4 minute read

23. Depressione

Toronto, 30 gennaio 1922. Fred diede un’occhiata fuori dalla finestra. C’era un cielo color cenere, e si girò dall’altra parte, affondò la faccia nel cuscino e richiusegli occhi.E dire che la sera prima non si era neanche ubriacato, o forse sì. Semplicemente certe mattine aveva voglia di saltare l’intera giornata. Girarsi nel letto e un quarto s’ora doporiapriregliocchievederel’albadelgiornosuccessivo. Con tutti i problemi svaniti nell’aria insieme alle 24 ore saltate. Ci provò anche quel giovedì ma quando riaprì gli occhi le lancette della sveglia non erano progredite neanche di un quarto d’ora, ma, esattamente, solo di otto minuti. E la giornata era ancora tutta davanti a lui; fuori dalla finestra, oltre i contorni dei vetri scuri,c’eralostessocielogrigiocenere diprima.Accettòlaverità che restare a letto non aveva senso; erano quasi due settimane che non andava al lavoro, e si alzò. Ciabattò fuori dalla, chiamiamola così, zona notte, verso l’angolo cucina, per mettere su l’acqua per il caffè come non faceva da alcune mattine, poi in bagno. Si gettò dell’acqua fredda sulla faccia, accese la stufetta. Poi fece il caffè che col suoprofumorendevailsuoumore un po’ più conciliante. Bussarono alla porta della stanza della pensione che l’ospitava. «Chi è?» «Fred, sono io Charley.» «Che cazzo vuoi?» «Sono preoccupato per te. Sono un sacco di giorni che non ti fai vedere.» «Infatti.» Fred andò ad aprirgli. Best entrando: «Ehi, nella stanza c’è aria viziata e irrespirabile per il fumo delle sigarette.» Decise di aprire la finestra. Dopo averla spalancata si riavvicinò a Fred, il quale lo guardò intensamente e poi disse: «E allora ? Lo vedi?»

«Cosa?» «Come cosa. Un carro armato avanza cigolando. È come un gigante che esce da un mondo primordiale, con un dorso enorme, nerastro e nudo, pesantemente trascinato da due giganteschi millepiedi che sfregano sopra il terreno strisciandoe strascicando. Sullatestahaduefrogiedilatatechesoffianodicontinuo,ininterrottamente, e sibilano vomitando fiamme giallastre appuntite.» «Un carro di che? Stai delirando.Ti senti bene?» Best gli mise la testa sotto l’acqua. «Fred questa stanza fa schifo. È ridotta un letamaio e l’aria è viziata,irrespirabile.Quantemaledettesigarettetifumialgiorno?» «Chiudi la finestra che fa freddo.» «E queste bottiglie da laboratorio che cosa ci fanno qui?» «Quando non ho piùnulladabereprendol’alcoolpuro al95 per centoche usiamoinlaboratorioper laproduzionedell’estratto pancreatico e mi bevo quello.» Charlie tornò a dare un’occhiata alla stanza. Accanto ad un vaso pieno di mozziconidisigarettec’eraunapiladifoglidadisegnodi quelli per dipingere ad acquarello, e poi tubetti di colore, pennelli, vasetti sporchi di tinta.Altri pennelli di diversa grandezza e forma eranosparsiunpo’dappertutto perla stanza.Sichinòsullapiladei fogliesimiseaguardarli,moltieranopaesaggi, e c’era qualche natura morta e qualche ritratto. In uno aveva riconosciuto Edith. «Tu sei matto tutto. Chi hai visto in questi giorni?» gli chiese. «Nessuno.Ah sì, dimenticavo! Un giorno Edith è venuta. Poi Edith se ne è andata. Dopo Edith ha telefonato. Infine Edith mi ha scritto…

ELISABETH HUGHES E LA MAMMAANTONIETTE

laprimaletteraumanadaquandociconosciamo:laletterad’addio.» «Era ora che questa storia finisse in modo definitivo. Che senso ha bere così tanto?» «Per non pensare e sopportare il passare delTempo.» Fred aveva scoperto ciò che sanno tutti gli alcolizzati, un buon liquore era in grado di fermare o almeno di rallentare lo scorrere del Tempo. «Finché bevi il mondo gira al contrario, e la terra scorre nel modo giusto sotto i piedi.»

«Ma questa non è vita, Fred.» «Si,losannotutti.Esauritaladosequotidianadiillusioni,dicertezze ingannevoli, arrivano i conati di vomito devastanti, le fitte allostomaco,lemattine confuse,ladepressione.Maèsempremeglio di niente.» Best lo aggiornò della situazione al laboratorio. EsullaterapiainiettivachestavafunzionandocolragazzoLeonard. «Senti è necessario ed opportuno che torniamo a lavorare insieme perverificare,etestareanchenoi,l’estrattodefinitivodautilizzare.» «Pensaci tu.» «MaanchepernonlasciareilcampoliberoaCollip.Nonègiusto dopo tutto quello che abbiamo fatto.» «Non sono più interessato» rispose Banting. «Non ci credo proprio che tu non sia più interessato.» «Hairagione,maiovorreisoloavereilcontrollosuquelladannata ultimaformula,liberandomidiqueiduefiglidiputtanadiCollip e Macleod.» «Lovedi.Alloraseid’accordoconmeanchesuCollip.Etuche lo hai sempre difeso.Avevo ragione io a non volerlo con noi.» «No,conte,nonsonod’accordo.Ancheperchéfaisempreilpesce inbarile conMacleodeseigelosodiCollip.Tienisempreilpiede in due staffe. Finisco il ciclo di lezioni che devo fare con Henderson, perché è lui che mi stipendia, e poi me ne vado via da Toronto,percercareunpostodovec’èdellagentedecente,unposto in cui poter vivere.» E iniziò a cantare.

This little pig went to market. This little pig stayed home.

Allora Best gli chiese. «Cosa accadrà di me?» «Ate,cheseiunfinto,unoconduefacce,cipenseràiltuoamico pig-porco Macleod.» «Setutenevai,meneandròanch’io»disseinaspettatamenteBest. Un momento di silenzio. Fred riempì il bicchiere. «Ancora. E basta bere, la vuoi smettere?» BestprovòatogliergliilbicchieredimanomaFredsispostòper non farselo

prendere e si fermò un attimo davanti allo specchio. «Secondo te che tipo di volto ho?» «In che senso? Ma che ne so. Direi la faccia di un uomo che ha visto e fatto molto nella vita.» «Le borse sotto gli occhi, la linea arcigna e stretta della bocca, che anche quando sorride si volta verso il basso…» «Dai Fred, quelli sono solo gli effetti dell’alcool.» Banting si girò e squadrò le bottiglie, in particolare il bottiglione di whisky sul tavolo, con poco più di un dito di liquido chiaro e scintillante rimasto sul fondo. «La vera forza dell’alcool, il suo dono, è la capacità di spogliare la realtà di ogni illusione: permette agli uomini di riflettere sulla logicadellanecessità, quellasensazionechestringeilcollocome uncollared’acciaio.Maallevolte, sidice,ènecessarioridarespazio alle illusioni.» «Lo sai non riesco sempre a seguirti quando fai certi discorsi. Comunque, diciamo ‘giusto!’ti do ragione, e quindi?» «Io le illusioni le chiamo sogni e non ne posso fare a meno.» Poi si schiarì la voce e calibrò le parole: «Quindi, lasceresti anche tu se io mollo? Questa sì che è lealtà. Non me l’aspettavo. Ok.! Allora se è così mi hai convinto. Questo è l’ultimo bicchiere che berrò fino a che l’insulina non inizierà a scorrere pura nelle vene di tutti i diabetici. Serviti Charley.» «No grazie.» «L’ultimo goccio è tuo.» «Ne faccio a meno con piacere, specialmente a quest’ora.» «Peggio per te.» Fred si versò nel bicchierequello che restava della bottiglia. «Riprenderemoalavoraredomanimattinaallenovespaccate.Ripartiremo dal punto in cui ci eravamo fermati, chiedendo notizie aCollip.Edinizieremo ancheadoccuparcidiunanuova ricerca sul cancro.» Finalmente Best sorrise soddisfatto.

JAMES BERT COLLIP

This article is from: