Professione Sanità. Agosto 2021

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Anno II | N. 6 | Agosto 2021

PROFESSIONE SANITÀ

GIOVANI PIÙ VIOLENTI NEL POST COVID

Gli strascichi psicologici e sociali della pandemia


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EDITORIALE

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Allarme giovani nel mondo post-Covid di Armando Piccinni

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l Covid ha determinato nel mondo 200 milioni di casi e oltre 4 milioni di morti. Soltanto in Europa 60 milioni di contagiati e 1.200.000 decessi. In Italia un numero di contagi di 4.300.000 e 128.000 morti. È un vero bollettino di guerra contro un nemico che non vediamo e a stento ci immaginiamo. Al di là delle incredibili conseguenze economiche, sociali, sulla salute in generale e sulla salute mentale in particolare, esiste un altro fenomeno nefasto connesso alle conseguenze dello stravolgimento sociale: l’incremento della violenza. Numerosi studi hanno riportato dati in questo senso lanciando l’allarme riguardo la violenza contro le donne con conseguenze di lesioni, gravi problemi di salute fisica, economica, mentale, sessuale e riproduttiva. La salute e i diritti umani delle donne in generale hanno subìto un impatto negativo a livello globale. Le indagini sulla violenza domestica hanno mostrato, allo stesso modo, un incremento. Questi comportamenti sono frequenti nei contesti di emergenza. I dati durante la pandemia suggeriscono non a caso che questo tipo di violenza possa essere esacerbata dalle restrizioni. La pandemia da Covid-19 è ancora una guerra e come in tutte le guerre vi sono sempre vincitori e vinti, vittime e carnefici. A pagarne il prezzo maggiore sono sempre i più fragili e vulnerabili.

Alcuni fatti di cronaca di questi giorni riportano episodi di violenza in cui sono stati protagonisti i giovani, spesso minorenni. Esiste un parere unanimemente sostenuto secondo cui i giovani hannon ricevuto dal periodo di pandemia il danno maggiore in termini di sviluppo personale, crescita emotiva e cognitiva, maturazione. La didattica a distanza con tutte le sue carenze e, soprattutto, la mancanza della frequentazione giornaliera e del confronto con i coetanei vengono ritenute i maggiori responsabili. I giovani sono pieni di energie che funzionalmente servono a sostenere l’enorme sforzo di cambiamento necessario per passare dall’infanzia all’adolescenza e poi all’età adulta. Le loro energie devono servire all’apprendimento delle norme sociali, ad imparare a decifrare il linguaggio delle relazioni affettive, a costruire l’edificio che dovrà ospitare le conoscenze pratiche e le basi culturali necessarie a sostenere nell’età adulta il ruolo sociale e di lavoro. Ma tali energie, dedicate ai compiti ordinari per la crescita, sono rimaste inutilizzate e compresse. È come se ad una pentola già in pressione per l’azione di una fiamma potente fosse stato saldato un coperchio che non fa più uscire il vapore. Alcuni giovani, anche per fattori collaterali, ambientali, di costi-


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tuzione genetica, sono andati incontro ad una intollerabile pressione ed hanno perso il controllo con esplosioni di violenza verso se stessi e verso gli altri. Di qui le maxi risse, gli accoltellamenti, le morti. Nell’indagine conoscitiva sulle forme di violenza fra i minori, la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza ha stilato una “memoria scritta” nella quale si legge: “Si è evidenziato come il numero dei minorenni che commettono reati che vanno dallo stalking, al bullismo e al cyber-bullismo, è in preoccupante e costante crescita. Anche l’età dell’abuso di alcool e sostanze stupefacenti si è abbassata”. Saranno gli adolescenti e i giovani ad avere le maggiori difficoltà nel ricostruire la propria vita quando tutto sarà finito. Ciò che è andato perduto per molti, per loro sarà perduto per sempre. Alcuni riusciranno a recuperarlo facendo leva sulla meravi-

gliose capacità di recupero del nostro cervello, per altri sarà una perdita secca e la violenza rischia di diventare una pericolosa via di fuga. Le violenze non vanno mai giustificate. La violenza, per sé, prevede solo la condanna senza scusanti. Siamo noi, gli “adulti della generazione fortunata”, quelli che nella nostra vita fino ad un anno e mezzo fa non hanno conosciuto la guerra e la pandemia, che dobbiamo riflettere e “ristorare” i nostri giovani. Siamo noi che dobbiamo impegnarci mediante sostegni ed aiuti, iniziative dedicate, provvedimenti legislativi adeguati a porre parziale rimedio alle conseguenze della “pressione eccessiva” di cui i giovani sono stati vittime. Siamo tutti coinvolti attraverso la famiglia, la comunità, le istituzioni. Lo dobbiamo ai nostri giovani, che sono stati più sfortunati di noi.


Anno II | N. 6 | Agosto 2021

PROFESSIONE SANITÀ

SOMMARIO EDITORIALE

3 Allarme giovani

GIOVANI PIÙ VIOLENTI NEL POST COVID

Gli strascichi psicologici e sociali della pandemia

nel mondo post-Covid di Armando Piccinni PRIMO PIANO

8 Più violenze tra giovani

è emergenza psichiatrica di Carmine Gazzanni L’INTERVISTA

14 “La politica si faccia carico

delle esigenze dei nostri ragazzi” di Carmine Gazzanni PRIMO PIANO

18 Aumentano i suicidi tra i giovani la colpa? Del Covid di Carmine Gazzanni

Professione Sanità Anno II | N. 6 | Agosto 2021 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca


42 Medici e infermieri arriva

l’onda dei disturbi da stress post-traumatico di Carmine Gazzanni

45 Ictus, già dieci anni prima

possiamo osservare alcuni segni premonitori

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di Rocco Antenucci

48 Long-covid anche nei bambini?

L’INCHIESTA

Facciamo il punto

22 Finalmente il parlamento si interessa di salute mentale di Stefano Iannaccone

di Alessandro Righi

50 Gli antidepressivi fanno da scudo contro le infezioni da covid?

FOCUS

26 Riconoscere il disturbo bipolare:

il primo passo per un corretto trattamento dei disturbi dell’umore di Alessandro Cuomo, Giovanni Barillà, Alessandro Spiti, Andrea Fagiolini

di Rocco Antenucci

52 Primi dati degli studi sul long-covid: 1 guarito su 4 con sintomi dopo a 6-8 di Alessia Vincenti

LUCC@ IN MENTE

30 Così la Fondazione BRF abbatte lo stigma sulla salute mentale col confronto, il dialogo e i libri di Chiara Andreotti

32 La forza di disegni e narrazioni per raccontare le emozioni “Covid” di Chiara Andreotti

42 IL DIRETTORE RISONDE

36 SALUTE

36 Maltrattamenti e farmaci

scaduti un centro di psichiatria su 5 è irregolare di Francesco Carta

40 Un farmaco salva vista (e salva vista) per i bimbi nati prematuramente di Alessia Vincenti

54 Perché mia figlia

ha smesso di mangiare? di Armando Piccinni CINEMA E TV

55 “The father” la terribile bellezza della vita che scivola via di Chiara Andreotti TITOLI DI CODA

57 Psichiatria: scienza medica o ideologia?

di Pietro Pietrini



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PIÙ VIOLENZE TRA GIOVANI È EMERGENZA PSICHIATRICA

Dal 2018 al 2021 i reati di rissa tra minori sono triplicati

di Carmine Gazzanni


PRIMO PIANO

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he la pandemia da Covid-19 sia una guerra, lo sappiamo da tempo. Che a rimetterci potessero essere innanzitutto i giovani è qualcosa a cui forse, specie in un primo tempo, in pochi hanno riflettuto. Gli effetti dell’isolamento e dell’essere ridotti a monadi obbligati al confronto con la paura del contagio e della morte si stanno palesando in maniera concreta in queste ultime settimane: decine e decine di episodi di violenza, di risse, di aggressioni di giovani e tra giovani che, secondo numerosi esperti, trova una parte della sua origine proprio nel lungo periodo di lockdown cui i giovani sono stati obbligati. Soltanto a luglio le cronache dei giornali hanno riportato di un’incredibile scena di violenza (con tanto di video circolato in rete) a Fermignano (provincia di Pesaro) che non a caso ha portato all’arresto di otto giovani: almeno tre, invece, hanno avuto bisogno delle cure mediche e hanno subito diverse lesioni all’occhio, alla mano e al torace. Pochi giorni dopo altra rissa a Napoli: tre ragazzi hanno cominciato a litigare per futili motivi per poi darsele di santa ragione. A un certo punto un 19enne ha estratto un coltello colpendo al volto un 32enne e alla nuca un 36enne. Il risultato è un vero e proprio bollettino di guerra, che registra casi in aumento avvenuti in gran parte della Penisola. E anche andando a ritroso di settimane e mesi, il discorso non cambia. Il 5 dicembre scorso, “il campo di battaglia” è il Pincio, sopra Piazza del Popolo a Roma. Quattro minorenni aggrediscono violentemente un loro coetaneo, ferendo gravemente anche i genitori e un amico intervenuti per difenderlo. L’aggressione sarebbe


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Soltanto a luglio le cronache dei giornali hanno riportato di un’incredibile scena di violenza (con tanto di video circolato in rete) a Fermignano (provincia di Pesaro) che non a caso ha portato all’arresto di otto giovani: almeno tre, invece, hanno avuto bisogno delle cure mediche e hanno subito diverse lesioni all’occhio, alla mano e al torace.

PRIMO PIANO

scattata per un “regolamento di conti”, a seguito di uno “sgarro” che il ragazzo aggredito avrebbe fatto nel novembre 2020 a Quadraro, un noto quartiere situato sulla Tuscolana. Altre aggressioni tra ragazzi si sono registrate a Villa Borghese e Centocelle, a piazza delle Gardenia. A Lucca, nel gennaio di quest’anno, un quindicenne è stato accoltellato gravemente da un coetaneo nel corso di una rissa sempre tra minorenni. Il 9 gennaio un centinaio di ragazzini, appartenenti a baby gang rivali, si sono fronteggiati nel centro di Gallarate, dove erano giunti a bordo di treni dalle province di Varese e Milano dopo un “tam tam” sui social network; un ragazzo di 14 anni è stato ferito gravemente alla testa. Qualche settimana dopo, un adolescente di 17 anni, Romeo Bondanese, è stato ucciso con una coltellata all’inguine nel centro di Formia, in provincia di Latina, sferratagli dal coetaneo bloccato da un amico della vittima mentre tentava la fuga. La tragedia è avvenuta nel corso di una furibonda lite scoppiata tra una decina di ragazzini, di cui alcuni giunti dal casertano in barba al divieto di trasferimento tra regioni. COSA CI DICONO I DATI Partiamo da un dato. La violenza tra i minorenni è sempre esistita. Si pensi che già nel 2014 il Ministero dell’Interno si diede un “vademecum” per conoscere e affrontare la devianza minorile e la tutela dei minori. È un fatto, però, che negli ultimi mesi si sta assistendo a un aumento della violenza adolescenziale. Basti questo. Secondo i dati del ministero della Giustizia i giovani “in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni” sono grossomodo

numericamente sempre gli stessi. Ciò che cambia nettamente è il numero dei ragazzi presi in carico per reati di rissa: si passa dai 271 del 2018 ai 620 del 2021 (dato al 15 giugno di quest’anno). Un exploit incredibile che trova spiegazione proprio in quanto i nostri giovani hanno vissuto. D’altronde già nella “memoria scritta” dell’Istat presentata nel cor-


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so dell’audizione della Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza del primo giugno 2020 si è evidenziato come il numero dei minorenni che commettono reati che vanno dallo stalking, al bullismo e al cyber-bullismo, è in preoccupante e costante crescita. Anche l’età dell’abuso di alcool e sostanze stupefacenti si è abbassata.

DISAGIO PSICHICO E DESIDERIO DI FARSI SENTIRE A trovare un potenziale collegamento tra il periodo che stiamo vivendo e i fenomeni di violenza di cui abbiamo parlato è anche la professoressa Michela Gatta, referente del gruppo di lavoro e ricerca di Neuropsichiatria infantile di Padova, che è intervenuta sul punto sul sito dello stesso ateneo: “Senz’altro sono molti i fattori che entrano in campo a spiegare da dove nasce tutta questa violenza. Lasciamo in questo caso da parte le condizioni dell’ambito clinico caratterizzate da fragilità narcisistica patologica, discontrollo degli impulsi, tendenze antisociali. Di frequente, connesse a quanto si esprime come violenza, è possibile rinvenire rabbia da frustrazione (sono tante le ragioni per cui i ragazzi oggi si sentono frustrati), noia (intesa come stato emotivo spiacevole piuttosto che come anestesia emotiva o ideativa), moda”. Ma negli ultimi episodi, accanto a tutto questo, “è possibile leggerci anche un messaggio sociale di presa di posizione di fronte a limiti percepiti come imposti e magari ingiusti. Per chi lavora in ospedale come noi è scontato e sensato il limitarsi per contenere la diffusione covid e quindi fare il bene comune, ma per chi non è dentro a questa realtà, la stessa può apparire esagerata. Molti adulti - non solo giovani - attivano comportamenti contrastanti rispetto alle attuali norme preventive e, in generale, rispetto alla realtà che stiamo vivendo da circa un anno. Negare l’evidenza, attuando comportamenti rissosi all’insegna della forza e prevaricazione, può anche costituire una forma difensiva nei confronti di una condizione che causa angoscia, frustrazione e senso di impotenza”.

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Negli ultimi episodi è possibile leggerci un messaggio sociale di presa di posizione di fronte a limiti percepiti come imposti e magari ingiusti. Per chi lavora in ospedale come noi è scontato e sensato il limitarsi per contenere la diffusione covid e quindi fare il bene comune, ma per chi non è dentro a questa realtà, la stessa può apparire esagerata.


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Il minimo comune denominatore dei singoli disagi espressi dai circa 6mila ragazzi di età compresa fra i 13 e i 23 anni che hanno partecipato all’indagine è il senso di solitudine. Percezione acuita dalle misure di distanziamento sociale in funzione anti Covid. Oggi il 93% di adolescenti e ventenni vive questa condizione emotiva, dieci punti in più rispetto all’ultima rilevazione.

PRIMO PIANO

Altro allarme è stato lanciato settimane fa anche da Lucia Romeo, chirurgo specializzato in pediatria e fitoterapia, responsabile del servizio di supporto alle fragilità familiari Timmi, nato nel 2019 all’interno dell’ospedale Buzzi di Milano: i giovani, secondo la pediatra, “si sentono poco motivati, si lasciano andare, si impigriscono”. In alcuni casi, il team del servizio di supporto ha riscontrato un aumento delle violenze in famiglia a cui assistono anche i ragazzi, dell’aggressività negli stessi adolescenti e di un aumento dei casi di abuso di alcol e droghe. Se fino a poco tempo fa l’età in cui si iniziava a fare uso di sostanze stupefacenti era intorno ai 14 anni, oggi siamo sui 12. “Lo fanno perché hanno troppa ansia, per sentire sollievo dal dolore provato, per attirare l’attenzione degli adulti o per esprimere il proprio disagio”. BULLISMO E AUTOLESIONISMO Una situazione che, di fatto, trova conferma anche in una recente studio di Terre des Hommes, in collaborazione con Scuolazoo. Il minimo comune denominatore dei singoli disagi espressi dai circa 6mila ragazzi di età compresa fra i 13 e i 23 anni che hanno partecipato all’indagine è il senso di solitudine. Percezione acuita dalle misure di distanziamento sociale in funzione anti Covid. Oggi il 93% di adolescenti e ventenni vive questa condizione emotiva, dieci punti in più rispetto all’ultima rilevazione. Un incremento ancor più significativo se si pensa che la percentuale di chi ha indicato di provare solitudine “molto spesso” è passata dal 33% al 48%. Sentimenti negativi che si river-

sano in quel poco che resta dei rapporti umani, nei quali si fa sempre più largo l’incubo del bullismo. Il 68% degli intervistati ha dichiarato di aver assistito ad atti inquadrabili nel fenomeno, mentre il 61% sostiene di esserne stato vittima. Quanto ai bulli sono l’8,02%, quota che arriva sino al 14,76% nel caso dei ragazzi. Il 42,23% dei partecipanti ha detto di soffrire a causa di episodi di violenza psicologica da parte di coetanei e in particolare il 44,57% delle ragazze ha segnalato il disagio provato nel ricevere messaggi non graditi di carattere sessuale online. Da qui al revenge porn il passo è breve. Per il 52,16% delle intervistate è secondo solo al cyberbullismo nella classifica degli atti di violenza online più temuti. Seguono il rischio di subire molestie sul web, l’adescamento da parte di malintenzionati e la perdita della privacy. Inoltre, quasi tutte le ragazze (95,17%) riconoscono che vedere le proprie foto o video hot circolare online o su cellulari altrui senza aver dato il proprio consenso sia grave quanto subire un abuso fisico. E in questo quadro un allarme nell’allarme è rappresentato dal boom di episodi di autolesionismo (a scopo suicidario e non) fra i più giovani, recentemente denunciato già settimane fa a Repubblica dal primario di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’ospedale “Bambino Gesù” di Roma, Stefano Vicari. Con la seconda ondata i ricoveri legati al fenomeno sono cresciuti del 30%, col risultato che nel reparto guidato dal luminare il tasso di occupazione dei posti letto ha raggiunto anche il 100%. E viene da chiedersi quale sarà il conto da pagare per questa generazione quando ci sveglieremo dall’incubo Covid.


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L’INTERVISTA

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“LA POLITICA SI FACCIA CARICO DELLE ESIGENZE DEI NOSTRI RAGAZZI” Intervista alla Garante per l’Infanzia, Carla Garlatti: “Troppe violenze nell’ultimo periodo. Al via uno studio mirato per comprendere gli effetti sulla salute mentale post-Covid”

di Carmine Gazzanni

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solamento, socialità interrotta, confronto (per alcuni per la prima volta nella vita) con la paura e con la morte. Senza dimenticare, ancora, ai danni causati dall’esposizione continua ed eccessiva al computer. Basterebbe questo elenco per comprendere quanto difficoltoso sia stato questo periodo per i nostri ragazzi, i quali “sono stati travolti dalla pandemia e la loro esistenza inevitabilmente ne ha risentito”, spiega non a caso a Professione Sanità Carla Garlatti, magistrato di lungo corso e presidente dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Ma la dottoressa Garlatti si sofferma anche su

un altro aspetto da non sottovalutare: “Stando ai dati sarebbe ravvisabile un collegamento tra il drammatico periodo che i nostri minori hanno vissuto e l’aumento esponenziale di risse”. Sono i dati - che ci comunica la stessa Garlatti - d’altronde a confermarlo: nel 2018 i minori presi in carico dai servizi sociali per reati di rissa erano 271, mentre nel 2021 (dato aggiornato al 15 giugno di quest’anno) sono già 445. Partiamo dall’inizio, dottoressa. In che maniera crede che il periodo che abbiamo vissuto abbia influito sui nostri ragazzi? L’esistenza di tutti è stata stravol-


L’INTERVISTA

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Carla Garlatti.

ta dal periodo che abbiamo vissuto e che in parte ancora stiamo vivendo, dunque a maggior ragione questo discorso vale anche per i nostri bambini e i nostri adolescenti. L’impatto è stato forte, in alcuni casi catastrofico: per alcuni è stato il primo confronto mai avuto con la paura o, nella peggiore delle circostanze, con la morte. A rendere la situazione ancora più drammatica è stato ovviamente l’isolamento e la mancanza di socialità: il non andare a scuola, il non vedere gli amici, il non fare attività extra-scolastiche ha creato un effetto esplosivo in molti dei nostri ragazzi. E, di contro, l’esposizione continua ai social e al web ha reso la situazione ancora più ingestibile in molti casi. Crede però si possano rintracciare anche elementi positivi nel corso di questi due anni di pandemia? Io sono abituata per natura a cercare sempre del bene anche nel mare del male. Pur precisando che ovvia-

mente il giudizio nel suo complesso non può che essere negativo, c’è da dire che in alcuni casi il lockdown ha portato a riscoprire l’importanza della dimensione familiare che in molte circostanze era andata perduta. Anche qui, però, è importante fare dei distinguo: questo vale per le famiglie che vivono in situazioni tranquille. Per quei bambini che vivono invece in famiglie problematiche il lockdown ha creato vere e proprie prigioni. Per quanto sia difficile crede ci siano fasce tra i minori che hanno maggiormente risentito della pandemia? È molto complicato dirlo, servirebbero studi appositi. In linea di massima sicuramente possiamo dire che tutte le fasce della popolazione minorile hanno patito, anche se in varia misura e per varie ragioni. Le faccio un esempio: diversi studi di pedagogia evidenziano che i minori che

“L’esistenza di tutti è stata stravolta dal periodo che abbiamo vissuto e che in parte ancora stiamo vivendo, dunque a maggior ragione questo discorso vale anche per i nostri bambini e i nostri adolescenti”.


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“Diversi studi di pedagogia evidenziano che i minori che frequentano già l’asilo nido hanno una maggiore possibilità di realizzarsi. Dunque anche i bambini nella fascia 0-6 anni hanno vissuto una qualche forma di disagio. Credo, però, che a patire maggiormente è stato chi ha avuto consapevolezza del periodo drammatico che abbiamo vissuto e dunque gli adolescenti”.

L’INTERVISTA

frequentano già l’asilo nido hanno una maggiore possibilità di realizzarsi. Dunque anche i bambini nella fascia 0-6 anni hanno vissuto una qualche forma di disagio. Credo, però, che a patire maggiormente è stato chi ha avuto consapevolezza del periodo drammatico che abbiamo vissuto e dunque gli adolescenti: essendo maggiormente consapevoli hanno vissuto in maniera negativa questi mesi in isolamento, lontano dagli amici, dalla scuola e dalle varie altre attività. Nell’ultimo periodo sembra ci siano stati vari episodi di violenza tra giovani, almeno questo è quello che pare leggendo le varie notizie di cronaca… Guardi, a riguardo ho recuperato i dati e gliene posso dare conferma. Secondo i numeri raccolti dai Servizi minorili del ministero della Giustizia, sebbene si noti una sostanziale corrispondenza tra i minori in carico ai servizi sociali nel 2018 e quelli in carico al 15 giugno 2021, ciò che stupisce e sorprende è che c’è un aumento esponenziale e significativo dei minori in carico per reati di rissa: siamo passati dai 271 del 2018 ai 445 di metà 2021. E a determinare questo incremento - lo dico a scanso di equivoci - sono soprattutto i minori italiani. Crede ci sia una correlazione tra gli episodi di violenza tra giovani e il periodo che abbiamo vissuto? Anche in questo caso sarebbero necessari studi dedicati. Quello che possiamo dire, stando all’opinione espressa nell’ultimo periodo da diversi esperti, è che si può ravvisare l’esigenza da parte dei nostri ragazzi di sfogare la rabbia dopo lunghi periodi passati segregati in casa. Ma c’è qualcosa in più. Cosa? Credo ci sia anche l’esigenza di

una riappropriazione di spazi pubblici, non a caso ovviamente parliamo di risse avvenute in piazze o comunque in luoghi pubblici e visibili. E questo credo sia indice anche di un altro aspetto e di un’ulteriore chiave di lettura: i ragazzi non commettono violenza fine a se stessa, ma credo inconsciamente abbiano anche voluto richiamare l’attenzione su di loro. C’è poi il tema della salute mentale. Lei sin da subito ha posto l’accento sul rischio che anche gli adolescenti possano avere problematiche dopo il lungo periodo di pandemia. Assolutamente sì. Non a caso il 16 giugno scorso abbiamo istituito un team per uno studio che io personalmente ho fortemente voluto e che l’Autorità condurrà in collaborazione


L’INTERVISTA

con il ministero dell’Istruzione e con l’Istituto Superiore di Sanità: l’obiettivo è proprio stabilire in che maniera il Covid-19 abbia impattato sulla salute mentale dei ragazzi, che saranno divisi in tre fasce d’età. Non solo: vogliamo anche differenziare gli effetti su chi già aveva avuto problematiche di ordine mentale dagli effetti su chi invece non aveva mai avuto alcun tipo di disordine o patologia. E poi vogliamo far luce anche su un altro aspetto: se c’è stato un incremento di utilizzo di alcool e droghe con la pandemia. Questo studio nasce dalle tante segnalazioni che ci arrivano e che fanno pensare a un aumento sostanziale di accessi di giovani al Pronto soccorso e di un incremento dei posti letto occupati nei reparti di neurop-

sichiatria infantile. Occorrono, però, studi più puntuali e la ricerca che porteremo avanti sarà fondamentale da questo punto di vista: durerà tre anni anche se avrà degli step intermedi ogni anno. Cosa si è fatto finora per andare in soccorso di bambini e adolescenti? Le dico la verità: credo che all’inizio della pandemia i minori siano stati completamente dimenticati. Per fortuna molto è stato fatto durante la seconda ondata. Nel complesso ritengo che molte misure in loro soccorso siano state attuate: penso all’accordo del governo con alcune compagnie telefoniche affinché anche i ragazzi più svantaggiati possano avere i servizi necessari. Ma penso anche alle tante risorse stanziate per la didattica e per gli asili nido. Cosa, invece, crede ancora si debba fare? Bisogna assolutamente continuare su questa strada. E intervenire soprattutto su due fronti. Quali? Innanzitutto, bisogna garantire il rientro a scuola a settembre in presenza: un altro anno di didattica a distanza sarebbe insostenibile. E dunque bisogna comprendere quale sia il nodo: sono i trasporti? Bene, allora si intervenga immediatamente. E l’altro fronte? È ancora più importante: bisogna ascoltare di più i nostri ragazzi. Se si sentono coinvolti saranno senz’altro più responsabili e rispetteranno le regole. Bisogna farsi carico delle loro esigenze. E in questo mi sento di lanciare anche un appello alle famiglie: negli ultimi anni sono state troppo deleganti anche per motivi ovviamente lavorativi. Adesso però occorre che anche le famiglie tornino ad avere un ruolo centrale nella formazione e nell’educazione dei nostri ragazzi.

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“Credo ci sia anche l’esigenza di una riappropriazione di spazi pubblici, non a caso ovviamente parliamo di risse avvenute in piazze o comunque in luoghi pubblici e visibili. E questo credo sia indice anche di un altro aspetto e di un’ulteriore chiave di lettura: i ragazzi non commettono violenza fine a se stessa, ma credo inconsciamente abbiano anche voluto richiamare l’attenzione su di loro”.


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AUMENTANO I SUICIDI TRA I GIOVANI LA COLPA? DEL COVID

Aumento del 30% dei tentativi di autolesionismo e di suicidio Ma dati precisi ufficiali latitano. Interrogata la Commissione europea

di Carmine Gazzanni


PRIMO PIANO

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n killer silenzioso e spietato, che non risparmia nemmeno chi – come i ragazzi – in teoria dovrebbe affrontare la vita con maggior spensieratezza. La depressione sta diventando un male sempre più trasversale, che si manifesta anche in tenera età. E che, purtroppo, spesso spinge verso gesti estremi. Lo confermano i dati: in base a un recente report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a livello globale il suicidio è la seconda causa di morte (subito dopo gli incidenti stradali) tra gli under30. Volendo circoscrivere il fenomeno all’Italia, l’Istat ha stimato in circa 4mila i suicidi che avvengono ogni anno nel nostro Paese. Di questi, oltre il 5% vede protagonisti ragazzi sotto i 24 anni. Stiamo parlando di 200 casi l’anno, un’enormità. E questi dati rischiano ora di subire un nuovo incredibile aumento a causa della pandemia. Dati precisi, purtroppo, non ce ne sono: l’unico Istituto che monitora il tasso dei suicidi è l’Istat, come detto, ma l’ultimo monitoraggio disponibile è relativo all’anno 2017. Un ritardo clamoroso e importante che sicuramente non aiuta a comprendere l’impatto della pandemia sul fenomeno suicidario. Quel che sappiamo, però, secondo la denuncia di alcuni esperti, è che ci sarebbe stato negli ultimi mesi un aumento del 30% di suicidi e tentativi di suicidio tra bambini e adolescenti. Questo il numero drammatico che racconta una delle tante conseguenze del Covid-19 ma che lascia ancora più scossi perchè riguarda i più giovani. Lo studio è dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. “Da ottobre ad oggi, quindi dopo la prima ondata Covid, abbiamo registrato un aumento dei ricoveri del 30% circa. Fino ad ottobre avevamo il 70% dei posti letto occupati (8 in tutto), oggi il 100%. Nel 2011 abbiamo avuto 12 ricoveri per attività auto-lesionistica,


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Volendo circoscrivere il fenomeno all’Italia, l’Istat ha stimato in circa 4mila i suicidi che avvengono ogni anno nel nostro Paese. Di questi, oltre il 5% vede protagonisti ragazzi sotto i 24 anni. Stiamo parlando di 200 casi l’anno, un’enormità. E questi dati rischiano ora di subire un nuovo incredibile aumento a causa della pandemia. Dati precisi, purtroppo, non ce ne sono: l’unico Istituto che monitora il tasso dei suicidi è l’Istat, come detto, ma l’ultimo monitoraggio disponibile è relativo all’anno 2017.

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a scopo suicidario e non, mentre nel 2020 oltre 300, quindi quasi uno al giorno”, aveva spiegato in quella circostanza Stefano Vicari, primario dell’unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del nosocomio pediatrico romano. “Tutto questo è assolutamente associato al periodo di chiusura, gli adolescenti vivono con grande preoccupazione questo periodo e quindi c’è una ripercussione sui loro vissuti particolarmente importante. Mi comincio a chiedere quando tutta questa emergenza sarà finita quello che dovremo gestire. Sarà un’onda lunga”. Numeri e preoccupazioni che trovano conferma anche in un’altra ricerca conclusa pochi mesi fa e condotta dal Cesvi, secondo cui il Covid-19 ha rappresentato “un potente fattore di rischio per il maltrattamento all’infanzia: un quadro tanto più preoccupante se si considera che il fenomeno emergerà in tutta la sua portata solo quando la pandemia sarà conclusa”. Il Cesvi che parla apertamente di “trauma collettivo da Covid-19”, nota poi che “ad aggravare il quadro complessivo della situazione di bambini e adolescenti in Italia, c’è il dato riportato dall’Indice che riguarda l’impatto del Covid-19 sulla loro salute mentale: in generale c’è stato un aumento nelle richieste di aiuto psicologico per bambini/e e ragazzi/e e si è registrato un aumento dei tentativi di suicidio di ragazzi/e, specie durante la seconda ondata della pandemia: dall’ottobre del 2020 fino ad oggi sono aumentati del 30% i tentativi di autolesionismo e di suicidio da parte degli adolescenti”. Se il 43% degli italiani ha riportato un peggioramento della salute mentale nell’ultimo anno, l’edizione di quest’anno dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia evidenzia, importanti criticità e l’immagine di un’Italia a due velocità: al Sud il rischio

legato al maltrattamento è più alto e l’offerta di servizi sul territorio è generalmente carente o di basso livello. Le otto regioni del nord Italia sono tutte al di sopra della media nazionale, mentre nel Mezzogiorno si riscontra un’elevata criticità: le ultime quattro posizioni dell’Indice sono occupate da Campania (20°) Sicilia (19°), Calabria (18°) e Puglia (17°). Non è un caso che soltanto poche settimane fa è stata presentata un’interrogazione addirittura al Parlamento europeo sul tema: “Il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra i giovani di età compresa tra i quindici e i ventinove anni. Questo dato, fornito dall’Organizzazione mondiale della sanità, risale al periodo antecedente alla pandemia. Con l’avvento del coronavirus, si stima che i suicidi e tentativi di suicidio tra i giovani siano aumentati in maniera considerevole in Italia così come in Europa”, si legge nell’atto. E ancora: “Solo in Italia, dall’ottobre 2020 ad oggi sono aumentati del 30% i tentativi di autolesionismo e suicidio da parte di adolescenti (Fondazione Cesvi). Lockdown, didattica a distanza e mancanza di interazioni sociali hanno contribuito ad aumentare un malessere generalizzato nelle generazioni più giovani, che ha portato, in diversi casi, a gesti estremi”. E da qui le richieste alla Commissione europea: “se intende promuovere una raccolta di dati accurati sui tassi di suicidio a livello europeo dall’inizio della pandemia ad oggi, classificando le statistiche in modo da individuare le fasce di età maggiormente colpite; se ritiene utile attivare progetti di prevenzione e diffusione di corretta informazione nonché incoraggiare la creazione di una rete efficace, sanitaria e sociale, a sostegno dei più giovani; quali misure ritiene prioritario adottare, di concerto con gli Stati Membri, per contrastare i fenomeni di autolesionismo tra i giovani”.


Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

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FINALMENTE IL PARLAMENTO SI INTERESSA DI SALUTE MENTALE Attenzione bipartisan all’emergenza psichiatrica Dopo la mozione Lorenzin presentati altri atti e interrogazioni


L’INCHIESTA

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di Stefano Iannaccone

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ora avanti tutta sulla salute mentale. Certo, la pausa estiva, con l’ingorgo di provvedimenti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ha fatto slittare l’impegno legislativo all’ultima parte dell’anno. Ma resta un punto cardine: in Parlamento, dopo la mozione presentata dalla deputata del Partito democratico, Beatrice Lorenzin, il confronto diventa serrato. Dal governo è arrivata la conferma di un elevato interesse sulla questione. “Le tematiche illustrate nelle mozioni sono comunque da tempo all’attenzione del governo”, ha dichiarato il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa. Nel dettaglio, il “ministero ha promosso negli anni varie iniziative finalizzate alla rimozione di qualsiasi forma di discriminazione ed esclusione nei confronti delle persone con disagio mentale”. E qualcosa è stato già fatto. “In questa direzione vanno anche le risorse previste nell’ultimo Decreto Sostegni finalizzate al potenziamento dei servizi territoriali e ospedalieri di Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza e alla cura delle forme di disagio psicologico di adolescenti e bambini conseguenti alla pandemia”, ha concluso Costa. L’approvazione bipartisan del testo ha rappresentato comunque un segnale significativo della situazione. La deputata della Lega, Valeria Alessandrini, ha rilanciato il confronto, attraverso un’interrogazione parlamentare, legandolo agli effetti della pandemia. Perché alla base c’è la consapevolezza che la pandemia ha cambiato profondamente le vite di tutti. “Nonostante la fase epidemiologica e le misure restrittive si siano attenuate, essendo oggi circa due terzi dell’Italia in zona bianca, molte persone risultano tuttora fortemente traumatizzate dagli eventi”, osserva l’esponente della Lega, che cita alcuni dati: “Sulla base delle


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“Anche coloro che non hanno vissuto in prima persona la malattia riscontrano effetti negativi sulla salute mentale a causa dall’isolamento e del distanziamento sociale e della paura per la propria incolumità e quella dei propri cari”.

L’INCHIESTA

evidenze ad oggi disponibili (in base a studi condotti in Italia, Cina e Corea), gli esperti stimano che il 96 per cento dei sopravvissuti al virus sperimenti i sintomi della sindrome post traumatica da stress, con rischio concreto di deterioramento cognitivo e psichico”. E non solo: “Anche coloro che non hanno vissuto in prima persona la malattia riscontrano effetti negativi sulla salute mentale a causa dall’isolamento e del distanziamento sociale e della paura per la propria incolumità e quella dei propri cari”. In questo quadro la deputata ritiene “doveroso e urgente individuare misure specifiche intese a ripristinare il servizio di assistenza telefonica, implementandolo anche, se nel caso, con videoconsultazione e incontri gratuiti con psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti”.

L’on. Beatrice Lorenzin con la sua mozione sulla salute mentale.

L’analisi della Alessandrini si sofferma su un dato: “Il malessere psichico deve essere preso in tempo, prima che possa dilagare in malattia mentale. Si ritiene, infatti, che determinati disturbi debbano essere presi in carico subito con tutti i mezzi a disposizione, tra cui, sicuramente, un servizio gratuito e costante di assistenza telefonica, videoconsultazioni e, se possibile, anche di consulti in presenza, al fine di fornire suggerimenti e supporto per intervenire tempestivamente ed adeguatamente, permettendo così di elaborare l’esperienza traumatica e controbilanciare le condizioni di isolamento, incertezza e paura che hanno contraddistinto la pandemia”. L’attenzione, come nel caso della mozione della Lorenzin, è insomma bipartisan. Filippo Gallinella del Mo-


L’INCHIESTA

vimento 5 Stelle si è soffermato sul disagio dei più giovani e in particolare sui servizi di neuropsichiatria infantile. “Già prima della pandemia (ultimi dati disponibili 2018), circa 2 milioni di minorenni soffrivano di un disturbo psichiatrico e di questi solamente 60 su 200 potevano avere accesso ad un servizio territoriale (Npia)”, ha osservato. “In Italia - ha evidenziato ancora il deputato del M5S - esistono solamente 325 letti di Npia a fronte di una richiesta di ricovero molto più alta e che, nella maggior parte dei casi viene trattata in reparti non dedicati, con personale non specificamente specializzato o e sempre in emergenza, con il concreto rischio non affrontare adeguatamente la situazione, prospettando al bambino un percorso tortuoso sia nel presente, sia, soprattutto, nel futuro”. Un problema acuito durante la fase di chiusura del Covid. Da qui la richiesta di un intervento legislativo, mirato ed efficace. A fargli eco c’è un collega di partito, Alessandro Amitrano. “Nelle stime evidenziate dalle ricerche scientifiche si ritiene che l’impatto della pandemia sui giovani sarà a lungo termine e che si misurerà anche in termini di danno legato al fenomeno delle dipendenze patologiche, nel campo dell’alcol e delle sostanze stupefacenti”. Dunque, “a conferma di tale dato, da una indagine scientifica pubblicata a mezzo stampa nel mese di dicembre 2020 si evince che ansia e stress da confinamento porterebbero i giovani a ricorrere a forme di automedicazione surrettizia ed autogestita, ad esempio attraverso il consumo di alcol e sostanze stupefacenti”, conclude Amitrano. C’è poi chi analizza, con una lente sociale, le dinamiche che hanno accresciuto il disagio mentale. La perdita delle certezze economiche, la solitudine forzata, la malattia, una sensazione

perdurante di precarietà di fronte ad un nemico invisibile sono alla base di un disagio che si estende e che va a sommarsi a quello precedentemente acquisito”, osserva la senatrice dell’Udc, Paola Binetti. Che aggiunge: “Di fronte a questo contesto socio-economico e culturale così complicato, di fronte alla necessità di ripensare i sistemi di welfare e di presa in carico, anche per il perdurare della pandemia, è necessario che le istituzioni che hanno a cuore la salute ed il benessere dei propri cittadini facciano un salto di qualità, garantendo supporto e risposte efficaci, in tempi compatibili con la vita delle persone e delle strutture”. Del resto Lorenzin, fin subito dopo l’approvazione della sua mozione, ha sottolineato un aspetto: “È in atto un cambiamento del nostro modo di vivere, di relazionarci con gli altri e con il futuro, mentre aumentano le incertezze perché ancora non sappiamo quando finirà questa pandemia”. In questo senso “il covid ha lasciato ferite in tutti ed è aumentata la domanda d’aiuto sia dal lato psicologico che psichiatrico. I più colpiti sono stati i giovani e chi è stato in frontiera, così come abbiamo bisogno di proseguire la ricerca sugli effetti del covid a medio termine”.

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“È in atto un cambiamento del nostro modo di vivere, di relazionarci con gli altri e con il futuro, mentre aumentano le incertezze perché ancora non sappiamo quando finirà questa pandemia. Il covid ha lasciato ferite in tutti ed è aumentata la domanda d’aiuto sia dal lato psicologico che psichiatrico”.


FOCUS

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RICONOSCERE IL DISTURBO BIPOLARE: IL PRIMO PASSO PER UN CORRETTO TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELL’UMORE Confini meno netti di quanto si possa pensare per l’alternanza dei periodi di euforia, depressione e benessere che caratterizzano la patologia

di Alessandro Cuomo, Giovanni Barillà, Alessandro Spiti, Andrea Fagiolini Università di Siena e Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

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l disturbo bipolare viene generalmente definito come una condizione caratterizzata dall’alternanza tra periodi di euforia (che noi psichiatri chiamiamo ‘mania’ o, se poco gravi, ‘ipomania’), periodi di depressione e periodi di benessere (eutimia). Questi periodi hanno spesso confini meno netti di quanto si creda e sono spesso frammisti tra loro. In altre parole, molti pazienti esperiscono sintomi di mania mentre sono in depressione, sintomi di depressione mentre sono in fase di euforia, e sintomi di depressione e/o mania mentre sono in eutimia. A nostro parere, sarebbe quindi più corretto parlare

di periodi di prevalente depressione, prevalente mania o prevalente eutimia. La caratteristica distintiva del disturbo bipolare è la mania o ipomania. Ad esempio, la presenza di episodi di mania o ipomania, permette di differenziare il disturbo bipolare dal disturbo depressivo maggiore, ovvero da una condizione in cui i pazienti hanno un’alternanza fra eutimia e depressione ma non hanno mai episodi maniacali o ipomaniacali. Tuttavia, i pazienti con disturbo bipolare passano molto più tempo nelle fasi depressive che in quelle maniacali o ipomaniacali, per cui è più facile vederli durante le fasi depressive che


FOCUS

durante le fasi maniacali. Tra l’altro, durante le fasi maniacali e ipomaniacali, molte persone non riconoscono la necessità di essere curate e quindi più difficilmente vengono a contatto con uno psichiatra. Oltre a essere spesso diagnosticati (erroneamente) con un disturbo depressivo maggiore, i pazienti con disturbo bipolare sono spesso diagnosticati, anche in questi casi erroneamente, con altre malattie psichiatriche, come i disturbi d’ansia o la schizofrenia. La diagnosi errata di disturbi d’ansia viene spesso fatta quando l’agitazione, il nervosismo, o l’irrequietezza del disturbo bipolare vengano interpretati come ansia. La diagnosi errata di schizofrenia viene invece fatta quando quando i sintomi psicotici, molto frequenti anche nel

disturbo bipolare, vengano interpretati come sintomi dello spettro schizofrenico, senza considerare la contestuale presenza di sintomi affettivi, condizione questa che impone invece la diagnosi di ‘disturbo bipolare, con sintomi psicotici’. A causa di queste difficoltà, molti pazienti con disturbo bipolare devono attendere molti anni prima di ricevere una diagnosi (e quindi una terapia) corretta. Tra l’altro, gli errori diagnostici sopra citati rappresentano solo alcuni dei casi di mancata diagnosi. Nei bambini e adolescenti, ad esempio, è frequente il mancato riconoscimento di una sindrome bipolare in pazienti con concomitante disturbo da deficit di attenzione e iperattività, anche perché i periodi di

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Oltre a essere spesso diagnosticati (erroneamente) con un disturbo depressivo maggiore, i pazienti con disturbo bipolare sono spesso diagnosticati, anche in questi casi erroneamente, con altre malattie psichiatriche, come i disturbi d’ansia o la schizofrenia.


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Il disturbo bipolare esiste come diagnosi secondaria o comunque come diagnosi concomitante e spesso non riconosciuta, anche in pazienti con molte altre condizioni, che vengono correttamente diagnosticate, omettendo però la diagnosi concomitante di disturbo bipolare. Ad esempio, il disturbo bipolare è molto frequente in persone con disturbo borderline di personalità, disturbo da stress post-traumatico disturbo o disturbo ossessivo-compulsivo oppure, in forma leggera e quindi più difficile da diagnosticare, in persone con malattie come l’emicrania.

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umore elevato, euforico, sono spesso rapidi e transitori. Nelle persone che abusano alcolici e sostanze, si tende spesso a attribuire alla sostanza abusata, e/o ai concomitanti disturbi di personalità, la responsabilità di sintomi che sono invece sintomi bipolari. L’abuso di alcolici e di sostanze è particolarmente frequente nei pazienti con disturbo bipolare e periodi di uso eccessivo di alcol o cannabinoidi, sono stati riportati nel 20-50% dei pazienti con disturbo bipolare. In alcuni casi, l’abuso di alcolici o sostanze stupefacenti precede la diagnosi di disturbo bipolare, e può favorire la sua insorgenza. In altri casi, invece, succede l’opposto, ovvero che il disturbo bipolare facilita l’inizio di una dipendenza da alcol o sostanze. In molti casi, è dunque necessario formulare e tenere conto di entrambe le diagnosi, per stabilire il trattamento più opportuno. Il disturbo bipolare esiste come diagnosi secondaria o comunque come diagnosi concomitante e spesso non riconosciuta, anche in pazienti con molte altre condizioni, che vengono correttamente diagnosticate, omettendo però la diagnosi concomitante di disturbo bipolare. Ad esempio, il disturbo bipolare è molto frequente in persone con disturbo borderline di personalità, disturbo da stress post-traumatico disturbo o disturbo ossessivo-compulsivo oppure, in forma leggera e quindi più difficile da diagnosticare, in persone con malattie come l’emicrania. In questi casi, il disturbo bipolare è spesso misconosciuto o diagnosticato con grande ritardo. Oltre alle difficoltà già citate, i motivi degli errori e ritardi diagnostici possono trovarsi nelle difficoltà a riconoscere i sintomi sotto-soglia, i sintomi attenuati o i sintomi residuati da fasi attive non viste e non

riportate. La tendenza a considerare il disturbo bipolare come la malattia di coloro che si presentano vestiti con colori sgargianti, con sintomi di euforia, megalomania e estrema contentezza, contribuisce non poco agli errori diagnostici. La maggior parte dei pazienti con disturbo bipolare, non viene infatti valutata durante quelle fasi, se sono presenti. Più spesso, i nostri pazienti vengono da noi quando sono depressi, quando sono inquieti, quando sono irritabili, quando abusano sostanze, quando hanno ansia, problemi sociali o discontrollo degli impulsi. Riconoscere il disturbo bipolare in questi pazienti, da solo o in comorbilità con altra diagnosi, è il primo passo per una corretta diagnosi e un per un trattamento appropriato. Il ritardo della diagnosi di disturbo bipolare ha infatti implicazioni molto pesanti sul trattamento e sulla prognosi. Ad esempio, una diagnosi precoce può aiutare a ridurre il rischio di gravi eventi come il suicidio, condizione particolarmente frequente nei pazienti con disturbo bipolare. È infatti noto che il 25-50% dei pazienti con disturbo bipolare tenterà il suicidio almeno una volta nella vita e che il rischio di mortalità per suicidio è, in queste persone, superiore a quello della popolazione genera-


FOCUS

le di almeno 2-10 volte. In questi pazienti, il rischio di suicidio non può essere mai annullato del tutto ma può essere comunque ridotto, ad esempio attraverso l’uso di trattamenti appropriati, come il litio. Inoltre, se erroneamente diagnosticati con depressione unipolare (i.e., con disturbo depressivo maggiore) piuttosto che con disturbo bipolare, è probabile che i pazienti ricevano un trattamento con antidepressivi in monoterapia, senza la concomitante prescrizione di stabilizzatori dell’umore e/o antipsicotici. Nei pazienti con disturbo bipolare, l’uso degli antidepressivi in monoterapia aumenta spesso il rischio di suicidio visto che, in queste persone, gli antidepressivi (soprattutto quando usati da soli) possono aumentare

l’energia prima di migliorare l’umore, trasformando la depressione in disperazione e dando al paziente la forza e l’energia necessarie per compiere gesti disperati. L’uso degli antidepressivi nel disturbo bipolare non è sempre controindicato ma richiede sempre e comunque la somministrazione contemporanea di uno stabilizzatore dell’umore e/o di un antipsicotico. Il disturbo bipolare è una malattia potenzialmente grave e difficile da curare. È però una malattia che, se riconosciuta, può essere ben trattata in molte persone e quantomeno attenuata in molte altre. Il corretto e precoce riconoscimento del disturbo bipolare è dunque una necessità clinica e terapeutica e non un mero esercizio diagnostico o nosografico.

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È una malattia potenzialmente grave e difficile da curare. È però una malattia che, se riconosciuta, può essere ben trattata in molte persone e quantomeno attenuata in molte altre.


LUCC@ IN MENTE

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LUCC@ IN MENTE, COSÌ LA FONDAZIONE BRF ABBATTE LO STIGMA SULLA SALUTE MENTALE COL CONFRONTO, IL DIALOGO E I LIBRI La kermesse si è tenuta a Lucca dall’8 all’11 luglio Tra gli ospiti Andrea Crisanti, Nada, Giulio Cavalli

di Chiara Andreotti

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bbattere una volta per tutte lo stigma che da anni si è annidato intorno ai temi riguardanti la salute mentale. Questo era l’obiettivo principale del Festival Lucc@ in mente, promosso dalla Fondazione BRF e dal Comune di Lucca. Quattro giorni di presentazioni che hanno affrontato i temi più vari con numerose personalità sono diventati un momento di unione e condivisione per i cittadini di Lucca e dintorni.

Ad aprire questo ciclo di incontri è stato il giornalista, scrittore e vicedirettore di Rai1 Angelo Mellone, che con il romanzo “Nelle migliori famiglie” (Mondadori) ha raccontato le vicende che una famiglia distrutta deve affrontare nella Notte di Natale. Nei giorni seguenti la scrittrice e giornalista Fuani Marino ha presentato “Svegliami a mezzanotte” (Einaudi) un doloroso ma necessario racconto autobiografico di una depressione, un ten-


LUCC@ IN MENTE

tato suicidio e una lenta ma inesorabile ripresa. Giulio Cavalli, scrittore e attore teatrale, ci ha aperto gli occhi davanti all’anaffettività e alle fragilità che l’essere umano si trova a fronteggiare nei momenti di sconforto con “Nuovissimo testamento” e “Disperanza” (Fandango). L’illustratrice Ilaria Urbinati ci ha messi di fronte al disagio che si trova a sopportare chi soffre di attacchi di panico con la graphic novel “Il mare verticale” (Bao publishing) firmato insieme a Brian Freschi. La giornata conclusiva del Festival ha portato molte emozioni, a partire dalla premiazione del concorso che la Fondazione BRF ha lanciato con il Provveditorato agli studi di Lucca. I bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado hanno raccontato tramite disegni e parole il loro rapporto con la pandemia. È seguita la presentazione del romanzo autobiografico della cantante Nada Malanima da cui è stato tratto il film di successo per Rai1 “La bambina che non voleva cantare”. Con “Il mio cuore umano” (Atlantide), l’autrice ha raccontato della sua infanzia, approfondendo il rapporto con sua madre.

A chiusura di questa prima edizione di Lucc@ in mente, si è tenuta una tavola rotonda a cui hanno partecipato il Prof. Andrea Crisanti, che in questi due anni ha avuto un ruolo di primo piano nell’emergenza pandemica, il Prof. Pietro Pietrini degli IMT di Lucca e il Prof. Armando Piccinni Presidente della Fondazione BRF. “L’anno di pandemia che abbiamo vissuto e i riflessi sul cervello”, ha portato avanti una discussione incentrata sulla necessità di riscoprire e rivalutare l’importanza della salute mentale. Al termine di questo convegno si è tenuta la premiazione del Prof. Andrea Crisanti “per la sua costante attività scientifica e divulgativa, che ne ha fatto in un periodo complesso come quello pandemico un punto di riferimento saldo per la comunità scientifica e per la popolazione italiana. Sempre disponibile e capace di spiegare in maniera chiara e puntuale concetti complessi, quali le modalità di trasmissione del Covid e delle sue varianti, indicando in maniera ferma le misure da adottare per contrastare il diffondersi della pandemia, si è rivelato fondamentale come tramite divulgativo per l’opinione pubblica e tutto il Paese.”

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Quattro giorni di presentazioni che hanno affrontato i temi più vari con numerose personalità sono diventati un momento di unione e condivisione per i cittadini di Lucca e dintorni. A chiusura di questa prima edizione di Lucc@ in mente, si è tenuta una tavola rotonda a cui hanno partecipato il Prof. Andrea Crisanti.


LUCC@ IN MENTE

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LA FORZA DI DISEGNI E NARRAZIONI PER RACCONTARE LE EMOZIONI “COVID” Premiati bambini e ragazzi al concorso “Lucc@ In Mente”. Ecco i vincitori

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i sa che spesso lo sguardo dei più piccoli è il più sincero. Con il concorso “Lucc@ in mente”, promosso dalla Fondazione BRF e dal Provveditorato agli Studi di Lucca, è stata data la possibilità ai bambini di raccontare le proprie emozioni ai tempi del Covid. Decine e decine di bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado hanno inviato i loro elaborati. Disegni per i più piccoli e temi o poesie per i più grandi, tutti hanno fatto luce sul forte disagio che hanno sperimentato in questi mesi di distacco dalle abitudini e privazioni. È stata la dimostrazione di come questa situazione abbia influito sulla vita e i pensieri dei più giovani. “Il risultato è stato incredibile e

toccante, una rivelazione che ci guida nell’animo dei piccoli lucchesi”, racconta Carmine Gazzanni, giornalista e scrittore, presentando i vincitori del concorso nella giornata conclusiva del Festival Lucc@ in mente. A consegnare i premi ai vincitori e gli attestati ai finalisti sono stati l’Assessora del Comune di Lucca Ilaria Vietina e l’Assessore Regionale Stefano Baccelli. (C. A.) Ecco i testi dei primi tre classificati: TERZO POSTO – ELISA BALDERI (Scuola secondaria di primo grado I.C. Pescaglia) All’attenzione del Sig. Sars-Covid-2, di certo non ti ringrazio, un mese chiusa


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Disegni di: 1. Elena Peranzi 2. Valentina Filippini 3. Jennifer Nicoletti 3

in casa, con la DAD e non ho potuto nemmeno, e non posso ancora oggi, vedere i miei amici e scherzarci. In realtà, lo sai, ti odio, ti odio veramente tanto. In questa lettera ti voglio parlare di come mi hai fatta sentire. In particolare della paura, della paura di avere ansia, di avere degli attacchi di panico, così, all’improvviso, senza un motivo. Delle volte gli attacchi iniziavano vedendo un film, le persone senza mascherina, i ragazzi e le ragazze che prendevano il pulmino e andavano a scuola. Il mostro invisibile che alloggiava dentro di me, armato di tutto il necessario, iniziava a salire su per la gola arrivava agli occhi, poi si trasformava in una semplice lacrima. Lacrima dopo lacrima avevo la faccia

tutta bagnata, come se l’avessi lavata. Il mostro mi prendeva la gola e non mi faceva respirare, nessuno poteva fermarlo, era gagliardo, tenace, come un eroe dell’Odissea. Il mostro prendeva poi degli aghi della sua sacca, ad uno ad uno li conficcava all’interno del mio corpo. Il mostro si scioglieva diventando sudore, che bagnava tutto il letto. Lo so, è sgradevole ma voglio farti sentire cosa provavo, come mi sentivo, a causa tua. Iniziavo a tremare come una foglia in autunno. Queste orrende, sgradevoli sensazioni duravano un’ora. Tutto questo finiva, ma poi, la mattina seguente, avevo di nuovo paura. Spero che tu mi risponda. Di certo non mi scuserò di averti disturbato.

Con il concorso “Lucc@ in mente”, promosso dalla Fondazione BRF e dal Provveditorato agli Studi di Lucca, è stata data la possibilità ai bambini di raccontare le proprie emozioni ai tempi del Covid.


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Saluti P.s. Puoi smettere di saltare di persona in persona? Elisa Balderi SECONDO POSTO – AMINE EL HOUARI (Scuola secondaria di primo grado I.C. Capannori) La tristezza è pioggia sul mio volto, la tristezza è goccia di dolore, la tristezza è sfogo, richiesta di aiuto al cuore. Disegni per i più piccoli e temi o poesie per i più grandi, tutti hanno fatto luce sul forte disagio che hanno sperimentato in questi mesi di distacco dalle abitudini e privazioni. È stata la dimostrazione di come questa situazione abbia influito sulla vita e i pensieri dei più giovani.

PRIMO POSTO – FEDERICO MALASPINA (Scuola secondaria di primo grado I.C. Pescaglia) Caro Federico del futuro, sono Federico del marzo 2020, qui siamo tutti in quarantena per il Covid-19. Siamo bloccati in casa, non possiamo neanche andare a scuola, facciamo la DAD. Una cosa positiva è che stiamo con la famiglia e io ho la fortuna di averne una numerosa. Ho anche la fortuna di avere un giardino, poveri quelli che non ce l’hanno! Caro Federico, alla televisione dicono che ormai siamo in piena pandemia, stanno morendo tante persone, ho paura, ma ho anche fiducia nei medici. Sì, medici proprio come te che sanno ascoltare e aiutare chi sta male, che non lasciano solo nessuno e vedono in ogni persona una vita da difendere. Caro Federico, oggi sono veramente triste, ho paura per la mia famiglia, i miei parenti che sono lontani. Mi mancano i miei amici, mi manca la mia squadra di calcio, la possibilità di incontrare nuove persone, abbracciare gli amici, cantare, vivere la mia vita…

la nostra vita. Caro Federico, siamo in estate! Finalmente ho potuto rivedere gli amici, mangiare un gelato, rivedere i parenti. Andare al mare è un po’ strano perché indossiamo sempre una mascherina E non possiamo avere contatti stretti, ma sono felice ugualmente, non è la normalità, ma ci si avvicina. Caro Federico, è il 16 ottobre 2020. No, no e poi no, nostro fratello Francesco si è ammalato di Covid, sono triste, spaventato, mi manca, la mamma dice che non sta male, è asintomatico, io sono preoccupato lo stesso. Ognuno di noi deve stare isolato in una stanza perché non sappiamo se siamo negativi o positivi. Non mi sono mai sentito così solo, parlo con Anna attraverso la porta, lei è piccola e non posso farle capire che ho paura, mi sembra tutto un incubo. Caro Federico, Francesco è guarito e noi siamo tutti negativi, sono felicissimo! La situazione a volte migliora a volte peggiora, non sono molto convinto come all’inizio che passerà questo virus. Penso che ci vorrà tempo e prendiamoci questo tempo! Basta che il nostro sacrificio serva a stare meglio domani, sono metà e metà, un po’ triste e un po’ felice. Caro Federico, quando rileggerai queste parole proverai una stretta al cuore e ti scenderà qualche lacrima perché è così e perché sei così. Ti commuovi sempre, ti farai tenerezza, spero che tu sia diventato la persona che vorrei essere e se non lo sarai diventato va bene lo stesso. Basta che tu sia felice e che in ogni momento della tua vita tu sappia affrontare con fiducia, speranza e gentilezza quello che verrà. Ora ti lascio ai tuoi pensieri e ai tuoi ricordi, non ti dimenticare il bambino che eri e che io sono, portalo sempre dentro di te vicino al cuore. Ora ti lascio perché sto piangendo dalla gioia anche se me ne vergogno un po’.



SALUTE

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MALTRATTAMENTI E FARMACI SCADUTI UN CENTRO DI PSICHIATRIA SU 5 È IRREGOLARE I dati dei Nas. Ecco perché serve un nuovo piano per la salute mentale

di Francesco Carta

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altrattamenti, abbandono dei pazienti e farmaci scaduti. Questa è la situazione in gran parte dei centri e di cura, riabilitazione e trattamento sanitario di tutta Italia, almeno stando a una vasta operazione del Comando Carabinieri per la tutela della salute. Su 536 strutture adibite a ricovero di pazienti sofferenti di disabilità e disagi mentali e psichici, infatti, 122 (il 22%) presentavano irregolarità anche gravi. In due strutture di Agrigento e Sassari gli ospiti erano maltrattati e abbandonati a se stessi. Ad Avellino,

invece, un ambulatorio di salute mentale è stato sequestrato perché non aveva né requisiti né autorizzazioni. Centinaia di confezioni di ansiolitici scaduti sono state rinvenute in otto strutture, dove i farmaci da buttare erano spesso mischiati con quelli ancora buoni e destinati alle persone in cura. La delicata indagine è stata mossa da “recenti episodi di cronaca che hanno riproposto l’importanza di una corretta gestione della salute mentale e della tutela delle fasce più deboli”, spiegano gli ex Nas. Tra le decine di casi che ogni settimana sono riportati dai giornali, appena il 12 luglio scor-


SALUTE

so in una struttura di cura per minori disabili di Varese sono stati arrestati sette educatori per maltrattamenti e violenze. Dai controlli sono emersi anche altri tipi di violazioni, che in almeno 11 strutture riguardavano la sicurezza sul lavoro e la mancanza di misure di contenimento del Covid. Quasi un centinaio di edifici, poi, erano strutturalmente inadeguati, con spazi insalubri e servizi igienici malfunzionanti e indistinti per sesso. Riscontrati, inoltre, anche piani riabilitativi mancanti, progetti di rieducazione assenti e alimenti mal conservati presso cucine carenti dal punto di vista igienico sanitario. Le verifiche hanno prodotto 141 sanzioni penali ed amministrative, per un ammontare complessivo di 62mila euro.

Non a caso nel corso delle verifiche sono state comminate 141 sanzioni penali e amministrative per un ammontare complessivo di 62 mila euro. Sono invece 240 le confezioni contenenti vari farmaci a base di ansiolitici e per il trattamento dell’umore scaduti. La maggior parte delle irregolarità hanno interessato inadeguatezze strutturali, assistenziali e organizzative dei servizi dedicati alle persone con patologie psichiche, rilevando 77 strutture con spazi insufficienti e servizi igienici malfunzionanti indistinti per sesso, carenze nei livelli di assistenza dovute alla mancanza di piani riabilitativi e di operatori adeguati alle necessità rieducative dei pazienti, ambienti insalubri per umidità e muffe alle pareti, esfoliazione degli

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Quasi un centinaio di edifici, poi, erano strutturalmente inadeguati, con spazi insalubri e servizi igienici malfunzionanti e indistinti per sesso. Riscontrati, inoltre, anche piani riabilitativi mancanti, progetti di rieducazione assenti e alimenti mal conservati presso cucine carenti dal punto di vista igienico sanitario.


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“Serve un nuovo piano nazionale per la salute mentale, ad iniziare dalle risorse necessarie per le assunzioni di personale e per riqualificare strutture vecchie e inadeguate. Ora il Governo deve far sì che i controlli non cadano in un nulla di fatto o peggio sugli operatori già soffocati dalla mancanza di mezzi adeguati, servono investimenti concreti”.

SALUTE

intonaci, mobilio fatiscente, mancanza di climatizzatori. Accertate inoltre dai Nas carenze nella corretta conservazione e preparazione degli alimenti nei centri dov’è previsto un servizio semiresidenziale o di ricovero H24: in 9 cucine associate a tali strutture sono state contestate violazioni di carattere igienico-sanitario. “I controlli che i Nas hanno effettuato in questi giorni sui servizi di salute mentale di tutto il territorio nazionale evidenziano che una struttura su cinque presenta carenze strutturali, condizioni ambientali inadeguate, mancanza di requisiti minimi di sicurezza, ma soprattutto carenza di figure professionali”, ha non a caso commentato l’Osservatorio salute mentale della Fp Cgil. “Una situazione di degrado che denunciamo da anni, causata da politiche di definanziamento che hanno smantellato un modello invidiato da tutto il mondo - prosegue il sindaca-

to -. Serve un nuovo piano nazionale per la salute mentale, ad iniziare dalle risorse necessarie per le assunzioni di personale e per riqualificare strutture vecchie e inadeguate. Ora il Governo deve far sì che i controlli non cadano in un nulla di fatto o peggio sugli operatori già soffocati dalla mancanza di mezzi adeguati, servono investimenti concreti”, conclude il sindacato. Una posizione che collima con le richieste che sono contenute anche in una mozione, a prima firma Beatrice Lorenzin, che è stata approvata a larga maggioranza dal Parlamento a fine giugno. Tra i 32 punti di cui si compone la mozione, infatti, spicca anche l’impegno del Governo a “predisporre un nuovo piano nazionale per la salute mentale per una strategia di intervento volta al rilancio dei servizi per la salute mentale e per il superamento e il riequilibrio delle diversità regionali”.


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nuovo coronavirus

Consigli sulle terapie in corso Titolo Non trascurare le tue patologie croniche. Continua ad assumere i farmaci che ti sono stati prescritti seguendo sempre le raccomandazioni del tuo medico. Le tue patologie non aspettano la fine della pandemia! Contatta il tuo medico per chiedergli consiglio, se hai qualche dubbio sulla terapia che stai assumendo. Il medico può fornirti telefonicamente il numero della ricetta con il quale ritirare i medicinali di cui hai bisogno presso la farmacia. Informati su quando potrai riprendere i tuoi controlli medici periodici. Non sospendere le terapie in corso senza aver consultato il tuo medico, in caso di positività al COVID-19. Ricordati di riferire al medico se stai assumendo integratori alimentari.

Chiedi conferma degli appuntamenti per le vaccinazioni dei tuoi bambini e cerca di non saltarli. Non esiste solo il COVID-19!

A cura del Gruppo ISS “Comunicazione Nuovo Coronavirus” 13 maggio 2020


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SALUTE

UN FARMACO SALVA VISTA (E SALVA VISTA) PER I BIMBI NATI PREMATURAMENTE Oltre 900 bimbi all’anno nascono con la “Retinopatia dei prematuri” e rischiano di essere cechi. Ecco la cura

di Alessia Vincenti

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n importante traguardo che potrebbe significare molto per la vita (e la vista) di 900 bambini italiani ogni anno. Nel nostro Paese, infatti, un bambino su 10 nasce pretermine (in Italia si stima l’11%) e tra loro, uno su tre sviluppa la cosiddetta “Retinopatia dei prematuri” (Rop). La Rop è una malattia vaso-proliferativa della retina strettamente connessa alla prematurità che determina, se non trattata, un distacco di retina totale e la conseguente completa perdita della vista del bambino nato prematuro. Nel nostro Paese,

sulla base del numero delle nascite degli ultimi anni, sono affetti da Rop grave - quindi a rischio cecità - oltre 900 bambini all’anno, quasi 3 al giorno. Ma come avviene questo distacco? “La retina - spiega il professor Domenico Lepore dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli - è la struttura dell’occhio che percepisce la luce. Quando un bambino nasce prima del termine, le arterie e le vene della retina non sono completamente sviluppate, visto che di norma il completamento della vascolarizzazione


SALUTE

della retina si ha oltre la 52esima settimana di età post-concezionale”. Lo sviluppo dei vasi retinici dunque nel bambino prematuro avviene nell’incubatrice; ma in quelli estremamente prematuri o con gravi patologie associate, questo processo a un certo punto si arresta, per ragioni ancora non del tutto note e si determina un’alterazione della direzione di crescita di vasi (che non crescono più sulla superficie, ma si dirigono verso l’interno dell’occhio), che può portare al distacco della retina. Questa grave complicanza della prematurità si presenta di solito tra la 34esima e la 38esima settimana di età post-concezionale nei bambini più gravi e, fino alla 46esima settimana, in quelli meno gravi. Una patologia molto grave e altrettanto delicata. Ed è per questa ragione che “il bambino prematuro, relativamente alle complicanze oculari - spiega ancora il professor Lepore - va seguito con grande attenzione tra la 34esima e la 46esima settimana; una volta fatta la diagnosi, abbiamo appena 48 ore di tempo per effettuare il trattamento. Studi recenti - spiega il professor Lepore - hanno dimostrato l’efficacia dell’iniezione intra-vitreale (cioè all’in-

terno dell’occhio, ndr) del ranibizumab, un farmaco anti-Vegf ( fattore di crescita endoteliale vascolare, ndr) che blocca la crescita patologica dei vasi, e che è lo stesso usato anche per la retinopatia diabetica”. Nella maggior parte dei casi basta una singola iniezione; ma nel 20-30% dei casi è necessario effettuare una seconda somministrazione, a distanza di 4-6 settimane dalla prima. D’altronde già uno studio pubblicato nel 2019 su Lancet, aveva dimostrato una percentuale di successo dell’80% nell’evitare il distacco di retina. Nel nuovo studio, invece, in fase di pubblicazione su Lancet Childhood & Adolescent Health, sono state valutate anche le performance visuo-motorie del bambino, cioè la sua capacità di usare la vista per muoversi nello spazio e queste, nei piccoli trattati con ranibizumab, sono risultate comparabili a quelle di pari età prematuri, senza il problema retinico. Questo farmaco “salva-retina” è stato approvato dall’Ema circa un anno e mezzo fa, oltre che dall’FDA e dall’autorità regolatoria giapponese, ma non è stato ancora autorizzato dall’Aifa. In Italia, dunque, per il momento può essere utilizzato solo all’interno di un trial clinico.

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Questa grave complicanza della prematurità si presenta di solito tra la 34esima e la 38esima settimana di età post-concezionale nei bambini più gravi e, fino alla 46esima settimana, in quelli meno gravi. Una patologia molto grave e altrettanto delicata.


SALUTE

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MEDICI E INFERMIERI ARRIVA L’ONDA DEI DISTURBI DA STRESS POST-TRAUMATICO Quasi 7 camici bianchi su 10 ha fatto esperienza di ansia o insonnia nel periodo Covid. E gli studi passati ci dicono che l’onda sarà ancora lunga

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er quanto siano dati preliminari lasciano intendere lo shock a cui medici e operatori sanitari sono andati incontro in pandemia. Un vero e proprio, per usare il termine corretto, “disturbo post-traumatico da stress”. Il 67% dei medici e il 61% delle altre professioni sanitarie che hanno affrontato l’emergenza Covid-19 hanno “fatto esperienza di stress psicologico”. Ad accompagnarli in questo difficilissimo percorso sono stati sentimenti di ostilità, frustrazione e impotenza, assieme a sintomi psicofisici quali depressione, ansia e insonnia. Questo è quello che emerge da un’indagine effettuata dalle ricercatrici della Sissa (Scuola internazionale superiore

di studi avanzati) di Trieste Elisabetta Pisanu e Ester Biecher e i cui dati sono stati resi noti in un report pubblicato in questi giorni. “Eppure sottolineano le autrici del documento - solo il 4% dei medici e il 3% delle altre professioni sanitarie ha richiesto e usufruito dei servizi di supporto psicologico approntati per dare loro supporto nell’emergenza. Un dato aggiungono - che non può non colpire e che ci deve far riflettere su ciò che potrà essere fatto in futuro per garantire una maggiore partecipazione e una maggiore tutela della saluta psicologica dei sanitari”. I dati sono stati raccolti attraverso un questionario online anonimo a cui hanno risposto 719 operatori, tra sanitari e ope-


SALUTE

ratori della salute mentale, che hanno fornito loro il servizio di consulenza psicologica. Dai risultati emersi risulta che sono stati gli infermieri a richiedere maggiormente il supporto psicologico rispetto alle altre figure (41% contro il 32% dei medici e il 15% degli operatori sanitari). Secondo quanto dichiarato da medici e infermieri, le loro maggiori preoccupazioni erano legate al timore di contrarre l’infezione o di trasmetterla ai familiari (39%), alla mancanza di dispositivi di protezione individuale (41%), al numero di pazienti da seguire (51%), alla fatica fisica legata all’utilizzo dei dispositivi di protezione (61%). Analizzando i diversi stati d’animo, un terzo circa degli operatori ha dichiarato di provare sentimenti come tristezza, impotenza, ansia, rabbia “spesso, molto spesso o sempre”. L’indagine, dunque, rivela come l’impatto emotivo dell’emergenza sugli operatori sia stato importan-

te. “Le autorità sanitarie, va detto, hanno reagito tempestivamente, pur nelle enormi difficoltà del periodo, per aiutare questa categoria fornendo un supporto psicologico”, spiegano ancora le due ricercatrici. “Eppure qualcosa non ha funzionato se meno del 5% degli operatori ha utilizzato questi servizi; ciò vuol dire che il modello adottato per l’accesso al consulto, che prevedeva due o tre fasi distinte, era poco funzionale”. Le cause ovviamente possono essere diverse. Nel report se ne individuano alcune: “È emersa una certa disorganizzazione e mancanza di chiarezza sui servizi resi disponibili e su come usufruirne”, si legge ancora nello studio. Inoltre, il percorso individuale che è stato proposto può essere stato visto come meno utile rispetto a quello comunitario: “Diversi operatori hanno dichiarato che il conforto maggiore in quei giorni arrivava dal confronto con i colleghi e le colleghe che vive-

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Secondo quanto dichiarato da medici e infermieri, le loro maggiori preoccupazioni erano legate al timore di contrarre l’infezione o di trasmetterla ai familiari (39%), alla mancanza di dispositivi di protezione individuale (41%), al numero di pazienti da seguire (51%), alla fatica fisica legata all’utilizzo dei dispositivi di protezione (61%).


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Se consideriamo gli effetti economici che questa emergenza sanitaria sta avendo, non possiamo non prendere in esame anche la crisi economica del 2008 che si è abbattuta violentemente sull’economia globale, specie quella occidentale. “Prove solide mostrano quasi incontrovertibilmente l’esistenza di una relazione tra la crisi economica e un aumento dei problemi di salute mentale con conseguenti suicidi”.

SALUTE

vano la loro stessa esperienza. Era una situazione di disagio diffusa e, per questo, con gli altri andava condivisa anche dal punto di vista della sua elaborazione”. Che la pandemia d’altronde potesse portarsi dietro situazioni di disagio era evidente anche da studi passati e relativi ad altre emergenze nazionali o planetarie. Se consideriamo gli effetti economici che questa emergenza sanitaria sta avendo, non possiamo non prendere in esame anche la crisi economica del 2008 che si è abbattuta violentemente sull’economia globale, specie quella occidentale. In uno studio condotto nel 2015 il professor Van Hal ha cercato di mettere in luce i problemi mentali sviluppatisi a seguito della crisi economico-finanziaria scoppiata nell’estate 2008. «Prove solide – si legge nello studio – mostrano quasi incontrovertibilmente l’esistenza di una relazione tra la recente crisi economica e un aumento dei problemi di salute mentale con conseguenti suicidi». A riguardo basti far riferimento a due studi, uno riguardante la Grecia e uno la Spagna. Per quanto riguarda la prima ricerca, nel 2011, il tasso di depressione maggiore è stato dell’8,2% degli intervistati, rispetto al tasso corrispondente nel 2008, che era del 3,3%. «È stata registrata – si legge nell’articolo scientifi-

co – un’associazione significativa tra grave depressione e difficoltà economiche. I giovani, le persone sposate, le persone con difficoltà finanziarie e le persone che usano i farmaci hanno mostrato maggiori probabilità di soffrire di depressione maggiore nel 2011». Per quanto riguarda il secondo studio, invece, in Spagna è stato osservato che rispetto al periodo pre-crisi del 2006, l’indagine effettuata nel 2010 ha rivelato aumenti sostanziali e significativi della percentuale di pazienti con disturbi d’umore: 19,4% per quanto riguarda la depressione maggiore, l’8,4% per quanto riguarda il disturbo d’ansia generalizzato, il 7,3% per quanto riguarda i disturbi somatoformi (disturbi psichici caratterizzati dalla presenza di sintomi fisici che si presentano con le stesse caratteristiche dei disturbi somatici). (C. G.)


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ICTUS, GIÀ DIECI ANNI PRIMA POSSIAMO OSSERVARE ALCUNI SEGNI PREMONITORI I risultati di uno studio che ha monitorato 14.712 persone per 28 anni E una ricerca italiana rivela anche l’importanza dei polifenoli

di Rocco Antenucci

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a notizia è di quelle che potrebbe portare a una svolta fondamentale nella cura di uno dei mali maggiori del nostro tempo, specie negli anziani: l’ictus. Secondo uno studio dei ricercatori dell’Erasmus MC University di Rotterdam, pubblicato sul Journal of Neurology Neurosurgery & Psychiatry, i segni che rivelano un Ictus sono individuabili fino a dieci anni prima. Gli studiosi hanno esaminato i dati di 14.712 persone che sono state monitorate per 28 anni. I partecipanti hanno sostenuto una serie di test mentali e fisici e un colloquio all’inizio dello stu-

dio e poi ogni due anni. Una ricerca, dunque, poderosa che ha mostrato un dato che ha dell’incredibile. Questi test includevano prove di memoria, fluidità verbale, tempi di reazione e una valutazione della loro capacità di lavare, cucinare, pulire e gestire le proprie finanze. Durante il periodo di studio, 1.662 partecipanti hanno subìto un primo ictus, a un’età media di 80 anni. L’analisi ha rivelato che le loro prestazioni nei test hanno cominciato a divergere da coloro che non hanno subito un ictus fino a dieci anni prima dell’evento. Le differenze nella loro capacità di svolgere compi-


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I risultati indicano che i cambiamenti dannosi avvengono nel cervello con anni di anticipo. Ma non è tutto. Le persone di sesso femminile, quelle con un gene associato al morbo di Alzheimer e quelle con più scarso livello culturale, sembrano a maggior rischio. Le prestazioni delle persone colpite da ictus hanno continuato a diminuire più rapidamente dopo l’evento.

SALUTE

ti quotidiani di base e avanzati sono emerse due o tre anni prima dell’ictus. I risultati indicano che i cambiamenti dannosi avvengono nel cervello, dunque, con anni di anticipo. Ma non è tutto. Le persone di sesso femminile, quelle con un gene associato al morbo di Alzheimer e quelle con più scarso livello culturale, sembrano a maggior rischio. Le prestazioni delle persone colpite da ictus hanno continuato a diminuire più rapidamente dopo l’evento. Il dottor Alis Heshmatollah, autore dello studio, ha sottolineato che “i risultati hanno dimostrato che i futuri pazienti con ictus iniziano a manifestare sintomi fino a 10 anni prima dell’evento acuto, suggerendo che le persone con declino cognitivo e funzionale sono a maggior rischio di Ictus e sono possibili candidati per prove di prevenzione”. Secondo gli esperti, individuare questi primi segnali può consentire ai pazienti di ridurre il rischio adottando uno stile di vita più sano o sperimentando nuovi farmaci. La ricerca, dunque, è solo all’inizio. Ed è un bene considerando che recenti dati Istat dimostrano che più di un anziano su due presenta multimorbilità. Nel 2019, circa 7 milioni di ultrasessantacinquenni (appunto, più di un anziano su due), presentano multimorbilità, riferendo almeno tre patologie croniche. Tra gli over-85 la quota raggiunge i due terzi, con una percentuale più elevata tra le donne, il

69 per cento contro il 60 per cento tra gli uomini. Le patologie più diffuse (in una lista di 22) sono artrosi (47,6 per cento), ipertensione (47 per cento), patologia lombare (31,5 per cento) e cervicale (28,7 per cento), iperlipidemia (24,7 per cento), malattie cardiache (19,3 per cento) e diabete (16,8 per cento). Ma non mancano le patologie gravi: il 43,2 per cento degli anziani di 65 anni e più dichiara almeno una patologia grave. Tra cui proprio


SALUTE

l’ictus, al fianco di tumori e demenze. La ricerca, dunque, prosegue. E alcuni importanti risultati potrebbero arrivare anche con la collaborazione dei nostri scienziati. Un gruppo di ricercatori italiani coordinati da David Della Morte Canosci, professore di Neurologia all’Università di Miami, di Medicina Interna all’Università Tor Vergata di Roma e all’Università San Raffaele di Roma e Direttore Medico Scientifico di Palazzo Fiuggi, ha mo-

strato come il nostro organismo sia programmato per prevenire ed eventualmente eliminare qualsiasi minaccia. Ictus ischemico, compreso. Basta solo attivare gli “interruttori” giusti. In una review pubblicata sulla rivista Nutrients, i ricercatori hanno passato in rassegna oltre 80 studi sperimentali ed epidemiologici che descrivono il ruolo di alcuni polifenoli nella prevenzione dell’ictus ischemico. Ebbene, dai risultati è emerso che molecole come resveratrolo, pterostilbene, polidatina e onochiolo agiscano sia come potenti antinfiammatori e antiossidanti che come “attivatori delle sirtuine”. “Queste molecole - spiega Della Morte - attivano la produzione di proteine da parte dei cosiddetti ‘geni della longevità’. Questi composti, attraverso l’attivazione delle sirtuine, oltre ad avere un’azione antifiammatorie e antiossidante, agiscono come antiaggreganti prevenendo l’insorgenza di ictus ischemico”. I polifenoli sono micronutrienti presenti in una varietà di alimenti, che hanno guadagnato interesse negli ultimi 30 anni per le loro proprietà antiossidanti e per il loro ruolo emergente nella prevenzione di diverse malattie legate allo stress ossidativo, come il cancro, i disturbi cardiovascolari e neurodegenerativi. Una nuova via di studio non secondaria, considerando che l’ictus ischemico è ancora tra le principali cause di mortalità e disabilità in tutto il mondo. Si stima che nel nostro paese colpisca all’incirca 150.000 persone ogni anno.

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I polifenoli sono micronutrienti presenti in una varietà di alimenti, che hanno guadagnato interesse negli ultimi 30 anni per le loro proprietà antiossidanti e per il loro ruolo emergente nella prevenzione di diverse malattie legate allo stress ossidativo, come il cancro, i disturbi cardiovascolari e neurodegenerativi.


SALUTE

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LONG-COVID ANCHE NEI BAMBINI? FACCIAMO IL PUNTO Studi discordanti sulla durata. Ma sintomi uguali agli adulti: annebbiamento, stanchezza e mal di testa

di Alessandro Righi

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rischi, in fase acuta, sono pochi. Dopo un anno e mezzo di pandemia, è ormai chiaro che i bambini colpiti dalle conseguenze più gravi di Covid-19 rappresentano un’eccezione. Quello che rimane da chiarire è quanto di frequente i più piccoli contagiati da Sars-CoV-2 si portano dietro i sintomi della malattia per un periodo più lungo di quello che corrisponde con la presenza del virus nell’organismo. È il long-Covid, finora riscontrato soprattutto tra gli adulti. Questa condizione - così definita, anche se è da escludere che l’infezione da Sars-CoV-2 possa cronicizzare - è rilevabile anche tra i bambini? E attraverso quali sintomi? Una prima - e non lieta - risposta arriva da alcuni esperti della rivista del Mit, secondo i quali, per l’appunto, anche i bambini possono soffrire di long-Covid,

con il 7-8% di chi è colpito in età pediatrica che ha sintomi per almeno tre mesi. Non solo. Gli esperti sottolineano come il problema diventerà sempre più di attualità dato il calo dell’età media dei contagi. “Con il virus che ancora circola - spiega Sean O’Leary, vicepresidente dell’American Academy of Pediatrics saranno colpite le persone più vulnerabili, cioè quelle non vaccinate. I bambini sotto i 12 anni non sono ancora vaccinabili, e quelli un po’ più grandi hanno i tassi più bassi di copertura”. Il dubbio, però, resta. Sulla prevalenza del long-Covid tra i più piccoli e soprattutto sulla durata i pochi studi condotti finora hanno dato risultati discordanti. Una ricerca italiana pubblicata su Acta Pediatrica, ad esempio, ha trovato che il 42% dei piccoli pazienti aveva ancora un sintomo due mesi dopo


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la diagnosi, e il 27% a quattro mesi. Più basse le cifre di altre ricerche: secondo l’Office of National Statistics britannico il 10-13% dei bambini positivi ha sintomi per più di cinque settimane, e il 7-8% per almeno tre mesi, gli stessi numeri di una ricerca australiana. Uno studio in preprint condotto su 1700 bambini in età scolare in Gran Bretagna ha invece visto sintomi per più di un mese nel 4,4% del campione, mentre per più di due mesi solo nell’1,8%. Dove invece gli esperti sono concordi è sui sintomi del disturbo, che rispecchiano quelli degli adulti, con fatica, dolori muscolari, mal di testa e perdita di gusto e olfatto tra i più comuni in entrambe le categorie. “Abbiamo visto - spiega Alicia Johnston del Boston Children’s Hospital - molti bambini che si lamentano di mal di testa persistenti,

‘annebbiamento’ del cervello e problemi di concentrazione”. In definitiva, dunque, facendo una media tra i diversi lavori condotti in diverse aree del mondo, si può però stimare che una quota compresa tra il 10 e il 20% di bambini ammalatisi di Covid-19 (indipendentemente dalla severità della malattia) si porta dietro una serie di sintomi per un periodo variabile tra 5 e 15 settimane (durante le quali non si è contagiosi). Complessivamente, dalle poche ricerche finora condotte emerge un quadro simile a quello rilevabile tra gli adulti: con affaticamento, dolori muscoloscheletrici, mal di testa, palpitazioni, rash cutanei, disturbi del sonno e gastrointestinali. Condizioni che, quando presenti, possono condizionare il benessere e la qualità della vita dei più piccoli. E, di riflesso, dei loro genitori.

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Dove invece gli esperti sono concordi è sui sintomi del disturbo, che rispecchiano quelli degli adulti, con fatica, dolori muscolari, mal di testa e perdita di gusto e olfatto tra i più comuni in entrambe le categorie.


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SALUTE

GLI ANTIDEPRESSIVI FANNO DA SCUDO CONTRO LE INFEZIONI DA COVID? La conferma da recenti studi italiani e francesi: determinante l’effetto antinfammatorio

di Antonio Acerbis

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na scoperta tanto inattesa quanto incredibile: i farmaci antidepressivi avrebbero un effetto-scudo contro i danni più gravi dell’infezione da SarsCoV-2. I medicinali che combattono il mal di vivere agendo su “messaggeri neurologici” come la serotonina e noradrenalina riescono infatti a ridurre nel sangue i livelli di interleuchina 6 (IL-6), una sostanza responsabile di pesanti reazioni infiammatorie e conseguenti danni polmonari nei malati Covid. Un quadro secondo alcuni rivoluzionario che emerge da uno studio dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi

di Firenze, pubblicato su Panminerva medica. “L’interleukina 6, attivata in modo abnorme da Covid-19, è la molecola principalmente coinvolta nella tempesta infiammatoria responsabile della maggior parte dei danni causati dal coronavirus all’organismo e in particolare all’apparato respiratorio - spiega lo psichiatra Leonardo Fei, direttore della Psiconcologia di Careggi e autore del lavoro - Abbiamo osservato che alcuni pazienti colpiti dal virus, anche se debilitati da gravi patologie pregresse e quindi particolarmente a rischio, mostravano sintomi e danni attenuati


SALUTE

rispetto ad altri nelle medesime condizioni. Abbiamo individuato la causa della minor gravità nel trattamento, già prima del ricovero per Covid-19, con alcuni antidepressivi caratterizzati da effetti sulla preservazione dei livelli di serotonina e noradrenalina nel cervello, molecole fondamentali nella terapia della depressione”. Lo studio, in collaborazione con le Malattie infettive, l’Immunoallergologia e i reparti Covid della Medicina interna di Careggi, “apre un orizzonte sulla comprensione dei meccanismi biochimici alla base delle reazioni infiammatorie da coronavirus - sottolinea Fei - e in prospettiva allo sviluppo di nuove terapie che, è sempre bene chiarire, non sono assolutamente riferibili all’uso inappropriato degli anti depressivi, che devono essere impiegati sotto stretto controllo medico - puntualizza lo specialista - e nel massimo rispetto delle indicazioni attualmente prescritte dalle linee guida internazionali e dagli organi sanitari competenti”. Questo studio, peraltro, è l’ultimo di una serie che già avevano individuato questo legame tra farmaci antidepressivi e danni dell’infezione da Covid. Un largo studio francese osservazionale (mirato a rilevare l’associazione di fenomeni, senza indagare sulle cause) pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry condotta nei 39 ospedali di Parigi dedicati all’assistenza dei malati della Covid-19, tra il 24 gennaio e il 1° aprile 2020, aveva fatto emergere la stessa correlazione. In quel caso lo psichiatra Nicolas Hoertel aveva spiegato che “l’uso di antidepressivi è parso significativamente associato a un diminuito rischio di intubazione o di morte, indipendentemente dalle caratteristiche del paziente. Sono dati da prendere con cautela, considerando la natura osservazionale dello studio. Tuttavia, sono risultati validi per sostenere

l’utilità di condurre studi clinici randomizzati controllati sugli antidepressivi nella cura della Covid-19”. Gli scienziati parigini hanno preso in esame i dati medici di 7.230 adulti dai 18 anni in su ricoverati per il coronavirus. Tra questi, 345 avevano ricevuto un antidepressivo entro le prime 48 ore di ricovero: 195 un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (classe Ssri) e 150 un antidepressivo di altre classi. I pazienti in cura con antidepressivi erano tra l’altro più anziani e più malati. Considerati tutti i fattori, i pazienti che prendevano antidepressivi hanno mostrato un rischio di intubazione o morte ridotto del 44%. In particolare, gli Ssri hanno ridotto il rischio del 49% mentre le altre classi di antidepressivi del 35%. A riguardo Hoertel ricorda che di diversi antidepressivi si conoscono le proprietà antinfiammatorie, cosa che potrebbe in parte spiegare i risultati raccolti. Altri studi hanno anche mostrato che diversi antidepressivi possono ridurre la capacità dei virus di invadere certe cellule, mentre alcuni tra cui la fluoxetina - potrebbero anche avere proprietà direttamente antivirali. La cautela resta d’obbligo, per quanto gli studi qui menzionati aprono una strada decisamente interessante.

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I medicinali che combattono il mal di vivere agendo su “messaggeri neurologici” come la serotonina e noradrenalina riescono infatti a ridurre nel sangue i livelli di interleuchina 6 (IL-6), una sostanza responsabile di pesanti reazioni infiammatorie e conseguenti danni polmonari nei malati Covid.


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SALUTE

PRIMI DATI DEGLI STUDI SUL LONG-COVID: 1 GUARITO SU 4 CON SINTOMI DOPO A 6-8 Diverse ricerche puntano il dito anche su problemi glicemici e metabolici

di Alessia Vincenti

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opo tanto parlare e dopo alcune prime ricerche che avevano di fatto segnalato come anche dopo guariti dall’infezione da Covid, alcuni sintomi persistano, adesso arriva una ricerca che per la prima volta mette in fila proprio questi sintomi che oramai sono noti con il nome di “long-Covid”. Più di una persona guarita dal Covid su quattro continua ad avere sintomi a 6-8 mesi dall’infezione. Questo è il dato più allarmante che emerge dal lavoro pubblicato sulla rivista Plos One e condotto dal professor Milo Puhan dell’Università di Zurigo. Tra i sintomi più diffusi del long-Covid non

solo affaticamento, cefalee, affanno, depressione, ma sempre più numerosi sono gli studi che evidenziano problemi a lungo termine del controllo metabolico e glicemico dei guariti, nonché addirittura casi di insorgenza di diabete post-Covid in persone che di per sé non erano neppure a rischio per questa malattia. L’allarme sui problemi metabolici e glicemici post-Covid arriva anche dal 41esimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Endocrinologia (SIE) che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma. Secondo il Presidente SIE Francesco Giorgino, ordinario di Endocrinologia presso l’Università degli


SALUTE

Studi di Bari Aldo Moro, “dovremmo continuare a monitorare la possibilità di una correlazione tra l’infezione da nuovo coronavirus e il rischio di sviluppare alterazioni della glicemia anche una volta guariti”. Torniamo allo studio svizzero. Nel dettaglio la ricerca ha considerato 431 individui risultati positivi al virus tra febbraio e agosto 2020, l’89% dei quali sintomatici. Monitorati nel tempo è emerso che il 26% di loro non aveva avuto un recupero completo a 6-8 mesi dalla diagnosi iniziale di Covid-19. Il 55% ha riportato sintomi di affaticamento, il 25% affanno, il 26% sintomi depressivi. Il long-Covid riguarda soprattutto donne e coloro che sono stati ricoverati per l’infezione. Il 40% dei partecipanti ha riferito di aver avuto almeno una visita medica legata al Covid-19 dopo la guarigione dall’infezione. Ma, come detto, diversi studi puntano l’attenzione anche sui problemi glicemici e metabolici post-Covid: “Il coronavirus può infettare le cellule del pancreas - ha spiegato ancora Giorgino -. Inoltre la tempesta delle citochine scatenata dall’infezione da nuovo coronavirus può favorire squilibri me-

tabolici e alterazioni del controllo della glicemia”. E questo sarebbe evidente anche dal fatto che i pazienti Covid con glicemia normale prima dell’infezione presentano spesso un aumento dei valori della glicemia durante la malattia e per molti pazienti i disturbi del controllo della glicemia persistono anche dopo aver superato l’infezione da nuovo coronavirus. A riguardo è interessante quanto emerso da un altro studio ancora. In questo caso gli esperti hanno visto che durante l’infezione il 46% dei pazienti aveva una glicemia elevata che si era manifestata durante il ricovero e che le anomalie glicemiche possono persistere per almeno due mesi nei pazienti guariti. A conferma di tutto ciò un altro studio ancora, pubblicato sulla rivista Nature Metabolism, presenta il caso di un giovane paziente con infezione da SARS-CoV-2 asintomatica, che si è ammalato di diabete autoimmune o insulino-dipendente (diabete 1) proprio in concomitanza con l’infezione. Gli studi continuano ma quel che sembra è che la battaglia con il Covid, per quanto ora condotta con armi pari grazie alla campagna vaccinale, è soltanto all’inizio.

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Gli esperti hanno visto che durante l’infezione il 46% dei pazienti aveva una glicemia elevata che si era manifestata durante il ricovero e che le anomalie glicemiche possono persistere per almeno due mesi nei pazienti guariti.


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IL DIRETTORE RISPONDE

Perché mia figlia ha smesso di mangiare? D

a quando è iniziata la pandemia mia figlia, che già aveva da tempo un complesso rapporto con il cibo, ha smesso completamente di mangiare. Ci siamo rivolti a una struttura ospedaliera per farla accogliere e monitorarla. Siamo molto preoccupati. Secondo lei perché si è ammalata? Marta, Milano

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a pandemia si è rivelata una bomba sulle nostre esistenze, e negli ultimi mesi all’emergenza sanitaria legata al primo soccorso se ne sta affiancando una altrettanto preoccupante e dolorosa: quella della nostra psiche. La storia di sua figlia è un doloroso esempio di un’altra epidemia. Si tratta di un’epidemia sociale legata ai disturbi alimentari che coinvolge 3 milioni di italiani, soprattutto giovani donne e ragazze. Secondo delle recenti stime, 10 adolescenti su 100 hanno un problema del comportamento alimentare; l’anoressia è senz’altro il disturbo più conosciuto, ma anche la bulimia e il disturbo da alimentazione incontrollata sono in aumento. Pensare di trovare una sola causa co-

mune è impossibile. Si tratta infatti di disturbi multifattoriali che partono da una predisposizione genetica, ma che possono svilupparsi per motivi differenti. Secondo alcuni studiosi si tratta di una forma

di depressione legata al rifiuto di vivere; in questo caso il rapporto con il cibo diviene lo strumento per produrre un teatro della propria sofferenza. Di certo, siamo di fronte alla manifestazione di un disagio che molti giovani affrontano in silenzio e che non sono capaci di definire. Un tratto spesso condiviso fra chi soffre di questi disturbi è la ricerca di un corpo perfetto, ma anche il tentativo di comunicare con i propri genitori, di creare un dialogo interrotto che produce, soprattutto nei più giovani, un senso di isolamento e di incomprensione. Un rilievo centrale è poi legato all’affermazione di modelli culturali e fisici in cui il corpo riveste un ruolo fondamentale. In questo caso, l’imperativo diventa quello di rispondere a dei canoni e a dei modelli molto rigidi, irraggiungibili, che producono delusione e frustrazione in chi li insegue pedissequamente. Grande ruolo in questa corsa alla perfezione impossibile è quello giocato dal web e dai social media, che diffondono in modo prepotente e rapidissimo un campionario di inarrivabili fisicità. Maggiore è il disagio, l’insicurezza, il senso di vuoto che i ragazzi vivono, più elevata è la rigidità con cui aderiscono a questi stereotipi e la forza con cui li inseguono.

Hai domande da rivolgere al comitato scientifico della Fondazione BRF? Scrivi a stampa@fondazionebrf.org. Nel prossimo numero pubblicheremo le tue domande e le risposte fornite da uno specialista o direttamente dal direttore Armando Piccinni.


CINEMA E TV

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“The father” la terribile bellezza della vita che scivola via Eccellente performance del premio Oscar Anthony Hopkins, euforico, arrabbiato, crudele, arrendevole, spaventato di Chiara Andreotti

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nthony è un uomo che, ormai anziano, si gode la propria vita in una casa che lo rispecchia pienamente. Anne, sua figlia, è una donna dolce ma apprensiva che combatte con il padre perché lui accetti di essere affiancato da una badante. La storia sembrerebbe snodarsi davanti a noi. “Perché mi guardi come se qualcosa non andasse?”, chiede Anthony ingenuamente, e noi con lui ci poniamo la stessa domanda. Lo vediamo muoversi nel suo ambiente e non avvertiamo niente di insolito: una persona anziana con le dimenticanze dovute all’età non è così strana da incontrare. L’insistenza della figlia sembra infastidirlo, al punto da sfruttare un’occasionale mancanza di memoria per chiudere il discorso. Inizialmente non è chiaro allo spettatore, ma qualcosa si annida nella mente: c’è qualcosa di strano, di diverso. Prima le mattonelle della cucina, poi una finestra, un mobile: la casa sta cambiando sotto i nostri occhi senza che Anthony riesca a percepirlo chiaramente. Con lo scenario in continuo movimento noi, così come Anthony, non riusciamo più a distinguere la realtà dall’errore, la verità dalla bugia. I volti delle persone che lui conosce diventano estranei per lui come per

noi, il dilatarsi del tempo e il suo repentino restringimento ci confondono: l’atmosfera che si delinea è caotica e disorientante. La casa, che per Anthony è l’unico punto fermo, diventa l’elemento che lo confonde maggiormente: inizia come proprietario, diventa poi ospite e infine paziente. Non è la prima volta che il cinema parla di demenza senile, ma è la prima volta che gli spettatori provano lo smarrimento in prima persona, che sperimentano il senso di inadeguatezza e confusione che confluisce nella domanda che Anthony si pone alla fine “Io chi sono esattamente?”. Il regista francese Florian Zeller è riuscito con una straordinaria maestria a rappresentare lo smarrimento, la paura, la rabbia per non riuscire a distinguere più la realtà dalle nostre convinzioni permettendo allo spettatore di entrare nella mente di Anthony. Totalmente indimenticabile la performance del premio Oscar Anthony Hopkins. Euforico, arrabbiato, crudele, arrendevole, spaventato: con una naturalezza estrema è riuscito a rappresentare un disturbo che dopo questa esperienza sentiremo più vicino. Con la consapevolezza di un uomo di 84 anni, Anthony Hopkins racconta: “È l’esplorazione del mistero della vita, la terribile bellezza della vita che scivola via.”


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TITOLI DI CODA

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Psichiatria: scienza medica o ideologia? di Pietro Pietrini

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Professore Ordinario, Direttore Scuola IMT Alti Studi Lucca

e recenti polemiche seguite al concorso pubblico per la direzione di un Centro di Salute Mentale a Trieste, assurte all’onore delle cronache nostrane e persino di riviste scientifiche internazionali, potrebbero forse far sorridere per certe levate di scudo che speravamo obsolete. Leggere “Un Sardo a Trieste”, come titolava una testata del luogo, rinnova la radicata abitudine di ritenere un concorso corretto a patto che il vincitore non sia un Altro, vale a dire qualcuno che non è uno dei nostri. Ma sarebbe un sorriso amaro. Simili prese Edvard Munch, “Malinconia” (1894). di posizione sono in realtà testimonianza di come la Psichiatria sia stata sempre ideologia più che scienza, travagliata da arroccamenti dogmatici che sono al contempo causa e conseguenza di quel divario che ancora oggi continua a separarla dalle altre discipline della Medicina.

La malattia mentale è presente nella storia dell’umanità fin da quando gli esseri umani hanno cominciato a parlare di sé. Descrizioni di condizioni che oggi si chiamano depressione, ansia o disturbo psicotico sono rintracciabili in tutte le culture antiche, basti pensare alla dettagliata raffigurazione di demenza e depressione che si ritrova nel Papiro di Ebers del 1550 a.C. Da quei primi geroglifici bisognerà attendere ben tre millenni e mezzo perché diventi possibile intervenire con qualche efficacia sull’evoluzione naturale della malattia mentale. Fino ad allora, impotente e atterrita di fronte al naturale dispiegarsi della malattia mentale, la società si limiterà ad esiliare il malato di mente, ricorrendo prima alle Narrenschiffe, le navi dei folli che solcavano i mari in attesa che il loro carico di reietti venisse inghiottito dai flutti, quindi, una volta scomparsa la


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lebbra che aveva nel Medioevo decimato la popolazione europea, trasformando i lazzaretti in manicomi. Il malato di mente prenderà il posto dei lebbrosi e degli appestati nel ruolo dell’Altro, di colui che è diverso dai più e che, come tale, va segregato, allontanato, negato. Accanto a pazienti con gravi psicosi croniche, nei manicomi entreranno via via ossessivi, ansiosi, nevrotici e ipocondriaci, come pure ritardati mentali, epilettici e, non raramente, anche chi semplicemente dà fastidio o è di troppo per i famigliari. Sarà solo nel 1948 che, con la scoperta degli effetti dei sali di litio sulla mania, ad opera dell’australiano John Cade, nascerà la psicofarmacologia. Seguirà, quattro anni più tardi, la scoperta fortuita degli effetti sedativi della clorpromazina, il cui nome commerciale - Largactil - ben rende conto della sua potenza nel contrastare il furore dell’eccitazione psicotica. È dunque con l’avvento degli psicofarmaci e l’introduzione della terapia elettroconvulsivante (l’elettroshock), applicata per la prima volta da Cerletti e Bini nel 1938, che inizia in psichiatria una vera e propria rivoluzione nell’approccio alla malattia mentale, anche per le forme più gravi di psicosi schizofreniche. Nelle prime decadi, la terapia farmacologica si limiterà perlopiù ad agire sui cosiddetti sintomi positivi della patologia - deliri, agitazione psicomotoria, eccitazione maniacale - permettendo così di porre sotto controllo la crisi acuta. Non si dovrà più aspettare per giorni e giorni che il paziente si dimeni tra pareti imbottite e giacigli di alghe, in attesa che passi l’uragano psicotico. Una svolta radicale, ma che ancora poco o nulla può sulle componenti di ritiro, di decadimento affettivo e cognitivo, su quei sintomi negativi che così aspramente segnano il destino dello schizofrenico. Sarà solo in epoche successive che, con l’avvento degli antipsicotici atipici, primo fra tutti la

Ugo Carletti (1877-1963).

Clozapina, si aprirà la strada per un’effettiva riabilitazione ed integrazione sociale anche di quei pazienti che, per dirla con gli psicopatologi classici, erano fino ad allora destinati a scendere uno ad uno i gradini della scala sociale. La storia della psichiatria, qui riassunta seppur con inevitabile sinteticità di cui facciamo ammenda, dimostra come la contrapposizione dicotomica tra biologia e ambiente, tra organico e funzionale, tra psicofarmaco e psicoterapia, tra intervento terapeutico e programma di riabilitazione siano, all’alba della terza decade del terzo millennio, assolutamente destituiti di qualsivoglia fondamento scientifico e contro ogni logica e conoscenza. L’arroccamento su questi baluardi allarga lo iato tra la Psichiatria e la Medicina e rappresenta un vulnus per tutti coloro che soffrono di malattie mentali e che, ancor oggi, rimangono troppo spesso e troppo a lungo non diagnosticati o diagnosticati (e curati) erroneamente.



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