23. Depressione
Toronto, 30 gennaio 1922. Fred diede un’occhiata fuori dalla finestra. C’era un cielo color cenere, e si girò dall’altra parte, affondò la faccia nel cuscino e richiuse gli occhi. E dire che la sera prima non si era neanche ubriacato, o forse sì. Semplicemente certe mattine aveva voglia di saltare l’intera giornata. Girarsi nel letto e un quarto s’ora dopo riaprire gli occhi e vedere l’alba del giorno successivo. Con tutti i problemi svaniti nell’aria insieme alle 24 ore saltate. Ci provò anche quel giovedì ma quando riaprì gli occhi le lancette della sveglia non erano progredite neanche di un quarto d’ora, ma, esattamente, solo di otto minuti. E la giornata era ancora tutta davanti a lui; fuori dalla finestra, oltre i contorni dei vetri scuri, c’era lo stesso cielo grigio cenere di prima. Accettò la verità che restare a letto non aveva senso; erano quasi due settimane che non andava al lavoro, e si alzò. Ciabattò fuori dalla, chiamiamola così, zona notte, verso l’angolo cucina, per mettere su l’acqua per il caffè come non faceva da alcune mattine, poi in bagno. Si gettò dell’acqua fredda sulla faccia, accese la stufetta. Poi fece il caffè che col suo profumo rendeva il suo umore un po’ più conciliante. Bussarono alla porta della stanza della pensione che l’ospitava. «Chi è?» «Fred, sono io Charley.» «Che cazzo vuoi?» «Sono preoccupato per te. Sono un sacco di giorni che non ti fai vedere.» «Infatti.» Fred andò ad aprirgli. Best entrando: «Ehi, nella stanza c’è aria viziata e irrespirabile per il fumo delle sigarette.» Decise di aprire la finestra. Dopo averla spalancata si riavvicinò a Fred, il quale lo guardò intensamente e poi disse: «E allora ? Lo vedi?» 111