Brain. Ottobre 2023

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Anno IV | N. 10 | Ottobre 2023

Come i cambiamenti climatici influenzano la salute mentale

CHE CERVELLO FA? Quando gli umani hanno rischiato l’estinzione

“Mi sono perso qualcosa?”. Come compare la FOMO

“Conversazioni” il podcast della Fondazione BRF

Con i contributi di Gazzanni, Janiri, Marcì, Mercalli, Perversi, Piccinni, Pietrini, Tozzi.


Libri fuori dal tempo e dalle mode

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EDITORIALE

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I cambiamenti climatici riguardano anche il nostro cervello di Armando Piccinni

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ggi ci troviamo di fronte a uno dei temi più urgenti e complessi del nostro tempo: i cambiamenti climatici. Si tratta di un argomento che va ben oltre le pagine delle riviste scientifiche e che tocca direttamente la nostra vita quotidiana. Il pianeta Terra sta subendo una serie di cambiamenti senza precedenti. Le emissioni di gas serra causate dall’attività umana stanno riscaldando l’atmosfera e influenzando il clima globale. Aumento delle temperature, eventi meteorologici estremi e innalzamento del livello del mare sono solo alcune delle conseguenze di questo fenomeno. Credere che questi cambiamenti non ci riguardino è un profondo atto di superficialità. Gli esseri umani sono strettamente connessi all’ambiente in cui vivono. I cambiamenti climatici non colpiscono solo la natura, ma anche la nostra salute e il nostro benessere. Le variazioni delle temperature vengono vissute dall’organismo umano come uno stress che può influenzare il funzionamento dei sistemi all’interno del cervello e modificare il comportamento. L’irritabilità, l’ansia ed i cambiamenti

di umore possono avere come concause anche altri agenti fisici come la ionizzazione dell’aria, le onde elettromagnetiche, le variazioni di umidità ed i cambiamenti meteorologici improvvisi. A titolo di esempio si può menzionare una delle connessioni più dirette tra il clima e l’umore: la Sindrome Affettiva Stagionale (SAS). Questa condizione colpisce soggetti classicamente durante i mesi invernali, quando le ore di luce solare sono minori ed il sole ha una minore intensità luminosa. La mancanza di esposizione alla luce solare può influenzare l’attività dei sistemi di trasmissione neuronale con la conseguente insorgenza di sintomi come: calo dell’umore, apatia, abulia, facile affaticamento. Nelle pagine che andrete a leggere - che vedono coinvolti alcuni dei massimi esperti sul tema a livello italiano e internazionale - abbiamo cercato di mantenere un approccio rigorosamente scientifico, lasciando spazio alla speranza che l’influenza negativa dell’uomo sulle variazioni climatiche possa essere progressivamente meno dannosa.

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EDITORIALE

Le azioni che decideremo di intraprendere per ridurre le emissioni di gas serra e mitigare i cambiamenti climatici potranno avere un impatto decisivo sia sull’ambiente che sulla nostra salute mentale. Un approccio positivo al futuro dipende principalmente da noi. Al di là dei costrutti teorici che riguardano le cause del riscaldamento globale l’adozione di fonti di energia rinnovabile potrà ridurre le emissioni nocive, ridurre i tassi di inquinamento e migliorare la qualità dell’aria. Prendere coscienza dei profondi legami che tutti noi abbiamo con la natura che ci circonda e delle influenze che il clima può avere sul nostro umore può aiutarci a sviluppare strategie di adattamento. Trascorrere del tempo all’aperto, praticare l’esercizio fisico e fare attenzione alla nostra dieta possono sostenere il nostro benessere

mentale anche di fronte a cambiamenti meteorologici. Il cambiamento climatico è una realtà inesorabile, è fondamentale comprendere il legame tra ambiente e salute mentale, valutandone tutti gli aspetti. Prendere misure per mitigare i cambiamenti climatici e adattarci alle variazioni meteorologiche può non solo proteggere il nostro pianeta, ma anche migliorare il nostro stato d’animo e il nostro benessere interiore. Gli uomini al comando delle nazioni in questa epoca hanno la grande responsabilità di prendere le decisioni che plasmeranno il nostro futuro e determineranno le sorti dell’ambiente del nostro pianeta. Prendere consapevolezza di questo, ognuno per la propria parte, è di fondamentale importanza ed ognuno di noi deve cercare di contribuire per quelli che sono i propri ambiti di intervento.




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Anno IV | N. 10 | Ottobre 2023

SOMMARIO Come i cambiamenti climatici influenzano la salute mentale

Illustrazione di copertina di Ilaria Perversi

CHE CERVELLO FA? Quando gli umani hanno rischiato l’estinzione

“Mi sono perso qualcosa?”. Come compare la FOMO

“Conversazioni” il podcast della Fondazione BRF

Con i contributi di Gazzanni, Janiri, Marcì, Mercalli, Perversi, Piccinni, Pietrini, Tozzi.

EDITORIALE

3 I cambiamenti climatici

riguardano anche il nostro cervello di Armando Piccinni CLIMA E CERVELLO

10 Mario Tozzi: “Negare il cambiamento climatico è una follia assoluta” di Flavia Piccinni

14 “O interveniamo subito o saremo costretti a soccombere” di Flavia Piccinni

Brain Anno IV | N. 10 | Ottobre 2023 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca

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CONTRIBUTO

44 I disturbi del linguaggio figurativo all’interno del quadro psicotico di Cristi Marcì #PARLIAMONE

50 “Sui cambiamenti climatici basta girare la testa dall’altra parte” di Chiara Andreotti PODCAST

54 Nasce il podcast della Fondazione 24

BRF Onlus “Conversazioni” LIBRI

18 L’eco-ansia, una nuova forma di sofferenza di Giovanni Saraff

20 Meteoropatia e ansia

da cambiamento climatico Due fenomeni molto distinti di Martina Gaudino

56 Storia dell’elettroshock e del suo creatore di Flavia Piccinni Arte

57 L’arte come mezzo di dissenso

Vandalismo o giusta protesta? di Chiara Andreotti

L’INCHIESTA

24 Così gli esseri umani stavano rischiando l’estinzione di Martina Gaudino L’APPROFONDIMENTO

28 10 ottobre 2023. Una giornata per la salute mentale di Flavia Piccinni

30 Dossier: dati e riflessioni

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sulla salute mentale di Flavia Piccinni NEUROSCIENZE

38 “FOMO”, la paura

di “perdere qualcosa” di Valentina Formica

42 Post-Covid, necessità

di uno studio multicentrico di Valentina Formica

FILM

58 Don’t look up

E se ci colpisse un asteroide? TITOLI DI CODA

59 Lo iato tra la Psichiatria

e la Medicina: che fare? di Pietro Pietrini


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di Flavia Piccinni

MARIO TOZZI: “NEGARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO È UNA FOLLIA ASSOLUTA” Parla il noto divulgatore Tv: “Nelle tesi negazioniste non c’è una benché minima base scientifica”

Mario Tozzi


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sistono i negazionisti, e poi c’è la realtà che è costituita dall’emergenza climatica». Non usa mezzi termini Mario Tozzi, divulgatore scientifico e personaggio televisivo, in libreria da poco con “Perché il clima sta cambiando?” (Einaudi Ragazzi, pp. 144) e in onda su Rai3 con Sapiens. Tozzi, considerato unanimemente come una delle figure preminenti del panorama italiano sul tema, ne è certo: “Per salvarci - mi spiega - servono azioni coraggiose”. Quali per esempio? Cambiare abitudini. Iniziare a sentirsi coinvolti in prima persona. Mettere in discussione il paradigma di produzione di beni e di servizi. Qual è il suo punto di vista rispetto ai negazionisti? Trovo assurdo che degli adulti continuino a negare il cambiamento climatico. È una follia assoluta, dettata solo dall’ideologia, non c’è nessuna scienza. Credo che ci sia, di fondo, un motivo ideologico. Si pensa che ammettere che il cambiamento climatico dipenda dagli uomini sottenda che poi gli uomini effettivamente ci possano fare qualche cosa. E che, se ci possono fare qualche cosa, significa che è davvero necessario cambiare il modello di sviluppo. Ma mettere in discussione il modello capitalistico della società vuol dire ammettere che il massimo profitto non è più la stella polare. Che cosa crede che stia accadendo? Penso che la guerra in cui siamo tutti coinvolti punti a una cosa sola: ritardare la regolamentazione. Nessuno ha delle spiegazioni alternative rispetto a quello che sta accadendo e che è sotto gli occhi di tutti. È ormai limpido che tutto questo è frutto di una scelta consapevole e ben determinata: voler ritardare ogni

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“Perché il clima sta cambiando” Mario Tozzi Einaudi, 2023 144 pagine 12,90 euro

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forma di regolamentazione nel libero mercato. La sua posizione rispetto a questo? Sinceramente non sono per niente meravigliato dal tentativo in atto. È accaduto con il DDT, con le piogge acide, con il buco dell’ozono. È una strategia molto bianca, e comunque molto letale. La cosa che mi lascia senza parola è che i negazionisti abbiano seguito. A dimostrazione che siamo, fondamentalmente, un Paese ignorante. Qual è la situazione a livello mondiale? Il negazionismo, eccetto che negli Stati Uniti, non è molto diffuso. In Gran Bretagna, per esempio, non esiste che la comunità scientifica si metta a discettare con chi nega il cambiamento climatico. Ai negazionisti non viene data possibilità di sentenziare, non vengono messi sullo stesso piano di altri divulgatori. Vuole sapere una cosa? Certamente. Non partecipo più a convegni o show dove sono coinvolti i negazionisti. Partecipando si rischia l’impressione che ci siano due posizioni fra gli scienziati. Invece, e lo sottolineo con chiarezza, ne esiste una sola. Ed è quella che dice che il cambiamento climatico è anomalo. Quello che sta accadendo è diverso dal passato. E dipende dagli uomini, punto. Non ci sono altre posizioni. La scienza,

quando acclara una posizione, non continua a rimetterla in discussione. Non è democratica. Tutto resta sigillato. A meno che non esistano nuovi dati. Dati che, al momento, non esistono. Altrimenti potremo ogni mattina metterci a discutere Einstein. Nel suo ultimo libro in ogni capitolo risponde a una domanda relativa alla situazione ambientale che stiamo vivendo. Da decenni frequenta scuole e soprattutto giovani e giovanissimi, come le sembrano? È cambiato il modo di percepire il clima negli ultimi tempi?


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Alcuni ragazzi manifestano degli aspetti ansiosi, ma la maggior parte è combattiva, e ci rimproverano perché noi adulti non facciamo altrettanto. Francamente mi trovo assolutamente d’accordo con loro. Se lei fosse un ragazzo di oggi, come proporrebbe di gestire la battaglia sul clima? Facendo quello che fanno i giovani d’oggi, ovvero facendo azioni dimostrative importanti. Capisco i ragazzi che si incatenano o che bloccano l’autostrada. Non è la mia battaglia, ma comprendo le loro azioni.

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Anche perché sono dettate da una meticolosa, precisa informazione riguardo alla questione. Secondo lei perché nessuno sembra ascoltarli? A nessuno degli adulti fa piacere vedere uno che potrebbe essere suo figlio che gli punta il dito contro e gli dice “Guarda che noi vi abbiamo prestato il mondo, voi ce lo state restituendo a pezzi”. Per fortuna ci sono figure, come il Papa e come Greta Thunberg che hanno fatto della battaglia climatica la loro priorità. Quali sono le manifestazioni sistemiche che dovremo temere? Che vogliamo vedere più di quello che sta accadendo? Piovono chicchi di grandine grossi come palle da tennis. Ci sono perturbazioni come quella dell’Emilia-Romagna che mettono in ginocchio una regione intera. Ci sono ondate di calore che in Italia uccidono circa 6000 persone ogni anno. Ci sono perturbazioni meteorologiche a carattere violento, gli oceani che sono in fase di riscaldamento accentuatissimo, tanto è vero che si sviluppano cicloni anche nell’area mediterranea, e poi abbiamo record di temperature e ondate di calore un po’ dappertutto… Queste sono ormai manifestazioni che si ripetono, non possiamo più disconoscerlo. E mi pare che siano abbastanza diffuse da far inquadrare l’emergenza che stiamo vivendo. Ho sentito in questi giorni dire “gli scienziati nel 2013 prevedevano che ci sarebbero state conseguenze gravissime entro dieci anni.”, cioè oggi. Resto basito. Più gravi di quello che sta accadendo? Francamente queste persone non so in che mondo vivano. Che altro deve succedere? Le piogge di sangue? Le cavallette? Si aspettano i cavalieri dell’Apocalisse? Francamente ci penso, ma ancora non ho capito che cosa ancora deve accadere.

“Non partecipo più a convegni o show dove sono coinvolti i negazionisti. Partecipando si rischia l’impressione che ci siano due posizioni fra gli scienziati. Invece, e lo sottolineo con chiarezza, ne esiste una sola. Ed è quella che dice che il cambiamento climatico è anomalo. Quello che sta accadendo è diverso dal passato. E dipende dagli uomini, punto”.

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“O INTERVENIAMO SUBITO O SAREMO COSTRETTI A SOCCOMBERE” Il meteorologo Mercalli: “Il cambiamento climatico frutto delle attività umane, anche quelle quotidiane”

di Flavia Piccinni

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iviamo in un tempo in cui continuamente ci stupiamo per quanto accade. Le nostre giornate sono un rinnovare le domande e lo stupore ad ogni evento estremo. Abbiamo sempre detto e scritto le stesse cose dopo ogni evento. Da decenni». Esordisce così Luca Mercalli, uno dei climatologi più celebri e stimati del nostro Paese, da sempre in prima linea per quanto riguarda la battaglia climatica. «Negli ultimi anni - prosegue - ci siamo stupìti dopo Vaia, nel 2018, quando erano andati giù tutti gli alberi nelle Dolomiti. Lo abbiamo detto l’anno scorso quando è caduto il ghiaccio della Marmolada. E mi fermo, anche se potrei proseguire ancora molto a lungo…».

Secondo lei perché questo accade? Perché non vogliamo prendere in mano una questione che implica la nostra responsabilità personale. Il cambiamento climatico è frutto delle attività umane, compreso quello che facciamo ogni giorno: la benzina che bruciamo nella nostra macchina, il riscaldamento di casa, il viaggio aereo delle vacanze, ciò che mettiamo nel menù, i nostri sogni di moda, quanti vestiti vogliamo cambiare all’anno. É tutto questo che fa il cambiamento climatico perché consuma energia, consuma petrolio, consuma carbone, produce rifiuti. E allora quando si arriva a toccare la sfera delle nostre decisioni personali, improvvisamente tutti girano la faccia dall’altra parte e finisce il dibattito. Secondo lei questo accade perché


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Luca Mercalli

ci deresponsabilizziamo consciamente al fine di non prendere decisioni, perché pensiamo che le decisioni debbano essere prese dall’alto, perché abbiamo visto cadere nel vuoto le proteste dei giovani attivisti? Insomma: perché? Forse è un mix di tutto quello che lei ha detto. Da un lato abbiamo fastidio a metterci in gioco personalmente, dall’altro pensiamo che a gestire le questioni dovrebbero essere i Governi. Si sente sempre dire: “È la Cina che inquina! Sono gli Stati Uniti! Noi qui che cosa facciamo? Cioè siamo pochi e quindi il nostro impegno conta poco…”, ma questo è un modo per deresponsabilizzarsi. Alla fine i grandi problemi del mondo derivano dalla somma dei comportamenti di miliardi di persone. E noi italia-

ni, anche se siamo pochi, abbiamo sempre un ruolo. Anche perché magari le nostre industrie producono in Cina, e quindi... Esattamente. Ci sono poi delle complicazioni tecniche che spesso vengono ignorate. Magari l’Europa conta 450 milioni di abitanti, ma compra la roba in Cina, dove è fatta col carbone… Quindi ci sono anche tutti questi trucchi nascosti che non si arginano con lo scaricabarile. Anzi. E poi c’è la speranza che anche i cinesi, travolti a loro volta dall’emergenza climatica, inizino a pensare anche al loro futuro. Rispetto al futuro, cosa ci dobbiamo aspettare da questo autunno? Non possiamo dirlo. Ma questa è la domanda, se vogliamo, meno rilevante. La questione centrale riguarda la traiettoria generale a livel-

“Il cambiamento climatico è frutto delle attività umane, compreso quello che facciamo ogni giorno: la benzina che bruciamo nella nostra macchina, il riscaldamento di casa, il viaggio aereo delle vacanze, ciò che mettiamo nel menù, i nostri sogni di moda, quanti vestiti vogliamo cambiare all’anno”.

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“È chiaro che chi ha un tenore di vita ricco e benestante produce maggiore danno ambientale di una persona che ha meno mezzi”.

Miniera di carbone.

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lo planetario. La terra si riscalda. E riscaldandosi tutti gli eventi estremi diventeranno più frequenti. Saremo costretti a conviverci, se non a soccombere direttamente. Il paradigma sta dunque cambiando sotto i nostri occhi. E noi continuiamo a giocare un ruolo sempre più da protagonisti. È chiaro che chi ha un tenore di vita ricco e benestante produce maggiore danno ambientale di una persona che ha meno mezzi. Chi inquina meno al mondo sono i poverissimi africani che non hanno neanche la

casa o l’elettricità. Mentre chi inquina di più sono i super ricchi che volano col jet privato anche per andare a fare un viaggio di 100 km. Ognuno di noi contribuisce al fenomeno in base a quanti viaggi in aereo fa, che macchina ha, quanti chilometri percorre, quanta energia consuma nella propria casa, se ha un buon isolamento termico oppure no, se ha i pannelli solari oppure no. Ognuno di noi può ridurre il suo impatto. Perchè ognuno di noi ha la sua parte del problema, ma è anche parte della possibile soluzione.



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L’ECO-ANSIA, UNA NUOVA FORMA DI SOFFERENZA Così incendi, caldo record, piogge torrenziali e grandinate estreme minacciano anche il nostro stato mentale

di Giovanni Saraff

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o molta paura per il mio futuro… Soffro di eco-ansia e alle volte penso che io non ho un futuro… lei non ha paura per i suoi nipoti?”. Sono queste le parole pronunciate, in lacrime, da una ragazza di nome Giorgia, nell’incontro al Giffoni Film Festival, che hanno fatto commuovere il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin. Incendi, caldo record, piogge torrenziali e grandinate estreme minacciano l’equilibrio ambientale del nostro Paese. Insieme a questi eventi aumentano anche gli stati di sofferenza emotiva correlati. Così nasce l’eco-ansia, che si riferisce a quelle esperienze soggettive di ansia e paura relative a possibili catastrofi ambientali. Già nel 2017 alcuni psicologi americani identificarono la paura cronica del destino ambientale, associata a vissuti di rabbia, sensi di colpa e di sopraffazione. L’ansia è una risposta emotiva innata, adattiva, generalmente legata a situazioni di incertezza. A differenza della

paura - che è orientata al presente e si attiva di fronte a una minaccia reale, innescando la tipica risposta attacco/fuga - l’ansia prevede un’attivazione cognitiva, emotiva e comportamentale orientata a una possibile minaccia futura. L’emergenza climatica in atto sembra aver aggiunto alle classiche preoccupazioni per il domani anche quelle per il destino del nostro pianeta. Al centro dell’attenzione il riscaldamento globale, l’inquinamento, gli eventi climatici estremi come alluvioni o lunghi periodi di siccità, l’innalzamento dei livelli del mare e l’aumento dell’incidenza di catastrofi naturali. Tutti elementi che stanno minando le certezze per la vita futura sulla terra esacerbando stati di eco-ansia. Spesso a soffrirne sono i giovani, che vivono sulla propria pelle l’incertezza di un pianeta che non sembra più essere pronto a garantirgli le condizioni eco-ambientali necessarie per la vita e il benessere psicologico. Gli effetti che l’eco-ansia può avere sulla salute mentale sono molteplici e vanno da ansia e preoccupazione costanti, che possono assumere le caratte-


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ristiche dello stress cronico, ad attacchi di panico e veri e propri stati di depressione, scatenati dalla propria percezione di impotenza. Vengono anche registrati disturbi del sonno e dell’alimentazione, sensi di colpa per l’impatto del proprio stile di vita sull’ambiente e isolamento sociale. Il filosofo australiano Glenn Albrecht ha coniato il termine solastalgia per riferirsi al senso di nostalgia che una persona può provare per un luogo che si abita ancora ma che viene costantemente alterato da cambiamenti ambientali fuori dal proprio controllo. L’ansia per il clima può manifestarsi in svariate forme. Alcune di queste sono produttive, e spingono la persona ad agire per contrastare il cambiamento climatico, altre invece paralizzanti, e bloccano l’individuo nelle principali aree di funzionamento della sua vita. Alcuni psicologi sostengono che l’eco-ansia non sia da considerare un vero e proprio disturbo, ma piuttosto una risposta adattiva, un segnale importante del fatto che l’individuo si sta preoccupando dello stato di benessere dell’ambiente in cui vive; ciononostante sono molti i

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casi, soprattutto tra i giovani, in cui le preoccupazioni relative alla crisi climatica richiedono il supporto da parte di uno specialista. Indipendentemente dai cambiamenti nello stile di vita che è necessario apportare per invertire la rotta del cambiamento climatico, è opportuno andare nella direzione di un “adattamento emotivo”. In questo senso le raccomandazioni sono orientate all’apprendimento di strategie per convivere con l’ansia e per sfruttare il suo potenziale adattivo. Una strategia centrale è il focalizzarsi sull’azione individuale, su quello che si può fare con le risorse che si hanno e sui piccoli cambiamenti nello stile di vita che possono ridurre l’impatto ambientale e aumentare il senso di auto-efficacia. È opportuno inoltre imparare tecniche per gestire lo stress come la respirazione profonda o la meditazione, che possono aiutare a prendere decisioni in modo più consapevole. Nei casi in cui l’ansia diventi pervasiva e causi un impatto significativo è sempre meglio cercare il supporto di uno specialista.

Gli effetti che l’eco-ansia può avere sulla salute mentale sono molteplici e vanno da ansia e preoccupazione costanti, che possono assumere le caratteristiche dello stress cronico, ad attacchi di panico e a veri e propri stati di depressione, scatenati dalla propria percezione di impotenza.

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METEREOPATIA E ANSIA DA CAMBIAMENTO CLIMATICO DUE FENOMENI DISTINTI Il professor Luigi Janiri: “Occhio all’aumento di disturbi post-traumatici da stress”

di Martina Gaudino

L’

estate appena trascorsa con picchi di 50 gradi anche nel nostro Paese è stata una dimostrazione concreta di come il clima stia cambiando. Eventi sempre più estremi e che mettono in difficoltà la vita quotidiana dell’uomo sulla terra possono andare a incidere in maniera significativa sulla salute mentale. C’è grande confusione, però, in materia. L’impatto del clima ha effetti diversi anche in base alla condizione di partenza di un soggetto (come nel caso dei soggetti affetti da disturbo bipolare) ma la meteoropatia può insorgere improvvisamente in ognuno di noi e con precisi sintomi. Ne abbiamo parlato con Luigi Janiri, professore di psichiatria all’Università Catto-

lica del Sacro Cuore, professore di psicopatologia alla LUMSA e direttore di Unità operativa di Psichiatria al Policlinico Gemelli. Si parla spesso di cambiamento climatico in relazione agli effetti sulla salute e anche di meteoropatia, come possiamo osservare questi fenomeni? Sono due fenomeni che si dovrebbero tenere un po’ distinti. Una cosa è il cambiamento climatico che sta portando dei problemi da tanti punti di vista e quindi anche sulla salute mentale delle persone. L’altra questione, quella della meteoropatia è diversa perché è effettivamente un tratto individuale, potremmo dire costituzionale. È la sensibilità ai cambiamenti meteorologici, che poi può diventare una vera e pro-


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pria meteoropatia. Il cambiamento climatico sta portando tutta una serie di conseguenze a livello di salute mentale, prima di tutto perché sta provocando dei fenomeni, i cosiddetti eventi climatici acuti come uragani, alluvioni e incendi. Cosa stanno causando? Tutte queste cose stanno sicuramente provocando un gran numero di disturbi post-traumatici da stress che sono delle patologie, appunto, di stress traumatico molto impor-

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tanti e che derivano dal fatto che si verificano catastrofi naturali o l’aumento della temperatura. Noi che stiamo vivendo e stiamo assistendo a questo cambiamento, vediamo che ci sono dei mesi estivi molto più caldi ma anche primaverili e qualche volta autunnali, molto più caldi della norma. Questo aumento della temperatura media, per esempio, porta a una crescita di alcuni disturbi. Assistiamo a un aumento dell’aggressività e quindi anche dei

C’è grande confusione in materia di impatto del clima che ha effetti diversi anche in base alla condizione di partenza di un soggetto.

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“Una cosa è il cambiamento climatico che sta portando dei problemi da tanti punti di vista e quindi anche sulla salute mentale delle persone. L’altra questione, quella della meteoropatia è diversa perché è effettivamente un tratto individuale, potremmo dire costituzionale”.

PRIMO PIANO

comportamenti di violenza e dei fenomeni di problematiche di tipo sociale. Ci sono anche altre possibili conseguenze per i cambiamenti a medio e lungo termine. Per esempio, l’innalzamento dei livelli delle acque aumenta la sensazione di pericolo, il non essere più al sicuro sulla propria terra. Le conseguenze sono fenomeni che si chiamano adesso sindromi psicoterapiche. Cosa intendiamo? Intendiamo, per esempio, non solo la famosa solastalgia, una sorta di depressione del panorama di come era prima e che porta le persone a non ritrovarsi più in quell’ambiente dove loro sono nati e cresciuti ma anche un altro problema legato a tutti quei fenomeni a cui stiamo assistendo nei giovani. Tra i pazienti c’è questo aumento dell’ansia per il cambiamento climatico, molto sentito dai ragazzi e in maniera molto più forte rispetto alla guerra o la recessione economica o una nuova pandemia. Tra queste catastrofi sociali, psico-sociali, probabilmente il cambiamento climatico è quello che in questo momento sta occupando il posto maggiore. La meteoropatia invece? La sensibilità molto probabilmente è una condizione anche di tipo genetico e costituzionale che si sta adesso studiando perché sembra in effetti che sia molto più frequente tra i bipolari. Significa che una persona è molto più sensibile a cambiamenti diciamo meteorologici che possono essere anche non estremi. Ci si sente in difficoltà per il cambiamento della stagione, del tasso di umidità, della temperatura da un giorno all’altro. Il sintomo consiste in cambiamenti di umore, si diventa irritabili, depressi, si può avere, per l’appunto, un comportamento anche in questo caso più

aggressivo con fenomeni di ansia e attacchi di panico e attacchi di tipi psicosomatico come palpitazioni, dolori, parestesie, aumento della sudorazione, della pressione. Un esempio tipico della meteoropatia è quello della sensibilità che hanno certe popolazioni. Pensiamo per esempio non solo al sud della Germania, ma anche in Italia, per esempio in Sardegna, si sono viste cose di questo genere, cioè la sensibilità al vento caldo secco che improvvisamente si manifesta. Abbiamo studiato almeno tre classi di pazienti e abbiamo visto dei bipolari, pazienti

Luigi Janiri


PRIMO PIANO

neurologici con sclerosi multipla, pazienti dermatologici con delle malattie psicosomatiche: in tutti questi indubbiamente la meteoropatia era più presente rispetto alle popolazioni di controllo. Evidentemente è un tipo di tratto. Per tratto intendo una specie di aspetto stabile della personalità. Forse su base genetica una persona può ereditare indipendentemente dal disturbo mentale vero e proprio. Però, probabilmente, la meteorosensibilità è più frequente tra chi eredita anche il tratto bipolare. Come si può fare una diagnosi corretta di meteoropatia?

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La diagnosi è sempre e comunque di natura clinica. Ci si pone il problema perché è chiaro che se una persona in quei giorni non va a lavorare, si chiude in casa, non ha rapporti con nessuno e sul piano sociale e relazionale deteriora le relazioni, ovviamente c’è una vera e propria patologia. C’è anche un test che noi abbiamo realizzato e che si chiama METEO-Q. È un questionario dove c’è anche una check list di sintomi e che può essere applicata effettivamente alle persone che si sospetta possano avere una maggiore sensibilità.

“La sensibilità molto probabilmente è una condizione anche di tipo genetico e costituzionale che si sta adesso studiando perché sembra in effetti che sia molto più frequente tra i bipolari”.

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COSÌ GLI ESSERI UMANI STAVANO RISCHIANDO L’ESTINZIONE Lo studio pubblicato su “Science” E se il rischio fosse concreto ancora oggi?

di Martina Gaudino


L’INCHIESTA

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l caldo anomalo che ha caratterizzato la stagione estiva da poco conclusa è solo uno dei segnali più allarmanti del cambiamento in atto. Il clima sta mutando velocemente e non lo fa in maniera subdola: quello che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti. Nubifragi, uragani, calore asfissiante o alluvioni sono gli eventi che sempre più caratterizzano anche il nostro Paese considerato fino a poco tempo fa una culla di pace e tranquillità. L’impatto degli eventi climatici, anche se ancora sottovalutato da una consistente fetta della popolazione mondiale, può essere devastante come già accaduto nella storia del Pianeta. Lo hanno reso noto genetisti e bioinformatici cinesi con la collaborazione dell’università Sapienza di Roma e l’università di Firenze in uno studio pubblicato sulla prestigiosa “Science”. Tra 900 mila e 800 mila anni fa la popolazione umana sulla Terra si è ridotta drasticamente arrivando a sfiorare l’estinzione. La causa potrebbe essere stata proprio il clima. Alla pubblicazione ha partecipato anche il professore Giorgio Manzi, accademico dei Lincei, antropologo e paleontologo. “La situazione attuale è totalmente diversa ma siamo comunque in presenza di una condizione che climaticamente e non solo si sta modificando in tempi molto accelerati ed è proprio la rapidità del cambiamento climatico e ambientale cui assistiamo che deve farci comprendere la serietà del problema” ha detto il prof Manzi a Brain. Lo studio pubblicato su “Science” mostra come sulla Terra, migliaia e migliaia di anni fa esistessero diverse specie di essere umani risultanti di un percorso evolutivo che era ancora ben lontano dalla comparsa della nostra specie Homo sapiens.

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Nubifragi, uragani, calore asfissiante o alluvioni sono gli eventi che sempre più caratterizzano anche il nostro Paese considerato fino a poco tempo fa una culla di pace e tranquillità.

L’INTERVISTA

“Erano varietà di una fase del Paleolitico inferiore, umani primordiali con un cervello ancora non del tutto sviluppato, basti pensare che le specie dell’epoca avevano un cervello grande poco più di due terzi di quello attuale o di quello di specie a noi affini come i Neanderthal” ha aggiunto Manzi. Lo studio dei dati genetici fatto dagli scienziati cinesi “è riuscito a far risalire, con un nuovo algoritmo di loro creazione, dalla variabilità genetica attuale a strozzature delle dimensioni delle popolazioni del passato, individuando un fortissimo ‘collo di bottiglia’ intorno a 800-900 mila anni fa”. Questo “collo di bottiglia” fu drammatico per certi versi perché portò alla decimazione dei nostri antenati di allora, ma fu generativo per altri versi, tanto da produrre una forma umana nuova, con diverse qualità e con nuove capacità e di affrontare le avversità ambientali. Ne è emerso un nostro antenato diretto, Homo haidelbergensis, che fu in grado di espandersi dal punto di vista demografico e di diffondersi geograficamente, nel mentre che continuano a esistere forme umane di altro tipo derivate da stadi evolutivi ancora precedenti. “Ad oggi – ha spiegato ancora il professore – la situazione è diversa in quanto i fenomeni che mettono a rischio la vita sulla Terra non sono solo legati al clima. Per esempio, l’inquinamento, i residui delle esplosioni atomiche, il crollo della biodiversità. Siamo di fronte a qualcosa che alcuni definiscono addirittura la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta Terra, la quinta fu quella che portò via i dinosauri 65 milioni di anni fa con un cataclisma di origine astronomica”. Strettamente connesso al cambiamento è proprio la perdita della biodiver-

sità. Come illustrato dal professore Manzi, alcune stime “parlano di un crollo che si attesta intorno al 35% dalla metà del Novecento, un numero che cresce in maniera rapidissima soprattutto se visto nell’ottica della scala dei tempi geologici”. Il paleoantropologo ha anche voluto porre l’accento sugli altri fattori che stanno in qualche maniera contribuendo al rischio di una malaugurata “estinzione dell’umanità”: “Il ritorno della minaccia atomica è


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realtà, si parla di nuovo di premere un bottone che può creare disastri nucleari di portata planetaria. Eppure, anche nel caso di un evento del genere la vita sul pianeta, in una qualche forma, sopravviverà”. Non sarà la specie umana, però, a resistere a un tale disastro ed è per questo che l’evoluzione che ci ha condotti fino ad oggi può ancora invertire la tendenza: “Abbiamo tutte le risorse sia scientifiche che tecnologiche per poter affrontare con successo que-

sta crisi”. Il professore Manzi ritiene che ciò che sta accadendo vada fronteggiato attraverso una corretta informazione dei media ma anche con la scuola: “I problemi che abbiamo sono veramente epocali. I decisori politici stanno cercando di prendere dei provvedimenti per mitigare e dunque arrestare la tendenza autodistruttiva ma non si tratta semplicemente delle scelte dei capi di Stato o dei governi”. Esiste, infatti, ancora un diffuso negazionismo sulla questione: “Ci troviamo in Italia a vivere eventi di tipo tropicale, cose che noi stessi in anni passati o i nostri padri e nonni non hanno mai vissuto. Tutto questo è già davanti ai nostri occhi, è un problema di consapevolezza che va coltivata a partire dalla scuola, un po’ troppo abbandonata a sé stessa e alla buona volontà di professori mal pagati, la cui figura non viene riconosciuta ed è continuamente maltrattata. Se questo ruolo sociale fosse valorizzato anche dal punto di vista economico avremmo professori più motivati, migliori”. La paura della fine della vita sulla terra può sfociare nell’ormai nota ecoansia ma Manzi ha voluto rimarcare quanto sia importante non farsi prendere dal panico e “capire che abbiamo un cervello come nessun’altra forma di vita ha mai avuto, capace di cose meravigliose da vari punti di vista, compreso quelli scientifico e tecnologico”. Lo sviluppo cerebrale può salvare la specie umana. “Io – ha concluso il professore - penso per esempio ai grandi progressi della medicina, siamo stati attaccati da un virus a livello planetario e nel giro di meno di un anno abbiamo saputo rispondere alla pandemia con vaccini e con altre soluzioni impensabili solo qualche lustro fa”.

La paura della fine della vita sulla terra può sfociare nell’ormai nota ecoansia ma Manzi ha voluto rimarcare quanto sia importante non farsi prendere dal panico e “capire che abbiamo un cervello come nessun’altra forma di vita ha mai avuto”.

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10 OTTOBRE 2023 UNA GIORNATA PER LA SALUTE MENTALE Un miliardo di persone al mondo soffre di disturbi psichici Perché è fondamentale abbattere lo stigma, parlarne, agire

di Flavia Piccinni

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992. Richard Hunter, vice segretario della Federazione mondiale per la salute mentale (WFMH) ha un’intuizione: istituire la Giornata della salute mentale, un’occasione di incontro e confronto tra esperti del settore, politica e società che si pone l’obiettivo di sensibilizzare sull’importanza della salute mentale, lottare contro lo stigma che, ancora oggi, ruota su questo tema e coinvolgere le Istituzioni sull’importanza del benessere psicologico, sulla prevenzione e sull’incremento di azioni a sostegno di attività e programmi sulla salute mentale. Da allora la Giornata mondiale della salute mentale, supportata anche dall’OMS, si celebra ogni anno il 10 ottobre e dal 1994 ogni edizione approfondisce un tema specifico. Quello del 2023 si concentra sul fatto che la salute mentale sia un

diritto universale e inalienabile, tanto che lo slogan è proprio “Mental Health is a universal human right”. Il tema del World Mental Health Day 2023 sottolinea infatti come la salute mentale sia un diritto universale dell’essere umano. Questo significa che tutti, indipendentemente dalla loro origine, hanno il diritto di accedere a supporto e a servizi per la salute mentale e che è necessario ridurre i fattori di rischio come la discriminazione, e garantire che i servizi siano accessibili, culturalmente sensibili e di alta qualità. La salute mentale oggi è certamente vista in modo differente rispetto al passato, ma si può fare ancora tanto perché assuma un ruolo ancora più centrale nella società. Il 10 ottobre diventa quindi di fondamentale importanza per lottare contro i pregiudizi e le credenze errate sulla te-


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rapia psicologica. Tutt’ora, infatti, i pregiudizi che ruotano intorno alle problematiche di salute mentale sono radicati nell’immaginario collettivo e influenzano moltissime persone. Può capitare ancora oggi che qualcuno pensi - temi che abbiamo approfondito con dovizia di particolari nei tanti numeri di BRAIN - come “dallo psicologo ci vanno i matti” o che “una persona con disturbi psichiatrici può essere pericolosa”. Ad oggi lo stigma associato ai disturbi mentali è una delle più grandi barriere per l’accesso alle cure. Conduce all’isolamento sociale, a discriminazioni, violazioni dei diritti in famiglia, a scuola, nei luoghi di lavoro. Ed è per questo che è fondamentale evidenziare la necessità di mettere a punto meccanismi di prevenzione, e lottare ogni giorno contro pregiudizi e discriminazione. In vista del 10 ottobre 2023, la World Federation for Mental Health (WFMH) ha espresso in modo chiaro e preciso i principi che ispi-

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rano le celebrazioni della Giornata mondiale della salute mentale 2023 evidenziando - fra l’altro - come “quasi 1 miliardo di persone in tutto il mondo vive con un disturbo mentale” e come relativamente pochi soggetti possano accedere a servizi di tutela di qualità. Nonostante dopo la pandemia la salute globale sia stata maggiormente attenzionata, un recente report ha evidenziato quanto le paure si stiano moltiplicando a causa dell’aumento del costo della vita, e ai timori relativi al rallentamento economico e ai cambiamenti climatici (cui abbiamo dedicato questo numero). Eco ansia, i temi legati alla disparità di genere, lo stress da lavoro correlato, sono solo alcuni dei motivi per cui la salute psicologica delle persone continua a necessitare attenzione e cura. Ed è per questo che è così importante condividere le proprie esperienze, raccontare i propri sentimenti, esporsi. Informarsi. E informare.

La salute mentale oggi è certamente vista in modo differente rispetto al passato, ma si può fare ancora tanto perché assuma un ruolo ancora più centrale nella società.

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DOSSIER: DATI E RIFLESSIONI SULLA SALUTE MENTALE In occasione del 10 ottobre riflettiamo attraverso gli ultimi rapporti sullo stato dell’arte nel nostro Paese e nel mondo di Flavia Piccinni


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l dato è significativo: una persona su otto nel mondo vive con un disturbo mentale. La stima è fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ha evidenziato come i bisogni in materia di salute mentale siano elevati, ma ricevono risposte inadeguate e insufficienti dai sistemi sanitari. Sembra superfluo sottolineare come la salute mentale sia parte integrante del benessere generale delle persone, sia alla base di relazioni sane e della produttività lavorativa, ossia promuova lo sviluppo sociale ed economico di un Paese. Tuttavia, è un settore della salute pubblica in cui sono presenti lacune e squilibri. Proprio secondo quanto emerge dal rapporto “World mental health report. Transforming mental health for all” dell’Oms, che fa il punto sullo scenario globale e propone soluzioni alle criticità nel settore, uno dei più trascurati della salute pubblica - si legge nel report -, a cui va in media solo il 2% del bilancio sanitario dei Paesi. I disturbi mentali, che rappresentano a livello globale la principale causa di anni vissuti con disabilità, nel 2019 hanno colpito 970 milioni di persone, di cui l’82% nei Paesi a reddito medio-basso. I disturbi più diffusi, nello stesso anno, erano l’ansia (31%) e quelli depressivi (28,9%), che in seguito alla pandemia di Covid-19 hanno registrato un aumento rispettivamente del 26% e del 28%. Tra le persone colpite da disagi mentali si registrano tassi di mortalità “sproporzionatamente” più elevati rispetto alla popolazione generale, riferisce il Rapporto. La schizofrenia e il disturbo bipolare, ossia le condizioni più gravi, causano morte prematura da 10 a 20 anni prima. Ma in questi casi, precisa l’Oms, il decesso è dovuto spesso a malattie prevenibili, in particolare respiratorie, cardiovascolari e infezioni, molto comuni nelle persone

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I disturbi mentali, che rappresentano a livello globale la principale causa di anni vissuti con disabilità, nel 2019 hanno colpito 970 milioni di persone, di cui l’82% nei Paesi a reddito medio-basso.

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che vivono con un disturbo mentale. Nel 2019, il 14% dei giovani in tutto il mondo, tra i 10 e i 19 anni, è stato affetto da disturbi mentali. Il suicidio è la principale causa di morte tra i giovani e più della metà degli eventi avviene prima dei 50 anni, quindi in piena età lavorativa. Nel 2019 il 77% di tutti i suicidi si è verificato nei Paesi a reddito medio-basso, dove vive la maggior parte della popolazione mondiale, ma è nei Paesi a reddito alto che si registra il più alto tasso di suicidi. Nel 2019 si stima una persona su otto con disagio mentale, di queste il 71% non ha ricevuto servizi di assistenza. Per quel che riguarda i medicinali essenziali (psicotropi), nei Paesi sono presenti disuguaglianze nella disponibilità, nel prezzo e nell’accessibilità. Negli Stati a basso-medio reddito le persone spesso finiscono per pagarli di tasca propria, aggravando la propria condizione economica. Sul fronte della forza lavoro, il divario in base alla condizione socioeconomica dei Paesi è piuttosto marcato: quelli a basso reddito registrano meno di un operatore sanitario di salute mentale per 100mila abitanti, rispetto ai 60 dei Paesi ad alto reddito. A livello globale, i servizi di assistenza non coprono l’intero spettro dei bisogni delle persone con un disturbo mentale. Non occorrono solo farmaci, serve anche supporto sociale, inclusi alloggio, occupazione, istruzione e supporto legale. Nel 2020 meno del 45% dei Paesi ha riferito di aver fornito uno di questi tipi di servizio e

solo il 24% dei Paesi ha dichiarato di averli forniti tutti. Il Rapporto segnala, inoltre, che quando i servizi sono disponibili, spesso le persone rinunciano a chiedere aiuto a causa di diversi fattori, tra i principali lo stigma e la discriminazione che deriva dall’accesso ai servizi di salute mentale, i costi, la posizione, la qualità, il trattamento negli ospedali psichiatrici e la scarsa conoscenza della salute mentale. Inoltre, il Rapporto ricorda che la salute fisica e quella mentale delle persone sono strettamente connesse, (basti pensare ai casi di consumo di tabacco, alcol e alimenti non salutari legati alle condizioni mentali). Un approccio integrato anche nella cura garantisce un monitoraggio completo della salute e riduce il rischio di mancata diagnosi delle malattie curabili. Infine, secondo i dati disponibili al 2021, l’86% dei Paesi membri dell’Oms ha riferito di avere una politica o un piano per la salute mentale in atto, a sé stanti o integrati in politiche o piani generali per la salute. Tuttavia, solo la metà era conforme agli strumenti sui diritti umani. Pochi Paesi ne hanno monitorato efficacemente l’attuazione, di cui un quarto ha dichiarato di non aver alcun indicatore utile allo scopo. In sintesi, questa è la situazione della salute mentale nell’ambito della salute pubblica, che ha spinto L’Oms a sollecitare un’“urgente” e “indiscutibile” trasformazione nei Paesi membri, che tenga conto delle esigenze specifiche nazionali. Il cambiamento richiede un approccio multisettoriale,


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poiché i fattori che influiscono sulla salute mentale sono presenti in ambito sociale, economico e ambientale, e come mostra il grafico l’esposizione è a livello individuale, familiare, comunitario e strutturale. Tra le minacce strutturali o globali per la salute mentale occorre segnalare la crescente crisi climatica, il cui impatto sulla salute psicofisica e sugli altri fattori di rischio è sempre più supportato da evidenze. Tanto che nel documento “Mental health and climate change. Policy brief” l’Oms raccomanda, tra l’altro, l’integrazione del cambiamento climatico nei programmi e nei piani di salute mentale e interventi che riducano la vulnerabilità delle comunità, in particolare quelle più esposte. Le azioni per la trasformazione. Nel “World mental health report” l’Oms individua tre percorsi interconnessi per migliorare la salute mentale nel mondo. La prima riguarda il rafforzamento dei valori e dell’impegno, poiché in primo luogo è necessario promuovere la conoscenza e il valore della salute mentale, quale diritto fondamentale di tutti, in ogni settore. Ciò al fine di rimuovere lo stigma che grava sulle persone e fermare la discriminazione che subiscono in tutto il mondo. La seconda punta alla trasformazione degli ambienti che influenzano la salute mentale. Gli ambienti in cui ciascuno vive – dalla famiglia alla scuola, dal lavoro alla comunità – dovrebbero proteggere la salute mentale e offrire opportunità di accesso eque a una buona salute mentale. La preven-

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zione, in particolare, gioca un ruolo determinante nel ridurre l’impatto dei fattori di rischio e il contrasto al suicidio è una priorità per tutti i Paesi. Nel merito, l’Oms riporta di aver sviluppato l’approccio Live Life, che consiste in quattro interventi di provata efficacia, tra cui limitare l’accesso ai mezzi di suicidio. Ad esempio, riferisce che il divieto di vendita di pesticidi altamente pericolosi, nei Paesi con un alto tasso di autoavvelenamenti, ha portato a un calo immediato e netto dei tassi di suicidio complessivi e tale misura non ha compromesso la resa agricola. L’ultima indicazione punta al rafforzamento dei sistemi di assistenza sanitaria. Gli interventi devono essere centrati sulla persona, di cui bisogna prendere in carico ogni bisogno clinico e psicosociale. Per favorire l’accesso ai servizi, su cui incidono più fattori, è imprescindibile puntare su una rete di servizi basati sulla comunità, ciò anche nell’ottica di abbandonare progressivamente le cure negli ospedali psichiatrici, i quali non sono ben accetti dalle persone. Mettere in atto le azioni trasformative proposte dall’Oms può contribuire, si legge nel Rapporto, ad accelerare i progressi nell’attuazione del “Piano d’azione globale per la salute mentale 2013-2030” con cui i Paesi membri dell’Oms si sono impegnati a raggiungere gli obiettivi per una migliore salute mentale per tutti, entro il 2030, puntando anche sulla governance, nella prevenzione e nell’assistenza sanitaria comunitaria. Qual è la situazione italiana?

I disturbi più diffusi, nello stesso anno, erano l’ansia (31%) e quelli depressivi (28,9%), che in seguito alla pandemia di Covid-19 hanno registrato un aumento rispettivamente del 26% e del 28%.

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Secondo il report sulla situazione italiana, gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici nel corso del 2020 ammontano a 728.338 unità con tassi standardizzati che vanno da 90,3 per 10.000 abitanti adulti in Sardegna fino a 195,4 nella regione Umbria (valore totale Italia 143,4).

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La situazione italiana la fotografa il Ministero della Salute che con il report annuale relativo alla salute mentale (l’ultimo si riferisce al 2020) fornisce gli strumenti per interpretare il quadro nostrano. Secondo il report, gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici nel corso del 2020 ammontano a 728.338 unità con tassi standardizzati che vanno da 90,3 per 10.000 abitanti adulti in Sardegna fino a 195,4 nella regione Umbria (valore totale Italia 143,4). Gli utenti sono di sesso femminile nel 53,6% dei casi, mentre la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (69,0%). In entrambi i sessi risultano meno numerosi i pazienti al di sotto dei 25 anni mentre la più alta concentrazione si ha nelle classi 45-54 anni e 55-64 anni (46,8% in entrambi i sessi); le femmine presentano, rispetto ai maschi, una percentuale più elevata nella classe > 75 anni (6,7% nei maschi e 10,7% nelle femmine). Nel 2020 i pazienti che sono entrati in contatto per la prima volta durante l’anno (utenti al primo contatto) con i Dipartimenti di Salute Mentale ammontano a 253.164 unità di cui il 91,8% ha avuto un contatto con i servizi per la prima volta nella

vita (first ever pari a 232.376 unità). Nei tassi degli utenti trattati per gruppo diagnostico si evidenziano importanti differenze legate al genere. I tassi relativi ai disturbi schizofrenici, ai disturbi di personalità, ai disturbi da abuso di sostanze e al ritardo mentale sono maggiori nel sesso maschile rispetto a quello femminile, mentre l’opposto avviene per i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi. In particolare per la depressione il tasso degli utenti di sesso femminile è quasi doppio rispetto a quello del sesso maschile (24,2 per 10.000 abitanti nei maschi e 40,4 per 10.000 abitanti nelle femmine). Le prestazioni erogate nel 2020 dai servizi territoriali ammontano a 8.299.120 con una media di 12,3 prestazioni per utente. Complessivamente il 79,6% degli interventi è effettuato in sede, l’8,9% a domicilio e il resto in una sede esterna; gli operatori prevalenti sono rappresentati da medici (34,7%) ed infermieri (42,7%). Il 33,0% degli interventi è rappresentato da attività infermieristica a domicilio e nel territorio, il 22,8% da attività psichiatrica, l’11,4% da attività di riabilitazione e risocializzazione territoriale, il 6,6% da attività di coordinamento e il 6,3% da attività di supporto alla vita quotidiana,


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il 6,2% da attività psicologica-psicoterapica; la quota restante riguarda attività rivolta alla famiglia e attività di supporto. Nel 2020 il numero complessivo di accessi al Pronto Soccorso per patologie psichiatriche ammonta a 421.208, che costituiscono il 3,2% del numero totale di accessi al pronto soccorso a livello nazionale (n = 13.067.589). Il 15,3% del totale degli accessi in Pronto Soccorso per problemi psichiatrici esita in ricovero, di cui più della metà sono accolti nel reparto di psichiatria. Inoltre il 38,6% degli accessi per problemi psichiatrici registra una diagnosi di Sindromi nevrotiche e somatoformi. Il 71,3% del totale degli accessi in Pronto Soccorso per problemi psichiatrici esita a domicilio. Altra questione è la spesa sanitaria relativa ai disagi psichiatrici. In Italia la spesa per la salute mentale (Sm) si è attestata negli anni dal 2015 al 2018 su valori intorno al 3,5% - 3,6% del Fondo sanitario nazionale (Fsn). I dati del 2019 già evidenziavano una preoccupante discesa al di sotto del 3% (2,98%), con una forte contrazione anche nelle Regioni e Province autonome che negli anni precedenti avevano garantito un impegno maggiore. Infatti, nell’anno che precedeva lo scoppio della pandemia, i dati

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ufficiali del ministero Salute segnalavano un calo di ben 639.862.000 euro per la Sm, nonostante l’incremento di oltre 1 miliardo del Fondo sanitario nazionale. Nel 2020, primo anno della pandemia e ultimo disponibile, la spesa registra un lieve aumento (70 milioni) ma continua ad attestarsi al di sotto del 3% del Fsn. Se invece della quota indistinta del Fsn trasferita alle Regioni si considera la spesa riportata a consuntivo dal Mef (123.474 mln), la proporzione destinata alla Sm risulta ancora inferiore (2,75%). In altri termini, le misure straordinarie adottate dal Governo per fronteggiare il Covid e le sue conseguenze non hanno modificato il cronico sottofinanziamento del settore salute mentale, anzi la situazione è ulteriormente peggiorata. Per la categoria degli Antidepressivi la spesa lorda complessiva è di oltre 391 milioni di euro con un numero di confezioni superiore a 37 milioni. Per la categoria degli Antipsicotici la spesa lorda complessiva è superiore a 77 milioni di euro con un numero di confezioni che supera i 5,9 milioni. Per la categoria Litio la spesa lorda complessiva è di circa 3,6 milioni di euro con un numero di confezioni pari a 900.840. Con riferimento all’anno 2020 il costo medio annuo per residente dell’assistenza

Gli utenti sono di sesso femminile nel 53,6% dei casi, mentre la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (69,0%). In entrambi i sessi risultano meno numerosi i pazienti al di sotto dei 25 anni.

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Con riferimento all’anno 2020 il costo medio annuo per residente dell’assistenza psichiatrica, sia territoriale che ospedaliera, è pari a € 67,5 calcolato dividendo il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica per la popolazione adulta residente nel 2020.

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psichiatrica, sia territoriale che ospedaliera, è pari a € 67,5 calcolato dividendo il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica per la popolazione adulta residente nel 2020. Per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica territoriale il costo complessivo ammonta a 3.217.015 (in migliaia di euro), di cui 1.423.002 (in migliaia di euro) per l’assistenza ambulatoriale e domiciliare, 389. 975 (in migliaia di euro) per l’assistenza semiresidenziale e 1.404.038 (in migliaia di euro) per l’assistenza residenziale. Per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica ospedaliera, la remunerazione teorica delle prestazioni di ricovero ospedaliero è nel 2020 pari a 169.689 (in migliaia di euro). La dotazione complessiva del personale all’interno delle unità operative psichiatriche pubbliche, nel 2020, risulta pari a 28.807 unità. Di queste il 18,4% è rappresentato da medici (psichiatri e con altra specializzazione), il 6,7% da psicologi, il personale infermieristico risulta la figura professionale maggiormente rappresentata (44,8%), seguita dagli OTA/OSS con l’11,2%, dagli educatori professionali e tecnici della riabilitazione psichiatrica pari al 7,5% e dagli assistenti sociali con il 4,0%. Il personale part time rappresenta il 6,5% del tota-

le del personale dipendente e il 4,4% del totale del personale ha un rapporto di lavoro a convenzione con il DSM. L’ a m m o n t a re complessivo del personale che opera nelle strutture sanitarie convenzionate con il Dipartimento di Salute Mentale nel 2020 è pari a 12.176 unità. Nel 2020 il sistema informativo salute mentale ha rilevato dati di attività di 1.299 servizi territoriali, 1.949 strutture residenziali e 811 strutture semiresidenziali che si riferiscono a circa il 94% dei DSM. Nel 2020 il numero dei SPDC attivi è pari a 328 con complessivi 4.156 posti letto per ricoveri ordinari e 310 posti letto per ricoveri in day hospital; le strutture ospedaliere in convenzione che erogano attività di assistenza psichiatrica sono pari a 18 con un totale di posti letto per degenza ordinaria pari a 792 e a 3 posti per day hospital. Per il totale Italia, l’offerta per i posti letto in degenza ordinaria è di 9,9 ogni 100.000 abitanti maggiorenni. Un recente studio sulla popolazione europea mostra dati preoccupanti sulla crescita dei problemi di salute mentale. Il 20% degli italiani soffre di almeno un disturbo psichico, in particolare ansia e depressione – un dato di prevalenza che supera quello della media europea. Alla difficile situazione del no-


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stro Paese in tema di salute mentale, ora fotografata dallo studio Headway – Mental Health Index 2.0 realizzato da The European House – Ambrosetti, concorrono fattori contingenti, come la pandemia di COVID-19, le conseguenze della guerra in Ucraina e i flussi migratori, così come avviene nel resto del continente. Ma anche fattori peculiari della nostra società, come le condizioni abitative, precarie per un quinto circa della popolazione, o la mancanza di spazi verdi: in questo l’Italia si piazza 21-esima su 28 nazioni, nella speciale classifica dell’urbanizzazione. Sono molti infatti gli elementi che possono destabilizzare la psiche, a partire già dall’infanzia e dall’adolescenza, ed è per questo che il rapporto Headway ha preso in considerazione 55 indicatori di performance, valutati nei 27 paesi dell’UE e nel Regno Unito. Si calcola che almeno la metà dei disturbi mentali esordisca prima dei 15 anni e l’80% di essi si manifesti prima dei 18 anni. È ben noto, inoltre, come un sano percorso di crescita psicofisica dipenda anche dal supporto del sistema scolastico, proprio quello che è mancato negli anni dell’emergenza pandemica. È per questo che non deve stupire che l’adolescenza sia stata così colpita dagli eventi degli ultimi anni. Il rapporto Headway segnala, tra i problemi di salute mentale più comunemente riscontrati tra gli adolescenti, ansia (28%), depressione (23%), solitudine (5%), stress (5%) e paura (5%). Sempre in tema di crescita e apprendimento, emerge anche come ansia e depressione in-

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fluenzino negativamente il rendimento scolastico, fino a portare all’abbandono degli studi, in alcuni casi. Questo è un problema evidente non solo in Italia: lo studio mostra infatti che gli studenti con problemi mentali hanno il 24% di probabilità in più di ripetere un esame. Secondo gli esperti, l’Europa si trova ad affrontare una vera emergenza di salute mentale, che non manca di avere un notevole impatto economico. Le stime mostrano costi diretti e indiretti che superano i 600 miliardi di euro, pari al 4% del PIL totale europeo. La Commissione Europea insieme ad alcuni Paesi, sta mostrando un impegno crescente per vincere questa sfida: il 45% dei paesi ha già messo in atto programmi di prevenzione e promozione della salute mentale legati al lavoro, mentre il 68% ha attuato una strategia o un programma nazionale incentrato sulla promozione e la prevenzione della salute mentale per bambini e adolescenti. Un dato tangibile è rappresentato dall’aumento delle strutture ambulatoriali dedicate alla salute mentale, passate da 3,9 a 9,1 per 1.000 abitanti a livello Europeo. Permangono tuttavia evidenti disparità tra le strategie e le politiche dei diversi stati. Guardando al nostro Paese, l’Italia riserva alla salute mentale il 3% della spesa sanitaria e si posiziona nona nella classifica della qualità dell’assistenza sanitaria per i disordini mentali delle diverse nazioni europee. E così diventa sempre più necessario agire. Prima che sia troppo tardi.

Un recente studio sulla popolazione europea mostra dati preoccupanti sulla crescita dei problemi di salute mentale. Il 20% degli italiani soffre di almeno un disturbo psichico, in particolare ansia e depressione – un dato di prevalenza che supera quello della media europea.

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“FOMO”, LA PAURA DI “PERDERE QUALCOSA” Il pericolo di nuove ansie nell’era dei social di Valentina Formica


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a FOMO, acronimo di Fear Of Missing Out, è un termine inglese che si traduce in italiano come “Paura di perdere qualcosa”. Questo fenomeno psicologico riflette una profonda ansia o inquietudine associata alla paura di essere esclusi da eventi o esperienze sociali che sembrano gratificanti o interessanti. Questo timore è diventato particolarmente prominente nell’era dei social media, dove le vite degli altri vengono spesso esibite attraverso una lente distorta, mostrando solo i momenti più entusiasmanti e piacevoli. Questo costante bombardamento di successi altrui può creare l’illusione che la vita degli altri sia perfetta, priva di problemi, scatenando un confronto costante e insoddisfacente, producendo ricadute dirette sull’autostima, con sentimenti di inadeguatezza e esclusione. Alla base della FOMO rientrano meccanismi psicologici legati all’ansia e alla paura di essere esclusi dalle attività altrui. Queste attività vengono spesso sovrastimate in termini di piacevolezza e soddisfazione. Le persone che ne soffrono spesso si sentono obbligate a rimanere costantemente connesse ai social media, aggiornando le loro pagine e rispondendo a tutte le notifiche, con la speranza di ridurre la distanza percepita tra loro e gli altri. Tuttavia, questo comportamento può avere l’effetto opposto, allontanando ulteriormente le persone dalla vita reale e creando sentimenti di isolamento e solitudine. La FOMO è strettamente legata alla dipendenza da smartphone. Chi soffre di FOMO tende infatti a controllare compulsivamente il proprio telefono. Questo comportamento può essere alimentato da vari fattori di rischio, tra cui un temperamento

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ansioso, una bassa autostima, una sovrabbondanza di informazioni eccessivamente positive sui social media, avere poche relazioni intime e soddisfacenti, essere adolescenti e di sesso maschile. Supportano i comportamenti appena descritti, un continuo rimuginio ossessivo rispetto al bisogno di rimanere connessi e di non essere esclusi dalle dinamiche sociali, con conseguente aumento della componente ansiosa. Per una persona insicura e con bassi livelli di autostima, vedere contenuti sui social media in cui i propri coetanei sembrano divertirsi e appartenere a un gruppo può scatenare emozioni negative come rabbia, frustrazione e senso di incapacità, causando sofferenza emotiva e psicologica. La terapia cognitivo-comportamentale può aiutare a gestire la FOMO, mirando ad aumentare la consapevolezza dei propri pensieri e a sviluppare strategie per gestire le emozioni negative associate alla

paura di perdere qualcosa. È importante imparare a ridurre il confronto sociale e ad accettare i momenti e sentimenti di solitudine come parte normale della vita. Inoltre, gestire le aspettative rispetto a quanto viene mostrato sui social media è cruciale per preservare una sana autostima. Per affrontare la FOMO, è altresì importante trovare alternative alle interazioni digitali e sviluppare una rete sociale offline. Un buon punto di partenza può essere quello di stabilire delle regole per limitare il tempo trascorso sui social media. Tenere un diario può anche essere un buon modo per riflettere sulle cose gratificanti della propria vita e ridurre la ricerca di approvazione pubblica sui social media. In questo modo, si può iniziare a valorizzare di più la propria vita e ridurre la sensazione di dover costantemente “tenere il passo” con gli altri. In definitiva, la FOMO è un fenomeno psicologico complesso che può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sul benessere delle persone. Tuttavia, con l’approccio terapeutico giusto e una maggiore consapevolezza dei meccanismi sottostanti, è possibile affrontarla e gestirla, consentendo alle persone di vivere una vita più equilibraTutto quello di cui hai bisogno per la tua cura. Medicina specialistica, esami di ta e soddisfalaboratorio e diagnostica. cente.


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È un’iniziativa del Ministero della Salute in collaborazione con LAV

Informati su www.salute.gov.it e www.lav.it


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POST-COVID, NECESSITÀ DI UNO STUDIO MULTICENTRICO Gli studi portati avanti dalla Fondazione BRF, in Italia e in Europa di Valentina Formica

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a Fondazione BRF è impegnata in una vasta gamma di attività per affrontare questioni critiche legate alla salute e al benessere mentale della società. Tra le sue attività più rilevanti, la Fondazione sta conducendo importanti ricerche sull’infezione da COVID-19, sulle dipendenze comportamentali e su temi legati al benessere della popolazione generale e al suicidio. Attualmente, la Fondazione sta portando avanti uno studio nazionale multicentrico che indaga i sintomi persistenti post-COVID-19. Questa ricerca, in corso da oltre due anni, analizza la progressione nel tempo dei sintomi post-COVID-19 tramite questionari specifici per valutare una vasta gamma di sintomi sensoriali, somatici, respiratori, gastrointestinali, cardiovascolari e psicologici. Il progetto mira a valutare l’epidemiologia degli effetti a lungo termine di COVID-19, a comprenderne l’impatto sulla qualità della vita e

sulla salute mentale dei partecipanti e a evidenziare relazioni significative tra la persistenza dei sintomi e fattori quali lo stato premorboso e le abitudini di vita dei soggetti del campione. Oltre a questo studio, la Fondazione BRF è coinvolta anche in un progetto europeo sul Covid-19, in collaborazione con altri stati dell’Unione. L’obiettivo principale di questo progetto è quello di potenziare le capacità e le competenze degli operatori sanitari per affrontare possibili future emergenze sanitarie. Una parte importante del progetto è rappresentata dallo sviluppo di una piattaforma online di formazione basata sulle ultime evidenze scientifiche e sulle migliori pratiche europee individuate per affrontare situazioni di emergenza. Parallelamente alle ricerche sull’infezione da COVID-19, la Fondazione BRF sta studiando le dipendenze comportamentali, spesso denominate “dipendenze senza sostanza”. Queste


NEUROSCIENZE

dipendenze comprendono la dipendenza da shopping, da internet, da gioco d’azzardo, da smartphone e altre attività quotidiane che diventano patologiche a causa di un comportamento eccessivo. L’adolescenza è un periodo critico per lo sviluppo di queste dipendenze, e la Fondazione sta conducendo uno studio per indagare l’incidenza di queste dipendenze nella popolazione scolastica e universitaria. Inoltre, la Fondazione BRF ha istituito un Osservatorio Suicidi per monitorare e affrontare il preoccupante aumento dei suicidi e dei tentati suicidi. I dati raccolti fino ad agosto 2023 hanno rivelato un significativo aumento rispetto all’anno precedente, con 608 suicidi e 541 tentati suicidi registrati. Questi dati, tuttavia, rappresentano solo la punta dell’iceberg, poiché molti casi potrebbero rimanere non segnalati dai media. Le forze dell’ordine e la popolazione carceraria sono tra le categorie più colpite. Questi dati

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mettono in luce l’importanza della sensibilizzazione sulla salute mentale. Infine, la Fondazione BRF, in collaborazione con la casa editrice EDRA è impegnata nel portare avanti l’Osservatorio sulla Salute Mentale. Questo osservatorio grazie al coinvolgimento di un campione significativo di professionisti della salute mentale fornirà dati utili per migliorare i servizi di psichiatria e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salute mentale. Nell’ottica della sensibilizzazione e della lotta allo stigma legato alle patologie psicologiche/psichiatriche la Fondazione BRF attraverso la campagna #Parliamone e il festival Lucca in Mente è sempre in prima linea nel cercare di coinvolgere la popolazione generale in discussioni aperte su questi temi, con l’obiettivo di far comprendere l’importanza di normalizzare le malattie mentali e favorire una maggiore comprensione e accettazione delle persone che ne sono colpite.

Attualmente, la Fondazione sta portando avanti uno studio nazionale multicentrico che indaga i sintomi persistenti post-COVID-19.

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I DISTURBI DEL LINGUAGGIO FIGURATIVO ALL’INTERNO DEL QUADRO PSICOTICO “Sin dalle prime fasi di vita e nel corso del proprio sviluppo intrapsichico, ciascun soggetto sviluppa un proprio modo di stare al mondo e con gli altri” di Cristi Marcì


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na comunicazione linguistica difettosa riflette la caratteristica centrale della schizofrenia e risulta correlata secondo Crow (1997) a modificazioni di natura genetica espresse a seguito dell’acquisizione del linguaggio. Ad oggi nel panorama scientifico è assodato come l’uso del linguaggio nel paziente schizofrenico sia ben diverso da quello di una persona non affetta da questo disturbo. La lettura psicopatologica tedesca che ha focalizzato l’attenzione sulla natura dei disturbi del linguaggio e dell’eloquio nell’individuo con schizofrenia ha evidenziato la presenza di una disfunzione linguistica riguardante le regole stesse del linguaggio. Ponendo così l’accento sull’incertezza e difficoltà da parte della persona nel scegliere un’adeguata comunicazione metaforica (Mundt, 1995). Sin dalle prime fasi di vita e nel corso del proprio sviluppo intrapsichico, ciascun soggetto sviluppa un proprio modo di stare al mondo e con gli altri, dunque un proprio stile personale che gradualmente si traduce in vere e proprie rappresentazioni mentali e/o stati della mente (Siegel, J, D., 2001). Questi ultimi all’unisono risentono a pieno titolo sia di tonalità emotive che di impressioni personali in grado di conferire al proprio modo di percepirsi (in rapporto con sé stessi e gli altri) una vera e propria lente grazie alla quale orientarsi nel mondo. I soggetti psicotici possono essere difficili da comprendere poiché spesso e volentieri utilizzano stili comunicativi idiosincratici per entrare a contatto con altri individui (Cameron, N., 1954), trasformando una semplice metafora figurativa in un’equivalenza concreta che rischia di contro di tradursi in un’identità

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I soggetti psicotici possono essere difficili da comprendere poiché spesso e volentieri utilizzano stili comunicativi idiosincratici per entrare a contatto con altri individui (Cameron, N., 1954), trasformando una semplice metafora figurativa in un’equivalenza concreta che rischia di contro di tradursi in un’identità e/o pensiero delirante.

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e/o pensiero delirante. Nello specifico ciò a cui si assiste è una transizione da un qualcosa di figurativo in senso metaforico verso una concretizzazione vera e propria, rispetto alla quale il significato allegorico perde il suo potenziale evocativo e comunicativo. Sotto il profilo psicopatologico e storiografico Bleuler (Bleuler, E., 1911) ha descritto i disturbi dell’allentamento dei nessi associativi quale caratteristica peculiare della schizofrenia, entro cui vengono meno o si perdono del tutto sia il contesto di pensiero sia il contesto di parola orientato all’obiettivo. Dare un senso al linguaggio della psicosi Le associazioni non convenzionali (o allentamento delle associazioni), i disturbi relativi alla formazione dei simboli e l’impiego di metafore concrete sostituite a quelle figurative sono state considerate nel corso della storia i principi cardine della psicosi. Grazie ai preziosi contributi di Silvano Arieti è stato infatti possibile dare un volto più definito rispetto a questo quadro psicopatologico capace di intaccare clinicamente e significativamente la vita individuale e interpersonale dell’individuo che la sperimenta per la prima volta (Arieti, S., 1955) Secondo lo psichiatra Eugenio Borgna (Borgna, E., 2021) le psicosi difatti danno vita ad un vuoto e ad un senso di solitudine che rischiano di spingere l’individuo sino al suicidio; rispetto al quale il dialogo instaurato con sé stessi e interrotto con gli altri trova la massima espressione in un gesto così estremo come quello di togliersi la vita (Pompili, M., 2023). Per questo ad oggi l’impiego della terapia psicodinamica e di

quella cognitivo comportamentale si prefigge il compito di valorizzare una maggiore sensibilizzazione rispetto ad un fenomeno così ricco di sfumature eppure difficile da comprendere. Nel linguaggio psicotico la metafora concreta a differenza di quella figurativa è dunque preludio di una comunicazione che non sempre è facile da accogliere, seguire e guidare verso una nuova sorgente. Nello specifico, infatti, quello che emerge è un vero e proprio dramma autobiografico che non sembra conoscere confini, ma che al contrario rischia perennemente di fondersi con quei


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concetti che anziché evocare metafore e stili di pensiero astratti, annientano viceversa la vita individuale; facendo della propria lingua un’arma a doppio taglio. Se quindi nella metafora figurativa è presente una tensione cosiddetta isometrica tra somiglianza e differenza che rende possibile il confronto, viceversa nei quadri psicotici questa tensione si perde del tutto; quasi come vi fosse una fusione letterale con quello che al contrario vorrebbe evocare un’immagine. Le persone psicotiche per l’appunto perdono di vista le differenze tra gli elementi che vengono

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paragonati in una metafora, poiché una banale somiglianza si trasforma nell’immediato in un’uguaglianza. Il concretismo psichico a discapito di un linguaggio figurativo Quanto più si evince è proprio la tendenza verso un pensiero di tipo letterale e al contempo concreto in opposizione ad una metafora figurativa; un’inclinazione che sotto il profilo psicoanalitico è stato definito da diversi autori “metafora concreta”, “equivalenza simbolica” oppure ancora modalità di equivalenza psichica”. Tuttavia quanto risulta interessante sottolineare è proprio la compresenza di una memoria autobiografica non simbolizzata ed un’attività “mentale di natura primitiva”. Eppure questa netta distanza tra la metafora figurativa e quella concreta come sottolineato da Searles sembrerebbe svolgere una funzione di natura protettiva (Searles, H, F., 1962) Nello specifico l’autore ha sottolineato come proprio il concretismo sia in grado di proteggere l’individuo psicotico da quel potente bagaglio emotivo associato ai profondi conflitti presenti all’interno della propria psiche e di come proprio l’utilizzo della metafora concreta funga da barriera nei confronti di una dimensione emotiva inaccessibile. Carica di un vissuto affettivo ed esperienziale non integrato e per nulla simbolizzato; pertanto la risonanza emotiva grazie all’impiego di questo stile linguistico non solo subisce un arresto bensì un congelamento che ne previene l’espressione nei confronti del mondo esterno attraverso nuove e disfunzionali sequenze associative. La metafora concreta, dunque, si prefigge quale strumento preventivo e protettivo dinanzi a un mondo psi-

Le persone psicotiche per l’appunto perdono di vista le differenze tra gli elementi che vengono paragonati in una metafora, poiché una banale somiglianza si trasforma nell’immediato in un’uguaglianza.

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Nel quotidiano cogliere una metafora consente per l’appunto di ampliare il proprio bagaglio emotivo e cognitivo, di aggiungere un tassello da integrare nella nostra coscienza, rendendo il suo impiego una mini Epifania in grado di donarci una sensazione di benessere e di scoperta.

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chico entro il quale le emozioni e gli affetti non hanno mai incontrato un linguaggio in grado di restituire loro un nuovo nome. Viceversa quella figurativa organizza la propria esperienza affettiva, la esprime con vivace dinamismo creando collegamenti tra il pensiero verbale e le immagini sensoriali. Nello specifico secondo Modell (Modell, A., 2006) essa si rivela capace di operare un’organizzazione relativa alla memoria affettiva, consentendo peraltro un rimodellamento rispetto alle modalità con le quali i ricordi emergono alla coscienza. Sia il linguaggio che la vita mentale risentono di uno stretto collegamento adornato di ricordi e fantasie emotivamente coinvolgenti, collegati a loro volta ad altri ricordi per mezzo di ulteriori associazioni metaforiche (Seiden, H, M., 2004). Nel quadro psicotico questa concatenazione di associazioni risulta frammentata, non integrata ma soprattutto compartimentalizzata, al punto che l’immagine e la rappresentazione di noi stessi e del mondo non può essere arricchita ma al contrario salvaguardata attraverso una distanza. Portando l’individuo psicotico a cadere e restare intrappolato entro una modalità di equivalenza psichica in cui l’altro o un pensiero differente sono percepiti come minacciosi. Nel quotidiano cogliere una metafora consente per l’appunto di ampliare il proprio bagaglio emotivo e cognitivo, di aggiungere un tassello da integrare nella nostra coscienza, rendendo il suo impiego una mini Epifania in grado di donarci una sensazione di benessere e di scoperta. Una vera e propria esperienza estetica. La dinamica primitiva come riflesso

di una mancata integrazione L’aspetto affascinante risiede proprio nei possibili e invisibili collegamenti che l’uso della metafora può creare con il nostro mondo intrapsichico. Se appropriata essa può risultare rivelatrice e perché no finanche formativa, poiché aggiunge al nostro bagaglio personale una verità che in precedenza non è stata colta nell’immediato. Donando così una sensazione di benessere correlata ad una nuova scoperta grazie alla quale ampliare il proprio orizzonte di senso e le rispettive modalità interpretative di ciò che sentiamo e di quanto ci circonda. Tuttavia la medesima sensazione di piacere correlata ad una nuova scoperta, può evidenziarsi proprio all’interno della dimensione psicotica sotto il nome di apofania, attraverso la quale l’improvvisa scoperta e/o rivelazione di un significato, rischia di sfociare in una graduale cristallizzazione delirante (Conrad, K., 1997). Normalmente la comprensione di una metafora è accompagnata dalla sensazione di osservare o captare un qualcosa di aggiuntivo che prima non si era riusciti a cogliere, per cui se in individui non psicotici può apportare dei benefici anche interpersonali, negli individui con psicosi essa trova la sua equivalenza in una dimensione intima e profonda connotata da sentimenti, pensieri e percezioni che per il soggetto riflettono chiavi di lettura oltre i quali non trova posto il simbolo. Spinti da affetti intensi e insopportabili gli individui psicotici costruiscono metafore concrete accompagnate da identità fantasiose e deliranti capaci di restituire loro un nuovo ordine di senso; riflesso diretto dei propri vissuti emotivi.



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“SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI BASTA GIRARE LA TESTA DALL’ALTRA PARTE” Parla Ilaria Perversi la fumettista ultima new entry della campagna #Parliamone della Fondazione BRF di Chiara Andreotti

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a campagna #Parliamone ha unito fumettisti, grafici e illustratori per combattere lo stigma che ancora pesa sulla salute mentale. Quale mezzo migliore dell’arte per raccontare quello che sentiamo e ciò in cui crediamo? Anche Ilaria Perversi da oggi si unisce alla squadra di #Parliamone: il suo tratto delicato e i colori sfumati raccontano un mondo fiabesco, che forse richiama quello in cui è cresciuta: “Ho la fortuna di essere circondata da albi illustrati e libri per ragazzi. Mi ricordo di pomeriggi interi passati sdraiata sui libri giganti di Tony Wolf pieni di gnomi e giocattoli, di estati intere a leggere Harry Potter e Una serie di sfortunati eventi”, racconta Ilaria. “Dopo il liceo ho studiato Digital Animation in una scuola di cinema, quel mondo lì non l’ho mai abbandonato e passare alla carta stampata è stato un processo molto naturale, avvenuto al momento

giusto, quando mi sono concessa di tornare a disegnare.” Come nasce il tuo processo creativo? Tendo a pensare per immagini, quindi quando inizio un nuovo progetto inevitabilmente lo visualizzo prima nella testa. Parto spesso da un’idea molto nitida e quando passo alla lavorazione vera e propria raramente mi ci discosto completamente. Ti ritrovi mai ad avere un’idea che non riesci a realizzare come vorresti? Come reagisci? Un tempo mi capitava più spesso, devo dire che l’esperienza ha aiutato a ridurre questi momenti. Quando capita, dopo il primo momento di sconforto, cerco di non farne un dramma e di lasciarmi sorprendere dalla nuova soluzione che ho trovato: non è detto che alla fine non sia migliore rispetto a quella pensata per prima! Qual è il tuo rapporto con i social?


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Passo molto tempo sui social, sia per promuovere il mio lavoro, sia per condividere alcuni aspetti della mia vita e cause che mi stanno a cuore. Cerco di ripetermi spesso che “finché mi va, va bene”. La mia presenza sui social è molto libera e spontanea e faccio di tutto perché rimanga così, dovesse diventare un obbligo non sarebbe più un gioco che mi va di giocare. Senti mai il bisogno di staccare? Certo! E quando il bisogno arriva lo assecondo, senza remore. Quando hai percepito come reale il cambiamento climatico di cui da tempo si stava parlando? Sono sempre stata sensibile all’argomento, ma sicuramente la Illustrazione di Ilaria Perversi. Credi che i social per come sono comparsa di Greta Thunberg sulla scena mondiale ha dato un bello scossone oggi impattino molto su come percealla coscienza di molti. Il suo impegno piamo il cambiamento climatico? Sicuramente hanno contribuito alla è stato una vera ispirazione per me: mi sono informata sempre di più, mi sono diffusione di notizie allarmanti. In alcuimpegnata a condividere tutte le mie ni casi creando ansia, certo, ma anche scoperte con chi mi stava intorno e con aiutando a diffondere consapevolezza. Capita di imbattersi in account o la mia piccola community, ho iniziato a partecipare agli scioperi per il clima, ho influencer che, cavalcando il flusso di anche disegnato un libro sulla sua storia notizie negative oppure promuovendo (“Greta e il pianeta da salvare”, Glifo uno stile di vita sregolato, rischiano di alzare il livello della nostra ecoansia. edizioni).

“Sento mai il bisogno di staccare? Certo!. Quando arriva, lo assecondo senza remore”.

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“Tutelo la mia salute mentale facendomi il regalo più bello del mondo: andando in terapia. Chiacchiero con una psicoterapeuta da tre anni e la mia vita è cambiata drasticamente (in meglio!)”.

Cosa possiamo fare per vivere i social in maniera sana? Sto cercando di capirlo anche io! Per quel che mi riguarda, non seguo chi non mi rappresenta o chi propone stili di vita che non condivido o contenuti troppo incentrati sul consumismo. Spesso ci dimentichiamo che noi utenti abbiamo molto potere in tal senso. Come possiamo rendere la nostra presenza sul pianeta preziosa e non dannosa? Smettendo di girare la testa dall’altra parte, ammettendo di avere tra le mani un enorme problema e sforzandoci di fare il nostro per provare a risolverlo. Tu, Ilaria, vivi a Milano. Come hai affrontato i temporali che si sono abbattuti sulla tua città la scorsa estate? Abito nella parte di città che ha perso più alberi durante quel terribile temporale notturno del 25 luglio. La mattina dopo sono scesa in Ilaria Perversi. strada e sembrava che fosse avvenuta l’apocalisse, vedere interi filari di alberi per terra è stato spaventoso. Mi sono sentita completamente inerme e senza speranza. Sono riuscita a sollevarmi un po’ solamente quando mi è capitato sotto gli occhi un video di Sofia Pasotto su TikTok, lei è un’attivista molto in gamba e in questo video aveva raccolto consigli utili sul come ognuno di noi potesse fare qualcosa di concreto per affrontare questa situazione. Sono rimasta alzata fino alle tre di notte per trasformare questi consigli in disegni, sentivo l’urgenza di non rimanere con le mani in mano e diffondere questo messaggio a tutti coloro che si sentivano inutili come me.

In che modo in generale tuteli la tua salute mentale? Facendomi il regalo più bello del mondo: andando in terapia. Chiacchiero con una psicoterapeuta da tre anni e la mia vita è cambiata drasticamente (in meglio!). Come si riflette il tuo stato psicologico sul tuo lavoro? Tantissimo. Se sono triste, sopraffatta o di cattivo umore fatico molto a lavorare. Essendo una libera professionista, prendermi cura di me e fare in modo di essere in un buon stato mentale equivale a rendermi più produttiva. Sembra paradossale, ma una grossa parte del mio lavoro è rendermi felice. Quali sono i tuoi progetti futuri e cosa ti auguri per te e per il pianeta? L’anno prossimo uscirà “Vietato sputare fuoco”, il mio primo albo da autrice completamente scritto e illustrato da me. Spero nel futuro di poter continuare a lavorare alle mie storie, in un pianeta non più in emergenza climatica. Una consapevolezza verso il cambiamento climatico che deve necessariamente diventare una priorità di tutti: dei governi e dei singoli, perché solo insieme possiamo creare un vero cambiamento positivo. Allo stesso modo serve l’impegno di tutti per tutelare il benessere mentale e rivolgergli l’attenzione che si merita. Sul sito www.worthwearing.org è disponibile la nuova illustrazione creata da Ilaria e tutte le grafiche di #Parliamone, perché anche indossando una t-shirt possiamo creare consapevolezza.


Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

Visita la pagina #Parliamone sul sito www.fondazionebrf.org per acquistare i gadget della campagna e sostenere la ricerca


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PODCAST

NASCE IL PODCAST DELLA FONDAZIONE BRF ONLUS “CONVERSAZIONI” Una volta al mese si racconta il genio, l’arte e il talento del cervello contemporaneo con incontri laici con eminenti figure del Paese

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l 10 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale per la Salute Mentale, la Fondazione BRF Onlus metterà on-air (gratuitamente su tutte le principali piattaforme) il suo primo podcast. Si chiamerà “Conversazioni” e verrà realizzato in collaborazione con Sibilla - Storie dal presente. Si tratta di un podcast che affronterà, incontrando nomi significativi del panorama culturale e scientifico del nostro Paese, il tema della salute mentale in tutte le sue sfaccettature. Dall’arte figurativa alla musica, passando per la letteratura e la cinematografia, ovviamente nutrendosi di neuroscienze e psichiatria, Conversazioni accompagnerà una volta al mese - il 10 di ogni mese è prevista infatti una nuova uscita l’ascoltatore in un viaggio sonoro nei meandri della psiche, fra domande, ambizioni e riflessioni aperte. Il podcast non avrà un unico conduttore, a rimarcare come il filo conduttore dello stesso non sia l’host ma il contenuto, e sarà condotto a seconda dell’ospite di puntata da un membro diverso del comitato scientifico del-

la Fondazione BRF Onlus. Il logo è un’opera dell’artista Luchadora che ha partecipato alla campagna di sensibilizzazione della Fondazione BRF Onlus #Parliamone regalando una sua opera per l’iniziativa. La prima puntata coinvolgerà Lamberto Maffei, una fra le più eminenti figure scientifiche del nostro Paese. Professore di neurobiologia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Maffei ha incentrato la sua ricerca sullo studio del sistema visivo, a livello sia delle cellule della retina sia dei neuroni del talamo e della corteccia cerebrale, nell’uomo e negli animali da laboratorio. Dal 2009 al 2015 è stato presidente dell’Accademia dei Lincei e nel 2014 è stato insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Tra le sue opere spiccano i successi de “Elogio della lentezza” (2014) ed “Elogio della ribellione” (2016), tutti pubblicati da Il Mulino. Il podcast partirà dall’ultima pubblicazione dell’eminente scienziato, “Solo i folli cambieranno il mondo”


PODCAST

(Il Mulino, 2023), e dalle parole di Albert Einstein che notava come «solo coloro che sono abbastanza folli da poter pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero». Maffei accompagnerà l’ascoltatore - guidato da Carmine Gazzanni, giornalista e inviato RAI - nella follia che non è irrazionalità, ma può essere considerata una forma di pensiero eccentrico, capace di nuove interpretazioni, nuovi modi di vedere e nuovi modi di cogliere il mondo. Attraverso il

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racconto di artisti folli, Maffei mostrerà come la creatività possa salvare il mondo fornendo un punto di vista diverso, ma al tempo stesso vero e diretto. In un tempo ricco di incertezze e retto dalla pressione all’omologazione delle nuove tecnologie, l’autore regalerà un quadro della natura umana inedito, nuovo e autentico, dove non si nascondono fragilità, bellezza e paure dell’infinito e della fine, temi esistenziali propri dell’essere persone consapevoli.

Si tratta di un podcast che affronterà, incontrando nomi significativi del panorama culturale e scientifico del nostro Paese, il tema della salute mentale in tutte le sue sfaccettature.

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LIBRI

STORIA DELL’ELETTROSHOCK E DEL SUO CREATORE A metà fra il romanzo e la biografia, un’immersione nel destino di un uomo dimenticato. A firmarlo, l’anatomopatologo Patriarca di Flavia Piccinni

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a qualche tempo ho sul comodino “Shock” (Neri Pozza, pp. 155) di Carlo Patriarca. Ho iniziato a leggerlo mesi fa, poi l’ho abbandonato (temporaneamente) perché travolta dalle esigenze di lavoro, dunque con l’estate ho trovato il tempo di lasciarmi andare alla scrittura fluida e diretta di Patriarca, che di lavoro è medico anatomopatologo. Dopo aver studiato a Pavia e aver lavorato a Genova, Milano e Como, Patriarca ha pubblicato altri due libri “Il campo di battaglia è il cuore degli uomini” e “La sfida”. Adesso con “Shock” firma un libro che ondeggia in una prosa gravida di sentimenti e di sfumature, svelando “Shock” una storia che è intrisa di Carlo Patriarca orrore (nei confronti dei Neri Pozza, 2022 160 pagine, 17 euro malati mentali) e di futuro (quelli della scienza, i progressi della medicina che tanto doviziosamente vengono narrati e che paiono però, in taluni momenti, un gioco al massacro sulla pelle dei più deboli). Al centro di tut-

to c’è Ugo Cerletti, la cui scarna biografia dice che nacque a Conegliano nel 1877 e che morí nel 1963. Di professione era uno psichiatra, formato nel tempo in cui la psicoanalisi freudiana si imponeva in tutta Europa. Ma Cerletti inseguiva altre idee e altre terapie: soprattutto una, quella che lui stesso chiamò con il termine di elettroshock. Inventare e sostenere una pratica che in pochi decenni è diventata sinonimo di brutalità, di sofferenza e persino di tortura è stato per Cerletti una sciagura. Suo malgrado Cerletti ebbe un ruolo fondamentale nella storia della medicina e diventò, agli occhi di molti, il carnefice dei pazzi. Un’onta che investí lui e la sua invenzione, di cui si mise in dubbio l’efficacia. Ed è così, dall’analisi profonda della storia e da un approccio decisamente libero, che scaturisce questo romanzo che è biografia di Cerletti e allo stesso tempo fotografia di un’invenzione che ha cambiato le sorti di molti uomini in tutto il mondo. E che ancora oggi continua a farlo.


ARTE

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L’ARTE COME MEZZO DI DISSENSO VANDALISMO O GIUSTA PROTESTA? Strumento con il ruolo di raccontare le mutazioni sociali e immortalare periodi storici, idee, necessità di Chiara Andreotti

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arte in tutte le sue varie forme ha un ruolo ben preciso nel corso della storia: raccontare di una società in continuo cambiamento, fotografare attraverso una tela oppure una scultura un momento storico, un passaggio, un pensiero, un’idea, una necessità. È per questo che siamo portati a tutelare nel miglior modo possibile le bellezze che ci circondano: quelle nei musei e quelle nelle strade in quanto espressione della nostra identità come popolo. Allora cosa spinge gli attivisti del cambiamento climatico a danneggiare talvolta permanentemente le opere nei musei o le statue nelle piazze? Ricordiamo tutti “I Girasoli” di Van Gogh imbrattati di vernice rossa, “La Primavera” di Botticelli a cui due giovani si sono incollati con le mani, e ancora Klimt, Monet, Goya. Sono distribuiti in tutta Europa i musei che sono stati cornice delle proteste degli attivisti climatici. “Non è vandalismo”, dichiarano quando intervistati, anzi definiscono le loro azioni come un grido di allarme di una generazione che non vede un futuro. Sono queste, infatti, le generazioni che sentono tutto il peso degli allarmi degli scienziati, che sono consapevoli del fatto che il loro futuro sarà segnato da eventi climatici sempre più avversi, dalla

mancanza di risorse e da un riscaldamento globale dal quale non c’è ritorno. La paura che i governi e le grandi aziende continuino a investire in azioni che danneggiano il clima spinge le organizzazioni ad attivarsi come possono: ma se le manifestazioni davanti alle sedi delle principali istituzioni non portano ad alcun risultato allora le uniche strade sono quelle di creare disagi alla popolazione comune. Bloccare il traffico nei principali raccordi stradali e imbrattare con vernice le opere d’arte diventano urla che devono essere ascoltate. Naturalmente il danneggiamento dell’opera non è il fine ultimo, ma si cerca di sensibilizzare il pubblico verso un problema reale e sempre più vicino. D’altra parte, è vero che creare disagio è il primo passo per attirare attenzione sul problema: scioperi e parate sono solo alcune delle forme attraverso le quali chi vuole protestare agisce. Perché allora gli attivisti del clima stanno creando scalpore? È giusto condannarli o dobbiamo riuscire a ritrovare il ruolo originale dell’arte quale mezzo per raccontare la società, lo strumento attraverso cui possiamo esprimere dissenso, rabbia, frustrazione? Un interrogativo certamente attuale e necessario che porterà ad un vero ribaltamento nella visione che abbiamo dell’arte.

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FILM

DON’T LOOK UP. E SE CI COLPISSE UN ASTEROIDE? Commedia grottesca e satirica che ci rappresenta più di quanto vorremmo. Con Jennifer Lawrence e Leonardo Di Caprio di Chiara Andreotti

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se un asteroide colpisse la Terra? Saremmo capaci di evitarlo? Lo racconta Adam McKay in “Don’t look up”, uscito nel 2021 per Netflix. Una commedia grottesca e satirica che ci rappresenta più di quanto vorremmo. L’astronoma Dibiasky (Jennifer Lawrence) e il professor Mindy (Leonardo Di Caprio) scoprono una cometa che colpirà e distruggerà il nostro pianeta nel giro di sei mesi. Cercano di allertare le istituzioni nella figura presidenziale di Janie Orlean (Meryl Streep) che liquida la questione troppo presa dalle elezioni in vista. I due scienziati scelgono quindi di trasgredire alle indicazioni comunicando alla popolazione mondiale l’impatto che avverrà attraverso un programma televisivo ma anche questa mossa si rivela un fallimento completo. La popolazione si divide in chi crede fermamente nell’esistenza della cometa e lotta per la sua distruzione così da salvare l’umanità e chi la rinnega totalmente, attaccandosi allo slogan “Don’t look up” (Non guardate in alto), mostrando i lati peggiori dell’umanità. Una pellicola divertente e sconfortante

al tempo stesso, che cerca di far sorridere lo spettatore a tutti i costi. La critica si è divisa davanti all’ultimo lavoro di McKay: chi ne esalta i temi, chi ne critica le scelte. Certo è che la lunghezza, arrivati nella seconda metà del film, pesa parecchio sullo spettatore e non si riesce a capire se si tratta di una modalità narrativa ricercata o piuttosto uno sbandamento di percorso. Lo stile di McKay (La grande scommessa e Vice - L’uomo nell’ombra) è riconoscibile e il cast stellare richiama l’attenzione su tematiche drammaticamente attuali: il rischio dell’emergenza climatica, le posizioni avvilenti della politica, le grandi aziende che portano avanti scelte discutibili, i media disinformativi, una popolazione talvolta cieca e ignorante. È una storia che ci obbliga a rivalutare il nostro presente con uno sguardo critico, a considerare le reali conseguenze non di una cometa immaginaria indirizzata verso la terra, ma di un cambiamento climatico annunciato e certificato da dati inequivocabili. È il ritratto di una società che conosciamo fin troppo bene e nella quale forse, nostro malgrado, ci vediamo riflessi.


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Lo iato tra la Psichiatria e la Medicina: che fare? di Pietro Pietrini Psichiatra, Scuola IMT Alti Studi Lucca

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artendo dall’osservazione dei sintomi e dei segni visibili ad occhio nudo, il percorso diagnostico in Medicina procede avvalendosi di esami di laboratorio e strumentali fino a quando si raggiunge – con ragionevole certezza - la diagnosi di una specifica patologia. Questo processo, proprio di tutte le branche della medicina – dall’allergologia all’urologia, passando per la cardiologia, l’oncologia ed anche la neurologia – vede un’unica eccezione: la Psichiatria. Non esiste alcuna molecola che si possa misurare nel sangue per valutare la gravità di un disturbo psichiatrico o la sua risposta ad una terapia. Al più, gli esami strumentali e di laboratorio prescritti in psichiatria servono solo ad escludere la concomitante presenza di patologie di altre discipline mediche – quali disturbi ormonali o neurologici - che possono avere anche manifestazioni psichiche. L’assenza di procedure diagnostiche oggettive ha portato ad una sempre maggiore separazione tra la Psichiatria e le altre discipline mediche, con notevoli ripercussioni sia nella clinica sia nella ricerca

sia ancora in ambito forense. Non a caso ancor oggi è invalso l’uso di definire come “funzionali” i pazienti affetti da patologie psichiatriche, comprese le psicosi affettive e schizofreniche, essendo non riscontrabile in questi individui qualsivoglia correlato oggettivo di malattia, al contrario di quanto accade, ad esempio, nei pazienti con patologie neurologiche. Questa distinzione non riflette altro che la nostra incapacità di andare al di là di ciò che è quasi letteralmente visibile ad occhio nudo, considerato che ogni espressione della mente ha e non può che avere un correlato biologico che trova origine nella meravigliosa architettura morfologico-funzionale del nostro cervello. L’assenza di riscontri obiettivabili nelle patologie psichiatriche ha avuto un effetto deleterio anche a livello della percezione sociale delle malattie mentali che, ancora oggi, sono considerate non alla stregua delle altre patologie o, peggio ancora, condizioni da celare, di cui non parlare e di cui vergognarsi. Poiché quasi tutti i disturbi psichiatrici hanno il loro esordio nell’adolescenza, gli effetti


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Brain Ott 2023

CONTRIBUTO

sulla qualità della vita e lo sviluppo psico-sociale dell’individuo sono devastanti, e contribuiscono significativamente all’abbandono scolastico. A tutto questo è conseguita un’elevata discordanza diagnostica, con effetti a cascata anche in ambito della ricerca sperimentale e clinica, considerato che i criteri di definizione diagnostica sono stati in balia di multiformi e discordanti Scuole di pensiero, arrivando a differire da specialista a specialista persino all’interno della stessa sede. Questo iato che separa la Psichiatria dalle altre discipline mediche sembra destinato ad aumentare, basti pensare all’enorme sviluppo di esami di laboratorio e strumentali che permette una diagnosi precoce quando non addirittura pre-clinica, vale a dire prima della comparsa di

qualsivoglia sintomo, basti rammentare i marcatori genetici, come il BRCA-1 e il BRCA-2 (BReast CAncer gene 1 e 2) per il tumore della mammella e dell’ovaio o le mutazioni nel gene che codifica l’huntingtina nella Corea di Huntington. Queste capacità diagnostiche in Medicina stanno portando alla realizzazione di percorsi terapeutici sempre più personalizzati, mirati su profili specifici della patologia e dei singoli pazienti, potendo conoscere in anticipo, ad esempio, se un dato farmaco anti-tumorale avrà effetti su quel tipo specifico di patologia oncologica.Potranno le continue conoscenze delle neuroscienze sperimentali arrivare a identificare veri e propri biomarcatori di malattia, così da rendere finalmente anche la Psichiatria una vera disciplina medica?


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