Anno II | N. 8 | Ottobre 2021
BRAIN TI CURO ONLINE
Post-Covid con e-Mental health e telemedicina Gli investimenti del PNRR nella terapia da remoto
Le dipendenze alimentari dovute alla pandemia
Disturbi del sonno tra infanzia e adoloscenza
EDITORIALE
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La salute mentale sia un obiettivo dell’agenda politica (e non solo) di Armando Piccinni
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siste un fil-rouge che lega la pandemia alla nostra dimensione psicologica e psichiatrica di questo periodo. Nessuna categoria considerata per età e sesso è esente dal coinvolgimento nei problemi della salute mentale. L’impatto del Covid-19 sulla salute mentale di tutti, specie di giovani e giovanissimi, è attualmente fonte di grande preoccupazione. La malattia e le misure di contenimento come l’allontanamento sociale, la chiusura delle scuole e l’isolamento hanno avuto un impatto negativo sull’equilibrio mentale e sulla maturazione di bambini e adolescenti. Ansia, depressione, disturbi del sonno e dell’appetito, compromissione delle interazioni sociali ed incremento dei gesti autolesivi e dei tentativi di autosoppressione sono manifestazioni riportate quotidianamente dalle cronache. È necessario ed urgente mettere a punto metodi di protezione e sostegno per aiutare i ragazzi a superare questa difficile fase della loro vita. È fondamentale che i clinici ed i ricercatori mettano a punto strategie di approccio efficaci ed adatte ai bisogni di questa fascia di età. È indispensabile che queste misure vengano adottate nell’ambito di servizi di
salute mentale per bambini e adolescenti che al momento appaiono gravemente deficitari per la loro scarsa presenza sul territorio e per il numero insufficiente di operatori impiegati. Nonostante i dati allarmanti, la condizione della salute mentale continua a essere sottovalutata nel nostro Paese. Ed è un richiamo doveroso considerando che abbiamo appena vissuto, il 10 ottobre, la Giornata mondiale della salute mentale. Benché sia un elemento centrale capace di condizionare in modo significativo l’economia nazionale e nel contempo di influenzare la vita di milioni di italiani – e degli individui a questi vicini – questo argomento in Italia continua ad essere considerato in modo molto marginale. Lo dicono, dopotutto, i dati: la spesa sanitaria destinata alla salute mentale nel nostro Paese è una delle più basse in Europa. È indispensabile, pertanto, che tutti gli operatori della salute mentale sentano la necessità di esprimere il disagio che proviene dall’insufficienza delle strutture e dei mezzi attualmente a disposizione. I tempi sono maturi per cercare soluzioni rapide e radicali per portino al miglioramento dell’organizzazione e dei mezzi a disposizione della salute mentale in Italia.
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Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale
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Anno II | N. 8 | Ottobre 2021
BRAIN SOMMARIO EDITORIALE
3 La salute mentale sia un obiettivo dell’agenda politica (e non solo) di Armando Piccinni
TI CURO ONLINE
Post-Covid con e-Mental health e telemedicina Gli investimenti del PNRR nella terapia da remoto
Le dipendenze alimentari dovute alla pandemia
Disturbi del sonno tra infanzia e adoloscenza
PRIMO PIANO
8 La telemedicina in Italia:
partenza a rilento ma sarà l’inizio di una nuova era di Carmine Gazzanni
14 Telepsichiatria: che futuro per la e-mental health? di Carmine Gazzanni
18 PNRR e Recovery Fund: tutti gli
investimenti per la telemedicina di Carmine Gazzanni
Brain Anno II | N. 8 | Ottobre 2021 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca
44 Bambini sempre più irrequieti
E gli adulti faticano a sintonizzarsi di Alessandro Righi
46 Ictus, una macchina
per leggere i pensieri di Francesco Carta
48 Arrabbiati cronici, ecco perché non è solo questione di un “brutto carattere di Alessia Vincenti
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50 Esiste una “formula del successo” delle opere d’arte di Antonio Acerbis
L’INTERVISTA
22 Così la pandemia ha influito sulla dipendenza alimentare di Carmine Gazzanni L’INCHIESTA
26 Microbiota enterico benefit nell’asse intestino-cervello (anche terapeutici) di Giuseppe Calamita e Armando Piccinni
30 Così il Parlamento lavora per
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contrastare i disturbi alimentari di Stefano Iannaccone FOCUS
34 I disturbi del sonno in infanzia e adolescenza di Chiara Pfanner, Elena Marinari, Silvio Presta
36 Le sfide per combattere l’Alzheimer nei prossimi anni
CINEMA E TV
53 Modern Love, l’amore ai tempi (anche) del disturbo bipolare dI Chiara Andreotti TITOLI DI CODA
55 Un viaggio nell’universo infinito del cervello di Pietro Pietrini
di Duccio Petroni SALUTE
40 I danni “collaterali”
della pandemia: narcisismo da social tra gli adolescenti di Antonio Acerbis
Ecco come il Covid può
42 causare danni neurologici di Chiara Andreotti
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LA TELEMEDICINA IN ITALIA: PARTENZA A RILENTO MA SARÀ L’INIZIO DI UNA NUOVA ERA Cos’è, come funziona, che uso se ne fa in Italia: così risparmieremmo 66 milioni di ore
di Carmine Gazzanni
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on c’è dubbio. Le tecnologie digitali rappresentano senza ombra di dubbio un’opportunità di miglioramento fondamentale per tutta la società, e dunque anche per la sanità. La componente “2.0” potrebbe favorire un sistema più sostenibile, equo ed efficace. C’è da dire che la pandemia ha senz’altro accelerato la diffusione di strumenti digitali per la cura e l’assistenza, accelerandone anche la conoscenza e l’uso da parte di cittadini, medici e strutture sanitarie. La cosiddetta telemedicina è di fatto entrata nell’agenda dei decisori politici. Questo, però, non vuol dire che siamo ormai partiti in questa strada verso il futuro: il percorso per una sanità digitale post pandemia appare ancora frammentato e di complessa attuazione. Partiamo, però, dallo spiegare cosa si intenda per telemedicina. Secondo le linee del ministero della Salute, i servizi di telemedicina possono essere classificati in 3 grandi macro-aree: telemedicina specialistica, telesalute e teleassistenza. LE APPLICAZIONI DELLA TELEMEDICINA Con la prima si intende che i pazienti possono fruire di servizi e prestazioni a distanza nell’ambito di una specifica disciplina medica. Rientrano in questa categoria le seguenti modalità di interazione: la televisita (che prevede l’interazione di paziente e medico/specialista attraverso un supporto video in tempo reale), il teleconsulto (in cui a interagire sono medici e specialisti per definire una diagnosi o scegliere una terapia. Si tratta di un’attività di consulenza a distanza), la telecooperazione (che prevede l’assistenza di un medico o di un altro ope-
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Secondo le linee del ministero della Salute, i servizi di telemedicina possono essere classificati in 3 grandi macro-aree: telemedicina specialistica, telesalute e teleassistenza. Con la prima si intende che i pazienti possono fruire di servizi e prestazioni a distanza nell’ambito di una specifica disciplina medica.
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ratore sanitario a un altro medico o altro operatore sanitario mentre svolge la prestazione). Con telesalute, invece, si intende un servizio di assistenza personalizzato che mette in collegamento diretto i pazienti (soprattutto quelli cronici o gli anziani) con il loro medico, che li assiste nella diagnosi, nel monitoraggio dei parametri vitali, nella gestione del percorso di cura, attraverso il telemonitoraggio dei loro parametri vitali a distanza. La registrazione e trasmissione dei dati può essere automatizzata o realizzata da parte del paziente stesso o di un operatore sanitario, e questa modalità d’interazione prevede un ruolo attivo del medico e del paziente. Infine, con il termine teleassistenza si indicano tutti quei servizi di socio-assistenza a persone fragili o diversamente abili, presso il loro domicilio, tramite la gestione di allarmi, l’attivazione dei servizi di emergenza o di chiamate di “supporto” da parte di un centro servizi. I vantaggi sono evidentemente sotto gli occhi di tutti. Gli strumenti di telemedicina consentono di assistere i pazienti, visitarli e fare consulti da remoto; inviare e ricevere documenti, diagnosi e referti in modo immediato a distanza; tenere costantemente monitorati i parametri vitali dei pazienti in cura. Più in generale il sistema digitale consentirebbe equità di accesso (pensiamo ad esempio al raggiungimento di comunità montane), maggiore qualità dell’assistenza garantendo la continuità delle cure (assistenza sanitaria in sicurezza, evitando ai pazienti di recarsi presso gli studi dei medici e degli specialisti) e infine migliore efficacia, efficienza, appropriatezza (anche nell’eventualità di una più semplice e più concreta collaborazione tra i diversi stakehol-
der che interagiscono lungo il percorso di cura dei pazienti). LENTA PARTENZA: I DATI IN ITALIA Resta, però, la domanda: che uso si è fatto della telemedicina fino ad oggi in Italia? Gli ultimi dati ci dicono che la spesa per la sanità digitale è cresciuta del 5% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore di 1,5 miliardi di euro, pari all’1,2% della spesa sanitaria pubblica. Il di-
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gitale è un canale sempre più usato dai cittadini per cercare informazioni sanitarie: il 73% ha cercato in rete informazioni sui corretti stili di vita (rispetto al 60% del 2020) e il 43% si è informato online sulla campagna vaccinale. Ma anche per la prevenzione e il monitoraggio della propria salute, con il 33% dei pazienti che usa App per controllare il proprio stile di vita e più di uno su cinque che utilizza App per ricordarsi di prendere un farmaco (22%) o per monitorare i pa-
rametri clinici (21%). Da una parte, dunque, pare ci sia una effettiva predisposizione del paziente, dall’altra un servizio frammentato da parte del sistema sanitario. Questo in sintesi, è quanto emerso dalla Ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano presentata nel maggio scorso a Milano. Uno dei punti più critici sono le competenze digitali dei professionisti sanitari, oggi insufficienti per cavalcare i nuovi trend della rivoluzione tecnologica. Il 60% dei medici specialisti e dei medici di medicina generale ha sufficienti competenze digitali di base (Digital Literacy), legate all’uso di strumenti digitali nella vita quotidiana, ma solo il 4% ha un livello soddisfacente in tutte le aree delle competenze digitali professionali (eHealth Competences). Di fatto, un Servizio Sanitario Nazionale più digitale e connesso non può prescindere da un’adeguata gestione e valorizzazione dei dati in sanità. E questo è un altro punto essenziale: l’asset principale per la raccolta dei dati sui pazienti, Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), è ancora poco sfruttato: solo il 38% della popolazione ne ha sentito parlare e solo il 12% è consapevole di averlo utilizzato. Da questo punto di vista, la messa a regime del Fascicolo Sanitario Elettronico deve costituire una priorità assoluta per il nostro Sistema Sanitario e deve essere accompagnata da un’adeguata campagna di informazione perché la limitata consapevolezza della sua esistenza fra i cittadini rappresenta la principale barriera a una sua piena diffusione. PROSPETTIVA ROSEA: ECCO PERCHÈ INVESTIRE Qualche passo in avanti, però,
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Con telesalute, invece, si intende un servizio di assistenza personalizzato che mette in collegamento diretto i pazienti (soprattutto quelli cronici o gli anziani) con il loro medico, che li assiste nella diagnosi, nel monitoraggio dei parametri vitali, nella gestione del percorso di cura, attraverso il telemonitoraggio dei loro parametri vitali a distanza.
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Con il termine teleassistenza si indicano tutti quei servizi di socio-assistenza a persone fragili o diversamente abili, presso il loro domicilio, tramite la gestione di allarmi, l’attivazione dei servizi di emergenza o di chiamate di “supporto” da parte di un centro servizi.
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negli anni è stato compiuto. Gli ultimi dati ci dicono che i servizi digitali più utilizzati sono il ritiro online dei documenti clinici (37%, contro il 29% pre-emergenza), la prenotazione online di visite ed esami (26%) e il pagamento online (17%). Il 45% dei cittadini che ha prenotato un vaccino lo ha fatto online (il 29% fra gli over 65). Rispetto alla comunicazione fra medici e pazienti, è stato analizzato anche il punto di vista dei medici specialisti. L’email è lo strumento più utilizzato sia dai medici (79% dei medici di famiglia e 85% degli specialisti) sia dai pazienti (55%), ma con l’emergenza è cresciuto rapidamente l’impiego di piattaforme di collaborazione da parte dei medici di famiglia (54% contro il 12% di prima della crisi Covid), dei medici specialisti (70% contro il 30% in precedenza) e dei pazienti (30% contro l’11%). Novità pare ci siano anche nell’ambito della effettiva telemedicina. Il servizio più utilizzato teleconsulto con medici specialisti (lo usa il 47% degli specialisti e il 39% dei medici di famiglia), che attira anche l’interesse in prospettiva di 8 medici su 10. Seguono la televisita (39% degli specialisti e dei medici di famiglia) e il telemonitoraggio (28% specialisti e 43% medici di famiglia). Questi servizi sono ancora poco usati dai pazienti, non tanto per mancanza di interesse ma a causa di un’offerta an-
cora limitata. La telefonata o la videochiamata di controllo con il medico sono ancora la modalità più utilizzata per il monitoraggio a distanza dello stato di salute (23% dei pazienti). Ancora marginale l’uso di servizi di telemedicina strutturati, come la televisita con lo specialista (8%), la Tele-riabilitazione (6%), il telemonitoraggio dei parametri clinici (4%), che però riscuotono un forte interesse in prospettiva. È bene però precisare un aspetto fondamentale: la telemedicina ovviamente non sostituirà in toto la visita canonica medico-paziente ma può viaggiare in parallelo, agevolando molto sia il lavoro del medico e dello specialista che la visita per il paziente. Secondo i medici specialisti, le soluzioni di telemedicina consentirebbero di organizzare da remoto circa il 20% delle visite di controllo ai pazienti cronici. Idea condivisa anche dai pazienti, per i quali la percentuale di visite da remoto supera il 40% per molte patologie. Nel 2019 solo il 3% delle visite effettuate da medici specialisti con pazienti cronici si è svolto digitalmente. E da qui la fondamentale stima dell’Osservatorio che ha condotto lo studio: grazie al potenziamento dei servizi di telemedicina sarebbe possibile risparmiare 48 milioni di ore ad oggi sprecate in spostamenti evitabili, che sale a quota 66 milioni di ore se si considera che il 35% dei pazienti viene accompagnato dal medico da un caregiver.
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TELEPSICHIATRIA CHE FUTURO PER LA E-MENTAL HEALTH? È uno degli ambiti più studiati negli ultimi anni Ecco i (tanti) vantaggi e i (pochi) svantaggi ancora da risolvere
di Carmine Gazzanni
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uò esistere la tele-psichiatria o, se si vuole, la psichiatria digitale? È possibile l’utilizzo di strumenti 2.0 anche per rendere più efficace la visita psichiatrica? La domanda è, in realtà, mal posta. La telepsichiatria, infatti, non nasce oggi ma, anzi, è una delle più antiche applicazioni della telemedicina. La prima documentazione di telemedicina in psichiatria proveniva dall’Università del Nebraska, dove nel 1956 fu utilizzato un sistema televisivo a doppio circuito chiuso a scopi educativi e medici. Nel 1961, la videoconferenza venne utilizzata per condurre psicoterapia di gruppo per adulti. Nel 1973, il termine telepsichiatria fu usato per la prima volta da
Dwyer T.F. per descrivere i servizi di consulenza forniti dal Massachusetts General Hospital in un sito medico a Boston. Poco dopo, la telepsichiatria fu usata per i bambini e gli adolescenti da una clinica di assistenza all’infanzia a New York City. In questa storia, ovviamente, c’è un ma. Nonostante questo successo iniziale e le successive notizie sulla sua utilità e accettazione, la telepsichiatria fu usata solo sporadicamente negli anni ‘60 e ‘70. I progressi tecnologici alla fine degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90, che hanno ridotto i costi delle attrezzature, insieme all’aumento dei finanziamenti da parte delle agenzie governative, hanno portato a un aumento dei programmi di telepsichiatria in Nord America, Europa e Australia, che tut-
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tavia ancora non hanno trovato il loro effettivo decollo. Ad “aiutare” in questo potrebbe essere stata proprio la pandemia da Covid-19. “Sulla base dei recenti finanziamenti e delle tendenze della letteratura, sembra che la psichiatria stia scommettendo sulla psichiatria digitale per fornire una migliore salute mentale su larga scala. E perché no? Le fonti digitali di dati sulla salute mentale sono disponibili e in crescita esponenziale e le modalità di analisi sono in costante miglioramento”, scrivono gli autori di un editoriale pubblicato ad aprile su The Lancet Psychiatry. Non solo. Digitando “e-mental health”, sul motore di ricerca PubMed si trovano indicizzati 550 artico-
li scientifici. Inserendo invece “digital mental health”, gli articoli salgono a 3.421 con un netto aumento delle pubblicazioni a partire dal 2016 e un picco nel 2020. Il motivo è presto detto: il distanziamento, l’isolamento o la quarantena hanno reso impossibile in molti casi il diretto contatto tra paziente e operatore di salute mentale (psichiatra, infermiere, psicologo, terapista della riabilitazione, assistente sociale etc.). È stato perciò necessario provare a reinventare una modalità per garantire le cure a tutti coloro che ne avevano bisogno. E in un mondo in cui tutto è social e applicazioni, anche proprio le app per la salute mentale si stanno diffondendo online: negli store degli Stati Uniti ne circolano 20mila e mol-
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La telepsichiatria non nasce oggi ma è una delle più antiche applicazioni della telemedicina. La prima documentazione di telemedicina in psichiatria proveniva dall’Università del Nebraska, dove nel 1956 fu utilizzato un sistema televisivo a doppio circuito chiuso a scopi educativi e medici.
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Digitando “e-mental health”, sul motore di ricerca PubMed si trovano indicizzati 550 articoli scientifici. Inserendo invece “digital mental health”, gli articoli salgono a 3.421 con un netto aumento delle pubblicazioni a partire dal 2016 e un picco nel 2020.
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te delle più popolari hanno milioni di utenti. Ovviamente a riguardo nasce un discorso - fondamentale - sull’affidabilità di alcune di queste app. Ma resta il punto: la sola ricerca di applicazioni di questo genere sono sintomo di una domanda sempre più crescente. E, non a caso, studi e tentativi di una “terapia digitale” sono stati fatti. Il 26 marzo 2020 la Food and Drug Administration ha concesso l’autorizzazione all’uso per una terapia digitale di prescrizione medica per il trattamento di pazienti adulti con insonnia cronica utilizzando la Terapia cognitiva comportamentale per l’insonnia (CBTi). Il 16 giugno 2020 la Food and Drug Administration ha concesso l’autorizzazione all’uso
per un’altra destinata al trattamento di bambini con diagnosi di Disturbo da deficit attentivo con iperattività (Adhd), prima terapia digitale di prescrizione medica basata su videogioco. Sta prendendo piede, dunque, la possibilità di ricorrere a “medical device” nella sfida di ottenere un significativo miglioramento di una malattia o una rilevante attenuazione dei disturbi che essa comporta. VANTAGGI E SVANTAGGI «Le tecnologie che sono state sfruttate per i servizi e gli interventi di salute mentale elettronica includono, ma non sono esclusivi, siti web, portali, social media, soluzioni di videoconferenza, realtà virtuale, chatbot, smartphone, app (ad esempio, applicazioni softwa-
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re sviluppate per dispositivi mobili ) e dispositivi indossabili con sensori (dispositivi che misurano dati fisiologici e comportamentali, come la frequenza cardiaca e i modelli di sonno). I dispositivi mobili e i dispositivi indossabili sono stati studiati per verificarne la fattibilità e il potenziale per supportare il trattamento della salute mentale e il monitoraggio di sintomi e comportamenti, come i modelli di sonno e l’attività fisica», scrive in uno studio scientifico recente il ricercatore canadese Shalini Lal. Che aggiunge: «Il campo della salute mentale elettronica è proliferato negli ultimi dieci anni in parte a causa dell’ampia gamma di benefici e punti di forza ad esso associati [...] A questo proposito, la salute mentale elettronica ha il potenziale per aumen-
tare la portata dei servizi per le persone che vivono in zone rurali e remote, ma anche per coloro che vivono in contesti urbani e semiurbani affrontando varie barriere all’accesso alle cure, come i trasporti, disabilità o conflitti di programmazione». Uno degli esempi più notevoli in cui la telepsichiatria è stata utilizzata per aumentare l’accesso è in relazione alle terapie psicologiche. Ad esempio, scrive ancora Lal, «i servizi di terapia comportamentale (CBT) sono spesso forniti da persone altamente qualificate, in formato 1:1, nel contesto di un ufficio/clinica, con lunghe liste di attesa. In risposta, sono state sfruttate varie forme di tecnologia per fornire CBT, altrimenti indicato come CBT fornito da Internet (iCBT). La CBT fornita da Internet (auto-guidata, guidata dal terapista o in combinazione) è stata ampiamente studiata; diverse revisioni della letteratura hanno riportato che l’iCBT assistita dal terapista è accettabile per i pazienti e può essere efficace quanto la CBT di persona, in particolare per la depressione e l’ansia». Non solo. È stato anche notato in letteratura che gli interventi di salute mentale elettronica possono avere benefici in termini di miglioramento della continuità dell’assistenza e del coinvolgimento dei servizi attraverso media interattivi e approcci personalizzati. Tutto oro, dunque? No. Nonostante gli evidenti benefici, restano ancora dei punti da risolvere. I punti deboli, non ancora completamente risolti, riguardano ad esempio il tema della sicurezza dei dati e la necessità di mantenere la privacy. Su questo aspetto ancora c’è del lavoro da fare. Insomma, la strada è ancora lunga. Ma è un fatto indubitabile che la telepsichiatria è un campo fortemente studiato e in netta espansione. E che potrebbe essere la chiave di volta per il futuro della salute mentale.
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“Le tecnologie che sono state sfruttate per i servizi e gli interventi di salute mentale elettronica includono, ma non sono esclusivi, siti web, portali, social media, soluzioni di videoconferenza, realtà virtuale, chatbot, smartphone, app e dispositivi indossabili con sensori. I dispositivi mobili e i dispositivi indossabili sono stati studiati per verificarne la fattibilità e il potenziale per supportare il trattamento della salute mentale e il monitoraggio di sintomi e comportamenti, come i modelli di sonno e l’attività fisica”.
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PNRR E RECOVERY FUND TUTTI GLI INVESTIMENTI PER LA TELEMEDICINA L’obiettivo è cambiare il paradigma con l’obiettivo “One Health”
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biettivo: telemedicina. E telepsichiatria. Sono anche questi alcuni dei punti a cui tende il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (l’ormai famoso PNRR) per utilizzare i finanziamenti del Recovery Fund in arrivo dall’Europa. Entriamo a questo punto nel dettaglio. Il 27% delle risorse del PNRR sono dedicate alla transizione digitale, sviluppata lungo due assi: la banda ultra-larga e la trasformazione della Pubblica Amministrazione in chiave digitale. Altri fondi sono destinati dal Piano all’innovazione digitale di infrastrutture, di fisco, di sicurezza, sanità pubblica, turismo e cultura, sistema scolastico e ricerca universitaria. E ancora. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dedica al valore universale “Salute” la Missione 6, destinandovi un totale di 15,63 miliardi di euro. Questa missione, nel dettaglio, si articola in due componenti: la componente M6C1 “Reti di
prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale”; e la componente M6C2 “Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale”. Ed è ovviamente quest’ultima quella in cui ricade la telemedicina. Alla componente M6C2 sono destinati 8,63 miliardi di euro. Andando ancora più nello specifico: 1,26 miliardi di euro sono destinati alla formazione, ricerca scientifica e trasferimento tecnologico; 7,36 miliardi di euro sono invece destinati all’aggiornamento tecnologico e digitale. C’è da precisare che il PNRR sottolinea chiaramente che l’attuazione della riforma intende perseguire una nuova strategia sanitaria, sostenuta dalla definizione di un adeguato assetto istituzionale e organizzativo, che consenta al Paese di conseguire standard qualitativi di cura adeguati, in linea con i migliori paesi europei, e che consideri sempre più il SSN come parte di un più ampio sistema di welfare comunitario.
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Ed è per questa ragione che in realtà la riforma proseguirà, almeno negli intenti, in senso complementare: la telemedicina potrebbe - e dovrebbe - toccare anche la componente M6C1. A questa linea di investimento, infatti, sono destinati 7 miliardi in più della seconda. In questo caso gli interventi intendono rafforzare in generale le prestazioni erogate sul territorio grazie: al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità); al rafforzamento dell’assistenza domiciliare; ad una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari; e, per quanto qui interessa, allo sviluppo della telemedicina. D’altronde è scritto chiaramente nel PNRR. La modernizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, si legge, «prevede di potenziare anche la telemedicina e aggregare le migliori piattaforme regionali per garantire assistenza sanitaria remota, in ag-
giunta a quella domiciliare». In ogni caso gli interventi ci saranno dopo la presentazione di progetti di telemedicina proposti dalle Regioni sulla base delle priorità e delle linee guida definite dal ministero della Salute. I progetti potranno riguardare ogni ambito clinico e promuovere un’ampia gamma di funzionalità lungo l’intero percorso di prevenzione e cura. E dunque potranno vertere sulla tele-assistenza, sul tele-consulto, sul tele-monitoraggio o ancora sulla tele-refertazione. Per ottenere i finanziamenti, tuttavia, i progetti dovranno non solo raggiungere target quantitativi di performance legati ai principali obiettivi della telemedicina e del Sistema Sanitario Nazionale, nonché garantire che il loro sviluppo si traduca in un’effettiva armonizzazione dei servizi sanitari, ma, come rilevato dall’Osservatorio dell’IRPA (Istituto Ricerche Pubblica Amministrazione), dovranno potersi altresì integrare con il Fascicolo Sanitario Elettronico.
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Il 27% delle risorse del PNRR sono dedicate alla transizione digitale, sviluppata lungo due assi: la banda ultra-larga e la trasformazione della Pubblica Amministrazione in chiave digitale.
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La modernizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, si legge, «prevede di potenziare anche la telemedicina e aggregare le migliori piattaforme regionali per garantire assistenza sanitaria remota, in aggiunta a quella domiciliare». In ogni caso gli interventi ci saranno dopo la presentazione di progetti di telemedicina proposti dalle Regioni sulla base delle priorità e delle linee guida definite dal ministero della Salute.
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TUTTE LE LINEE DI INVESTIMENTO Resta il fatto che la Missione 6 in ogni suo investimento previsto cita la possibilità di far fronte con la telemedicina. La Componente 1 ha già nel titolo il riferimento alla digitalizzazione («Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale»). Più nel dettaglio nell’ambito dell’investimento 1.2. della Componente 1 (Casa come primo luogo di cura e telemedicina), la telemedicina potrà potenziare i servizi domiciliari e sarà utilizzata per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche. Ecco cosa si legge nel punto 1.2: «Il fabbisogno di risorse per la realizzazione di questo investimento è stimato in 4 miliardi di euro, di cui 2,72 miliardi connessi al numero crescente di pazienti, 0,28 miliardi per l’istituzione delle COT e 1 miliardo per la telemedicina. I servizi di telemedicina, contribuendo ad affrontare le principali sfide dei Sistemi Sanitari Nazionali, rappresentano un formidabile mezzo per: (i) contribuire a ridurre gli attuali divari geografici; (ii) garantire una migliore “esperienza di cura” per gli assistiti; (iii) migliorare i livelli di efficienza dei sistemi sanitari regionali tramite la promozione dell’assistenza domiciliare e di protocolli di monitoraggio da remoto». È tuttavia questo solo un ambito, come abbiamo detto, che prevede nuovi investimenti per la telemedicina. Altri canali di investimento sono ancora i punti 1.1 e 1.2 della Componente 2 della Missione 5: M5C2, Infrastrutture sociale, famiglie, comunità e terzo settore; investimento 1.1: «Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’Istituzionalizzazione degli anziani non autosufficien-
ti»; investimento 1.2: «Percorsi di autonomia per persone con disabilità». Infatti, come rilevato dal PNRR, grazie all’introduzione di strumenti come la telemedicina (oltre che la domotica e il telemonitoraggio) si potrà realmente raggiungere la piena autonomia e indipendenza della persona anziana/disabile presso la propria abitazione, riducendo il rischio di ricoveri inappropriati.
Palazzo Montecitorio, a Roma, sede della Camera dei deputati.
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Il PNRR precisa inoltre che «saranno (…) privilegiati progetti che insistono su più Regioni, fanno leva su esperienze di successo esistenti, e ambiscono a costruire vere e proprie piattaforme di telemedicina facilmente scalabili». Per fare un esempio concreto, tale investimento è sicuramente in linea con quanto previsto nel punto 1.3 della Componente 2 della stessa Missione 6 del Piano
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(«Rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione»); sia perché il rafforzamento della telemedicina contribuisce a sua volta rafforzare l’infrastruttura tecnologica, sia perché il rafforzamento della telemedicina presuppone un’infrastruttura tecnologica di base adeguatamente sviluppata. OBIETTIVO: ONE HEALTH Ma c’è, ancora, un altro aspetto da mettere in luce. La riforma prevista, almeno in teoria, non si traduce soltanto nei finanziamenti del Recovery Fund, ma in un cambio di paradigma ancora più radicale. Nella Missione 6 Salute del PNRR si parla di definire entro la metà del 2022, a seguito della presentazione di un disegno di legge alle Camere «un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, in linea con l’approccio ‘One-Health’». Con One health si intende un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse, sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente. Questo diventa dunque l’unico paradigma possibile per favorire collaborazione tra diverse discipline e professionisti (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi, etc.), per affrontare in modo sistemico i bisogni delle persone sulla base della relazione tra la loro salute e l’ambiente in cui vivono, per riconoscere che gli investimenti in salute (spesa sanitaria) sono sicuramente una delle principali opzioni da seguire per i policy maker se vogliono garantire al nostro mondo prospettive di crescita economica prolungata. (C. G.)
I progetti potranno riguardare ogni ambito clinico e promuovere un’ampia gamma di funzionalità lungo l’intero percorso di prevenzione e cura. E dunque potranno vertere sulla tele-assistenza, sul tele-consulto, sul tele-monitoraggio o ancora sulla tele-refertazione. Con One health si intende un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse, sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente.
L’INTERVISTA
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COSÌ LA PANDEMIA HA INFLUITO SULLA DIPENDENZA ALIMENTARE Parla la ricercatrice americana Erica Schulte «Le diete di cui si parla in Tv possono essere parte del problema»
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ipendenza alimentare e salute mentale, un legame ormai noto non solo a chi si occupa di psichiatria e psicologia. Come emerge da diversi studi, c’è un fil rouge che lega comportamenti alimentari disordinati con indici sempre più ampi di disturbo psicologico. E questo legame, come spiega la professoressa Erica Schulte, ricercatrice di Cambridge e membro del team di Ashley Gearhardt, professore di psicologia all’Università del Michigan e “ideatrice” della Yale Food Addiction Scale (YFAS), la scala per studiare proprio la dipendenza comportamentale. Professoressa Schulte, qual è il rapporto tra dipendenza alimentare e salute mentale? Diversi studi hanno osservato che la dipendenza alimentare, analizzata dalla Yale Food Addiction Scale (YFAS), è stata associata a una serie di comportamenti alimentari
disordinati (ad esempio il binge eating cioè il disturbo da alimentazione incontrollata o lo stress alimentare) e indici più ampi di disturbo psicologico (ad esempio, maggiore depressione e sintomi di ansia). Quale dei due è la causa del secondo? In altre parole: è un disturbo mentale che causa dipendenza alimentare, o viceversa? Non ci sono stati studi longitudinali per esaminare la causa in questo tipo di associazione. Tuttavia, è probabile che ogni fattore peggiora l’altro, indipendentemente da quale sia il primo ad essersi presentato e sviluppato. Quali specialisti dovrebbero occuparsi della dipendenza alimentare? La dipendenza alimentare è stata studiata principalmente da psicologi clinici, data la loro esperienza con problemi psicologici clinicamente significativi. Tuttavia, poiché sono stati sviluppati interventi multidi-
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Erica Schulte.
sciplinari per curare la dipendenza alimentare, tale patologia potrebbe beneficiare di un maggiore coinvolgimento interdisciplinare da parte dei dietisti e dei fornitori di cure primarie nel sistema sanitario. Pensa che le molte diete di cui si parla in TV o sui giornali possano spesso essere parte del problema? Ci sono certamente grandi pressioni sugli individui per ottenere una forma particolare del corpo o del corpo ideale. Tuttavia, dal punto di vista della dipendenza, non si pensa che la dieta possa causare dipendenza alimentare. Si pensa che la dipendenza alimentare si sviluppi quando un individuo con fattori di rischio (come l’impulsività) consuma alimenti ultra-lavorati, che si pensa abbiano un potenziale di dipendenza, in modo problematico. Tuttavia, gli studi hanno analizzato a fondo l’influenza diretta delle pressioni culturali e sociali per la magrezza o per avere un particolare
corpo ideale e dunque come causa di influenza per i sintomi di dipendenza alimentare. In altre parole, quella delle diete spesso inculcate da televisioni o giornali potrebbe essere senz’altro una questione importante da analizzare per la ricerca futura. Perché i disturbi alimentari sono così comuni tra gli adolescenti? Ottima domanda. L’adolescenza è un periodo di sviluppo associato con l’insorgenza di molte forme diverse di condizioni psicologiche (ad esempio, depressione, ansia, disturbi alimentari). I disturbi alimentari possono essere particolarmente comuni in questo gruppo di età a causa di una crescente e sempre più evidente influenza nel confronto tra pari, che spesso si riferisce all’immagine del corpo. Ritiene che la pandemia abbia influito sulla dipendenza alimentare?
“Diversi studi hanno osservato che la dipendenza alimentare, analizzata dalla Yale Food Addiction Scale (YFAS), è stata associata a una serie di comportamenti alimentari disordinati (ad esempio il binge eating cioè il disturbo da alimentazione incontrollata o lo stress alimentare) e indici più ampi di disturbo psicologico (ad esempio, maggiore depressione e sintomi di ansia)”.
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“Ho condotto il primo studio che esamina gli effetti della pandemia tra gli individui con dipendenza alimentare. È emerso che la dipendenza alimentare era associata ad un maggiore aumento di peso, ad un maggiore consumo di cibi ultra-lavorati e ad altri disturbi associati al comportamento alimentare proprio durante il COVID-19”.
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Assolutamente sì. A riguardo lei ha condotto da poco uno studio... Esattamente, ho condotto il primo studio che esamina gli effetti della pandemia tra gli individui con dipendenza alimentare. È emerso che la dipendenza alimentare era associata ad un maggiore aumento di peso, ad un maggiore consumo di cibi ultra-lavorati e ad altri disturbi associati al comportamento alimentare proprio durante il COVID-19. Dunque il periodo di pandemia ha influito pesantemente nelle dipendenze comportamentali. Dal suo punto di vista c’è un caso di obesità o anoressia più
“pericoloso”? Quando allarmarci: quando mangiamo troppo o quando mangiamo troppo poco? C’è una grande preoccupazione da entrambi i lati dello spettro alimentare disordinato, dall’anoressia al binge eating. Sicuramente conosciamo in maniera più evidente i rischi fisici acuti derivanti da anoressia, come l’insufficienza degli organi causata da fame prolungata. Tuttavia, l’eccesso compulsivo di cibo è stato associato sia a un grande disagio psicologico, sia a complicazioni fisiche negative per una serie di malattie legate all’obesità come le malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2. (C. G.)
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MICROBIOTA ENTERICO BENEFIT NELL’ASSE INTESTINO-CERVELLO (ANCHE TERAPEUTICI) L’impatto dei metaboliti rilasciati dal microbiota intestinale sulla salute e sulle malattie psichiatriche e neurologiche
di Giuseppe Calamita* e Armando Piccinni** *Dipartimento di Bioscienze, Biotecnologie e Biofarmaceutica, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Bari. **Psichiatra, Professore straordinario Unicamillus, Roma.
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on è passato molto tempo da quando i batteri ed altri microrganismi che vivevano sopra e dentro di noi, il nostro microbiota (batteri, miceti, protozoi e virus), su tutte le superfici a contatto con ambiente esterno, era visto come una sorta di raccolta prevalentemente opportunistica di microbi che aveva semplicemente trovato una comoda nicchia ambientale in cui vivere. Abbiamo ora capito che i nostri microrganismi svolgono ruoli fondamentali per la nostra salute e il nostro benessere e che insieme a loro rappresentiamo una sorta di specie unica, un organismo olobionte. I microrganismi simbiotici del nostro intestino svolgono un ruolo fondamentale in numerosi processi, ma ciò che è venuto alla luce solo di recente è quanto profondamente e ampiamente la nostra fisiologia sia intrecciata con i trilioni di cellule microbiche, per la stragrande maggioranza rappresentate da batteri, che beneficamente portiamo nel nostro tubo digerente. Un’area di ricerca scientifica particolarmente intensa è quella che nel contesto dell’asse intestino-cervello studia l’impatto dei metaboliti rilasciati dal microbiota intestinale sulla salute e sulle malattie psichiatriche e neurologiche. Sebbene ancora non completamente chiariti, i meccanismi di trasmissione dei segnali molecolari dai batteri al cervello sono complessi e chiamano in causa vie neurali, endocrine, immunitarie e metaboliche che si articolano lungo l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Inizialmente, in un modello di depressione sui roditori è stato dimostrato che il microbiota intestinale era alterato. Questa osservazione è stata poi replicata
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Sebbene ancora non completamente chiariti, i meccanismi di trasmissione dei segnali molecolari dai batteri al cervello sono complessi e chiamano in causa vie neurali, endocrine, immunitarie e metaboliche che si articolano lungo l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Inizialmente, in un modello di depressione sui roditori è stato dimostrato che il microbiota intestinale era alterato. Questa osservazione è stata poi replicata in pazienti con disturbi psichiatrici come depressione e ansia che mostrano una ridotta diversità microbica enterica.
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in pazienti con disturbi psichiatrici come depressione e ansia che mostrano una ridotta diversità microbica enterica. Inoltre, si è anche visto che quando i roditori ricevono un trapianto di microbiota da un paziente depresso, il loro comportamento si altera, così come il metabolismo del triptofano, degli acidi grassi a catena corta, degli aminoacidi ramificati e degli acidi biliari e lo stato immunitario. Diversi studi su batteri con un potenziale beneficio per la salute mentale, i cosiddetti psicobiotici, sono stati condotti in popolazioni sane e in pazienti con depressione. Mentre alcuni psicobiotici hanno mostrato efficacia nel trattamento della depressione, altri batteri hanno prodotto risultati negativi. Anche la biodisponibilità di alcuni farmaci ansiolitici e anti-depressivi si è visto essere influenzata dal microbiota intestinale. Studi preclinici e su esseri umani su larga scala sono in corso per meglio conoscere le interazioni e le azioni alla base dell’asse intestino-microbiota-cervello nel periodo perinatale e nell’arco dell’intera vita postnatale. Linee guida finanziate dall’UE raccomandano che i pazienti con depressione o vulnerabilità alla depressione siano incoraggiati a migliorare la loro dieta a base vegetale aumentandone il contenuto di cereali/fibre, cibi fermentati e pesce. Sebbene le premesse siano senza dubbio molto allettanti, cautela è necessaria nell’interpretare eccessivamente i risultati degli studi “correlativi” finora condotti. La centralità del microbiota intestinale nella fisiopatologia, almeno in alcuni disordini psichiatrici e neurologici, rimane infatti ancora da dimostrare del tutto. Ad oggi, la sindrome del colon irritabile è l’unica condizione
clinica dove, nel corso di studi controllati con placebo, l’opportuna modulazione del microbiota intestinale ha portato a un significativo miglioramento della patologia. Diverse sono le domande ancora senza precisa risposta a riguardo degli psicobiotici e psicopostbiotici e molto lavoro è ancora richiesto per testare in maniera ottimale dosaggio, ceppi e tempi nelle applicazioni terapeutiche del microbiota intestinale. Infatti, è necessario passare da stu-
L’INCHIESTA
di di tipo meramente correlativo a studi prospettici longitudinali, causativi e con analisi meccanicistiche e provare su larga scala i potenziali approcci terapeutici. Senza dubbio, studi saranno a breve disponibili su un ampio spettro di disturbi potendo quindi fornire una entusiasmante prospettiva per l’applicazione terapeutica del microbiota nella cura di alcuni disturbi psichiatrici. Uno dei grandi enigmi nella medicina basata sul microbiota rimane quel-
lo della definizione del profilo del “microbiota sano”. Le differenze interindividuali nella composizione del microbiota possono infatti essere anche molto grandi rendendo l’approccio “taglia unica” nella modulazione del microbiota non proprio del tutto semplice. Tuttavia, la diversità interindividuale può anche rappresentare un’ottima opportunità per indirizzarsi sul microbiota intestinale come un efficace approccio di medicina personalizzata.
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Studi saranno a breve disponibili su un ampio spettro di disturbi potendo quindi fornire una entusiasmante prospettiva per l’applicazione terapeutica del microbiota nella cura di alcuni disturbi psichiatrici.
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COSÌ IL PARLAMENTO LAVORA PER CONTRASTARE I DISTURBI ALIMENTARI Tante le proposte di legge presentate Ma per ora nessuna discussa
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ante proposte sul tavolo, che sono anzi da troppo tempo nel cassetto. Tutte focalizzate su un problema: i disturbi alimentari. Anoressia, bulimia, obesità sono all’attenzione del Parlamento, i testi di legge ci sono con un interesse anche trasversale sulla questione. Serve solo l’ultimo miglio, quello più importante: l’approvazione. Una delle iniziative è stata lanciata dalla deputata del Movimento 5 Stelle, Azzurra Cancelleri, insieme alla collega Marialucia Lorefice, all’inizio di questa legislatura. L’obiettivo alla base è chiaro: la
di Stefano Iannaccone
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Una delle iniziative è stata lanciata dalla deputata del Movimento 5 Stelle, Azzurra Cancelleri, insieme alla collega Marialucia Lorefice, all’inizio di questa legislatura. L’obiettivo alla base è chiaro: la “prevenzione e la cura dei disturbi del comportamento alimentare”. Come? Introducendo sanzioni “nei casi di istigazione ai disturbi del comportamento alimentare”.
L’INCHIESTA
“prevenzione e la cura dei disturbi del comportamento alimentare”. Come? Introducendo sanzioni “nei casi di istigazione ai disturbi del comportamento alimentare”. Il ragionamento della parlamentare pentastellata si muove dalle evidenze scientifiche: “Le indagini epidemiologiche dimostrano che molti bambini già in età prescolare e scolare incorrono in errori nutrizionali qualitativi e quantitativi che certamente non dipendono dalla loro volontà”, sottolinea Cancelleri. “La cultura della corretta alimentazione - prosegue - inizia dalla famiglia, ma purtroppo i genitori spesso tendono a sottostimare lo stato ponderale dei propri figli e ciò trova conferma dai dati del 2016 da cui emerge che, tra le madri di bambini in sovrappeso od obesi, il 37 per cento riteneva che il proprio figlio fosse sotto-normopeso e solo il 30 per cento pensava che la quantità di cibo assunta fosse eccessiva”. La proposta prevede, tra le altre cose, che “le agenzie, le società e le federazioni di moda, pubblicitarie, di danza, di atletica e di ginnastica ritmica e artistica possono avvalersi solo di modelle, ballerine e ginnaste in possesso di un certificato medico attestante una sana e robusta costituzione e un valore dell’indice di massa corporea superiore a 18,5”. Chi trasgredisce questa prescrizione va incontro a una multa variabile somma da euro 50mila a 100mila euro. Il provvedimento, però, giace nei cassetti del Parlamento. E non solo a Montecitorio il problema dei disturbi alimentari è stato preso in considerazione, almeno per quanto riguarda la presentazione di proposte. Al Senato, Maria Rizzotti di Forza Italia ha depositato un corposo testo, pur nella consapevolezza che non può “risolvere da solo le molteplici problematiche di malattie legate alla complessità dei disturbi alimentari che coinvolgono diver-
si aspetti del vivere quotidiano: psicologici, medico-sanitari, sociali e culturali”. Il progetto, tuttavia, mira a contrastare “la diffusione esponenziale dei siti «pro Ana» (personificazione dell’anoressia) e «pro Mia» (analogo appellativo utilizzato per la bulimia) sulla rete internet. Pro Ana e pro Mia sono infatti l’ultima tragica moda nata negli Stati Uniti d’America, per il cui tramite milioni di giovanissimi in tutto il mondo attraverso siti, blog e chat, incitano e diffondono comportamenti anoressici e bulimici di origine nervosa”. In alcuni passaggi c’è piena convergenza con la proposta di Cancelleri, come nel caso delle sanzioni alle agenzie che fanno ricorso a modelle per cui “l’indice di massa corporea è di grave magrezza o forte sottopeso”. Così viene suggerita la medesima sanzione fino a 100mila euro. Rizzotti si sofferma sulla prevenzione, chiedendo l’introduzione di “un programma articolato che permetta di assicurare la formazione e l’aggiornamento professionali del personale medico e scolastico sulla conoscenza delle malattie”. La collega al Se-
L’INCHIESTA
nato, Anna Maria Bernini, mette nero su bianco un’idea: l’istituzione, nella scuola primaria e secondaria di primo e di secondo grado, l’insegnamento dell’educazione ali mentare. Così, almeno per 33 ore all’anno, gli studenti devono seguire le lezioni su questa specifica materia. Anche Andrea Mandelli, anche lui di Forza Italia, ma attualmente deputato (e vicepresidente della Camera), ha depositato una proposta di legge “per la prevenzione e la cura dell’obesità”. Il progetto è alquanto articolato, passando dall’incentivazione dell’attività sportiva fino al divieto di “somministrazione a mezzo di distributori automatici situati nei luoghi pubblici di alimenti e bevande contenenti un elevato apporto totale di acidi grassi saturi, di acidi grassi trans, di zuccheri semplici aggiunti, di sodio, di nitriti e di nitrati e di altre sostanze in vario modo utilizzate”. Il parlamentare azzurro, dunque, indica una strategia ad ampio raggio. Uno dei cardini è la necessità di istituite presso il Ministero della salute un Osservatorio per lo studio dell’obesi-
tà (OsO), che dovrebbe presentare in Parlamento, a cadenza annuale, una relazione aggiornata sui “dati epidemiologici e diagnostico-terapeutici acquisiti dall’OsO e sulle nuove conoscenze scientifiche in tema di obesità”. Secondo Mandelli, alla persona affetta da obesità bisogna dare una “tessera personale che, sulla base di una certificazione del medico curante, attesta l’esistenza della malattia”. E da qui prevedere delle detrazioni delle spese sostenute per le attività sportive, concentrandosi in particolare modo sulle generazioni più giovani. Anche Mario Borghese, deputato iscritto Movimento associativo italiano all’estero, si è soffermato sulla questione. Nel dettaglio chiede l’introduzione “dell’articolo 580-bis del codice penale, concernente il reato di istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia o la bulimia, nonché disposizioni in materia di prevenzione e diagnosi precoce dei disturbi alimentari”. Il focus, in questo, è più concentrato sull’impianto sanzionatorio, come emerge dal titolo della legge. E c’è, infine, chi si sofferma su un altro aspetto, più laterale ma comunque legato a una corretta alimentazione. Il senatore della Lega, Gianpaolo Vallardi, propone la “promozione e valorizzazione della dieta mediterranea”. Il parlamentare leghista sottolinea: “L’alto tasso di obesità infantile in Italia è dovuto all’allontanamento dal modello dietetico mediterraneo e ad una alimentazione ricca di grassi saturi e zuccheri aggiunti. Siffatto comportamento avrà implicazioni gravi sul futuro stato di salute delle nuove generazioni, con conseguenze sulla loro pro duttività lavorativa e sui costi socio-sanitari”. Quindi anche l’esaltazione della dieta mediterranea può dispiegare effetti fondamentali per il contrasto ai disturbi dell’alimentazione.
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C’è chi si sofferma su un altro aspetto, più laterale ma comunque legato a una corretta alimentazione. Il senatore della Lega, Gianpaolo Vallardi, propone la “promozione e valorizzazione della dieta mediterranea” perché “l’alto tasso di obesità infantile in Italia è dovuto all’allontanamento dal modello dietetico mediterraneo e ad una alimentazione ricca di grassi saturi e zuccheri aggiunti”.
FOCUS
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I DISTURBI DEL SONNO IN INFANZIA E ADOLESCENZA Si distinguono in insonnia, disturbi respiratori notturni, ipersonnie, disturbi del ritmo circadiano, parasonnie, disturbi del movimento
di Chiara Pfanner*, Elena Marinari**, Silvio Presta*** *Direttore Centro Riferimento Regionale ADHD, IRCCS Stella Maris, Università di Pisa **Psicologo Clinico ***Professore a Contratto, Corso di Laurea in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa
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lla metà del XX secolo Giuseppe Moruzzi, padre della fisiologia pisana, e Horace Magoun, fisiologo statunitense, descrivevano il sonno come un processo fisiologico caratterizzato da ridotta risposta agli stimoli ambientali e originato dall’interazione di specifici centri cerebrali. Oggi sappiamo che il sonno svolge una funzione centrale per la sopravvivenza, lo sviluppo e il mantenimento dell’omeostasi. Durata, qualità e architettura del sonno mutano con l’età, favorendo la maturazione cerebrale tramite la secrezione di ormoni coinvolti nei processi di crescita. Il fabbisogno di sonno diminuisce col tempo: il neonato dorme 16-18 ore ed il sonno è distribuito uniformemente durante le 24 ore; a 3-5 anni si dorme
11 ore, tra i 10-11 anni 10 ore, in età adulta 7-8 ore. I cicli di sonno, numerosi e brevi della prima infanzia (45 minuti), si riducono di numero e divengono più lunghi con la crescita (90110 minuti in adolescenza). I disturbi del sonno sono presenti nel 25% dei bambini. Secondo la Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno (ICSD-3, 2014) si distinguono 6 categorie diagnostiche (insonnia, disturbi respiratori notturni, ipersonnie, disturbi del ritmo circadiano, parasonnie, disturbi del movimento). Nella prima infanzia sono maggiormente rappresentati il disturbo da apnee notturne e i disturbi dell’addormentamento con coliche addominali; nell’età scolare le parasonnie (sonnambulismo, pavor nottur-
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no); in adolescenza i disturbi del ritmo circadiano, l’insonnia o l’ipersonnia diurna. Esiste una predisposizione all’associazione tra disturbi fisici (ipertrofia tonsillare, sideropenia, allergia), mentali (ansia e umore), neurologici (epilessia e cefalea), genetici (sindrome di Rett e di Prader-Willy). È frequente l’associazione con i disturbi del neurosviluppo (80% dei casi), quali il Disturbo dello Spettro autistico e il Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività (ADHD). Oggi non si parla più di insonnia primaria o secondaria, ma di coesistenza tra condizioni mediche, disturbi mentali e disturbi del sonno: molto raramente l’insonnia è un disturbo a sé stante, ma fa parte del corteo sintomatologico di patologie neuropsichiatriche o internistiche. La diagnosi si basa su anamnesi, questionari, diario del sonno, dati clinici e uso di actigrafi e polisonnografia. La terapia si avvale di tecniche di igiene del sonno e interventi comportamentali (regolare gli orari di addormentamento/risveglio; evitare nelle
due ore precedenti l’addormentamento alcolici, caffeina, attività fisica, dispositivi elettronici con schermi ad alta risoluzione; predisporre ambienti silenziosi, al buio, con corretto livello di temperatura e umidità), nonchè parent training e mindfulness. Il trattamento farmacologico è scelta essenziale anche in età evolutiva: è infatti fondamentale bloccare la potenziale interferenza di una anomala disregolazione dei ritmi circadiani sullo sviluppo non solo neurocognitivo, ma anche ormonale e metabolico. La melatonina (1-10 mg/die), con la sua efficacia cronobiotica e ipnoinducente è il gold standard nel lungo termine, mentre nel breve termine si possono utilizzare timolettici (mirtazapina, trazodone, agomelatina), antiistaminici (idrossizina), antipsicotici atipici (quetiapina). L’uso di benzodiazepine va invece proscritto non solo per il rischio di effetto paradosso, frequente in età evolutiva, e di assuefazione, ma per le note complicanze sul tono dell’umore, sul controllo della quota ansiosa e sulle performances cognitive.
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La terapia si avvale di tecniche di igiene del sonno e interventi comportamentali (regolare gli orari di addormentamento/ risveglio; evitare nelle due ore precedenti l’addormentamento alcolici, caffeina, attività fisica, dispositivi elettronici con schermi ad alta risoluzione; predisporre ambienti silenziosi, al buio, con corretto livello di temperatura e umidità), nonchè parent training e mindfulness.
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LE SFIDE PER COMBATTERE L’ALZHEIMER NEI PROSSIMI ANNI La malattia oggi in Italia ha un corso di 15,6 miliardi: l’80% è sostenuto dalle famiglie di Duccio Petroni
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n Italia la malattia di Alzheimer ha un costo di circa 15,6 miliardi di cui ben l’80% sostenuto dalle famiglie. Una cifra stratosferica che ben rende conto delle difficoltà che ogni nucleo familiare deve affrontare. Ma di quante persone parliamo? In Italia si stimano oggi circa 1.200.000 casi di demenza, di cui circa 700.000 di malattia di Alzheimer. Ma grazie alla ricerca, nel prossimo futuro potrebbe essere possibile cambiare il corso della malattia, intervenendo nelle sue primissime fasi. Questa prospettiva richiederà però «una diversa organizzazione da parte del Servizio sanitario nazionale» per facilitare la diagnosi. È questa una delle prime richieste avanzate in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione dalla malattia di Alzheimer (che si è tenuta il 21 settembre), e formulate dall’Associazione italiana malattia di Alzheimer (Aima) e Società Italiana di Neurologia (Sin). «Dobbiamo pensare ai malati di oggi e a quelli di domani, che avranno esigenze diverse. I malati di oggi hanno bisogno di servizi più adeguati che colmino anche la incredibile disparità di trattamento tra i diversi sistemi regionali», ha dichiarato Patrizia Spadin, Presidente di Aima. «Ci sono poi i malati di domani, per loro si intravede finalmente una luce in fondo al tunnel grazie alle diagnosi precoce. Il sistema sanitario deve però attrezzarsi ad accogliere un numero sempre di più grande di pazienti per capire quali potranno essere quelli eleggibili per le nuove terapie. Sarebbe assurdo farci trovare impreparati da un futuro che aspettiamo da tanto tempo e che oggi sentiamo così vicino». Più vicino di quello che si pensi, dato che «er la prima volta si affacciano all’orizzonte dei possibili
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“I malati di oggi hanno bisogno di servizi più adeguati che colmino anche la incredibile disparità di trattamento tra i diversi sistemi regionali”.
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farmaci che potrebbero cambiare lo scenario. Il problema che dobbiamo affrontare oggi riguarda innanzitutto l’identificazione di chi può eventualmente essere affidato alle nuove terapie. Queste terapie hanno infatti dimostrato di essere più efficaci nel decadimento cognitivo lieve in persone che hanno presenza di amiloide nel cervello. Se è vero che la malattia è molto diffusa, non sappiamo esattamente quante persone presentano un decadimento degenerativo lieve, è quindi necessario un importante lavoro di diagnosi differenziale». Ed
è su questo, d’altronde, che si sta lavorando negli ultimi anni. LE PROPOSTE Ed è non a caso che anche da qui nascono le sette buone proposte per non dimenticare l’Alzheimer. In primo luogo, andrà colta l’occasione delle Case della comunità previste nel PNRR, affinché siano adeguatamente organizzate per includere anche Centri per i disturbi cognitivi e le demenze, valorizzando il contributo multidisciplinare di specialisti (medici e professionisti sanitari),
FOCUS
medici di medicina generale e assistenti sociali. In un’ottica di prossimità, il documento auspica che gli ospedali di comunità possano essere pienamente coinvolti per dare risposte a livello territoriale alle esigenze specifiche dei pazienti Alzheimer. Sul fronte dell’assistenza domiciliare integrata (ADI), il documento auspica la creazione di un ADI Alzheimer dedicato, da sviluppare coerentemente con gli obiettivi del PNRR, per portare alle famiglie competenze specialistiche multidisciplinari nonché attività riabilita-
tive, psico-educazionali e di sostegno, anche in digitale. Infine, Aima e Sin ricordano che l’Italia non è ancora allineata rispetto al quadro normativo di altri Paesi europei che riconoscono il ruolo del caregiver anche attraverso specifiche tutele. In questo senso, la formazione dei caregiver professionali e il sostegno al caregiver familiare sono provvedimenti indispensabili, considerata la complessità della gestione della persona con malattia di Alzheimer che richiede competenze che le famiglie imparano sul campo.
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Sul fronte dell’assistenza domiciliare integrata (ADI), bisogna portare alle famiglie competenze specialistiche multidisciplinari nonché attività riabilitative, psico-educazionali e di sostegno, anche in digitale.
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I DANNI “COLLATERALI” DELLA PANDEMIA: NARCISISMO DA SOCIAL TRA GLI ADOLESCENTI Così aumenta anche il rischio dei suicidi tra i soggetti più fragili
di Antonio Acerbis
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n vero e proprio “narcisismo da social” serpeggia tra gli adolescenti. La responsabilità? Va rintracciata nella pandemia. È questo l’allarme lanciato dagli psichiatri alla XIX edizione del Convegno internazionale di suicidologia e salute pubblica. Con la pandemia che abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo sarebbe aumentato il rischio del “narcisismo da social”, con fantasie di grandiosità e bisogno di ammirazione che convivono con una fragile autostima e scarsa empatia. Per Maurizio Pompili, ordinario di Psichiatria alla Sapienza e direttore della Psichiatria dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea, «i social media rappresentano un terreno fertile per il narcisismo, perché contribuiscono a isolare
l’individuo in un mondo che pone l’accento sul singolo, su uno spazio interno, piuttosto che su relazioni umane, e allo stesso tempo a metterlo continuamente alla ricerca di consenso attraverso i like. La pandemia, a causa di una maggiore distanza fisica, ha sicuramente fornito un fertilizzante per questi comportamenti». Ci sono tre sottotipi di narcisismo: un sottotipo inconsapevole o grandioso, uno “ad alto funzionamento” e uno vulnerabile o ipervigile, come spiegato dettagliatamente da Glen O. Gabbar, professore di Psichiatria e Scienze comportamentali del Baylor College. «Il primo - precisa - è presuntuoso e arrogante, ama essere al centro dell’attenzione, tende a manipolare gli altri. Quello ad alto funziona-
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mento, convincente ed egocentrico utilizza il narcisismo come motivazione per raggiungere il successo. Infine, quello ipervigile schivo e fragile, pervaso da un senso di inadeguatezza, tende a isolarsi per proteggersi dalle umiliazioni; è ossessionato dalla vergogna di un pubblico immaginario e rincorrendo il mito della perfezione rischia di cadere in una rappresentazione fasulla di sé, che diviene terreno fertile per l’insorgenza di uno stato perturbato che diventa apripista per il suicidio». Un problema non di poco conto considerando che già in situazioni normali il suicidio è la seconda causa
di morte tra gli adolescenti, seconda soltanto agli incidenti stradali. «Le relazioni con gli altri nutrono le connessioni sinaptiche, mentre la distanza nei rapporti sociali, la solitudine non sono favorevoli - aggiunge Pompili - Questo è ancora più determinante quando la capacità di regolazione affettiva, a volte venuta a mancare sin dalla tenera età, impedisce di creare legami relazionali efficaci, appaganti». E la pandemia potrebbe aver incentivato questi tratti della personalità nei soggetti già a rischio, perché per molti ha significato isolamento, mancanza di confronto con gli altri.
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Ci sono tre sottotipi di narcisismo: un sottotipo inconsapevole o grandioso, uno “ad alto funzionamento” e uno vulnerabile o ipervigile.
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ECCO COME IL COVID PUÒ CAUSARE DANNI NEUROLOGICI Uno dei disturbi più frequenti è l’encefalopatia acuta
di Chiara Andreotti
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ra marzo 2020 quando gli ospedali hanno iniziato a riempirsi di pazienti che presentavano gli stessi sintomi: febbre, dolori muscolari, difficoltà respiratorie. Quella che poteva sembrare una semplice influenza si è ben presto rivelata come un’infezione altamente contagiosa e sconosciuta. Da allora è passato circa un anno e mezzo e gli studi sono impennati, permettendo al personale sanitario di fornire cure specializzate e adeguate fin dai primi momenti dell’infezione. Tra gli ultimi studi è emerso che non sono solo i polmoni ad essere colpiti dal SARS-COV2, ma il 20% circa dei pazienti presenta anche
SALUTE
danni di tipo neurologico più o meno permanenti. Uno dei sintomi più comuni, che è stato rilevato su circa il 40% dei pazienti, è la perdita di gusto e olfatto. Questi disturbi, chiamati rispettivamente ageusia e anosmia, solitamente hanno la durata di un mese, ma in alcuni casi può persistere fino a sei mesi. Un altro disturbo piuttosto frequente causato dall’infezione da COVID è l’encefalopatia acuta: si tratta di una sorta di combinazione tra confusione mentale e perdita della memoria. Ma il COVID può colpire anche in maniera più grave a livello neurologico: sono state individuate infiammazioni acute al cervello, ictus cerebrali e crisi epilettiche. Ma come può il COVID causare danni di tipo neurologico? Una delle primissime ragioni analizzate era legata all’invasione del sistema
nervoso da parte dell’agente patogeno. Certamente più inconfutabile il legame con i problemi respiratori causati dalla malattia: la mancata affluenza di ossigeno agli organi, e di conseguenza anche al cervello, crea danni generati dall’ipossia. Tutte le patologie sviluppate in un secondo momento o che permangono anche dopo rispetto alla contrazione del virus sono chiamate “Long Covid”, ovvero una somma di malesseri che continuano a mostrarsi presenti nell’organismo anche dopo la negativizzazione dal virus. Ovviamente analizzare i disturbi neurologici di un paziente affetto da COVID risulta difficoltoso nel caso in cui questo sia incosciente o intubato. In quel caso è possibile, comunque, attraverso le analisi del sangue, reperire alcune informazioni in base a determinati livelli di proteine nel sangue.
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Uno dei sintomi più comuni, che è stato rilevato su circa il 40% dei pazienti, è la perdita di gusto e olfatto. Questi disturbi, chiamati rispettivamente ageusia e anosmia, solitamente hanno la durata di un mese, ma in alcuni casi può persistere fino a sei mesi.
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BAMBINI SEMPRE PIÙ IRREQUIETI. E GLI ADULTI FATICANO A SINTONIZZARSI Fondamentale prendersi cura anche dei minori con sintomi “sotto-soglia”
di Alessandro Righi
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ambini sempre più irrequieti? Quale che sia la ragione, sembra sempre più di una certezza. Con un’ulteriore aggravante: il tutto è acuito dalla maggior difficoltà del mondo degli adulti a «sintonizzarsi con i bisogni dei bambini». Lo sottolinea Paolo Segalla, neuropsichiatra infantile e direttore della Unità Operativa Complessa Infanzia, Adolescenza, Famiglie e Consultori dell’azienda ULSS 6 Euganea, presentando la quattordicesima edizione della giornata di studio organizzata dall’azienda ospedaliera e dedicata all’infanzia. «Il bambino che viene esibito, che diventa oggetto narcisistico, o quello che viene visto come un piccolo adulto - sottolinea Segalla - rappresentano due modi quasi opposti di evidenziare una maggior difficoltà di rispondere a quelli che sono i bisogni nella relazione precoce.
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Viviamo in un mondo veloce ed efficientista, anche questo probabilmente non sempre gioca a favore di una care che abbia la capacità di favorire la trasmissione di tranquillità», dice il neuropsichiatra. «Con irrequietezza - spiega Segalla - si intende tutto un continuum che va dall’ipercinesia alla instabilità psicomotoria fino a quel quadro, forse fin troppo clinicamente codificato, che è la Adhd e ancora agli stati in cui si va alla
velocità del pensiero e alle situazioni di maniacalità, sia nel senso clinico sia nel senso psicodinamico e strutturale». L’irrequietezza d’altronde secondo diversi neuropsichiatri la si vede nitidamente nei bambini che si recano nei vari reparti di riferimento per disturbi del linguaggio, ma spesso si riscontrano difficoltà di linguaggio anche nel bambino che arriva per le difficoltà del comportamento. Per questo è fondamentale lavorare anche sui sintomi “sotto-soglia”, ovvero su quei minori che non hanno un disturbo autistico conclamato o non sono disabili ma che hanno bisogni importanti e a cui si deve dare attenzione. I disturbi neuropsicologici di linguaggio o le difficoltà psico-affettive minori, rispetto alla grave psicopatologia, spiega ancora Segalla, «sono le situazioni che a seconda dei percorsi di cura e dei percorsi educativi intrapresi, possono armonizzarsi o invece transitare nella psicopatologia dell’adolescenza e dell’età adulta è la fascia più ampia di chi arriva ai servizi, quella fetta di popolazione che è il serbatoio della scommessa della psichiatria dell’adulto». Appare dunque fondamentale una visione longitudinale fra prima e seconda infanzia, soprattutto per questi bambini che, a partire da difficoltà di ordine psico-affettivo o in riferimento a disturbi neuropsicologici, arrivano ai servizi territoriali ma sono meno studiati e non occupano - per così dire - “la scena”.
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“Il bambino che viene esibito, che diventa oggetto narcisistico, o quello che viene visto come un piccolo adulto rappresentano due modi quasi opposti di evidenziare una maggior difficoltà di rispondere a quelli che sono i bisogni nella relazione precoce. Viviamo in un mondo veloce ed efficientista, anche questo probabilmente non sempre gioca a favore di una care che abbia la capacità di favorire la trasmissione di tranquillità”.
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ICTUS, UNA MACCHINA PER LEGGERE I PENSIERI UN PROGETTO ITALIANO NATO A VIPITENO Sarà fondamentale per combattere le malattie neurodegenerative
di Francesco Carta
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na macchina per leggere i pensieri dei pazienti colpiti da ictus. Un progetto ambizioso che presto potrebbe diventare realtà. E tutto italiano. Al reparto di Neuroriabilitazione dell’Ospedale di Vipiteno è partito infati un progetto con l’obiettivo di insegnare ai pazienti colpiti da ictus a muoversi con l’ausilio della tecnologia Brain-Computer-Interface. Il progetto del reparto di Neuroriabilitazione dell’ospedale di Vipiteno, unico per l’Alto Adige, si chiama «Studio sull’elettrostimolazione funzionale supportata dalla tecnologia di Brain-Computer-Interface per la riabilitazione degli arti
superiori dei pazienti con ictus cronico». Ma partiamo da principio. L’obiettivo della tecnologia Brain-Computer-Interface (Bci) nella neuroriabilitazione motoria è quello di “leggere” nei segnali elettrici di attività cerebrale (Eeg) del paziente colpito da ictus l’intenzione di voler muovere il braccio paralizzato e di far eseguire questo movimento immaginato attraverso un aiuto robotici. Questa tecnica, che - come è stato spiegato - è disponibile solo in pochi centri al mondo, ha dimostrato di essere in grado di supportare la neuroplasticità e il recupero clinico quando viene applicata ripetutamente. Se
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i sistemi Bci non possono leggere la mente di una persona, sulla base dei segnali inviati, possono comunque rilevarne le intenzioni, come la volontà di andare a destra o sinistra, di muoversi o fermarsi, di affermare o negare. Il progetto è già a buon punto. Nelle scorse settimane, infatti, terapisti e tecnici di neurofisiologia del reparto di Neuroriabilitazione di Vipiteno sono stati formati per essere in grado di utilizzare questa innovativa tecnologia. Per questa formazione erano presenti esperti delle principali università tecnologiche del mondo, in particolare dell’École Polytechnique Fédérale de Lausan-
ne (Epfl, Svizzera) e della University of Essex (Regno Unito). L’obiettivo ora è riuscire a leggere l’intenzione del paziente di muoversi per mezzo di un elettroencefalogramma (Eeg) e quindi attivare gli stimolatori elettrici sul braccio nonché sull’ortesi della mano robotica e quindi riuscire a raggiungere, afferrare o rilasciare oggetti. L’intento è quello di attivare nuovi circuiti neurali nel cervello delle persone colpite da ictus, che potranno così riacquisire almeno parzialmente le funzioni perse a causa delle lesioni al tessuto cerebrale. Sembra guardare a un futuro lontano. E invece è più vicino di quanto possa sembrare.
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L’obiettivo della tecnologia Brain-Computer-Interface (Bci) nella neuroriabilitazione motoria è quello di “leggere” nei segnali elettrici di attività cerebrale (Eeg) del paziente colpito da ictus l’intenzione di voler muovere il braccio paralizzato e di far eseguire questo movimento immaginato attraverso un aiuto robotici.
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ARRABBIATI CRONICI, ECCO PERCHÉ NON È SOLO QUESTIONE DI UN “BRUTTO CARATTERE” L’irritabilità incontrollata può essere una vera e propria patologia o un sintomo che annuncia anche patologie fisiche
di Alessia Vincenti
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lcune persone sembrano quasi sempre di cattivo umore, irritabili alla minima contrarietà. Viverci accanto non è facile, e spesso lasciano sconcertati per l’esplosività delle loro risposte comportamentali anche per eventi che altri considererebbero trascurabili. È noto da tempo che esistono caratteri irritabili e ancora oggi gli psichiatri faticano a individuare un confine preciso oltre il quale un carattere «difficile» deve essere considerato un’espressione di tipo patologico e quanto invece possa far parte di una naturale variabilità. In alcuni casi - sebbene pochi
lo sappiano - tali “scatti” sono conseguenza di un vero e proprio disturbo: il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente, una nuova entità diagnostica descritta nell’ultima edizione del DSM5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Da un punto di vista clinico questo disturbo è caratterizzato dalla presenza di gravi e frequenti scoppi di collera — almeno tre episodi a settimana — manifestati sia verbalmente, con urla, grida e pianti, sia sul piano comportamentale, con aggressioni fisiche a persone o a oggetti. Un disturbo, questo, che può manifestarsi già in età infantile. E non a
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caso inevitabilmente genera una marcata alterazione nelle relazioni del bambino con la famiglia e con i coetanei. Altrettanto evidentemente, dunque, chi soffre di un disturbo da disregolazione dell’umore dirompente non ha una vita facile perché non sempre si avranno di fronte persone capaci di comprendere lo stato mentale del soggetto. Ed è inevitabile, dunque, che si vada incontro anche a pesanti disabilità nella vita quotidiana. C’è però da dire che in altre circostanze l’irritabilità può essere considerata un sintomo “prodromico”. Intendiamo con questo termine un sintomo che di fatto è indicatore di disturbi psichici o fisici in arrivo. E anche le alterazioni dell’umore o un’eccessiva irritabilità possono essere sintomi “prodromici”. «Umore triste, irritabilità, ansia generalizzata e i disturbi del sonno possono essere sintomi prodromici del disturbo depressivo maggiore», ha spiegato non a caso poco tempo fa al Corriere della Sera Fiammetta Cosci, professore associato di psicologia clinica dell’Università di Firenze, coautrice di una revisione sistematica sui disturbi dell’umore e d’ansia come manifestazioni precoci di disturbi fisici, pubblicata sulla rivista scientifica Psychotherapy and Psychosomatics. «Sintomi prodromici del disturbo di panico hanno invece a che fare con le paure, come agorafobia, ansia sociale, ipocondria, e ansia generalizzata». Ma sintomi depressivi, come la perdita di interesse nei confronti di ciò che solitamente interessa, si riscontrano anche frequentemente, a loro volta, prima dell’insorgenza di una malattia fisica. Ad esempio alcune patologie endocrine, quali la sindrome di Cushing o l’ipotiroidismo. Non solo. Alcuni studi hanno rilevato che maggiore loquacità, irrequietezza, cambiamenti di umore significativi, caratterizzati da allegria e irritabilità occasionale, sono stati os-
servati come prodromi nella malattia di Wilson, una malattia rara ereditaria nella quale l’anomalo accumulo di rame in alcuni organi li danneggia in modo irreparabile. Anche un’anomala condizione di irritabilità prolungata può annunciare l’arrivo di un disturbo psichico. «Può essere uno stato emotivo caratterizzato da ridotto controllo sulla collera, che di solito si traduce in esplosioni verbali o comportamentali di rabbia», ha precisato ancora Fiammetta Cosci. «Può anticipare la comparsa di un quadro depressivo maggiore, ma anche precedere la diagnosi di malattie fisiche quali l’iperparatiroidismo o perfino un infarto del miocardio». Naturalmente è vero anche il contrario: una condizione di malattia fisica può indurre sintomi o disturbi depressivi.
Da un punto di vista clinico questo disturbo è caratterizzato dalla presenza di gravi e frequenti scoppi di collera — almeno tre episodi a settimana — manifestati sia verbalmente, con urla, grida e pianti, sia sul piano comportamentale, con aggressioni fisiche a persone o a oggetti.
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ESISTE UNA “FORMULA DEL SUCCESSO” DELLE OPERE D’ARTE Incredibile scoperta, da Pollock a Van Gogh. Grazie all’intelligenza artificiale
di Antonio Acerbis
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embra incredibile dirlo, ma esiste una vera e propria “formula del successo”. Da Leonardo Da Vinci a Michelangelo fino a Caravaggio e Van Gogh, esiste un vero e proprio codice comune alle opere d’arte di maggiore successo: grazie all’intelligenza artificiale è emerso che il periodo fortunato, in cui si producono i capolavori, arriva dopo anni in cui l’artista ha prima esplorato e provato diversi stili e tecniche, seguiti da anni di uso intensivo di una tecnica su un’area più ristretta, per sviluppare più in profondità l’esperienza acquisita. Lo evidenzia, sulla rivista Nature Communications, la ricerca della Northwestern University. Secondo quanto riportato anche
dall’Ansa, Pollock ad esempio, disegnò dipinti surrealisti di figure umane, animali e natura per poi usare la tecnica della sgocciolatura nel suo periodo fortunato, che durò tre anni, in cui creò tutti i capolavori che lo hanno reso famoso. Van Gogh ebbe il suo periodo di svolta artistica tra il 1888 e 1890; prima di allora la sua pittura era meno impressionistica e più realistica. «Nè l’esplorazione né lo sfruttamento da soli, in isolamento, fanno nascere il momento del successo, ma è la loro sequenza insieme. L’esplorazione seguita dallo sfruttamento sembra essere la giusta combinazione per dare avvio al periodo fortunato», commenta Dashun Wang, coordinatore dello studio.
SALUTE
Ma com’è stato possibile tutto questo? I ricercatori hanno sviluppato algoritmi di apprendimento automatico per tracciare i risultati della carriera di artisti, registi e scienziati, con cui hanno analizzato 800.000 immagini di opere di 2.128 artisti, su 79.000 film di 4.337 registi, e le carriere di 20.040 ricercatori, combinate con pubblicazioni e citazioni. Gli studiosi hanno quantificato il momento migliore di produzione per ogni carriera sulla base dell’impatto dei lavori, gli acquisti, le cita-
zioni le classifiche, e lo hanno messo in relazione con il momento e le varie traiettorie creative 4 anni prima e 4 anni dopo il momento fortunato. Hanno così visto che quando l’esplorazione non è seguita dallo sfruttamento, cala parecchio la possibilità di un momento di successo, e lo stesso vale a fattori invertiti. In media il momento “buono” dura circa 5 anni, per poi tornare alla normalità. Un ottimo vademecum per chiunque voglia intraprendere la carriera artistica.
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I ricercatori hanno sviluppato algoritmi di apprendimento automatico per tracciare i risultati della carriera di artisti, registi e scienziati.
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nuovo coronavirus
Consigli sulle terapie in corso Titolo Non trascurare le tue patologie croniche. Continua ad assumere i farmaci che ti sono stati prescritti seguendo sempre le raccomandazioni del tuo medico. Le tue patologie non aspettano la fine della pandemia! Contatta il tuo medico per chiedergli consiglio, se hai qualche dubbio sulla terapia che stai assumendo. Il medico può fornirti telefonicamente il numero della ricetta con il quale ritirare i medicinali di cui hai bisogno presso la farmacia. Informati su quando potrai riprendere i tuoi controlli medici periodici. Non sospendere le terapie in corso senza aver consultato il tuo medico, in caso di positività al COVID-19. Ricordati di riferire al medico se stai assumendo integratori alimentari.
Chiedi conferma degli appuntamenti per le vaccinazioni dei tuoi bambini e cerca di non saltarli. Non esiste solo il COVID-19!
A cura del Gruppo ISS “Comunicazione Nuovo Coronavirus” 13 maggio 2020
CINEMA E TV
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Modern Love, l’amore ai tempi (anche) del disturbo bipolare L’amore in tutte le sfaccettature nella serie Amazon di Chiara Andreotti
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i è mai capitato di ascoltare un racconto d’amore che sembra uscito da un film per poi scoprire che è una storia vera? Questo è quello che succede con Modern Love, una miniserie prodotta da Amazon Prime Video, nata dalla rubrica del New York Times del 2004. La serie, la cui seconda stagione è uscita nelle ultime settimane, propone diversi racconti che esplorano l’amore in tutte le forme in cui esso si presenta: tra fidanzati, genitori e figli, amici, sconosciuti, se stessi. Anne Hathaway è la protagonista di una delle storie più toccanti della prima stagione. “Prendimi come sono, chiunque io sia”, è il racconto in prima persona di Lexi, una donna che si iscrive ad un sito di incontri ma, una volta davanti alla biografia, inizia a pensare al modo migliore per raccontarsi veramente, senza filtri. Lexi inizia raccontando di un episodio al supermercato: frizzante e brillante sembra la protagonista di un musical di Broadway, perfetta e scintillante in ogni suo più piccolo dettaglio. Lì conosce Jeff, che rimane immediatamente colpito dalla luce che irradia Lexi, tanto da invitarla a colazione immediatamente. L’appuntamento improvvisato procede nel
migliore dei modi, così i due decidono di cenare insieme, dandosi appuntamento qualche giorno dopo. Lexi torna a casa raggiante, ma appena entra i suoi occhi perdono tutta la luce che avevano avuto fino a quel momento e crolla in uno stato di depressione profondo, tanto che entra nel letto e lì rimane per due giorni consecutivi. Quando Jeff arriva a casa sua la sera della cena, Lexi si presenta in pigiama, struccata, priva della vitalità che Jeff aveva tanto apprezzato. Si scopre così che Lexi è affetta sin da giovanissima dal disturbo bipolare, una malattia mentale che la costringe a vivere stati di euforia alternati a periodi più o meno lungo di depressione. Veniamo quindi travolti dal vortice delle emozioni di Lexi, che cerca di convivere come meglio può con questo disturbo e che impara ogni giorno a relazionarsi con chi le sta vicino. “Torna, non tornare” si ripete Lexi, distesa sul pavimento del bagno, durante l’inizio del ciclo di depressione mentre Jeff che se ne sta andando. Inaspettatamente a tendere la mano a Lexi non è l’amore di un uomo, ma l’amore di una amica che lei nemmeno sapeva di avere, e che la aiuterà ad accettarsi per quella che è.
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TITOLI DI CODA
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Un viaggio nell’universo infinito del cervello di Pietro Pietrini
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Professore Ordinario, Direttore Scuola IMT Alti Studi Lucca
n fortuito incidente, un contadino colpito alla testa da un mattone caduto dal campanile sotto il quale sta riposando dal lavoro, segna un momento cruciale nella storia delle Neuroscienze. Siamo nel 1880, la Medicina non ha ancora alcuna delle tecniche di indagine cerebrale che l’ingegno umano avrebbe poi messo a punto nelle decadi seguenti (i raggi X saranno scoperti nel 1895; per l’elettroencefalografia bisognerà attendere il 1929), men che meno antibiotici o farmaci psicotropi. Lo sfortunato contadino, Michele Bertino, con una parte del cranio fracassata, viene portato nell’ambulatorio di Angelo Mosso, un brillante medico e professore di fisiologia con la passione per lo studio del rapporto fra pensiero, emozioni e cervello. Mosso esamina il paziente, pulisce la ferita e, attraverso questa
vera e propria “finestra sul cervello” aperta dal mattone, osserva al di sotto delle meningi dei movimenti che, ne è convinto, non possono essere affatto casuali. Costruisce una macchinetta con una membrana che permette di registrare graficamente anche le più piccole variazioni di pressione, una sorta di primordiale pletismografo, la appoggia sulle meningi attraverso il foro nel cranio e rileva le pulsazioni pressorie cerebrali mentre il paziente riposa tranquillo, quindi mentre ascolta il rintocco delle campane e ancora mentre risponde alle sue domande. In un’elegantissima serie di esperimenti, Mosso documenta per la prima volta che tra attività mentale e cervello esiste una relazione che può essere misurata. Un secolo più tardi, negli anni ’80 del novecento, con l’avvento della Tomografia ad emissione di positroni (PET, dal nome
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TITOLI DI CODA
inglese) si apre l’era degli studi dei correlati neurali delle funzioni mentali. Quello che Angelo Mosso aveva osservato letteralmente ad occhio nudo, viene misurato in maniera via via più precisa dalle cosiddette metodologie di neuroimmagine (brain imaging, nel mondo anglosassone); oltre alla PET, la risonanza magnetica nelle sue diverse applicazioni. Mosso aveva misurato grossolane variazioni di flusso ematico conseguenti al fatto che laddove aumenta l’attività neuronale sinaptica (come ad esempio nella corteccia uditiva durante la percezione di suoni o parole) aumenta parallelamente il fabbisogno energetico e dunque la necessità di glucosio e ossigeno, i soli carburanti energetici del cervello, trasportati dal sangue; da qui l’aumento di flusso ematico. Con la possibilità di misurare in maniera non invasiva correlati metabolici della funzionalità cerebrale nell’essere umano si è
dato avvio ad un vero e proprio viaggio nel cervello, non meno affascinante e grandioso dell’esplorazione dell’Universo. Negli anni seguenti, la messa a punto di paradigmi sperimentali sempre più sofisticati e complessi ha consentito di esplorare la meravigliosa architettura morfo-funzionale che sottende le diverse attività mentali in condizioni fisiologiche, come pure di individuare alterazioni strutturali o metaboliche che si associano, o addirittura precedono, patologie neurologiche e psichiatriche, con enormi ricadute sul piano sia scientifico sia clinico. In questi giorni che vedono l’Italia al centro del mondo per il (tardivo) Premio Nobel assegnato alla Scuola di fisica romana, piace ricordare che il padre di quel viaggio nell’infinito mistero del cervello umano fu un italiano, Angelo Mosso, figlio di Felice, falegname, e di Margherita Contessa, a dispetto del nome, umile sarta.
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