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Gli strumenti della propaganda
Germania, che aveva da poco occupata la Boemia e la Mora via e si accingeva ad invadere la Polonia, aveva dato il suo assenso a qualsiasi tipo di intervento italiano; la Francia aveva «lasciato correre»; l'[nghilterra, tramite il suo premier Chamberlain, se ne era lavate le mani; l'Ungheria, in sintonia con la Germania, aveva strafatto dichiarandosi disponibile a tener buona la Jugoslavia; la Jugoslavia, non più filofascista dopo la caduta di Stojadinovic, si era accontentata di generiche assicurazioni sul fatto che l'Albania restasse formalmente uno stato indipendente; ·]a Russia era piuttosto occupata a tagliare torte con la Germania, in previsione di futuri assetti tenitoriali; la Grecia se ne stette buona, nella preoccupazione di essere coinvolta in risse internazionali.
Tale accondiscendenza degli Stati confinanti e l'accoglienza favorevole degli albanesi, indusse addirittura il Gabinetto della Guerra a ridurre gli scaglioni del Corpo di occupazione ed a smobilitare alcune Grandi Unità già approntate per l'esigenza.
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Va detto, in merito e fra parentesi, che negli anni trenta convissero sempre aspetti fortemente contraddittori nel comportamento di Capi e Govemi. Nel campo propagandistico e quindi di f01mazione delle opinioni, gli Stati furono sempre e nettamente schierati su posizioni opposte: nazionalisti c fascisti da una parte, socialisti e democratici dall'altra. Questo era quanto appariva alla luce del sole; ma, nel segreto del le posizioni erano molto più fluide e gli uni si alleavano con gli altri, venivano sanciti continui compromessi, stipulati patti ed alleanze. Ogni valore e ogni idealità era ricusata in nome di «supremi interessi», come ogni patteggi amento era suscettibile di ulteriore revisione (il 7 febbraio 1939, nonostante l'acerrima propaganda anticomunista italiana, ricambiata con altrettanta veemenza dall'Unione Sovietica, veniva siglato in sordina un accordo commerciale, tra Roma e Mosca; ancora, nei primi mesi del 1940, tra Italia e Inghilterra erano in vigore accordi per lo scambio di informazioni di interesse militare).
La maggioranza della popolazione albanese accettò di buon grado la repentina annessione all'Italia, mantenendosi al più in una posizione di attesa, per i vantaggi che poteva ricevere dal nuovo regime. Non mancarono, è vero. venti contrari, soprattutto fra gli intellettuali, alin1entati dalla propaganda promossa negli Stati ostili all'Italia, e incentrata sul fanatismo religioso e sull'attaccamento al vecchio regin1e; molti albanesi, inoltre, nutrivano sentimenti irredentistici per una grande Albania, da realizzare con i fratelli soggiogati da Jugoslavia e Grecia.
La miseria del paese giocava però a favore dell'annessione; le prin1e assistenze messe io atto (distribuzione di viveri e di medicinali, servizi di ambulatori), unite a provvedimenti politici e amministrativi (integrazione dei militari albanesi con quelli italiani, inquadramento dei giovani nelle organizzazioni fasciste, lotta alla malaria), resero facile l'acquiescenza delle masse.
Né fu necessaria una grossa opera
propagandistica sulle truppe italiane, nonostante il grosso numero di richiamati «per esigenze di carattere eccezionale»: una posizione, questa, che vedeva i richiamati giUiidicamente esclusi da alcuni benefici concessi ai mobilitati (ad esempio, i professionisti privati richiamati, continuavano a pagare le tasse di esercizio) e contemporaneamente gravati da alcuni oneri propri delle truppe mobilitate (per le licenze, essi erano esclusi dalla concessione delle licenze ordinmie, per cui, potendo usufruire solo di licenze straordinmie per motivi privati; venivano a perdere emolumenti).
La conquista dell'Albania è l'atto che chiude la storia dell'Italia fra le due guene. Anche dal punto di vista della propaganda: si chiude un ciclo e, a breve imminenza, se ne aprirà un altro.
Uguali resteranno gli strumenti, ma diversi saranno i motivi ispira tori della propaganda.
Nel ventennio gli obiettivi da raggiungere furono la ricerca, la conquista e l'affermazione di un primato: ed è fuor di dubbio che essi furono raggiunti. La propaganda, seppure mal congegnata e diretta, vi ebbe larga parte, e l'Esercito vi trovò una propria collocazione. Ma, volutarnente, evitiamo di tirare conclusioni definitive, in attesa che altri contributi facciano maggior luce su tale tema. Per conto nostro, siamo fermamente convinti che la storia della propaganda - lo ' abbiamo già affermato altrove e lo ribadiamo - sia tutta, se non da risc1ivere. almeno da approfondire. Ci riferiamo ancora una volta al «consenso», che non può essere altrimenti letto - in questa sede -che come il prodotto finito ottenuto dali' azione propagandistica.
Ci piace chiudere, in proposito. con una notizia attinta dalla stampa mentre licenziamo queste pagine; notizia che rimette in discussione i saccenti giudizi di alcuni storici sulla propaganda raffazzonata, folkloristica e paesana che il fascismo avrebbe spiegato.
Nell'annunciare la pubblicazione dei diari di Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Reich, uno che in fatto di propaganda - a detta degli specialisti -se ne intendeva, sono state anticipate alcune annotazioni, fatte dal personaggio, durante la visita compiuta in Italia con Hitler nel 1938. Esse così recitano:
«4 maggio: ... Con il Fuhrer e il re sul balcone. Il popolo smania dall'entusiasmo ... ; 5 maggio: ... Mussolini ha fatto qualcosa di questa nazione ... ; 6 maggio: ... A Napoli accoglienza fantastica ... L'esultanza del popolo è indescrivibile ... ; 7 maggio: ... la parata è meravigliosa. Una dimostraz ione di volontà. e forza ... ; 9 maggio: .. . C entusiasmo popolare durante il viaggio di ritorno è indescrivibile ... ; 10 maggio: ... Di lato il popolo acclama. Mussolini ce l'ha tutto in mano ... ». (Rivista Panorama, n. 1306 del 28 aprile 1981 ).

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