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ALEX RIGHETTI
UN RIMINESE MEDAGLIA D’ARGENTO OLIMPICA
Avete mai sentito storie che vi arrivano con maggior vigore, non sapete perché, ma c’è qualcosa che le avvicina a quello che siete e magari anche a quello che vorreste essere?
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Questo tipo di sensazione l’ho provata intervistando Alex Righetti, una di quelle persone che rappresenta al meglio il concetto, a volte eccessivamente bistrattato, del credere di poter realizzare i propri obiettivi.
Questo è il racconto di un sogno nato e germogliato a Rimini.
Alex come nasce il tuo rapporto con la pallacanestro?
“Nasce con un pizzico di casualità, vedendo mio cugino che aveva iniziato ad allenarsi a basket, ha stimolato il mio interesse, spingendomi a lasciare la squadra della parrocchia in cui giocavo a calcio.”
Hai iniziato subito nel Basket Rimini?

“Si nelle giovanili dell’allora Marr. C’erano due squadre, fatte sulla base del livello di gioco, io ero nelle la di quelli meno dotati e ci allenava Paolo Carasso, mentre degli altri si occupava il prof. Rinaldi.
Da li è partita la mia scalata, passata attraverso tutti i livelli del settore giovanile, dai cadetti no agli allenamenti con la prima squadra.”
Che emozione hai provato allenandoti le prime volte con i grandi?
“Avevo 16 anni ed era qualcosa di elettrizzante per me, il premio per tutti i pomeriggi estivi passati a tirare al “Flaminio” al buio.
Il palazzetto era come una seconda casa, ne conoscevo ogni angolo.
Questa mia conoscenza del luogo era di grande aiuto quando il custode mi abbassava i canestri per farmi andare a casa, perché spesso li alzavo da solo e continuavo ad allenarmi.”
C’era un giocatore della prima squadra in particolare a cui ti sei ispirato?
“Non uno in particolare ma diversi, ricordo Ruggeri, Semprini, Ferroni, Angeli, Terenzi e Altini per citarne alcuni. Da loro cercavo di capire e apprendere come ci si comporta e si sta in campo da atleti più che le singole giocate tecniche.”
Dei tuoi anni da giocatore in maglia biancorossa quali sono i ricordi più belli?
“La stagione 96/97, culminata con la promozione in A1, con la vittorie in campi durissimi come Caserta e Montecatini e l’annata successiva, con i playoff nella massima serie e la Coppa Korac. Con i ragazzi dell’allora “Koncret” c’era grande af atamento, avevo grande rapporto con Scarone, Rusin, Romboli, Morri e gli americani. Eravamo una squadra che aveva quella sana componente di follia, come testimoniano i risultati, abbiamo vinto più gare in trasferta che in casa.”
In quegli anni in panchina c’era Piero Bucchi, com’era il tuo rapporto con lui?
“Ottimo, è sempre stata una gura importante la sua, quasi fosse un secondo padre.
Abbiamo condiviso gran parte del nostro percorso, sono molto affezionato a Piero.
Oltre a lui ho avuto altri allenatori di spessore tecnico e umano importante.
Carasso, Bernardi, Di Vincenzo, tutte persone che hanno fatto parte di alcune fasi della mia carriera, che hanno lasciato il segno.”
Dopo essere stato giocatore, ora alleni. Questo cambio di ruolo ti ha consentito di capire più nel profondo le dinamiche del rapporto tra atleta e coach?
“Io da giocatore ero uno che parlava poco e lavorava tanto, ho sempre apprezzato l’onestà degli allenatori. Io da quando mi sono accomodato in panchina cerco di essere chiaro e coerente con i ragazzi che alleno proponendo un basket che rispecchi le mie idee.”
Quali sono i tuoi principi cardine a livello tattico?
“Non amo l’eccessivo “corri e tira” che si vede oggi, poche letture e tanti giocatori che portano blocchi senza toccare mai la palla. C’è troppo 1 contro 1, io sono più per una pallacanestro vecchio stampo, anche se signi ca avere ritmi più bassi.”
Parlami della tua esperienza in Nazionale, che emozioni hai provato alla convocazione per i Giochi di Atene 2004?
“Ero felicissimo, sapevo di aver realizzato un sogno, ma a quel punto ero già nelle rotazioni azzurre da qualche anno.”
Da quando di preciso?
“Dal 2001, quando Tanjevic mi chiamò per gli Europei. Da lì in avanti ho iniziato un percorso che mi ha portato alla tournée estiva del 2002 e all’Europeo svedese del 2003. Mi riposavo poco in quegli anni ma l’adrenalina era tanta.”
Il tuo più bel ricordo in azzurro?
“Sarebbe scontato dire l’argento olimpico del 2004 e invece ti dico la nale 3°/4° posto della rassegna europea dell’anno precedente.
In quella partita ho fatto panchina per 30’ nché Recalcati non mi ha chiamato in campo.
Il rischio di non avere l’impatto sperato c’è sempre in quei casi, ma io me la sono cavata bene, segnando canestri importanti e facendo la mia parte nella vittoria sulla Francia che ci ha dato il pass per l’Olimpiade e la medaglia di bronzo.
Cosa hai provato quando sei tornato a casa con una medaglia d’argento olimpica al collo?
“Mi sono reso conto di cosa avevo fatto, la mia famiglia e i miei amici di sempre mi hanno organizzato una festa a sorpresa, qualcosa che non potrò mai dimenticare. Sono stato anche ricevuto in Comune, è stato un piacere ed un onore. In quell’occasione ho incontrato Paolo Carasso e Claudio Papini, che si sono complimentati con me. Papini mi ha ringraziato personalmente per quello che avevo fatto, in quel momento mi sono reso conto che rappresentavo per entrambi il risultato positivo dei loro sforzi e della loro passione per questo gioco.”
Cosa pensi del progetto RBR?
“Da riminese ne sono orgoglioso, è stata fatta divampare una scintilla che non si era spenta, ma era rimasta quiescente troppo a lungo.
Paolo e tutte le persone che hanno realizzato il progetto hanno ricucito i rapporti con gli ambienti cestistici della provincia, creando un qualcosa che in Italia raramente si vede, soprattutto per la sua solidità.”
Questo è Alex Righetti, uno di quelli che può dire di avere davvero realizzato il suo sogno.
Quello che ha raccontato non può che ispirare chiunque abbia qualcosa per cui lottare.


Come Si Dice
di Michela Manfroni e Gaia Panzeri