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Normativa Pillole legislative

Prodotti vegetali: è legittimo utilizzare le denominazioni “latte”, “burro”, “formaggio”?

Avv. Sara Checchi Studio Legale Gaetano Forte

Lo scorso ottobre il Parlamento europeo, nell’ambito delle votazioni relative al futuro della PAC, ha respinto la proposta di riservare le denominazioni relative alla carne (quali ad esempio i termini bistecca, salsiccia, scaloppina, burger, hamburger, ...) ai soli prodotti contenenti carne; pertanto è decaduta la previsione di un divieto espresso nell’uso di denominazioni caratteristiche della carne per i prodotti a base vegetale, come ad esempio, le polpette di soia, gli hamburger a base di verdure cd. “veggie burger”, la salsiccia vegana, ecc. Una decisione diametralmente opposta è invece stata assunta dagli europarlamentari in relazione alle denominazioni dei prodotti lattiero-caseari: è infatti stato confermato il divieto di utilizzare termini quale “latte”, “siero di latte”, “panna”, “burro”, “formaggio” ecc. per prodotti diversi da quelli individuati ai sensi dell’allega-

to VII parte III del Regolamento (UE) n. 1308/2013 recante la disciplina sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli. In altre parole le denominazioni sopra elencate non possono essere impiegate per designare prodotti puramente vegetali come, ad esempio, le bevande a base di soia, riso e/o altri derivati di origine vegetale in quanto riservate esclusivamente al latte e ai prodotti derivati dal latte ossia ai prodotti di origine esclusivamente animale. Non si tratta di una novità ma di una conferma della regolamentazione vigente posto che già da diverso tempo all’interno dell’Unione europea non è legittimo usare la denominazione “latte” per le bevande vegetali; così come è vietato l’uso improprio dei nomi tipici di prodotti derivati dal latte quali burro, crema di latte, formaggio, yogurt per la commercializzazione e la pubblicità di prodotti vegetali.

LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO

La tutela delle denominazioni lattiero-casearie è oggetto di una precisa regolamentazione, in primis stabilita dall’Allegato VII parte III del cd. Regolamento OCM (n. 1308/2013) secondo il quale si definisce “latte: esclusivamente il prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione”. Mentre per “prodotti lattiero-caseari si intendono i prodotti derivati esclusivamente dal latte, fermo restando che possono essere aggiunte sostanze necessarie per la loro fabbricazione, purché esse non siano utilizzate per sostituire totalmente o parzialmente uno qualsiasi dei componenti del latte”. Successivamente la normativa stabilisce che sono riservate esclusivamente alla commercializzazione di prodotti lattiero-caseari alcune specifiche denominazioni quali, ad esempio: » siero di latte, » crema di latte o panna, » burro, » formaggio, » yogurt, » ecc.

Tuttavia vi sono delle eccezioni alla disciplina generale: la decisione 2010/791/UE contiene un elenco di prodotti “la cui natura esatta è chiara per uso tradizionale e/o qualora le denominazioni siano chiaramente utilizzate per descrivere una qualità caratteristica del prodotto”. Per la lingua italiana è ammessa una deroga per alcune denominazioni quali latte di mandorla, burro di cacao, latte di cocco, fagiolini al burro.

LA CASISTICA GIURISPRUDENZIALE

Anche la Corte di Giustizia europea è intervenuta sul tema con diverse pronunce tra cui l’ultima, in ordine cronologico, è la cd. sentenza TofuTown (Causa C-422/16) che ha sancito il divieto di utilizzo delle denominazioni lattiere anche qualora i prodotti a base vegetale siano accompagnati da indicazioni che chiariscano la natura vegetale del prodotto, come ad esempio formaggio vegetale, veggie cheese, ecc. Il caso oggetto della pronuncia traeva origine da un’azione inibitoria promossa da un’associazione tedesca nei

Processo di lavorazione del tofu, Indonesia

confronti di una società operante nel settore della fabbricazione e della distribuzione di alimenti vegetariani/vegani che pubblicizzava e distribuiva prodotti puramente vegetali utilizzando le denominazioni «Soyatoo burro di tofu», «formaggio vegetale», «Veggie-Cheese», «Cream» e altre denominazioni simili. Secondo l’associazione ricorrente tale pratica si poneva in contrasto con le regole della concorrenza sleale e violava la regolamentazione europea così come stabilita dal Regolamento (UE) n. 1308/2013 nella parte relativa alle denominazioni riservate al latte e ai prodotti lattiero caseari. L’azienda sosteneva invece che non le potesse essere addebitata alcuna violazione dato che i consumatori avevano acquisito nel corso degli anni una profonda consapevolezza nell’identificazione dei prodotti ed erano in grado di attribuire un significato corretto alle denominazioni utilizzate le quali erano tra l’altro accompagnate da espressioni contenti un richiamo all’origine vegetale dei prodotti. In tale contesto il Tribunale tedesco sospendeva il giudizio e adiva la Corte di Giustizia europea chiedendole di interpretare la normativa in questione. I Giudici di Lussemburgo rilevavano che il latte è per definizione il prodotto della secrezione mammaria e l’aggiunta di indicazioni come “di soia” o “di tofu” non risponde ai criteri previsti dall’art. 78 par. 2 in combinato disposto con l’Allegato VII, parte III, punti 1 e 2, del Regolamento (UE) n. 1308/2013 in quanto le indicazioni esplicative o descrittive volte ad indicare l’origine vegetale del prodotto non fanno parte dei termini che possono essere utilizzati congiuntamente alla denominazione «latte». Secondo la Corte le modifiche che ha subito la composizione del latte suscettibili di essere designate da termini integrativi sono solo quelle che si limitano all’aggiunta e/o alla sottrazione dei suoi componenti naturali, restando esclusa la completa sostituzione del latte da parte di un prodotto puramente vegetale. Nel caso di specie l’espressione “latte di soia” si riferisce ad una vera e propria sostituzione dell’origine animale con quella vegetale, di conseguenza si pone in contrasto con il dettato normativo così come interpretato dalla Corte europea. Analoga considerazione è stata condotta per i prodotti lattiero-caseari. Lo scopo della limitazione nell’utilizzo delle denominazioni riservate dalla normativa al latte e ai prodotti lattiero-caseari risponde all’esigenza di consentire ai consumatori un’identificazione chiara e precisa dei prodotti che presentano proprietà peculiari legate alla composizione naturale del latte di origine animale, evitando qualsiasi dubbio in merito alla composizione del prodotto e assicurando la corrispondenza dell’alimento ai requisiti di qualità indicati nella denominazione stessa. Si deve infatti ricordare che ai sensi del Regolamento (UE) n. 1169/11, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, è necessario che le informazioni sugli alimenti non inducano in errore il consumatore in merito alle caratteristiche dell’alimento, in particolare riguardo alla natura, all’identità, alle proprietà, alla composizione, al metodo di produzione o fabbricazione. Sempre per garantire la tutela degli interessi e

delle aspettative dei consumatori sono previste specifiche regole in merito alla denominazione dell’alimento, più precisamente il Reg. (UE) 1169/11 ne prevede tre tipologie: » “denominazione legale»: la denominazione di un alimento prescritta dalle disposizioni dell’Unione a esso applicabili o, in mancanza di tali disposizioni, la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative applicabili nello Stato membro nel quale l’alimento è venduto al consumatore finale o alle collettività; » «denominazione usuale»: una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello

Stato membro nel quale tale alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni; » «denominazione descrittiva»: una denominazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è sufficientemente chiara affinché i consumatori determinino la sua reale natura e lo distinguano da altri prodotti con i quali potrebbe essere confuso.

Per quanto invece riguarda la tutela della concorrenza, la Corte ha precisato che l’interpretazione normativa così come fornita in sede di giudizio non confligge né con il principio di proporzionalità né con il principio di parità di trattamento. In merito al primo aspetto la Corte ha osservato che l’inserimento di indicazioni descrittive o esplicative non può escludere con certezza qualsiasi rischio di confusione nella mente del consumatore; quanto al secondo principio, i Giudici hanno ritenuto che la società tedesca TofuTown o in generale i produttori di alimenti vegetariani/vegani sostitutivi del latte o dei prodotti lattiero caseari non possano invocare alcuna disparità di trattamento rispetto ai produttori di alimenti vegetariani/ vegani sostitutivi della carne o del pesce in quanto si tratta di prodotti disciplinati da norme diverse. In sintesi, il latte e i prodotti lattiero-caseari fanno parte di un settore diverso da quello dei vari tipi di carne e da quello dei prodotti della pesca, che appartengono addirittura ad un’altra organizzazione comune dei mercati.

CONCLUSIONI

È fondamentale il ruolo del legislatore e della giurisprudenza al fine di garantire che la denominazione di vendita dei prodotti alimentari sia univoca e non ingannevole nonché idonea ad assicurare a tutti i consumatori che i prodotti alimentari soddisfino le caratteristiche solitamente associate ad essi e abbiano effettivamente le caratteristiche e le qualità nutritive corrispondenti alle indicazioni contenute nell’imballaggio o nei messaggi pubblicitari.