Brain. Numero di Gennaio 2022

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Anno III | N. 1 | Gennaio 2022

BRAIN PRECARIA MENTE

Costi, strutture, farmaci Cosa non va nella psichiatria italiana (e qualche proposta)

Lazzari (Psicologi) sull’emergenza del post-Covid

Come i neuroni dell’olfatto stimolano i ricordi

Nino D’Angelo “Così continuo a rinascere”



EDITORIALE

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L’eterna cenerentola della medicina che svela il nostro futuro

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di Armando Piccinni

ro un giovane medico del primo anno della specializzazione in psichiatria, quando mi resi conto di essere in una clinica diverse da tutte le altre. Molti dei pazienti che affluivano per essere assistiti e curati non erano solo persone affette da una malattia, ma erano in realtà figli di un dio minore. La nostra struttura non era come le altre cliniche lucidata a specchio, ma un po’ malandata, i medici strutturati dicevano “non ti preoccupare, ci farai l’abitudine, d’altro canto la psichiatria è stata da sempre la cenerentola della medicina”. Sono passati oltre trent’anni e forse, fatte le debite eccezioni a macchia di leopardo, è cambiato davvero poco. In questi anni la comprensione del cervello e delle malattie mentali hanno fatto enormi passi avanti, e abbiamo conoscenze molto più approfondite e raffinate. Alcuni quadri clinici di frequente riscontro sono oggi comunemente ed agevolmente trattati. Esistono nuovi farmaci, alcuni di grande efficacia e valore, che riescono ad alleviare sofferenze profonde a volte datate da anni e spesso cronicizzate. I pazienti si sono resi conto di questi progressi e si avvicinano agli psicologi ed agli psichiatri con maggiore fiducia e più forti aspettative. Tutto questo potrebbe essere la premessa per un riscatto dei pazienti

psichiatrici da sempre bistrattati e negletti, nonché l’anticipazione per un’assistenza migliore con una considerazione diversa delle malattie mentali e delle persone che ne soffrono. Purtroppo, così non è stato in questi lustri e così non è. Ancora oggi, la psichiatria è la Cenerentola della medicina. Avrebbe meritato altro interesse e sostegno da parte di chi aveva la possibilità di comprenderne l’importanza sociale e deciderne le sorti. Avrebbe potuto essere il cavallo di battaglia per il riscatto di quel milione di italiani che tutti i giorni vivono nella sofferenza personale o nella prigione domestica dell’assistenza dei propri familiari. Chi ha la fortuna di vivere fuori da questa realtà sa poco di cosa succede in quelle case. Violenze giornaliere, suppellettili in frantumi, porte sfondate: vite spezzate. In quelle case dormire con la porta della propria camera da letto chiusa a chiave è la prassi. Così come assistere quotidianamente alla preparazione del misero pasto della figlia anoressica, ridotta ad uno scheletro, che corre sul posto per approfittare anche di quell’occasione per disperdere calorie; o subire la minaccia di essere picchiati o uccisi ogni volta che una crisi psicotica insorge. Se questi fatti accadessero una tantum potrebbero (ma non dovrebbero) trovare motivo di sopportazione. Purtroppo, nella

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EDITORIALE

maggioranza dei casi sono la prassi quotidiana per anni ed anni fino allo sfinimento. Ed è proprio di questo che parlano i familiari dei pazienti: “dottore ci aiuti, siamo allo stremo delle forze, non sappiamo cosa fare per arginare questo fiume in piena che giornalmente ci travolge”.“Abbiamo provato con il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) ma dopo sette giorni è ritornato a casa più agitato di prima, abbiamo riprovato ancora nulla è mutato”. La verità è che gli investimenti nella sanità pubblica in Italia hanno subito negli anni una forte e progressiva contrazione. La psichiatria non ha mai conosciuto una stagione buona in passato, tanto meno li vive oggi. Il COVID-19 ha poi dato il colpo di grazia ad una salute mentale già in condizioni di grave sofferenza. L’incremento della patologia psichiatrica per il riaccendersi di vecchi quadri psicopatologici, l’insorgenza di nuovi disturbi legati allo stress cronico dopo due anni di pandemia hanno aumentato la richiesta di supporto psicologico-psichiatrico proprio in un momento in cui le strutture già allo stremo erano in ulteriore affanno assistenziale. In un appello alle autorità di governo

è auspicio comune di tutti gli operatori della salute mentale che la psichiatria non resti ancora una volta dimenticata. L’auspicio è che ci possano essere investimenti rispetto alle strutture, all’incremento dei numeri degli operatori, alla creazione di programmi di addestramento e di ricerca sostenuti da finanziamenti ad hoc. Una società socialmente progredita come la nostra non può permettersi la condizione di restrizione e di abbandono in cui versa attualmente la salute mentale dei suoi cittadini. Sostenere l’assistenza psichiatrica, i trattamenti psicologici istituzionali, la costruzione di strutture di assistenza e supporto per i malati mentali è l’unico modo di reagire fattivamente alle notizie giornaliere di cronaca, come l’aumento della violenza dei giovani, della violenza familiare, dei femminicidi, dei sucidi. Dobbiamo spostare la nostra “preoccupazione”, che sa tanto di compassione, ad una “occupazione” in azioni, finanziamenti, investimenti per restituire dignità alla sofferenza mentale che proprio per la sua natura di cronicità è probabilmente la peggiore delle sofferenze umane. Di certo, è la più dimenticata.


Anno III | N. 1 | Gennaio 2022

BRAIN SOMMARIO

PRECARIA MENTE

Costi, strutture, farmaci Cosa non va nella psichiatria italiana (e qualche proposta)

Lazzari (Psicologi) sull’emergenza del post-Covid

Come i neuroni dell’olfatto stimolano i ricordi

Nino D’Angelo “Così continuo a rinascere”

EDITORIALE

3 L’eterna cenerentola della medicina che svela il nostro futuro di Armando Piccinni PRIMO PIANO

8 Il precario stato della psichiatria in Italia

di Carmine Gazzanni

15 Il lavoro del tavolo tecnico

ministeriale: a cosa è servito? di Carmine Gazzanni

Brain Anno III | N. 1 | Gennaio 2022 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca


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41 Scoperto un nuovo

marcatore della depressione di Antonio Acerbis

42 La solitudine fa “male” al cervello

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di Filippo Strambi

43 Autismo, i primi segnali

L’INTERVISTA

20 Emergenza psicologica

in risposta al “maternese” di Francesco Carta

post-Covid: “Dalle istituzioni scarsissima attenzione”

44 Una nuova speranza

di Carmine Gazzanni

per la cura della Sla di Alessio Rossi

FOCUS

24 Nascita della Neuroetica (prima parte) di Alberto Carrara #PARLIAMONE

26 Worth wearing. Alziamo la voce di Chiara Andreotti

30 Intervista a Luchadora

l’illustratrice della gentilezza

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di Chiara Andreotti IN PARLAMENTO

L’AUTORE

32 L’impegno del Governo

46 La mia continua rinascita

sull’emergenza psicologica

di Flavia Piccinni

di Carmine Gazzanni

LIBRI

SALUTE

34 Così gli odori stimolano i ricordi di Carmine Gazzanni

50 Lo spirito della montagna e l’anima dell’uomo di Flavia Piccinni

38 Depressione in menopausa:

PODCAST

51 Il dito di Dio

quali sono i sintomi?

di Flavia Piccinni

di Alessia Righi

TITOLI DI CODA

52 Zerocalcare: fra ansie, paure e necessità di evolversi di Chiara Andreotti TITOLI DI CODA

52 Il Messaggio della Pandemia 34

tra Male e Bene di Pietro Pietrini


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IL PRECARIO STATO DELLA PSICHIATRIA IN ITALIA Costi, strutture, farmaci. Ciò che non va e ciò che bisognerebbe fare

di Carmine Gazzanni


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a crisi scoppiata col Covid-19 è stata particolarmente difficile per le persone che necessitano di servizi psichiatrici e psicologici. Durante la prima ondata dei contagi, uno o più servizi dedicati a pazienti con problemi mentali, neurologici o di abuso di sostanze stupefacenti sono rimasti paralizzati in quasi tutti i paesi monitorati dall’organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Secondo i dati in quel periodo 3 su 4 sono stati i servizi di igiene mentale che sono stati sospesi in Europa a causa della crisi da Covid-19. Un dato che lascia intendere la fragilità dei servizi psichiatrici in tutta Europa. La pandemia ha rivoluzionato l’assistenza sanitaria, compresa quella per la salute mentale, e continua a causare problemi. Oltre ai tagli ai servizi di igiene mentale disponibili, è calata in modo drastico anche la richiesta di assistenza da parte delle persone con problemi psichici. In alcuni casi le terapie sono così continuate al telefono, in altri con videochiamata. Secondo i dati dell’associazione europea di psichiatria, oltre il 75% dell’assistenza psichiatrica durante la prima ondata di Covid-19 in Europa è stata fatta online, nonostante grandi differenze tra un paese e l’altro. I LIMITI DELLA TELEPSICHIATRIA Secondo uno studio del 2015 dell’Osservatorio globale dell’Oms per l’assistenza online, soltanto Finlandia, Paesi Bassi e Svezia avevano all’opera dei programmi di telepsichiatria a livello nazionale. Altri paesi come Grecia e Spagna aveva-

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La pandemia ha rivoluzionato l’assistenza sanitaria, compresa quella per la salute mentale, e continua a causare problemi. Oltre ai tagli ai servizi di igiene mentale disponibili, è calata in modo drastico anche la richiesta di assistenza da parte delle persone con problemi psichici.

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no lanciato programmi pilota per l’assistenza psichiatrica da remoto, mentre in Italia, Croazia e Lituania all’epoca esistevano solo iniziative sporadiche o informali. È importante, tuttavia, sottolineare che l’assistenza sanitaria da remoto ha dei limiti, non è praticabile con la stessa efficacia con tutti i pazienti. Se da un lato può aiutare persone con difficoltà di mobilità o che faticano a instaurare rapporti di fiducia in presenza, dall’altro può essere difficilmente praticabile per pazienti anziani o che non hanno accesso a dispositivi come pc o tablet o a una connessione internet. IL CONFRONTO IN EUROPA Inoltre, senza negare i benefici che una terapia online può portare, gli esperti sottolineano l’urgenza per le persone affette da patologie gravi, di un sostegno continuo. Una necessità che esiste da prima della pandemia, data la carenza di risorse che già limitava l’accesso all’assistenza mentale. Secondo i dati Eurostat 2018, i paesi europei con il maggior numero di psichiatri per 100mila abitanti erano Germania (27,45 per 100mila abitanti), Grecia (25,79) e Paesi Bassi (24,15); mentre Polonia (9,23), Bulgaria (10,31) e Spagna (10,93) hanno al contrario il minor numero di psichiatri in rapporto alla popolazione. In questo quadro l’Italia si trova nel mezzo, con 17,08 psichiatri ogni 100mila abitanti. Ma c’è di più. Anche confrontando i posti letto a disposizione l’Italia non risulta tra le prime in Europa. Secondo Eurostat, nel 2018 erano presenti 324.000 posti letto

per cure psichiatriche negli ospedali dell’UE-27, pari al 13,5% di tutti i letti ospedalieri. Questa quota supera il 20% nei Paesi Bassi (in cui raggiunge addirittura il 27%), a Malta, in Belgio e in Lettonia; al contrario, non raggiunge il 10% in Polonia, Austria, Bulgaria, Cipro. La quota si ferma addirittura al 2,8% in Italia, con meno di 3 letti su 100 sono dedicati alle cure psichiatriche. I diversi paesi UE registrano inoltre valori molti distanti tra loro anche tenendo conto delle differenti dimensioni delle popolazioni: si va dai 135 posti letto ospedalieri per cure psichiatriche per 100.000 abitanti in Belgio ai 9 per 100.000 abitanti in Italia. Tra il 2013 e il 2018, i posti per popolazione sono diminuiti nella maggior parte degli Stati membri dell’UE, ad eccezione di Germa-


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nia (2013-2017), Romania, e Grecia, che ha in particolare registrato una crescita relativamente rapida. I NUMERI ITALIANI A questo punto andiamo a conoscere nel dettaglio la situazione italiana. Gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici nel corso del 2019 ammontano a 826.465 unità (mancano i dati della P.A. di Bolzano) con tassi standardizzati che vanno da 110,5 per 10.000 abitanti adulti in Molise fino a 215,2 nella regione Emilia-Romagna (valore totale Italia 164,5). Gli utenti sono di sesso femminile nel 54,3% dei casi, mentre la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (68,7%). In entrambi i sessi risul-

tano meno numerosi i pazienti al di sotto dei 25 anni mentre la più alta concentrazione si ha nelle classi 4554 anni e 55-64 anni (45,8% in entrambi i sessi). Nel 2019 i pazienti che sono entrati in contatto per la prima volta durante l’anno (utenti al primo contatto) con i Dipartimenti di Salute Mentale ammontano a 314.120 unità di cui il 92,9% ha avuto un contatto con i servizi per la prima volta nella vita (first ever pari a 291.695 unità). LE PATOLOGIE E LE ATTIVITÀ DEI SERVIZI Secondo l’ultimo rapporto disponibile del ministero della Salute, i tassi relativi ai disturbi schizofrenici, ai disturbi di personalità, ai disturbi da abuso di sostanze e al ritardo mentale sono maggiori nel sesso maschile rispetto a quello femminile, mentre l’opposto avviene per i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi. In particolare, per la depressione il tasso degli utenti di sesso femminile è quasi doppio rispetto a quello del sesso maschile (28,7 per 10.000 abitanti nei maschi e 48,6 per 10.000 abitanti nelle femmine). Le prestazioni erogate nel 2019 dai servizi territoriali ammontano a 10.944.849 con una media di 14,2 prestazioni per utente. Complessivamente il 75,8% degli interventi è effettuato in sede, l’8,6% a domicilio e il resto in una sede esterna. Il 29,9% degli interventi è rappresentato da attività infermieristica al domicilio e nel territorio, il 26,0% da attività psichiatrica, il 13,9% da attività di riabilitazione e risocializzazione territoriale, il 6,5% da attività di coordinamento e il 6,4% da attività Psicologica-psicoterapica; la

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Secondo i dati Eurostat 2018, i paesi europei con il maggior numero di psichiatri per 100mila abitanti erano Germania (27,45 per 100mila abitanti), Grecia (25,79) e Paesi Bassi (24,15); mentre Polonia (9,23), Bulgaria (10,31) e Spagna (10,93) hanno al contrario il minor numero di psichiatri in rapporto alla popolazione. In questo quadro l’Italia si trova nel mezzo, con 17,08 psichiatri ogni 100mila abitanti.


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quota restante riguarda attività rivolta alla famiglia e attività di supporto. Inoltre, le giornate di presenza presso strutture residenziali sono pari a 11.318.853 per 27.502 utenti; la durata media del trattamento a livello nazionale è pari a 1.044,9 giorni. Gli accessi nelle strutture semiresidenziali sono pari a 1.520.488 per 26.269 persone (316,4 accessi per 10.000 abitanti).

Nel 2019 il numero complessivo di accessi al Pronto Soccorso per patologie psichiatriche ammonta a 648.408 che costituiscono il 3,1% del numero totale di accessi al pronto soccorso a livello nazionale (21.117.300 nel 2019). Il 13,4% del totale degli accessi in Pronto Soccorso per problemi psichiatrici esita in ricovero, di cui oltre la metà nel reparto di psichiatria.

ACCESSI IN PRONTO SOCCORSO Nel 2019 il numero complessivo di accessi al Pronto Soccorso per patologie psichiatriche ammonta a 648.408 che costituiscono il 3,1% del numero totale di accessi al pronto soccorso a livello nazionale (21.117.300 nel 2019). Il 13,4% del totale degli accessi in Pronto Soccorso per problemi psichiatrici esita in ricovero, di cui oltre la metà nel reparto di psichiatria. Inoltre, il 26,9% dei ricoveri per problemi psichiatrici registra una diagnosi di Schizofrenia e altre psicosi funzionali. Il 75,0% del totale degli accessi in Pronto Soccorso per problemi psichiatrici esita a domicilio. IL CONSUMO DEI FARMACI Un capitolo a parte merita il consumo dei farmaci. In regime di assistenza convenzionata, per la categoria degli Antidepressivi la spesa lorda complessiva è di oltre 383 milioni di euro con un numero di confezioni superiore a 37 milioni. Per la categoria degli Antipsicotici la spesa lorda complessiva è superiore a 80 milioni di euro con un numero di confezioni che supera i 5,7 milioni. Per la categoria Litio la spesa lorda

complessiva è di circa 3,4 milioni di euro con un numero di confezioni pari a 847.760. Per la distribuzione diretta, invece per quanto riguarda la categoria degli Antidepressivi la spesa lorda complessiva è pari a circa 1,1 milioni di euro con un numero di confezioni pari a 566.570. Per la categoria degli Antipsicotici la spesa lorda complessiva è pari a circa 80 milioni di euro con un numero di confezioni pari a circa 6,6 milioni. Per la categoria Litio la spesa lorda complessiva è di 55.437 euro con un numero di confezioni pari a 25.648. COSTO E STRUTTURE A conclusione di questo ampio viaggio nella psichiatria italiana, comprendiamo anche i costi complessivi. Sempre in riferimento all’anno 2019 il costo medio annuo per residente dell’assistenza psichiatrica, sia territoriale che ospedaliera, è pari a 65,4 euro calcolato dividendo il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica per la popolazione adulta residente nel 2019. Per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica territoriale il costo complessivo ammonta a 3,1 miliardi di euro, di cui 1,3 per l’assistenza ambulatoriale e domiciliare, 392 milioni per l’assistenza semiresidenziale e 1,3 miliardi per l’assistenza residenziale. Ma di quante strutture parliamo? Nel 2019 il sistema informativo salute mentale ha rilevato dati di attività di 1.328 servizi territoriali, 2.233 strutture residenziali e 872 strutture semiresidenziali che si riferiscono a circa il 98% dei disturbi di salute mentale. Nel 2019 il numero dei


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SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, ndr) attivi è pari a 317 con complessivi 4.046 posti letto per ricoveri ordinari e 295 posti letto per ricoveri in day hospital; le strutture ospedaliere in convenzione che erogano attività di assistenza psichiatrica sono pari a 18 con un totale di posti letto per degenza ordinaria pari a 792 e a 16 posti per day hospital. Per il totale Italia, l’offerta per i posti letto in degenza ordinaria, è di 9,5 ogni 100.000 abitanti maggiorenni. QUALI SONO LE PROBLEMATICHE Dopo aver tracciato un quadro in maniera così analitica è possibile comprendere quali sono le difficoltà del sistema italiano. Ad oggi, la rete a disposizione di chi è affetto da disturbi mentali è gestita a livello regionale da diversi Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm), la cui area di competenza è la stessa delle Asl. A sua volta, ogni Dsm è suddiviso in Centri di salute mentale per l’assistenza diurna (Csm) – primo punto di riferimento per cittadini con di-

sagio psichico, Centri Diurni semiresidenziali (Cd) – per soggiorni più lunghi, Strutture Residenziali (Sr) – vere e propri centri abitativi e sociali per chi è affetto da disturbi mentali. Le Sr, a loro volta, si dividono in terapeutico-riabilitative, socioriabilitative e servizi ospedalieri, ovvero Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura e Day Hospital. Il sistema pubblico è quindi articolato e complesso, con l’obiettivo di rendere disponibili differenti tipologie di intervento in base alle necessità. La presenza di numerose strutture, però, risulta spesso in una frammentarietà di servizi e nell’incapacità di fare sistema e offrire percorsi di supporto integrato per chi dovesse averne bisogno. Due problemi fondamentali, infatti, sono la mancanza in tutto il sistema di un’infrastruttura di monitoraggio e valutazione dei servizi, e la disuguaglianza interregionale. La sanità è materia di legislazione concorrente (ex art. 117 Cost.) e l’assistenza territoriale è rigidamente prestata ai soli cittadini nell’area di competenza del Dsm. Come inoltre evidenziato

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Per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica territoriale il costo complessivo ammonta a 3,1 miliardi di euro, di cui 1,3 per l’assistenza ambulatoriale e domiciliare, 392 milioni per l’assistenza semiresidenziale e 1,3 miliardi per l’assistenza residenziale.


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La difficoltà di accedere alle strutture pubbliche fa sì che parte della domanda di terapia, specialmente per questioni che non richiedano periodi di permanenza in strutture residenziali, venga assorbita dal settore privato.

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da un report della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, le regioni italiane richiedono interventi diversificati, sebbene, in generale, le carenze più ricorrenti siano quelle che riguardano l’infrastruttura: le strutture territoriali, i posti disponibili in strutture residenziali e quelli nelle strutture ospedaliere, nonché il numero di personale disponibile. Oltre alla quantità, altre grandi difficoltà del servizio pubblico sono la differente qualità dei servizi erogati dalle Asl e la loro accessibilità: lunghe liste di attesa, e carenza di servizi nelle zone rurali. La difficoltà di accedere alle strutture pubbliche fa sì che parte della domanda di terapia, specialmente per questioni che non richiedano periodi di permanenza in strutture residenziali, venga assorbita dal settore privato. Se per avere accesso ai servizi pubblici ambulatoriali è normalmente sufficiente pagare un ticket contenuto, l’of-

ferta privata è ampia e diversificata. I ticket regionali della sanità risentono però a loro volta di un’estrema frammentarietà: infatti, sono definiti da ogni regione sia l’importo per le prestazioni specialistiche e i farmaci, che le soglie di esenzione. Pur essendo le prestazioni professionali di psicologi e psicoterapeuti equiparate a quelle rese da un medico, dando quindi diritto alla detrazione del 19% della spesa totale dalle tasse, le terapie offerte nel settore privato rischiano di avere un costo non indifferente, specialmente se durature nel tempo. Dove intervenire dunque? Per aumentare l’efficacia degli interventi, è necessario rafforzare le reti territoriali di assistenza e migliorare il coordinamento e l’integrazione tra i vari interventi coperti dai Dsm e, più in generale, dalle Asl. Un aspetto su cui prevedono di insistere anche i fondi del PNRR.


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IL LAVORO DEL TAVOLO TECNICO MINISTERIALE: A COSA È SERVITO? Le dure critiche al sistema psichiatrico italiano. E le proposte elaborate

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n disastro, potremmo definirlo. Eppure, parliamo della mera descrizione oggettiva della realtà in merito alla salute mentale in Italia. «Solo il 49.5% degli obiettivi programmatori sono stati attuati, il 24,3% sono in corso di attuazione e il 26,5% non sono stati attuati. Le Regioni che presentano maggiori criticità (> 6 obiettivi programmatori non attuati) sono: Basilicata, Abruzzo, Sardegna, Calabria, Lazio, Campania, Molise e Liguria». Questo è quanto è emerso dall’analisi dello stato di attuazione del Piano d’Azione Nazionale Salute Mentale (PANSM) condotta dal Tavolo tecnico sulla Salute Mentale che ha elaborato un “Documento di sintesi”, pubblicato lo scorso giugno e di cui quasi nessuno ha parlato. Il Tavolo tecnico è nato su impulso del ministro Roberto Speran-

za e dell’allora sottosegretario della Salute Sandra Zampa (Conte2) dopo che non si formava da anni. Ma torniamo al documento conclusivo dell’analisi di dirigenti ed esperti psichiatri. Gli obiettivi che hanno mostrato maggiori criticità sono: promozione della salute fisica del paziente psichiatrico; diagnosi e trattamento delle persone con disturbi psichici correlati all’invecchiamento; prevenzione e lotta allo stigma; diagnosi e trattamento delle persone con disturbo della personalità; diagnosi e trattamento delle persone con disturbi psichici comuni; diagnosi e trattamento delle persone agli esordi psicotici; interventi tempestivi e integrati per i disturbi psichici gravi in adolescenza; identificazione precoce delle patologie neuropsichiche e conseguente trattamento tempestivo. «In queste aree – evidenzia il


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«Solo il 49.5% degli obiettivi programmatori sono stati attuati, il 24,3% sono in corso di attuazione e il 26,5% non sono stati attuati. Le Regioni che presentano maggiori criticità (> 6 obiettivi programmatori non attuati) sono: Basilicata, Abruzzo, Sardegna, Calabria, Lazio, Campania, Molise e Liguria».

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Tavolo tecnico - dovrà essere concentrata l’azione perché gli obiettivi posti dal PANSM (Piano di azioni nazionale per la salute mentale, ndr) alla programmazione regionale siano conseguiti. Parallelamente, dovrà essere rilevato attraverso indicatori specifici lo stato di congruenza tra il livello programmatorio e il livello applicativo locale. In altri termini, non basta evidenziare la produzione di documenti di programmazione ma occorre verificarne l’efficacia nel perseguire gli obiettivi di salute indicati». All’interno del documento, però, ci sono anche altri spunti che lasciano intendere come l’Italia nella cura della psichiatria abbia ancora tanta strada da fare. I dati, ad esempio, mostrano che «il sistema di cura è centrato sulla cronicità piuttosto che sulla identificazione e intervento precoce, e che le prestazioni totali sono insufficienti a garantire la continuità e l’intensità della presa in carico». Ma c’è di più. Fra le principali criticità, inoltre, il documento ha evidenziato le ampie disuguaglianze

che ancora persistono fra regioni e all’interno delle regioni stesse (fra i quali: l’accesso alle cure; l’offerta assistenziale; le risorse disponibili, il ricorso ai Trattamenti Sanitari Obbligatori, TSO, lo sviluppo della rete territoriale), con conseguenze non semplici per le persone e rispetto alle quali dovrà essere rafforzato- fra l’altro - il sistema di monitoraggio del rispetto dei Livelli Essenziali di assistenza. E poi, ancora, l’organizzazione dei servizi: da più parti si rileva una carenza di risorse professionali ed economiche e una difficoltà degli operatori a fronteggiare le sfide che le riorganizzazioni e gli accorpamenti dei Dipartimenti di Salute Mentale impongono. C’è dunque la necessità di rafforzare la cultura dell’assistenza territoriale, della presa in carico integrata e globale delle persone, coinvolgendo tutte le professioni, tutte le istituzioni e tutti i soggetti che operano nelle comunità, evitando - per quanto possibile - di allontanare i pazienti in strutture che rischiano di escluderli dalla società anziché favorirne il reinserimento.


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I DIPARTIMENTI Nel dettaglio, il Tavolo tecnico ha evidenziato pesanti criticità anche sull’organizzazione e attività dei Dipartimenti di Salute Mentale. Oggi in Italia ci sono circa 140 DSM, in genere uno per ogni Azienda sanitaria territoriale. I DSM italiani differiscono tra di loro grandemente per estensione della popolazione trattata, per struttura organizzativa gestionale o funzionale, per aggregazione di Unità Operative (Psichiatria, Dipendenze, NPIA, Psicologia Clinica, Disabilità, Carcere etc…), per livelli di integrazione con le Università, per livelli di finanziamento, per culture professionali. Le caratteristiche che consentono ai DSM di valorizzare appropriatezza e qualità sono: composizione integrata; forte vocazione alla territorialità ed alla integrazione con i servizi sociali e di comunità; adeguata dotazione di risorse umane e finanziarie; attenzione a percorsi per popolazioni particolari (autismo, DCA, popolazioni marginali etc…); coinvolgimento attivo di utenti e familiari in forma singola ed associata; costante tensione verso l’innovazione psicosociale (metodi di progettazione integrata, Budget di Salute, tecniche validate e buone pratiche) e la valutazione degli esiti. La proposta del Tavolo istituzionale mira all’introduzione di standard organizzativi, quantitativi e qualitativi per la Salute Mentale nell’ambito della più generale riorganizzazione della medicina territoriale. PERSONALE Tutte le categorie professionali

rappresentate segnalano il dato macroscopico della carenza di organico, precondizione per un lavoro territoriale comunitario e per attenuare la tendenza 6 in aumento all’utilizzo di posti di residenzialità quale esito dell’impossibilità a una presa in carico multiprofessionale e continuativa. Inoltre, la carenza di psicologi e del loro impiego nel lavoro clinico individuale, familiare e di gruppo con i pazienti che presentano situazioni cliniche e relazionali e sociali più svantaggiate, finisce per radicalizzare una tendenza alla separatezza tra interventi medici e interventi non farmacologici, di fatto relegati in una dimensione ancillare rispetto alla prima. L’analisi dei dati 20152019 relativi al personale dipendente nei DSM documenta tale carenza. Si è passati da 29.260 operatori nel 2015 a 28.811 nel 2019 (-1,6%) e cioè da 57,7 operatori x 100.000 abitanti. I medici erano 4.931 nel 2015 (di cui 3.772 psichiatri) e 5.341 nel 2019 (di cui 3.436 psichiatri). Gli psicologi erano 2.213 nel 2015 e 2.009 nel 2019. Il personale infermieristico resta la figura professionale maggiormente rappresentata (45,8% nel 2015, 44,7% nel 2019). In valore assoluto gli infermieri erano 13.410 nel 2015 e sono 12.877 nel 2019. Da qui la proposta: assunzione e formazione di operatori per i servizi di salute mentale di comunità in modo da raggiungere in tutte le Regioni lo standard di riferimento quale condizione indispensabile per il funzionamento del sistema di cura. Promozione dell’integrazione culturale e professionale con il personale del privato accreditato e convenzionato.

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Il Tavolo tecnico ha evidenziato pesanti criticità anche sull’organizzazione e attività dei Dipartimenti di Salute Mentale. Oggi in Italia ci sono circa 140 DSM, in genere uno per ogni Azienda sanitaria territoriale. I DSM italiani differiscono tra di loro grandemente per estensione della popolazione trattata, per struttura organizzativa gestionale o funzionale, per aggregazione di Unità Operative, per livelli di integrazione con le Università, per livelli di finanziamento, per culture professionali.


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Le persone in carico ai centri di Salute Mentale italiani hanno ricevuto in media 14,2 prestazioni a testa. Questa intensità media però incontra differenze regionali di circa sei volte, che vanno dai 5,3 del Molise ai 33,4 del Friuli-Venezia Giulia. L’8,2% delle prestazioni viene erogata a domicilio, anche qui con differenze che vanno dal 2,1% del Molise al 20,2 della Toscana.

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ACCESSO ALLE CURE L’accesso è il requisito di partenza su cui valutare l’appropriatezza e la qualità dei percorsi. Dai dati SISM si rileva un trend verso un aumento dell’accesso ai servizi psichiatrici nazionali (primi casi in contatto con i DSM: 314.120 cittadini di cui il il 92.9% primi contatti assoluti; totale casi in contatto: 826.465, il 2.5% in più rispetto al 2016). Sussistono rilevanti differenze nella incidenza e nella prevalenza trattata tra le regioni che difficilmente possono essere imputate a diverse distribuzioni dei disturbi mentali nei territori. Ai fini della valutazione della appropriatezza e della qualità l’analisi complessiva dei dati sull’accesso ai CSM e ai PS, incrociata con le classi diagnostiche prevalenti nelle diverse regioni suggerisce l’esistenza di inappropriatezza “per difetto”, ossia una quota di bisogni non intercettati (incidenze e prevalenze troppo basse per disturbi psichiatrici gravi). In particolare, si rileva la difficoltà dei servizi di salute mentale a intercettare la morbilità psichiatrica all’esordio o comunque in fase precoce, problema particolarmente serio per le psicosi schizofreniche, per le quali evidenze consolidate documentano che soltanto servizi specificamente orientati alla presa in carico e al trattamento in fase molto precoce sono in grado di influire favorevolmente sulla 7 prognosi. Si rileva inoltre che una quota molto limitata di bisogni disturbi emotivi comuni viene in contatto con i DSM rispetto alla prevalenza stimata nella popolazione generale. Per questa ragione, secondo il Tavolo tecnico, occorre una maggiore diffusione di strategie innovative per

la realizzazione di specifici servizi per i giovani con gravi problemi di salute mentale, in grado di funzionare in modo proattivo e attrattivo per le persone giovani. E poi ancora l’adozione di Piani regionali per i Disturbi Emotivi Comuni (come da PANSM) e potenziamento della dotazione di personale in grado di erogare trattamenti psicoterapeutici di provata efficacia, indicati in questo tipo di disturbi in modo esclusivo o in associazione al trattamento farmacologico LA PRESA IN CARICO Le persone in carico ai centri di Salute Mentale italiani hanno ricevuto in media 14,2 prestazioni a testa. Questa intensità media però incontra differenze regionali di circa sei volte, che vanno dai 5,3 del Molise ai 33,4 del Friuli-Venezia Giulia. L’8,2% delle prestazioni viene erogata a domicilio, anche qui con differenze che vanno dal 2,1% del Molise al 20,2 della Toscana. Si rileva anche in una insufficiente implementazione delle Raccomandazioni per i disturbi psichiatrici gravi (depressione, disturbi della personalità e del comportamento, mania e disturbi bipolari, schizofrenia e altre psicosi funzionali) approvate dalla Conferenza Unificata il 13 novembre 2014. Se si considera l’insieme degli utenti con disturbi psichiatrici gravi emerge dai dati SISM 2019 come solo il 2,4% di questi abbia ricevuto almeno una prestazione di trattamento psicologico. È stato documentato che la capacità assistenziale della dirigenza sanitaria dei DSM sia in grado di coprire appropriatamente solo il 55.6% del fabbisogno clinico-as-


PRIMO PIANO

sistenziale-riabilitativo dell’utenza in carico al 2016. I dati preliminari del 2019 sembrano evidenziare un ulteriore divario, essendosi verificato un aumento della prevalenza ed incidenza trattata a fronte di una riduzione delle risorse umane. Bisogna dunque garantire il raggiungimento di standard di personale per aree territoriali definite; il potenziamento delle attività di formazione sulle Raccomandazioni per i disturbi psichiatrici gravi e sulle competenze professionali necessarie per implementarle; la valutazione della riorganizzazione delle attività mediante task-shifting che valorizzi il ruolo delle professioni sanitarie. IL CONSUMO DI FARMACI Altro capitolo è quello dei farmaci. Anche nel 2019 si confermano i gradienti Nord-Sud nella prescrizione e nella erogazione dei farmaci psichiatrici. In generale la erogazione diretta è prevalente al Nord, mentre quella convenzionata al Sud. L’utilizzo degli antidepressivi è largamente superiore al Nord (prevalentemente erogato in forma

convenzionata ed a partenza spesso dai MMG), mentre l’uso degli antipsicotici è molto superiore al Sud (sia in forma diretta che convenzionata). Ciò suggerisce che, al netto di possibili differenze di incidenza e prevalenza tra regioni, le differenze di accesso sopra riscontrate si riflettono anche sulla appropriatezza e qualità prescrittiva, probabilmente anche qui in una duplice via. È possibile che rispetto agli antidepressivi vi sia un bisogno non intercettato al sud ed un non-bisogno trattato al Nord. Per quanto riguarda invece il consumo di antipsicotici è possibile che al Nord la maggiore disponibilità di trattamenti psicosociali e psicoterapici, una sensibilità crescente al tema della deprescrizione, ed il migliore monitoraggio ottenibile con la erogazione diretta generino una maggiore appropriatezza e qualità di utilizzo. Bisognerebbe osservare una maggiore appropriatezza prescrittiva sviluppando collaborazione con i MMG nelle Regioni meridionali e programmi di gestione non farmacologica della depressione nelle Regioni del Centro-Nord. (C. G.)

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Anche nel 2019 si confermano i gradienti Nord-Sud nella prescrizione e nella erogazione dei farmaci psichiatrici. In generale la erogazione diretta è prevalente al Nord, mentre quella convenzionata al Sud. L’utilizzo degli antidepressivi è largamente superiore al Nord (prevalentemente erogato in forma convenzionata ed a partenza spesso dai MMG), mentre l’uso degli antipsicotici è molto superiore al Sud (sia in forma diretta che convenzionata).


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L’INTERVISTA

EMERGENZA PSICOLOGICA POST-COVID: “DALLE ISTITUZIONI SCARSISSIMA ATTENZIONE” Duro J’accuse di David Lazzari, presidente dell’Ordine degli Psicologi

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avid Lazzari è un uomo dalle mille battaglie. In qualità di presidente dell’Ordine degli Psicologi ha sempre portato avanti le istanze della categoria e, soprattutto, dei tanti pazienti che avrebbero bisogno di maggiore attenzione da parte delle istituzioni, specie in un periodo come quello attuale post-pandemico. E invece, secondo Lazzari, nonostante i problemi psicologici siano «la prima voce di costo per la società per la disabilità che generano», le risposte arrivate finora sono assolutamente «insufficienti». «Mi sembra - continua Lazzari nel suo J’accuse rilasciato a Brain - che mentre i cittadini chiedono di essere visti come persone i nostri politici li vedono soprattutto dentro ottiche parziali. Faticano a capire che la persona è soprattutto la sua psiche,

e se la psiche è debole o sofferente, sono tutti gli ambiti della vita che ne risentono». Non è un caso che solo poche settimane fa l’Ordine ha lanciato un allarme: i sintomi di depressione sono raddoppiati con la pandemia. Il nostro Paese ha gli strumenti oggi per far fronte a tale potenziale emergenza? I problemi psicologici nelle società occidentali sono in aumento da anni. Sono la prima voce di costo per la società per la disabilità che generano. Con la pandemia sia il malessere diffuso che i disturbi più severi sono esplosi, arrivando ad interessare ampie fasce della popolazione. L’aumento delle richieste di aiuto è aumentato nell’ultimo anno tra il 40 ed il 50% ma l’80% di questa richiesta trova risposta solo nel privato. L’Italia non ha una


L’INTERVISTA

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David Lazzari.

rete psicologica pubblica in grado di dare terapie ma anche fare prevenzione, ascolto e sostegno. Qual è stata l’attenzione anche da parte delle istituzioni al disagio psichico e psicologico derivante dal periodo che abbiamo vissuto? In pratica l’attenzione è stata molto scarsa, nelle aziende sanitarie abbiamo lo stesso inadeguato numero di prima della pandemia. I provvedimenti per rendere disponibili gli psicologi nelle scuole per intercettare i bisogni e promuovere le risorse dei ragazzi e dei docenti sono del tutto insufficienti. Con la legge di bilancio 2022, approvata a dicembre scorso, sono stati stanziati circa 100 milioni per arruolamenti straordinari di psicologi nelle ASL e nella scuola, ma è del tutto evidente che si tratta più di un segnale che di una vera e propria risposta.

Cosa secondo lei bisognerebbe ancora fare? Su che punti bisognerebbe insistere? Per dare risposte immediate, vista l’emergenza, è necessario il “bonus” per abbattere il muro socioeconomico tra domanda e risposta, inserire subito psicologi nel sistema scolastico. Poi servono misure strutturali per potenziare i servizi di prossimità: negli ambulatori dei medici e dei pediatri di famiglia e nelle case di comunità ci devono essere servizi psicologici perché sono i luoghi dove si possono intercettare questi bisogni in modo molto efficace ed efficiente. Inoltre, un sistema del welfare moderno dovrebbe prevedere la presenza di competenze psicologiche. Oggi nei servizi sociali ci sono praticamente solo assistenti sociali ed educatori ma dovrebbero avere un approccio più integrato. E questo si realizza sia con una

“I problemi psicologici nelle società occidentali sono in aumento da anni. Sono la prima voce di costo per la società per la disabilità che generano. Con la pandemi, l’aumento delle richieste di aiuto è aumentato nell’ultimo anno tra il 40 ed il 50% ma l’80% di questa richiesta trova risposta solo nel privato”.


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“Mi sembra che mentre i cittadini chiedono di essere visti come persone i nostri politici li vedono soprattutto dentro ottiche parziali. Faticano a capire che la persona è soprattutto la sua psiche, e se la psiche è debole o sofferente, sono tutti gli ambiti della vita che ne risentono”.

L’INTERVISTA

maggiore sinergia con i servizi sanitari ma anche attraverso un ampliamento delle competenze nel sociale. Teniamo conto che il malessere della psiche impatta poi anche sulla salute del corpo, abbassa le difese immunitarie, che oggi è un aspetto da non dimenticare. Crede che una soluzione potrebbe arrivare dal PNRR? Ci sono fondi ad hoc che potrebbero essere sfruttati? Guardi, le confesso che sono molto preoccupato. Mi sembra che mentre i cittadini chiedono di essere visti come persone i nostri politici li vedono soprattutto dentro ottiche parziali. Faticano a capire che la persona è soprattutto la sua psiche, e se la psiche è debole o sofferente, sono tutti gli ambiti della vita che ne risentono. Concetti come resilienza, autorealizzazione, motivazione, flessibilità, capacità di risolvere i problemi, di costruire equilibri adattivi, sono tutti legati profondamente e concretamente alla nostra dimensione psicologica. Quindi un piano che vuole ammodernare sul piano tecnologico e sociale dovrebbe

tenere in seria considerazione questi aspetti. Il grande equivoco è che vengono visti come secondari ad altro, scontati o non modificabili. Sono errori che nascono dal fatto che le competenze psicologiche non vengono utilizzate per progettare, per dare consulenza alle istituzioni, almeno in Italia, all’estero non è così. E purtroppo questo rischia di essere un handicap per il Paese. Lungo questi anni di pandemia l’Ordine ha avuto un confronto con le istituzioni? Cos’è emerso? Il CNOP ha ricercato intensamente il confronto con la politica e le diverse Istituzioni, abbiamo cercato di fare proposte credibili, scientificamente fondate e sostenibili. Il problema è che gli italiani nei nostri sondaggi vedono lo psicologo come un professionista che aiuta a vivere meglio, ad affrontare con più efficacia le sfide della vita, ad esprimere al meglio le proprie potenzialità, a sviluppare le risorse, e poi ad ascoltare e, quando serve, curare. Per i politici siamo ancora quelli


L’INTERVISTA

del lettino di Freud o una sorta di psichiatri senza farmaci. Faticano a capire la vastità dei bisogni psicologici nella società del XXI secolo e così tendono a comportarsi come il cardinale Bellarmino che si rifiutò di guardare dentro al cannocchiale di Galileo. Inoltre, le potenzialità di prevenzione della nostra azione vengono poco considerate perché oggi la politica ragiona solo sul presente immediato, stasera o domani già sembrano orizzonti lontani. Qual è stata invece la risposta degli psicologi e il supporto dell’Ordine a questo duro periodo? Guardi la Comunità professionale all’inizio della pandemia ha dato una grande risposta di solidarietà. Centinaia di iniziative per venire incontro, soprattutto online, ai bisogni della popolazione. Così tante che l’Ordine ha dovuto ricordare alle colleghe ed ai colleghi che non si può lavorare solo pro bono. Anche il Numero Verde del Ministero della Salute, esperienza di grande rilievo, ha funzionato grazie

alla solidarietà di migliaia di psicologi appartenenti a diverse società scientifiche. Però è ovvio che alla solidarietà devono subentrare poi misure pubbliche. Recentemente abbiamo fatto un convegno nazionale per documentare le tante iniziative fatte nel pubblico dagli psicologi presenti, per i ricoverati, i malati in quarantena, i familiari, gli operatori sanitari. Cose molto interessanti, esperienze significative, di qualità, ma che dovevano essere non episodiche ma estere a tutti se ci fossero state le risorse professionali. Infine, quali sono i propositi per il nuovo anno? Continuare ad insistere. Non ci fermiamo e non ci stanchiamo. Il problema non è la professione, che sta lavorando, sono i cittadini ed il Paese. Un Paese che ha formato 120 mila psicologi, dei quali oltre 60 mila psicoterapeuti, e pensa di usarli solo nel privato, solo per curare e solo per chi può permetterselo? Lasciando fuori milioni di persone? (C. G.)

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“Per i politici non siamo ancora quelli del lettino di Freud o una sorta di psichiatri senza farmaci. Faticano a capire la vastità dei bisogni psicologici nella società del XXI secolo e così tendono a comportarsi come il cardinale Bellarmino che si rifiutò di guardare dentro al cannocchiale di Galileo”.


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FOCUS

NASCITA DELLA NEUROETICA (PRIMA PARTE) Dalla biofisica alle neuroscienze, un nuovo contesto interdisciplinare

di Alberto Carrara

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el mio precedente articolo del mese di dicembre ho sinteticamente presentato la figura della neuropsichiatra Anneliese Alma Pontius, colei che per prima coniò il neologismo “neuroetica”. Era il 1973. Con questo pezzo inizierò ad illustrare la genesi storica della nascita di questo nuovo contesto interdisciplinare di riflessione a cavallo tra neuroscienze, filosofia e bioetica noto con il termine ibrido di neuro-etica. L’interesse per il cervello e il sistema nervoso risale all’antichità e vanta una storia di oltre cinque millenni: egizi, greci, romani, ma anche

le popolazioni preispaniche d’America e le diverse culture orientali hanno contribuito alla realizzazione di quel contesto di ricerca multidisciplinare relativo allo sviluppo, struttura e funzione del sistema nervoso umano che oggi denominiamo “neuroscienze”. A chi dobbiamo la “paternità” di questa disciplina emergente? Francis Otto Schmitt (1903-1995) ne fu certamente uno dei fondatori. Biologo americano e professore presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), Schmitt ottenne il Bachelor of Arts (BA), la nostra laurea triennale per intenderci, nel 1924 e svolse un dottorato di ricerca in fisiologia nel 1927 alla Washington University


FOCUS

di St. Louis. Dal 1929 sino al 1941 ricoprì l’insegnamento di zoologia. Collaborò a lungo con Arthur H. Compton per sviluppare tecniche di diffrazione dei raggi X per macrostrutture biologiche come i muscoli e i nervi. In un primo momento, negli anni Quaranta e Cinquanta, Schmitt contribuì al sorgere della bio-fisica combinando lo studio fisico delle strutture e proprietà molecolari delle proteine, cellule e tessuti, in particolare dei neuroni e della glia. Una delle sue molecole favorite era il collagene. Insieme ad altri colleghi propose, attraverso le sue analisi di microscopia elettronica, la cosiddetta teoria dei filamenti scorrevoli della contrazione muscolare: alla stimolazione di un muscolo, i ponti molecolari di miosina si incurvano e i filamenti di actina scorrono lungo quelli di miosina determinando la contrazione dell’intera miofibrilla e perciò del sarcomero muscolare. Dal 1941, dirigendo il Dipartimento di Biologia del MIT, Schmitt divenne un’autorità nel campo della microscopia elettronica conducendo studi innovativi sulla funzione renale, sul metabolismo dei tessuti e sulla chimica, fisiologia, biochimica ed elettrofisiologia del sistema nervoso. Successivamente, nel 1962, inaugurando il Neuroscience Research Program, il biofisico del MIT diede avvio allo sviluppo disciplinare unitario delle moderne neuroscienze. Il progetto neuroscientifico si prefiggeva l’obiettivo di colmare l’abisso esistente tra struttura e funzione chimico-fisica del tessuto cerebrale, da una parte, e comportamento,

vita psicologica e tratti psichiatrici, dall’altra. Così pensate, le neuroscienze si caratterizzarono quale nuova biofisica del sistema nervoso e del cervello: un contesto interdisciplinare che avesse il potenziale per dar risposta alla prometeica questione circa il rapporto/relazione mente/cervello. A tal proposito, consiglio la lettura di G. Adelman - B. Smith, Francis Otto Schmitt 1903-1995. A Biographical Memoir, National Academies Press, Washington D.C. 1998, 1-14. Nel 1973, anno in cui la neuropsichiatra Pontius coniava il neologismo neuro-etica, Schmitt si pensionava. Le neuroscienze vennero così concepite quale ponte che potesse risolvere lo iato tra sviluppo, struttura e funzione del cervello, da una parte e manifestazioni mentali e comportamentali, dall’altra.

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A chi dobbiamo la “paternità” di questa disciplina emergente? Francis Otto Schmitt (1903-1995) ne fu certamente uno dei fondatori. Era un biologo americano e professore presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT).


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WORTH WEARING ALZIAMO LA VOCE L’arte per abbattere lo stigma legato ai disturbi psichici

di Chiara Andreotti


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rte e abbattimento dello stigma legato ai disturbi psichici. È questo il cuore della campagna #PARLIAMONE ideata dalla Fondazione BRF Onlus, che ha preso forma grazie al sostegno dei più grandi fumettisti del nostro Paese, invitati a raccontare la malattia mentale attraverso fumetti, vignette e acquerelli. Da sempre, infatti, tra gli obiettivi della Fondazione BRF c’è quello di abbattere lo stigma legato ai disturbi di ordine psichiatrico, gravoso peso che affligge i malati e i loro familiari. Uno dei problemi principali che sente chi soffre disturbi mentali è infatti legato al pregiudizio e alla rappresentazione sociale che si ha della malattia. Allora, l’unica arma che abbiamo per abbattere una volta per tutte questo pregiudizio è parlarne. Chi soffre di un disturbo mentale, spesso si sente solo e abbandonato nella propria sofferenza: è quindi di massima importanza far sapere a queste persone che non è così, che non sono sole. L’OMS, infatti, riporta che ogni anno una persona su quattro ha avuto esperienza di disturbi della salute mentale, e oggi come mai prima d’ora siamo davanti a una svolta. La pandemia ci ha messi di fronte al fatto che la buona salute passa anche da quella mentale, che non deve essere più sottovalutata. Allora #PARLIAMONE non è più solo un progetto ma anche un imperativo morale per accogliere e sostenere tutti coloro che ne sentono il bisogno. Per portare avanti questo impegno la Fondazione BRF ha deciso di farsi aiutare da illustratori e fumettisti che possono portare il loro contributo. Le immagini hanno il potere di raccontare qualcosa che a parole risulterebbe incomprensibile e con

Illustrazione di Fabio Magnasciutti.


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il sostegno di questi artisti il compito sarà più semplice. L’ansia con Carlotta Scalabrini diventa un gioco a premi e la depressione un lupo cattivo che ha bisogno di parlare con Cappuccetto Rosso grazie alla mano di Mario Natangelo. E ancora paure, fragilità e dipendenze affettive con Fabio Magnasciutti e Yao Xiao. L’insonnia diventa una realtà ovattata fat-

Illustrazione di Ilaria Urbinati.

Illustrazione di Giulia Pex.

ta di pesci fluttuanti con Giulia Pex e l’abbraccio disegnato da Luchadora un punto di partenza per ricordare l’importanza di ascoltare (vedi intervista su questo numero). È possibile scoprire la campagna online (sul sito www.worthwearing.org), sostenendo il progetto e alzando la voce. Perché, oggi più che mai, è il momento. Dunque: #PARLIAMONE.

Illustrazione di CarlottaScalabrini.

Illustrazione di Valentina Merzi.


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Illustrazione di Natangelo. Illustrazione di Natangelo.

Illustrazione di Yao Xiao. Il logo #Parliamone è stato realizzato da Alessandro Baronciani

Illustrazione di Carlotta Scalabrini.


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INTERVISTA A LUCHADORA L’ILLUSTRATRICE DELLA GENTILEZZA “Bastano un abbraccio e due parole per sentirsi uniti e ascoltati di fronte alle nostre fragilità”

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er me la forma non è soltanto l’aspetto esteriore con cui si configura un oggetto, ma è quello che significa per la persona che lo guarda e lo vive”. È così che Alessandra Marianelli, grafica e illustratrice, descrive l’importanza delle forme, l’aspetto che caratterizza le sue opere. Alessandra Marianelli si fa chiamare Luchadora, inspirandosi alle lottatrici di wrestling messicano che con le loro maschere colorate le trasmettono fantasia, allegria ed energia. “Mi è sempre piaciuto disegnare e sono stata sempre spinta verso quella direzione”, spiega. “Da piccola usavo ogni supporto possibile per lasciare un segno. Ho usato fogli, muri, porte. Con il tempo questa passione non è diminuita, è cambiata e cresciuta portandomi ad esplorare l’arte nelle sue diverse dimensioni”. L’autrice oggi ha trasformato la sua più grande passione in un lavoro, e si è unita alla squadra della Fondazione BRF Onlus con il

progetto #PARLIAMONE, progetto che coinvolge artisti, illustratori e fumettisti per raccontare i disturbi mentali attraverso i loro occhi e renderli più comprensibili e vicini. L’obiettivo della campagna è quella di abbattere lo stigma che grava sui disturbi mentali grazie al supporto e alla collaborazione di chi, proprio come Luchadora, crede nell’importanza di parlarne. Con “Ti ascolto” l’autrice ci ricorda che bastano un abbraccio e due parole per sentirsi uniti e ascoltati di fronte alle nostre fragilità. Protagonisti sono due corpi perché – come spiega l’autrice – “sono le forme a caratterizzare il mio stile”. Perché? Credo che non ci si debba risparmiare con i colori e men che meno con le forme, che sono alla base delle mie illustrazioni: eccessive, rotonde e sinuose, le forme riempiono gli spazi e regalano armonia. Ho una considerazione molto positiva di questo termine, e l’associo sempre alla figura fem-


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minile, elemento cardine del mio stile. Quali sono i soggetti che prediligi? Non prediligo soggetti, ma temi in realtà. Il ruolo della donna nella società moderna, l’uguaglianza di genere e la salute mentale sono alcuni dei concetti ai quali tengo di più. Cerco di affrontarli sia nei lavori personali che con le realtà alle quali mi affianco maggiormente offrendo un punto di vista diverso. Quali sono le emozioni che ti ispirano maggiormente? Mi piace pensare di poter regalare bellezza e allegria. Amo esprimere voglia di vivere e felicità con colori pieni e forme semplici; quindi, mi ispirano emozioni come la gioia, l’allegria e l’amore, ma sono incoraggiata anche dalla tristezza - derivante per esempio da fatti di cronaca che credo debbano essere messi in luce -, o dalla “realtà”, poiché ci tengo a trattare temi sociali che non sempre si legano bene alla felicità. Qual è il tuo rapporto con la salute mentale? Ho sempre avuto un buon rapporto con la salute mentale, mia sorella Sabina è una psicoterapeuta ed è sempre riuscita a farmi interessare senza giudizio e con grande curiosità a questo campo d’interesse che studio dal liceo. Infatti, durante l’ultimo anno di magistrale, dovendo decidere che tesi portare, mi dissi che la cosa migliore sarebbe stata unire quello che mi piaceva di più in quel momento; in ordine, disegno, libri e psicologia. Il mio obbiettivo era quello di realizzare un progetto con mia sorella, quindi, le chiesi di scrivere un testo per bambini che avrebbe dovuto insegnare loro a non aver paura delle malattie mentali ed io l’avrei illustrato. Il risultato è sta-

to un libro che vorremmo pubblicare e l’inizio della mia carriera da illustratrice. Cosa pensi del percorso di terapia? Sono dell’avviso che un percorso psicoterapeutico possa essere utile a tutti, non finiamo mai di conoscerci ed abbiamo sempre degli angoli di fragilità che sarebbe bene capire e accogliere per poter andare avanti in maniera più consapevole. In che modo la salute mentale influisce sul tuo lavoro? La salute mentale si riferisce alla sanità e al benessere psicologico ed emotivo, quindi, influisce continuamente nella vita di tutti ed anche nella mia; detto questo, come ho già spiegato è una materia che mi ha sempre affascinata, quindi, cerco di approfondirla e trattarla quando posso perché credo che il disegno possa aiutare a farla capire meglio. (C. A.)

Ho sempre avuto un buon rapporto con la salute mentale, mia sorella Sabina è una psicoterapeuta ed è sempre riuscita a farmi interessare senza giudizio e con grande curiosità a questo campo d’interesse che studio dal liceo.


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IN PARLAMENTO

L’IMPEGNO DEL GOVERNO SULL’EMERGENZA PSICOLOGICA Ordine del giorno di Cristian Romaniello. Ecco cosa prevede

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n importante ordine del giorno che ora impegna il governo Draghi ad adoperarsi per garantire supporto psicologico nella popolazione. Vedremo ovviamente se le promesse saranno mantenute considerando che nel frattempo il bonus psicologico non è stato rinnovato. Nel frattempo, però l’ordine del giorno presentato dal deputato Cristian Romaniello (Gruppo Misto) e firmato anche da diversi parlamentari di vari schieramenti è stato approvato. Nell’atto parlamentare si sottolinea che «lo stato di benessere psicologico della popolazione italiana necessita di risposte adeguate e urgenti» e che «secondo un’indagine recentemente pubblicata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi risulta un aumento del 39 per cento delle richieste di aiuto nell’ultimo anno, un dato rappresentabile con termine psicopandemia». Non bisogna poi dimenticare che secondo un altro studio, questa volta

dell’OCSE, in Italia la depressione è aumentata del 18 per cento a causa dell’impatto del COVID-19, delle ripercussioni economiche, dal lavoro alle difficoltà economiche, dalle restrizioni imposte dal Governo alle paure indotte da una comunicazione schizofrenica e contraddittoria riguardo la gestione della pandemia e delle risposte delle istituzioni. Per questa ragione i firmatari sono convinti che «la risposta alla sofferenza psicologica sia assolutamente prioritaria nell’agenda del Governo di uno dei Paesi più avanzati al Mondo» e la cosa è resa ancora più drammatica dal fatto che l’Italia è l’unico tra i Paesi avanzati a non avere una strategia nazionale per la prevenzione del suicidio. Partendo da tali premesse ora l’atto parlamentare impegna il governo a rimboccarsi le maniche e dunque «a garantire la massima attenzione al supporto psicologico nella popolazione», «a rispettare pedissequamente le scadenze imposte dai provvedimenti


IN PARLAMENTO

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Palazzo Chigi, Roma.

emanati dal Governo stesso per garantire, non solo lo stanziamento delle risorse ma la spesa delle stesse». Non solo. Romaniello chiede anche di «potenziare gli interventi per la scuola con l’attivazione di un servizio di psicologia scolastica, presente strutturalmente all’interno del sistema scuola e a servizio di tutto il sistema (studenti, docenti, personale, organizzazione), per la prevenzione delle diverse forme di disagio e per la promozione delle competenze psicologiche adattive (life skills) e di fronteggiamento delle situazioni di vita (adaptive perfomance skills), nonché per garantire opportune forme di collegamento e sinergia con gli interventi mirati di cura dei servizi sanitari per l’infanzia, l’adolescenza e le famiglie» e «promuovere una rete territoriale dei servizi di istruzione, formazione per definire gli standard qualitativi per le attività formative che devono essere attivate, in relazione al sistema di profilazione stabilito a livello nazionale, in cui vengano inclusi gli Psicologi per la progettazione, la valutazione, il monitoraggio del sistema di formazione permanente che si svi-

luppa lungo l’arco di vita e nei diversi contesti organizzativi». Altri impegni che, grazie all’atto approvato il 21 dicembre scorso, l’esecutivo Draghi si è dato riguardano la presenza stabile di psicologi con competenze specialistiche nella definizione e realizzazione dei progetti di orientamento alle scelte formative, di ri-orientamento, di prevenzione dell’abbandono scolastico, di intervento sui NEET e di promozione dell’interesse verso le discipline STEM, rivolti in particolare a donne, giovani, disoccupati, nei Comuni, nei Servizi, nei Centri di Formazione; l’attivazione di voucher aziendali per la prevenzione di stress lavoro correlato ed interventi psicologici di prevenzione e cura dello stesso; e l’istituzione di Tavoli tecnici e Gruppi di Lavoro multidisciplinari con competenze in ambito di formazione, sulle modalità di apprendimento degli adulti, sulla necessità di supporto allo sviluppo e/o alla ridefinizione delle progettualità professionali in età adulta, che includano anche le competenze professionali degli Psicologi. (C. G.)

Nell’atto parlamentare si sottolinea che «lo stato di benessere psicologico della popolazione italiana necessita di risposte adeguate e urgenti» e che «secondo un’indagine recentemente pubblicata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi risulta un aumento del 39 per cento delle richieste di aiuto nell’ultimo anno, un dato rappresentabile con termine psicopandemia».


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COSÌ GLI ODORI STIMOLANO I RICORDI I neuroni dell’olfatto non servono solo a distinguere gli odori ma hanno “il senso” dello spazio

di Carmine Gazzanni


SALUTE

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n profumo speciale, famigliare, inconfondibile, che sa tanto di passato. Pochi istanti per mettere a fuoco il ricordo e scatta la magia: all’improvviso si viene catapultati in un tempo e in uno spazio ben precisi, nel momento e nel luogo fortemente associati a quell’odore. Succede cioè quello che è successo a Proust con la celebre madeleine, ma in questo caso è l’olfatto e non il gusto a riavvolgere indietro il nastro fino alla scena rievocata. È così, per esempio, che basta togliere il tappo a una colla usata da bambini per far uscire fuori come dalla lampada di Aladino un odore che sa di banchi di scuola, di quaderni, di compagni di classe. Una piccola annusate e tutto torna perfettamente nitido davanti agli occhi. Come mai? Perché l’odore della colla si trasforma subito nel ricorda della scuola? Tutto dipende dal forte legame che esiste tra l’olfatto e lo spazio, un legame che è stato studiato e spiegato in uno studio appena pubblicato su Nature. «Il sistema olfattivo è unico tra i sensi. Solo l’olfatto ha connessioni reciproche dirette con l’ippocampo, che è coinvolto nella memoria e nella navigazione», spiega Zachary Mainen, del Champalimaud Centre for the Unknown in Portogallo, autore senior dello studio, come riporta il sito specializzato HealthDesk. I neuroni dell’ippocampo sono definite cellule “di posizione” perché si attivano in determinate posizioni variando a seconda dell’ambiente in cui ci si trova per poi riprodurre una sorta di mappa neurale dello spazio esterno. Sono talmente affidabili che negli espe-


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Pochi istanti per mettere a fuoco il ricordo e scatta la magia: all’improvviso si viene catapultati in un tempo e in uno spazio ben precisi, nel momento e nel luogo fortemente associati a quell’odore. Succede cioè quello che è successo a Proust con la celebre madeleine, ma in questo caso è l’olfatto e non il gusto a riavvolgere indietro il nastro fino alla scena rievocata. È così, per esempio, che basta togliere il tappo a una colla usata da bambini per far uscire fuori come dalla lampada di Aladino un odore che sa di banchi di scuola, di quaderni, di compagni di classe.

SALUTE

rimenti sui topi i ricercatori sono riusciti a risalire alla posizione degli animali osservando solo l’attività dei neuroni. Ebbene, l’ippocampo non è un sistema isolato. I neuroni inviano continuamente segnali alla corteccia primaria olfattiva. Perché lo fa? Probabilmente perché i neuroni che si trovano lì possono contribuire a mappare l’ambiente. È risaputo che il sistema olfattivo, infatti, non serva solo a distinguere gli odori ma contribuisca alla percezione spaziale. Del resto, gli animali in natura utilizzano gli odori per orientarsi nello spazio e recuperare il ricordo dei luoghi da visitare quando si è in cerca di cibo. «Volevamo capire le basi neurali di questi comportamenti, e così abbiamo deciso di studiare come il cervello combina le informazioni olfattive e spaziali», ha dichiarato Cindy Poo, a capo dello studio. I ricercatori hanno messo a punto un esperimento su misura per i topi, animali con un olfatto molto sviluppato. I topi hanno annusato gli odori posizionati alle quattro estremità di un labirinto a forma di croce. Poi, a seconda dell’odore avvertito, dovevano capire dove fosse nascosta la ricompensa. Gli animali dovevano cioè ricordare l’associazione esatta tra un determinato odore e un determinato luogo. E mentre i topi erano impegnati a risolvere la caccia al tesoro, i ricercatori monitoravano l’attività dei neuroni in una parte della corteccia primaria olfattiva chiamata corteccia piriforme posteriore. «I neuroni comunicano tra loro emettendo impulsi elettrici. Regi-

strando i segnali elettrici emessi da centinaia di singoli neuroni in quest’area del cervello, siamo stati in grado di ricostruire il comportamento di specifici neuroni. Per esempio, osservando se si attivavano quando l’animale stava annusando un odore specifico, o quando si trovava in una determinata posizione nel labirinto. I risultati hanno superato le nostre aspettative. Avevamo previsto che alcuni neuroni avrebbero potuto essere connessi alla posizione in una certa misura. Tuttavia, studiando attentamente l’attività dei neuroni della corteccia olfattiva mentre l’animale


SALUTE

stava navigando nel labirinto, abbiamo scoperto che questi neuroni avevano appreso un’intera mappa dell’ambiente», ha spiegato a spiegato Mainen. I ricercatori hanno scoperto una vasta popolazione di neuroni olfattivi che, in modo simile alle cellule dell’ippocampo, si attivavano in un punto specifico del labirinto. Questi neuroni erano in grado di riproporre una mappa neurale dell’ambiente in qualche misura “opportunistica” nel senso che sulla mappa venivano riportati soprattutto i luoghi dove gli animali avevano sentito alcuni odori e ricevuto la ricompensa. In sostanza, i

neuroni dell’olfatto funzionano su due fronti: segnalano non solo cosa sentono ma anche dove lo sentono. Ed è così che arriviamo a formare ricordi che legano certi odori a luoghi specifici. «Abbiamo scoperto che alcuni neuroni rispondevano all’odore, altri alla posizione, e altri ancora a entrambi i tipi di informazioni a vari livelli. Tutti questi diversi neuroni sono mescolati insieme e probabilmente sono interconnessi. Pertanto, si può ipotizzare che l’attivazione delle associazioni spazio-odore possa avvenire grazie a segnali all’interno di questa rete», ha suggerito Poo.

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“Abbiamo scoperto che alcuni neuroni rispondevano all’odore, altri alla posizione, e altri ancora a entrambi i tipi di informazioni a vari livelli”.


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DEPRESSIONE IN MENOPAUSA: QUALI SONO I SINTOMI? Ecco i consigli per arginare i disturbi

di Alessia Righi


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el momento in cui arriva la menopausa molte donne sono animate da sentimenti contrastanti e se da un lato c’è chi vive il momento come un sollievo e un nuovo inizio, la maggior parte lo associa al decadimento e al tempo che passa inesorabile, con inevitabili conseguenze sulla salute mentale. «In molte culture orientali la menopausa è celebrata come un momento positivo perché la donna finalmente non più mestruata e quindi “sporca”, può iniziare a svolgere attività sociali che prima erano ad appannaggio esclusivo maschile. È libera e vive una saggezza particolare», spiegava tempo fa a Vanity Fair la psicologa e sessuologa Azzurra Carrozzo. «In Occidente, invece, avviene esattamente il contrario, con la società che associa la fine del periodo fertile ai concetti di vecchiaia, decadimento e perdita. Alle donne viene implicitamente detto che se non sono più fertili non sono più utili e questo può gettare molte in uno sconforto che, nei casi più gravi, assume le forme della depressione». In linea generale, le donne hanno il doppio delle probabilità degli uomini di cadere in depressione e tale tendenza in menopausa raddoppia ulteriormente. I sintomi però non cambiano in questa fase della vita e sono di fatto sovrapponibili a qualunque forma depressiva. «I più comuni sono affaticamento, irritabilità, mancanza di interesse nelle cose o nelle prospettive future, difficoltà a concentrarsi, prendere decisioni o a organizzarsi, insonnia o ipersonnia, perdita di interesse nelle relazioni, abbassamento dell’umore,


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Gli ormoni, e in particolare il calo degli estrogeni, sono anche responsabili del calo di attenzione, che rappresenta una delle cause scatenanti primarie dell’umore negativo perché spesso difficoltà di questo tipo portano a giudicarsi negativamente e a non vedere ipotesi di miglioramento future.

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tendenza al pianto e all’isolamento», continua l’esperta. «Se ad esempio una donna si accorge di avere qualche piccolo deficit motorio o acciacco legato agli anni che passano e allo sbilanciamento ormonale può percepirsi come una persona decadente e iniziare a vivere il momento come un lutto. Questo molto spesso la porta a smettere di fare cose che prima le piacevano, a disdire appuntamenti e a isolarsi». Gli ormoni, e in particolare il calo degli estrogeni, sono anche responsabili del calo di attenzione, che rappresenta una delle cause scatenanti primarie dell’umore negativo perché spesso difficoltà di questo tipo portano a giudicarsi negativamente e a non vedere ipotesi di miglioramento future. Durante la menopausa si sperimenta anche un calo della seratonina che essendo l’ormone del benessere, quando diminuisce predispone all’abbassamento dell’umore. Esistono infine fattori predisponenti che devono fungere da campanelli d’allarme come aver già avu-

to la depressione in passato o aver sofferto di sindrome premestruale o di umore depresso in adolescenza o durante il post parto.\ Se in concomitanza della menopausa l’umore non è dei migliori ma la situazione risulta ancora sotto controllo, per evitare che peggiori è sufficiente mettere in atto alcune strategie che aiutino a riprogrammare la vita secondo nuovi ritmi e bisogni, senza privarsi di ciò che fino a quel momento rappresentava una fonte di gioia e benessere. Abbandonare lo sport se ci si accorge di non riuscire più a cimentarsi con certe discipline è sbagliato. Muoversi mantiene attivi e scatena le endorfine quindi farlo in menopausa è fondamentale. Il segreto è riuscire a sostituire le attività che non si riescono più a fare con altre ugualmente stimolanti come camminata, ginnastica dolce e yoga. Di grande aiuto anche impegnarsi nel volontariato perché incanalare le energie in un’attività a favore degli altri scatena la sensazione di essere ancora utili e quindi nel pieno della vita. Fondamentale anche mantenere una dieta sana ed equilibrata, da concordare con il proprio nutrizionista in modo che contenga alimenti che vadano a sopperire le carenze nutrizionali che la menopausa determina. Quando invece ci si trova di fronte a una vera e propria forma di depressione con sintomi cronici che si protraggono per diversi mesi possono entrare in campo altre soluzioni come terapie psicologiche e farmacologiche, ovviamente in accordo con il proprio medico.


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Scoperto un nuovo marcatore della depressione Un giorno, forse, basterà fare analisi del sangue di Antonio Acerbis

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n esame del sangue potrà servire per diagnosticare la depressione e per determinare quanto sono efficaci i trattamenti farmacologici prescritti a ogni soggetto. È quanto emerso da un nuovo studio condotto da un team di ricerca dell’Università dell’Illinois a Chicago, pubblicato su Molecular Psychiatry, che ha identificato un nuovo biomarcatore del disturbo psichico. Si tratta dell’adenilato ciclasi, una piccola molecola che si trova all’interno delle piastrine e che viene prodotta in risposta a neurotrasmettitori come la serotonina e l’adrenalina. Quando si è depressi, il livello di questa molecola è particolarmente basso a causa del blocco di una proteina, la Gs alfa, ha spiegato Mark Rasenick, ricercatore che ha condotto lo studio. “Quello che abbiamo sviluppato è un test che non solo può indicare la presenza di depressione, ma può anche indicare una risposta terapeutica con un singolo biomarcatore”, ha aggiunto Rasenick. Secondo i ricercatori dell’Università dell’Illinois tramite questo esame del sangue sarebbe potenzialmente possibile va-

lutare se le terapie antidepressive stanno funzionando, anche già una settimana dopo l’inizio del trattamento. “Poiché le piastrine si trasformano in una settimana, si vedrebbe un cambiamento nelle persone che stanno per migliorare”, ha spiegato Rasenick sottolineando che, al momento, per determinare se gli antidepressivi stanno funzionando sono necessarie in media diverse settimane, talvolta mesi. I risultati emersi dallo studio, dunque, oltre a rappresentare un passo importante verso una medicina personalizzata, potrebbero rivoluzionare sia la diagnostica sia la terapia contro la depressione. Tra le ultime novità del settore, i ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno messo a punto un nuovo tipo di stimolazione cerebrale magnetica che potrebbe consentire un rapido miglioramento dei sintomi di depressione grave. Secondo gli esperti il trattamento, noto anche come terapia di neuromodulazione intelligente accelerata di Stanford (SAINT), avrebbe un’efficacia in quasi l’80% dei pazienti.


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SALUTE

La solitudine fa “male” al cervello Lo studio canadese tra chi vive isolato e chi immerso nella società di Filippo Strambi

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a solitudine lascia un segno nel cervello. Un segno profondo ben distinguibile nelle immagini della risonanza magnetica tanto che un neurologo potrebbe riconoscere quali persone vivono isolate e quali invece hanno frequenti contatti sociali. La “firma” della solitudine consiste in alcune modifiche sia nel volume che nel tipo di connessioni di specifiche aree cerebrali. Ed è stata individuata dai ricercatori del Montreal Neurological Institute-Hospital della McGill University in Canada che l’hanno descritta su Nature Communications. Gli scienziati hanno analizzato le immagini della risonanza magnetica di 40mila individui di mezza età e anziani raccolte nel database della UK Biobank. Gli esami del cervello erano accompagnati da informazioni sulle condizioni psicologiche dei partecipanti. Così è stato possibile mettere a confronto le immagini cerebrali delle persone che avevano dichiarato di sentirsi sole con quelle che non avevano manifestato un disagio di questo tipo. L’impatto della solitudine si osserva nel cosiddetto default network, la grande rete cerebrale che connette regioni del cervello che interagiscono tra loro. È un groviglio di canali di comunicazione che dà origine ai pensieri interiori, ai ricordi, ai progetti per il futuro, all’idea che si ha degli altri. Le persone sole mostrano una maggiore connessione tra le regioni del default network che si distinguono anche per

un aumento del volume della materia grigia. La solitudine risulta correlata anche alle differenze di un’altra struttura del cervello, il cosiddetto “fornice”, un fascio di fibre nervose che trasporta i segnali dall’ippocampo al default network. Nelle persone sole, questa formazione è meglio preservata. Le modifiche osservate non stupiscono più di tanto. Il default network viene usato quando si ricorda il passato, quando si immagina il futuro o si fanno ipotesi sul presente. E le persone sole generalmente indugiano in questi pensieri. «In assenza di esperienze sociali desiderate, gli individui soli possono essere orientati verso pensieri interiori come ricordare o immaginare esperienze sociali. Sappiamo che queste capacità cognitive sono mediate dalle regioni del cervello del default network. Quindi questa maggiore attenzione all’auto-riflessione e probabilmente alle esperienze sociali immaginate, coinvolgerebbe naturalmente le funzioni basate sulla memoria del default network», ha dichiarato Nathan Spreng del Neuro Montreal Neurological Institute-Hospital e autore principale dello studio. La scoperta non è fine a se stessa. Conoscere l’impatto della solitudine sul cervello può servire a individuare strategie di prevenzione e di trattamento per i disturbi neurologici che possono essere scatenati dall’isolamento, tra cui il declino cognitivo e la demenza.


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Autismo, i primi segnali in risposta al “maternese” Lla debole risposta della corteccia temporale superiore di Francesco Carta

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no studio dell’Università della California di San Diego, pubblicata su Nature Human Behavior, ha identificato le peculiarità del cervello dei bambini con autismo che fanno sì che fin da piccoli non rispondano al cosiddetto “baby talk” o maternese, la buffa lingua che i genitori usano con i bambini piccoli, fatta di storpiature, semplificazioni e componenti affettive. A determinarlo è una ridotta reattività della corteccia temporale superiore, regione del cervello che elabora i suoni e il linguaggio, che risponde più debolmente alle emozioni espresse dal genitore di quanto avvenga negli altri bambini. Lo studio, a cui hanno preso parte anche ricercatori dell’Istituto italiano di tecnologia, è giunto a questa conclusione combinando sistemi di imaging cerebrale con il monitoraggio oculare e test clinici in 71 bambini e 14 adulti. «I risultati ci hanno indotto a ritenere che la bassa capacità dei bambini con disturbo dello spettro autistico di prestare attenzione agli stimoli del linguaggio materno comprometta lo sviluppo dei sistemi neurali corticali temporali innati, che normalmente rispondono automaticamente alla comunicazione emotiva dei genitori», ha affermato Karen Pierce, coautrice dello studio e codirettore dell’Autism Center of Excellence insieme a Eric Courchesne. Nel corso dello studio è stato osservato anche un sottogruppo di bambini con disturbo

dello spettro autistico che ha mostrato una alta attivazione cerebrale e una buona attenzione al linguaggio materno. Per i ricercatori questo “è incoraggiante per due motivi: primo, perché suggerisce che alcuni bambini con autismo possono ottenere buoni risultati; in secondo luogo, perché le nostre osservazioni possono aprire la strada a nuovi trattamenti”.


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SALUTE

Una nuova speranza per la cura della Sla Scoperto il legame tra un enzima carente e la malattia di Alessio Rossi

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a carenza di un enzima, la ciclofillina A, induce la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Uno studio rivoluzionario quello dell’Istituto Mario Negri di Milano e della Città della Salute di Torino pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Brain svela uno dei meccanismi che provoca la malattia. Condotto su modelli animali e su pazienti, l’esito dello studio “potrebbe essere un primo passo importante verso lo sviluppo di una terapia”, dicono i ricercatori, per questa grave malattia neurodegenerativa che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Lo studio è stato coordinato da Valentina Bonetto dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS con il gruppo di ricerca del Centro regionale esperto per la SLA (CRESLA) dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e del Dipartimento di Neuroscienze Università di Torino, coordinato dal professor Andrea Calvo. Studi precedenti avevano già evidenziato che la stragrande maggioranza dei pazienti affetti da Sla presentano

anomalie nella proteina TDP-43, che ha un ruolo importante nei processi cellulari e, se mutata, causa la malattia. La nuova ricerca ha evidenziato che l’enzima ciclofillina A (PPIA) è fondamentale per il corretto funzionamento di TDP-43. Infatti, l’assenza di ciclofillina A nel modello animale induce una malattia neurodegenerativa simile alla Sla e provoca l’accumulo anomalo della proteina TPD-43. La notizia arriva subito dopo l’annuncio da parte della Fondazione Italiana di ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (AriSLA) che il progetto della dottoressa Bonetto su PPIA (GATTALS) è tra quelli selezionati dal Bando AriSLA 2021 ed ha ricevuto anche un contributo dall’Associazione “Io Corro con Giovanni”. La ricerca è stata finanziata principalmente dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica di Regione Lombardia (Progetto TRANSALS) e Ministero della Salute. Un fronte di ricerca che bisognerà attenzionare in maniera analitica per comprendere i futuri e prossimi sviluppi.


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Cure palliative in ospedale UN DIRIT TO DI TUT TI


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L’AUTORE

LA MIA CONTINUA RINASCITA Intervista a Nino D’Angelo, fra dischi e depressione, libri e successo, storia di uno scugnizzo che non smetterà mai di essere tale

di Flavia Piccinni

“È

stupida la gente che resta in silenzio. Chi ha avuto la depressione può aiutare gli altri. Io ne sono uscito grazie alle cure psichiatriche e all’amore per la mia famiglia”. Mi spiega così, con quella sua voce gentile e riconoscibile, Nino D’Angelo. Re indiscusso di Napoli, romano d’adozione da trent’anni, oggi non ha più il caschetto biondo ma imbiancato, il garbo di chi ha scelto la strada delle buone maniere e di comprendere se stessi. A cominciare dai lati oscuri, quelli che spesso vengono messi da parte e ancora di più taciuti. Oggi D’Angelo ha quasi 65 anni, due figli e quattro nipoti. Nella sua carriera ha venduto oltre 25milioni di album, collezionando dischi di Platino e di Diamante, David di Donatello, Ciak d’oro e Nastri d’Argento. Nelle ultime settimane è impegnato con “Il Poeta che non sa parlare”, progetto che mette insieme con il medesimo battesimo un

album di inediti, un ambizioso tour live e il nuovo libro, appena pubblicato da Baldini+Castoldi. Nella sua biografia, racconta la sua storia di “ragazzo - per citare la prefazione di Nicola Lagioia - che trascorre il tempo tra piccole avventure quotidiane, angosciose paure, gioie esplosive e spaventi improvvisi”. Tanti i momenti toccanti, dal papà che lo ammoniva guardando le biciclette che non ne avrebbe mai avuta una, all’incontro con padre Raffaello che ne intuì giovanissimo il potenziale, passando per le canzoni di malavita e quelle d’amore. «Prima di iniziare la nostra chiacchierata», scherza «le devo però dire una cosa: ogni volta che esce un progetto nuovo si parla di me, e del fatto che vengo sdoganato. E ogni volta mi faccio la stessa domanda». Quale? Mi chiedo da cosa devo essere sdoganato esattamente. La mia carriera è iniziata 44 anni fa. Ho fatto tanti film, tanti mutamenti, non so


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Nino D’Angelo.

quanti artisti siano cambiati come me, ma ogni volta si grida alla rinascita. O alla nascita. Effettivamente il primo a parlare di sdoganamento fu Goffredo Fofi. Affermò che lei non era solo un cantante, ma la voce del sottoproletariato napoletano. Era il 1993. Come se lo spiega? Non me lo spiego. Forse perché sono un cantante napoletano, o forse perché quello che faccio è unico. E non lo dico con presunzione. In questi anni sono molto cambiato perché, crescere, equivale a una continua trasformazione. Vivere è cambiare. Ha scritto due autobiografie. Una appena pubblicata, e una uscita vent’anni fa per Mondadori con il titolo “L’ignorante intelligente”. Quante esistenze sente di aver vissuto? Io sono sempre il solito ragazzo di San Pietro a Patierno, la periferia di Napoli, un posto dove vai solo se lo stai cercando. La mia esistenza è cambiata con il tempo, ed è stata trasformata dal talento, dal sacrificio

e dalla fortuna. Per andare avanti in una carriera ci vuole intelligenza, altrimenti si resta meteore. Adoro chi dura tanto perché vuol dire che ha saputo costruirsi con il lavoro. In alcuni casi il pericolo non è forse quello di non sapere quando smettere? Nel mio caso il lavoro è anche la mia passione. Io ho paura di ritritarmi. Se mi togli la musica, se mi porti via l’arte, mi togli mezza vita. Anzi, forse non mi resta niente. Eppure, ci sono momenti, come accaduto durante la pandemia, in cui tutto si ferma. Anche la musica. Il lockdown per me è stato un periodo impossibile. Una valanga di paura è finita su tutti quanti, e ho rischiato di restare sommerso. È difficile raccontare la vita con la morte vicino. Adesso è uscito il suo nuovo disco. Tante partecipazioni, fra cui quella di Toni Servillo che ha registrato l’introduzione parlata Pane e canzone.

“Mi chiedo da cosa devo essere sdoganato esattamente. La mia carriera è iniziata 44 anni fa. Ho fatto tanti film, tanti mutamenti, non so quanti artisti siano cambiati come me, ma ogni volta si grida alla rinascita. O alla nascita”.


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“Io vengo dalla povertà, dalla sopravvivenza, perché più che vivere la mia famiglia ha sopravvissuto. Ho iniziato a lavorare a tredici anni, subito dopo la terza media, perché in casa con il solo stipendio di mio padre non riuscivamo ad arrivare a fine mese. Eravamo in otto, e io sono venuto su come figlio di tutte le persone del mio palazzo. Ho vissuto la ricchezza vera: quella dell’affetto”.

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Provavo imbarazzo a chiedergli to crescere nel mondo, fra italiani e di collaborare, poi un giorno mi sono stranieri, cercando di cavarmela. deciso a telefonargli. Lui mi ha detChe scuola è stata quella della to che avrebbe voluto leggere quello stazione di Napoli Centrale? che avevo scritto. Gliel’ho mandato Una scuola di vita e di fratellanza. e subito mi ha chiamato. Mi ha det- Se io non riuscivo a vendere i gelati, to: come faccio a dirti di no davanti perché il tempo era poco e rischiavaa una cosa così bella? no di squagliarsi, chi aveva magari il Se lo aspettava? banchetto delle sigarette mi veniva in Non mi aspetto mai niente. An- soccorso. Poi, siccome d’inverno i geche il successo del libro è una sor- lati non si vendevano, ci siamo invenpresa. Io non sono uno scrittore, ma tati i caffè sul treno. Io facevo la tratta un cantautore che ha utilizzato la pa- Formia-Napoli. Il film Caffè Espresso rola scritta e cantata per esprimersi. di Nanni Loy si è ispirato a noi. Pensa di non aspettarIntanto coltivava un sosi niente perché è partito gno, quello di fare il canda zero? tante. Forse. Ma io ho coUn’ambizione che pareminciato la mia strada da va irrealizzabile. Mio padre sottozero. non voleva, diceva che serPerò è arrivato. viva la raccomandazione. Ne avevo voglia e biChi non ha niente, crede sogno. Io vengo dalla popoco al talento. È convinto vertà, dalla sopravvivenza, che, siccome uno è debole, perché più che vivere la “Il poeta che non non conta. mia famiglia ha sopravvis- sa parlare” Cosa la spingeva ad ansuto. Ho iniziato a lavo- Nino D’Angelo dare avanti? Baldini+Castoldi rare a tredici anni, subito 256 pagine La disperazione. Invece dopo la terza media, per- 18 euro adesso impera il menefreché in casa con il solo stighismo. Noi ci aiutavamo pendio di mio padre non riuscivamo sempre. Quando qualcuno stava ad arrivare a fine mese. Eravamo in male, la famiglia si stringeva in un otto, e io sono venuto su come figlio abbraccio. Perché l’amore è questo: di tutte le persone del mio palazzo. l’amore è dare. Ho vissuto la ricchezza vera: quella D’Annunzio diceva: io ho quel dell’affetto. che ho donato. Lei ha donato molto. Nel suo libro racconta i tanti laNon mi piace parlarne. Sono stavori che ha fatto. to fortunato, e ho messo questa mia Ho lavorato a Buffet Stazione, fortuna a disposizione. Se vedo uno ho cantato ai tavoli dei ristoranti che ha bisogno, e posso aiutarlo, lo con il piattino, poi sono passato ai faccio. E lo faccio per dormire la matrimoni. Ho vissuto alla stazione notte, perché sono convinto che uno vendendo gelati d’estate, e trovando che sta meglio, deve alzare gli altri. Il l’aiuto di chi era nelle mie condizio- mondo di oggi però questo pensiero ni. Frequentare la stazione mi ha fat- non ce l’ha. I ricchi sono sempre più


L’AUTORE

ricchi, e i poveri sempre più poveri. Ma questo non va bene. Adesso torna in scena con un progetto ambizioso dal titolo emblematico: “Il poeta che non sa parlare”. Come racconta nel libro, questa frase arriva dalla sua infanzia, quando ai tempi della scuola una maestra le disse “Tu sei un poeta che non sa parlare, arrivi al cuore anche quando ti esprimi male”. Perché sapevo esprimere dei bei concetti ma sbagliavo le parole, i congiuntivi, la forma. Da sempre a Napoli la gente mi chiama il poeta. Una parola grossa, che mi fa piacere. Tutto quello che dico, lo penso. L’ha più incontrata quella maestra? No, poi è morta. All’inizio, ero appena diventato Nino D’Angelo, ci vedemmo in Chiesa ed era felicissima. Ricordo ancora che dopo la terza media disse ai miei genitori che mi avrebbe pagato lei la retta, per non farmi lasciare gli studi. Mio padre però aveva bisogno di me. Vorrei incontrarla oggi, e dirle che alla fine le parole sono arrivate con le canzoni. Chi è Nino D’Angelo adesso? Un nonno felice, che nella vita ha avuto molto successo. Tutto è cominciato con “’Nu jeans e ’na maglietta”. Poi, anche senza volerlo, ho cambiato la canzone napoletana che negli anni Settanta parlava solo di malavita riportando l’amore nel pop. Adesso sono trent’anni che provo a liberarmi dei cliché che mi hanno appiccicato addosso, insieme al pregiudizio nei miei confronti. A cosa dà la colpa? Magari i miei film non piacevano a tutti. In parte, e per molto tempo, ho represso quello che sapevo fare. Ma la verità è che il caschetto bion-

do ha avuto un successo esagerato, e le persone si concentravano più sul taglio di capelli rispetto a quello che c’era sotto. A fine anni Ottanta ha trasformato il suo look. È cambiato qualcosa? Sono cambiato io. Con la scomparsa di mia madre ho avuto un crollo. Credevo che non morisse mai, per l’amore che avevo, invece, a 58 anni mi ha lasciato. Ero nel periodo più bello della mia carriera, non ero abituato più al dolore. Improvvisamente, avevo perso interesse nella vita. Mi ero ammalato di depressione. Lei è uno dei pochi personaggi pubblici che non ha mai nascosto il suo periodo più difficile. Raccontando anche il percorso, psicologico e psichiatrico, che l’hanno portata a guarire. Cosa è successo quando è stato meglio? Avevo bisogno di trasformarmi. Non volevo più fare musica per le ragazzine che mi amavano, ma volevo scrivere canzoni con pensieri più adulti, per provare a cambiare le teste. Ci è riuscito? Di sicuro ci ho provato. E ho provato a regalare tutte le mie emozioni. Io so vivere anche se non ho niente, perché sono nato senza avere nulla e sono abituato al sacrificio, ma in tutti questi anni ho imparato una cosa. Quale? Che anche quando smetto di essere Nino, e ritorno Gaetano, non posso esistere senza la mia famiglia, senza mia moglie con la quale fra poco festeggio 42 anni di matrimonio, senza i miei amici. Non mi ha cambiato la ricchezza, non mi ha forgiato la povertà. Io, a essere sinceri, l’unica cosa di cui non posso fare a meno è l’amore.

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“Un nonno felice, che nella vita ha avuto molto successo. Tutto è cominciato con “’Nu jeans e ’na maglietta”. Poi, anche senza volerlo, ho cambiato la canzone napoletana che negli anni Settanta parlava solo di malavita riportando l’amore nel pop. Adesso sono trent’anni che provo a liberarmi dei cliché che mi hanno appiccicato addosso, insieme al pregiudizio nei miei confronti”.


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Lo spirito della montagna e l’anima dell’uomo Il nuovo libro di Massimiliano Ossini alla scoperta delle Alpi

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na volta il poeta inglese William Blake scrisse: “Quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono”. Mi viene in mente questa frase leggendo l’entusiasmante libro di Massimiliano Ossini, conduttore e divulgatore televisivo, amato volto di “Linea Bianca” (Rai1). Si tratta di “Giganti di ghiaccio e di pietra. Viaggio alla scoperta delle Alpi” (edizione illustrata), un cammino denso di curiosità, pensieri e riflessioni sulla montagna e sulle bellezze naturalistiche italiane. Tutto il testo è permeato dal motto del conduttore, Kalipè. Si tratta di un termine in uso nelle zone himalayane che viene rivolto a chi si avvia “Giganti di ghiaccio e verso le montagne, un augudi pietra. Viaggio alla rio il cui significato è quello scoperta delle Alpi” di poter “camminare sempre Massimiliano Ossini a passo corto e lento”. Un Rizzoli invito che Ossini ha adottato 224 pagine come mantra. Questo è infat24,90 euro ti il titolo di numerosi testi dell’autore, e così è stato battezzato il suo bel programma su Rai2, in onda il mercoledì sera in prima serata. Si tratta di un invito a prendersi il proprio tempo per andare nelle bellezze della natura e dello spirito, mettendo da parte la fretta, la concitazione,

Massimiliano Ossini.

il dover procedere tralasciando il percorso dell’anima. In questo cammino accompagnato da scatti mozzafiato, e da consigli di viaggio utilissimi, Massimiliano Ossini invita il lettore a recuperare l’umiltà e la devozione alla natura, suggerendo la strada per un equilibrio psicofisico che i tempi presenti ci fanno avvertire sempre più smarrito. Come giustamente nota, “la bellezza delle montagne sta nella bellezza che siamo in grado di vedere e di sentire: loro in fondo sono solo lo specchio di ciò che noi siamo o saremo capaci di essere”. Ed è così che l’autore si mette in cammino seguendo i giganti delle Alpi - dal Monte Bianco al Cervino, dal Gran Paradiso al Monte Rosa – attraversando anche vette, valli e ghiacciai, per restituire al lettore non solo un racconto di viaggio, ma anche un toccante e coinvolgente invito alla scoperta. (F. P.)


PODCAST

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Il dito di Dio La storia della Concordia e della fragilità umana

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i sono eventi che si incastrano nella memoria collettiva, e producono un ricordo condiviso. Una scheggia che, in alcuni rarissimi casi, può definirsi un frammento di storia contemporanea. È questo il caso del naufragio della Costa Concordia, avvenuto il 13 gennaio 2012 nel Mar Tirreno, incastonato nel lessico collettivo – indimenticabile l’invito del Capitano De Falco a tornare a bordo dell’imbarcazione al Comandante Schettino – e divenuto adesso strumento di riflessione nella magmatica ultima opera di Pablo Trincia, giornalista e autore, già noto per il suo straordinario “Veleno” (podcast cult e dunque libro omonimo pubblicato da Einaudi, nonché serie televisiva per Amazon Prime), indagine su un caso di cronaca di vent’anni fa, quando in provincia di Modena sedici bambini tra i comuni di Massa Finalese e Mirandola furono allontanati per sempre dalle loro famiglie, accusate di far parte di una setta di satanisti pedofili. Adesso Trincia nel suo nuovo podcast “Il dito di Dio” – disponibile da qualche settima-

na gratuitamente su Spotify – accompagna il lettore a bordo dell’imbarcazione che dieci anni fa naufragò in prossimità dell’Isola del Giglio, trascinando con sé 32 vite umane. La narrazione è – come sempre accade nelle opere dell’autore, che ha dato lustro e diffusione a un genere prima poco frequentato nel nostro Paese, quello del podcast – una pallina che rimbalza fra le maglie del tempo, intersecando la storia del personale di bordo, a cominciare dal capitano Schettino, a quella dei naufraghi che si mostrano nella loro fragilità, in un trauma non ancora pienamente rielaborato, disperati nel rammentare i momenti prima del salvataggio e nel rievocare l’orrore prodotto dalla paura (come giustamente nota il medico di bordo), che spinge molti a comportarsi come bestie, infischiandosene delle regole – prima i bambini e le donne – per mettersi in salvo. Il documentario, lungo quasi otto ore, è intenso e ben curato. L’ascolto lascia la certezza di trovarsi di fronte a una tragedia evitabile, e sigla una fotografia impietosa dell’animo brutale, egoista e crudele dell’uomo. (F. P.)


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TV

Zerocalcare: fra ansie paure e necessità di evolversi Su Netflix la narrazione di cui i millennials avevano bisogno di Chiara Andreotti

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trappare lungo i bordi” – la nuova serie a fumetti su Netflix - era la narrazione di cui avevamo bisogno. O meglio, di cui la generazione dei millennials aveva bisogno. Divertente, irriverente e fuori dagli schemi. Una fotografia a colori vividi dell’esistenza di oggi firmata da quel Michele Rech, in arte Zerocalcare, che ha venduto milioni di fumetti in tutta Italia ed è recentemente approdato in televisione con i suoi corti “Rebibbia Quarantine”, questa volta per raccontare con il consueto sarcasmo – ormai un vero e proprio marchio di fabbrica - la vita ai tempi del lockdown. Questa volta, con l’acclamata “Strappare lungo i bordi”, l’autore decide di superare quanto già fatto firmando un flusso di coscienza che svela ansie e paure personali, che permettono però al telespettatore di immedesimarsi poiché vivono sfiorano temi universali. Con ritmo incalzante e i dialoghi frenetici, rigorosamente in gergo romano, si parte ricordando l’infanzia di Zerocalcare, piccolo e

insicuro, che sente il peso del mondo intero sulle sue spalle finché l’amica Sarah non lo riporta alla realtà: “sei solo un filo d’erba in un prato” dice, annientando tutte le (megalomani e frequenti) convinzioni di Zero. A punteggiare la narrazione numerosi aneddoti divertenti, che stimolano l’immedesimazione. In fondo, tutti siamo dovuti andare (fra mille paure) in un bagno pubblico, o ci siamo trovati davanti alla casa in disordine. Solo nelle ultime puntate il tono della narrazione cambia, e si fa strada una consapevolezza pressante: quel viaggio non è certo una vacanza. Ed è così che si fa strada il tema del disagio mentale – trattato con attenzione e cura durante i vari episodi – e il telespettatore si trova non solo a confrontarsi con gli alti e bassi del protagonista, ma anche con una storia personale dolorosa e toccante, inaspettata, che spinge Zero ad abbandonare il suo egocentrismo e il telespettatore a comprenderne l’invito ad ascoltare gli altri, e a non restare mai prigionieri degli schemi mentali (propri e altrui).


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TITOLI DI CODA

Il Messaggio della Pandemia tra Male e Bene di Pietro Pietrini Professore Ordinario, Direttore Scuola IMT Alti Studi Lucca

T

ra poche settimane la Pandemia da COVID-19 entrerà nel suo terzo anno di vita cosmopolita. Fedele al vecchio detto che non tutto il male vien per nuocere, nell’immane scenario di morte e sofferenza che ha seminato e che purtroppo ancora continuerà a portare, fin dai suoi primi vagiti il piccolo virus ha offerto occasione anche per riflessioni e insegnamenti. In principio convinti che l’infezione da Sars-COV-2 altro non potesse essere che esclusiva pertinenza della Cina, anzi, dei cinesi, non avremmo perso un attimo a segnare i confini tra noi e loro, additandoli come untori ed evitandoli - per l’appunto - come la peste. Nel giro di poche settimane saremmo stati noi a trovarci nel ruolo degli “Altri”: respinti da esotici luoghi di vacanza, evitati dal resto del mondo. In un batter d’occhio, quindi, il virus avrebbe fatto il suo debutto sulla scena internazionale. Come alito di vento - o meglio, di uragano - il piccolo virus si sarebbe fatto beffa tanto di confini naturali quanto di barriere artificiali e, in men che non si dica, avrebbe avvolto l’intero Pianeta. Il messaggio non avrebbe potuto essere più chiaro e forte. Siamo tutti sotto la tempesta, anche se non siamo tutti sulla stessa

barca, come ben richiamò allora Monsignor Paglia. Ma nessuna barca, non importa quanto robusta o sontuosa, potrebbe mai da sola far fronte alla tempesta. Questo - io credo - è il messaggio più forte della pandemia in questi due anni. Se abbiamo avuto i vaccini e, soprattutto, se li abbiamo avuti in tempi così brevi, lo dobbiamo allo sforzo comune, alla mutua collaborazione tra tutti. Se dunque vi è un messaggio positivo che emerge dall’esperienza pandemica, è che la cooperazione, non la contrapposizione tra simili, è la strategia da adottare per il bene dell’umanità. Nelle ultime decadi, sulla spinta di un’enfasi eccessiva, la competizione, da procedura metodologica di fisiologica selezione, sovente è divenuta essa stessa il fine da perseguire. Questo è particolarmente evidente nel mondo universitario, dove la scarsità cronica delle risorse assegnate al sistema della formazione e della ricerca ha acuito lo scontro rispetto alla collaborazione. Non possiamo pensare che la risoluzione dei problemi che affliggono l’umanità - la fame, l’ignoranza, il disagio mentale, l’inquinamento - come pure le questioni urgenti per l’immediato futuro - le risorse energetiche, il clima - siano un problema solo degli uni o, peggio, solo degli Altri.



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