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Capitolo!: 1919-1925
Introduzione
Al termine della grande guerra gli organi centrali e direttivi della propaganda, costituiti in seno all'Esercito, furono progressivamente smantellati. Il primo colpo lo ricevettero a seguito della smobilitazione e dei continui, frenetici riordinamenti; il secondo, definitivo, dall'avvento del fascismo. Andarono così perdute preziose esperienze accumulate, con enormi fatiche, in quattro anni eli guerra.
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L'Esercito continuò, comunque, in tono minore ad occuparsi eli assistenza e propaganda, attraverso i vari Uffici dello Stato Maggiore e organi periferici, che venivano costituiti alla bisogna.
Dal1919 al1939 è possibile distinguere tre fa'si - fasi che segnano anche le tappe dell'evoluzione della politica fascista - nelle attività propagandistiche svolte, e subite, dall'Esercito: - una prima fase, dal1919 al1925, in cui tali attività furono ancora promosse in proprio attraverso vari Enti e Uffici subentrati all'Ufficio Stampa e
Propaganda del Comando Supremo, fino al momento in cui scomparirono con l'avvento della dittatura; - una seconda fase, dal1925 a11935, in cui l'Esercito principalmente subì, come tutta la Nazione, la propaganda di regime, limitando la sua opera
all'assistenza materiale e morale cle11e truppe, e· concorrendo talvolta all'azione di bombardamento psicologico delle masse alle armi; - una terza e ultima fase, clal1935 al 1939 in cui l'Esercito ritrovò spazi d'azione -ma sempre sotto le direttive degli organi di regime - come nella guerra italo-etiopica e nella campagna di Spagna. Allo stesso tempo esso comunque partecipò, attraverso il
Sottosegretario alla Guerra inserito nella Commissione Suprema Difesa, alla organizzazione della propaganda.
Due furono le direttrici in cui l'Istituzione si mosse in questo ultimo arco di tempo: una volse l'attenzione alle proprie truppe, l'altra ai territori teatri di operazioni. All'interno del Paese l'azione propagandistica dell'Esercito fu nulla, o quasi.
Non inganni, peraltro, tale articolazione temporale schematica: è fatta soltanto per comodità di lettura. Il problema propaganda, nel ventennio preso in esame, risulta molto complesso e i modelli descrittivi e di lettura, che potrebbero essere applicati, sono numerOSISSIIDl.
Questo volume si propone di offrire semplicemente un contributo allo studio del fenomeno propaganda - non ha, e non potrebbe avere, nessuna pretesa
esaustiva - visto secondo una particolare ottica in un momento significativamente difficile, ancora oggi controverso, della storia dell'Esercito e d 'ltalia. Utilizzando a piene mani, come già è stato fatto nel precedente «Esercito e Propaganda nella Grande Guerra», i mezzi spiegati dalla propaganda, senza l'ausilio dei quali non sarebbe mai possibile cogliere l'essenza dell' «arma della persuaswne».
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PARTE PRIMA
Tra storia e propaganda. Sintesi storica


1919 • 1925 All'indomani della vittoria e della pace, l'Esercito visse e subì una serie di gravi problemi, che ne scossero l'identità c il prestigio; problemi di natura poli.tica, interna cd internazionale, sociali cd economici, «scaricati» dalla classe politica, in molti casi con grande abilità, sull'Istituzione e sui vertici militari. l quali ultimi, divisi da invidie e gelosie, spinti da interessi personali, non seppero o non vollero né difendersi né contrattaccare. Un fenomeno comune a tutti i dopoguerra, vinti o persi che fossero i conflitti antecedenti o successivi.
La smobilitazionc cd il reinserimcnto dei reduci nella vita civile, le battaglie nazionalistiche per l'atteggiamento rinunciatario del Governo alla conferenza di Parigi - ovc, dimentiche del Patto di Londra del 26 aprile 1915 (con il quale erano state promesse all'Italia le province austriache fino al confine delle Alpi, la Dalmazia settentrionale con le isole e Valona, più compensi territoriali in Asia Minore e nelle Colonie), l'Inghilterra, gli Stati Uniti e soprattutto la Francia peroravano la creazione di uno Stato, la Jugoslavia, che coprisse il vuoto lasciato dall'Impero Austro-Ungarico e restasse loro zona d'influenza - la riconversione industriale delle fabbriche di guerra, i fermenti socialisti ed i moti di piazza, le prepotenze e i delitti delle squadre di azione fasciste, gli interventi dei militari in servizi di ordine pubblico, le denigrazioni strumentali mosse da molti partiti, le discussioni tcoretiche sulla leva volontaria o obbligatoria, l'ostracismo delle potenze alleate e avversarie, il problema di Fiume e la propaganda anti-italiana degli slavi, coinvolsero sempre più direttamente l'Esercito e pesarono negativamente su di esso. Nonostante che all'interno delle Forze Armate ricco e vivace continuasse il dibattito sulle questioni militari presenti e future, l'Istituzione fu sempre più spesso accusata di inerzia, mentre in effetti fu costretta a vivere alla giornata, sempre più alla mercé degli uomini politici, troppo impegnati altrimenti per accettare, affrontare c discutere problemi di politica militare, ed elaborare progetti c piani per il domani.
Fu così che i militari, abbandonati, vilipesi ed ingiuriati, si sentirono defraudati e traditi. Nessuno si sarebbe dovuto meravigliare, in tale situazione, se più tardi molti di essi avrebbero dato la propria incondizionata adesione al fascismo.
Il clima di malessere non impedì, comunque, agli organi della propaganda di continuare, sia pure in tono minore, la propria opera. Al centro ed in periferia, per molti mesi dopo la fine della guerra, i provvedimenti assistenziali e propagandistici ebbero costante attuazione.
Continuarono a provvedervi principalmente l'Ufficio Stampa e Propaganda del Comando Supremo, le Sezioni e le Sottosezioni P (propaganda) delle Armate, dei Corpi d'Armata e delle Unità paritetiche, sussidiati da altri Uffici del Comando Supremo (Operazioni e Informazioni); e, per

quanto concerne il fronte interno, dai Comitati e dalle Opere Federate sorte nel corso della guerra e ancora operanti al termine del conflitto.
Nel contempo, mentre vecchi organi venivano sciolti, come il Sottosegretariato per la propaganda all'estero c la stampa del Ministero dell'l n terno (gennaio 1919), altri - creati per scopi diversi- avviavano la loro attività nel settore, come la Sezione Militare della Delegazione Italiana per la pace di Parigi.
Nello stesso mese di gennaio gli Uffici ITO (Informazioni Truppe Operanti) delle Armate passarono dalle dipendenze dell'Ufficio Operazioni a quelle del Servizio Informazioni, poiché, con la fine delle ostilità, le notizie raccolte assunsero sempre più carattere politico, perdendo le pcculiarietà militari. Il Servizio Informazioni precisò quali notizie dovevano essere raccolte, per poi essere riunite in un apposito notiziario diviso in quattro parti: militari, politico-militari, economicocommerciali, stralci stampa.
Restavano invece immutate le informazioni da compendiare nella relazione quindicinale sullo spirito delle popolazioni e delle truppe (Sezioni e Sottosezioni P), in cui particolare attenzione doveva essere posta alla segnalazione di eventuali malcontenti, bisogni, correnti di idee, ecc.
La ricerca delle notizie politiche fu causa di contrasti tra il Governatorato della Venezia Giulia, che avocava al suo servizio tale competenza, e il Comando della 311 Armata, il quale faceva notare

12 al Comando Supremo come, per la situazione venutasi a determinare nel territorio dell'Armata, non poteva esimersi dal raccogliere tale tipo di informazioni, essendo esse alla base di ogni azione di comando della grande unità: come, ad esempio, l'emanazione dei bandi, la cui redazione era stretta funzione della perfetta conoscenza della situazione politica.
Non sembra peraltro che capi politici e militari si siano realmente e razionalmente resi conto quanto importante, in momenti cosÌ. difficili e delicati, sarebbe stato accentrare ancora maggiormente tutta l'attività di propaganda e di contropropaganda, invece di litigare e di distruggere quanto di buono era stato fatto: si finì così per frazionare indirizzi e demandare competenze ad Uffici già presi e totalmente assorbiti da altri compiti, altrettanto prioritari.
L'azione di propaganda continuò comunque a muoversi in tre direzioni: i soldati, il Paese, l'estero. I soldati furono assistiti e, fin dove possibile, aiutati ad inserirsi nuovamente nella vita civile; alcune Armate, fra cui la P e la 3", dedicarono ai militari congedati un opuscolo, che sottolineava quanto era stato fatto per loro e quali diritti essi avevano acquisiti; spiegando, sotto forma di dialogo diretto c con un linguaggio molto semplice, come muoversi per ottenere il dovuto: la polizza dei combattenti, il premio di congedamento, il pacco vestiario, i sussidi alle famiglie, i sussidi di disoccupazione, le pensioni, le
agevolazioni per gli emigranti.
L'opuscolo della l a Armata segnalava, inoltre, particolari provvidenze per i propri dipendenti. E, come mezzo di propaganda, non disdegnava di invitare i soldati a ricordarsi, nell'esercitare il diritto al voto, di «tutti quegli uomini che sanno non soltanto parlare bene; i più degni per il loro passato e per la loro istruzione ed educazione, i più onesti; quelli che non amano il popolo a parole ma coi fatti; quelli che durante la guerra hanno diviso con loro le ansie, i dolori, Le pene ed i pericoli».
Chiudeva, infine, avvertendoli dei pericoli di una rivoluzione; delle lusinghe provenienti da certi ambienti politici, delle mendacie degli «imboscati di ieri, falsi ma/Levadori di oggi».
La propaganda verso il Paese, fatta ancora con il concorso di Associazioni e Comitati, poneva invece l'accento sul debito di riconoscenza che i cittadini avevano contratto verso i combattenti, e auspicava che cssò si traducesse soprattutto nell'aiutare i reduci a trovare un posto di lavoro, adeguato riconoscimento a mesi ed anni di duri sacrifici e privazioni. Stigmatizzava, inoltre, l'atteggiamento di quei partiti c di quei cittadini che, passata la bufera, incominciavano a nutrire indifferenza, quando non disprezzo c ostilità, verso l'Esercito.
Più complessa l'azione di propaganda -e di contropropaganda - svolta all'estero. L'Esercito, con la soppressione del Sottosegrctariato della propaganda, venne a trovarsi di nuovo isolato e costretto a muoversi su terreni infidi, con compiti numerosi e disparati; per svolgere i quali disponeva soltanto degli Addetti Militari, di qualche informatore dell' Ufficto I c della Sezione Militare della Delegazione a Parigi. Scarso, infatti, fu il contributo offerto dall'Ufficio Propaganda del Ministero degli Esteri. L'Esercito doveva, in sintesi: continuare a fornire documenti e iconografie per dimostrare e sostenere il peso avuto dall'ltalia nella guerra, progressivamente sempre più misconosciuto dalle altre Potenze vinci triei; «tenere» sul fronte delle rivcndicazioni territoriali contro l'atteggiamento ostile degli «alleati»soprattutto Francia e Inghilterra -; controbattere la feroce propaganda contro l'Italia che gli sloveni della nascente Jugoslavia andavano tenacemente perseguendo; porre attenzione alle manifestazioni di antiitalianità, la cui tendenza si dimostrava crescente negli. Stati balcanici, nell'Europa centrale c settentrionale e in Russia; difendere l'operato e il prestigio dei militari italiani dei Corpi di occupazione e eli spedizione, nazionali ed internazionali. Ll tutto in un difficile esercizio di equilibrio tra il Governo - la cui posizione contraddittoria denunciava la debolezza, se non l'assenza, di un'organica politica estera e da cui, pertanto, nessuna direttiva precisa veniva -, i nazionalisti e i fascisti delle squadre d'azione - sempre pronti acl interpretare a modo loro ogni presa di posizione elci rappresentanti militari -,c la stampa, che terminata l'esigenza guerra e cessato, per opportunismo,

ogni «corteggiamento», andava assumendo via via posizioni sempre più critiche, fino alla denigrazione cd al vilipendio dei militari e delle loro istituzioni.
Intanto tutto quello che avveniva all'estero, riportato distorto da alcuni giornali di parte, era fonte di nuovi problemi per quanti si occupavano - e preoccupavano - della propaganda.
Alle difficoltà organizzative e politiche che impedivano all'Esercito di sviluppare un'articolata azione di propaganda, si aggiungevano crisi e critiche all'interno dello stesso organismo militare. La smobilitazionc di fatto avvenne, per volere del Ministero della Guerra, senza che si tenesse conto di un piano organico approntato dal Comando Supremo, che avrebbe sicuramente incontrato l'approvazione dell'opinione pubblica, per la celerità con cui le disposizioni avrebbero consentito a molte classi di leva di ritornare in famiglia. Preoccupazioni politiche del Ministero della Guerra (manifestazioni di piazza, sommosse contro il carovita e la penuria di viveri, diffuse aspettative di gravi disordini di ispirazione bolscevica, allarmante attivismo di socialisti c cattolici, timori di rivolte in Alto Adige e nella Venezia Giulia) prevalsero sulla logica e provocarono incomprensibili rallentamenti dei congedamenti. Numerosissime circolari, emanate da più parti proprio perché venne a mancare un piano organico, cambiarono in continuazione le modalità degli invii in congedo delle classi alle armi,

14 confondendo c turbando l'animo semplice del soldato.
All'atto della smobilitazione, ad eccezione dei provvedimenti di assistenza già indicati e di vaghi accenni ai compiti devoluti all'Opera Nazionale Combattenti, l'autorità militare non promosse una adeguata legislazione che assicurasse il reinserimcnto sociale dei congedati, nonostante l'esistenza di un Ministero per l'Assistenza ai militari c le pensioni di guerra.
Non solo, ma il generale Caviglia, che sostituì il generale Zupelli al Dicastero della Guerra nel gennaio 1919, in occasione del rimpasto del Governo Orlando, si affrettò inoltre ad assumere posizioni critiche nei confronti della partecipazione dei militari alla vita politica, disconoscendo di fatto le rivendicazioni territoriali e frustrando le aspettative di tutti coloro che si erano battuti in nome dell'ideale delle terre irredente, tanto esaltato dalla propaganda durante la guerra.
V'è da ricordare, inoltre: che l'ufficialità era in fermento per l'elevato numero degli alti gradi esistenti nell'Esercito, fatto determinato dall'accelerazione delle carriere provocata dalla guerra; che in Colonia persisteva una situazione disastrosa in quanto, pur essendovi dislocato un contingente di circa 80.000 uomini, il territorio libico era in mano ai rivoltosi arabi; che i numerosi impegni internazionali assunti (intervento in Carinzia, spedizione in Anatolia, occupazione de11 ' Albania) avevano portato ad una dispersione di uomini
all'estero senza precedenti dall'inizio del conflitto (gradualmente vi fu destinato, infatti, il 20% dei mobilitati).
Gli unici provvedimenti tangibili adottati nel1919, furono, in pratica, il miglioramento del trattamento economico a ufficiali e sottufficiali, l'aumento della cinquina da L. 0,50 a L. 2,50, l'arricchimento del rancio con una n uova razwne.
L'Ufficio Stampa e Propaganda del Comando Supremo, nel frattempo, nonostante i numerosi impegni cui doveva far fronte, subì un drastico taglio dei fondi, tanto da dover diramare, il 29 luglio 1919, una circolare che sopprimeva tutte le spese dei Corpi «genericamente comprese nel titolo per la propaganda (stampe, pubblicazioni, ricordi, feste, erogazioni, ecc.)». I Comandanti di Grandi Unità e gli Uffici I.T.O. delle Armate furono così privati del maggior introito finanziario che, fino ad allora, aveva consentito di svolgere la loro attività. Le spese propagandistiche non furono più ritenute necessarie di fronte ad altre maggiori esigenze.
L'Ufficio Stampa e Propaganda, della Sezione Militare della Delegazione Italiana per la Pace di Parigi, fu l'unico privilegiato in tale situazione di penuria. Numerosissime le richieste da esso avanzate, e soddisfatte, agli Uffici del Comando Supremo che operavano nel settore (oltre a Stampa e Propaganda, anche Informazioni e Operazioni): opuscoli, fascicoli, fotografie, cartoline, carte, giornali, dati statistici furono forniti con abbondanza alla Sezione, che doveva pubblicizzare gli ingenti sforzi sostenuti dall'Italia in guerra, far conoscere le azioni promozionali a favore della pace e del riassetto dell'Europa, controbattere la propaganda - diretta ed indiretta - di avversari e alleati.
Un compito decisamente difficile in un ambiente ostile. La Sezione, tanto per far esempi: fu interessata per l'istituzione di uno speciale servizio di propaganda a Vienna, dove, nonostante gli sforzi compiuti per l'organizzazione c l'invio dei rifornimenti alimentari a favore delle popolazioni dell'Austria, gli aiuti italiani venivano disconosciuti (la propaganda slava, soprattutto, diffuse la notizia che i viveri provenivano direttamente dall'America, e che le refezioni approntate sarebbero state ben presto ripagate con l'istituzione di gravose tassazioni); dovette fornire dati e notizie per controbattere ancora la propaganda jugoslava contro gli italiani, giunta a diffondere false notizie su presunte fucilazioni di soldati italiani, condannati solo perché colpevoli di aver riconosciuto pubblicamente il carattere etnico-geografico slavo di alcuni territori occupati; dovette occuparsi della recensione stampa c della segnalazione degli articoli e degli scritti, che in qualsiasi modo coi.nvolgesscro l'Italia.
Un lavorio tanto arduo, quest'ultimo, da provocare l'istituzione di un apposito Ufficio Stampa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in Parigi (provvedimento resosi ancor più necessario in quanto si erano diffuse lamentele per presunte disparità di

trattamento dei giornalisti accreditati).
Mentre avveniva tutto ciò, il 9 agosto 1919, in occasione di un riordinamento del Comando Supremo e del suo trasferimento di sede da Padova a Roma, venne soppresso l'Ufficio Stampa e Propaganda.
Il compito di sondare lo spirito delle truppe e di produrre propaganda diventava esclusiva pertinenza dell'Ufficio Informazioni. Altri provvedimenti, immediatamente successivi, smantellarono progressivamente le attività propagandistiche anche in periferia, con lo scioglimento di alcune Armate e dei relativi Uffici I.T.O.
L'Esercito si trovò così ad affrontare, con una frammentaria e disarticolata organizzazione, il problema dei territori di confine annessi c di Fiume.
A provvedere al servizio in tali località erano la Sezione P della 3a Armata, quella del Governatorato della Dalmazia, e l'Ufficio Politico Militare, costituito nel febbraio 1919 dal Comando del Corpo d'Occupazione Interalleato di Fiume. l notiziari del Comando della 3a Armata e i bollettini bisettimanali dello spoglio stampa ci consentono di accertare e valutare quel che avveniva nei territori di confine e di occupazione. I soldati italiani usufruivano delle solite opere assistenziali, ed erano in genere ben accetti dalle popolazioni. li loro morale era quindi elevato, e le proteste sporadiche e contenute; l'euforia della vittoria aveva esaltato gli animi.
Complessa e temibile era invece la

L6 propaganda slava, condotta soprattutto attraverso opuscoli e giornali, con tecnica spesso rozza e violenta, ma a tratti sottilmente raffinata. A notizie di atti eli violenza c di terrore compiuti su maschi e femmine delle zone occupate, di ruberie di viveri e di danari (.Tadran, 23 -28 marzo 1919), si alternavano uscite di giornali con spazi bianchi; per far intendere che l'opera del censore italiano era stata pesante al fine di nascondere chissà quali misfatti. Emissari e agitatori jugoslavi (soprattutto di estrazione intellettuale: avvocati, maestri, preti, impiegati), diffondevano notizie di sanguinarie rivolte in città italiane, di disastrose condizioni economiche dell'Italia, di eccidi ed efferatezze perpetrati dalle truppe.
Nonostante la febbrile attività di giornalisti e eli agitatori, la propaganda slava non riusciva tuttavia ad essere incisiva; le notizie raccolte dagli informatori dell'Armata annotavano come le masse, in un primo momento diffidenti c fredde verso gli italiani, in breve tempo fossero state rabbonite dalle distribuzioni gratuite di generi alimentari, tanto che serbi e croati della zona di Spalato non vollero sottoscrivere schede di adesione al plebiscito per la Jugoslavia promosso da un comitato locale, dichiarando apertamente che avrebbero preferito l'annessione all'Italia.
Pesavano peraltro sulla situazione: l'equivoco atteggiamento dei francesi, i quali favorivano l'azione di propaganda jugoslava in ogni modo; la posizione
assunta dagli Stati Uniti, che si prestava a privilegiare la strumentale diffusione di solenni «pronuncie» del presidente Wilson a favore della causa jugoslava; la capillare opera dei propagandisti slavi, che sull'onda di tali voci erano arrivati a distribuire, perfino a contadini e pastori delle zone più isolate ed impervie, coccarde con i colori statunitensi.
Limitata, per contro, era l'attività di propaganda svolta dalla 3a Armata; anche se il Comando della Grande Unità, a proposito della situazione di confine e sullitoraneo adriatico, concludeva, con molto realismo, in una relazione del gennaio del1919: «carne prima cosa devesi ottenere di far cessare ogni azione politica, sia essa favorevole o contraria alle aspirazioni italiane, degli enti militari alleati, politicamente irresponsabili cosi verso di noi come verso il loro paese ... Le eccessive pretese che nell'interno del paese vengono sostenute da chi non conosce nemmeno superficialmente Le èondizioni delle coste orientali dell'Adriatico nuociono assai alla nostra causa e fanno apparire fondate le accuse che si muovono contro di noi. È facile nei comizi richiedere intere province abitate da parecchie migliaia di individui di altra nazionalità, ma non è altrettanto agevole sostenere di fronte agli avversari la giustizia delle nostre aspirazioni, quando costoro dalle parole di nostri stessi connazionali traggono argomento per dimostrare che l'Italia, dimenticando il suo passato, vuole sostituirsi all'Austria nell'oppressione politica delle genti slave».
Più che assumere l'iniziativa, la 3a Armata quindi subiva e si preoccupava solo di controbattere le false notizie, o di intervenire a tamponare le falle dove era necessano.
Un tentativo invece di articolare e razionalizzare l'azione di propaganda fu compiuto dalla Sezione P del Governatorato della Dalmazia che, con una circolare del febbraio 1919, puntuahzzava i criteri informatori dell'attività da svolgere.
Il compito di guadagnare la Dalmazia all'Italia veniva affidato al soldato, definito retoricamente «agente di italianità»:
«Il soldato che facilmente e spontanean1.ente, per ragioni evidenti, si avvicina alla popolazione, che entra nelle case ospitali, che beve allegramente alla tavola del serbo, del croato, dello slavo, che fraternizza con la cordialità nostra anche con chi non sa farsi capire completamente; il soldato che più si avvicina per la sua anima popolare a questo popolo, deve diventare, o per meglio dire continuare ad essere, migliorato, un nostro elemento primo di pro p a ganda.
È lui che deve parlare, insospettato, con entusiasmo del/ 'Italia, dire con nostalgico ricordo le sue bellezze e, fiero, cantarne le gesta eroiche del suo popolo.
E perché Lui, siamo sinceri, possa parlare con vero sentito entusiasmo, perché non abbia a nascere nel suo animo sano la minima ombra di malcontento verso La Patria, è necessario organizzare subito il servizio up " secondo le disposizioni che il Comando

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Supremo ha emanato con la circolare 11797 OP. di Prot. in data 30 giugno 1918 a firma del Sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito.
È necessario circondare il soldato di tante piccole cure che gli addimostrino la gratitudine della Nazione - non !asciarlo solo con la preoccupazione della famiglia nella miseria - assisterlo moralmente- distrarlo con svaghi e divertimenti - e soprattutto rendergli facilmente visibile il nostro doveroso interessamento pel suo avvenire; per restituirlo, migliore, alla famiglia, alla vita civile».
Il soldato, quindi, quale oggetto e soggetto, come recettore e allo stesso tempo produttore di propaganda. La circolare specificava anche come ottenere gli scopi indicati nella premessa, quali mezzi utilizzare e quali attività intraprendere nei confronti sia dei militari (opuscoli, giornali, scuole per analfabeti, sussidi, doni, spettacoli, letture, attività per la «resistenza morale», ossia morale e contegno delle truppe, contatti con la popolazione civile, eliminazione delle cause di malcontenti, controllo di agitatori e disfattisti, censura) sia della popolazione civile, (assistenza scolastica, istituzione di biblioteche popolari, collaborazione con i giornali locali, assistenza sanitaria, diffusione di materiale propagandistico, spacci di distribuzioni viveri gratuite c refettori, circoli di cultura, iniziative di beneficenza, attività ricreative, ecc.).
Come sempre, particolare attenzione doveva essere posta nella scelta degli ufficiali da adibire al servizio e di quanti

18 potevano fornire opera di consulenza.
Anche il Governatorato della Dalmazia annotava, e subiva, l'irriducibile azione anti-italiana svolta dai propagandisti jugoslavi, sostenuti da francesi, inglesi e statunitensi. Il governatore Millo, l'eroe dci Dardanelli, ebbe a denunciare tra l'altro angherie serbe a Ragusa verso connazionali, ignorate dalle autorità francesi, e una notevole attività croata a favore del bolscevismo.
La Sezione P della Dalmazia svolse, inoltre, l'opera di sostegno, nel territorio di competenza, dell'azione di contropropaganda e di rivendicazione del Governo italiano in corso a Parigi: promosse infatti la raccolta di una nutrita serie di lettere dirette al senatore Orlando, in cui città, associazioni e comitati dalmati manifestavano la loro italianità con «vibranti» motivazioni ed espressioni.
In definitiva, anche in Dalmazia, nonostante l'ostile attività avversaria, lo spirito delle truppe era buono, il morale elevato, i contatti con la popolazione sereni e costruttivi.
Complessa la situazione a Fiume, dove il generale Francesco Saverio Grazioli, Comandante del Corpo di Occupazione Tnteralleato, dovette chiarire e riordinare nel febbraio 1919 i compiti dell'Ufficio Politico Militare, nelle cui mansioni rientravano le questioni di carattere politico, il servizio informazioni, il servizio di polizia politica, il controllo delle persone in transito (passaporti), la stampa, il servizio censura.
L'Ufficio comprendeva, fra l'altro, una Sezione Stampa e Traduzione (rapporti con la stampa, stampa e propaganda, censura e recensione stampa, produzione documenti), una Sezione Fiume (affidata al capitano Host-Venturi con il compito di indagare sullo spirito pubblico di Fiume e di condurre indagini riservate di carattere politico), una Sezione Sussak ( per le informazioni sullo spirito pubblico nel territorio croato occupato c nei comuni limitrofi, collegamenti con le autorità civili, servizio posti controllo) e una Sezione Propaganda (servizio propaganda e vigilanza, assistenza, doni e propaganda per la popolazione civile).
Compito principale della propaganda a Fiume fu quello, consueto, di controbattere l'iniziativa avversaria c l'atteggiamento ostico degli alleati.
La massa dei fiumani, infatti, era filoitaliana e quasi osannava per la presenza dei nostri. militari. Almeno finché l'occupazione non degenerò.
Per Fiume è necessario, però, fare un passo indietro, per cercare di capire i prodromi e le cause dei fatti di settembre, il clima che si era instaurato. l'efficacia dell 'azione di propaganda e contropropaganda spiegata da più parti nella città.
Ancor prima della fine della guerra, il 30 ottobre 1918, a Fiume si era costituito un Consiglio Nazionale, presieduto da Antonio Grossich, che aveva proclamato l'annessione all'Italia. L'avvenimento contribuiva ad esasperare il problema della spartizione delle terre di confine. Con il patto di Londra del 1915 era statç> deciso, infatti, soprattutto per volontà della Russia, che Fiume fosse assegnata alla Croazia. Poi l'uscita eli scena delJa Russia al termine del conflitto, la forte presenza italiana nella città, l'atteggiamento del presidente statunitense Wilson (che, oltre a sostenere il principio dell'autodeterminazione dei popoli c delle minoranze, proponeva di dichiarare Fiume città libera), le pretese della nascente Jugoslavia di annettersi Trieste, l'Istria e l'intera Dalmazia, il contegno ostile verso l'Italia di Francia e Inghilterra, resero le trattative diplomatiche alla conferenza di Parigi oltremodo drammatiche.
La questione eli Fiume esacerbò molti animi in h alia; specialmente quelli di coloro che, spinti a credere nella redenzione di terre intrise di italianità, furono persuasi sin nell'intimo dalla battaglia propagandistica fatta in tale direzione nel corso della guerra, e oltremodo esaltati a fine guerra, quando Fiume fu assurta, con delirio, a simbolo di ogni rivendicazione.
C'era, in effetti, un fondo di realismo politico, storico e sociale nelle richieste per Fiume: più della metà dei fiumani era di lingua italiana c costituiva la parte più colta e attiva della popolazione.
Nel novembre del l918 un Corpo di Occupazione interalleato, al comando del tenente generale Grazioli (succeduto al brigadiere generale Enrico Asinari eli San Marzano al fine di evitare che il comando cadesse, per motivi gerarchici e di anzianità, nella mani del generale di divisione Traniè,

francese), fu dislocato a Fiume per il mantenimento dell'ordine pubblico. Il Graziali, convinto assertore dell'italianità delle terre redente, fece ogni tentativo, fino alla sua frettolosa destituzione (l settembre 1919), per guadagnare Fiume alla causa italiana. Fu un comandante scomodo e si espose personalmente, appoggiando apertamente la costituzione della L egione Volontari Fiumani di Host Venturi, compromettendosi con gli alleati, stigmatizzando l'inerzia dei politici. Si batté contro l'ostilità dei militari francesi, il cui smaccato atteggiamento filo-jugoslavo fu la maggior causa degli incidenti che scoppiarono a Fiume dall'aprile all'agosto dell919, fino all'avventura dannunziana.
Non è qui il caso di analizzare a fondo le cause politiche c militari di tali avvenimenti, se non per la parte in stretta relazione con la propaganda fatta intorno ad essi, e all'influenza che essa ebbe nei confronti dei militari dell'Esercito, persuadendonc molti a partecipare alla spedizione del 12 settembre. Utile a comprendere il fenomeno è la Relazione sui fatti di Fiume, redatta il 26 giugno 1920 dal generale Pecori Giraldi, incaricato dell'inchiesta.
L'Esercito, ed in particolar modo i reparti dislocati nella città, era venuto a trovarsi al centro di una favorevole e tenace opera di propaganda, svolta con ogni mezzo e sostenuta da ogni parte.
Il soldato che veniva dalla trincea aveva conosciuto c vissuto, per quanto

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rozzo c analfabeta- ma non per questo non intelligente -, i momenti di esaltazione della vittoria, i sentimenti di italianità delle nuove popolazioni della zona di armistizio, il fascino e l'efficacia della propaganda svolta dall'elemento femminile - arrendevole verso quanti ne sposavano il patriottismo e l'ardente desiderio di diventare italiane; un'arrendevolezza giustificata anche dal fine di sottrarsi all'incubo della dominazione croata , l'incitamento continuo degli stessi superiori, che favorivano i vincoli di intima fratellanza con i fiumani e ne esaltavano con ogni mezzo lo spirito, nel timore c come antidoto a possibili «infezioni bolsceviche».
Toccato nell'intimo, il soldato italiano era allo stesso tempo sdegnato per la ferocia della propaganda slava e risentito per l'arroganza, la protervia e la violenza dei cosiddetti che pure aveva trattato con lealtà; di conseguenza egli si intristì, per l'inerzia e per l'abbandono dei politici, per le affrettate sostituzioni, e per gli allontanamenti dei reparti dalla zona di Fiume, che sapevano di una precipitosa e mortificante ritirata.
Questi sentimenti contraddittori crearono negli uomini uno stato di agitazione e di instabilità ed una inconscia predisposizione ad azioni che avessero mirato, anche con la violenza, a risolvere il problema.
Il rientro di Orlando in Italia da Parigi il 24 aprile per protesta - Orlando fu forse uno dei pochi politici a sostenere la causa fiumana - e il suo successivo
ritorno alla conferenza in condizioni di sudditanza nei confronti degli alleati; i continui incidenti protrattisi da maggio ad agosto, fra le truppe francesi da una parte e la popolazione fiumana e gli italiani dall'altra; la commissione d'inchiesta dei generali interalleati per i fatti di luglio, e la ripercussione che l'esito mortificante dell'inchiesta stessa ebbe sulle truppe; la decisione a Parigi di sciogliere la legione volontari fiumani e di sostituire il contingente italiano, aggravata dal contegno rinunciatario e accondiscendente del Governo; le direttive di Diaz di preparare gli animi dei comandanti e delle truppe alla dolorosa eventualità di abbandonare Fiume; le proposte di sostituzione e gli avvicendamenti, non completati, dei reparti particolarmente legati alla città; lo stesso allontanamento del Graziali, furono tutte concause che portarono 5000 militari circa ad aderire all'avventura dannunziana.
L'entusiasmo iniziale di tutti si smorzò quindi ben presto. Già alla fine di settembre, un capitano del servizio informazioni, infiltratosi a Fiume, incominciò a inviare brevi relazioni sul cambiamento degli umori in città. Molti militari fecero quasi subito ritorno ai Corpi; altri, appartenenti a classi congedate, diedero il via ad un esodo volontario. Ad esempio, il29 settembre, veniva segnalato che 25 solda!i del128° reggimento fanteria avevano abbandonato Fiume per rientrare nelle proprie lince; alcuni bersaglieri del4° reggimento furono minacciati dagli arditi per il loro manifesto malcontento sulla situazione a Fiume e per il tacito desiderio di rientrare al Corpo. Furono indicate, come causa dei defezionamcnti, la carenza di vestiario, i faticosi servizi di guardia c di ronda, la continua tensione, il mancato pagamento degli assegni, le ingiustizie subite da alcuni ufficiali (a loro volta scontenti del provvedimento di D'Annunzio che dispose la riduzione a semplici volontari di molti subalterni); e infine, il brusco decadere di ogni disciplina, deplorato dagli stessi soldati.
Di fronte alla situazione politica delineatasi in Italia (dove l'azione di D'Annunzio era vista come un'ulteriore minaccia per la stabilità interna e una fonte di guai in politica estera), molti fiumani incominciarono a mostrare propensione per il «programma minimo» prospettato per risolvere la questione di Fiume: Stato libero con porto e ferrovia sotto protezione dell'Italia.
Costituivano. inoltre, ulteriori motivi di serie preoccupazioni le difficoltà logistiche per il sovraffollamento della città, la chiusura del porto e della ferrovia e, man mano in un crescente continuo, la mancanza di viveri, l'imposizione delle tasse, le difficoltà economiche, il disordine amministrativo, fino alle violenze- che l'informatore incominciò a segnalare a partire da ottobre - alle prepotenze, ai borseggi, ai furti, perpetrati dagli stessi volontari e rimasti impuniti. l niziavano, inoltre, a scontrarsi diverse idealità e opzioni politiche dell'affare fra gli stessi capi:

D'Annunzio- pur irrigiditosi di fronte al programma minimo - temeva la propaganda degli estremisti e dei repubblicani, ed un'eventuale rivolta contro la monarchia. Egli entrò in contrasto con il maggiore Reina, su posizioni più moderate e lealiste, a tal punto che questi fu successivamente accusato e processato per tradimento e per la distrazione di presunti fondi avuti sottobanco dal Governo. Fatto che fece infuriare i granatieri di Reina. L'Ufficio Colpi di Mano , creato dal Poeta con l'intento di procacciare con metodi sbrigativi quanto occorresse alla bisogna, diventò una sorta di associazione a delinquere (già in uno dei primi «colpi» fu ucciso un carabiniere che tentava di difendere il carico al quale era di scorta), sì da attirarsi le critiche di molti ufficiali. 11 comandante Rizzo, che aveva tramato per ottenere l'adesione quasi totalitaria degli ambienti della Marina, con l'aiuto della quale aveva sperato e vagheggiato guerre, rivincite e vittorie, il 26 dicembre lasciava Fiume. La «Vedetta d'Italia», il giornale dei volontari che tanta parte aveva avuto nella vicenda come strumento pubblicistico e propagandistico, il20 dicembre fu costretta a sospendere la pubblicazione e a chiudere i battenti perché, con un radicale cambiamento di rotta, aveva incominciato a criticare le rigide posizioni di D'Annunzio; il giornalista Pedrazzi, già capo ufficio stampa, il 24 abbandonava a sua volta la città. Nello stesso giorno se ne allontanava anche il maggiore Giurati, altro protagonista

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A controbattere la feroce propaganda degli elementi serbi, sloveni e croati e a sostenere l'italianità della città furono ancora una volta le donne; tra le altre, la signorina Porro, dell'Ufficio Propaganda di Fiume, svolse un'esaltante opera contro la proposta politica del «modus vivendi». Sintomatiche del tempo, a proposito della partecipazione delle donne, le deduzioni riportate nella relazione d'inchiesta: «Le donne, per motivi passionali, a qualunque ceto appartengono, simpatizzano ancora con gli elementi militari, e non vorrebbero che questi andassero via: esse, non abituate a Lavorare né a produrre e quindi non sempre conscie delle impellenti e crude realtà della vita, guardano le cose e le giudicano attraverso il prisma del sentimento».
Nel1920 la situazione a Fiume finì con l'incancrenire. L'irriducibilità del Comandante e la degenerazione dell'occupazione, l'equivoco atteggiamento del Nitti che trattava sottobanco con i fiumani ma pubblicamente sconfessava la reggenza del Quarnaro, il trattato di Rapallo del 12 novembre tra Italia e Jugoslavia (con cui si riconosceva Fiume stato libero e indipendente), l'or di ne di evacuazione della città dato dal Governo per bocca del generale Caviglia, il «Natale di Sangue», il successivo Governo di Zanella, il suo rovesciamento, l'epurazione autonomista, l'intervento dell'Esercito, furono soltanto conseguenze di una storia, iniziata male e finita peggio, protrattasi per cinque
anni dolorosi, fino al Patto di Roma del 27 gennaio 1924 tra Italia e Jugoslavia, che chiuse l'annosa e spinosa questione con l'assegnazione di Fiume e dei suoi territori (tranne il porto di Sussak) ali 'T t alia.
Con questa sanzione, agli occhi di molta gente il fascismo acquisiva uno dei suoi primi meriti; sul piano dell'immagine l'Esercito subiva una sconfitta. Questo perché i capi militari non avevano saputo- e neanche potuto - gestire l'affare fiumano, nell'alternanza di decisioni subite dal potere politico e non contrastate, nel ruolo di oppressori che finirono con l'assumere di fronte all'opinione pubblica, a causa dell'intervento ordinato a Caviglia dal Governo e del lungo periodo di mal vista occupazione.
Viene da chiedersi che cosa mancò, a parte le indecisioni, alla propaganda. Probabilmente una seria, sentita e adeguata motivazione che sempre, in tutte le guerre, funge da forza aggregante c trainante in tale campo; e la cosiddetta «aderenza», sempre ricercata dai pubblicisti. Sbolliti, infatti, gli entusiasmi iniziali, complice il tempo -grande spegnitore di entusiasmi e logoratorc di energie -, scemato l'ardore dell'«armiamoci e partiamo», parola d'ordine ampliata dall'onda di una esaltazione collettiva superficiale, poco restò nell'intimo dei soldati e degli italiani. In fondo, Fiume era un simbolo costruito e strumentalizzato con la vacuità di ideologie c di parole che nulla avevano di concreto nell'animo di un bracciante calabrese o di un operaio lombardo, volto e teso verso più seri e reali problemi di sopravvivenza.
Il generale Pecori Giraldi, nelle conclusioni della sua relazione, ben riassunse- nell'ottica del tempo quanta parte ebbe la propaganda sulle truppe nella storia di Fiume, e le responsabilità di ciascuno:
«Mi preme qui tuttavia di insistere su di un aspetto di questo nuovo fenomeno collettivo: quello della influenza esercitata sulla massa militare dalla propaganda di guerra, la quale può considerarsi la causa iniziale, sebbene indiretta, degli avvenimenti. Occorre, dunque, ricordare che dopo le infauste giornate della fine di ottobre del/917allorché, secondo un'Augusta parola, per la salvezza della Patria era condizione essenziale che cittadini e soldati fossero un Esercito solo -fu fatto appello, e non invano, alle forze morali del soldato con una propaganda diuturna, intesa a tenerne alto lo spirito combattivo e la sensibilità patriottica: propaganda svoltasi ad opera di ufficiali, in massima parte di complemento ed anche di personaggi politici, particolarmente adatti per cultura ed eloquio; apostoli dell'idea e artefici della parola, più inclini a concezioni appassionate, dove vibrava la nota patriottica e politica, che ad un pensiero sobrio e severo del dovere strettamente militare e della ossequenza gerarchica.
Questa propaganda- ingiusto sarebbe non riconoscerlo - ebbe benefici effetti sullo spirito del soldato e del giovane ufficiale, e fu un efficace strumento di educazione patriottica e guerresca; ma,

come è proprio di ogni cosa umana, ebbe anche qualche conseguenza meno desiderabile: quale quella di sottrarre in parte la truppa all'azione morale diretta dai propri capi, di stabilire in fatto una nuova forma di disciplina, più paterna che rigida, e di avvezzare alla discussione ed alla critica politica. Alla nawrale agilità 1nentale della nostra gente si aprirono così nuovi campi: e germogliarono negli animi nuove tendenze, che non potevano non fruttificare, se poste in favorevoli condizioni. Non è quindi, da far troppa meraviglia se, dopo averne pasciuta l'anima con l'alta idea di una Patria forte e sicura nei suoi confini contro lo straniero, i giovani ufficiali siano stati accessibili alle seduzioni di una nuova propaganda ispirata agli stessi ideali.
Nei soldati, poi, i moventi ideali agirono - come è naturale- in più moderata misura. Alcuni - i Granatieri ad esempio - ignorarono fino all'ultimo lo scopo e più ancora il carattere sedizioso della spedizione; altri obbedirono semplicemente ai loro ufficiali; altri, vennero trascinati dall'esempio, dalla generale esaltazione e da un indefinito desiderio di novità: tutti credettero di compiere, senza gran pericolo, opera meritoria ed utile agli interessi della Patria, favorita segretamente (come ne era stata fatta correre la voce) dai capi di grado elevato e vista volentieri dallo stesso Governo. Ouesto per quanto riguarda le defezioni dei primi giorni.
Particolarmente a Fiume e sulla linea d'armistizio, ufficiali e truppa avevano

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vissuto in uno stato d'animo passionale: al quale faceva contrapposto quello, che non esito a definire semplicistico, imperante al Comando dell'Ba Armata; o ve il fervore patriottico fiumano era considerato con scetticismo e la partecipazione della truppa a un simile sentimento reputata una ((montatura" effimera e senza importanza.
Lo stato di esaltazione delle truppe, favorite dalla dispersione in numerosi distaccamenti, ovunque fraternizzanti con le popolazioni redente, e la vita di svaghi e di divertimenti in cui si trovarono immersi gli ufficiali, avevano poi prodotto un certo rallentamento nei vincoli disciplinari, che dai numerosi rapporti in atti traspare per più segni; quali le abbondanti licenze, la scarsa vigilanza diretta, le ripetute assenze con permessi di dubbia legalità, l'arbitrario soggiorno di ufficiali fungi dagli accantonamenti della truppa, l'abbandono di certe prescrizioni del servizio in guerra, il cattivo funzionamento dei telefoni, il deterioramento dei materiali ecc. Con i cambiamenti di personale e con le economie imposte dalla riduzione delle unità e dalla smobilitazione, vennero, per di più, a mancare, o furono ridotti poveri di mezzi o di personale idoneo, tutti quegli organi di comando e di informazione particolarmente incaricati di seguire e sostenere lo spirito delle truppe: anzi, taluno di essi, trascinato dal generale entusiasmo, continuò, in segreto, e per scopi non più autorizzati, a valersi dell'ascendente acquistato in precedenza.
Per i gradi elevati, come per i più modesti, f ra gli ufficiali come nella truppa, il cambiamento di rotta politica fu poi troppo brusco per poter essere attuato senza scosse: e f u, a mio giudizio, un errore il credere di poter mutar automaticamente, pel solo vincolo della disciplina, una mentalità e una psicologia collettiva, venuta formandosi per gradi; ammettendo come una cosa naturale che la massa, incoraggiata per nove mesi ad inneggiare a Fiume italiana, potesse, d'un tratto senza resistenze, voltare le spalle alla città, nel supposto momento del pericolo, e indursi a considerare una colpa ciò che fino a pochi giorni innanzi era reputato più che un merito un dovere ... ».
Peccato che la lungimiranza di alcune deduzioni sia stata attagliata solo al senno di poi.
Un risvolto positivo per i militari «adescati» alla causa fiumana comunque vi fu. Nelle stesse conclusioni, Pecori Giraldi mise in evÌdenza come non bisognasse attuare lo stesso metro repressivo verso quanti avevano aderito all'impresa.
Egli propose di operare una distinzione, nei necessari provvedimenti disciplinari da adottare, pur riconoscendo che era solo una presunzione classificare con precisione le responsabilità di ciascuno. Tenendo inoltre conto che un velo pietoso era già sceso su quanti, nel corso della guerra, si erano macchiati di gravi colpe- un decreto di Nitti aveva, per esempio, amnistiato i disertori - e ispirandosi, di conseguenza e per coerenza, a criteri di larga indulgenza. Suggeriva, così, di discernere nel giudizio quanti avevano aderito inizialmente in settembre e quanti erano invece partiti fino al dicembre; di valutare separatamente la semplice diserzione e l'abbandono di posto dalla diserzione aggravata da insubordinazione, rivolta, aggressione, furto, ecc.; di distinguere le colpevolezze degli ufficiali inferiori e di quelle degli ufficiali superiori, per essere più benevoli nei primi casi e più severi nei secondi.
Una magnanimità raramente espressa nella storia dell'Esercito.

Negli stessi anni di Fiume, l'Esercito faceva fronte a molteplici impegni internazionali. Truppe numerose erano dislocate in Albania, in Egeo, in Siria e in Palestina; corpi di spedizione e di occupazione furono inviati in Murmania, in Carinzia, i n Alta Slesia, in Anatolia; aliquote di truppe furono impiegate nella organizzazione dell'esercito cecoslovacco; altre ancora furono allertate per una progettata spedizione in Transcaucasia, in seguito non più effettuata. In totale in tali nazioni e regioni fu necessaria la presenza di 120.000 uomini circa.
Indubbiamente, anche tali eventi richiesero opera di assistenza, di propaganda e contropropaganda; fatta sul posto, con mezzi scarni e metodi artigianali.
Le documentazioni d'archivio sono carenti su quanto fu fatto in occasione di
questi avvenimenti; i documenti rinvenuti consentono appena di farsi un'idea di quello che fu tentato o attuato.
In Albania aveva operato, dalla fine del 1917, il Sottosegretariato di Stato per la Propaganda all'Estero, tramite l'Ufficio Albania e Paesi Balcanici, sotto la direzione del colonnello Fortunato Castaldi, già Capo dell'Ufficio Politico Militare presso il Comando del Corpo di Occupazione. L'Ufficio sopravvisse, con nome diverso, anche alla soppressione del Sottosegretariato, ed esercitò l'opera di propaganda fino all'ottobre dc11920. Nei quasi tre anni di attività, con il concorso del Comando Truppe Albania, esso pubblicò il giornale i taio-albanese Kuvendi, assegnò borse di studio, tenne contatti con i notabili locali. Un'attività, comunque, sporadica, superficiale, di scarsa efficacia. A guerra finita, lo stesso Castoldi mantenne, a Parigi, l'Ufficio per la Trattazione degli Affari Albanesi. Con quali metodi e risultati, lo possiamo rilevare da un fatto a dir poco sconcertante: trovandosi, infatti, in difficoltà economiche la Delegazione albanese a Parigi, il Castaldi pose i suoi buoni uffici presso la Delegazione italiana per la concessione di un prestito di trecentocinquantamila lire. In pratica, egli finì con il sovvenzionare quegli albanesi che facevano propaganda contro gli interessi italiani. Con la costituzione del Governo provvisorio albanese (ottobre 1918), fu istituito l'Alto Commissariato Italiano in Durazzo, che avrebbe dovuto tutelare gli interessi italiani e sviluppare l'opera

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di propaganda. Alla carica fu chiamato ancora il Castoldi, che entrò in contrasto con il Comando Militare Italiano di Valona. I fortissimi attriti e le reciproche denigrazioni non fecero altro che danneggiare il nostro prestigio in quelle regioni, in un momento già fortemente critico per l'atteggiamento ostile, sostenuto dall'azione di bande armate di varia estrazione, che da più parti s'era levato contro l'Italia. Le autorità militari e politiche commisero in Albania parecchi errori che spinsero contro l'Italia l'animo degli albanesi, già irrctiti dalla propaganda avversaria, mirante a sminuire e svalutare l'opera degli italiani. Che furono così accusati di aver accettato il concetto di spartizione dell'Albania, nonostante il Proclama di Argirocastro, in cui l'Italia s'era impegnata a garantire l'indipendenza di quel Paese.
Nell'agosto del1920 le truppe italiane furono così costrette a sgomberare dall'Albania, ad eccezione della base di Saseno. Un capitolo di storia che sarà riaperto 19 anni dopo.
Nel Mediterraneo Orientale, intanto, greci c turchi si fronteggiavano, appoggiati gli uni dagli inglesi, gli altri da italiani e francesi. La propaganda dei greci e degli inglesi contro gli italiani era particolarmente attiva. Attraverso emissari, gli inglesi non perdevano occasioni per denigrare turchi e italiani.
Nel giugno 1919 ufficiali inglesi percorsero l'Anatolia svolgendo propaganda filo-ellenica e anti-italiana. Nel mese di luglio il capo del Governo greco, Venizelos, accusò gli italiani di
fornire armi a bande turche.
Dall'ottobre al dicembre 1919 un cappellano inglese, Hcmbling, con la scusa di constatare le condizioni di vita di profughi greci, cinematografò scene di incendi e rovine, spacciandole poi in Europa e negli Stati Uniti come atrocità turche, implicitamente spalleggiate dagli italiani.
Contro il Corpo di Spedizione si accanì anche la stampa nazionale. L'«Avanti» del23 agosto 1919 aveva pubblicato infatti una corrispondenza anonima, in cui militari del reparto di Konia si lamentavano del trattamento economico, degli alloggiamenti, delle condizioni sanitarie. L'articolo provocò l'intervento personale del generale Diaz e un 'ispezione del colonnello Vitale, addetto militare a Costantinopoli, la cui relazione mise in evidenza come le maggiori difficoltà incontrate dalle truppe, e limitate alle condizi.oni degli alloggiamenti, derivassero non dal disinteresse dell'aùtorità militare, ma dalla scarsa collaborazione degli «alleati» inglesi. Nell'affare intervenne anche Nitti, il quale genericamente raccomandò di curare in ogni modo il benessere materiale c le condizioni morali dei nostri soldati in Asia Minore.
L'esigenza di una maggiore opera di assistenza e propaganda era comunque sentita dal Comando del Corpo di Spedizione, che fin da giugno aveva richiesto al Comando Supremo, tra i provvedimenti di propaganda, l'istituzione di un giornale settimanale bilingue (italo-turco) quantificando anche le spese (700 lire al mese), e l'impianto di sale di proiezioni a Sokia, Milas, Mengla, certamente gradite ai militari e ai civili. Tali strumenti dovevano servire a propagandare le bellezze naturali d'Italia e la nostra guerra, e la richiesta indicava come non sarebbe stato difficile trovare il materiale necessario, per avviare l'attività, tra quello recupcrato con la smobilitazione. Ma il Comando Supremo nicchiò, rimandando il problema all'Ufficio ITO - che doveva essere ancora istituito presso il Comando del Corpo di Spedizione - e pregando l'Ufficio Stampa e Propaganda di inviare in Anatolia giornali e opuscoli da cui poter trarre materiale di propaganda.
Una successiva proposta, del1920, di aprire una «piccola scuola» a Konia e in altri centri, per assistere, educare e guadagnare alla causa italiana gli indigeni, dopo essere stata palleggiata con pareri favorevoli (!) fra i Ministeri della Guerra, degli Esteri e fra l'Associazione Nazionale dei Missionari, si concluse con un nulla di fatto.
Non migliore era la situaLione in Alta Slesia dove, per i forti rancori fra tedeschi e polacchi, gli scontri erano all'ordine del giorno con ripercussioni sugli italiani che, in mezzo, subivano. Qui fu segnalata l'azione sovversiva svolta da agenti comunisti, già dal maggio 1920, senza però che fossero presi provvedimenti adeguati. Nel1921 fra le truppe italiane e francesi di Ratibor si acuirono dissidi latenti, che fecero scoppiare incidenti a Gloiwitz fra soldati del32° reggimento di fanteria e
