Report: Quale visione per la scuola del futuro?

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Quale visione per

la scuola del futuro

Pianeta Scuola Con la partecipazione di: Antonello Folco Biagini Sergio Colombo*

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Magnifico Rettore Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza

Don Andrea Cattaneo

n deferente ringraziamento al Magnifico Rettore dell’Uloro salute, conoscere cosa è sano e cosa non lo è nei rapporti niversità Unitelma Sapienza prof. Rettore Biagini e ai Docenti e relazionali e favorire un migliore approccio ad una sessualità Magnifico del Collegio Rotondi di Gorla Minore collaboratori dell’Ateneo per aver condiviso la realizzazione emergente e consapevole. del Report finalizzato ad approfondire le prospettive del piaNon poteva mancare l’analisi sul bullismo, un fenomeno sorneta scuola. prendente in quanto la sofferenza psicologica e l’esclusione La straordinaria attualità del tema, in una sono sperimentate sovente da bambini che, senza sceProrettrice perfaseleemergenziaPolitiche persociale l'orientamento e il tutorato di Sapienza Un le che ha purtroppo condizionato l’apprendimento, sollecita glierlo, si ritrovano a vestire i panni della vittima subendo adeguate riflessioni perché coinvolge il futuro delle giovani umiliazioni da coloro che invece ricoprono il ruolo di bullo. generazioni. Se nulla sarà come prima, il ruolo degli educaParticolare attenzione è stata riservata alle moderne tecnotori è necessariamente proiettato verso prospettive innovative logie. Dobbiamo pensare al web come un mondo virtuale Presidente Associazione Enrico Dell'Acqua di Busto Arsizio per ottimizzare aspetti formativi determinanti per lo sviluppo simile a quello reale. Non basta essere educatori digitali, occorre creare rete affinché ai ragazzi arrivino messaggi chiari e psico-fisico dell’allievo. soprattutto coerenti anche per arginare pericolose invasioni Anche se la dispersione scolastica nella nostra area ad alta di campo. densità industriale è (fortunatamente) contenuta rispetto alla Direttore dell'Alta Scuola di Comunicazione e Media Digitali di Unitelma Recenti episodi hanno infatti evidenziato un disagio che solmedia nazionale, occorrerà riservare particolare attenzione a lecita mirati interventi in una fase di generale depressione che quell’alternanza scuola-lavoro già positivamente avviata prima dell’esplosione pandemica e che rappresenta il valore agcoinvolge soprattutto i giovani costretti dalla DAD a riscoprigiunto di un orientamento formativo ad apprendimento più re motivazioni di vera socialità relazionale: il distanziamento Delegato alla comunicazione dell’Università Torino efficace. fisico e l’isolamento in di ambiente domestico con tutti i problemi di convivenza, potrebbe provocare un impatto negativo Anche per queste motivazioni l’Associazione Dell’Acqua ha sulla salute dei minori. avviato nel 2016 il Progetto di Educazione Sanitaria che ha Quasi una sfida per un radicale miglioramento formativo già coinvolto circa 30.00 studenti ed Istituti Comprensivi di Direzione Generale l’orientamento che poi si l’inclusione riflette sull’impatto e sociale e culturale del Paese scolastic in Busto, Gallarate, Castellanza e Valle Olona ponendo per al cen-lo studente, tro la salute come bene primario da difendere dalle incursioni quanto recuperare valori e ideali rappresenta una priorità che che deteriorano rapporti per una crescita equilibrata. investe educatori e genitori: un cambiamento, conseguenza La consultazione in alcuni Istituti comprensoriali ha conferdel Covid-19, in grado però di generare migliori prospettive Responsabile Ufficio UnitelmaSapienza mato come la formazione rappresenti un valore aggiuntoStampa per se il pianeta scuola si avvarrà di una metodologia in linea con armonizzare il processo di rinnovamento previsto dalla riforle esigenze di una società civile. ma scolastica. Così, nel 2019 è stato varato il corso “formare per informare” riservato ai docenti che ha registrato, anche negli anni successivi, il sold-out. Di livello le tematiche approfondite: “Alcool, droghe, cervello e giovani”. Un argomento di straordinaria attualità perché l’uso di qualsiasi droga danneggia i sistemi di neuro-trasmissione dei neuroni anche in modo irreparabile. E risulta ancor più dannoso se l’uso di droghe ed alcool avviene in giovane età, quando il cervello è ancora in fase di maturazione. A seguire il tema “Per una sessualità consape* Direttore Responsabile di Busto Domani e Presidente Assovole”: le conoscenze possono guidare i giovani a sviluppare ciazione E. Dell’Acqua le capacità di cui hanno bisogno per prendere decisioni sulla

Tiziana Pascucci Sergio Colombo

Mario Morcellini

Alessandro Perissinotto Clara Rech

Roberto Sciarrone

SALA GIUNTA - COMUNE DI BUSTO ARSIZIO - 07 -2-


La mission dell’ateneo

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’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha avuto ripercussioni molto serie sulla gestione dell’attività didattica nelle scuole e nelle università, che hanno dovuto portare a compimento la formazione attraverso la cosiddetta didattica a distanza (DaD). L’analisi dell’impatto immateriale del Covid è un tema molto impegnativo per ricercatori e studiosi, specie nelle sue interrelazioni con i campi della socializzazione formale e scolastica, della comunicazione tradizionale e digitale e, in una parola, con il modello di sviluppo culturale italiano. Nella prospettiva che il PNRR possa porre le basi per un ridisegno e una ripresa di quello che è il motore del mutamento, da noi individuato nella scuola e nell’università, riflettiamo sul rapporto tra domanda di cambiamento dei comportamenti sociali e risposte politico-istituzionali1. La variabile più incisiva è però connessa a quelli che possiamo definire mutamenti culturali legati alla pandemia; intanto, dobbiamo segnalare una prima novità importante che consiste nella presa d’atto che il clima d’opinione favorevole a un diverso investimento sulla formazione e sulla qualità comunicativa ha trovato nella lunga stagione del Covid un riscontro sociale ben più ampio rispetto al passato, anche recente2. La questione è più chiara in

ha bisogno di una percezione pubblica di simpatia, che finora è sostanzialmente mancata, sollecitando anche la comunicazione a una diversa economia della sua attenzione.

LA CENTRALITÀ DELLA PERSONA

Autore è il Magnifico Rettore Antonello Folco Biagini, professore ordinario dal 1986 presso la Sapienza Università e Presidente della Fondazione Roma Sapienza.

termini di riflessione sulla cosiddetta ‘catastrofe educativa’, denunciata ancora una volta da Papa Francesco, anche perché i temi della ricerca, dell’Università e della scuola hanno ottenuto una notevole inversione in termini di attenzione da parte dei cittadini, dei media e degli opinionisti, anche grazie a una concentrazione sul disagio di studenti e docenti rispetto a un eccesso di demagogia nei confronti della Didattica a Distanza (DaD). La riprova è presto detta: abbiamo potuto constatare un ritorno di forza della comunicazione più intermediata che conosciamo, e cioè quella televisiva e radiofonica. Il trend positivo si dimostra ancor più schiacciante osservando uno dei macrogeneri contemporanei: il giornalismo e l’informazione. Sotto

questo importante angolo di osservazione in tempi di insicurezza sulla salute, i risultati sono ancor più sorprendenti e forse non solo congiunturali: è in questo campo, infatti, che troviamo forme di valorizzazione, prima ridotte ai minimi storici in termini di scelte di mercato, ma anche una nuova capacità di far interagire diversi generi informativi fino, addirittura, ai siti istituzionali, prima pressoché inesistenti nella percezione collettiva. Riflettere sui comportamenti della comunicazione è importante poiché una buona parte degli esseri umani si forma idee, giudizi e pregiudizi basandosi su di essa, e molto spesso rimanendo trincerato all’interno di bolle informative, magari esclusivamente digitali. È fondamentale tenerne conto perché la scuola -3-

Occorre attentamente considerare che le condizioni che si aprono sono più favorevoli per alimentare una vertenza pubblica sulla formazione, fondata su un elemento distintivo che deve ispirare le scelte strategico-politiche del futuro prossimo: rimettere le persone al centro. Per sostenere questo obiettivo etico, al crocevia tra il rafforzamento e costante aggiornamento del ruolo docente e le politiche per gli studenti, è decisiva la specifica riflessione offerta dal capability approach. Esso, frutto di una felice intuizione del filosofo e Premio Nobel per l’economia Amartya Sen risalente al 1979, prende le mosse da una definizione di sviluppo inteso quale “processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani” e pone l’evidenza sull’inadeguatezza del PIL come solo elemento di misurazione del benessere civile e complessivo di una società, aprendo le porte al superamento di una petulante centralità delle visioni eco-


Antonello Folco Biagini

nometriche. A partire da quella svolta, l’approccio delle capacitazioni ha avuto un successo singolare facendo sì che, nel giro di poco più di 20 anni, i documenti istituzionali sovranazionali parlino esplicitamente di «possibilità di sviluppare le capabilities: ossia ciò che le persone possono fare o essere nel corso della propria vita» (United Nations Development Programme, 2001). È in questo contesto che un grande Ateneo telematico come UnitelmaSapienza deve continuare, con le sue mission fondanti (didattica, ricerca e Terza missione), a valorizzare il proprio patrimonio formativo e scientifico, ponendo particolare attenzione alla dimensione locale e ad una penetrazione capillare sul territorio nazionale. A tal proposito, basti pensare che UnitelmaSapienza conta 18 Poli Didattici distribuiti sul territorio nazionale, che garantiscono, nel rispetto di precisi standard logistici e tecnologici richiesti, lo svolgimento di esami in presenza e on line, nonché assistenza e orientamento agli studenti. La scelta di offrire una formazione universitaria radicata nella contemporaneità e, al tempo stesso, promuovere e attuare costantemente la parità di opportunità tra le generazioni, sostenendo un nucleo di valori fondamen-

della persona e sul pieno soddisfacimento del progetto di realizzazione individuale e professionale per cui gli studenti si impegnano. Si tratta solo di offrire loro tutta la nostra tradizione, dedizione e competenza.

tali, è la sfida che vogliamo cogliere. Tale approccio deve comportare un reale “benessere della persona”, anche in termini di qualità della formazione, e deve saper rimettere al centro lo studente e le sue specifiche necessità. La partnership in atto da tempo tra UnitelmaSapienza e Collegio Rotondi, attraverso la costituzione di un Polo, si configura allora come vera e propria alleanza per intercettare esigenze formative sempre più pressanti e specifiche, soprattutto alla luce dei recenti accadimenti correlati alla pandemia da Covid-19. Il Collegio Rotondi e UnitelmaSapienza sono chiamati a tracciare insieme un segno indelebile nella filiera formativa che si configuri sempre più come smart, digitale e vicina al mondo del lavoro. Per offrire oggi, come ieri, percorsi incentrati sulla cura

Per un approfondimento su questo tema cfr. Mediacovid. Ritorno alla mediazione, in “Formiche”, n. 170, giugno 2021. 2 Ho trattato questi temi nel mio recente libro Antivirus. Una società senza sistemi immunitari, Castelvecchi, Roma 2020. 1

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Ripensare il sistema scolastico italiano

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a pandemia ha per un lato messo in evidenza la fragilità del sistema “scuola italiano”, dall’altro ha spostato l’attenzione dall’urgenza di una vera riforma della scuola all’urgenza di tipo organizzativo e logistico dettata dalla necessità di far ripartire la scuola. Evidentemente non si può pensare ad un nuovo anno scolastico segnato ancora dalla “Dad” o dalla “Did”: tale modello si è dimostrato utile nel momento dell'emergenza, ma non può diventare la normalità. La preziosità di tale modalità didattica non deve essere persa ma, a mio modesto parere, integrato con la didattica comunemente riconosciuta come tradizionale. La definizione stessa di “didattica tradizionale” risente di un retaggio culturale e tradizionale che rischia di imbrigliare una vera riforma della scuola. La pandemia ha fatto emergere un problema annoso della scuola legato alle classi troppo numerose, e agli spazi talvolta piccoli e non curati. lo scorso anno molti studenti non hanno potuto partecipare alle lezioni in presenza, a causa mancata progettualità di revisione dei trasporti. Parrebbe comunque chiaro che il problema non è immediatamente la gestione degli studenti all'interno della scuola, ma come gli studenti possono raggiungere la scuola in sicurezza. Ritengo pertanto altamente discriminante il fatto che tutte le scuole superiori abbiano dovuto adattarsi alle

mazioni e attraverso le fonti verificarne l'autenticità. In Italia solo il 5% dei laureati che escono dalle università italiane hanno competenze digitali e imprenditoriali che li rendono pronti al futuro.

LE SOFT SKILL

Il Rettore del Collegio Rotondi don Andrea Cattaneo ha sottolineato il valore delle “soft skill” e la figura del docente formatore ed educatore per gestire il futuro della scuola.

più una lezione nozionistica e frontale. Occorre sempre di più percorrere la strada di un insegnamento che coinvolga lo studente attraverso nuove metodologie come quella del problem solving. Occorre pensare a una didattica che doni agli studenti gli strumenti per un vero discernimento per orientarsi all'interno del grosso problema dell’infodemia. Nella nostra società fortemente caratterizzata e influenzata dai social è facile acquisire informazioni o indicazioni in maniera rapida: occorre pertanto donare agli studenti gli strumenti utili per discernere tra le varie informazioni la verità delle stesse. La confusione spesso dettata dalle tante informazioni che vengono recepite e non verificate deve essere placata da una capacità critica di lettura della verità. Lo studente deve essere in grado di riconoscere le infor-

indicazioni ministeriali circa la sospensione delle lezioni o l'alternanza di lezioni presenza, proprio a causa dei trasporti. La scuola non può risentire di carenze strutturali che penalizzano la didattica. La didattica programmata con forme di alternanza di presenza scuola e didattica on line non può diventare assolutamente la normalità. Non possiamo sostenere un terzo anno scolastico in questa modalità. E’ evidente che ne risenta in maniera pesante l'insegnamento. Ed è proprio su questo tema che occorrerebbe focalizzare la nostra attenzione per ripensare il “sistema scuola italiano”. Nonostante le varie riforme annunciate dai ministri che si sono susseguiti, siamo ancora fermi a un sistema scolastico non capace di interagire con le nuove generazioni e le loro esigenze. Occorre ripensare la lezione, che non deve essere -5-

È importante che la formazione non si limiti a donare delle nozioni basilari, ma che porti lo studente a sviluppare una visione critica e ragionata dei problemi. Attraverso il coding, un problema complesso va analizzato in maniera critica e scomposto in problemi più piccoli in modo da individuare cosa sia fondamentale e cosa no, e quali di questi sotto-problemi siano già stati in qualche modo risolti, da noi o da altri, in modo da adattare e riutilizzare la soluzione. Esponendo i ragazzi a questo processo si insegna loro il valore della sperimentazione e del “fallimento”, che è parte integrante e naturale del processo, e a non arrendersi se all’inizio la soluzione proposta non funziona. Rafforzando le radici nella nostra cultura attraverso lo studio dell’arte, della letteratura, della musica, della matematica e delle scienze porremo forte attenzione alle “soft skills” considerandole al pari di qualsiasi altra materia di studio. Quello delle soft skills è un tema estremamente attuale in ambito formativo. La nuova cultura aziendale prevede un forte investimento sulle cosiddet-


Don Andrea Cattaneo

te competenze trasversali dei collaboratori, utilissime per potenziare la produttività sul lavoro. Ma cosa sono esattamente queste competenze trasversali? Per “soft skill” si intende una particolare abilità e competenza di un soggetto propedeutica all’interazione efficace e produttiva con gli altri, sia sul posto di lavoro che al di fuori di esso. Non si tratta di competenze tecnico-specialistiche: tutte quelle conoscenze relative allo svolgimento della professione ricadono sotto il cappello delle “hard skills”. Per “soft skills” o competenze trasversali intendiamo quegli attributi personali, i tratti del carattere, le abilità comunicative necessarie nella vita di tutti i giorni. Per questo occorre avere una buona base di conoscenze che sappiano costruire il carattere di una persona, che sappiano formare la sua identità: radici forti e profondamente ancorate alle tradizioni. Proprio perchè non si tratta di abilità tecniche, ma di attitudini che hanno a che fare con l’interazione con gli altri e con la conoscenza di sé è fondamentale che la scuola formi gli adulti di domani con forti conoscenze storiche e culturali. Il compito primario della scuola che vuole formare i ragazzi dalle “salde radici” è quello di rafforzare le “abilità soft” che sono quelle che ti consentono di capire gli altri, di carpire emozioni e sentimenti. Sono abilità molto più difficili da acquisire, almeno

Al Collegio Rotondi di Gorla Minore è stato inaugurato il 22 Settembre 2020 - con la collaborazione dell’Associazione Enrico Dell’Acqua di Busto Arsizio - il Polo Didattico di Unitelma Sapienza.

in modo convenzionale, e anche più difficili da misurare. Al contrario le “hard skills”, rappresentano quelle competenze specifiche e trasmissibili, che possono essere definite e misurate: supponiamo che si voglia migliorare le abilità nell’utilizzo di uno strumento basterebbe frequentare un corso, leggere degli articoli e fare pratica per affinare le tue abilità. Ma la scuola non si può ridurre a questo!

trasversali interne, possiamo citare: abilità comunicative, capacità di autopromozione, di lavorare in gruppo, gestione dei conflitti, influenza e leadership. All’interno delle soft skills rivestono un ruolo prioritario il creative coding e la robotica: con lo scopo di rendere i ragazzi consapevoli della crescente pervasività dell’informatica nella società, in modo che sappiano leggere e capire il mondo che li circonda, senza dimenticare l’aspetto relazionale e psicologico. È fondamentale provvedere a una didattica che potenzi le softs skills (flessibilità e capacità di adattamento; motivazione e orientamento agli obiettivi; creatività e proattività; capacità di lavorare sotto pressione; gestione del tempo e capacità di organizzazione; capacità di lavorare in team) indispensabili per qualificare un futuro collabo-

IL DOCENTE FORMATORE A noi sta a cuore che ogni ragazzo possa sviluppare una vasta gamma di “soft skills interne” che lo rendano pronto per affrontare il futuro; mi limito a ricordarne alcune: fiducia in se stessi, autocritica, attitudine alla crescita e al miglioramento costante, perseveranza; accanto alle abilità -6-

ratore. Perché la scuola deve avere come orizzonte quello di formare la classe dirigente del domani, e la classe dirigenziale la si forma non solo attraverso una didattica fatta di conoscenze, a volte reperibili anche in modo immediato attraverso la rete, ma la si forma attraverso esperienze dirette che prevedano una complementarietà educativa imprescindibile. La scuola italiana è ancora ferma alle hard skills che sono fondamentali (conoscenza delle lingue, matematica, scienze, linguaggi informatici). Ma questo non basta. Si pensi anche alle prove Invalsi o all’esame di maturità: sono ancora prove legate alle conoscenze mentre dovrebbero essere l’occasione per premiare e valorizzare le competenze acquisite da un alunno in tutto il suo percorso scolastico. Si tratta dunque di ripensare la figura del docente che deve diventare il formatore, l’educatore. Per questo la pluralità nella scelta educativa e scolastica deve essere rispettata e valorizzata. La vera riforma scolastica deve partire dall'alto. Bisogna formare i formatori: cioè iniziare oggi ed educare la classe dirigente che nei prossimi 10 anni sarà chiamata a gestire il mondo della scuola. Se continueremo a gestire l'emergenza, senza avere una lungimiranza di pensiero, ci troveremo sempre impantanati in un sistema scolastico non capace di valorizzare i talenti dei ragazzi.


Il ruolo delle università

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l 23 novembre il Sole24ore pubblicava un articolo dal titolo “L’università con le lezioni online fa il pieno di iscritti: matricole su del 7%. Corre il Centro-Sud”. Una buona notizia per tutti noi, visti i timori dilaganti di una possibile perdita di immatricolazioni dovuta alla pandemia da Covid-19. Questo importante risultato ha evidenziato come, quando si adottano misure serie ed efficaci per garantire il diritto allo studio, i giovani rispondono. Tra queste misure, sicuramente l’aumento della no-tax area è stata una delle più importanti, ma non la sola presa dall’allora Ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi, a cui va il nostro più sentito ringraziamento. Ma gestita l’emergenza, è ora arrivato il momento di ripartire proprio da quello che questa complicata situazione ci ha insegnato. Una prima riflessione va secondo me ai risultati positivi che abbiamo ottenuto e alle nuove consapevolezze. Oggi sappiamo che è possibile raggiungere con la didattica tutti gli studenti, anche quelli che non sono mai entrati in un’aula universitaria. La pandemia ha imposto alle università un’attenzione totale agli studenti, alle loro difficoltà, alle loro esigenze. Questo metterli al centro ha consentito di fare in poco

Tiziana Pascucci, Prorettrice per le Politiche per l'orientamento e il tutorato di Sapienza Università di Roma.

escludo che questa esperienza aumenterà l’attenzione e gli investimenti sulla formazione permanente degli adulti, aspetto ancora poco centrale nel nostro Paese.

tempo grandi cose, come trasferire tutta la formazione in DAD, digitalizzare tutti i processi (dagli esami alle lauree), coinvolgere gli studenti nella ricerca delle migliori soluzioni. Così anche le università in presenza hanno fatto pratica con gli strumenti digitali, utili per supportare gli studenti in difficoltà o in ritardo con lo studio: a partire dal semplice accesso alla registrazione delle lezioni fino ai più sofisticati software per la didattica innovativa nelle classi virtuali. Tutte esperienze in grado di dare una consistente spinta di innovazione, ad esempio, nelle azioni di tutorato. Inoltre, nell’emergenza siamo involontariamente entrati con le nostre lezioni nelle case dei nostri studenti, ascoltati e seguiti dai familiari. Non

A seguire, una riflessione sugli aspetti critici che ci troviamo ad affrontare a seguito della pandemia. Molti atenei a settembre 2020 non hanno potuto effettuare le prove di accesso per molti corsi di studio di primo livello. Questo ha consentito l’immatricolazione di molti studenti, dei quali però non abbiamo potuto valutare preventivamente la preparazione in ingresso e, di conseguenza, l’eventuale presenza di debiti formativi e quindi carenze conoscitive da colmare. Le attività mirate di tutorato hanno subito anch’esse un certo ritardo. Quindi il -7-

timore che a seguito di un aumento di immatricolati si possa registrare un aumento di ritardi o abbandoni è presente. Sappiamo inoltre che la DAD ha provocato alcune difficoltà di apprendimento negli studenti delle scuole secondarie di secondo grado. Le università, in collaborazione con le scuole superiori, possono e debbono farsi carico di queste situazioni, trovando insieme il modo di recuperare conoscenze o competenze che fossero state rallentate o interrotte dalla pandemia. Ma cosa dicono gli studenti universitari dell’esperienza DAD? Dall’analisi delle risposte alle schede OPIS sappiamo che l’esperienza di didattica a distanza ha complessivamente funzionato, anche grazie ai consistenti investimenti che hanno permesso alla didattica di non fermarsi. Gli studenti hanno dato prova di una buona reazione allo stress prodotto dalla pandemia, riuscendo a seguire le lezioni anche se costretti a rimanere chiusi in casa. Oggi rileviamo, però, in alcuni casi, anche una difficoltà alla ripartenza: a rientrare in aula, a riprendere i ritmi imposti dallo studio in presenza, a lasciare quella fluidità spazio-temporale in cui la pandemia ha posto gli studenti. Una difficoltà la registriamo anche in riferimento alla


Tiziana Pascucci

scelta della laurea magistrale, probabilmente perché sono mancate quelle tipiche occasioni di orientamento al secondo livello fatte di incontri con docenti e con studenti senior, visite in laboratorio, partecipazione a seminari o conferenze, ecc.

L’ORIENTAMENTO FORMATIVO Completo con ulteriori riflessioni. Abbiamo avuto una prova eccezionale di quanto la realtà sia complessa, e di quanto il mondo del lavoro cambi sempre più velocemente: si stima che tra soli due anni un quarto dei lavoratori sarà impiegato in mansioni che ancora non esistono. Nascono nuove professioni che in breve tempo si affermano e a volte spariscono. Nel mare della fluidità, navigano le università che tuttavia hanno delle regole a volte rigide in cui inserire l’offerta formativa: le classi di laurea, i settori scientifico disciplinari, gli ordinamenti, i codici ISTAT, ecc. Queste due realtà con cui dobbiamo fare i conti provocano spesso quel disallineamento tra gli sbocchi occupazionali previsti dal corso di studi e l’occupazione del laureato. Si chiama mismatch, e seppure sia una parola che spaventa le università, se lo leggiamo al contrario diventa un’interessante lettura della realtà che

siamo pronti noi docenti, a contribuire alla crescita delle competenze dei nostri studenti per gestire la propria carriera? Questo richiede ai docenti di guardare oltre la classe: osservare il mondo del lavoro, la società, le persone, innovare la didattica esponendo gli studenti a molteplici discipline e modi per guardare ai problemi; mostrando loro problemi complessi e difficili da risolvere già durante la formazione; accompagnandoli nella scoperta di nuovi valori. Lo sapevamo prima e ce lo confermano le ricerche pedagogiche: gli studenti apprendono meglio quando sono coinvolti, supportati, incoraggiati alle sfide con i docenti al loro fianco. Gli studenti hanno un chiaro bisogno di occasioni di appren-

cambia. Se questa è la situazione attuale, come facciamo a fare orientamento? Che mondo professionale raccontiamo ai nostri futuri studenti? L’orientamento delle università finora ha seguito un approccio informativo: informare i giovani dell’offerta formativa del proprio Ateneo, mostrare i percorsi universitari. Su questo serve un cambiamento. Dobbiamo sicuramente passare da un orientamento informativo ad un orientamento formativo e attivo, dove i giovani sono guidati e orientati nella consapevolezza delle proprie capacità, competenze e passioni. Per navigare all’interno di carriere senza confini, ci vogliono competenze. Sono pronte le università, -8-

dimento che siano rilevanti per il mondo reale, spostandosi dalla classe tradizionale a forme di apprendimento più efficace. L’impegno di Sapienza, in particolare, è per politiche di orientamento attive e per l’attenzione alla crescita delle competenze che vanno oltre le discipline (chiamiamole competenze trasversali o soft skills o competenze di vita, ecc.): vanno dalla capacità di lavorare in gruppo alla conoscenza delle lingue, dalle competenze digitali alla capacità di risolvere problemi valutando costi e benefici delle scelte, alle capacità di ascolto, ecc.: competenze richieste sempre più e in tutti i lavori, e che la formazione universitaria deve contribuire a sviluppare. È utile ricordare che siamo in un sistema in cui alcune delle parole chiavi sono: reclutamento, matricola, chiamata, missione, upgrade. Termini caratteristici dell’università che stanno lì a ricordarci il nostro retaggio culturale: le università nate come luogo per indottrinare e non certo per educare, come avveniva in caserma. In conclusione, sono convinta che l’emergenza sia stato un acceleratore di un processo di innovazione (che in parte era già partito): ora deve diventare un momento di ripensamento e rilancio del Paese, a partire dalle Università.


www.unitelmasapienza.it


L’educazione al centro

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na delle lezioni più vistose che il Covid ci ha impartito è la necessità di ri-partire dalla scuola. La forza di questa emergenza che non abbiamo finito di patire ha reso questa linea di politica sociale ben più forte che in passato, e induce tutti noi ad alzare la scommessa formativa. È del resto ormai acquisita l’idea di chiamare la nostra come società della conoscenza e a questo adagio, entrato ormai nel linguaggio comune, si aggiunge la profonda “mediatizzazione” delle nostre vite. Se queste parole non sono sventate o un ossequio alle mode, ne dovrebbe discendere un progetto di cambiamento anche curriculare, ma con ambizioni più ampie, tese a rinnovare una nuova scommessa con i giovani post-Covid. Il cambiamento va vissuto come cognitivo, di postura educativa e responsabile accettazione di una sfida che può rendere migliori tutti i soggetti che concorrono alla comunità educante. È così che quasi automaticamente si produce un radicale miglioramento del benessere formativo, che ha un evidente impatto su quello sociale e culturale del paese, soprattutto se saprà antagonizzare le criticità e i disagi che i giovani hanno patito per oltre un anno e meglio elaborare una generica polemica pubblica contro la DaD, che talvolta assume i toni del populismo. Del resto, sappiamo tutti che la sfida aperta è esattamente il contrario: se la comunicazio-

Mario Morcellini, Direttore dell'Alta Scuola di Comunicazione e Media Digitali di UnitelmaSapienza.

ne non entra più decisamente nello specifico discorso pedagogico, la scuola perde velocità e allineamento con gli studenti, persino quando persegue e riesce a conseguire qualità formativa. Il suo destino rischia di diventare secondario rispetto alle pratiche comunicative non educate degli utenti, attuando una dimissione di fatto dal compito che gli uomini hanno sempre onorato, di educare i nuovi venuti. Le difficoltà psicologiche e sociali patite dai giovani nella lunga fase della pandemia rappresentano un tema ben più ampio delle difficoltà di una prolungata didattica a distanza, che assume un’urgenza diversa soprattutto per chi ritiene la formazione universitaria una scelta di empowerment dei progetti di futuro degli studenti. La letteratura pur pregevole connessa all’impatto del Covid si concentra, con ricerche purtroppo prevalentemente

qualitative, sui casi più acuti di difficoltà di integrazione e di “capacità di ripresa”. Quel che bisognerebbe oggettivamente tematizzare sono i comportamenti maggioritari, e dunque la fiducia nel futuro e il desiderio di investimento in un progetto di continuità degli studi, poiché è altamente probabile che questo sia l’anno segnato da una riarticolazione più complessa degli indici di iscrizione e immatricolazione. La letteratura che si è interrogata sui limiti della formazione mediata dalle tecnologie va incrociata combinandola con ricerche psicologiche, sociologiche e comunicative per immaginare politiche di accompagnamento alla conclusione degli studi medio-superiori in vista degli step successivi. È su questi temi che UnitelmaSapienza, in perfetta sintonia e condivisione con il Collegio Rotondi, ha già in passato organizzato mo-

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menti di riflessione pubblica, promuovendo un webinar con un duplice obiettivo: da un lato, mettere a sistema gli spunti più coerenti per delineare la profondità del disagio avvertito dagli studenti, facendo dunque il primo passo per un’ elaborazione da parte dei ragazzi e delle stesse famiglie; dall’altro, immaginare su questa base incontri di orientamento e formule nuove di “accompagnamento” modulati sulle specificità di una stagione in cui il ritardo dall’uscita dal Covid, e l’accumularsi di frustrazioni e disagi, obbligano tutti noi a un diverso sforzo di contiguità agli studenti e di comunicazione dell’offerta formativa che sia davvero vissuta in termini di “cura della domanda”. È difficile negare infatti che il contesto sia diventato oggi più favorevole a una svolta culturale che permetta di mettere a terra una piccola rivoluzione, per di più a basso costo, misurando finalmente quanto le politiche pubbliche sono disposte a fare per mettere in sicurezza la funzione della scuola. Tutti ci riempiamo la bocca di frasi che dichiarano l’impossibilità di tornare alla situazione pre-Covid; ed è vero che non sarà un riavvolgimento del nastro a farci raggiungere una vera exit strategy. Vale per la scuola quel che vale per ognuno di noi: il Covid ha indicato l’insufficienza del nostro modello culturale di sviluppo, e dunque esige che tutti noi affrontiamo


Mario Morcellini

questo nodo perché solo da questo passaggio di verità la scuola potrà diventare più adeguata al tempo e al mondo della comunicazione, e dunque più capace di parlare ai suoi utenti. Diciamolo in altre parole: per uscire dalla crisi ci vogliono progetti e tra questi vanno privilegiati, anche in sintonia profonda con il Next Generation EU, quelli che davvero possono contribuire a rigenerare il clima formativo nelle nostre scuole. Prendiamo atto, infatti, che si tratta di programmi più agevoli da promuovere quando c’è una chiamata straordinaria di innovazione, finendo per rappresentare una risposta anche psicologica e securitaria alla gravità della crisi pandemica.

LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO

Cerchiamo ora di argomentare le ragioni non certo accademiche ma di buon senso che attestano la necessità di ri-partire dalla scuola. Già da questo slogan dovrebbe discendere un progetto di cambiamento che, più che curriculare, va vissuto come in termini di sensibilità e filosofia formativa, accettando responsabilmente una sfida che renderà migliori tutti i soggetti che concorrono alla comunità educante. È così che automaticamente si produce un radicale miglioramento del benessere formativo, che ha un evidente impatto su quello sociale e culturale del paese. Siamo dunque di fronte a un

Quale prospettiva educativa per la scuola di domani?

bivio: sappiamo che dobbiamo cambiare per non dimenticare la lezione del Covid e ci è altrettanto chiaro dagli studi e dalle sperimentazioni, che una riforma degna di questo nome non può permettersi il lusso di lasciare lo scettro dell’educazione in appalto alla comunicazione o ai device digitali. Occorre dire alle istituzioni e alla politica che tanti soggetti, movimenti e individui hanno accumulato ricerche e saperi sui deficit della formazione contemporanea, accompagnati sempre dalla capacità di apprestare risposte invece che lamentare la scarsa qualità culturale del mondo in cui ci tocca vivere e lavorare. A chi osserva senza pregiudizi legati all’ortodossia accademica la produttività didattica e pedagogica della scuola, il nodo consiste nell’aumentata distanza tra la permanente forza della tradizione e la fortuna invasiva delle nuove culture mediali

Queste ultime si avvantaggiano dell’apparire a ragazzi e giovani più paritarie rispetto alla verticalità del gesto formativo, e più compatibili con le loro abitudini di acquisizione di contenuti digitali e dedizione ai device, del resto così evidenti nel tempo non scolastico. Questa frattura va sciolta: la scuola italiana non può permettersi il lusso di chiudere gli occhi su come i suoi utenti effettivamente si comportano. È già un tragico segno di disattenzione delle élite politiche e delle classi dirigenti non prendere atto di quanto i device digitali sono entrati da padroni nelle priorità di comportamento dei bambini prima ancora di conoscere i loro maestri1, con ciò stesso avviando un ulteriore tratto di ridimensionamento della sua storica funzione che lo chiama ad essere il primo portavoce della società rispetto a utenti che sempre erano tabula rasa rispetto alla voce

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della scuola. Tutto questo è cambiato senza che nessuno si sia reso conto delle conseguenze in termini di attribuzioni di peso e di priorità alla figura docente. Già questa situazione in cui avviene una vera e propria “anticipazione cognitiva” delle tecnologie (in questo caso soprattutto tablet e smart device) rispetto al canone formativo a cui la scuola è storicamente associata, merita una diversa attenzione dalla politica e dalle istituzioni, chiamate oggi più di sempre a uno sforzo di diversa comprensione. La battaglia è tra il rinvio dei problemi o la presa d’atto che si delinea, oggi, una precisa responsabilità a non adottare la strategia di imperniare sulla scuola un vero e proprio piano regolatore della conoscenza e del padroneggiamento dei linguaggi e delle tecnologie digitali. References M. Morcellini, Passaggio al futuro: la socializzazione nell'età dei mass media, FrancoAngeli, Milano 1992. Comunicazionepuntodoc, Se la tecnologia stressa la formazione, n.18, Fausto Lupetti Editore, Bologna 2018. M. Morcellini, “La promozione della nuova cultura digitale: una sfida educativa per un Paese civile e moderno”, in Marianna Sala (a cura di) Libro Bianco media e minori, Rubbettino, Soveria Mannelli 2021. 1 Il riferimento specifico è al numero monografico della rivista Comunicazionepuntodoc, Se la tecnologia stressa la formazione, n. 18, Fausto Lupetti Editore, Bologna 2018; sono ritornato sul tema anche in “La promozione della nuova cultura digitale: una sfida educativa per un Paese civile e moderno”, in Marianna Sala (a cura di) Libro Bianco media e minori, Rubbettino, Soveria Mannelli 2021.


Futuro e (è) cambiamento

Q

uando si parla di società o delle sue istituzioni (e la scuola è una di queste) il termine “futuro” non può essere accolto semplicemente nella sua valenza temporale: il futuro di una società non è solo il giorno, il mese o l’anno che viene dopo l’”oggi”, il futuro è un insieme di condizioni, di pratiche e di valori diversi da quelli in vigore nel presente. Dunque non c’è distinzione tra passato, presente e futuro se non ci sono punti di frattura ed elementi di cambiamento. Esattamente come nella fisica aristotelica (Fisica, IV, 10, 218 a) il tempo esiste solo se vi è movimento, nella società il tempo trascorre solo quando vi è spostamento da una condizione a un’altra. Ma, come giustamente nota Juri Lotman in La cultura e l’esplosione: prevedibilità e imprevedibilità (Feltrinelli, 1993), non tutti i cambiamenti sociali avvengono contemporaneamente; può, ad esempio, capitare che in alcune società contemporanee un discreto livello di avanzamento tecnologico conviva con strutture sociali e forme antropologiche vecchie di millenni. Per questo motivo, l’associazione tra “futuro” e “progresso” è tutt’altro che pacifica, tanto più che il concetto stesso di progresso contiene in sé quello del miglioramento e la percezione del miglioramento o del peggioramento

Alessandro Perissinotto è il Delegato alla comunicazione dell’Università di Torino.

è legata all’accoglimento o al rifiuto di un sistema di valori (tanto per fare un esempio di estrema semplicità, l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America fu elemento di progresso per gli Stati del Nord e di regresso economico per quelli del Sud). Questa premessa ci serve per affermare che, contrariamente a quanto si potrebbe credere e forse auspicare, non è affatto certo che la pandemia di Covid 19 che ha sconvolto il mondo possa segnare un punto di separazione tra passato e futuro nella scuola. In altri termini, non è detto che l’uso delle tecnologie introdotto durante la didattica emergenziale possa diventare uno stabile fattore di cambiamento. E se ho utilizzato il termine “didattica emergenziale” e non l’abusato “Di-

datta a Distanza” (o DaD) è perché ciò che si è fatto per affrontare, appunto, l’emergenza, non è che un pallido fantasma di ciò che la DaD potrebbe rappresentare per l’innovazione nella scuola, un fantasma che spaventa e che, come ogni spirito maligno, deve, secondo molti, essere esorcizzato. Per spiegare cos’è accaduto a partire dalla primavera del 2020 userò un breve racconto metaforico. Immaginiamo che ci sia una nave da guerra, un incrociatore. Su quell’incrociatore, negli anni, alcuni ufficiali hanno cercato di spiegare all’equipaggio l’uso di nuovi strumenti e soprattutto hanno cercato di far svolgere esercitazioni di salvataggio, ma, vuoi per mancanza di polso, vuoi per la riottosità dei sottoposti e di molti pari grado, solo pochi volonterosi

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hanno seguito le indicazioni degli ufficiali più illuminati. E fatidicamente, anche per quell’incrociatore, viene il giorno della tempesta e del naufragio. I volonterosi, che si erano preparati all’evenienza, calano in mare le scialuppe e invitano i compagni a seguirli, ma quelli, i riottosi, invece di intraprendere le uniche manovre in grado di superare l’emergenza, si mettono ai cannoni (unica parte della nave che conoscono bene) e sparano sulle scialuppe. È andata così. L’incrociatore è, ovviamente, la scuola e i volonterosi sono quanti, a partire dal 2012, hanno varato, promosso e messo in pratica il Piano Nazionale per la Scuola Digitale. I riottosi sono gli altri, quelli che hanno subito passivamente i corsi di aggiornamento, quelli che hanno sempre ritenuto che le tecnologie fossero un corpo estraneo rispetto alla scuola, quelli che, senza minimamente avvertire la contraddizione, affermavano sui social che la telematica è disumanizzante. E, anche se non era difficile attenderselo, dispiace constatare che i più attivi nel cannoneggiamento della DaD sono stati gli intellettuali di area umanistica. Mi riferisco principalmente, ma non esclusivamente, all’appello pubblicato il 18 maggio 2020 sul quotidiano La Stampa da Massimo Cacciari e firmato


Alessandro Perissinotto

da una ventina di docenti universitari. Quel manifesto è la realizzazione di un apparente ossimoro, è un capolavoro del conservatorismo di sinistra. Vorrei esaminarne qui un passaggio breve, ma indicativo: «La prospettiva che emerge è quella di una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella sua configurazione tradizionale, sostituita da un’ulteriore generalizzazione e da una ancor più pervasiva estensione delle modalità telematiche di insegnamento. Non si tratterà soltanto di utilizzare le tecnologie da remoto per trasmettere i contenuti delle varie discipline, ma piuttosto di dar vita ad un nuovo modo di concepire la scuola, ben diverso da quello tradizionale.» Quello che spaventa gli intellettuali non è l’uso della tecnologia, ma il cambiamento in sé, l’attentato alla tradizione. La loro scelta, per ciò che attiene la scuola, è, aprioristicamente, quella del passato, di un passato che non conosce cambiamenti né opportunità di trasformarsi in futuro.

LA SFIDA Ma, naturalmente, questa sparuta avanguardia della retroguardia non è sufficiente, da sola, a garantire l’immobilismo nella scuola: è la tradizione stessa, fatta di programmi e di persone, a costituire, con la sua inerzia, la sicurezza

Un ventaglio di soluzioni sono emerse in tempi brevissimi dal mondo dell’insegnamento per superare l’emergenza pandemica.

che nulla cambierà e che tutti gli sforzi fatti durante la pandemia verranno presto archiviati come un ricordo sgradevole che si tende a confinare nei recessi della memoria. Di tanto in tanto faccio un esperimento che, più che a una ricerca sociologica, assomiglia a un ozioso gioco di società; chiedo a quelli che, come me, si stanno approssimando alla sessantina se la scuola frequentata dai loro figli è tanto diversa da quella che abbiamo frequentato noi: la risposta è quasi sempre negativa e, fatti salvi alcuni temi di stretta attualità, ci si accorge che gli argomenti trattati e soprattutto i metodi didattici (spiegazione frontale, compiti a casa, verifica orale e scritta) non sono affatto mutati. Poi faccio appello ai ricordi della generazione dei nonni, degli scolari del dopoguerra,

e la constatazione è identica: nulla è cambiato. Niente a che vedere con l’eterno ritorno nietzschiano: nella scuola, il succedersi di passato, presente e futuro non è ciclico, semplicemente non esiste. Il mio pessimismo è dettato da molti fattori e da analisi di fenomeni (negazionismo, difesa dei privilegi, appello al “si è sempre fatto così”) che sono ancora troppo recenti per poter assumere una sistematicità scientifica, ma soprattutto dalla sensazione di un’occasione persa, soprattutto per la scuola (nell’università il ruolo trasformativo degli studenti può forse lasciare aperto uno spiraglio). Quando la pandemia ha stravolto da un giorno all’altro il mondo dell’insegnamento, la scuola e l’università, in tempi brevissimi (assai più brevi di

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quelli impiegati, ad esempio, dalla grande distribuzione o dal mondo produttivo), sono state in grado di proporre sistemi che permettessero di continuare, in mutate forme, il servizio educativo e formativo per il quale sono nate. Certo, si sono riscontrate differenze di organizzazione e di efficacia tra le varie realtà, ma, in sostanza, la risposta è stata pronta. Se questo è accaduto è perché le tecnologie per la didattica in rete erano pronte da almeno 25 anni (mi si perdonerà se, a titolo di esempio, segnalo che la mia tesi di dottorato, discussa nel 1997 presso l’Università di Bergamo, aveva come titolo “Il ruolo dell’ipertesto nella didattica delle letterature”) e perché un manipolo di volenterosi, pagando il prezzo della generale diffidenza, ha continuato a perfezionarle e a sperimentare. Se la scuola e l’università avessero saputo far tesoro di quelle ricerche prima che scoppiasse la pandemia, avremmo avuto ben di più di una didattica emergenziale. Il rischio è ora che, passata l’emergenza, la didattica integrata e sostenuta dalle tecnologie torni a essere un hobby per pochi (al pari della didattica partecipata, della flipped classroom e così via) e una scuola che non accoglie costantemente la sfida della sperimentazione è una scuola che non conosce futuro.


La lezione del virus: l’opportunità di un’eucatastrofe della scuola

I

l neologismo tolkeniano ‘eucatastrofe’ indica l’epilogo insperatamente positivo di un evento tragico e malefico, come quando Gandalf imprigionato nella Torre di Isengard fugge miracolosamente prelevato da un’aquila. La mia tesi è che la crisi pandemica può aprire ad eventi positivi, di rinnovamento e rivelarsi anche una formidabile opportunità. C’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ il coronavirus. Questo evento ha evidenziato ciò che è vitale per la società: salute e istruzione. È chiaro ormai che se non si investe in ciò che rende sano un paese, non c’è futuro. La scuola ha risposto il più delle volte in modo rapido ed efficace alla rivoluzione impostale, mettendo mano alla didattica digitale a distanza per garantire, anzitutto, il contatto degli alunni con la scuola e i compagni. In questo senso, potremmo dire che è stata proprio la scuola, non la pandemia, il “cigno nero” di questo tempo1. È apparso imperativo integrare didattica frontale e didattica laboratoriale, ampliando la rosa di strumenti disponibili. D’ora in poi occorrerà imparare a valutare il risultato finale (outcome) più che il risultato giornaliero (output). Oggi è necessario rivedere l’intero progetto didattico cominciando con l’accettare

Clara Rech, Direzione Generale per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico del Ministero dell’Istruzione.

la ‘conazione’ (crasi tra ‘conoscenza’ e ‘azione’) tra la scuola e i mondi al di fuori di essa, a cominciare dal mondo del lavoro. Il termine viene utilizzato da Zamagni2 per significare la necessità di piena fusione tra i due concetti. Il sapere va usato in senso trasformativo. Tutti i docenti e tutti gli studenti devono essere in grado di servirsi di questo modello integrato tenendo in massimo conto ogni aspetto che riguardi l’inclusione, soprattutto dei ragazzi più fragili come quelli con disabilità, bisogni speciali, disagi di natura economica, sociale o culturale. Questo significa investimenti non più rimandabili in termini di persone, strumenti e risorse economiche, una autentica Riforma dell’orga-

nizzazione della scuola di cui parla esplicitamente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza3 approvato dal Parlamento. Del resto, la didattica a distanza ha un’origine antica. Nasce da un’altra emergenza, quella di eliminare, nel secondo dopoguerra, la piaga dell’analfabetismo col ricorso agli strumenti tecnologici dell’epoca, la radio e la televisione: tutti ricordano il maestro Manzi o la Scuola Radio Elettra. Oggi con il digitale, si parla di Data Literacy - Media Education. I media sono la “pelle dalla cultura”4, sono ormai il Terzo Spazio in cui ci si educa, caratterizzato da contesto informale, logica di peering, orientamento esperienziale, piacere di stare insieme, assenza di appren-

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dimenti “insegnati”. Luoghi di narrazioni che aiutano il processo di costruzione identitaria e contribuiscono alla percezione di autoefficacia. Integrare le due didattiche presuppone un lavoro collegiale di ricerca e di azione che richiede tempo e passione ma la scuola deve essere ricerca, altrimenti diventa delega. D’altronde chi altri potrebbe essere chiamato a svolgerlo se non i docenti che sono i professionisti della didattica? Sarà sicuramente necessaria tanta formazione e un serio aggiornamento professionale ma quel che più conta è la disponibilità a lasciarsi coinvolgere. Basterebbe iniziare dall’analisi del verbo ‘insegnare’ nella lingua ebraica, il cui significato è ‘scoccare una freccia’ e anche ‘mostrare la via’. L’insegnante fa proprio questo con il suo alunno, scocca tante frecce che devono colpire mente e cuore, scatenando la voglia di conoscere, la passione della scoperta. E facendo questo mostra una via, una direzione di vita che deve essere appunto dinamismo, percorso verso una mèta: non c’è davvero professione più esaltante! IL VALORE DELLA CULTURA Anzitutto va ripensata la cornice dell’incontro insegnante-studente, il ‘dove’: si


Clara Rech

ricostruisce virtualmente lo spazio dell’aula con i suoi riti; il ‘quando’: trovare giusti ritmi di pausa e di applicazione; il ‘come’ e il ‘cosa’: preparare con cura materiali essenziali, adatti al digitale, chiarire le consegne, anche per ridurre il supporto richiesto alla famiglia. Infine il ‘quanto’, la valutazione, che dovrà essere attenta al processo anche più che al prodotto. L’insegnante e lo studente possono raggiungere insieme quella ‘zona di sviluppo prossimale’ teorizzata da Vygotskij6 ancora nella prima metà del secolo scorso perché solo con l’aiuto degli altri lo studente può muoversi dallo sviluppo attualmente raggiunto a quello prossimo del suo potenziale. Occorre che dirigenti e docenti, insieme a studenti e genitori, sappiano lavorare insieme da veri protagonisti. Certamente è necessario rimettersi in gioco ma il protagonismo non è un fiore di campo, è un fiore di serra: non nasce spontaneo ma deve essere coltivato e curato nel tempo. Le reazioni degli adolescenti alla pandemia sono state radicali e diverse ed esigono la massima attenzione sociale. Secondo alcuni, come il sociologo Nicola Ferrigni7, o i ricercatori dell’Università di Bristol e dell’University of California8, sono state costruttive e positive. Secondo altri, come Stefano Vicari9, sono dram-

Il termine ‘cigno nero’ è tratto dalla frase del poeta latino Giovenale “rara avis in terris nigroque simillima cygno”, Iuv., Satire, VI, 165, ed it. Decimo Giunio Giovenale, trad. it. Ettore Barelli et al., BUR, Milano 1976 2 Intervista a Radio Vaticana, 9 aprile 2020 https://www.vaticannews. va/it/vaticano/news/2020-04/ osservatore-romanozamagni-ecnomia-coronavirus-futuro.html Testo disponibile sul sito del Governo https://www.governo.it/s 3 ites/governo.it/files/PNRR.pdf 4 Espressione di Derrick De KercKhove in D. De Kerckhove, La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica, trad it. M. Carbone, Costa & Nolan, Genova 2000 5 Il concetto di “terzo spazio” è al centro della riflessione di John Potter, College of Education della University of London e Julian McDougall, University of Bournemouth, nel loro libro Digital Media, Culture & Education. Theorising Third Space Literacies, Springer, 2017 6 Lev Vygotskij, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, a cura di L. Mecacci, Roma-Bari, Laterza, 1990 (nona edizione del 2001) 7 https://www.unilink.it/ateneo/eventi/9-rapporto-di-ricerca-nazionale-dellosservatorio-generazione-proteo 8 h t t p s : / / s p h r. n i h r. a c . u k / news-and-events/new-report-shows-young-peoples-ment a l - h e a l t h - i m p r ov e d - d u r i n glockdown/https://greatergood. berkeley.edu/article/item/how_teens_are_making_meaning_out_ of_the_pandemic 9 S. Vicari è il responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: https:// www.huffingtonpost.it/entry/i-giovanissimi-si-tagliano-e-tentano-il-suicidio-mai-cosi-tanti-ricoveriprima-della-pandemia_ it_6006f714c5b697df1a09146e 10 Ministero dell’Istruzione, Nota n. 643 del 27 aprile 2021 del Capo Dipartimento Stefano Versari. Si rimanda al sito di riferimento per la didattica dell’arte www. Anisa.it. 1

Nell’illustrazione di Ted Nashmit, l'aquila Gwaihir che salvò Gandalf dall'esilio sulla torre del malvagio stregone Saruman.

maticamente allarmanti per la sofferenza espressa. In assenza dei compagni che serve da ammortizzatore per sfogare l’assorbimento della paura che respirano intorno a loro, i giovani compiono atti di violenza contro di sé o contro gli altri. La famiglia e la scuola devono intervenire corroborandosi vicendevolmente in stretta collaborazione. La scuola può ricorrere a discipline più facilitanti lo stare insieme, come quelle dell’area C.A.M.P.U.S. (Computing, Arte, Musica, vita Pubblica, Sport), menzionata nella recente nota ministeriale uscita a seguito del PNRR10. In particolare, l’arte11 dà l’opportunità di esprimere emozioni e sentimenti riducendo l’ansia e favorendo l’autostima. Educazione e Istruzione possono essere il vaccino della

psiche di cui abbiamo bisogno ogni qual volta veniamo sollecitati da cambiamenti esistenziali profondi come quello che stiamo vivendo. Oggi possiamo inaugurare un nuovo umanesimo, riscoprendo il valore della cultura, prodotto di educazione e istruzione, che ha ripreso di diritto la centralità nella vita di tutti noi, senza la quale non possiamo che ingrigirci, impoverirci, disumanizzarci. In conclusione, credo che dobbiamo vivere questo tempo tragico e doloroso anche come una grande occasione di crescita: se riusciremo ad operare questa eucatastrofe, avremo trovato il modo migliore per sanare molti mali della scuola e per indurre nei nostri figli un atteggiamento più sicuro e fiducioso nel presente per il futuro.

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