventura italiana iniziò il 7 agosto 1936, quando partirono per la Spagna 11 uomini di truppa e 5 carri armati. A fine agosto Mussolini, d'accordo con Hitler, decideva l'invio di una missione militare (M.M.I.S.), capeggiata dal generale Roatta (nome in codice Colli) e dal tenente colonnello Faldella (nome in codice Ferraris). La missione aveva il compito di appoggiare i nazionalisti di Franco soprattutto con tecnici e materiali; e, inizialmente, tale fu il concorso.

Nei p1imi mesi del conflitto, gli invii furono scarsi e alla spicciolata: 26 militi il 3 settembre (21 rientrarono quasi subito); 34 genieri, 108 artiglieri e 25 carristi il 21 settembre; 21 carristi e 23 fanti il 24 ottobre. Un totale di 24 ufficiali, 54 sottufficiali, 175 uomini di truppa (i documenti non sempre

72 riportano le stesse cifre; i totali generali si discostano comunque da q ue11i parziali di poche unità).

I partenti vestivano abiti civili, erano disarmati, erano muniti di passaporto falso ed erano tutti volontari. Le caratteristiche di segretezza e di assoluta volontarietà dell'esigenza furono più volte e ripetutamente ribaditi. In codice, l'operazione fu definita Missione S e la ricerca dei volontari volontari per esigenza S: nessun dubbio, quindi, sull'impiego. Soltanto a dicembre fu disposto che ufficiali, sottufficiali e soldati volontari per esigenza S, fossero denominati «volontari per qualsiasi destinazione».

Il cambio di denominazione fu dettato dalla necessità di mascherare, almeno formalmente agli occhi degli aJtri Stati, le spedizioni, poiché era intanto scoppiata la polemica sugli interventi stranieri in Spagna. Dalla documentazione non si rilevano dubbi di sorta, nei volontari, sulla loro destinazione, né che essi supponessero di essere mandati altrove o in Africa, come è stato ipotizzato.

Una <<Voce» arbitraria c postuma seguita al fatto che ai volontari veniva dato l'equipaggiamento kaki e non grigio-verde; anche l'uniforme, con alcuni capi inusuali, come il cappotto sportivo ed il berretto basco, doveva servire a confondere le idee nelle intenzioni dei vertici (a parte la considerazione che i magazzini erano comunque sforniti di uniformi grigi<?verdi). Più volte i Comandi periferici in Italia furono segnati da rimproveri,

perché ufficiali e sottufficiali pronunciavano a chiare lettere la fatidica parola «Spagna» davanti alla truppa, a scapito del segreto che avrebbe dovuto tutelare l'operazione.

In altra occasione (aprile 1937) fu segnalato al Ministero della Guerra che alcuni Comandi Militari, di propria iniziativa, invitavano gli ufficiali di complemento a farsi richiamare in servizio per «qualsiasi destinazione»; incontrando scarsi consensi, perché tutti sapevano che sarebbero finiti in Spagna, in un momento in cui i massicci aiuti ricevuti dai «rossi» facevano prevedere un conflitto duro e molto lungo. Fu anche segnalata una certa iniziale apprensione della popolazione, per le partenze delle truppe per la Spagna e per i sacrifici in uomini c in denaro che si ripercuotevano sulla Nazione.

Varrebbe la pena di studiare a fondo la diatriba sollevata, sulla «volontarietà» dei legionari, da storici e mass-media, e le motivazioni succèssive che hanno indotto ex-legionari a recusare la spontaneità di un gesto fatto, in piena coscienza, nel passato. Una spontaneità ancora oggi rivendicata dal periodico edito dall'Associazione Nazionale Combattenti Italiani in Spagna (Il volontario di Spagna, n. 111 990)

Il primo invio massiccio di volontari avvenne il 28 dicembre 1936; un telegramma di Mussolini a Colli così recitava: «Sono partite 3.000 cc. nn. con un morale magnifico et poiché finalmente si pensa ad attaccare 1\1alaga - come io avevo proposto da moltissimo tempo - penso che le nostre venti compagnie di stile ardito potrebbero essere imipegate in tale direzione. Riservomi mandare prestissimo direttive politiche da comunicare a Franco .. . ». Il morale attesta l'entusiasmo partecipativo e la consapevolezza dei volontari; le direttive politiche a Franco confermano la tesi che il Duce si pose ad arbitro e giudice dci destini altrui; una presunzione che comunque Musso lini avrebbe pagato con cocenti delusioni.

A partire da dicembre incominciarono, quindi, gli afflussi massicci. A dirigere tutta l'operazione furono il Capo del Governo ed il Ministro degli Affari Esteri, Ciano, presso il cui Dicastero fu istituito il già citato «Ufficio Spagna (S)». Lo Stato Maggiore Generale e lo Stato Maggiore R. Esercito, coinvolti a decisioni prese, fecero, in pratica, da passacarte e da supporto. Nel febbraio 1937 la M.M.I.S. fu trasformata in Corpo Truppe Volontarie (C.T.V.), sempre al comando del generale Roatta; ai primi di aprile 1937, dopo la battaglia di Guadalajara, il C.T.V fu riordinato e contratto, e dai reparti furono epurati gli elementi inaffidabili moralmente e fisicamente (una prima selezione portò al rientro di 2.500 a maggio i rimpatriati furono circa 5.000).

Bastico (nome in codice Doria) subentrò a Roatta (cui fu affidato il comando delle brigate miste, poi Divisione Frecce) e tenne il C.T.V fino ali 'ottobre, mese in cui fu sostituito dal generale Berti. L'ultimo a comandare il C.T.V. fu il generale Gambara, che assunse il comando nel novembre 1938,

dopo che fu disposto il ritiro dalla Spagna di 10.000_volontari. Un evento, quest'ultimo, scaturito dai rapporti non idilliaci fra Italia e Spagna, nonostante il gran clamore costruito intorno alla partecipazione e al contributo degli italiani.

Complessivamente, in Spagna furono inviati- in quasi tre anni - oltre 40.000 uomini, che subirono notevoli perdite (7.286 morti e feriti per l'Esercito);il solo Ministero della Guerra sostenne una spesa totale di L. 5.778.658.000 e inviò 160.000 tonnellate di materiali (armi, mezzi, munizioni, viveri).

Uno sforzo non indifferente per una semplice partecipazione, dai costi enormi se si raffrontano alcuni dati con quelli della guerra in Etiopia: spese totali sostenute in Etiopia (al 1 o luglio 1937) L. 9.849.051.909, contro i circa 6 miliardi già citati per la Spagna; munizioni inviate in Spagna 301.656.823 (cartucce, proiettili, bombe) contro le 282.097.000 dell'Etiopia; perdite complessive (dell'Esercito c della Milizia) in Spagna 11.740, contro le 7.313 subite in Etiopia.

Un bilancio ingiustificabile, perché l'impegno in Spagna non produsse alcun vantaggio. Servì solo ad indebolire il potenziale bellico italiano, ad aggravare la situazione finanziaria, ad inasprire gli animi di quegli italiani che si trovarono a combattere su opposti fronti (i «perdenti» in Spagna, nelle fila dei «vincitori» dopo il 1945, trovarono modo di rifarsi sugli ex legionari); e, infine, ad ingrossare le file degli oppositori al regime. L'ideologia

74 marxista, sconfitta sul campo di battaglia, trovò in quell'occasione il terreno di coltura ideale per crescere e diffondersi: la storia dovrebbe insegnare che un'idea sconfitta con la violenza quasi sempre si trasforma in un mito, pronto a risorgere alla prima favorevole occasiOne.

L'unico a trarre proficui vantaggi fu ovviamente Franco, in apparenza sempre titubante e indeciso sulla condotta della guerra e delle operazioni, ma in realtà molto abile a condurre una sua politica, tendente ad evitare l'intervento diretto della Francia soprattutto, e a sfruttare al massimo lo spirito «partecipativo» altrui, senza consentire allo stesso tempo a nessuno di sostituirsi a lui o di prevaricarlo nella sua azione di comando. Un'abilità spinta fino a misconoscere, con una sottile opera di manipolazione, anche propagandistica, il contributo alla lotta che gli proveniva dagli alleati. Per questo i rapporti fra gli italiani c gli spagnoli non furono mai idilliaci. Le relazioni del S.l.M., del C.T. V. c quelle degli Esteri, sono indicative: «Si è deliberatamente evitato, da parte spagnola ed anche in alto loco, di riconoscere l'importante contributo offerto dai nostri reparti volontari; dopo l'azione di Guadalajara non si è per contro evitato di gravare sui nostri la responsabilità delle incontrate» (relazione del7 aprile del console di Siviglia trasmessa dagli Esteri alla Guerra); «l n una festa celebrata a Salamanca in onore d eli 'Esercito Italiano, l'oratore ufficiale - fra le più

entusiastiche e convinte acclamazioni ebbe ad affermare che f Esercito e lo Stato Maggiore spagnolo sono i primi del mondo» (rapporto dell'Ufficio I del C. T.V. in dato 18 maggio 1937); « ... ora, ripeto, duole ai nazionali che non solo la stampa nostra, ma anche quella estera, e quella stessa dei rossi, abbia giudicato Santander ciò che essa è realmente: vittoria essenzialmente italiana ... » (comunicazione del comandante del C.T. V a Ciano e Pariani in data 10 settembre 1937).

Di frasi analoghe se ne rivengono ad ogni passo nei documenti. Non andavano neanche troppo bene i rapporti tra la truppa e la popolazione, festosa ed espansiva verso gli italiani al momento della liberazione di città e di paesi già in mano ai «rossi», ma pronta a rientrare in un ostile riserbo quando occupazione e permanenza si prolungavano.

L'orgoglio latino di italiani e spagnoli manteneva i rappòrti tra gli stessi militari di truppa su identici binari, come traspare da segnalazione di «incidenti» fra soldati italiani e spagnoli.

I rapporti fra i vertici militari furono cordiali soltanto a livello formale o personale. I Comandanti del C.T.V costantemente espressero, con relazioni a Roma, la loro profonda sfiducia nelle qualità strategiche e tattiche di Franco e dci suoi generali; fecero continuamente inutili pressioni perché i volontari non fossero costretti all'inazione o utilizzati maldestramente, e che fossero impiegati in blocco o autonomamente. n generale Berti, dopo la battaglia dell'Ebro, nell'aprile del1938, arrivò a invocare l'intervento di Roma perché gli spagnoli si astenessero dall'aiutarlo nei combattimenti. C'era, inoltre, continua tensione tra i Comandi, perché gli italiani tentavano di imporre le loro concezioni operative agli spagnoli; i quali, non persero occasione per rinfacciare agli alleati che erano in Spagna soltanto per salvaguardare il fascismo, e che quindi dovevano lasciare agli spagnoli i loro affari, senza interferenze.

Divergenti le stesse opinioni di Mussolini e di Franco, che ovviamente pensava solo a tutelare i propri interessi. Nel febbraio del1938 Mussolini indirizzò una lettera a Franco nella quale, in sintesi, gli chiedeva se intendeva spingere l'offensiva in corso a fondo; minacciando, in caso contrario, il ritiro dci legionari. Franco lasciò la lettera per un mese senza risposta; Ciano dovette sollecitare Berti perché esternasse a Franco l'irritazione del Duce ( ... non si lascia una lettera del Duce - e quale Lettera - per alcune settimane senza risposta ... ). Cosa che Berti fece; ma la risposta di Franco fu, come altre precedenti, elusiva e, alla fine, postulante la consuetudinaria richiesta di armi, materiali e mezzi.

I continui dissidi furono all'ultimo la vera ragione del ritiro di 10.000 volontari nell'ottobre di quell'anno; le decisioni adottate a Londra nella conferenza del maggio 1938, nella quale un Comitato degli Stati interessati ribadiva il principio del non intervento, nulla vi ebbero a che fare, tanto che

Mussolini già in precedenti sedute del Comitato si era potuto permettere direttive del tipo «accettare la tesi del ritiro dei volontari (di qualsiasi nazionalità) in linea di principio, ma renderla inapplicabile».

Le decisioni del Comitato, ribadiamo, non ebbero mai alcuna influenza sul corso degli avvenimenti.

Le polemiche sulla stampa, a proposito della partecipazione alla guerra dell'una e dell'altra nazione, servirono solo a scontri propagandistici.

II governo repubblicano spagnolo aveva prodotto, già nei primi mesi del conflitto, un documentato «libro bianco», a Ginevra, sull'intervento italiano a favore della Spagna nazionalista, senza ottenere alcun risultato pratico. Tanto era accanita la lotta pubblicistica, che l'Agenzia Reuter tentò di organizzare un servizio di corrispondenti, che avrebbero dovuto seguire meticolosamente la partenza dei volontari dai porti del Tirreno, per comprovare il coinvolgimento diretto dell'Italia alla guerra.

Ovviamente, l'Italia fece azione di contrasto e tentò a sua volta di dimostrare che erano gli altri Stati ad essere maggiormente impegnati in campo avverso.

La storia della «partecipazione non partecipata», in cui restarono coinvolti gli stati europei, diventò alla fine un balletto dai risvolti. ridicoli. ·

Nel febbraio J 937, con la costituzione del C.T.V., fu istituito presso il Comando l'Ufficio Stampa e Propaganda. Fu però l'Ufficio I del C.T.V. a predisporre, il4

76

aprile, la prima circolare in materia di propaganda e di assistenza morale ai volontari.

La circolare fu articolata in quattro punti. Fu innanzi tutto sottolineata la necessità di svolgere, in un momento di sosta operativa per il riordino delle unità, «un'intensa e vibrante azione di propaganda nazionale e di contropropaganda», nonché « .. . una accurata, appassionata, amorevole assistenza morale delle nostre truppe». Senza attimi d i tregua « ... p er penetrare profondamente nei cervelli e nei cuori dei gregari, alfine di ottenere quella saldezza collettiva indispensabile per superare le ore più dure, e vincere». Un chiaro riferimento alla critica situazione venutasi a determinare dopo Guadalajara e, indirettamente, all'epurazione in corso presso i reparti.

Furono poi delineate le attività assistenziali e propagandistiche da mettere in atto: diffusione del giornale El Legionario presso i reparti e gli ospedali; trasmissioni radiofoniche specifiche dalle stazioni radio di Salamanca, Valledolid, Purgos e Madrid, con l'istallazione apposita, e ad esclusivo beneficio delle truppe, di radio ed altoparlanti presso ogni battaglione, gruppo, reparto speciale, ospedale, ccc.; allestimento di trasmittenti radio e di altoparlanti in autofurgoni per la propaganda e la contropropaganda in linea durante i cicli operativi; avvio di iniziative per il tempo libero, come spettacoli cinematografici, giochi a premio, attrezzature sportive. Inoltre, approntamento di materiale di

contropropaganda sul nemico, come opuscoli, manifestini, testi per radio trasmissioni.

Non mancò la retorica sottolineatura di una necessaria educazione morale della truppa con l'arma della parola dei capi (vibrante, entusiastica, trascinatrice), con l'esempio di ogni comandante (nella fatica, nella lotta, nel sacrificio), con la cura e l'interessamento vigile (portato fino allo scrupolo).

L'ultimo punto della relazione affidava all'Ufficio Stampa c Propaganda il compito di attuare i provvedimenti indicati, aderendo alle richieste dci Comandi dipendenti «con fervore fascista».

L'istituzione dell'Ufficio Stampa portò, come era già accaduto in Etiopia, a continue interferenze nelle disposizioni alla stampa. Si tenga presente che in Spagna agivano, per conto di vari Ministeri, l'Ufficio Stampa del C.T. V., quello dell'Ambasciata in Salamanca e l'Ufficio Stampa lialiano a San Sebastian.

Nonostante le numerose disposizioni ed il clima di collaborazione «forzato», i rapporti fra Minculpop, Esteri, Guerra e C.T.Y. non furono idilliaci. Bastico c Berti ebbero spesso a lamentarsi che notizie riservate, come gli elenchi nominativi di Caduti in combattimento, venivano anticipate dai giornali italiani ancor prima che le autorità militari potessero comunicare, ai familiari interessati, il luttuoso evento; qualcuno, come il commendatore Danzi, capo dell'Ufficio Stampa a Salamanca, strafece per mettersi in mostra, e per il suo comportamento scatenò le ire dello stesso Ciano.

L'Ufficio Stampa del C.T.V. riuscì, comunque, gradualmente a pilotare i rapporti tra stampa c Comandi militari, emanando disposizioni che, da un lato invitavano alla massima comprensione e collaborazione, dall'altro esigevano che le corrispondenze tenessero sempre presenti le necessità militari, almeno delle truppe italiane e delle operazioni che esse conducevano. A tal fine fu predisposta la compilazione, a cura dci Comandi di Divisione, di un bollettino da mettere a disposizione dci corrispondenti, e fu precisato di limitarne l'uscita solo quando fossero accaduti avvenimenti di rilievo (non era necessario che fosse giornaliero). I corrispondenti erano tenuti a svolgere la loro attività d'intesa con i Comandi militari.

Quanto ai contenuti, ancora una volta veniva ribadito che nell'elaborazione delle corrispondenze giornalistiche doveva essere evitata ogni vanità o esaltazione di gesta individuali, nel presupposto che lo scopo della stampa era quello di servire il Paese e non «l'esibizionismo di qualche malato moralmente».

A scrivere per i giornali italiani le corrispondenze dalla Spagna furono ancora i maggiori giornalisti del momento (alcuni di essi avevano già opera-to in Etiopia). Qui ricordiamo Luigi Barzini e Mario Appelius per il Popolo d'Italia, Sandra Sandri e Giovanni Artieri per La Stampa, Achille Benedetti per il Corriere della Sera. Il

Messaggero si servì del giovane Indro Montanelli, che però finì con l'essere radiato dall'albo dei giornalisti per la sua scarsa propensione alla retorica e per la realistica descrizione della resa di Santander.

Maggiore fortuna era toccata in precedenza a Luigi Barzini, che pure si era lamentato con Giulio Barrella- e del fatto fu informato il Duce - di come il suo articolo su Guadalajara fosse comparso alterato e imbottito di materiale fantastico, prodotto da altri, e non consono alla realtà dell'evento.

In alcuni casi furono i comandanti militari a stigmatizzare il comportamento per nulla professionale e deontologico della stampa. Basti co si lamentò con Ciano per un articolo, a firma di Alexis Zacoff, dell'Illustrazione Italiana (n. 23 del 6 giugno 1937), che definì «una raccolta inqualificabile di falsità e di idiozie», oltre che offensivo per la Brigata Frecce Nere.

Gambara chiese a Pariani di intervenire perché la stampa smettesse di rappresentarlo e adularlo come «Greta Garbo>> .

Episodi diversi, che dovrebbero fornire spunti di riflessione per uno studio sistematico e oggettivo sul giornalismo di guerra ed i suoi corrispondenti.

La stampa estera fu seguita con attenzione; l'Ufficio I del C.T. V. compilò Riassunti stampa giornalieri e settimanali, ove venivano riportati gli stralci delle principali notizie delle maggiori testate estere, annotate da commenti. Un materiale di studio

78

estremamente interessante per comprendere come fu condotta la lotta per la formazione delle opinioni, interne ed internazionali.

La battaglia pubblicistica non fu combattuta soltanto attraverso i giornali; conobbe eguale intensità di fervori anche in opuscoli c volumi.

Alcune opere di autori stranieri furono segnalate per la loro pericolosità e perché ritenute efficaci strumenti di propaganda antifascista, come il volume di U p ton Sinclair No pasaran.

Di altre ne fu auspicata la diffusione, dopo essere state passate al vaglio del Servizio Informazione Militare e d eli 'Ufficio Storico del Corpo di Stato Maggiore. Citiamo, fra le altre, Un anno fra i rossi di Spagna) di Tony Bekker (pseudonimo di un ufficiale dell'Esercito infiltratosi fra i repubblicani); Arriba Spagna, di Alfonso Pellicciari; Legionari di Roma in Terra Iberica, di Varo Varanini; La verité sur Guadalajara, di Bernard Deschamps; Le Frecce Nere nella guerrd di Spagna, del generale Sandro Piazzoni.

Il Ministero della Guerra incaricò il Capo dell'Ufficio Storico, colonnello Biondi-Morra di compilare un opuscolo celebrativo, l volontari dell'Esercito nella guerra di Spagna, diffuso in 61.000 esemplari. Il C.T. V pubblicò in proprio IL C TV da Malaga a Tortosa.

Perfino la Sezione Topografica d eli' Istituto Geografico Militare volle offrire un opuscolo propagandistico del proptio cont1ibuto tecnico al seguito del C.T. V

La battaglia pubblicistica attraverso la

stampa e le pubblicazioni fu comunque feroce. Orrori della guerra e assassinii furono ingigantiti fino all'esasperazione, dall'una e dall'altra parte.

La stampa però - nonostante le preoccupazioni dei capi - non ebbe un peso detenninante sul morale dci legionari. Né in senso positivo né forse anche perché essi non ebbero uno strumento giornalistico proprio paragonabile ai giornali di trincea (El Legionario era un prodotto poco gradito).

Sui volontari ebbero pe..c;;o negativo altri fattori, puntigliosamente annotati dai Comandanti: il lungo periodo in linea, i rimpatri di forti aliquote di commilitoni con tempi di pe1manenza in Spagna inferiori a quelli di quanti restavano, l'atteggiamento degli spagnoli (timorosi e rispettosi dei tedeschi ma alteri verso gli italiani), la disparità di trattamento all'interno delle stesse unità volontarie.

La crisi morale si diffuse soprattutto fra le Divisioni Frecce n _ ell'ottobre 1938 e, segnalata a Roatta, ebbe risposte non convincenti: parlare e fornire spiegazioni, concedere permessi, sussidi, licenze, vitto ed equipaggiamento migliore per elevarne il morale.

Secondo Berti, a novembre la crisi sarebbe rientrata: ill3 scriveva infatti a Ciano «Caro Conte- sintetizzo le impressioni in una frase molto semplice: al primo che mi verrà a parlare di morale depresso (e così ho detto ad ufficiali e truppa) userò non il rigore del regolamento di disciplina, ma il bastone. Ogni offesa personale va lavata a cazzotti. Non è Lecito offendere questi ragazzi. Non pecco di ottimismo (anche se di questo mi si accusa). Bisogna distinguere tra mugugnamento e morale depresso. L'italiano - e prima tra tutti il soldato nostro - mugugna. Cosi, per abitudine, per <<diversivo», p er vecchio diritto consentito dalle leggi (vedi Repubblica Genovese). Salvo «rara avis», dal Ministero della Guerra all'ultimo piantone, tutti si lamentano: contro il soldo, il vitto, il vestito, la licenza che non viene, le donne che mancano e quelle che abbondano, contro ciò che ha e quello che non ha e via di seguito. Così sino a tanto che non viene impegnato il/oro nome di italiano e ronore della Patria. Non appena questo avviene ... l'individuo per cui è già stato destinato il rimpatrio rifiuta di andarsene, Le miserie che lo affliggono scompaiono, la moglie che Lo chiama passa in seconda linea; tutto dimentica, all'infuori di essere soldato e italiano ... ».

A parte la tirata patriottarda e la reale crisi esistente (Berti stesso aveva telegrafato a Ciano in settembre chiedendo l'autorizzazione a far rientrare 1.100 legionari in particolari condizioni di depressione «fisica e morale»), la relazione sottolineava una verità da sempre esistita nel soldato italiano: la tendenza (e il diritto) al mugugno, che alcuni autori hanno interpretato più volte come protesta sostanziale e profonda verso l'Istituzione.

Le attività assistenziali per limitare le lamentele, comunque, aumentarono; a parte quelle già citate (spettacoli cinematografici, distribuzione di radio e di attrezzature sportive), quelle inutili (come l'invito all'acquisto di una serie di cartoline che la Milizia aveva edito per commemorare il «volontarismo popolare»

espresso gloriosamente per la conquista dell'Impero), e quelle fumose (come le tombolate e le «istituzionali» madrine di guena), furono distribuiti generosamente viveri di conforto (per le festività di Natale giunsero 60.000 panettoni e 60.000 tononi), previsti sgravi sui pagamenti di tasse e contlibuti, messe in atto con assiduità le provvidenze igieniche c sanitarie (una costante attenzione, ancora più che in Etiopia, fu prestata per la prevenzione delle malattie veneree), sollecitati interessamenti per le provvidenze e per le pensioni ai familiari dei Caduti.

Nel tentativo di favorire i rapporti con la popolazione civile-che nelle relazioni furono segnalati sempre oscillanti fra alti e bassi - affinché l'ospitalità degli spagnoli contribuisse a tenere alto il morale dei legionari, fu spiegata anche un'intensa, disparatissima attività propagandistica e assistenziale nelle città («liberate» o «occupate», secondo i punti di vista): diffusione di veri gadget promozionali (come distintivi i tal o-spagnoli, buste di fotografie anticomuniste, bandierine), istituzione dì biblioteche circolanti, allestimento di ambulatmi medici.

La propaganda, ovviamente, non poteva non tener conto di quel «fronte interno», anche se le intelicrenze italiane non erano gradite a Franco. Soprattutto per contrastare la capillare attività svolta dai «rossi», estesa fino alla tenera infanzia; un'infonnativa diceva, infatti, riconoscendone l'efficacia, che l'organizzazione bolscevica si muoveva già nei giardini d'infanzia, in questi termini: «Bambini spagnoli! Mentre gli assassini

80

fascisti vi gettano bombe ed uccidono i vostri fratellini, il Ministero d'lytruzione Pubblica del Fronte Popular vi regala giocattoli e racconti e si preoccupa della vostra istruzione affinché domani siate uomini utili alla nuova società».

In conclusione, le propagande avverse impiegarono a piene mani in Spagna tutti gli strumenti e gli argomenti a loro disposizione, anche attraverso i prigionieri di guerra- un'attività conosciuta nella 1 a G.M. ma non più utilizzata- , sia verso i combattenti sia verso la popolazione civile.

Anche se appare prematuro fare un bilancio definitivo della propaganda dei tre anni di guena, ad una prima analisi si ha comunque l'impressione che essa non abbia avuto una grossa influenza né sui combattenti, né sulle popolazioni, nonostante che in Spagna fosse stata spiegata l'azione propagandistica più brutale, più massiccia e più aggressiva mai conosciuta fino ad allora. Sembra quasi che l'impegno propagandistico, effuso a piene mani dai promotori, sia rimasto Wl fatto privato tra i promotori stessi e che non sia riuscito in alcun modo né ad influenzare, né a mutare né ad orientare l'opinione interna ed internazionale.

Albania. Il7 aprile 1939, mentre la campagna di Spagna si avviava all'epilogo, un Corpo di spedizione italiano occupava l'Albania, mettendo fine al vacillante regno di re Zog e all'alternarsi di «appetiti» e progetti di spartizione fra Italia e Jugoslavia. L'occupazione, diventata annessione il16 aprile, fu possibile grazie agli atteggiamenti conniventi degli altri Stati europei: la

This article is from: