Professione Sanità. Giugno 2021

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Anno II | N. 5 | Giugno 2021

PROFESSIONE SANITÀ STESSA SPIAGGIA STESSO COVID In vacanza con vaccino, mascherine e passaporti

Farmaco Alzheimer una rivoluzione non per tutti

Il Recovery Fund punta sulla salute mentale

Virus a prova d’esame. L’ansia della maturità


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EDITORIALE

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L’età della pietra della nuova Era con il matrimonio tra Umanità e Tecnologia di Armando Piccinni

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a pandemia ha rappresentato per noi tutti un enorme cambiamento. Ci ha costretti a modificare radicalmente la nostra vita, ha condizionato le nostre esperienze interiori, i nostri comportamenti, le nostre abitudini spesso frutto di un adattamento durato migliaia di anni. Ci ha obbligati a elaborare nuove strategie di vita e ci ha costretti ad interrompere le nostre relazioni sociali stravolgendo la nostra idea di libertà. Abbiamo aderito con convinzione a nuove norme tassative e regole collettive. La disobbedienza era molto pericolosa: avrebbe potuto comportare una penalità immediata, la malattia con il rischio anche della morte. Il virus non ammetteva deroghe o eccezioni. È un’entità assolutamente totalizzante, non democratica. Ci siamo dovuti adeguare a misure frutto di una dittatura biologica. Chi le ha contestate o le ha sfidate ha pagato a volte con la vita. Gli effetti di queste norme sono state varie: l’allontanamento dalle scuole, dagli uffici e dal lavoro, dai luoghi di ritrovo e divertimento, dagli stadi, dai teatri e dai cinema,

dai ristoranti e via via un elenco interminabile di luoghi che la comunità umana aveva costruito nel corso di migliaia e migliaia di anni per seguire la propria inclinazione alla socialità e allo scambio. Il virus ci ha disunito, ha disarticolato le nostre strutture sociali e questo ci ha permesso di comprendere quanto sia triste e deleterio stare da soli. Quante volte, prima di marzo 2020, abbiamo pensato “vorrei andare su un’isola deserta e restare a pensare, riflettere e godermi il silenzio e la solitudine”? Nei mesi passati la solitudine l’abbiamo vissuta per imposizione. Questo descrive alla perfezione la differenza abissale tra obbligo e desiderio: ci fa comprendere che per obbligo neppure le cose più belle come sorridere, gioire e amare si possono fare. La pandemia ci ha messo di fronte a nuovi panorami per vivere, lavorare, studiare, che hanno stravolto i cardini della nostra cultura. Lo smart working, la didattica a distanza, le tavole con solo la famiglia ristretta ne sono la rappresentazione. Ogni condizione di questi “nuovi” modi di intendere lavoro, socialità, scuola comporta riflessioni diverse.


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EDITORIALE

Chi pratica ormai da mesi lo smart working esprime opinioni controverse. Alcuni si sono ben adattati, scoprendone dei lati positivi, altri stanno chiedendo alle aziende, in questo spiraglio di ripresa, di poter tornare a lavorare in presenza perché non riescono più a sopportare la solitudine della propria casa. D’altronde anche la nostra stessa casa è stata snaturata e sovraccaricata da una serie di ruoli e di compiti che non gli appartengono e a cui non era preparata. L’organizzazione familiare con le sue consuetudini e le sue abitudini si è strutturata nella sua organizzazione nel corso di migliaia di anni: quello che noi eravamo abituati a vivere fino ad alcuni mesi fa ne era il risultato. Oggi, però, la casa non è più soltanto un luogo privato, di riposo e di protezione, il luogo dove si cucina, si mangia, si gioca, si dorme ma è diventata anche il luogo di lavoro, la palestra, la scuola. La dimensione domestica è stata invasa da quella routine urbana e pubblica che caratterizzava le nostre vite, che è diventata ora routine domestica ma “digitalmente pubblica”. I nuovi uffici degli smart worker non hanno più l’occhio del capo che commenta, incoraggia, rimbrotta, i consigli del collega più anziano, l’entusiasmo dei nuovi entrati, la socialità del momento del caffè. Una riflessione analoga è possibile fare per la scuola, trasformata in didattica a distanza. A partire da quella dei piccoli, nata tra spinte gioiose, gridolini, sorrisi, giochi e schiamazzi, a salire a quella degli adolescenti con lo scambio degli sguardi, gli abbracci, i silenzi, il rubarsi i segreti della vita che cresce, per arrivare alla scuola dei giovani adulti con il confronto, le discussioni, la dialettica, la forza del pensiero e del cuore. La scuola è stata privata delle sue caratteristiche peculiari. La sofferenza forse più grande per tutti è stato l’isolamento e la solitudine. Alcuni studiosi dicono che i bambini ed i ragazzi siano stati i più penalizzati da questo periodo per motivi di sviluppo e maturazione, per deprivazioni di esperienze irrimediabil-

mente perse. Altri segnalano negli anziani i più danneggiati. Personalmente credo che ognuno abbia ricevuto la sua parte di danno al di là delle quantità. Il tempo ci darà la misura delle conseguenze del danno. Tutti, dai più vecchi ai più giovani, dopo questo periodo che ha snaturato la nostra socialità vogliamo essere “rinaturati”. Vogliamo i parenti, gli affetti, gli amici, i compagni, i conoscenti e forse anche rivedere il collega antipatico o il barista burbero se non altro per sapere come se la passano. La casa, la scuola, il luogo di lavoro sono delle entità che si sono strutturate come il risultato di migliaia e migliaia di anni di tentativi, di perfezionamenti, di aggiustamenti, di progressi e di revisioni. Pensare di modificare questi istituti sociali che hanno consuetudini che si sono create nel corso dei secoli, spostando tutto davanti ad uno schermo nel giro di pochi mesi snatura l’uomo ed è antistorico.


EDITORIALE

Sentiamo dire di continuo che non saremo oramai più gli stessi; che le nostre vite sono inesorabilmente cambiate; che quello che eravamo prima non ritornerà più. È probabile che questo sia vero. Ma quale sarà la nuova dimensione delle nostra vite dopo questo terremoto biologico? Come cambieranno le nostre abitudini? Cosa resterà dell’assetto tecnologico che ha caratterizzato il periodo acuto dell’emergenza e cosa andrà via? Siamo stati costretti a cambiare e ad adattarci ad una dimensione nuova. La pandemia ci ha dimostrato ancora una volta che l’uomo sa rapidamente adattarsi, sa compiere enormi sforzi per preservare la sua natura. Esistono però questa volta rispetto al passato un’enorme differenza e novità. Rispetto ad altri cataclismi biologici e non, per la prima volta la pandemia trascorre sotto l’influenza ed il sostegno di un elemento mai presente in passato: la tecnologia.

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Storicamente periodi di crisi profonda portano a nuovi periodi di rinascita e sviluppo. La pandemia non farà eccezione. Abbiamo di fronte l’opportunità di un cambiamento nella nostra prospettiva di vita. Siamo ad un giro di boa, ad un punto di svolta. Naturalmente una trasformazione stabile non può consistere in un video in sala da pranzo per lavorare, un video nelle camerette dei ragazzi per fare scuola e studiare, un video in cucina per fare fitness ed allenarsi. Questa che stiamo vivendo è una condizione di pseudo-normalità legata a decisioni prese in emergenza. Una parte di questi strumenti tecnologici resteranno attivi nelle loro funzioni attuali. Al contempo dovremo ascoltare il nostro istinto sociale che urla e vuole essere considerato: la nostra umanità si ribella e ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. La nostra natura umana chiede rispetto e considerazione. L’ipotesi più probabile è che siamo all’inizio di una nuova era in cui stiamo assistendo al passaggio verso un nuovo assetto della società e della vita. La nuova strada è tracciata dalla sintesi tra i mezzi tecnologici oggi a nostra disposizione e la base della nostra natura di animali sociali. Siamo all’età della pietra del connubio delle grandi masse con la tecnologia ed un nuovo assetto della vita, dell’ufficio, dell’istruzione, della casa. Dopo la pandemia con il periodo di “convivenza forzata” tra tecnologie ed abitudini di vita assisteremo al “fidanzamento” delle due parti in cui ci saranno tentativi, avances, studio reciproco, condivisioni e litigi. La nostra vecchia vita alla quale eravamo abituati non tornerà mai più. La nuova avanzerà faticosamente. Quello che ci auguriamo è che le urla della nostra dimensione umana siano sempre sufficientemente forti per non farsi sopraffare. Con tutti i nostri difetti e mancanze dobbiamo restare sempre fieri della nostra natura ed al centro della nostra vita. Questa è, forse, un’altra delle cose che la pandemia ci ha insegnato.


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Anno II | N. 5 | Giugno 2021

PROFESSIONE SANITÀ

SOMMARIO EDITORIALE

STESSA SPIAGGIA STESSO COVID In vacanza con vaccino, mascherine e passaporti

3 L’età della pietra della nuova Era con il matrimonio tra Umanità e Tecnologia

Farmaco Alzheimer una rivoluzione non per tutti

Il Recovery Fund punta sulla salute mentale

Virus a prova d’esame. L’ansia della maturità

di Armando Piccinni PRIMO PIANO

10 Sapore d’estate (nonostante la pandemia) di Flavia Piccinni

14 Al mare fra mascherine e gel igienizzanti di Flavia Piccinni

18 Così bambini (e non) faticano a riconoscere le emozioni di chi indossa le mascherine di Pasquale Belli

Professione Sanità Anno II | N. 5 | Giugno 2021 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca


L’INCHIESTA

44 Ansia e paura di essere i

“promossi del COVID”. I nostri giovani agli esami di maturità

30 22 Lavoro post-COVID. I “mali” dei

dipendenti che tornano in ufficio di Carmine Gazzanni

di Carmelo Ingenito

48 Contagio in corsia. Medici

e infermieri le prime vittime del COVID sul lavoro di Carmine Gazzanni

24 Farmaco Alzheimer: svolta o bufala? Ecco come stanno realmente le cose di Carmine Gazzanni L’INTERVISTA

26 Salute mentale, assistenza

territoriale, digitalizzazione. Così investiremo 20 miliardi del Recovery Fund

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di Carmine Gazzanni e Stefano Iannaccone L’AUTRICE

52 La storia di due sorelle

ZOOM

30 Autismo, l’intelligenza

e la scoperta della serenità

artificiale ora svela i codici delle emozioni facciali

di Flavia Piccinni LIBRI

di Francesco Carta

34 Corea di Huntington, il primo libro bianco sulla patologia di Alessia Vincenti

56 Il caso Marta Russo: dal podcast al libro alla ricerca della verità di Flavia Piccinni CINEMA E TV

57 “Volevo nascondermi”. Il genio e

38 I traguardi della TMS cura di depressione e tabagismo. Studio sul “disgusto morale” di Antonio Acerbis

la follia di Antonio Ligabue di Chiara Andreotti CARTELLONE

58 Lucc@ in mente. Salute mentale

42 Terapia della luce, a che

e letteratura dall’8 all’11 luglio

punto siamo

di Chiara Andreotti

di Cuomo, Paoletti e Fagiolini

IL DIRETTORE RISONDE

59 Ex infermieri con la paura di assembramenti di Armando Piccinni TITOLI DI CODA

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59 Salute mentale. Mozione Lorenzin approvata alla Camera



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SAPORE D’ESTATE (NONOSTANTE LA PANDEMIA) Fra restrizioni, passaporti e vaccini gli italiani non rinunciano alle vacanze

di Flavia Piccinni

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accini. Mascherine. Distanziamento sociale. Tre parole che ormai abbiamo imparato a conoscere, e che scandiranno insieme alle hit estive i mesi a venire. Ormai le conversazioni sono un frullatore impazzito che intreccia le ambizioni degli italiani (andare in vacanza) alle paure più profonde (ammalarsi, o contagiare qualche famigliare). È ormai chiaro a tutti che l’estate 2021 sarà in semi-pandemia, e organizzare vacanze sicure non sarà sempre facile. Regole e green pass non spaventano però gli italiani, che massicciamente si stanno organizzando per i prossimi mesi all’insegna della flessibilità. Si prediligono sistemazioni che permettono di annullare all’ultimo minuto, mete raggiungibili in auto, grandi spazi all’aperto.

Fare una radiografia delle estive ambizioni italiche non è comunque mai stato così facile. Sette italiani su dieci dichiarano che andranno in vacanza, e tutti sembrano avere le idee molto chiare. A cominciare dalla meta preferita. Quale? Naturalmente il nostro Paese, scelto da ben il 91% degli italiani. Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna, Toscana e Emilia-Romagna sono le regioni preferite. Ad andare nel dettaglio: il 51% degli italiani andrà al mare, il 25% in montagna, il


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9% si dedicherà al turismo urbano e il 7% sceglierà invece borghi o zone rurali. Il crollo delle città d’arte si affianca a quello dei viaggi intercontinentali, prossimi allo zero. In Europa mete predilette restano invece la Grecia, in particolare Rodi, Creta e le Isole Cicladi, ma anche Spagna con Canarie e Baleari e alcuni Paesi del Nord Europa. Secondo Astoi Confindustria Viaggi “si rileva purtroppo un clima di incertezza e confusione su alcune tematiche: dai pass nazionale ai protocolli

di sicurezza per le strutture ricettive fino ai tempi della campagna vaccinale che rendono meno fluide e immediate le prenotazioni”. Riservare una vacanza per molti italiani resta infatti un salto nel buio. I timori sono legati a un peggioramento della situazione, ma anche a un repentino cambio dei programmi personali. Secondo Unione Nazionale Consumatori non bisogna però farsi spaventare, perché le regole per tutelarsi ci sono e sono questa volta molto chiare: “Se le vacanze sono annullate a causa di nuove restrizioni comunitarie negli spostamenti o all’eventuale decisione di altri Paesi stranieri di precludere l’ingresso ai turisti, il consumatore ha diritto al rimborso o a un voucher. Se invece è il consumatore a decidere di non partire perché ha cambiato idea o non si sente sicuro, pur non essendoci restrizioni e passati i termini per la disdetta, la controparte non è tenuta a riconoscere alcun rimborso, voucher o compensazione di altro tipo”. Meglio dunque prenotare strutture rimborsabili, e così evitare stress. Stesso il discorso per treni e aerei: rimborso garantito a causa di forze maggiori (compresa la quarantena preventiva), non se legato a decisioni personali. Simile anche la posizione di Federalberghi: chi ha prenotato un soggiorno in hotel e non può partire perché in quarantena ha diritto al rimborso. Tornando alle mete preferite, è necessario evidenziare come anche la montagna sia presa d’assalto grazie ai suoi panorami mozzafiato, al fresco e alla possibilità di mantenere il distanziamento sociale. Le prenotazioni nei rifugi alpini, molti dei quali hanno già riaperto, registrano tutto esaurito (anche perché, a causa delle rigide regole imposte, i posti sono molto ridotti). Registrano un crescente interesse i camping e i glamping, neologismo

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Fare una radiografia delle estive ambizioni italiche non è comunque mai stato così facile. Sette italiani su dieci dichiarano che andranno in vacanza, e tutti sembrano avere le idee molto chiare. A cominciare dalla meta preferita. Quale? Naturalmente il nostro Paese, scelto da ben il 91% degli italiani. Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna, Toscana e Emilia-Romagna sono le regioni preferite.


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La paura di molti è che il crescente clima di relax – declinato fra mascherine abbassate, assembramenti, un crescente calo della soglia di attenzione che potrebbe mettere in crisi, domani, molte delle nostre speranze di oggi – possa vanificare tutti gli sforzi compiuti.

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sincratico fra glamour e camping, che non si rivolgono al turismo di massa, ma a predilette nicchie che sostengono il nature tourism o, più semplicemente, sono alla ricerca di nuove esperienze senza rinunciare ai comfort da alberghi pluri-stellati. L’Italia ne presenta a dozzine: suite dai soffitti trasparenti nel cuore segreto di boschi da favola in Toscana, alloggi shabby chic in Laguna, ma anche luxury tents in Salento. Luoghi raffinati e curatissimi, capaci di coniugare a un discreto isolamento uno stretto contatto con la natura. Luoghi che conquistano non solo gli stranieri, ma anche gli italiani che ne hanno sposato – complice la possibilità di fare delle vacanze all’aperto – la filosofia. Non si tratta comunque di una novità. Già l’anno scorso le vacanze di prossimità avevano registrato un crescente consenso, accompagnati dalla fortuna di piattaforme come Pitchup, leader in Europa per le ferie all’aria aperta, che a dispetto di hotel e ap-

partamenti (con crolli fino al 50%) ha raggiunto le 6500 prenotazioni in un solo giorno. Oggi, mentre Google registra un aumento del 100% delle ricerche per i soggiorni di prossimità, il portale Campeggi.it sigla un incremento del 656%. Il motivo secondo i più maliziosi è che la pandemia non solo ci ha insegnato l’importanza dei luoghi aperti, ma ci ha anche resi più pigri e privi di schemi. Il camping e il glamping permettono dunque di vivere alla giornata (con abiti comodi). Che sia anche per questo che piacciano tanto? Probabile, ma non certo. Di sicuro c’è solo che il mantra – l’ennesimo – è quello di non compiere i medesimi errori della scorsa estate, che pur garantendo mesi di piacere ha compromesso un anno intero. La paura di molti è che il crescente clima di relax – declinato fra mascherine abbassate, assembramenti, un crescente calo della soglia di attenzione che potrebbe mettere in crisi, domani, molte delle nostre speranze di oggi – possa vanificare tutti gli sforzi compiuti. La necessaria voglia di divertimento e di tranquillità, accresciuta dai difficili mesi che abbiamo tutti dovuto affrontare, non può infatti diventare una scusa per trasgredire alle regole. Ma deve piuttosto essere uno strumento per preservare se stessi e gli altri, e così contribuire a un ritorno rapido alla sempre più agognata normalità.


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AL MARE FRA MASCHERINE E GEL IGIENIZZANTI Dermatiti e acne possono comparire o peggiorare Il dermatologo: “L’idratazione è fondamentale”

di Flavia Piccinni


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di Stefano Iannaccone

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onvivere in estate con la mascherina. Non si tratta ovviamente di un desiderio, ma di un obbligo cui tutti quanti ci approcciamo per il secondo anno consecutivo. L’avvento nelle nostre vite di oggetti che fino a due anni fa non conoscevamo che vagamente – come le mascherine, appunto, o il gel igienizzante – ha avuto non solo ripercussioni psicologiche, ma anche fisiche sulla nostra pelle. Per fare il punto sugli eventuali danni, e su come cercare di ridurre al massimo i fastidi, abbiamo incontrato Alessandro Martella, presidente dell’Associazione Italiana Dermatologi Ambulatoriali (AIDA). Quali sono i rischi per la pelle che viene a contatto con la mascherina? È noto che la mascherina può comportare la comparsa e/o il peggioramento di dermatiti al viso così come dell’acne, condizione nota con il nome di Maskne, termine che nasce proprio dalla fusione della parola Mask ed Acne. Questa condizione nota perché fino a qualche anno addietro si riscontrava solo negli operatori sanitari è diventata molto comune e frequente, si localizza al viso e più precisamente al mento e alle guance, proprio in corrispondenza dell’area in cui poggia sulla nostra pelle la mascherina. I motivi responsabili del problema sono la frizione del tessuto sulla pelle, l’umidità e il calore che si genera tra la nostra pelle e la superficie interna della mascherina a causa del nostro stesso respiro. Preciso subito che tutto non toglie che dobbiamo continuare a rispettare le regole anti-covid e ad usare le mascherine per contrastare la diffusione del Coronavirus. Come si possono prevenire questi disagi per la nostra pelle? Prima di tutto evitare il fai da te per non perdere tempo e soprattutto rischiare di complicare le manifesta-


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È necessario usare trattamenti lenitivi e restitutivi della pelle, dermocosmetici che possono svolgere anche un’azione di modulazione dell’infiammazione e del rossore presente per evitare che grattandosi, qualora fosse presente il prurito si sviluppasse anche una sovrainfezione batterica.

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zioni cliniche e di consultare sempre il dermatologo in modo tale da valutare se trattasi di un problema che è comparso in seguito all’uso della mascherina oppure è un peggioramento di un problema cutaneo preesistente, quale ad esempio Acne, Rosacea, Dermatite Seborroica, Pelle sensibile ecc. In entrambi i casi è necessario usare trattamenti lenitivi e restitutivi della pelle, dermocosmetici che possono svolgere anche un’azione di modulazione dell’infiammazione e del rossore presente per evitare che grattandosi, qualora fosse presente il prurito si sviluppasse anche una sovrainfezione batterica. Poi se presente un problema dermatologico, tipo quelli citati sopra continuare i trattamenti dermatologici Esistono delle mascherine meno dannose per la pelle? Non abbiamo una mascherina migliore di altre perché quelle certificate sono in tessuto sintetico. L’ideale da un punto di vista teorico sarebbe quella di poter avere una mascherina in cotone che garantisce la traspirazione e certificata per contrastata la diffusione del Coronavirus. Quali sono le accortezze da avere

in estate quando si usa la mascherina? Sicuramente idratare sempre la pelle e applicare subito sopra anche la crema solare perché i raggi UV passano anche attraverso il tessuto della mascherina. Bisogna ricordarsi poi che, dopo due ore sotto il sole, è sempre bene riapplicare la crema solare. La pandemia ha portato nelle nostre vite, oltre le mascherine, anche i gel igienizzanti. Quali sono i rischi per la pelle delle mani che viene a contatto con questi preparati? I gel possono irritare la pelle delle mani, far comparire rossori, fissurazioni e prurito e rendere la pelle squamosa, di colore più scuro rispetto alla pelle sana, quale quella dell’avanbraccio. Come si possono prevenire? In attesa che vengano immessi sul mercato gel disinfettanti meno o poco lesivi per la pelle delle mani, i consigli da tenere in mente sono pochi ma fondamentali. Uno su tutti? Ricordarsi di idratare le mani una, due volte al giorno per rispristinare la barriera cutanea, che è caratterizzata da una miscela di lipidi e che ci aiuta tutti i giorni a difenderci dalle aggressioni fisiche, chimiche e biologiche.


Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

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COSÌ BAMBINI (E NON) FATICANO A RICONOSCERE LE EMOZIONI DI CHI INDOSSA LE MASCHERINE Lo studio: bimbi di 3-5 anni ci riescono solo il 40% delle volte Ciò potrebbe avere ricadute sulle interazioni sociali

di Pasqauale Belli

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il caso di dire: emozioni mascherate. Il team di ricerca, guidato da Monica Gori, U-Vip (Unit for Visually Impaired People) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) ha recentemente pubblicato su Frontiers in Psychology uno studio che dimostra per la prima volta come i bambini dai 3 ai 5 anni abbiamo problemi a riconoscere le emozioni di persone che indossano mascherine chirurgiche. La questione non è affatto così secondaria come potrebbe sembrare: questo effetto collaterale delle misure di pre-

venzione nell’ambito della emergenza sanitaria Covid-19 potrebbe influenzare il corretto sviluppo delle capacità di interazione sociale nei bambini. Un documento redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e dall’Unicef – spiega l’IIT – fornisce una guida ai decisori e alle autorità in contesti pubblici e professionali sull’uso delle maschere per bambini nel contesto della pandemia Covid-19 scoraggiando l’esposizione all’uso di maschere quando si ha a che fare con bambini fino a cinque anni, dal momento che in quella fascia di


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età si raggiungono importanti traguardi evolutivi. Inoltre anche per bambini di età più avanzata, l’Oms consiglia di valutare attentamente i vantaggi di indossare maschere contro potenziali danni che comprendono problemi sociali, psicologici, di comunicazione e di apprendimento. Lo studio del team di ricerca IIT guidato da Monica Gori si inserisce in questo contesto e per la prima volta per la fascia di età prescolastica contribuisce a definire le misure che si potranno adottare per ridurre l’impatto dell’uso di mascherine chirurgiche nei bambini. Infatti, anche se tra i 3 e i 5 anni non vige l’obbligo di indossare mascherine, i bambini sono comunque esposti all’uso di tali misure preventive in diversi contesti sociali ed educativi quotidiani.

I ricercatori IIT hanno preparato un questionario contenente immagini di persone con e senza mascherina e somministrato mediante computer, tablet o smartphone a 119 soggetti di cui 31 bambini tra i 3 e i 5 anni, 49 bambini tra i 6 e gli 8 anni e 39 adulti tra i 18 e i 30 anni. I soggetti, in autonomia o con l’assistenza dei genitori nel caso dei più giovani, dovevano provare a riconoscere le espressioni dei volti, con e senza mascherina chirurgica, che esprimevano diverse emozioni. E cioè: allegria, tristezza, paura e rabbia. I risultati hanno dimostrato come i bambini tra i 3 e i 5 anni siano in grado di riconoscere le espressioni facciali che esprimono felicità e tristezza se coperte dalla mascherina solo il 40% delle volte. Le percentuali sal-

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La questione non è affatto così secondaria come potrebbe sembrare: questo effetto collaterale delle misure di prevenzione nell’ambito della emergenza sanitaria Covid-19 potrebbe influenzare il corretto sviluppo delle capacità di interazione sociale nei bambini.


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Nei prossimi anni saranno fondamentali i lavori mirati a indagare quale sia stato l’effettivo impatto di questa misura precauzionale sanitaria sulla capacità di interagire dei bambini sia affetti da disabilità che bambini senza disabilità:

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gono se si considerano le altre fasce di età: tra i 6 e gli 8 anni (55-65%) e tra gli adulti (70-80%) ma in generale si è osservata una difficoltà di tutte le fasce di età nell’interpretare tali emozioni espresse con il volto parzialmente coperto dalla mascherina. Per quanto riguarda le altre emozioni ci sono stati risultati migliori, ma possiamo dire che la fascia che ha più difficoltà a riconoscere le emozioni espresse con la mascherina rimane quella dei bambini in età prescolare. “L’esperimento è stato condotto nelle primissime fasi della pandemia nel 2020, le mascherine allora erano ancora una novità per tutti. Speriamo che oggi i bambini siano riusciti ad adattarsi”, commenta Monica Gori interpellata dall’agenzia stampa Askanews. “Il cervello dei bambini è dotato di grande plasticità e stiamo eseguendo in questi giorni i test per verificare se la comprensione delle emozioni nei bambini sia aumentata o meno” conclude Gori. “Nello studio abbiamo lavorato con bambini e adulti che non presentavano alcun tipo di disabilità – spiega Maria Bian-

ca Amadeo ricercatrice IIT e co-autrice dello studio – ovviamente queste osservazioni risultano ancora più importanti quando si parla di bambini affetti da disabilità che implicano difficoltà di interazione sociale”. “Ad esempio le disabilità visive implicano già grosse difficoltà nelle interazioni sociali, per questi soggetti sarà ancora più importante concentrarsi su possibili misure preventive o attività di riabilitazione specifiche” conclude Lucia Schiatti ricercatrice IIT e co-autrice dello studio. Nei prossimi anni saranno fondamentali i lavori mirati a indagare quale sia stato l’effettivo impatto di questa misura precauzionale sanitaria sulla capacità di interagire dei bambini sia affetti da disabilità che bambini senza disabilità, ma nel frattempo lo studio IIT suggerisce di valutare l’utilizzo di mascherine trasparenti per tutti gli operatori a contatto con la fascia di età 3-5 anni o l’ideazione di percorsi di training specifici per insegnare ai bambini il riconoscimento delle emozioni solo mediante l’osservazione degli occhi.



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LAVORO POST-COVID I “MALI” DEI DIPENDENTI CHE TORNANO IN UFFICIO Ansia, stress e obesità. Dati preoccupanti anche in Italia: il 71% prova incertezza verso il futuro, il 76 ha trascurato la salute fisica e il 12 ha aumentato il suo consumo di alcool

di Carmine Gazzanni

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n tanti l’avevano detto e annunciato già in tempi non sospetti: il ritorno alla vita ordinaria non sarebbe stato - e non è - così facile e immediato. E ora anche una ricerca, condotta da Sodexo, rivela numeri e dati che fanno rabbrividire: ansia (+86%), stress post-traumatico (+51%), aumento di peso (+20 kg per il 10% degli adulti) e burnout (+44%). Ecco le problematiche che stanno colpendo i dipendenti nel mondo in questa fase di ripartenza. Scenario negativo anche in Italia: dalla ricerca citata sono emerse diminuzione dell’attività fisica (76%), incertezza verso il futuro (71%) e ansia per la salute (49%). Il welfare aziendale, dicono gli esperti, va ripen-

sato ancor più a supporto del benessere dei lavoratori. La graduale ripartenza, grazie alla campagna vaccinale e complice l’arrivo della bella stagione, porterà sempre più dipendenti a tornare in ufficio. Gli effetti della pandemia, però, continuano a essere ancora ingenti dal punto di vista psicofisico per i lavoratori. Anche una recente ricerca di Mental Health Index ha mostrato come i dipendenti di età compresa tra i 40 e i 59 anni abbiano sofferto di un declino cognitivo negli ultimi mesi con un aumento di casi di stress post-traumatico del 51% rispetto a gennaio. Sugli stessi numeri e sulle stesse problematiche si muove, come detto, lo studio condotto da Sodexo in par-


PRIMO PIANO

tnership con Harris Interactive su quasi 5mila dipendenti in 8 nazioni, tra cui l’Italia: basti pensare che il 37% dei dipendenti non ha fatto nulla per migliorare la propria salute mentale e il 75% ha ammesso che questi problemi hanno influenzato negativamente la produttività. E ancora, l’81% ha dichiarato che dovrebbe essere responsabilità dell’azienda farsi carico di soluzioni per migliorare il benessere psicofisico Per Sodexo Benefits & Rewards Italia questi dati sono un utile spunto di riflessione per studiare e promuovere sempre più strumenti integrabili in ambito welfare, ideali per migliorare la salute psicofisica e la produttività: i più desiderati dai dipendenti sono la possibilità di pranzare coi colleghi (59%), i programmi di benessere (59%), i welfare benefit (57%), i progetti di supporto mentale (55%) e lo smart working (55%). Ma qual è la situazione per i lavoratori nel Bel Paese? Lo scenario negativo purtroppo ha riguardato in prima persona anche numerosi dipendenti italiani, come già accennato. Dall’indagine condotta su un campione nazionale di oltre 600 dipendenti italiani, è infatti emerso come il 71% abbia ammesso di aver provato un senso di incertezza generale verso il futuro e addirittura il 76% di aver trascurato la propria salute fisica, compiendo meno esercizi rispetto all’inizio della pandemia. E ancora: il 49% è stato ansioso nei confronti della propria salute e di quella dei familiari; il 46% è ansioso nei confronti della pandemia in generale; il 40 ha ammesso di aver mangiato in maniera poco salutare; il

37% è stato ansioso del proprio lavoro quotidiano; altri ancora (25%) ha fumato più sigarette del normale, mentre un’altra fetta di lavoratori (12%) ha consumato più alcool rispetto all’inizio della pandemia. Ma non è tutto, perché l’85% ha dichiarato che la propria condizione di stress psico-fisico abbia avuto un concreto impatto sulla produttività lavorativa e il 79% ritiene che sia responsabilità dell’azienda provvedere alla salute mentale dei dipendenti. Ma allora come uscire da questa situazione? Quali potrebbero essere i consigli utili? Anche se non si deve smettere di essere attenti e attuare tutte le regole della prevenzione, la pandemia sta allentando la sua morsa e per molti lavoratori questo coincide con il ritorno alla normalità a partire dalla presenza fisica nel luogo di lavoro. Fondamentale è innanzitutto portare il nostro cervello alla “normalità” garantendo ad esempio una giusta alternanza tra veglia e sonno, tra giorno e notte, assicurando le circa otto ore di sonno giornaliere. Determinanti, però, sono anche l’attività fisica (che rimette in moto la capacità neurodegenerativa e neuroriparativa del nostro cervello) e la dieta ipocalorica, stando ben attenti a dosare (se non proprio a eliminare laddove possibile) fumo, alcool, caffeina e bevande energizzanti. Il ritorno alla normalità, dopotutto, passa anche e innanzitutto dal nostro cervello.

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Il pregiudizio sui disordini mentali porta alla condanna sociale alla colpevolizzazione della persona, che penserà quindi di dover nascondere il suo disturbo e, nei casi peggiori, di isolarsi dal suo contesto sociale per vergogna. Lo “stigma” non sarebbe tale se a definirlo non fosse un’insegna impressa, o, meglio, un marchio. Nel caso dello stigma di tipo “sociale” questo marchio viene forgiato e impresso dalla comunità cui si appartiene (o, meglio, si dovrebbe appartenere).


PRIMO PIANO

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FARMACO ALZHEIMER: SVOLTA O BUFALA? ECCO COME STANNO REALMENTE LE COSE Rivoluzionario sì, ma non è per tutti, rallenta la progressione della patologia e non può essere usato se la malattia è in stato avanzato

di Carmine Gazzanni

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elle ultime settimane ne abbiamo sentito parlare a lungo: finalmente - titolavano nei primi giorni di giugno diverse testate nazionali - è arrivato il farmaco contro l’Alzheimer. Alcuni importanti accademici, come Roberto Burioni, hanno non a caso parlato di “giornata storica”. Pochi giorni dopo la buona novella, però, alcuni altri ricercatori e scienziati in tutto il mondo si sono mostrati più cauti rispetto alla lettura semplicistica di un medicinale che potrebbe debellare la malattia neurodegenerativa. Da qui urge sgombrare il campo da errori e malintesi. Innanzitutto, bisogna precisare che l’Alzheimer è una forma di demenza che danneggia le funzioni intellettuali del cervello (me-

moria, orientamento, calcolo, ecc.). Nelle prime fasi della malattia è solitamente interessata la memoria a breve termine e il paziente ha difficoltà a imparare e conservare nuove informazioni. Alla fine, la memoria più vecchia o distante si perde gradualmente, e diventa difficile recuperare i ricordi di eventi e persone della vita precedente. Successivamente, possono svilupparsi altri sintomi come difficoltà nel tradurre i pensieri in parole, difficoltà nel compiere semplici azioni dirette e difficoltà nel riconoscere volti o oggetti noti. In termini pratici, una persona con l’Alzheimer in stato avanzato potrebbe non essere in grado di pianificare i pasti, gestire i soldi, ricordare di prendere le medicine nei tempi previsti. La persona può anche perdere


PRIMO PIANO

il senso dell’orientamento e perdersi mentre guida o cammina, anche in un quartiere familiare. Fino ad oggi non esisteva una cura per la malattia di Alzheimer e non c’era modo di rallentarne la progressione, ma soltanto trattamenti per “aggredire” i sintomi. A riguardo, ad esempio, alcuni farmaci ad oggi utilizzati, chiamati “inibitori della colinesterasi”, agiscono aumentando i livelli cerebrali del neurotrasmettitore acetilcolina, contribuendo a ripristinare la comunicazione tra le cellule cerebrali. E arriviamo così ad oggi e al farmaco “Aducanumab”, che ha ricevuto il via libera negli Stati Uniti e che - questo è fondamentale - rallenta il decorso della malattia di Alzheimer quando è ancora in forma molto lieve. L’attesa di novità è durata vent’anni. Ora è terminata e, anche se con cautela, rappresenta comunque una svolta perché quello approvato è il primo farmaco che agisce sul corso della malattia e non si limita ad aggredirne i sintomi.

Ma come funziona? Come spiegato da Orazio Zanetti, direttore dell’Unità Alzheimer - Centro per la Memoria dell’Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) Fatebenefratelli di Brescia, “si tratta di un anticorpo innovativo che agisce da spazzino sulle placche che si formano negli spazi tra le cellule nervose del cervello. In pratica aggredisce i frammenti di amiloide e li scioglie. Gli studi hanno dimostrato che migliora il decorso sia cognitivo sia di autonomia funzionale delle persone agli esordi della malattia”. Fondamentale specificare, però, che il farmaco non è per tutti: serve per persone con disturbi cognitivi molto lievi e che rappresentano un campanello d’allarme verso un futuro segnato dalla malattia. Resta la sua potenziale e fondamentale importanza. Anche perché verosimilmente il nuovo farmaco avrà un impatto enorme sui servizi di diagnosi che verranno comprensibilmente presi d’assalto dalle persone che vogliono comprendere se sono affette da disturbi neurodegenerativi e così provare a correre al riparo. Nel 2010 35,6 milioni di persone risultavano affette da demenza con stima di aumento del doppio nel 2030, del triplo nel 2050, con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 4 secondi) e con una sopravvivenza media, dopo la diagnosi, di 4-8-anni. Attenzione, poi, anche agli effetti collaterali: alcuni studi rivelano che per alcuni soggetti ci potrebbero essere microemorragie cerebrali. “Chi lo farà - avverte con l’Ansa Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di neuroscienze-neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele Roma - (stimo in Italia circa 100mila pazienti candidali se ci sarà l’ok dell’Ema e dell’Aifa) dovrà sottoporsi a risonanze magnetiche e aver documentato la presenza della proteina beta-amiloide”.

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L’attesa di novità è durata vent’anni. Ora è terminata e, anche se con cautela, rappresenta comunque una svolta perché quello approvato è il primo farmaco che agisce sul corso della malattia e non si limita ad aggredirne i sintomi. “Gli studi hanno dimostrato che migliora il decorso sia cognitivo sia di autonomia funzionale delle persone agli esordi della malattia”.


L’INTERVISTA

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SALUTE MENTALE, ASSISTENZA TERRITORIALE, DIGITALIZZAZIONE. COSÌ INVESTIREMO 20 MILIARDI DEL RECOVERY FUND Intervista a Marialucia Lorefice, presidente della commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati

di Carmine Gazzanni e Stefano Iannaccone

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enti miliardi di euro. Queste sono le risorse previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la sanità. Un fiume di soldi in arrivo dall’Europa che, sommato “agli investimenti già previsti in Legge di Bilancio e nei decreti emanati per far fronte all’emergenza Covid-19, permetteranno al nostro Sistema Sanitario di rafforzarsi

e di superare le criticità ancora esistenti”. Questa è la concreta speranza di Marialucia Lorefice, deputata e presidente della commissione Affari sociali alla Camera. “Dobbiamo riconoscere - osserva la parlamentare - che, nonostante i tagli lineari effettuati negli ultimi decenni, il nostro Sistema Sanitario Nazionale ha offerto una grande prova durante la pandemia, merito soprattut-


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Marialucia Lorefice.

to della professionalità e dello spirito di abnegazione con cui medici, infermieri e operatori sanitari si sono adoperati per tutelare la salute dei cittadini, non esitando a mettere a rischio la propria”. Spera in un vero e proprio cambio di paradigma? L’esperienza del Covid-19, nella sua drammaticità, ci ha lasciato un insegnamento: per guardare con maggiore serenità al futuro non possiamo prescindere dagli investimenti nella sanità e da una programmazione a lungo termine che si basi su un costante confronto con le categorie professionali, tenga conto dei bisogni reali dei cittadini e punti ad azzerare i divari territoriali, garantendo equità nell’accesso alle cure. Questo è il cambio di paradigma cui puntiamo. In cosa consisterà esattamente questa evoluzione? Sono tanti e ambiziosi gli obiettivi verso cui si orienteranno i progetti finanziati con le risorse del PNRR, si andrà dal potenziamento della rete

di assistenza territoriale, sanitaria e socio-sanitaria, elemento imprescindibile al fine di garantire una risposta assistenziale appropriata ed efficace, all’ammodernamento tecnologico ed infrastrutturale della rete ospedaliera, e ancora si punterà alla valorizzazione e al potenziamento della ricerca biomedica del Servizio sanitario nazionale (SSN), alla digitalizzazione, alla formazione continua e innovativa del personale sanitario e al rafforzamento del sistema di prevenzione. Centrale, come lei dice, sarà anche il ruolo dell’assistenza territoriale. Come sarà strutturata? Il rafforzamento dell’assistenza territoriale è un obiettivo su cui il PNRR insiste molto per realizzare una metamorfosi del sistema sanitario, superando l’impostazione ospedalocentrica della sanità, che durante la pandemia ha manifestato criticità e punti di debolezza, e garantendo una più efficace presa in carico dei pazienti. L’assisten-

“L’esperienza del Covid-19, nella sua drammaticità, ci ha lasciato un insegnamento: per guardare con maggiore serenità al futuro non possiamo prescindere dagli investimenti nella sanità”.


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“L’obiettivo è quello di offrire un’assistenza più prossima ai pazienti, aiutando in particolare le persone fragili, gli anziani e i malati cronici. Il Governo punta a realizzare 1.288 case di comunità entro il 2026, ed è necessario non vengano penalizzate aree montane o a scarsa densità abitativa. Occorrerà assicurare la presenza di servizi integrati presso ogni centro, dedicati alla promozione e alla prevenzione, alle cure primarie, all’assistenza sociale, alle attività diagnostiche e ambulatoriali”.

L’INTERVISTA

za territoriale si articolerà attraverso lo sviluppo delle Case di comunità, l’assistenza domiciliare integrata (ADI), la telemedicina e la presenza sul territorio degli Ospedali di comunità, con funzioni “intermedie” tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, per degenze brevi. L’obiettivo è quello di offrire un’assistenza più prossima ai pazienti, aiutando in particolare le persone fragili, gli anziani e i malati cronici. Il Governo punta a realizzare 1.288 case di comunità entro il 2026, ed è necessario non vengano penalizzate aree montane o a scarsa densità abitativa. Occorrerà assicurare la presenza di servizi integrati presso ogni centro, dedicati alla promozione e alla prevenzione, alle cure primarie, all’assistenza sociale, alle attività diagnostiche e ambulatoriali. Ciò richiederà la creazione di team multidisciplinari e un ripensamento del ruolo dei medici di medicina generale, anche attraverso il loro percorso formativo, insieme a quello dei pediatri di libera scelta. Una buona fetta dei fondi servirà, poi, per digitalizzare il più possibile l’ambito sanitario. In che modo? La missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede una componente dedicata all’innovazione, alla ricerca e alla digitalizzazione del sistema sanitario ed indica una serie di interventi da realizzare. Fondamentale sarà l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche e digitali degli ospedali, che in molti casi risultano carenti e obsolete. Prevediamo poi l’implementazione del fascicolo sanitario elettronico, così da garantire l’accessibilità su tutto il territorio nazionale da parte dei cittadini e degli operatori sanitari e l’erogazione di cure integrate. Inoltre, puntiamo a rafforzare il nuovo sistema informativo sanitario. Tale processo dovrà essere accompagnato dall’acquisizione di nuove competen-

ze tecnologiche da parte di coloro che operano nella sanità, per offrire un servizio migliore ai pazienti. Tanto si è parlato anche della necessità che si possano produrre vaccini anche in Italia. I fondi europei serviranno anche a questo? Mi piace sottolineare che il Movimento 5 Stelle sta portando avanti da tempo la proposta di sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini contro il Covid. Ad esempio, con la mozione approvata alla Camera, che impegna il governo ad agire nelle sedi europee per la sospensione temporanea in questa fase di emergenza, oppure con la proposta di legge per introdurre l’utilizzo delle licenze obbligatorie nell’ordinamento italiano. Sarà, così, possibile aumentarne la produzione e la distribuzione, anche nei Paesi a basso reddito. I vaccini sono l’unica arma che abbiamo per sconfiggere il Covid-19, pertanto sulle logiche utilitaristiche devono prevalere quelle solidali, altrimenti sarà impossibile fermare la pandemia. La settimana scorsa anche il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si chiede una deroga all’accordo Trips sulla proprietà intellettuale in modo da accelerare la somministrazione delle dosi nei Paesi più poveri. Solo così potremo vincere definitivamente la battaglia contro il virus, anteponendo la salute globale agli interessi dei Big Pharma. Perché se non immunizziamo tutti, il virus continuerà a diffondersi con le sue varianti rendendo inutile


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ogni sforzo fatto dalla scienza per arrivare presto a un vaccino. Abbiamo visto in questi ultimi mesi che a preoccupare, oltre al Covid, sono anche i sintomi post-Covid. Ci saranno fondi anche per l’ambito psichiatrico e psicologico? Come si sta muovendo a riguardo il ministero? Il problema del protrarsi dei sintomi dopo la guarigione dal Covid è purtroppo molto diffuso, è un tema che sto seguendo con grande attenzione, anche attraverso la partecipazione a diversi incontri con malati e con associazioni. Mi ha colpito il senso di smarrimento di queste persone, che in molti casi hanno cercato di organizzarsi spontaneamente in gruppi social, per condividere esperienze e trovare soluzioni. Insieme ad altri parlamentari abbiamo presentato atti parlamentari per favorire una presa in carico di questi malati da parte del SSN, ed ora posso dire con soddisfazione che il nostro lavoro ha dato i suoi frutti. Nel Decreto Sostegni Bis sono stati stanziati oltre 50 milioni di euro nel Sistema Sanitario Nazionale per offrire esami diagnostici e terapie gratuite ai pazienti long covid per i prossimi due anni. E nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza? Nel PNRR abbiamo posto grande

attenzione al potenziamento della rete dei servizi di salute mentale per adulti, di neuropsichiatria infantile e dei servizi per le dipendenze patologiche per assicurare in modo trasversale tutte le attività psicologiche individuali e collettive previste dai livelli essenziali di assistenza (LEA), anche in relazione all’emergenza pandemica. Inoltre, per rispondere agli effetti della pandemia sulla salute e sul benessere psicologico di bambini e adolescenti, nel Decreto Sostegni Bis abbiamo potenziato i servizi territoriali e ospedalieri di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza e abbiamo previsto il reclutamento straordinario di psicologi. Tali interventi si sommano a quelli già approvati nei mesi scorsi per garantire la tutela della salute mentale in questa difficile fase pandemica, un tema che abbiamo particolarmente a cuore. In alcune regioni il sistema sanitario pare non aver retto. Non a caso alcune forze politiche, come il Movimento cinque stelle, ha presentato una proposta di legge costituzionale affinché la sanità torni ad essere competenza statale. Lei è d’accordo? La pandemia ha messo in evidenza le contraddizioni della sanità italiana e il fallimento della riforma del Titolo V. Oggi ci troviamo di fronte ad un sistema sanitario disgregato e frammentato in 20 sistemi sanitari regionali differenti, con evidenti differenze nella disponibilità dei posti letto ad esempio o nella possibilità di accesso alle cure nei diversi territori. Un sistema sanitario a più velocità. Ritengo, pertanto, auspicabile avviare un confronto per restituire centralità e unitarietà al sistema sanitario nazionale, al fine di recuperare una visione di insieme, che garantisca equità nell’erogazione delle prestazioni e il rispetto dei principi di universalità e uguaglianza affermati dalla Costituzione.

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“Nel PNRR abbiamo posto grande attenzione al potenziamento della rete dei servizi di salute mentale per adulti, di neuropsichiatria infantile e dei servizi per le dipendenze patologiche per assicurare in modo trasversale tutte le attività psicologiche individuali e collettive previste dai livelli essenziali di assistenza (LEA), anche in relazione all’emergenza pandemica. Inoltre, nel Decreto Sostegni Bis abbiamo potenziato i servizi territoriali e ospedalieri di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza”.


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AUTISMO L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ORA SVELA I CODICI DELLE EMOZIONI FACCIALI Così algoritmi e machine learning aiuteranno le persone affette da disturbi dello spettro autistico

di Francesco Carta


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e emozioni sono un linguaggio universale e solitamente possono essere riconosciute con facilità e naturalezza. Non è così per le persone affette da disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorder - ASD) per le quali questa semplice attività risulta molto limitata, nel migliore dei casi. La ragione di questa difficoltà è da anni al centro di studi scientifici che provano a far luce sul funzionamento del cervello negli individui affetti da questi disturbi. E ora, finalmente, ci sono importanti novità nel panorama scientifico. Uno studio dell’Università di Trento e della Stony Brook University di New York pubblicato a inizio giugno in versione pre-print sulla rivista Biological Psychiatry: Cognitive Neuroscience and Neuroimaging mette in discussione molte convinzioni e apre a nuovi scenari per migliorare le condizioni di vita e le relazioni sociali delle persone con spettro autistico. Partiamo da principio. Leggere le espressioni facciali e decodificare le emozioni è effettivamente difficile per chi è affetto da disturbi dello spettro autistico. Ma la ragione non sta nella capacità di codifica dei segnali neurali da parte del cervello - come si è sempre pensato - quanto piuttosto nei problemi nella traduzione delle informazioni. Un problema che in questo periodo si acuisce anche a causa delle misure di contenimento della pandemia. “Particolarmente adesso l’uso costante di mascherine di protezione - spiega Matthew D. Lerner, coautore dello studio e docente di Psicologia, Psichiatria e Pediatria alla Stony Brook University - limita l’espressività del viso e questo comporta una minore disponibilità di informazioni sulle nostre emozioni. Ecco perché è importante capire come, quando e per chi


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Lo studio è stato condotto congiuntamente da un gruppo di ricercatori e ricercatrici della Stony Brook University di New York e dell’Università di Trento (Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione) su 192 persone di età diverse con e senza disturbi dello spettro autistico. I loro segnali neurali sono stati registrati durante la visualizzazione di molte emozioni facciali e successivamente analizzati.

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emergano difficoltà di comprensione, quali siano i meccanismi alla base del fraintendimento”. Le conclusioni dello studio - informa l’Università di Trento - sono frutto di un lungo lavoro di analisi che ha impiegato tecniche di apprendimento automatico e potrebbero essere utili per rivedere l’approccio con cui si aiutano le persone con ASD a leggere le emozioni altrui. “Al momento si tende a utilizzare protesi per il riconoscimento delle emozioni che aiutano la percezione visiva del movimento biologico. I nostri risultati suggeriscono che bisognerebbe concentrarsi invece su come aiutare il cervello a trasmettere una codifica intatta del messaggio che veicola l’emozione correttamente percepita”. Lo studio è stato condotto congiuntamente da un gruppo di ricercatori e ricercatrici della Stony Brook University di New York e dell’Università di Trento (Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione) su 192 persone di età diverse con e senza disturbi dello spettro autistico. I loro segnali neurali sono stati registrati durante la visualizzazione di molte emozioni facciali e successivamente analizzati. Per farlo, il gruppo di ricerca ha impiegato un nuovo sistema di classificazione delle emozioni facciali che sfrutta l’apprendimento automatico, denominato Deep Convolutional Neural Networks. Questo approccio “machine learning” include un algoritmo che permette di analizzare e classificare l’attività del cervello mentre osserva i volti, rilevata tramite elettroencefalografia (EEG). Il risultato è una mappa molto accurata dei modelli neurali che il cervello di ogni persona applica per decodificare le emozioni. “Le tecnologie derivate dal machine learning sono generalmente considerate un motore di innovazione dei processi e dei prodotti in tutti i set-

tori industriali”, commenta Giuseppe Riccardi, coautore dello studio e docente di Sistemi di elaborazione delle informazioni all’Università di Trento (Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione). “Ed è evidente anche in questo caso. Le tecniche di apprendimento automatico possono aiutarci nell’interpretazione dei segnali cerebrali nel contesto dell’emozioni. Innanzitutto, possono essere determinanti nel supportare le prime fasi della ricerca scientifica di base. Ma possono anche essere impiegate direttamente per interventi clinici. Lo studio che abbiamo condotto mostra quanto sia necessaria una forte integrazione tra competenze interdisciplinari affinché l’intelligenza artificiale abbia un impatto misurabile sulla vita delle persone”. Il lavoro è stato in parte finanziato tramite una sovvenzione del National Institute of Mental Health (NIMH) e dalla National Science Foundation. Inoltre è stato supportato dall’American Psychological Association, dall’American Psychological Foundation, dalla Jefferson Scholars Foundation, dall’Alan Alda Fund for Communication e dall’Association for Psychological Science.



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COREA DI HUNTINGTON IL PRIMO LIBRO BIANCO SULLA PATOLOGIA Dal Recovery Fund ai caregiver, ecco le richieste dei familiari alle istituzioni

di Alessia Vincenti

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pesso se ne parla, maldestramente e quasi offensivamente, come ballo di San Vito. In realtà è una patologia rara che colpisce di generazione in generazione. Stiamo parlando della Corea di Huntington. La patologia nei secoli ha avuto tanti appellativi. La stessa corea in greco significa danza. Ma, al di là del nome, parliamo di una malattia neurodegenerativa che colpisce nella sola Italia almeno 6.500 persone, uomini e donne in egual misura. I sintomi appaiono generalmente in età adulta, tra i 35 e i 45 anni, nel pieno della vita familiare e lavorativa, ma possono sviluppare la malattia sia bambini al di sotto dei 10 anni che gli anziani al di sopra degli 80. Caratterizzata da una triade di sintomi di tipo neurologico, psichiatrico e cognitivo è stata recentemente descritta dalla Società scientifica americana della malattia di Huntington (HDSA) come

l’insieme di malattia di Parkinson, Sclerosi Laterale Amiotrofica e malattia di Alzheimer nello stesso individuo. Il vero dramma, però, è che la patologia di Huntington non è malattia dell’individuo, ma anche malattia della famiglia, tramandata di generazione in generazione e non di rado trattata come “affare di famiglia”: qualcosa da tenere dentro, in un misto di stigma, paura e vergogna. Le persone e le famiglie che vivono questa patologia sono portatrici di enormi bisogni insoddisfatti: bisogni clinici, certamente, ma anche assistenziali, sociali, lavorativi, di inclusione. E proprio dalla necessità di far emergere e affrontare queste esigenze nasce il Libro bianco Huntington. Da affare di famiglia a questione pubblica, scritto dalla comunità Huntington con il supporto di Roche, a cura di Osservatorio Malattie Rare e con il contributo di As-


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sociazione Italiana Còrea di Huntington Roma OdV, Huntington Onlus-La rete italiana della malattia di Huntington e Fondazione Lega Italiana Ricerca Huntington (LIRH) onlus: un testo - il primo su questa patologia - che vuole richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni, perché possano conoscere i bisogni della comunità Huntington e farsene carico. Tra i tanti bisogni sono stati identificati come prioritari una presa in carico multidisciplinare che includa supporto psicologico e gestione psichiatrica, la disponibilità di assistenza sia sotto forma di centri di sollievo che di servizi domiciliari - anche attingendo agli stanziamenti del Recovery Fund - e un maggior riconoscimento giuridico ai fini della tutela dei pazienti e dei caregiver sul lavoro. “Questa iniziativa - ha affermato la senatrice a vita Elena Cattaneo nel giorno della presenta-

zione del Libro Bianco - è molto importante per la comunità Huntington, ma può avere un impatto anche oltre, perché questa malattia può rappresentare un modello per altre patologie, in modo particolare per quelle con una forte componente psichiatrica. È ora che la malattia di Huntington - così come altre malattie ad alta complessità e forte impatto psicologico, sociale ed anche economico - esca dalla dimensione familiare e diventi una questione pubblica, non solo in ambito sanitario, ma anche per quanto riguarda lavoro, integrazione e non da ultima anche la comunicazione, perché la diffusione di idee corrette è il miglior supporto alla realizzazione di azioni valide. Non a caso uno dei più forti slogan mondiali adottati dalla comunità Huntington è mai più nascosti”. Ma entriamo nello specifico. La malattia di Huntington è una malattia ereditaria del sistema nervoso centrale che si trasmette con una probabilità su due (50%) dal genitore malato ai figli. La mutazione genetica che ne è causa è stata scoperta nel 1993 ed oggi è possibile eseguire un test per sapere se si è ereditata la patologia, anche prima che compaiano i sintomi. “La mutazione che causa la malattia di Huntington è la stessa in tutti i pazienti del mondo - ha spiegato nel giorno della presentazione del Libro la dottoressa Caterina Mariotti dell’Unità di Genetica Medica e Neurogenetica presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano - Si tratta di un tratto del DNA costituito da ‘triplette CAG’ (Citosina-Adenina-Guanina) che si allunga in maniera anomala, producendo una forma mutata della proteina Huntingtina. Ciò che varia da paziente a paziente è la lunghezza del tratto espanso e questo ha importanti conseguenze nel momento in cui si superano le 35 ripetizioni: tra 36 e 39 triplette alcuni si ammaleranno, magari in tarda età, ed altri no, ma da 40 in su la malattia esordirà certa-

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Tra i tanti bisogni sono stati identificati come prioritari una presa in carico multidisciplinare che includa supporto psicologico e gestione psichiatrica, la disponibilità di assistenza sia sotto forma di centri di sollievo che di servizi domiciliari - anche attingendo agli stanziamenti del Recovery Fund - e un maggior riconoscimento giuridico ai fini della tutela dei pazienti e dei caregiver sul lavoro.


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La malattia di Huntington ha portato con sé non solo il peso dei sintomi ma anche isolamento, vergogna e miseria, collegati a un’aura di colpa e misfatti, alimentata da una cattiva produzione scientifica e letteraria. In genere sono gli aspetti comportamentali ad avere un impatto maggiore sull’equilibrio familiare, in quanto la persona può cambiare carattere e, quindi, diventare assente e apatica, o al contrario, diventare irascibile, perdere spesso la pazienza, alimentare quotidianamente litigi e discussioni.

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mente. Tanto maggiore è il numero di triplette tanto prima arriveranno i sintomi”. Dunque, è necessario migliorare la conoscenza delle manifestazioni cliniche e della storia naturale della malattia di Huntington, che continua ad essere identificata, per errore, soltanto con il suo sintomo più facilmente riconoscibile, la corea, incontenibile e disabilitante movimento involontario di ogni parte del corpo. È piuttosto il declino delle funzioni cognitive che, insieme alle alterazioni del comportamento, genera il senso profondo di isolamento di chi soffre di questa grave patologia e di impotenza da parte della sua famiglia. Per questo motivo è importante che pazienti e familiari partecipino ai progetti di ricerca osservazionale. La malattia di Huntington ha portato con sé non solo il peso dei sintomi ma anche isolamento, vergogna e miseria, collegati a un’aura di colpa e misfatti, alimentata da una cattiva produzione scientifica e letteraria. In genere sono gli aspetti comportamentali ad avere un impatto maggiore sull’equilibrio familiare, in quanto la persona può cambiare carattere e, quindi, diventare assente e apatica, o al contrario, diventare irascibile, perdere spesso la pazienza, alimentare quotidianamente litigi e discussioni. Molte coppie non reggono a questo impatto e le separazioni sono frequenti. Di fronte a questi sintomi è facile che non si riconosca più il partner sopraffatto dalla malattia, percependolo emotivamente distante o estraneo. Molti coniugi riferiscono la triste sensazione di lutto nel perdere la persona cara due volte a causa della malattia di Huntington: la prima quando si ammala, la seconda quando realmente viene a mancare dopo lunghissimi anni di malattia. Ecco perché il loro benessere può essere perseguito e aumentato attraverso l’implementazione di modelli di presa in carico che includano - a fianco di professionisti imprescindibili come il genetista

e il neurologo - la collaborazione dello psichiatra, ma anche l’intervento di nutrizionisti, logopedisti, l’attuazione della psicomotricità e della terapia di rimedio cognitivo, in abbinamento alle terapie neurologiche, psichiatriche e al sostegno psicologico o psicoterapeutico fin dal momento in cui si dovesse cominciare il percorso per il test predittivo. “È importante che le persone coinvolte dall’Huntington conoscano la malattia e le sue ripercussioni sulla persona, al di là di quelli che sono gli aspetti più evidenti e che siano guidati nella sua gestione dalle diverse e necessarie competenze e conoscenze’’, ha affermato ancora Elisabetta Caletti, Presidente di Huntington Onlus-La rete italiana della malattia di Huntington. Affinché tutto questo accada si potrebbe cominciare proprio con i fondi del Recovery Fund. Se la presa in carico multidisciplinare è fondamentale lo è altrettanto occuparsi della propria famiglia, in particolare dei caregiver. Il caregiver può essere un adulto - talvolta anche in là con gli anni - o una persona nel pieno della vita lavorativa, come nel caso dei coniugi, che possono al tempo stesso dover accudire anche dei figli. Ma ad essere coinvolti sono anche questi ultimi quando a sviluppare la malattia è un padre o una madre: la malattia di Huntington è una malattia della famiglia e ha quindi un altissimo impatto sociale. Per questo è essenziale che il sistema, sanitario, sociale e


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assistenziale se ne faccia carico. Oltre alla presa in carico multidisciplinare, la nascita di strutture di sollievo e una maggiore assistenza domiciliare, l’integrazione dei diversi livelli di legislazione, programmazione e gestione delle politiche di welfare per preservare fin dove possibile il lavoro e il reddito familiare, e infine un immediato inserimento della malattia nel Piano Nazionale Demenze. Tre in particolare sono le richieste che le associazioni e i clinici hanno portato all’attenzione delle istituzioni. La prima richiesta è quella di favorire la nascita di strutture di sollievo dalle caratteristiche adeguate alle quali affidare per alcuni periodi la persona con Huntington. Luoghi che rispondano alle loro peculiari, e anche variegate e complesse esigenze, così da concedere alla famiglia e al caregiver un tempo di sano e sereno distacco dall’angoscia di questa malattia e dalla fatica fisica e psicologica dell’assistenza. Una richiesta, questa, che va di pari passo con quella di una maggiore disponibilità di assistenza domiciliare, sia sanitaria sia sociale, poiché al di là dei periodi di ricovero, le famiglie che assistono una (o più!) persone con Huntington hanno assoluto bisogno di supporto, pena la perdita delle relazioni sociali e non da meno - un impoverimento economico importante. Un’ultima richiesta alle istituzioni, che potrebbe essere di veloce e immediata

realizzazione, è quella fatta dal Professore Luca Pani, Ordinario di Farmacologia e Farmacologia Clinica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e Ordinario di Psichiatria Clinica all’Università di Miami, che ha realizzato la prefazione del Libro bianco: “Il miglioramento dell’assistenza, la valorizzazione della ricerca e dell’innovazione nell’ambito della malattia di Huntington richiedono azioni mirate al riempimento delle lacune che esistono a livello legislativo, in primis, attraverso l’inserimento della malattia di Huntington nel Piano Nazionale delle Demenze”. Non solo. La comunità chiede anche di prevedere, in ragione degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che, nella Missione 6 (Salute), una riforma dei servizi di prossimità e la definizione di standard omogenei per l’assistenza sul territorio, riconoscere e garantire una maggiore sinergia tra assistenza domiciliare, socio-sanitaria, e presa in carico psicologica per pazienti e famiglie, che tenga in considerazione le esigenze specifiche di malattie invalidanti come la Malattia di Huntington. Non solo. Nell’ambito della Missione 6 (Salute), riforma 1, investimento 1 del PNRR, che destina un fondo di 2 miliardi di euro all’attivazione di 1288 “Case della Comunità” su tutto il territorio nazionale entro la metà del 2026, finalizzate al coordinamento dell’offerta di servizi sanitari a cittadini e famiglie, individuare risorse finalizzate a incentivare - all’interno di tali strutture - la creazione di percorsi per il sollievo, con personale adeguatamente formato per la presa in carico di persone con malattie invalidanti come la malattia di Huntington. Infine, fondamentale potrebbe essere riconoscere aiuti economici alle famiglie con persone con malattie invalidanti come la malattia di Huntington in ragione dell’alto impatto economico, per la riduzione del reddito che comportano e le alte spese a cui le famiglie vanno incontro.

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La prima richiesta della comunità Huntington è quella di favorire la nascita di strutture di sollievo dalle caratteristiche adeguate alle quali affidare per alcuni periodi la persona con Huntington. Luoghi che rispondano alle loro peculiari, e anche variegate e complesse esigenze, così da concedere alla famiglia e al caregiver un tempo di sano e sereno distacco dall’angoscia di questa malattia e dalla fatica fisica e psicologica dell’assistenza.


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I TRAGUARDI DELLA TMS CURA DI DEPRESSIONE E TABAGISMO. STUDIO SUL “DISGUSTO MORALE” Ricerche e terapie da Bologna a Torino. A che punto siamo con la Stimolazione Magnetica Transcranica

di Antonio Acerbis

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perimentata con successo nella cura del Parkinson e dell’Alzheimer, ma anche della depressione e di altre patologie, la stimolazione magnetica transcranica (Tms) aiuta anche a ridurre il desiderio di fumare o di consumare altre sostanze psicostimolanti. Il trattamento partirà a brevissimo presso la Clinica Santa Caterina da Siena di Torino, in collaborazione con la Casa di Cura San Giorgio, che fino ad ora era l’unica struttura a proporla in Piemonte. “Questa tecnica stimola i neuroni e le loro connessioni, le sinapsi - spiega all’Ansa

il dottor Augusto Consoli, neuropsichiatra che collabora con la Clinica Santa Caterina da Siena -. A seconda dell’area del cervello su cui agisce, e del quadro clinico del paziente, rallenta i processi degenerativi tipici delle patologie neurologiche; ripristina il funzionamento dei circuiti cerebrali preposti al controllo dell’umore nei pazienti con depressione; riduce il desiderio di assunzione nei pazienti assuefatti a sostanze psicostimolanti, come la nicotina o altre sostanze e farmaci”. Intervenendo sui circuiti cerebrali alterati, la stimolazione magnetica


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transcranica “aumenta la loro neuroplasticità - prosegue il dottor Consoli - ristabilendo il funzionamento delle cellule neuronali e delle loro connessioni. E permettendo così un ritorno a un funzionamento fisiologico dei meccanismi di neurotrasmissione e di controllo delle emozioni e delle decisioni”. Il trattamento secondo gli ultimi studi non è rischioso, né doloroso, e i suoi effetti si possono notare in poco tempo. Viene utilizzata in combinazione con la Terapia Cognitivo Comportamentale, perché “mentre la stimolazione magnetica agisce sulla neurofisiologia - con-

clude - la psicoterapia permette al paziente di ridefinire in profondità l’approccio alla comprensione dei propri problemi e delle proprie decisioni. E di rimodulare i comportamenti in modo più funzionale e coerente alle proprie scelte razionali”. Ma c’è di più. Sempre tramite la Tms l’Università di Bologna, insieme all’ateneo di Messina, nelle ultime settimane ha raggiunto altri importanti risultati. Quando assistiamo ad un comportamento che ci indigna perché viola norme morali condivise il nostro cervello inibisce i neuroni che controllano il movimento della

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Intervenendo sui circuiti cerebrali alterati, la stimolazione magnetica transcranica “aumenta la loro neuroplasticità ristabilendo il funzionamento delle cellule neuronali e delle loro connessioni.


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“I risultati del nostro studio suggeriscono un’origine orale della moralità: l’impulso al rigetto evocato originariamente dal disgusto per un sapore sgradito potrebbe infatti essere stato cooptato per promuovere anche il rigetto delle trasgressioni morali”, spiega Alessio Avenanti, neuroscienziato al Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna (Campus di Cesena) e coordinatore della ricerca.

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lingua, proprio come accade quando entriamo in contatto con un cattivo sapore. Lo ha scoperto un gruppo internazionale di ricerca guidato da studiosi: pubblicato sulla rivista Social, Cognitive and Affective Neuroscience, lo studio è stato premiato con il “Best Paper Prize 2021” alla XII International Scientific Conference on Neuroethics. “I risultati del nostro studio suggeriscono un’origine orale della moralità: l’impulso al rigetto evocato originariamente dal disgusto per un sapore sgradito potrebbe infatti essere stato cooptato per promuovere anche il rigetto delle trasgressioni morali”, spiega Alessio Avenanti, neuroscienziato al Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna (Campus di Cesena) e coordinatore della ricerca. “Lungi dall’essere solo espressione del ragionamento e delle capacità cognitive, il giudizio morale appare quindi calato in meccanismi corporei ed emozionali”. “Disgustoso” può essere infatti un sapore spiacevole come quello di un alimento andato a male o di una sostanza non commestibile, ma “disgustosa” può essere anche un’azione o un comportamento che ci indigna perché viola le norme condivise. Per studiare se e in che modo questa relazione tra morale e disgusto dipenda da specifici meccanismi cerebrali legati a segnali corporei, gli studiosi hanno indagato l’attività dei neuroni che controllano i movimenti della lingua.”Da un punto di vista sensoriale, il legame tra lingua e disgusto è intuitivo, poiché questo muscolo orale funziona come un organo sensoriale che codifica i sapori attraverso i recettori gustativi presenti sulla sua superficie”, ha spiegato alle agenzie stampa Carmelo Vicario, professore all’Università di Messi-

na e primo autore dello studio. “In passato avevamo già dimostrato che stimoli che inducono disgusto orale sono in grado di inibire quella parte della corteccia motoria che controlla la lingua: in questo nuovo studio abbiamo ora dimostrato che una simile inibizione neurale della lingua avviene anche quando si è esposti a una violazione morale”. Ed ecco il punto: per arrivare a questo risultato, i neuroscienziati hanno coinvolto un campione di persone applicando la Stimolazione magnetica transcranica (TMS). La tecnica non invasiva grazie ad una bobina posizionata sulla testa ha in questo caso permesso di creare un campo magnetico per stimolare la rappresentazione della lingua nella corteccia motoria. Ai soggetti coinvolti sono stati poi mostrati diversi scenari che in alcuni casi prevedevano delle violazioni dei codici morali. Attraverso una serie di elettrodi è stata quindi registrata di volta in volta la risposta dei neuroni motori che controllano il movimento della lingua. I risultati ottenuti hanno così mostrato che le violazioni morali che indignavano fortemente i partecipanti corrispondevano ad un’inibizione della capacità motoria della lingua, e maggiore era l’indignazione provata, maggiore era il livello di inibizione registrato. Dunque, la conclusione: l’inibizione del movimento della lingua che si registra quando entriamo in contatto con un sapore spiacevole potrebbe essere legata ad un meccanismo di difesa sviluppato per prevenire l’ingestione di sostanze dannose. I risultati di questo nuovo studio suggeriscono ora che lo stesso meccanismo di difesa potrebbe essersi adattato anche per reagire alle violazioni delle norme morali condivise.


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nuovo coronavirus

Consigli sulle terapie in corso Titolo Non trascurare le tue patologie croniche. Continua ad assumere i farmaci che ti sono stati prescritti seguendo sempre le raccomandazioni del tuo medico. Le tue patologie non aspettano la fine della pandemia! Contatta il tuo medico per chiedergli consiglio, se hai qualche dubbio sulla terapia che stai assumendo. Il medico può fornirti telefonicamente il numero della ricetta con il quale ritirare i medicinali di cui hai bisogno presso la farmacia. Informati su quando potrai riprendere i tuoi controlli medici periodici. Non sospendere le terapie in corso senza aver consultato il tuo medico, in caso di positività al COVID-19. Ricordati di riferire al medico se stai assumendo integratori alimentari.

Chiedi conferma degli appuntamenti per le vaccinazioni dei tuoi bambini e cerca di non saltarli. Non esiste solo il COVID-19!

A cura del Gruppo ISS “Comunicazione Nuovo Coronavirus” 13 maggio 2020

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TERAPIA DELLA LUCE, A CHE PUNTO SIAMO Incrementa il rilascio della serotonina regola l’umore e i ritmi circadiani

di Alessandro Cuomo e Samuela Paoletti Ricercatori e psichiatri Azienda ospedaliero-universitaria Senese

di Andrea Fagiolini Direttore Dipartimento di Salute mentale - UOC Psichiatria dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese

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a luce è un elemento essenziale per tutti gli esseri viventi in natura. Fu Erofilo il primo a riconoscere che, diversamente dagli altri nervi sensoriali, i nervi ottici sono cavi, questo fatto suffragava l’idea che attraverso questi nervi, a partire dal cervello fino all’interno degli occhi, scorresse una sorta di effluvio psichico chiamato “pneuma”: una sorta di flusso igneo che emana dall’occhio nell’aria circostante. Il successo definitivo di questo modello neurologico fu sancito da Galeno, la cui opera anatomica e fisiologica era fondamentalmente un’elaborazione di quella dei suoi predecessori alessandrini, in particolare Erofilo.

La stimolazione luminosa attraversa la retina, viene convogliata nel nervo ottico e da questo alla corteccia cerebrale, la quale elabora il segnale trasformandolo in un’immagine visiva. Si possono attribuire alla luce solare numerosi vantaggi: essa, infatti, incrementa il rilascio di serotonina,un neurotrasmettitore fondamentale nella regolazione del tono dell’umore, favorisce l’apprendimento, regola i ritmi circadiani, stimola l’assorbimento di calcio, regola i livelli di fosforo, facilita la funzione del sistema immunitario e la guarigione di patologie dermatologiche. La luce solare ricevuta dalle terminazioni nervose condiziona anche


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l’epifisi, una piccola ghiandola posta al centro del cervello, la quale ha molteplici funzioni, come quella di regolare l’attività cognitiva e umorale. Le cellule di cui è costituita, pinealociti, regolano la sintesi di melatonina, essenziale nella regolazione del ciclo sonno-veglia, la quale viene secreta in assenza di luce; le sue concentrazioni massime, infatti, si osservano nel cuore della notte per poi ridursi gradualmente nell’approssimarsi del mattino. La luce, dunque, contribuendo al rilascio di serotonina e regolando quello della melatonina, facilita il riequilibrio della sfera timica. Oltre allo spettro di luce, l’intensità, la durata, il tempo e l’angolazione dell’esposizione influenzano tutte le nostre risposte fisiologiche e comportamentali. Fu Antonio Sciascia a parlare per primo di fototerapia e, nel 1983, fu Niels Finsen che cominciò a studiare l’uso della luce solare nelle lesioni causate dal vaiolo e da altre affezioni dermatologiche. Largo impiego della fototerapia è applicato in caso di SAD (Disturbo affettivo stagionale), laddove i pazienti affetti da tale patologia risentono fortemente dell’influenza della luce solare. Tuttavia, è stato ipotizzato un beneficio anche su un’ampia serie di altri disturbi, quali la

Depressione Maggiore non stagionale, la Bulimia Nervosa, la Disforia Premestruale, la Depressione ante e post Partum ed i Disturbi del Sonno. Esistono molte ricerche che evidenziano l’effetto antidepressivo della fototerapia. La somministrazione della luce ad un definito orario della mattina, calcolato attraverso il Morningness ed Eveningness Questionnaire (questionario che definisce il cronotipo individuale) consente di potenziare l’effetto antidepressivo dell’assunzione di un eventuale farmaco, ottenendo una più rapida risoluzione, ad esempio, di un episodio depressivo. È necessario sedersi a circa 50-70 cm dalla fonte luminosa con una luce tra i 2500 e 10000 lux, intensità fino a 100 volte superiore rispetto a quella di un ambiente interno illuminato artificialmente. Il trattamento è quotidiano e la sua durata è variabile da 2 giorni a 2 mesi, anche se in media sono sufficienti dalle 2 alle 4 settimane. La fototerapia può causare alcuni, seppur modici, effetti collaterali, quali nausea, cefalea e, talvolta, può presentare alcune controindicazioni, come il glaucoma, o l’assunzione di alcuni medicinali, come la clorochina o alcuni antibiotici, per cui si rende necessario il parere clinico per il suo corretto impiego. Inoltre, non si può applicare a tutti i pazienti indistintamente, ad esempio non è raccomandabile in un paziente con un Disturbo bipolare che si trovi in una fase maniacale, in quanto il suo utilizzo causerebbe l’inasprimento dei sintomi. Tuttavia, i risultati terapeutici sono ampiamente documentati a livello scientifico e gli effetti benefici si possono riscontrare non solo nel miglioramento soggettivo del tono dell’umore, ma anche misurando parametri biologici, quali i livelli di cortisolo, melatonina e di determinate funzioni del sistema serotoninergico.

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La somministrazione della luce ad un definito orario della mattina, calcolato attraverso il Morningness ed Eveningness Questionnaire (questionario che definisce il cronotipo individuale) consente di potenziare l’effetto antidepressivo dell’assunzione di un eventuale farmaco, ottenendo una più rapida risoluzione, ad esempio, di un episodio depressivo. È necessario sedersi a circa 50-70 cm dalla fonte luminosa con una luce tra i 2500 e 10000 lux, intensità fino a 100 volte superiore rispetto a quella di un ambiente interno illuminato artificialmente.


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ANSIA E PAURA DI ESSERE I “PROMOSSI DEL COVID”. I NOSTRI GIOVANI AGLI ESAMI DI MATURITÀ L’allarme dell’Iss su bimbi e adolscenti: servono figure specializzate a supporto di genitori e insegnanti


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di Carmelo Ingenito

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on gli esami di maturità i nostri ragazzi arrivano al giro di boa della vita di ogni persona. Per molti la scelta dell’università o del lavoro si rivela fondamentale già da ora per il prosieguo della propria esistenza. Le difficoltà sono tante e sicuramente i mesi che abbiamo vissuto densi di paura e pandemia non aiutano. Ansia se non crisi di panico, difficoltà di apprendimento dovuta alla riduzione di relazioni dirette con gli insegnanti, preparazione inferiore al normale. Queste sono alcune delle difficoltà rilevate negli studenti per la Didattica a distanza (Dad) riguardo l’esame di Maturità. Emerge però un altro aspetto abbastanza singolare, ma che ha una sua logica nella prospettiva anche del lavoro: la paura di essere considerati “i promossi del Covid”, cioè agevolati come ai tempi del “6 politico” nel Sessantotto. È quanto evidenzia un focus realizzato dall’Istituto paritario Freud di Milano sul “sentiment” degli oltre 700 giovani che lo frequentano. Circa il 50% teme di essere “etichettato” da una promozione più facile o da un voto più alto ottenuti grazie alla pandemia. E quasi il 60% ritiene che in fase di colloquio di lavoro potrebbe crearsi “un pregiudizio” nei confronti degli studenti promossi l’anno scorso o quest’anno con “un danno a inizio carriera”. D’altro canto oltre il 70%, basandosi anche sui rapporti con amici e conoscenti che frequentano altre scuole, ritiene “inferiore al normale” anche “se senza colpa di nessuno” la preparazione dell’ultimo biennio. Insomma, c’è il timore di essere marchiati come i maturandi del coronavirus, cioè meno preparati per l’università e per il mondo del lavoro. Hanno l’idea che soffriranno ad avvalorare la loro preparazione e le loro competenze. Non bisogna trascurare se i giovani non sognano un domani, se non avvertono più


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Tra gli effetti psicologici causati dalla pandemia da Covid sulla salute mentale di bambini e adolescenti ci sono disturbi d’ansia, sonno, irritabilità, regressione.

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il desiderio di poter esprimere il loro talento nella società. Un problema non di poco conto che fa comprendere come mai, secondo gli esperti, ansia e depressione non sono così rari tra gli adolescenti, specie tra coloro che si apprestano a sostenere l’esame di maturità e, in generale, in gran parte della popolazione dei minori. Tra gli effetti psicologici causati dalla pandemia da Covid sulla salute mentale di bambini e adolescenti ci sono disturbi d’ansia, sonno, irritabilità, regressione. Attualmente il 99% dei minori nel mondo sta infatti sperimentando varie forme di limitazione della propria autonomia di movimento, compresa la sospensione della frequenza scolastica. E il 60% vive in Paesi con lockdown parziale o totale. Effetti che possono essere gestiti

e ridotti quanto più precocemente genitori e pediatri intervengono per evitare che lo stress diventi tossico. A fare il punto è stato a inizio mese anche l’Istituto superiore di sanità (Iss) che passa in rassegna diversi studi sull’argomento. Sono molteplici le ricerche che dicono che gli alti livelli di stress e isolamento possono influenzare lo sviluppo psico-fisico di bambini e adolescenti, anche a lungo termine, pesando maggiormente su chi si trova in situazioni di povertà’ economica, sociale, educativa. Secondo una ricerca dell’Università di Harvard, realizzata a marzo e aprile scorso su un campione di 3.453 individui (per l’Italia hanno partecipato l’ospedale pediatrico Gaslini e l’università di Genova) è emerso, per quel che riguarda le famiglie italiane con figli minorenni, che nel 65%


L’INCHIESTA

dei bambini sotto i 6 anni e nel 71% sopra i 6 anni ci sono stati problemi comportamentali e sintomi di regressione. Sotto i 6 anni i disturbi più frequenti sono stati l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e d’ansia (inquietudine, ansia da separazione), mentre tra i 6 e 18 anni sono prevalsi disturbi d’ansia, sensazione di mancanza d’aria e del sonno. Uno studio inglese pubblicato su The Lancet ha invece confrontato lo stato di salute mentale della popolazione prima e durante il lockdown, rilevando un aumento dei livelli di stress tra i 16 e 24 anni, salito dal 24,5% nell’anno pre-Covid al 37% ad aprile del 2020. Infine, uno studio del Dipartimento di Scienze formative, psicologiche e della comunicazione dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli condotto su 300 studenti ha visto che ansia, depressione, alterazione dei ritmi del sonno e della quantità e della qualità dell’alimentazione sono le principali conseguenze sugli adolescenti dopo oltre un anno di emergenza sanitaria da Coronavirus.

Come uscire da questa situazione? Quello che può fare la differenza è l’atteggiamento protettivo e di supporto dei genitori nel modulare le reazioni emotive dei figli legate allo stress. Per questo, sottolinea l’Istituto superiore di sanità, è importante supportare il ruolo dei genitori, ma anche degli insegnanti, coinvolgendo dei professionisti sanitari impegnati sul territorio nella promozione della salute e in ambito pediatrico, psicologico e neuropsichiatrico, in collaborazione con la scuola. Bisognerà, spiega l’Iss, tenere alta l’attenzione per capire a fondo l’impatto del Covid-19 sulla salute mentale di bambini e adolescenti, rafforzare i servizi di salute mentale nell’eventualità di un’ondata di casi di depressione e garantire supporto ai genitori, affinché possano aiutare i figli a sviluppare consapevolezza ed elaborare le emozioni, ricostruire abitudini e ritmi, valorizzando l’autonomia. Per il momento, però, non resta che augurare a tutti i ragazzi buone vacanze e ai maturandi fare un grosso in bocca al lupo.

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Quello che può fare la differenza è l’atteggiamento protettivo e di supporto dei genitori nel modulare le reazioni emotive dei figli legate allo stress.


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CONTAGIO IN CORSIA MEDICI E INFERMIERI LE PRIME VITTIME DEL COVID SUL LAVORO Dall’inizio della pandemia 600 decessi da infezione sul lavoro: le loro storie La denuncia dell’Anmil: alcune categorie restano escluse dagli indennizzi

di Carmine Gazzanni

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n murales per ricordare “il gigante buono” al posto della scritta vergognosa “no vax” che campeggiava fino a qualche mese fa su via Trionfale, a Roma, nei pressi dell’ospedale San FIlippo Neri. Al suo posto, dunque, un’opera che ricorderà Luciano Quaglieri, l’infermiere che in zona tutti conoscevano, specie chi frequentava quell’ospedale e quel pronto soccorso. “Lucianone”, lo chiamavano tutti per la sua stazza fisica. Ma a spiccare, prima ancora della sua possenza, era la sua genuinità, la sua dolcezza, il

suo avere una parola buona per tutti. “Il gigante buono” è morto a soli 47 anni dopo aver contratto il Covid-19 a inizio 2021. Una perdita che ha sconvolto tutti, amici, familiari, colleghi e pazienti, che lo ricordano come un gigante buono, appunto, sempre allegro e sorridente. Così com’era anche Raffaele Grassi, infermiere anche lui, 40enne originario di Caserta e in servizio all’ospedale Grassi di Ostia. Un professionista “preparato e irreprensibile, sempre cordiale, educato, mai fuori luogo”, dicono oggi i colleghi. Anche Zagaria


L’INCHIESTA

è morto a causa del Covid. Esattamente come, ancora, Alessandro Mercuri, altro operatore sanitario: si è spento a fine 2020 a causa del coronavirus nei giorni dei funerali di Alvaro Rossi, suo collega infermiere, morto anche lui per il maledetto contagio nel giorno di Natale. Storie drammatiche che, purtroppo, non sono così isolate. Secondo i dati Inail, dall’inizio della pandemia allo scorso 30 aprile (ultimi dati disponibili) i decessi per contagi Covid sul lavoro sono 600, concentrati soprattutto nel trimestre marzo-maggio 2020 (58,2%) e pari a circa un terzo del totale degli infortuni sul lavoro con esito mortale denunciati all’Istituto da gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,5% rispetto al complesso dei

deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla data del 30 aprile. Non solo. Se si fa il conto del totale dei contagi sul luogo di lavoro ecco che il numero sale all’incredibile cifra di 171.804, circa un quarto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020, con un’incidenza del 4,3% rispetto al complesso dei contagiati nazionali comunicati dall’Iss alla stessa data. E, manco a dirlo, il settore più colpito è senza ombra di dubbio quello sanitario. “Rispetto alle attività produttive coinvolte dalla pandemia - spiega candidamente l’Inail - il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…) registra il 66,5% delle

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Secondo i dati Inail, dall’inizio della pandemia allo scorso 30 aprile (ultimi dati disponibili) i decessi per contagi Covid sul lavoro sono 600, concentrati soprattutto nel trimestre marzo-maggio 2020 (58,2%).


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“Questi operatori, oltre ai danni fisici causati dal Covid, sono soggetti costantemente a forti pressioni, determinate da turni massacranti e dalla continua situazione di emergenza cui sono sottoposti soprattutto in questo periodo. Situazioni che stanno creando le basi per lo sviluppo di gravi patologie di natura psicologica ed emotiva, particolarmente frequenti tra questi operatori come lo stress e il burn out”.

L’INCHIESTA

denunce; seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl - e amministratori regionali, provinciali e comunali) con il 9,2%; dal noleggio e servizi di supporto (servizi di vigilanza, di pulizia, call center…) con il 4,4%; dal trasporto e magazzinaggio con il 3,0%; dal settore manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici, farmaceutici, stampa, industria alimentare) con il 2,9%”. Una distanza abissale che rende conto di come i nostri medici, infermieri, operatori sanitari abbiano trascorso anni di inferno rischiando sulla propria pelle. Ma il rischio, in ambito sanitario e non, non è ancora passato. Come spiega a Professione Sanità Zoello Forni, il presidente dell’Anmil (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi sul Lavoro), “la seconda ondata ha avuto sul lavoro un impatto ancora più grave della prima: il periodo ottobre 2020-febbraio 2021, infatti,incide per il 64,4% sul totale delle denunce di infortunio da Covid-19”. Senza dimenticare, per quanto riguarda i professionisti della sanità, un aspetto da non dover sottovalutare: “Questi operatori, oltre ai danni fisici causati dal Covid, sono soggetti costantemente a forti pressioni, determinate da turni massacranti e dalla continua situazione di emergenza cui sono sottoposti soprattutto in questo periodo. Situazioni che stanno creando le basi per lo sviluppo di gravi patologie di natura psicologica ed emotiva, particolarmente frequenti tra questi operatori come lo stress e il burn out”, sottolinea Forni. E non è un caso, d’altronde, che l’Inail si sta già muovendo fattivamente a riguardo, come spiega anche il presidente dell’Istituto, Franco Bettoni: “Il nostro impegno per la gestione dell’emergenza sanitaria sta proseguendo anche attraverso la stipula di convenzioni con strutture sa-

nitarie del territorio per garantire prestazioni riabilitative ai lavoratori che continuano a soffrire di postumi debilitanti a distanza di mesi dal contagio da Sars-CoV-2”. Non solo: “Puntiamo a garantire - assicura Bettoni - un approccio alla riabilitazione degli assistiti di tipo multi-assiale, in grado cioè di prendere in carico ogni caso sulla base delle specifiche esigenze terapeutiche post Covid-19, che possono interessare l’aspetto respiratorio, cardiologico, muscolare e neurologico. Operando in sinergia con il Sistema sanitario nazionale vogliamo alleggerire la pressione degli utenti sulle strutture del sistema pubblico a causa dell’elevata domanda generata dagli effetti della pandemia sulla popolazione”. Questo, però, non vuol dire che tutti i problemi siano svaniti e che non ci siano fronti di intervento. Se infatti


L’INCHIESTA

è vero, come ricorda ancora l’Anmil, che “l’infezione da Covid contratta in ambito lavorativo è stata giustamente assimilata ad infortunio lavorativo dalla L. 27 del 24 aprile 2020, sulla base del consolidato principio giuridico che equipara la causa virulenta alla causa violenta che è propria dell’infortunio” (e dunque i lavoratori possono usufruire pienamente di quella tutela integrale che l’Inail garantisce ai lavoratori infortunati e alle loro famiglie, non solo in termini di indennizzi e sostegni economici, ma anche per quanto riguarda la cura, la riabilitazione psicofisica e il reinserimento sociale e lavorativo), è altrettanto vero che, sempre secondo l’Anmil, “rispetto ai numeri di questa pandemia, il totale dei lavoratori cui è stato riconosciuto l’infortunio da Covid e che sta accedendo all’assistenza dell’Inail non ci sembra rispondere ad

una piena considerazione dei sacrifici di chi, ammalandosi e riportando gravi conseguenze - perché, ovviamente e fortunatamente, non tutti i contagiati si ritrovano, al termine della malattia, con danni permanenti - viene effettivamente riconosciuto. In pratica viene fortemente messo in discussione il nesso causale tra il contagio da Covid e l’attività lavorativa e, dal canto nostro, lo deduciamo dai molti ricorsi che stiamo seguendo per cercare di far rientrare coerentemente e doverosamente questi lavoratori nella condizione di beneficiare dei diritti all’assistenza da parte dell’Inail”. Insomma, nonostante l’impegno delle istituzioni e in primis dell’Inail a quanto pare - almeno a detta dell’Associazione che raccoglie invalidi e infortunati sul lavoro - non tutti riescono ad accedere ad eventuali indennizzi in tempi rapidi. Senza dimenticare un altro vulnus di sistema che spiega direttamente l’Inail. Se da una parte “per alcune categorie, come quella degli operatori sanitari ma anche altre che comportano il costante contatto con il pubblico, vale la presunzione semplice di esposizione professionale, ossia si dà per presunto il nesso causale tra l’infezione da Covid e il lavoro svolto, sollevando il lavoratore dall’onere della prova”, ad oggi “rimane aperta la questione dell’esclusione dalla tutela Inail di soggetti particolarmente esposti al rischio contagio, come quella dei medici di famiglia e dei medici liberi professionisti”. Risultato? “Le oltre 170mila denunce di contagi sul lavoro da Covid-19 pervenute all’Inail, alla data del 31 aprile, non comprendono queste categorie. Il dato è sicuramente preoccupante”. Un dramma nel dramma, di cui ad oggi nessuno (o soltanto pochi) sembrano occuparsi.

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Ad oggi “rimane aperta la questione dell’esclusione dalla tutela Inail di soggetti particolarmente esposti al rischio contagio, come quella dei medici di famiglia e dei medici liberi professionisti”. Risultato? “Le oltre 170mila denunce di contagi sul lavoro da Covid-19 pervenute all’Inail, alla data del 31 aprile, non comprendono queste categorie.


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LA STORIA DI DUE SORELLE E LA SCOPERTA DELLA SERENITÀ Intervista alla scrittrice Lisa Ginzburg, in libreria con “Cara Pace” (Ponte alle Grazie), già selezionato al Premio Strega, e in finale al Premio Comisso “Sono contenta che mia figlia non si dedicherà alla letteratura”

di Flavia Piccinni

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crivere d’amore e di famiglia. Indagare i meandri del cuore, fra solitudine e felicità. Potrebbe essere questa la sublimazione dell’ultimo libro della raffinata scrittrice italiana, da anni ormai parigina d’elezione, Lisa Ginzburg. In “Cara Pace” (Ponte alle Grazie) – già selezionato al Premio Strega, e in finale al prestigioso Premio Comisso -, l’autrice racconta di Nina e Maddalena, due sorelle quasi coetanee, diverse eppure legatissime. La narrazione le coglie bambine a Genzano, dunque in una casa nella Capitale affacciata sul Tevere. Lo sguardo dell’autrice le accompagna nei destini che si formano per la prima a Parigi, per la seconda a New York; destini interrotti anni prima, che cercano di risanare ricordando il passato e ammorbidendo i dolori. Si tratta di una storia dominata dalle donne, dall’abbandono e dall’amore.

“In effetti – mi spiega l’autrice, con una voce gentile - il mio romanzo è fatto di rapporti molto stretti, e racconta come sia necessario svincolarsi anche da amori così vicini”. Un po’ come quello che fa Gloria, la madre, che lascia tutto e scappa inseguendo in apparenza l’amore. O forse, e piuttosto, la salvezza. Lei adora le figlie, ma da loro si sottrae. È come se non volesse essere preda o dominatrice, e scelga di allontanarsi per sfuggire a una dinamica di possesso. Anche per questo lei è la mia figura più luminosa. Forse è anche il cuore pulsante del romanzo. Una figura che, in dissolvenza, racconta cosa è una madre, e cosa svela la sua assenza. Fra le due sorelle il gioco è sempre doloroso. Una sorta di né con te, né senza di te. Da un lato hanno bisogno l’una dell’altra, anche per dire chi è l’una all’altra, ma la presenza è


L’AUTRICE

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Lisa Ginzburg.

impedimento per volare, per assumere la propria natura. Racconta di un sentimento di dipendenza e castrazione, pilastro di molte famiglie. Volevo raccontare appunto i legami dei singoli, perché l’istituzione famiglia la considero in partenza fallimentare. Anche nel libro il padre e la madre non sono maturi. Forse non volevano costruire una famiglia, o forse lo volevano per motivi opposti. Di certo il loro mondo domestico si sgretola per alcune correnti sotterranee, in cui spicca l’amore ma anche il risentimento. Mentre i figli assistono a ogni cosa. Assistono con pietas a quello che riguarda i loro genitori, ma anche il risentimento è una forma di pietas. Volevo indagare i legami eterni fra questi quattro personaggi. Sono convinta che le famiglie disfunzionali sia-

no molto presenti nella testa dei loro membri. Quando tutto si sfascia, e si deve ricompore, lo spazio è molto grande. Un po’ come accade, ancora, alle due protagoniste. Maddalena si trova a sposarsi, a diventare madre, ma dei fili della sua esistenza devono essere obbligatoriamente ricomposti, devono venire tessuti di nuovo. È un meccanismo che in modo incoscio ti porta a creare un’eternità. La negatività dei pensieri occupa molto spazio. Questo però fa molto male. Le cose trovano sempre il loro modo di essere raccontate. La scelta di Maddalena come voce narrante è una necessità letteraria. Lei è il filo per smatassare tutto il passato. Lo sguardo per raccontare l’ingombro della famiglia e dei sentimenti. La questione che scorre sotto traccia è rispondere ai propri desideri. Ma

“Cara pace” Lisa Ginzburg Ponte alle Grazie 256 pagine 16 euro

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“Ricordo ancora quanto a lungo mi interrogai se quella della scrittura fosse un desiderio vero, o una forma di protezione da altre possibilità. Accettare che fosse quello che desideravo è stato un percorso lungo, moltiplicato nelle difficoltà dalla famiglia da cui provenivo. Però quando mi chiedono di mia nonna Natalia o di mio padre Carlo accetto, e rispondo”.

L’AUTRICE

quando le famiglie hanno tanti nodi irrisolti, tante memorie, tarpano molto le ali. Lei ha alle spalle una famiglia certamente ingombrante. Sono la prima ad aver avvertito l’ingombro di cui parlo. Ma c’è un momento in cui, se sei costretto a confrontarti con la vita, sei portato a sciogliere dei nodi interiori. E il guscio, il carapace, si spezza. E la pace, la cara pace, prende posto. In questo modo fai pace con te stesso. E, venendo a patti, si diventa spesso liberi. Questa pace le due protagoniste la conquistano disciplinando il corpo. Lo sport è un modo per trovare il proprio respiro, come mi ha fatto notare una lettrice. Disciplinare il corpo, rompere il fiato, aiuta a scoprire il proprio ossigeno. Vede, ci è toccato in sorte di avere una famiglia semplice o complessa, ma sta all’individuo intraprendere un percorso di alleggerimento. Per me questo carapace è un gusto che deve rompersi in mille pezzi, perché ognuno prenda la sua strada. È la persona al centro di tutto, non la famiglia. Lei quando lei ha smesso di raccontarli, i suoi famigliari? (ridendo) Forse adesso. In passato mi sono soffermata sul tema madre-padre e sulle figure archetipali, ma spero che non racconterò questo per sempre. Non credo che la letteratura sia terapeutica, ma sono certa che scrivere un romanzo, condividerlo, aiuti a raggiungere nuove fasi del lavoro, che sia un elemento di prima metabolizzazione. Poi ogni scrittore ha i suoi temi, le sue ossessioni, le cose che lo interpellano di più. La mia immaginazione va su dinamiche psicologiche, ma adesso ho molte altre idee che non riguardano solo figli e genitori.

Lei vive in Francia da molti anni. Come sta affrontando questo lungo periodo di pandemia? È molto aumentata la nostalgia che provo per il mio Paese. Le Alpi, con il Covid, sono diventate una presenza molto grande. È come se i confini, adesso, fossero tornati confini. Qui c’è un aumento di nazionalismo significativo, e io stessa mi sono trovata a fare i conti con pensieri inaspettati. Per esempio? Quando ho pensato che sarei stata vaccinata ho sperato che accadesse in Italia, e non in Francia. Mi sono sentita molto più straniera qui nell’ultimo anno, che non negli ultimi dieci. Davanti alle difficoltà vedi come sono veramente i Paesi, e l’Italia mi sembra molto più matura se paragonata alla Francia. Mi tolga una curiosità. Non è stufa di dover parlare della sua famiglia ogni volta? Sì. Il mondo dovrebbe sapere che una donna più che adulta, piena di segni e cicatrici date dalla vita, non ha più senso della nonna, della madre e del padre. Ma il mondo è molto familista. Le faccio una confessione: quando mia figlia mi ha detto che non si dedicherà alla letteratura, sono stata molto contenta. Ricordo ancora quanto a lungo mi interrogai se quella della scrittura fosse un desiderio vero, o una forma di protezione da altre possibilità. Accettare che fosse quello che desideravo è stato un percorso lungo, moltiplicato nelle difficoltà dalla famiglia da cui provenivo. Però quando mi chiedono di mia nonna Natalia o di mio padre Carlo accetto, e rispondo. Dunque, sarà sollevata perché non le farò alcuna domanda a riguardo. (ridendo) Non sa quanto.



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LIBRI

Il caso Marta Russo: dal podcast al libro alla ricerca della verità Alla scoperta della città più turistica del mondo con il premio Strega Tiziano Scarpa

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al podcast al libro. E, infine, alla serie. È questo il percorso di “Veleno” di Pablo Trincia, da qualche giorno in streaming con l’omonima, interessante, docuserie su Amazon Prime scritta e diretta da Hugo Berkeley. E questo sembra essere anche il percorso di “Polvere”, prima podcast di successo firmato da Chiara Lalli e Cecilia Sala, dunque libro – appena uscito – per Mondadori, nella collana Strade Blu (pp. 180, € 18). A firmarlo sempre Lalli - docente di storia della medicina all’Università di Roma Sapienza, e autrice di numerosi libri di bioetica e di filosofia -, e Sala giornalista per Otto e Mezzo. Tutto ruota intorno a uno dei cold case italiani più misteriosi e discussi: l’omicidio di Marta Russo. La memoria va indietro al 9 maggio 1997, quando la giovane studentessa venne uccisa da un colpo di pistola in un vialetto della città universitaria di Roma. La scena del crimine fin da subito si dimostra complessa da esaminare: sono oltre cento le finestre che affacciano sul pezzo di strada, e nei corridoi – nei bagni, nelle aule, negli sgabuzzini – che ospitano queste finestre passano ogni

giorno centinaia di persone. Nessuno però sembra aver visto qualcosa. L’arma del delitto non si trova. Anche il movente è dubbio: perché uccidere una studentessa? E, poi, perché farlo in pieno giorno? Incidente o azione premeditata? Decine di dubbi che alimentano la crescente attenzione mediatica – che non ha precedenti – e una straordinaria caccia all’uomo. All’inizio i sospetti si concentrano su un bagno al piano terra accanto al magazzino della ditta di pulizie, battezzato come “il deposito delle munizioni”, popolato da loschi figuri dotati di armi da fuoco. Poi altre piste a vuoto. Il caso sembra chiuso, quando la scientifica scopre una particella di polvere da sparo viene scoperto dalla polizia scientifica sul davanzale dell’aula 6, al primo piano di un edificio arancione. Inizia la caccia all’omicida. Ore di interrogatori. Piste che si intrecciano. Lo sguardo degli inquirenti che si posa su due assistenti universitari, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Almeno fino ad adesso. Perché la domanda delle due autrici è chiara: siamo sicuri che il caso possa dirsi chiuso? (F. P.)


CINEMA E TV

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“Volevo nascondermi” Il genio e la follia di Antonio Ligabue Trionfo ai David di Donatello per Elio Germano nei panni di un artista che ha trovato se stesso tra tele e pennelli di Chiara Andreotti

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opo aver trionfato alla 66° edizione dei David di Donatello, il film “Volevo nascondermi” si conferma essere una delle migliori produzioni degli ultimi anni nel panorama cinematografico italiano. Una pellicola fondamentale tanto per comprendere il genio di Antonio Ligabue, quanto per entrare in contatto con il binomio arte e follia. Il merito è naturalmente di Elio Germano, che con un talento disarmante veste i panni dell’artista, e del regista Giorgio Diritti capace di mettere in scena, con una delicatezza straordinaria, la storia di un bambino abbandonato a sé stesso, di un uomo emarginato e di un artista indimenticabile. Antonio Ligabue appare subito come un bimbo estremamente sensibile costretto a dover fronteggiare prima l’abbandono della madre biologica, poi il distacco dalla madre adottiva, l’unica figura della sua infanzia che avesse mai provato a comprenderlo. Passa, Ligabue, tutta la sua adolescenza tra un istituto psichiatrico e l’altro, dove però viene trascurato e lasciato senza una terapia in grado di aiutarlo. Il punto di svol-

ta nella sua vita estraniata dal mondo reale avviene in occasione del primo contatto con l’arte: il fascino che la tela, i pennelli e i colori suscitano in Antonio gli permettono di trovare un modo di esprimersi. Il processo creativo diventa subito un vero e proprio dialogo con le emozioni più profonde che prendono il sopravvento su tutto ciò che lo circonda. Quella che oggi sarebbe chiamata Performance Art, diviene con Ligabue qualcosa che lo rende diverso e strano agli occhi degli altri. I momenti di creazione sono contrapposti al resto delle giornate dell’artista, pervase da un senso di inadeguatezza. Se davanti alle critiche crudeli che gli vengono poste Ligabue reagisce con frustrazione e impulsività, quando si trova in ambienti dove la sua arte viene apprezzata sente il bisogno di ricongiungersi con la sua solitudine. Soltanto nel momento in cui gli viene riconosciuto lo status di artista trova una sorta di pace interiore e un suo posto nel mondo. Perché, come ha spiegato egregiamente Elio Germano: “L’arte diventa non solo uno strumento di cura, ma una dignità per riscattare tante forme di disagio”.


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CARTELLONE

Lucc@ in mente Salute mentale e letteratura dall’8 all’11 luglio Nel centro storico della città toscana, quattro giorni con incontri e riflessioni. Premio alla carriera al professor Andrea Crisanti

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alute mentale e letteratura. Un legame che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che adesso trova una nuova fusione nel festival Lucc@ in mente che si terrà nella città toscana di Lucca il secondo fine settimana di luglio, da giovedì 8 a domenica 11. A promuovere il festival è la Fondazione BRF Onlus - Istituto per la ricerca scientifica in psichiatria e neuroscienze, che ha tra i suoi obiettivi anche la sensibilizzazione nei confronti dello stigma e del pregiudizio intorno alla salute mentale. Il festival Lucc@ in mente è inserito nel calendario annuale degli eventi Lucca. del progetto VIVILUCCA, promosso dal Comune di Lucca, e si sviluppa con una serie di incontri ed eventi volti a mettere in luce il legame tra la quotidianità che stiamo vivendo e la salute mentale intesa come tabù. Diversi gli appuntamenti con scrittori che nell’ultimo anno hanno indagato cosa significa vivere con un disturbo mentale. Il primo incontro è in programma giovedì 8 luglio con Angelo Mellone e il suo “Nelle migliori famiglie” (Mon-

dadori), che indaga i rapporti famigliari e sentimentali. Nella giornata di venerdì 9 si alterneranno Fuani Marino – il cui ultimo libro, “Svegliami a mezzanotte” (Einaudi), ne racconta la storia biografica partendo dal tentativo di suicidio – e Giulio Cavalli con “Disperanza” (Fandango) incentrato sul tema della depressione. Nella giornata di sabato Ilaria Urbinati racconterà il libro da lei illustrato e scritto da Brian Freschi “Il mare verticale” (Bao Publishing), focalizzato sugli attacchi di panico. Previsto per domenica 11 luglio un pomeriggio denso di emozioni: prima la premiazione dei giovani finalisti del concorso indetto dalla Fondazione BRF Onlus che ha invitato studenti delle scuole primarie e secondarie a dipingere e raccontare le paure legate alla pandemia, dunque la presentazione del libro di Nada Malanima “Il mio cuore umano”. Concluderà la giornata la consegna dal Presidente della Fondazione Armando Piccinni e dal Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani di un premio alla carriera al professor Andrea Crisanti. (C. A.)


IL DIRETTORE RISPONDE

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Ex infermieri con la paura di assembramenti G

entile professor Piccinni, le scrivo da Pavia. Io ho sessant’anni, e mio marito ne ha 70. Siamo due infermieri in pensione. Siamo entrambi vaccinati. Abbiamo trascorso i mesi di pandemia rispettando regole e restrizioni. Ora siamo ovviamente felici di questo ritorno alla normalità. Ci sono momenti, però, in cui io e mio marito ci troviamo a passeggiare per strada e vediamo gruppi di ragazzi davanti a bar o nei parchi. Questa cosa ci spaventa e alle volte torniamo a casa nelle ore serali proprio per evitare assembramenti. Al momento stiamo anche evitando per la stessa ragione cinema e teatri. Crede sia una paura giustificata o rischia di essere un atteggiamento esagerato?

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l vostro atteggiamento di timore persistente nei confronti delle situazioni che sono un rischio per l’infezione è abbastanza comune e frequente. In realtà, però, la vostra possibilità di essere infettati dal SARS-CoV-2 è minima. Certo, la la copertura vaccinale da un’immunità che non è pari al 100% ma è comunque molto alta. Cionostante esiste in voi una condizione di timore che persiste al di là del rischio reale. È, questo, un fenomeno comune in una situazione post traumati-

ca: la pandemia ha costituito un trauma per tutti. Ma c’è di più: chi è più avanti negli anni ha sentito maggiormente il rischio dell’infezione e della morte. È dunque necessario un periodo di decondizionamento per ritornare sereni e fiduciosi. La situazione può essere paragonata all’aggressione da parte di un cane subita all’ingresso di un negozio. Tutte le volte che passeremo davanti al negozio avremo il timore di essere aggrediti anche se il cane non c’è più. Eviteremo assolutamente di entrare in un posto che il nostro cervello reputa pericoloso. Sta accadendo, ovviamente in forme e ragioni differenti, una cosa molto simile. Sarà pertanto necessario un periodo di tempo per ricondizionare la nostra mente e razionalizzare quel “negozio” come non più pericoloso. Grande ruolo in questa corsa alla perfezione impossibile è quello giocato dal web e dai social media, che diffondono in modo prepotente e rapidissimo un campionario di inarrivabili fisicità. Maggiore è il disagio, l’insicurezza, il senso di vuoto che i ragazzi vivono, più elevata è la rigidità con cui aderiscono a questi stereotipi e la forza con cui li inseguono.

Hai domande da rivolgere al comitato scientifico della Fondazione BRF? Scrivi a stampa@fondazionebrf.org. Nel prossimo numero pubblicheremo le tue domande e le risposte fornite da uno specialista o direttamente dal direttore Armando Piccinni.


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TITOLI DI CODA

Salute mentale Mozione Lorenzin approvata alla Camera Il documento cita la Fondazione BRF e impegna il Governo Draghi sull’impatto del COVID-19 sulla psiche, specie nei giovanissimi

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n traguardo più che importante, doveroso. Il 16 giugno scorso la Camera dei Deputati ha approvato a larghissima maggioranza una mozione che ora impegna il governo Draghi a prendere seri e concreti provvedimenti sulla salute mentale. L’atto, a prima firma Beatrice Lorenzin (Pd) che da mesi ormai si sta occupando del problema specie riguardo alla neuropsichiatria infantile, è un documento poderoso, che contiene ben 32 punti di intervento. Le problematiche connesse alla sfera del- Palazzo Montecitorio, Roma. la salute mentale, infatti, non sono poche e, anzi, si sono acuite nel corso degli ultimi mesi a causa della pandemia. Ad essere citata nel documento anche la Fondazione Brf che «sottolinea come sottovalutare l’impatto del COVID-19 tra i più giovani,

in una situazione già molto critica in termini di personale, servizi e organizzazione assistenziale per i problemi neuropsichiatrici dell’infanzia e adolescenza, rischia di trasformare un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo in una crisi dei diritti delle bambine e dei bambini e delle ragazze e dei ragazzi». Da qui, si legge nella mozione, «è necessario, senza perdere ulteriore tempo, definire interventi capaci di mitigare il più possibile tutti gli effetti negativi fin qui riscontrati e quelli, ad oggi, solo ipotizzabili». Ma cosa prevede nel concreto l’atto parlamentare? Innanzitutto, l’impegno del governo a ideare un piano strategico sulla salute mentale con interventi non solo in campo prettamente sanitario, ma anche potenziando le reti sociali specie per i gio-


TITOLI DI CODA

vani, anche attingendo ai finanziamenti in arrivo con il Recovery Fund. Fondamentali devono essere, poi, prevenzione, intercettazione del disagio e della malattia, formazione del personale non solo sanitario, ma anche della scuola e delle reti assistenziali: in questo modo si può lavorare sul medio periodo, prevenire il cronicizzarsi di situazione che ora sono ancora prevedibili. Tra gli impegni che – come riconosciuto in una nota anche dal sottosegretario alla Salute Andrea Costa – il governo si è assunto, spiccano anche il rafforzamento dell’organizzazione territoriale ed il sistema della medicina preventiva, l’implementazione del sistema di assistenza psicologica all’interno delle scuole, l’aumento del numero dei posti letto pubblici dedicati alla salute mentale e alla neuropsichiatria infantile, l’adozione di iniziative volte a sostenere la ricerca scientifica sull’innovazione farmacologica. Un altro tema importante inoltre è l’osservatorio sui suicidi, fenomeno di grande allarme che va monitorato considerando che già prima dell’emergenza in Italia mediamente si registravano circa 4mila suicidi all’anno. Ma è soprattutto importante lavorare sui dati perché la loro raccolta sulla salute mentale è frammentata e in molti casi ferma al 2018 noi ad ora facciamo delle indagini epidemiologiche e degli interventi in base a dati difficili da raccogliere e molto frammentati. Tanti temi, dunque. Ma fondamentali. Per i quali non si possono più accettare promesse prive di fatti. Il Parlamento, grazie innanzitutto all’impulso dell’onorevole Lorenzin, ha risposto “presente”. Ora tocca al governo rendere concreto l’impegno formale preso con Montecitorio, realizzando i 32 punti previsti dalla mozione. Perché se c’è una certezza è questa: ciò che decideremo in questi mesi e in queste settimane avrà delle ripercussioni negli anni futuri e sulle prossime generazioni.

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Questi i 32 punti sui quali la mozione impegna il Governo: 1) ad adottare iniziative per rimuovere qualsiasi forma di discriminazione, stigmatizzazione ed esclusione nei confronti delle persone con disagio, sofferenza psicologica e disturbo mentale, promuovendo anche campagne volte a sensibilizzare e a divulgare la conoscenza del tema; 2) a predisporre un nuovo piano nazionale per la salute mentale per una strategia di intervento volta al rilancio dei servizi per la salute mentale e per il superamento e il riequilibrio delle diversità regionali; 3) ad adottare iniziative per garantire, anche durante la pandemia da COVID-19, quale componente essenziale del diritto alla salute, i livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 12 gennaio 2017, privilegiando percorsi di cura individuali in una prospettiva di presa in carico a livello preventivo e, quando necessario, terapeutico della persona nel complesso dei suoi bisogni, per una piena inclusione sociale secondo i principi della «recovery» e sulla base di un processo partecipato; 4) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per garantire nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie, le prestazioni, anche domiciliari, psicologiche e psicoterapeutiche necessarie ed appropriate; 5) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per assicurare fino a dieci sedute dallo psicologo ai giovani depressi per via della pandemia nel rispetto dei profili di competenza e dei vincoli di bilancio; 6) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per istituire nell’ambito del Sistema sanitario nazionale degli ambulatori per l’assistenza dei pazienti cosiddetti «long covid» ossia con una sintomatologia prolungata e persistente nel tempo, al fine di studiarne le caratteristiche e gli eventuali disturbi psicologici e neurologici che dovessero sorgere, offrendo loro un continuo sostegno psicologico e/o psichiatrico; 7) ad istituire un osservatorio sulla condizione della salute mentale e del benessere psicologico dell’adulto, dell’adolescente e del minore a seguito degli interventi e delle misure prese per contrastare l’emergenza sanitaria in atto nel rispetto dei vincoli di bilancio; 8) a porre in essere scelte di indirizzo che mettano la salute fisica, psicologica e mentale dell’infanzia e dell’adolescenza al centro delle politiche socio-sanitarie del Paese e dei singoli territori, coinvolgendo i neuropsichiatri infantili, gli psichiatri, gli psicologi, i servizi educativi e quelli sodali (terzo settore), oltre che i pediatri favorendo la creazione, all’interno dei dipartimenti di salute mentale (Dsm), di servizi dedicati alla fascia 14-25; 9) a sviluppare reti di collaborazione e servizi di sostegno attraverso figure formate da psicologi e servizi sociali integrati in rete funzionale con i singoli ambiti distrettuali sanitari, per rispondere alle esigenze delle istituzioni scolastiche di accompagnamento e supporto in materia; 10) a valutare l’opportunità di adottare iniziative, per quanto di competenza, per rafforzare l’organizzazione territoriale della salute mentale e quella della medicina preventiva, a partire dall’ambulatorio del pediatra di famiglia e del medico di medicina generale, al fine di


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individuare precocemente le criticità ed operare le scelte necessarie per effettuare la presa in carico dei pazienti e delle famiglie in difficoltà nel rispetto delle competenze regionali; 11) a sviluppare reti di connessioni e di servizi di sostegno con la scuola attraverso figure formate di psicologi e servizi sociali integrati in una rete funzionale con i singoli ambiti distrettuali; 12) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per riorientare i servizi sui bisogni di salute mentale dei giovani, servizi che oggi sono caratterizzati da un elevato livello di frammentazione nei metodi, nei luoghi e nelle modalità di interazione, il che spesso comporta anche la mancata richiesta di aiuto; 13) a valutare la possibilità di sostenere la diffusione di linee di ascolto e di emergenza per giovani e adulti; 14) ad adottare iniziative per incrementare il numero di posti letto pubblici dedicati alla salute mentale ed alla neuropsichiatria infantile, al fine di potenziare le risposte verso i quadri acuti di natura neuropsichiatrica con la disponibilità adeguata di luoghi di ricovero specialistici e a sviluppare adeguati servizi territoriali che possano attuare un’efficace e prolungata presa in carico dopo la risoluzione dell’acuzie; 15) ad istituire un gruppo multidisciplinare di coordinamento centrale che possa orientare gli interventi di salute mentale, predisponendo progetti e programmi volti a soddisfare adeguatamente i bisogni della popolazione, inquadrandoli nelle diverse situazioni sia di elezione che di emergenza nell’ambito del territorio nazionale nel rispetto dei vincoli di bilancio; 16) ad adottare iniziative per istituire la figura dello psicologo, all’interno dei reparti di pediatria e neonatologia degli ospedali del Servizio sanitario nazionale, con l’obiettivo di tutelare il benessere psicologico dei degenti (bambini e adolescenti) e delle loro famiglie, con particolare riferimento alle condizioni di cronicità e/o di disagio psico-sociale; 17) a tenere in considerazione, così come specificato in un messaggio del maggio 2020 del World Economic Forum, i bisogni dei bambini e degli adolescenti in ogni dibattito/decisione di adozione di misure restrittive secondo lo slogan «Non per noi, ma con noi»; 18) ad adottare iniziative per prevedere strutture di libero accesso riservate ai ragazzi e capaci di dare risposte riguardo la salute mentale e psicologica e di esercitare attività di ascolto rispetto alle problematicità dell’età adolescenziale; 19) ad adottare iniziative per implementare la telepsichiatria e la telepsicologia, così come prevista dall’Istituto superiore di sanità (Iss) al servizio di quella fascia di persone che, altrimenti, avrebbero difficoltà ad accedere ai servizi, al fine di sostenere con maggiore continuità il rapporto e il dialogo specialista-paziente soprattutto nelle zone ove è maggiore la carenza di figure professionali specialistiche; 20) ad adottare iniziative di competenza per aggiornare la piattaforma «SISM», promuovendo attività di ricerca su dati traslazionali, sul disagio psichico, ponendo particolare attenzione nell’immediato agli effetti della sintomatologia post-Covid; 21) ad istituire un osservatorio permanente sul fenomeno suicidario che possa svolgere azione di prevenzione mediante lo studio di situazioni ambientali, par-

ticolari condizioni sociali, individuazione ed analisi dei rischi delle condotte autolesive e sostenere la diffusione di linee di ascolto per la prevenzione del suicidio e degli atti di autolesionismo; 22) ad adottare iniziative affinché il budget di salute quale sintesi delle risorse economiche, professionali e umane necessarie diventi lo strumento centrale su cui sostenere il progetto terapeutico personalizzato per innescare un processo volto a ridare alla persona una propria autonomia sociale, lavorativa o di studio; 23) a promuovere, per quanto di competenza, condizioni territoriali per l’integrazione tra le politiche sanitarie e sociosanitarie volte ad una totale presa in carico del minore con il sostegno delle agenzie educative, prima fra tutte quella scolastica, valorizzando le esperienze e le relazioni con realtà quali il terzo settore; 24) a predisporre iniziative volte a sviluppare ed implementare la riabilitazione e la teleriabilitazione cognitiva-occupazionale ed il sostegno/intervento psicologico della persona affetta da grave cerebrolesione acquisita dovuta a trauma cranioencefalico o ad altre cause, tale da comportare disabilità anche grave, al fine di una presa in carico del paziente e della sua famiglia in un’ottica di continuità assistenziale anche a distanza; 25) a programmare adeguatamente con le università e le società scientifiche il fabbisogno di personale nell’ambito della salute mentale per superare l’attuale carenza di psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione psichiatrica e infermieri nei dipartimenti di salute mentale dei servizi sanitari regionali; 26) ad adottare iniziative per ridefinire gli standard quali-quantitativi del personale, quale risorsa fondamentale, dei diversi servizi afferenti ai dipartimenti di salute mentale; 27) ad adottare iniziative per investire sull’innovazione farmacologica, riabilitativa e psicoterapeutica nell’ambito della salute mentale per garantire l’accesso alle cure più efficaci in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale; 28) ad attivare gli strumenti più idonei per favorire una ricerca di base e traslazionale nell’ambito della salute mentale; 29) ad adottare iniziative per dare priorità all’intervento territoriale e alla necessità di definire percorsi di cura appropriati per patologie ad alta complessità e/o ad alta prevalenza (Pdta), che riducano disomogeneità e discrezionalità, riequilibrando l’allocazione delle risorse con un marcato contenimento della spesa dedicata alla residenzialità, verso strategie di supported housing e supported employment; 30) ad adottare iniziative per potenziare i servizi per la salute mentale nelle carceri e coordinare i percorsi di cura dei pazienti autori di reato in accordo con le autorità giudiziarie; 31) a monitorare il pieno raggiungimento degli obiettivi definiti per le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza dalla legge n. 81 del 2014 per garantire la piena dignità del paziente psichiatrico; 32) a dare attuazione, da parte del Ministero della salute, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a quanto disposto dall’articolo 29-ter del decreto-legge n. 104 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2010.



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