Revée News 01 - Luglio 2023

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FOCUS

DIASTASI: COLPISCE 7 DONNE SU 10

PRIDE: CHIRURGIA E SPAZIO

VA IN ORBITA IL PROGETTO

“SUTURE IN SPACE”

PRIMA DEL GENERE, C’È LA PERSONA

#PRevéeNTION
#Revée4LILT

LA NASCITA DI REVÉE NEWS

Nasce Revée News, il magazine di attualità e approfondimenti sul mondo della medicina, della salute e della chirurgia. Un nuovo modo di fare informazione partendo dal filo conduttore della bellezza.

È necessario andare oltre il risultato della chirurgia comprendendo che dietro ogni intervento c’è una storia che può essere raccontata.

L’obiettivo di Revée News è quindi sfatare miti e stereotipi sulla bellezza

e la chirurgia, attraverso interviste a medici chirurghi, professionisti e realtà che lavorano attorno al mondo della sanità.

Debora Pasero, direttore responsabile

La bellezza non è solo uno status symbol, ma è la percezione di se stessi nel mondo.

Sentirsi belli, significa vedersi allo specchio e piacersi, ricordando

che gli interventi di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica sono la scelta consapevole di un paziente quando è seguito da ottimi professionisti.

LUGLIO 2023 3
Editoriale

Per segnalare convegni/eventi scrivere a press@revee.it

Accademia di Senologia “Umberto Veronesi”

Inveruno (MI) 30 29/

“Breast Imaging”

giugno 2023

22 21/

Congresso AIS

“Attualità

MFI Academy

“The cutting edge of facial rejuvenation”

luglio 2023

Milano

settembre 2023

Congresso nazionale SICPRE

Roma 23 21/

“La chirurgia plastica del futuro”

settembre 2023

MASTER

Corso AICPE

“L’estetica dei Glutei”

ottobre 2023

La chirurgia plastica della regione addominale rappresenta da sempre uno degli argomenti di maggiore e più comune interesse della specialità. Negli ultimi anni l’attenzione si è focalizzata sul raggiungimento di risultati sempre più interessanti dal punto di vista funzionale ed

EVENTI E CONVEGNI 4
www.congressoais.it
EVENTI E CONVEGNI
in senologia”
UN PROGETTO Villa Verganti Veronesi, Inveruno (MI) I SUOI COLLEGHI Enrico Cassano MAESTRO DI ATELIER 29 –30 giugno 2023 Breast Imaging ENRICO CASSANO ATELIER DI Manuelita Mazza Stefania Montemezzi Luca Nicosia Catherine Depretto Paolo Della Vigna Francesca De Lorenzi Annalisa Curcio Chiara Bellini Clementina Di Tonno
DELLA
SOVRAPUBICA FIRENZE MAGGIO 2023
MASTER CHIRURGIA PLASTICA DELL’ADDOME
REGIONE
Coordinatore: Daniele Fasano
IN CHIRURGIA PLASTICA DELL’ADDOME E DELLA REGIONE SOVRAPUBICA
The cutting edge of facial rejuvenation 21 22 July 2023 MILANO Alessandro Gualdi Mario Pelle Ceravolo Dario Bertossi Mike Nayak Ozan Sozer

Edito da Revée Srl

corso Quintino Sella, 131 - Torino

Direttore responsabile

Debora Pasero

Hanno collaborato a questa edizione

Debora Pasero, Erika Zaffalon, Cosimo Di Martino

Impaginazione e grafica

Simona Inglese

Redazione c/o

Scoprinetwork Srl via Palazzo di Città, 2/b - Chieri (TO)

Tel: 011 6990187 e-mail: press@revee.it

Grafiche pubblicitarie

Chiara Alessio

Stampa

Societa’ Tipografica Ianni Srl, Via Circonvallazione, 180 - Santena (TO)

Ringraziamo per la collaborazione

Dr.ssa Elena Lucattelli, specialista in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica presso U.O.C. - Ospedale A. Franchini, Santarcangelo di Romagna

Immagini:

Freepik, Elements Envato

Copyright

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E’ sufficiente scrivere a press@revee.it

Numero 0. Chiuso in redazione mercoledì 21 giugno 2023

Editoriale

Eventi e convegni

FOCUS: DIASTASI

Diastasi: una questione culturale

Diastasi: per molti una malattia che non c’è

Il progetto “Suture in space”

0-0 palla al centro: la chirurgia per il prof. Klinger

Cicatrici: i diamanti della pelle

Crema solare: alleata della bellezza

Liposcultura: la fiducia prende forma

Mommy Makeover: la trasformazione del corpo

Paralisi del nervo

facciale: tornare a sorridere

Tumore della mammella: l’importanza del SSN

Prima del genere, c’è la persona

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nascita
News
La
di Revée

DIASTASI: UNA QUESTIONE CULTURALE

La diastasi non riguarda solo la chirurgia, è soprattutto una questione culturale

Franco Bassetto è professore ordinario di Chirurgia plastica all’Università di Padova e da anni si occupa di diastasi.

Nell’intervista ha toccato i vari aspetti della patologia, non solo medici, ma anche sociali e psicologici di chi ne è affetto.

Esordisce Bassetto: «Il concetto moderno di salute non ha solo come obiettivo debellare la malattia, ma migliorare anche lo stato di benessere psichico e fisico del paziente».

La diastasi è una patologia relativamente giovane da un punto di vista informativo: «C’è ancora

poca informazione sull’argomento – prosegue Bassetto -. Molte donne, infatti, vivono in un mondo sommerso in cui la distasi non è conosciuta e non sanno che può essere corretta. La “pancia a pera” non riguarda solo la chirurgia, ma anche il contesto culturale in cui vive la paziente, l’aspetto psicologico e la difficoltà di avere delle informazioni corrette»

I ginecologi sostengono che il 50% delle donne che hanno partorito soffrono di diastasi: «In realtà non abbiamo dei dati nazionali». Prosegue Bassetto: «L’incidenza dei casi è sottovalutata, anche a causa della mancata unificazione dei re-

quisiti richiesti dal SSN, che cambiano in base alle regioni». In Veneto, ad esempio, bastano 5 cm di separazione dei retti addominali per essere operati, mentre al Sud si può arrivare fino a 10 cm. Inoltre, se il distanziamento è minore di 5 cm il problema viene considerato solo dal punto di vista estetico.

Il divario di trattamento nella Penisola è spesso legato a una percezione culturale: molto spesso infatti la diastasi non è riconosciuta come una patologia, ma come naturale conseguenza del parto.

Il SSN interviene solo in casi di gravi diastasi, cioè oltre i 5 cm. «Il costo rimborsato dallo Stato

MEDICI E CHIRURGHI 6 L’intervista completa su revee.news

per l’intervento è di circa 2.000 euro, ma all’ospedale costa molto di più». Entra nel merito il chirurgo: «Associazioni come Diastasi Donna aiutano a far conoscere l’argomento e smuovono l’opinione pubblica portando il problema alla luce. Il nostro compito è impegnarci insieme alle pazienti affinché questi interventi siano totalmente a carico del SSN».

Sono sostanzialmente tre le categorie di pazienti affetti da diastasi: «Post bariatrici, ex obesi che hanno perso molti chili dopo l’intervento o donne che hanno partorito – aggiunge Bassetto -. È possibile anche che si verifichi la separazione dei retti per mancanza di collagene o elastina, quindi per motivi congeniti».

L’accesso è con l’addominoplastica. «Sono del parere che si possa creare una continuità dei muscoli retti stabile – precisa Bassetto – e che con l’approccio mini invasivo ci sia un numero di recidive elevato. Un’altra soluzione è rappresentata dalle reti che possono essere sintetiche o biologiche».

L’estetica dell’addome è uno stato di benessere:

«Ognuno ne ha diritto –sostiene Bassetto – per questo motivo è importante fare divulgazione e intervenire tempestivamente».

La sinergia tra professionisti è la chiave di volta. Per intervenire con tempestività è necessaria la collaborazione tra diversi professionisti, chirurghi (generali, plastici) e fisioterapisti, per seguire il paziente durante tutto il percorso.

Nel trattamento della diastasi non conta solo l’intervento chirurgico: sono importanti sia la prevenzione che il percorso post-operatorio

La diastasi si può contenere con la ginnastica pre-parto, aiutando le donne in gravidanza a usare e rinforzare i muscoli retti. Se c’è una predisposizione alla lassità dei tessuti, anche un programma di prevenzione può fallire. Esistono, però,

prodotti che possono aiutare la riabilitazione, come le guaine per addominoplastica.

Oggi la chirurgia fa molto, ma l’intervento deve sempre essere seguito da una corretta medicazione e un controllo del post intervento. L’utilizzo di dispositivi che fungano da coadiuvante alla guarigione ottimizza il risultato ottenuto in sala operatoria.

La divulgazione è fondamentale. La diastasi può, in alcuni casi, essere prevenuta, curata o contenuta; l’importante è che non venga più ignorata.

Conclude Bassetto: «Le associazioni, come Diastasi Donna, in collaborazione con i chirurghi organizzano diversi eventi».

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Franco Bassetto, Professore Ordinario di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica, Università degli Studi di Padova e Direttore della Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva dell’Azienda OspedalieraUniversità degli Studi di Padova

DIASTASI: PER MOLTI LA MALATTIA CHE NON C’È

Diastasi: cosa bisogna sapere

La sua storia inizia nel 2014, dopo la nascita del secondo figlio, quando il suo corpo subisce un cambiamento.

«Avevo dolori lombari, problemi di incontinenza, mi cedeva la gamba e facevo fatica a digerire – esordisce la fondatrice – tanti sintomi difficili da identificare in una patologia. Così navigando su internet ho scoperto di soffrire di diastasi».

«Perché in fondo cosa importa avere un po’ di pancetta se hai partorito due splendidi figli». La presidente dell’associazione si è sentita ripetere questa frase più volte, quando mostrava il suo addome gonfio.

Descrive la sua condizione patologica Elena Albanese, fondatrice dell’associazione Diastasi Donna ODV, che si occupa di divulgare e fare prevenzione sui sintomi della Diastasi.

Questa patologia spesso non viene riconosciuta né dai dottori né dai familiari che tendono a sminuirla. Per questo motivo la fondatrice di Diastasi Donna ODV ha deciso di raccontare la propria esperienza per essere d’aiuto ad altre donne.

Chi soffre di diastasi ha l’addome ingrossato anche dopo aver bevuto un bicchier d’acqua, soffre di mal di schiena, disturbi digestivi e disfunzioni urinarie. Questa patologia colpisce soprattutto le neo-mamme, tuttavia possono soffrirne anche uomini e donne che hanno perso molto peso

«È importante far conoscere questa patologia, non solo alle donne» Prosegue la Presidente di

ASSOCIAZIONI 8 L’intervista completa su revee.news
« C redevo di essere pazza».
Elena Albanese Presidente di Diastasi Donna ODV

Diastasi Donna ODV: «Nel 2020 abbiamo anche presentato una proposta di legge in Parlamento e a breve avremo degli aggiornamenti».

«Ci sono varie tecniche che si possono usare per risolvere questa patologia – spiega la fondatrice dell’associazione – si può effettuare l’addominoplastica, che dura circa 4 ore, oppure la laparoscopia o l’endoscopia».

Il tempo di ripresa è di 2 mesi, al termine del quale si può tornare a condurre una vita normale e apprezzare il proprio corpo. «È possibile fare degli esercizi mirati per prevenire o contenere il problema» aggiunge Albanese specificando che dopo l’operazione è difficile che si verifichi una recidiva.

Bisogna sottolineare, però, che questa operazione viene riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale solo se si soddisfano determinate condizioni. Il distanziamento tra i due muscoli deve essere di 5 cm nel nord Italia e di 10 cm in Sicilia. «Questa disparità evidenzia la difficoltà di accesso alle cure» spiega Albanese sottolineando le criticità di chi si rivolge alla sanità pubblica.

Dopo l’intervento è importante sentirsi sicuri e protetti, per questo motivo le guaine sono un alleato fondamentale. Grazie all’azione di compressione costante, la guaina contiene gli ematomi e i gonfiori e permette ai tessuti di riassestarsi correttamente prevenendo la formazione di lassità.

È molto importante anche il momento del post operatorio. A tal proposito Albanese ha raccontato la sua esperienza in particolare con la guaina per l’addome. I consigli della fondatrice sono preziosi per tutte le persone che si sottopongono all’intervento: «Voglio che tutte le donne si trovino bene come mi sono trovata io».

Il servizio offerto da Diastasi Donna ODV

«Diastasi Donna ODV prevede un’assistenza sia pre che post intervento con un team di professionisti composto da nutrizionisti, ostetriche, fisioterapisti e osteopati, presenti su tutto il territorio nazionale» spiega la Presidente.

Inoltre è fornito un supporto psicologico che aiuta le pazienti sia per quanto riguarda la patologia, che per tutto il percorso relativo all’intervento: «La diastasi è una patologia fisica ma si ripercuote anche a livello psicologico. Collaboriamo con molti chirurghi e chirurghi plastici in tutta Italia che ci sostengono nella lotta e ci aiutano nella divulgazione» aggiunge Albanese, perché la mente e il corpo sono strettamente legati.

L’Associazione giorno dopo giorno continua a crescere, dimostrazione della costante consapevolezza che si sta innescando sulla questa patologia. «Abbiamo raggiunto oltre 30.000 donne in tutta Italia – conclude Albanese – e continueremo a fare divulgazione e prevenzione per diffondere la conoscenza di questa patologia a quante più persone possibili».

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10 L’intervista completa su revee.news

CHIRURGIA E SPAZIO: VA IN ORBITA IL PROGETTO “SUTURE IN SPACE”

« S uture in space è il primo esperimento che tenta di verificare ciò che accade ai tessuti umani feriti e suturati nello spazio».

Con queste parole il dottor Marco Bernini, chirurgo senologo presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze descrive l’esperimento in un’intervista doppia con Monica Monici coordinatrice del progetto “Suture in space”, del laboratorio congiunto ASAcampus, Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche, Università di Firenze, realizzata subito dopo il lancio di SpX-26 (Cargo Dragon 2) nello spazio.

L’esperimento, iniziato circa 7 anni fa, ha portato in orbita campioni di tessuti umani per testare come l’organismo sopravvive a traumi e ferite in condizioni di microgravità.

“Suture in space”: modelli di ferite suturate nello spazio

«Il processo di guarigione delle ferite è essenziale per la sopravvivenza dell’organismo. – spiega Monici – È complesso e si svolge in più fasi. Ho pensato che fosse interessante capire, se e come, l’assenza di gravità influenza il processo e ho

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L’intervista completa su revee.news

proposto ad alcuni colleghi l’idea di preparare un progetto di studio su questo e sottoporlo all’Agenzia Spaziale Europea, che lo ha selezionato per svolgerlo sulla Stazione Spaziale Internazionale (ESA-ILSRA-2014). Il progetto è coordinato e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (C-ASI N. 2018-14-U.0-Suture in Space). Questi studi possono essere importanti per pianificare, dal punto di vista sanitario, le future missioni di esplorazione spaziale».

Il progetto è frutto di una collaborazione con diverse realtà europee e ita-

liane: «Oltre ai ricercatori italiani, vi sono ricercatori di Università tedesche, olandesi e danesi. Ognuno ha un compito ben preciso, soprattutto per quanto riguarda le molte analisi fatte sui campioni riportati a Terra» continua Monici.

Aggiunge il dottor Bernini: «È un esperimento di suture chirurgiche non solo su cute, ma anche su vasi sanguigni. Questo progetto è motivo di orgoglio perché è la prima volta che viene tentato un esperimento simile su tessuti umani nello spazio».

Obiettivi e risultati attesi

«La possibilità di garantire, in ambiente spaziale, cure mediche adeguate e vicine agli standard terrestri è una sfida che richiede studi approfonditi – spiega Monica Monici -. L’esperimento ha tenuto conto di una molteplici-

PILLOLE DI REVÉE 12 L’intervista completa su
Monica Monici, coordinatrice del progetto “Suture in space” Marco Bernini, chirurgo senologo presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze

tà di fattori e variabili: le condizioni estreme, come la microgravità e le radiazioni, la durata delle missioni, il numero di attività ad alto rischio ad esse associate, la risposta dell’organismo umano a lunghi periodi di permanenza nello spazio».

La sperimentazione è partita lo scorso novembre dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral. I modelli di ferite in tessuti umani sono stati inseriti in contenitori dedicati e poi trasferiti con SpX-26 (Cargo Dragon 2) sulla Stazione Spaziale Internazionale per essere monitorati in un ambiente di microgravità.

Questo progetto ha lo scopo di fornire gli strumenti per poter curare le lesioni, ustioni e cicatrici nello spazio, secondo gli standard terrestri, in

modo da poter agire tempestivamente sulle ferite degli astronauti in orbita direttamente sui veicoli spaziali.

Lo scopo è comprendere almeno parzialmente in che modo le condizioni alterate di gravità influenzino le fasi del processo di guarigione delle ferite. «Ovviamente questo è un primo passo. Altri esperimenti saranno necessari per approfondire le nostre conoscenze» continua Monici. È chiaro che con un solo esperimento non è possibile capire tutto.

«Con questo esperimento abbiamo raggiunto anche altri importanti risultati. Gli sforzi congiunti di tutti i partner hanno reso possibile sviluppare una tecnica di coltura che permette ai tessuti di sopravvivere per tempi abbastanza lunghi. Potrebbe quindi avere dei risvolti importanti per la cura delle ferite anche sulla Terra» spiega Bernini.

Una buona parte dei risultati del progetto “Suture in space” saranno disponibili entro la fine del 2023.

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0-0 PALLA AL CENTRO: LA CHIRURGIA PER IL PROF. KLINGER

Marco Klinger, Professore Ordinario di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica all’Università degli Studi di Milano e direttore della Scuola di Specializzazione presso lo stesso ateneo. Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica all’Humanitas Research Hospital di Rozzano (MI)

« L a chirurgia plastica mischia cervello, mani e bisturi».

La grande esperienza di Marco Klinger, professore di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, all’Università degli Studi di Milano. Una carriera che si fonda sull’empatia, professionalità e voglia di migliorare sempre, nonostante i grandi successi già raggiunti. Il professore racconta in questa intervista

LUGLIO 2023 revee.news

l’importanza di instaurare un rapporto con la paziente e di condividere il suo problema. In questo modo, infatti, si ragiona sulla stessa lunghezza d’onda per ottenere un buon risultato, soprattutto quando si parla di ricostruzione mammaria.

«La ricostruzione mammaria ha una grande importanza sul piano mentale – spiega il Professore – perché la donna riconosce se stessa». Infatti, questo intervento è fondamentale perché predispone la paziente a ricevere le cure, influenzandone positivamente l’esito.

«Il professore Umberto Veronesi è stato uno dei primi a suggerire di dimettere le pazienti già ricostruite», spiega Klinger. Successivamente, molti dottori hanno seguito questo suggerimento, anche se la ricostruzione rappresenta una sfida per i chirurghi.

«Non è facile avere un risultato immediato dopo l’intervento – spiega Klinger – ma io rassicuro sempre le mie pazienti che verranno ricostruite».

Infatti, la ricostruzione è più semplice nei casi in cui si applica la quadran-

tectomia, mentre è più difficile nei rari casi in cui si effettua una mastectomia. «La nipple sparing prevede l’asportazione di tutta la ghiandola mammaria – racconta il Professore – è quindi necessario valutare se la paziente possiede le qualità anatomiche perché possa essere impiegata una protesi.»

Bisogna valutare bene la situazione, soprattutto nei casi in cui cui la paziente è diabetica o fumatrice, e decidere se valga la pena fare una ricostruzione immediata, magari con un espansore.

«È un percorso acciden-

tato – racconta Klinger –va fatto con affetto verso i pazienti». Anche i segni dell’intervento giocano un ruolo fondamentale. Se il tumore è circoscritto, è possibile rimuoverlo con un accesso periareolare e quindi produrre una piccola cicatrice. Questo procedimento si può realizzare grazie alle tecniche mutuate dalla chirurgia estetica.

Durante l’intervento di ricostruzione mammaria è indispensabile agire anche sul seno sano in modo da mantenere un equilibrio. «Nel caso in cui è possibile asportare solo il quadrante malato – precisa il Professore – si

MEDICI E CHIRURGHI 16 L’intervista completa su revee.news

può togliere una parte uguale anche dal seno sano in modo da bilanciare la mammella.»

In caso di mastectomia, invece, possono essere necessarie o una mastopessi o una riduzione di un seno importante.

«In alcuni casi bisogna ipercorreggere in partenza – precisa Klinger – in modo da raggiungere una situazione di simmetria.»

Chirurgia plastica: tra sogno e realtà

«Mi occupo di interventi a 360°; – continua Klinger

– è il bello della chirurgia estetica che accomuna tutte operazioni differenti». Il chirurgo plastico, infatti, deve riprodurre concavità e convessità e, soprattutto, deve prevedere cosa accadrà dopo.

«La mia esperienza si basa su grandi numeri – continua Klinger – che mi hanno permesso di imparare a fare le cose in breve tempo e meglio.»

È anche importante che si instauri empatia con la paziente: «Anche io mi devo innamorare della paziente – precisa Klinger – e quando mi trovo bene, il suo problema diventa il mio e so che il risultato sarà travolgente».

Ci sono alcuni pazienti che portano una foto come rafforzativo, che può essere funzionale all’intervento, previa approvazione e valutazione del chirurgo. In altri casi, invece, le richieste possono essere esagerate. «Per piacersi bisogna piacersi in due – conclude il Professore – se l’empatia non scatta entro il secondo minuto, ritorniamo allo 0-0 e palla al centro». In questo caso, il Professore consiglia di aspettare due mesi e poi di rivalutare l’intervento, in modo da ricominciare il percorso insieme a mente fredda

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CICATRICI: I DIAMANTI DELLA PELLE

Marco Tresoldi, professore a contratto, ricercatore presso l’Università degli Studi di Pavia e chirurgo plastico, spiega e scioglie tutti i dubbi riguardo alle cicatrici.

La reazione dell’organismo

«La cicatrice è un tessuto di riparazione» precisa Tresoldi. Il nostro organismo è talmente evoluto che non riesce a rigenerare i tessuti se non in alcuni casi come l’ambito epatico. «In tutti gli altri distretti si forma un tessuto riparatore – continua il professore – che rappresenta il tentativo di riparazione a un danno».

Infatti, il processo di cicatrizzazione avviene mediante la formazione di un tessuto connettivo

costituito in prevalenza da fibre collagene che funzionano da collante tra i lembi. «In media una cicatrice si forma in 7-10 giorni – continua il Professore – poi inizia un processo di maturazione che attraverserà le fasi di detrazione, contrazione e rimodellamento della cicatrice, e durerà circa un anno».

All’inizio la ferita può essere rossa o violacea perché è il risultato di un trauma, ma la perdita di

MEDICI E CHIRURGHI 18 L’intervista completa su revee.news
Il mestiere del medico è fare diagnosi per poi indicare la terapia migliore
« L e cicatrici sono come diamanti, rimangono per sempre».
Dottor Marco Tresoldi, professore a contratto, ricercatore presso l’Università degli studi di Pavia e chirurgo plastico, ricostruttivo ed estetico

contenuto in acqua delle fibre collagene porta la cicatrice a diventare biancastra e translucida. Tuttavia, possono verificarsi degli esiti anomali che consistono in difetti del processo di cicatrizzazione. «Le cicatrici possono essere ipotrofiche, cioè depresse, o ipertrofiche o cheloidee» precisa il Professore. «In quest’ultimo caso i fibroblasti, cioè le cellule deputate alla produzione di collagene, vengono stimolate a produrne di più e così la cicatrice esce dai margini della ferita» puntualizza Tresoldi.

Cicatrici: predisposizione e trattamento

«In un articolo che è stato pubblicato su riviste internazionali – continua Tresoldi – spiego come il trattamento innovativo della patologia cheloidea

consiste nell’asportazione chirurgica seguita da radioterapia. In questo modo si possono “silenziare” i fibroblasti che producono un eccesso di collagene in sede cicatriziale».

Ci sono alcune zone più propense a sviluppare le patologie ipertrofiche o cheloidee come la regione sternale, deltoide e le superfici articolari. «Ci sono alcune persone più predisposte alla formazione di cicatrici, – spiega Tresoldi – ciò dipende dal fototipo: cioè una classificazione che analizza come la pelle reagisce alla radiazione ultraviolette». Quindi sia la genetica che la topografia anatomica sono entrambi aspetti da considerare durante il processo di cicatrizzazione.

Per trattare le cicatrici si possono utilizzare due tipi di prodotti: il silicone e l’elastocompressio-

ne. «Entrambi aiutano a favorire la riduzione del processo di infiammazione – spiega il Professore –portandolo a una dimensione fisiologica dove la cicatrice appare bianca e piatta». I prodotti a base di silicone possono essere sotto forma di gel o cerotto, l’importante è che il grado di purezza della molecola sia alto. «Perché in caso contrario può provocare fenomeni di dermatiti o ipersensibilità» spiega il professore.

« L’elastocompressione, invece, è da utilizzare in zone soggette a traumi –puntualizza Tresoldi – per evitare che la cicatrice cresca verso l’alto» continua il Professore.

Qualunque tipo di cicatrice abbia il paziente è sempre necessario valutare il quadro clinico: «Il mestiere del medico è fare diagnosi – conclude Tresoldi – per poi indicare la terapia migliore».

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CREMA SOLARE: ALLEATA DELLA BELLEZZA

«I nizialmente nessuno mi ha detto come prendermi cura delle cicatrici, ma poi ho visto sulla mia pelle la differenza che fa una buona crema, sia da un punto di vista estetico che medico» .

Anna Maisetti, fondatrice della community Stile Compresso, racconta come a 22 anni ha scoperto di avere un tumore alla pelle, che ha compromesso anche il suo sistema linfatico e ha richiesto una serie di operazioni chirurgiche.

«In passato mi esponevo al sole alle ore più calde

senza alcuna crema protettivaprosegue Maisetti - Sono molto felice di aver conosciuto la crema Revée, specifica anche per le cicatrici sul volto» afferma. La crema agisce sia come difesa dal sole, grazie alla sua protezione SPF 50+, sia come barriera protettiva per accelerare e facilitare la guarigione delle cicatrici. «Grazie alla crema Revée Sun/Care le cicatrici non si scuriscono, anzi rimangono chiare e migliorano nel tempo.»

ARTICOLO CON INSERIMENTO DI PRODOTTI COMMERCIALI
@stile_compresso
Anna Maisetti, fondatrice della community Stile Compresso
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LIPOSCULTURA: LA FIDUCIA PRENDE FORMA

Stefano Santoro, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, opera presso il Policlinico Campus Biomedico di Roma e il suo studio privato a Napoli, ridisegna il corpo delle sue pazienti che si sottopongono alla liposcultura.

Il chirurgo si occupa di rimodellamento corporeo, utilizzando tecniche innovative e nuove tecnologie.

Liposcultura tra tecnologia e innovazione

«La tecnologia è un grande ausilio per tutte le chirurgie» spiega Santoro. In particolar modo in

chirurgia estetica e per il rimodellamento corporeo si possono utilizzare tre importanti innovazioni: la tecnologia a ultrasuoni, la PAL e il plasma.

«Queste tecniche hanno rivoluzionato il mondo della classica liposcultura – spiega il chirurgo –ottimizzando il risultato dell’intervento». Infatti, molte donne che si rivolgono al chirurgo si sono sottoposte precedentemente a trattamenti cosmetici, che hanno ridotto il volume dell’adipe ma lo hanno anche sclerotizzato rendendolo rigido e difficile da aspirare.

«Gli ultrasuoni frammentano il grasso – precisa il chirurgo – in modo da poterlo aspirare più facilmente». Questa tecnica può essere eseguita sia

manualmente che meccanicamente utilizzando la PAL (Power Assistent Liposuction) che permette di spezzare la fibrosi grazie all’utilizzo di vibrazioni. «In questo modo il chirurgo – continua Santoro – non affatica l’articolazione del polso e dell’avambraccio».

Infine, la tecnologia a base di plasma: «Permette la contrazione di fibre di collagene – spiega il chirurgo – in modo che la pelle si riadatti alla nuova forma scolpita dalla liposcultura, riducendo la possibilità che si crei un pannicolo cutaneo eccedente».

MEDICI E CHIRURGHI 22 L’intervista completa su revee.news
L’educazione alimentare e il post intervento

La tecnologia è un grande ausilio per tutte le chirurgie

La tecnologia applicata alla medicina estetica si può tradurre con la tecnica della carbossiterapia. Un’altra tecnica adatta al rimodellamento corporeo: «Riesce a rompere la fibrosi rivascolarizzando la regione – spiega Santoro – in modo da reidratare il grasso e predisporre il paziente all’intervento». Infatti, questa tecnica è ideale sia per il pre che per il post intervento.

Qualunque metodo si utilizzi per rimodellare il corpo è consigliabile seguire un’educazione alimentare. «Il rimodellamento della silhouette è visibile anche se permane il sovrappeso della paziente – continua Santoro – e aiuta ad acquisire maggiore fiducia». In questo caso è consigliato mantenere un certo regime alimentare anche nel percorso del post-operatorio.

Dopo l’intervento, oltre all’alimentazione, è consigliato utilizzare prodotti che riducano la formazione di ematomi e sieromi, seguendo un protocollo necessario per non com-

promettere il risultato dell’operazione: «Per scongiurare le infezioni prescrivo una profilassi antibiotica – conclude il medico – per quanto riguarda gli ematomi, invece, si utilizzano guaine compressive che devono essere indossate per 40 giorni sia di giorno che di notte».

LUGLIO 2023 revee.news 23
Dottor Stefano Santoro, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, opera presso il Policlinico Campus Biomedico di Roma e il suo studio privato a Napoli.

MOMMY MAKEOVER: LA TRASFORMAZIONE DEL CORPO

Ciò che conta di più è lo stato di salute della paziente

« I l mommy makeover consente di avere una visione armonica del corpo della paziente».

Agostino Bruno, chirurgo plastico ricostruttivo ed estetico, descrive così l’intervento che consente di ridurre gli inestetismi derivanti dalle gravidanze e dall’allattamento.

L’inizio del cambiamento: l’operazione di mommy makeover

«Il mommy makeover è un intervento volto a migliorare sia esteticamen-

te che a livello funzionale i distretti corporei che hanno risentito negativamente della gravidanza» spiega il chirurgo. Questo intervento, che può durare fino a sei o sette ore, agisce su tre macro aree: il dorso, la mastoplastica e la chirurgia dell’addome.

Nel primo caso si interviene sui fianchi, l’esterno coscia e si rimodellano i glutei. Nella seconda area si può effettuare una mastoplastica additiva o una mastopessi anche con protesi. «È possibile effettuarla nei casi in cui il seno della paziente scenda a causa dell’allattamento» spiega Bruno. Infine la chirurgia dell’addome riguarda l’intervento di addominoplastica

MEDICI E CHIRURGHI 24 L’intervista completa su revee.news
Dottor Agostino Bruno, chirurgo plastico ricostruttivo ed estetico - Roma

che può essere completa o mini. «In questo caso si si effettua sia un miglioramento della componente estetica che funzionale – spiega il chirurgo – perché si correggono problematiche come la diastasi, il floppy wall (generale lassità della parete) ed ernie ombelicali».

Le nuove tecnologie a disposizione rendono il mommy makeover un intervento meno invasivo e con una ripresa più veloce. «L’operazione è vantaggiosa perché richiede un’unica anestesia e un’unica riabilitazione nonostante si effettuino più operazioni». In questo modo la paziente deve affrontare una sola convalescenza e questo rappresenta un grande vantaggio.

Dopo la trasformazione

«La candidata ideale è una paziente tra i 30 e i 40 anni che non desideri più avere gravidanze» precisa il chirurgo. Tuttavia l’intervento non si rivolge solo a chi ha partorito, ma anche alle pazienti ex bariatriche e tutte le donne che vogliono migliorare il loro aspetto fisico.

Non ci sono paletti rigidi

sulle condizioni necessarie per effettuare l’operazione. «Ciò che conta di più è lo stato di salute della paziente» precisa Bruno. Inoltre, sia prima che dopo l’intervento la paziente viene affiancata da un fisioterapista per permettere una riabilitazione veloce: «volta a minimizzare l’edema post-operatorio»

È anche importante insegnare alla paziente come muoversi, respirare e tossire in modo da non compromettere il risultato dell’operazione. «Dopo l’intervento, soprattutto per la correzione della diastasi e del floppy wall, si verifica un cambia-

mento del pattern di respirazione» spiega il chirurgo.

Oltre alla riabilitazione è importante indossare indumenti compressivi dopo l’intervento. «È assolutamente fondamentale l’impiego di guaine nel post-operatorio» precisa il chirurgo. La compressione, infatti, è utile per circoscrivere e minimizzare l’edema post-operatorio.

«Gli indumenti post-operatori giocano un ruolo fondamentale per poter tornare velocemente alla vita di tutti i giorni» conclude Bruno.

revee.news 25

PARALISI DEL NERVO FACCIALE: TORNARE A SORRIDERE

nervo facciale, come ad esempio le grosse ferite da taglio sul viso.

I pazienti con questa malattia perdono il controllo dei muscoli del viso, impedendo loro di esprimersi con la mimica facciale. Il dottor Marco Borsetti, specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva e responsabile della Struttura Semplice di Chirurgia della Mano e Microchirurgia presso l’ospedale Maria Vittoria, da anni si occupa di trattare la paralisi del nervo facciale e di sostenere i pazienti nel percorso di guarigione.

«La paralisi del nervo facciale è una patologia ancora un po’ di nicchia ma più diffusa di quel che si pensi» dice Borsetti. Le cause della malattia sono varie, e una buona parte sono dovute agli interventi chirurgici per la rimozione di tumori che interessano il viso. Ad esempio, quando il nervo acustico viene attaccato dal cancro, l’operazione per rimuoverlo a volte deve per forza danneggiare anche il nervo facciale, soprattutto in casi di tumore avanzato. Il recupero della mobilità può essere spontaneo, altrimenti va risolto con trattamenti specifici. Anche eventi traumatici possono causare la paralisi del

«Ma la causa più frequente è chiamata paralisi idiopatica, un nome complesso che indica che l’origine non è ben chiara. In qualche paziente infatti questa paralisi improvvisa nasce senza riscontrare una causa specifica» afferma lo specialista, evidenziando come i muscoli del viso e il modo in cui il cervello li governa sono ancora un piccolo mistero. «La mimica facciale è veramente complessa ed è ciò che ci rapporta al mondo».

Nel campo della paralisi del nervo facciale la medicina e la scienza hanno fatto comunque importanti progressi. Nuove tecnologie e strumenti all’avanguardia permettono interventi chirurgici

MEDICI E CHIRURGHI 26 L’intervista completa su revee.news
« L a paralisi del nervo facciale è una patologia poco conosciuta che ha grandissime conseguenze negative sulla vita delle persone affette».
Paralisi del nervo facciale, cos’è e come si sviluppa

precisissimi, eseguiti con l’aiuto di un microscopio grazie al quale il medico ha una visuale perfetta dei nervi e dei muscoli che ricuce. «Stiamo andando nella direzione in cui riusciamo a ristabilire un sorriso spontaneo e non meccanico, che era il problema all’inizio di questa chirurgia» afferma con orgoglio.

Dopo quanto tempo si torna a sorridere?

«La paralisi del nervo facciale coinvolge diversi ambiti, per cui per il suo trattamento rientrano oculisti, otorinolaringoiatri, chirurghi plastici, neurologi e neurochirurghi» spiega Borsetti. Ed è per questo che ha creato un ambulatorio specifi-

co per il trattamento di questa patologia all’interno dell’ospedale Maria Vittoria. Il suo obiettivo, oltre a operare i pazienti, è guidarli in un percorso di guarigione che parte dall’informazione e arriva alla fine della riabilitazione. L’ambulatorio è «una struttura pluridisciplinare in cui poter dare una risposta completa e integrata in un tempo unico al paziente, dandogli la possibilità di tornare a casa con una risposta a questo problema».

Ci sono due tipi di operazioni. La prima, più semplice, si chiama statica e serve a garantire la simmetria del viso a riposo. Vengono applicati dei tiranti che sostengono il muscolo, ma non riescono a ripristinare l’intera

mimica del paziente. La seconda operazione è quella dinamica, ed è più adatta ai pazienti giovani e disposti a sopportare un lungo tempo di riabilitazione. In questo caso si procede a trasferire tessuto muscolare nelle zone colpite dalla paralisi del nervo facciale, che va poi innervato utilizzando degli strumenti di alta precisione. Queste procedure sono invasive, ma anche sicure e precise, dato che si utilizzano tessuti del paziente stesso eliminando il rischio di rigetto. «La cosa difficile è far capire al paziente cosa si deve fare perché deve essere una scelta condivisa» spiega il chirurgo.

La riabilitazione dopo un’operazione per la paralisi del nervo faccia-

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Dottor Marco Borsetti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, responsabile della Struttura Semplice di Chirurgia della Mano e Microchirurgia presso l’ospedale Maria Vittoria di Torino
Mi stupiva sempre vedere pazienti che arrivavano dopo aver vagato mesi e anni, dopo aver visitato specialisti in tutta Italia, senza trovare una risposta

le varia da 1-2 giorni nel caso di intervento statico fino a 6 mesi per il recupero completo dopo un’operazione dinamica. Nel caso di chirurgia statica, «il paziente esce già dalla sala operatoria come noi vorremmo si stabilizzasse il risultato, per cui dopo un breve ricovero il paziente ha già ottenuto il risultato che volevamo» conferma Borsetti.

«Dall’altra parte, con il trasferimento di muscoli reinnervati si ha bisogno di diversi mesi, anche 6 mesi, perché le anastomosi nervose [ndr. le suture artificiali tra i vari nervi] comincino il loro lavoro.» Infatti, i nervi sono composti da una guaina esterna e da una parte interna. Mentre la guaina si può suturare, la parte interna cresce di 1 mm al giorno, richiedendo quindi molto tempo prima di poter apprezzare appieno i risultati.

La storia di Veronica. Una nuova vita dopo 13 anni

«La maggior parte dei pazienti sono provati a livello psicologico» dice Borsetti. Infatti, la paralisi del nervo facciale impedisce alle persone di comunicare normalmente, dato che la mimica del

viso è fondamentale per farsi comprendere. Un aspetto non conforme agli standard tende, purtroppo, a mettere a disagio gli altri. Per questo, il chirurgo è convinto che trattare la paralisi sia un intervento che migliora non solo il fisico ma anche la mente, e contribuisce davvero a cambiare la vita del paziente.

Un caso in particolare ha colpito molto il dottore, quello di Veronica, una donna che a 18 anni ha subito un trauma fisico che l’ha portata ad avere una paralisi del nervo facciale.

«Compiva una vita molto isolata da tantissimi anni e non riusciva a rapportarsi con le altre persone» ha raccontato Borsetti.

«Ha fatto questo accesso al nostro ambulatorio, noi l’abbiamo operata con il trasferimento microchirurgico di questo

muscolo gracile muscolo della coscia] tutta una serie di proce dure ancillari, ed è uno di quei casi che ti ripagano di tutte le fatiche perché ha detto a gran voce che le abbiamo cambiato vita e restituito la felicità: ha trovato un lavoro e ha trovato degli amici clude soddisfatto il chirur go.

Quindi, la paralisi del ner vo facciale è una patologia di cui si parla ancora poco nonostante gli effetti in credibilmente debilitanti che subisce chi ne soffre. Il dottor Marco Borsetti ha quindi preso sulle sue spalle questa missione: riabilitare i pazienti e farli tornare a vivere nella so cietà senza timori, tuendo loro il sorriso che gli era stato strappato.

MEDICI E CHIRURGHI 28 L’intervista completa su revee.news

TUMORE DELLA MAMMELLA: L’IMPORTANZA DEL SSN

Lo scorso 15 settembre il comitato promotore di Donna x Donna è stato in Senato per chiedere un adeguamento del Sistema Sanitario Nazionale per ogni ricovero legato al tumore della mammella. A parlarne è la dottoressa Barbara Cagli, referente chirurgo plastico della Breast Unit del Campus Bio-Medico di Roma e membro del Comitato.

«Donna x Donna è una Onlus fondata a fine del 2018 – racconta la dottoressa – quando è scoppiato il caso del linfoma associato alla capsula protesica degli impianti mammari». I chirurghi hanno speso molte ore per spiegare e tranquil-

lizzare le pazienti e da queste riflessioni è nata una brochure informativa. Il comitato promotore di questa iniziativa è stato in Senato per sollevare un’altra questione legata al tumore della mammella. «Ci siamo accorte che i DRG (Diagnosis Related Groups), cioè i rimborsi che il Sistema Sanitario Nazionale dà per ogni ricovero legato al tumore della mammella, sono esigui e variabili da regione a regione» spiega la dottoressa. Ciò non consente, sempre, di poter scegliere il meglio per le pazienti, anche se i chirurghi si impegnano a farlo.

Il momento della diagnosi

«Quando si riceve la diagnosi di tumore della mammella – spiega

Cagli – è un momento difficile da gestire, soprattutto all’inizio». In quell’istante è importante sviluppare la giusta consapevolezza perché la paziente deve essere parte attiva del processo di cura. «La volontà subentra in un secondo momento – continua la dottoressa – anche perché fortunatamente il messaggio che diamo, accanto alla diagnosi, è che c’è un tasso di guarigione elevatissimo».

È importante non scoraggiarsi e affrontare con grinta la battaglia. «Noi siamo la visita che guarda al futuro – spiega la dottoressa – le nostre pazienti entrano con tante paure e incertezze ma escono con una speranza concreta di poter guarire». Infatti, oggi la diagnosi di tumore della mammella è accompagnata

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« A bbiamo chiesto di creare nelle Breast Unit dei percorsi che il SSN rimborsi adeguatamente».

da cure ultraspecializzate anche da un punto di vista ricostruttivo. Si parla di mastectomia e ricostruzione estetica perché sia il lavoro dei chirurghi plastici che dei senologi, e di tutti coloro che fanno parte delle Breast Unit, è in continuo miglioramento.

Tumore della mammella e mutazione genetica

«Anche se si parla di mastectomia estetica e di ricostruzione estetica – precisa Cagli – è sempre importante dirsi la verità». Infatti, non si può paragonare una ricostruzione mammaria a una mastoplastica additiva. «Questo è un concetto importante soprattutto per le pazienti che non

hanno il tumore della mammella – racconta la dottoressa – ma hanno una mutazione genetica, quindi un’alta probabilità di svilupparlo nel corso della vita». In questo caso, infatti, è più difficile far maturare la consapevolezza nelle pazienti che si sottopongono a un intervento profilattico. «Le donne che hanno il tumore della mammella – continua Cagli – hanno un’altra prospettiva, hanno talmente tanta grinta che accettano tutte le conseguenze»

Invece, ciò è più complicato per chi si sottopone a un intervento senza avere il tumore della mammel-

la, perché le aspettative sono molto più alte ed è importante essere sinceri e informare correttamente le pazienti

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Dottoressa Barbara Cagli, referente chirurgo plastico della Breast Unit del Campus BioMedico di Roma e membro del Comitato DonnaxDonna www.beautifulafterbreastcancer.it
Quando si riceve la diagnosi di tumore della mammella è un momento difficile da gestire, soprattutto all’inizio

PRIMA DEL GENERE, C’È LA PERSONA

Per il professor

Paolo Valerio, presidente dell’ONIG (Osservatorio Nazionale sull’Identitа di Genere), fare informazione sulle identità di genere è un mezzo per promuovere inclusivamente una cultura che veda nelle differenze una risorsa da valorizzare e non un ostacolo.

È necessario sostituire la cultura basata su un’ideologia patriarcale, sessista, genderista, ed eteronormativa, che fa riferimento agli stereotipi di genere.

Lo psicoterapeuta racconta, attraverso la sua esperienza e le realtà di cui fa parte, quanto sia importante aprire le menti per creare una società più inclusiva, in cui tutti e tutte abbiano le stesse opportunitа e gli stessi diritti.

Infatti, lo statuto delineato dall’ONIG, secondo un approccio affermativo, si basa su due principi fondamentali: il non binarismo di genere e la depatologizzazione. Una persona transgender non è malata, è una persona che ha il diritto di veder riconosciuto il genere percepito, con il quale si identifica, indipendentemente dal sesso assegnato alla nascita. Ha il diritto che le venga offerto un intervento svolto in un’ottica affermativa, cioè, culturalmente informato e sensibile ai bisogni e che prenda in considerazione: il peso del minority stress, l’autonomia e la resilienza. È importante, inoltre, contribuire a ridurre le barriere sociali e culturali che possono interferire con il benessere psicofisico, sessuale e sociale delle persone transgender.

«Nel ’95 arrivò nel mio studio una ragazza dall’aspetto molto femminile inviata a consulto

da un collega uro-andrologo – spiega Valerio –con la richiesta di essere aiutata a fare quello che all’epoca si chiamava ‘cambio di sesso’». Oggi la terminologia è cambiata Le persone transgender, cioè coloro che non si identificano con il genere assegnato alla nascita sulla base dell’apparenza dei genitali esterni, chiedono di intraprendere un percorso di transizione che consenta di vivere pienamente nel genere percepito in cui si identificano, che può essere maschile, femminile o non binario.

«All’epoca ero già professore universitario e psicoterapeuta – continua Valerio – conoscevo le questioni legate all’orientamento sessuale, ma dal punto di vista clinico non avevo mai incontrato una persona che volesse intraprendere questo percorso». Il professore consigliò alla ragazza di rivolgersi a una sua collega che aveva più esperienza,

ASSOCIAZIONI 32 L’intervista completa su revee.news

Noi sappiamo abbastanza del cervello ma non

e in quel momento comprese che doveva cominciare a studiare e ad approfondire questo tema. «Negli anni in cui ho cominciato – precisa Valerio – era comprensibile, anche se non giustificabile, che uno psicologo clinico non avesse competenze in quell’area specifica perché erano tematiche che non venivano affrontate all’università. Oggi la formazione dei futuri medici, psicologi, infermieri, cioè dei professionisti impegnati nei servizi psico-socio-sanitari, non può non affrontare queste sempre più diffuse aree tematiche».

Bisogna considerare che storicamente, e in diversi contesti, è segnalata la presenza di persone che non si riconoscono nel sesso assegnato sulla base dell’apparenza dei genitali esterni. Da sempre a Napoli è stata descritta la presenza dei “femminielli“, delle Hijras in India, delle Muxes in Messico, dei Kathoey o Ladyboys in Tailandia e delle Vergini Giurate o Burrneshe nei paesi balcanici. Queste figure sono donne che si identifica-

no come uomini e sono riconosciuti come tali in quella società. Nonostante ciò, ancora oggi, viene stigmatizzata la femminilizzazione del maschio. Basti pensare a espressioni come “Non piangere! Non comportarti come una femminuccia!” che, se rivolta a un maschio, soprattutto davanti agli amici, ha una connotazione dispregiativa.

D’altra parte, il più alto tasso di abbandono scolastico riguardava le ra-

gazze transgender, perchè, almeno in passato, subivano violente forme di bullismo omo-transfobico. Negli ultimi tempi si comincia ad assistere a un cambiamento soprattutto nell’ambiente scolastico e tra i giovani. Ad esempio in molte scuole italiane gli studenti appoggiano le richieste dei compagni e delle compagne di classe transgender di essere appellati/e con un nome in sintonia con il genere con cui si identificano.

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Paolo Valerio, professore onorario di Psicologia Clinica, Presidente dell’ONIG - Osservatorio Nazionale sulle Identità di Genere e della Fondazione Genere
abbastanza della mente

Il video “How to be a girl” descrive la storia di un bambino di tre anni, assegnato maschio alla nascita che presenta un’Organizzazione Atipica dell’Identitа di Genere e che chiede alla madre di essere riconosciuta come una bambina. «Nel video la bambina richiede in modo chiaro e preciso –spiega il professore – che le venga riconosciuto il diritto di poter auto determinare il genere a cui sente di appartenere, diritto che deve essere riconosciuto alle persone transgender e gender nonconforming».

Questa storia solleva dubbi e incertezze su cui la scienza si interroga e a cui non è semplice dare una risposta. Offre, però, anche l’opportunitа di riflettere su due aspetti: come si insegna oggi a un bambino o a una bambina a comportarsi da maschio o da femmina? Sono ancora validi gli stereotipi su cui si è basata l’educazione delle passate generazioni? «Gli elementi nefasti della nostra cultura sono lo stereotipo e il pregiudizio – continua Valerio – e il figlio malvagio di questa coppia è lo stigma, da cui possono derivare comportamenti omo-transfobici».

È utile ricordare che l’identità sessuale non è definita solo dal corpo e dalla biologia, ma contribuiscono a definirla anche i ruoli di genere. Essi riguardano i comportamenti assunti per confermare a noi stessi e agli altri il genere con cui ci si identifica e sono in modo stereotipato, espressione dei contesti, della cultura e dei tempi in cui viviamo. Infine, gli altri due fattori che definiscono l’identità sessuale sono l’identità di genere (maschile, femminile o non binario) con cui ci si identifica e l’orientamento sessuale. Questi due fattori riguardano la soggettività e l’attività psichica.

«Noi sappiamo abbastanza del cervello ma non abbastanza della mente» continua Valerio. «Non abbiamo ancora valide e incontrovertibili spiegazioni scientifiche su come possa, un aggregato di neuroni sentire, patire, dare origine alle emozioni. Nessuno ha ancora dato una risposta scientificamente valida al dilemma cartesiano del rapporto tra corpo e mente. Dobbiamo, quindi, riconoscere di non sapere abbastanza e di non poter dare risposte certe a tutte le questioni che hanno a che fare

con la soggettività, con l’identità di genere e con l’orientamento sessuale. Possiamo ipotizzare che sono il frutto dell’interazione tra cultura, natura e caso. Quando parliamo di identità di genere e di orientamento sessuale parliamo, quindi, di soggettività e di modi di essere» continua il professore.

«La modernità ci costringe a confrontarci con cambiamenti a cui non siamo sempre pronti a adattarci e comprendere e a cui, spesso, opponiamo ottuse resistenze. – continua Valerio – Oggi incontriamo persone non binarie e gender queer, persone che sentono la propria identità di genere fluida e chiedono che tale identità venga riconosciuta»

Conclude il professore: «Sulla base della mia esperienza ho appreso che siamo tutti costretti a vivere nell’ incertezza. Dobbiamo offrire a tutte e tutti, in un’ottica inclusiva ed equa, l’opportunità di vivere un’esistenza dignitosa, senza basare i nostri comportamenti su pregiudizi che non hanno alcuna validità e fondamento etico, morale o scientifico»

ASSOCIAZIONI 34 L’intervista completa su revee.news

NEL PROSSIMO NUMERO DI REVÉE NEWS

Focus: tumore al seno

Nel prossimo numero di Revée News parleremo di una malattia in costante aumento nella popolazione femminile.

Spiegheremo cos’è una Breast Unit e come affrontare un tumore nell’intervista al professore e senologo Luigi Cataliotti

Il professore Paolo Veronesi parlerà della Fondazione Umberto Veronesi e dell’impegno delle associazioni nella prevenzione.

Interverranno diversi esperti del settore per divulgare la prevenzione, la cura e il sostegno psicologico.

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Revée News 01 - Luglio 2023 by Revée NEWS - Issuu