REM-Anno IV, n.2/3 del 1 dicembre 2013 (Daniela Gambaro. Scrivere su pellicola)

Anno IV, n. 2/3 del 1 Dicembre 2013 | Euro

2,50

10001

In questo numero: Luigina Badiale | Natalino Balasso | Marco Barbujani | Riccardo Bego | Francesco Campi | Guido Conti Paolo Di Paolo | Tobia Donà | Camilla Ferrari | Giovanna Gazzi | Paula Carolina Gonzalez | Liana Isipato Bruna Giovanna Pineda | Paolo Rigoni | Sergio Sottovia | Vincenzo Tinè | Danilo Trombin | Vainer Tugnolo | Sofia Verza

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REM

foto di Cristina Finotto

SOMMARIO

EDITORIALE

Quel gran pezzo dell'Ubalda...............................................................................................................7 RUBRICHE

Taccuino futile - Natalino Balasso ...............................................................................................................9 Visti da lontano - Sofia Verza ..................................................................................................................11 Flash & News - Sergio Sottovia ................................................................................................................13 Visti da vicino - Paula Carolina Gonzalez .................................................................................................15

STORIA DI COPERTINA

Scrivere storie pensando allo schermo - Intervista di Vainer Tugnolo a Daniela Gambaro .......................17

Anno IV, n. 2/3 del 1 Dicembre 2013 Autorizzazione del Tribunale di Rovigo n. 3/2010 del 23/02/2010 Direttore Responsabile: Sandro Marchioro

ATTUALITà

Editore: Apogeo Editore

STORIE

Coordinamento editoriale: Cristiana Cobianco, Monica Scarpari, Paolo Spinello

Il futuro a portata di idee - Inchiesta di Sandro Marchioro .......................................................................23 Lina Merlin. La voce della prima donna eletta al Senato - Bruna Giovanna Pineda ..........................29 LUOGHI

Art Director: Michele Beltramini

L'Isola della Batteria, l'Atlantide dimenticata... - Danilo Trombin .......................................................32

Grafica e Impaginazione: Sofia Boccato

UN PO PIù IN Là

Stampa: Grafiche Nuova Tipografia - Corbola (Ro) Tel. 0426.45900

Lucano e la violenza del grande fiume - Guido Conti .........................................................................37 Il fiume libero di Paolo Rumiz - Paolo Di Paolo......................................................................................41 Francesco Permunian. L'indifferenza di Dio e delle stelle - Sandro Marchioro..................................45 Il mondo reale mi sta stretto - Marco Barbujani .....................................................................................49

Il responsabile del trattamento dei dati raccolti in banche dati di uso redazionale è il direttore responsabile a cui, presso Apogeo Editore di Paolo Spinello - Via Zandonai, 14 - 45011 ADRIA RO, Tel.347 2350644, ci si può rivolgere per i diritti previsti dal D.Lgs.196/03.

PALCOSCENICO

Iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione (ROC) n.19401 del 14/04/2010

PAROLE

Luigi Marangoni. Inseguire un sogno con disarmante semplicità - Intervista di Francesco Campi ....53 Marco Sgarbi. é bisogno di teatro - Intervista di Camilla Ferrari ...........................................................56 SUONI

Marmaja. Musica e parole sincere come il pane - Intervista di Riccardo Bego ...................................61 Respighi - Violin Sonatas.

Nuovo disco per Fabio Paggioro e Massimiliano Ferrati - Intervista di Monica Scarpari ...................66

COLORE

Elisa Bertaglia. La materia dei sogni - Tobia Donà ..............................................................................68 L’Ossessione nordica. Böcklin, Klimt, Munch e la pittura italiana - Sandro Marchioro ....................74

IMMAGINI

Anna Casazza e la messa a fuoco sull'anima - Intervista di Monica Scarpari .....................................78 PERSONAGGI

L'obiettivo di Dondero sulla Resistenza polesana - Luigina Badiale e Liana Isipato .............................83

Copyright - Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta in qualsiasi forma o rielaborata con l’uso di sistemi elettronici, o riprodotta, o diffusa, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. La redazione si è curata di ottenere il copyright delle immagini pubblicate, nel caso in cui ciò non sia stato possibile l’editore è a disposizione degli aventi diritto per regolare eventuali spettanze.

REM ringrazia gli autori per la collaborazione e la concessione di foto pubblicate in questo numero. Tali foto sono date in utilizzo gratuito per l’inserimento nella rivista. Tutti gli altri utilizzi sono interdetti, ai sensi della Legge 633/41 e successive modifiche, e ai sensi del Trattato Internazionale di Berna sul Diritto d’Autore.

Numero chiuso in redazione il 20/11/13

PASSATO REMOTO

Un museo per Frattesina - Vincenzo Tinè................................................................................................89

ISSN 2038-3428

STRISCE

La Rovra - Giovanna Gazzi .......................................................................................................................94 SAPORI E SAPERI

Le delizie di Bellombra - Paolo Rigoni ..................................................................................................100 5

Seguici su Facebook Copertina di Paolo Franzoso

EDITORIALE

Quel gran pezzo dell'Ubalda...

L

e lamentazioni allarmistiche sulla morte della cultura ci hanno stufato. Il libro muore, il cinema muore, l’arte muore, la televisione è una cloaca. Tutto vero, ma tutto falso. Di libri se ne leggono pochi, ma se ne scrivono tantissimi e i mille festival della letteratura sono sempre strapieni. Le sale cinematografiche si svuotano, ma è persino impossibile calcolare quanti più film si vedano con altri mezzi. E quando le sale cinematografiche si riempivano, per lo più accadeva per vedere Yuppi Du o Quel gran pezzo dell'Ubalda..., non certo Fassbinder. Di Caravaggio in giro se ne vedono pochi, ma mai come in questi anni migliaia di giovani artisti si propongono ed espongono le loro opere anche usando canali diversi rispetto alla galleria d’elite. La televisione è inguardabile, ma milioni di persone usano strumenti comunicativi nuovi e diversi e quella che una volta era la programmazione televisiva se la costruiscono in proprio su YouTube. La cultura non muore, casomai si trasforma e sussulta, soprattutto nei periodi di crisi: Dante scrisse la Divina Commedia in esilio, in un contesto culturale e sociale spaventoso. E mille altri esempi di questo tipo si potrebbero fare. Neppure il radicale mutamento degli strumenti di diffusione della cultura giustifica la nenia querula della maggior parte degli organi di informazione: che il libro sparisca fa molta malinconia a noi che con i libri siamo nati, ma alle generazioni che il libro non lo conosceranno (fra cinquanta, cento anni? Mah!) non farà né freddo né caldo. Ancora, la Divina Commedia era stata trascritta su splendidi codici manoscritti; ma di lì a cento anni la stampa a caratteri mobili avrebbe completamente cancellato quei supporti. Non certo l’opera stessa. Che un ragazzo veda un film di Fellini su un iPad può fare malinconia, ma non deve spaventare: è il nostro passato che ci rende malinconici, ma questo non riguarda il futuro di quel ragazzo. Il problema vero, quello sì che deve spaventare e allarmare, non è la cultura che muore: è l’accesso alla cultura che viene meno. La crisi economica (ma anche quella della politica), produce lo stesso effetto anche nel campo dei saperi: se economicamente i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, culturalmente le persone preparate lo diventano sempre di più e gli sprovveduti aumentano la loro insipienza. Il dato che terrorizza non è che Umberto Eco viene letto in e-book, ma che sette italiani su dieci non sanno comprendere un testo di difficoltà minima, sia esso un articolo di giornale o le istruzioni del frullatore, né sanno costruire correttamente un testo elementare, come un curriculum o una lettera di protesta al sindaco. Non accederanno mai alla cultura, né a quella alta né a quella bassa. Soprattutto, avranno difficoltà a comprendere il significato profondo di tante parole importanti, oltre a cultura: ad esempio democrazia, ad esempio libertà.

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RUBRICA

Taccuino futile

Foto di Nicola Boschetti

Calci e risse di Natalino Balasso

P

rima che ci trasferissimo ad Adria da Contarina, che allora non si chiamava ancora Porto Viro, città nota per la rissosità calcistica, nella quale più volte la camionetta dei carabinieri aveva dovuto accompagnare l'arbitro per salvaguardarne l'incolumità, quelli che sarebbero diventati i miei amici di Adria avevano dato forma ad una squadra di calcio.

Si chiamava Comparatirel.

Nella visione unificante e un po' retorica del calcio da tv, si pensava con questo di comprendere in un unico afflato sportivo tre anime ideologiche: Compagni, Camerati, Religiosi. Sulle

prime, nessuno dei compagni si era ciamo essere le nostre idee. Quando posto il problema del perché le tenute assisto, come tutti, alle zuffe da pollaio fossero completamente nere, ma i comdel nostro parlamento nazionale orpagni erano pochi e troppo occupati mai nemmeno più ornamentale, quana intrattenersi nelle risse sul campo do ascolto nei bar, più moderni, più per attardarsi in questioni cromatiche. tecnologici persino nella disperazione E nemmeno si facevano disquisizioni del divertimento, ma sempre con le semantiche se fosse il caso di definirstesse bottigliette di veleno, i commenti si compagni di squadra o camerati degli avventori, le frasi premasticate di squadra o religiosi di squadra. Era che vorrebbero essere idee, non posso una battuta. Era un gioco goliardico fare a meno di pensare a quel nome, da bar. Eppure forse non ci rendevamo cacofonico come l'ideologia che ci ha conto che in quella pervasi per decenni. battuta c'era la crudeCompagni, camerati le rivelazione di quelreligiosi. Un po' ladri, la che era e sarebbe un po' voltagabbana, stata una nazione di un po' egoisti, un po' Un po' ladri , poveri di spirito, incatraditori e tanto, tanto un po' paci di fare un passo simpatici. avanti. Perché gli itaIncapaci di affrontare voltagabbana, liani, voltala e girala, un'idea complessa un po' egoisti , sono sempre stati solo del mondo, disprezun po' traditori questa robetta qua: ziamo tutto quello e tanto, tanto compagni, camerati, che non riusciamo a religiosi. Come anicapire e riusciamo a simpatici . mali dal passo lento, capire ben poco in incapaci di immagiverità. Da una statistinare un mondo più ca risulta che il 75% complesso, una realtà degli italiani fatica a a colori, orgogliosi di un passato fatto comprendere un documento, una fattudi arte, di rinascimenti, di risorgimenti ra, un libretto di istruzioni, nonostante e passioni, tutte cose che non siamo capisca benissimo le ricette della Papiù, ci siamo incamminati in un sentierodi o della Clerici. Le elezioni come ro conosciuto, ripetendo bovinamente, XFactor, un omicidio come Forum, una generazione dopo generazione, gli marmellata disonesta e infedele dentro stessi riti vuoti. Incapaci di essere la vasetti con l'etichetta scritta a grandi comunità rafforzata dalle differenze caratteri, per non fare nemmeno la fadalla quale è uscito il rinascimento, tica di leggere. siamo andati via via formando una Compagni, camerati, religiosi. marmellata in cui siamo indistinti nei consumi, omologati nella visione del mondo, uniti nelle paure, ma ognuno nel suo vasetto di colore diverso, convinti che un'etichetta possa dissimulare la piatta omogeneità di quelle che di-

"

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Libreria APOGEO di Sabrina DonegĂ

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RUBRICA

Visti da lontano

Malinconia di Sofia Verza

"Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti arrivederci fratello mare mi porto un po' della tua ghiaia un po' del tuo sale azzurro un po' della tua infinità e un pochino della tua luce e della tua infelicità.

Ci hai saputo dir molte cose sul tuo destino mare eccoci con un po' più di speranza eccoci con un po' più di saggezza e ce ne andiamo come siamo venuti arrivederci fratello mare".

(Nazim Hikmet)

D

a quando sono in Turchia l’alleato più grande del mio buon umore è il mare. La catarsi che il mare regala alle persone è comune ad ogni luogo ed ogni tempo, ma la mia vita ad Istanbul non sarebbe la stessa senza il Bosforo, striscia che collega il mare di Marmara ed il Mar Nero. Il Bosforo culla le centinaia di persone che ogni giorno cercano di attraversare la città, tra la sponda europea e quella asiatica, senza sosta. Quando salgo sul vapur, il battello, le persone mi sembrano così simili, intente a guardare il grande fiume scuro che accarezza moschee e fabbriche, nascondendo vecchi reperti ottomani e nuovi generi di spazzatura. Ed ecco che il Polesine non è più così lontano, i tramonti sul Delta si confondono con il sole che scende dietro alle Isole che circondano Istanbul.

Chiunque abbia trascorso all’estero una quantità di tempo sufficiente a sentire la nostalgia di casa, sa che è frequente fare paragoni: il cibo è differente, il senso dell’umorismo, il ritmo delle giornate… eppure Istanbul ha così tanti punti in comune con la mia terra tra Adige e Po che a volte mi ritrovo malinconica senza capire esattamente il perché. Si tratta della malinconia per quello che il nostro Polesine era e sta perdendo un po’ alla volta: l’ospitalità, prima di tutto.

L’aprire le proprie porte ai nuovi arrivati, l’apertura mentale di conoscere l’altro, il diverso, che spesso ha combattuto mille difficoltà per trovare nel nostro Polesine la sua casa. Poi ho malinconia dell’amore per la natura: mentre osservo i palazzi grigi in costruzione senza sosta nella vecchia Costantinopoli, mi sento vicina a 11

questa generazione che lotta per salvare l’unico parco rimasto nella parte europea della città. E così penso alla mia terra, che costruisce centri commerciali allontanando la gente da preziosi centri storici medioevali, dimentica le meraviglie del Delta costruendo piattaforme poco lontano dalla costa e propone il carbone come fonte di energia in una delle zone più selvagge e belle d’Italia.

Ho malinconia per la generazione di partigiani italiani che non ho mai conosciuto: mentre osservo i ragazzi discutere di politica, rattoppare le tende per il nuovo inizio delle proteste a piazza Taksim, ridere del gas urticante che la polizia lancia contro i manifestanti e cantare “Bella Ciao” con un fervore da noi dimenticato, invidio questa generazione che ha smesso di stare a guardare.

Erdal, studente della facoltà di Cinema, indica la televisione appoggiata al rovescio sul suo armadio, ridendo: “Nessuno la guarda più: Erdogan controlla tutto ciò che potresti voler guardare”. Ugur, ingegnere neolaureato, mi mostra i siti internet in cui trovare notizie sulla Turchia, perché nessun giornale trasmette informazioni veritiere. E i punti di contatto crescono, pensando ai telegiornali italiani che parlano di ciò che stento a definire notizie. Camminando sul lungomare compro un po’ di vongole ripiene di spezie e penso alle spaghettate con i frutti di mare che tanto mi mancano. A volte bisogna allontanarsi per avere una visione d’insieme, lucida e razionale.

Arrivederci fratello mare.

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RUBRICA

Flash & News

Daniele Malengo superstar del baseball In Europa ha appena vinto la sua terza “Coppa dei Campioni” con la Fortitudo Bologna di Sergio Sottovia

é

stata una giornata particolare, il sabato del villaggio griffato baseball e datato 3 agosto 2013.

Si giocava a Rimini la “gara due” valida per assegnare la Coppa dei Campioni e il sottoscritto, sapendo che Daniele Malengo poteva salire sul tetto d’Europa con la Fortitudo Bologna, beh ho fatto un Sms a papà Malengo. E cosa è successo? La Fortitudo & Daniele Malengo hanno vinto anche a Rimini (2-1) dopo aver già vinto in casa (2-0) la “gara uno”, ma soprattutto questa volta voglio farvi partecipi di tutte le emozioni by heart uscite dal vaso di Pandora targato papà Alberto.

Perciò rispettiamo la storia del base-

ball, ma facciamo blow up sulla storia e la trilogia del baseball Made in Malengo (senza dimenticare mamma Cristina e sorella Laura supertifose). Che è per così dire un diamante sportivo a tre facce, con superstar Daniele che a soli 24 anni ha già messo in bacheca tre Coppe Campioni targate Fortitudo Bologna (2010, 2012, 2013), oltretutto con un pedigree di straordinaria eccellenza. Basti pensare che Daniele ha cominciato a soli 9 anni a giocare nella baseball Rovigo gestione Lucio Taschin e allenatore Fidel Gutierrez e Michele Ghirardello. Poi però Daniele é maturato all’Accademia nazionale di Tirrenia (3 anni), ma si è perfezionato andando in tour per l’Italia e all’Estero. Anche per questo, al ritorno, la sua esperienza in Italia è stata una escalation continua, baipassando Livorno e Marina di Ravenna fino ad esordire in Serie A col Godo Ravenna e conquistarsi il posto da titolare (prima base) appunto a Bologna, dove ha centrato subito la sua prima Champions. Ma l’abbiamo detto, la storia Made in Malengo è by heart “uno e trino” perché papà Alberto è stato anche lui un ottimo lanciatore nelle fila del Rovigo, e perché nell’attuale BSC Rovigo (sempre con Taschin gran timoniere e Fidel Reinoso allenatore) gioca da protagonista Lorenzo (classe 1992), il fratello minore di Daniele. Storie nel blu dipinto di blu, quella di Daniele Malengo anche in maglia azzurra, con l’Italia protagonista in Europa fin dalle giovanili. Storie da… prossimo Libro Story sui Campioni & Signori, ma che qui mi piace sottolineare nella sua “trilogia familiare”, quella che ho voluto fotografare in primavera (assieme a coach Reinoso) quando Daniele & Fortitudo hanno giocato in amichevole qui in Po13

lesine sul ‘diamante’ vs ‘fratello’ Lorenzo & Bsc Rovigo. E quante confidenze ‘raccolte’ da papà Alberto, amico tennista. Certo basterebbe vedere la ‘foto familiare’ per capire tante cose, ma… considerando che la vita è Rem, cioè “ricerca, esperienza, memoria”, voglio lasciarvi con questo pensierino finale by papà “sportman forever” Alberto post flash-back in amarcord da Rimini: "Su quel campo avevo giocato col GRANDE Orizzi e con Romano lanciatore del Rimini e della nazionale…

Nello stadio in cui ora stavo guardando mio figlio Daniele che cercava, con i suoi compagni, di vincere la Coppa dei Campioni. Mio figlio aveva raggiunto quello che io avevo sfiorato, ma ancora di più! ...è stato emozionante scendere in campo ed abbracciarlo...

24 anni tre volte Campione d’Europa... ma quanti lo sapranno? Questo l’altro pensiero ... calciatori miliardari e mio figlio? Ma mio figlio è mio figlio va benissimo così, l’importante che si diverta, che stia bene di salute e tutto il resto va benissimo, bravo Lele, bravo Lellone continua così". E quando qualche settimana prima Daniele griffato Italia aveva giocato vs Lorenzo griffato Fortitudo? Beh, il cuore di papà Malengo… mi ha mandato anche quella foto.

I tre Moschettieri Malengo assieme a Fidel Reinoso

Visti da vicino

M

RUBRICA

i chiamo Paula Carolina la nebbia, le ville antiche, il ghiaccio, i Gonzales, ho sposato un frutteti, il Canalbianco, il mare, il fiume italiano e vivo a Rosolina.

Po. Avevo desiderato qualcosa di nuoIn genere mi viene detto: - Si vede che vo ed ora, dove voltavo lo sguardo, lo sei sudamericana. Guarda tua figlia, trovavo. Poi in Polesine mi sono spoha preso la tua carnagione, ha tutto sata. Ed ora ho un marito e due belle di un’argentina – Non me la prendo bambine. Adesso le cose che vedo, le lo riconosco, anche vedo con loro e con se le mie origini un loro scopro in ogni po’ mi hanno lasciato stagione qualcosa di in giovane età con la nuovo: le risaie, le Abitiamo in un posto morte prima dei nonsaline, gli asparagi, magico , ni materni, poi paterle vongole, i tramonni. Ed è stato allora a ti, tutto quello che ci semplice, dove quattordici anni che circonda. Abitiamo se uno si ferma ho iniziato ad avere in un posto magico, riesce a vederne la desiderio e necessità semplice, dove se uno

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"Si vede che sei sudamericana" di Paula Carolina Gonzalez

magia. di risalire alle mie orisi ferma riesce a vegini in parte italiane, derne la magia. Nel volevo andare via, Polesine, a Rosolina, spostarmi, vedere abbiamo comprato qualcosa di nuovo. casa, ho le cose che Mi riceve così una mia zia che abita amo e tutto ciò che ho sempre sognain Polesine. é stato forte ed immediato to. Sono felice qui e quando prendo l’impatto con la campagna, era tutto la macchina e scappo in città per un nuovo, ma tutto ciò mi faceva anche giorno o due, mi rendo conto di quanpaura, un po’ anche la gente e credo to stia bene in questo piccolo e un po’ che anch’io spaventassi un po’ loro. sperduto luogo dove abito.

I miei primi ricordi di questi luoghi sono

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illustrazione di Sofia Boccato 15

Piazza Groto, 11 • ADRIA (RO)

STORIA DI COPERTINA

Scrivere

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storie

Daniela Gambaro, giovane sceneggiatrice adriese, ha ottenuto un grande successo all’ultima mostra del cinema di Venezia con il film Zoran il mio nipote scemo

pensando allo

schermo

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intervista di Vainer Tugnolo

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STORIA DI COPERTINA

o Daniela Gambar

i di attori, spesso occupars ca ifi gn si ne si bo di piaa e Pole esto estremo lem qu arlare di cinem in i at riv ar rie; molche sono r vita alle loro sto da a scrittori e registi o ti et gg so metraggi tare i loro re di film e corto rla nura ad ambien pa di de ca ac ortunità di , al contrario, vato altrove l’opp tro ha e to più raramente ne si le Gambaro, chi è nato in Po caso di Daniela il É . te raccontando di an in sc è entrata to universo affa do del cinema on m l ne e lavorare in ques ch , ventino la giatrice adriese rie prima che di sto le e er giovane sceneg riv sc voro, quello e l’obiettivo di schermo. Un la de an gr con la passione l su no etto”, maini che scorro ria, da “un sogg sto a un trama di immag da a ci endo una ore, che comin sestando e riduc as o, nd ce dello sceneggiat cu o, enze di una procede tagliand rvizio delle esig se a e gari proprio, e nd ce vi tti, dialoghi e l cinema. sequenza di fa come quella de sa es pl ntro casuale m co a tiv Gambaro un inco la ie an macchina produt D r pe : ivere” un film voluto?

Il mestiere di “scr o all’univero, di fortemente at rc ce di sa tempo, quand’er co di ’ po o qual un so es . Non avevo rcato. Ci ho m ione un mestiere ss pa ta Sicuramente ce es qu di preso questa me poter fare uno che avesse ss ne sità, a capire co o ev sc no ioni e non co molte informaz

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REM

In queste pagine, alcune immagini del film "Zoran, il mio nipote scemo" con la regia di Matteo Oleotto, sceneggiatura di Daniela Gambaro, Pierpaolo Piciarelli, Matteo Oleotto, Marco Pettenello, interpretato da Giuseppe Battiston, Teco Celio, Rok Prašnikar, Roberto Citran, Marjuta Slamic, Riccardo Maranzana, Sylvain Chomet

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strada. Sapevo che esisteva il Centro Sperimentale di Cinematografia ma mi dicevano che era impossibile entrare, che la selezione era durissima. Ma essendo io bastian contrario di carattere, ho deciso di provare. Ho scritto delle storie che mi piacevano, le ho spedite e da lì è cominciata l’avventura…

Com’è stato frequentare il Centro? Alcuni protagonisti, anche del cinema di oggi, la definiscono come una vera e propria esperienza “formativa”...

Il Centro è una specie di accademia: per gli sceneggiatori ci sono delle lezioni, ma anche molto tempo libero che puoi gestire come credi. é un luogo di incontro con professionisti e giovani colleghi, persone con cui puoi pensare di collaborare una volta terminato il corso. Per me in questo senso è stata un’ottima esperienza: quasi tutti i progetti a cui ho lavorato sono stati portati avanti con persone conosciute al CSC. Una strada quasi obbligata per arrivare al cinema... é uno dei modi per cominciare, ma se qualcuno ha la possibilità di imparare “andando a bottega” da professionisti… ecco, secondo me sarebbe una gran cosa.

Come appare il mondo del cinema visto con gli occhi di chi ne scrive le storie?

Per la mia generazione fare cinema è molto più complicato che per la generazione precedente. Ci sono meno risorse produttive e sono rare le situazioni in cui si ha piena libertà artistica. Fare un film è una vera corsa a ostacoli. Però è anche un mestiere bellissimo se hai una buona storia e un bel gruppo con cui lavorare. Quindi per il momento continua, e spero che continuerà, a valerne la pena.

Quali sono i principali protagonisti della macchina cinematografica con cui si confronta lo sceneggiatore?

Lo sceneggiatore di solito si confronta col regista, per individuare o sviluppare una storia insieme. C’è una lunga fase che gli americani chiamerebbero brainstorming, ma in cui fondamentalmente si “ciacola”. Si fanno ipotesi, si raccolgono spunti, si racconta la storia di questo o di tal altro, si imbastiscono situazioni e caratteri. E questo finché si trova una storia che valga la pena raccontare. Dopodiché, una volta individuata e articolata per esteso in un soggetto, si cerca il confronto con un produttore. Il quale, se interessato, acquisisce il

STORIA DI COPERTINA

progetto e sostiene lo sviluppo della sceneggiatura.

Quali sono le storie che ti piace raccontare, quelle che più toccano le tue corde, che “vedi” già sullo schermo?

Di solito mi piacciono le storie semplici che lasciano spazio ai personaggi. Il tono che preferisco è quello ironico, della commedia amara, che permette di toccare con il sorriso anche i temi più seri.

E quali autori, quali film, predilige Daniela Gambaro?

Qui servirebbe una settimana. Ci sono degli autori, dei maestri, che amo particolarmente: Truffaut, Lubitsch, Allen.

Credo, nonostante le diversità, che sia per la loro ironia, la vitalità e anche per il romanticismo. Mi sono accorta inoltre che mi piacciono i film che “pedinano” un protagonista: infatti se penso a quelli che mi sono piaciuti ultimamente mi vengono in mente “Stella”, di Sylvie Verheyde, “The Wre-

stler” di Darren Aronofsky e “Lourdes” di Jessica Hausner, che sono molto diversi ma hanno tutti un taglio documentaristico.

Il Polesine è una terra frequentata da grandi registi e legata al cinema a doppio filo: cosa pensi, come vedi questo legame?

Il Polesine si presta tantissimo al racconto cinematografico, non solo per i suoi paesaggi ma perché ha tante anime: quella poetica, quella laboriosa, quella goliardica, quella cupa. Un giorno in treno ho sentito che qualcuno scherzava dicendo che ‘sti posti sono fuori dalla cartina geografica.

In un certo senso l’ho trovato un complimento: il Polesine è Veneto, ma è anche un’isola a parte. E le sue caratteristiche contraddittorie sono materia naturale di racconto.

Puoi parlarci di come è nato il progetto di “Zoran”, un’ope20

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Daniela Gambaro è nata ad Adria nel 1976 dove è cresciuta. Si è laureata in Scienze della Comunicazione all’università di Padova nel 2001 e ha frequentato il corso di sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma diplomandosi nel 2005.

Ha lavorato alla sceneggiatura di diversi cortometraggi tra i quali: Dora, finalista al Festival di Locarno nel 2006, A doppio filo, vincitore del premio del pubblico ad Alpe Adria Film Festival nel 2004, L’armadio, finalista ad Arcipelago Film Festival e a Visioni Italiane nel 2003.

Per la televisione ha lavorato alla serie I Liceali, in particolare ha sceneggiato la prima puntata della prima serie (Benvenuti nella capitale) e la terza puntata della seconda serie (Quando il gioco si fa duro), che sono andate in onda su Canale 5 per la prima volta nel 2007 e nel 2008.

Per il cinema ha lavorato alla scrittura di soggetti per lungometraggio, tra i quali: Alessio oltre il fiume, premio Solinas per il miglior soggetto originale nel 2004, una storia ambientata sulle rive del Po e che ha come protagonisti dei ragazzini polesani. Nel 2010 ha scritto Maradona è nato in Cina, un soggetto che ha vinto il premio come miglior soggetto originale al Roma Indipendent Film Festival.

Ha inoltre lavorato alla sceneggiatura di alcuni lungometraggi. Di questi sono usciti al cinema: Ma che ci faccio qui!, Vincitore del NICE (New Italian Cinema Events) di New York nel 2006 e il film Cosimo e Nicole, vincitore del premio Prospettive Italia al Festival Internazionale del film di Roma nel 2012, entrambi per la regia di Francesco Amato.

L’ultimo film che ha cosceneggiato: Zoran, il mio nipote scemo (per la regia di Matteo Oleotto) è una storia ambientata in Friuli con protagonista Giuseppe Battiston, che è stata in concorso alla 28. Settimana Internazionale della Critica del Festival di Venezia.

ra prima, presentata alla Settimana della Critica del Festival di Venezia, che sta portando a tutto il gruppo di produzione molte soddisfazioni.

Con Matteo Oleotto, il regista, si è cominciato a parlare di questa storia cinque anni fa. Matteo voleva raccontare la sua terra, il Friuli, attraverso dei personaggi di confine, sia dal punto di vista geografico – con la Slovenia – sia dal punto di vista esistenziale. Così è nato Paolo, un uomo moralmente alla deriva, cinico, frequentatore molesto di osterie, la cui esistenza è stravolta dall’arrivo del nipote Zoran, un ragazzino timido con una grande dote: è un campione di freccette. Mentre il vino scorre a fiumi, Paolo sfrutta biecamente il nipote finché è costretto a confrontarsi con la sua pochezza. L’intento era quello di fare una commedia umana, dove l’ironia fosse una lente con cui osservare un personaggio molto drammatico. “Zoran” è nato in maniera indipendente, grazie al produttore Igor Princic il quale, oltre alle forme di finanziamento tradizionali, e visto che il vino era uno dei protagonisti della storia, ha lanciato una campagna di finanziamento geniale: vino in cambio di quote produttive del film, bottiglie con l’etichetta Zoran offerte da alcune aziende vinicole locali.

Un progetto per il futuro...

Mi piacerebbe prima o poi poter raccontare i posti dove sono cresciuta. Quando abiti in un paese pensi sempre che in città debba succedere chissà cosa, e che là potrai trovare qualcosa di incredibile da raccontare, ma a me è successo che quando mi sono trasferita a Roma, dieci anni fa, la prima cosa che ho fatto è stato scrivere una storia ambientata sulle rive del Po.

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Disponibile nei punti vendita indicati sul sito.

E’ disponibile anche l’edizione in ebook su ultimabooks.it e sui principali store online.

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IL DELTA DAVVERO Itinerari del viaggiatore nel Delta del Po Veneto

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Si parla molto (persino troppo) di innovazione.

Un viaggio nel nostro territorio per capire chi la fa davvero.

" Il futuro a portata di idee inchiesta di Sandro Marchioro

Innovazione /1 acile parlare di innovazione: basta citare qualche termine in inglese (start up, app, maker, e via blaterando) e il futuro sembra a portata di mano. Ci sono riviste che vivono su questa parola e giornalisti che sull’idea (facile facile) di innovazione ci hanno costruito la propria carriera. Ma provate a parlare con un imprenditore vero e scoprirete che quello che pare semplice in realtà semplice non è. E non sentirete parlare solo inglese, perchè parole come: formazione, tradizione, lavoro,

territorio sono senz’altro necessarie a qualsiasi idea di innovazione. Se poi volete sapere qualcosa sul tema dell’innovazione nella nostra provincia, allora scoprirete che, in questo ambito, anche da noi ci sono esperienze interessanti da raccontare: sì, anche il Polesine ha una parola da spendere in tema di innovazione, non meno di altre province ritenute più dinamiche ma forse con due soli difetti: l’idea di innovare non diventa cultura diffusa e, secondo, le esperienze di innovazione non sono conosciute, si fa poca comunicazione e questo con-

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Davide Guariento e Ernesto Spinello

tribuisce a diffondere l’idea di una provincia sfigata e addormentata, contribuendo così a scoraggiare tutti coloro (giovani o meno giovani) che avrebbero un’idea, ma credono sia meglio andarla a realizzare altrove.

Su questi temi abbiamo sentito due giovani imprenditori che non solo hanno fatto dell’innovazione una pratica quotidiana nel loro lavoro, ma rivestono anche cariche importanti negli organismi gestionali di Unindustria: Davide Guariento, delegato per l’innovazione di Unindustria Rovigo, nonché vicepresidente regionale del gruppo giovani di Confindustria (con delega alle start up e innovazione) e Ernesto Spinello, di Adria, consigliere del Gruppo Giovani di Unindustria Rovigo. Per completare l’inchiesta, daremo spazio a due esempi di innovazione (ma si potrebbe parlare anche di

eccellenza) del nostro territorio.

“Io credo che innovazione non sia la nuova tecnologia in sé – dice Davide Guariento – quanto il riuscire a coniugare questa con la valorizzazione di quanto di meglio abbiamo: penso non soltanto alle eccellenze industriali, ma anche al nostro straordinario patrimonio artistico, culturale, gastronomico. Se lavoriamo su questo, io sono convinto che potremo giocare ancora un ruolo di primo piano a livello internazionale. Credo insomma che l’innovazione non debba essere considerata esclusivamente come innovazione digitale. Oggi quella delle start up digitali, degli incubatori che vorrebbero creare impresa partendo dalla creazione di una app per telefonini o per tablet è una realtà importante, certo, ma è anche un po’ una moda. In questa fase innovare davvero significa, 24

secondo me, anche usare le nuove tecnologie per rinnovare i prodotti, i processi, la commercializzazione a partire da quello che già abbiamo.

Queste nuove realtà, insomma, devono anche essere calate nell'ambito industriale, sennò il rischio è che siano fini a se stesse oppure che non vadano a modificare in meglio un sistema che, comunque, è ancora legato al manifatturiero (e lo sarà certamente ancora a lungo). Questo vale sicuramente per l’intero paese, ma anche per il territorio polesano”.

Una posizione, quella di Guariento, condivisa dai maggiori analisti del settore: ciò che esce dalle start up, per quanto entusiasmante ed economicamente rilevante, deve comunque avere una relazione con il sistema industriale del nostro paese, non può fare “economia a sè”.

Inoltre, per favorire l’innovazione, è evidente che è necessario affrontare un altro tema fondamentale: quello del rapporto tra scuola e realtà produttiva, tra ricerca di alto livello (soprattutto universitaria) e industria: “Collegare il mondo della ricerca e quello produttivo credo debba essere, tra le altre cose, anche un compito delle associazioni come Unindustria; ed è un lavoro che, qui a Rovigo, noi ci sforziamo in ogni modo di tradurre in fatti concreti.

Dobbiamo cercare di valorizzare al massimo l’enorme patrimonio che c’è all’interno delle università; è da lì che possono nascere innovazioni sui prodotti, sui processi, sulla commercializzazione, tecnologie nuove e quant’altro”.

Su questo aspetto del legame tra scuola e lavoro insiste molto anche

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Ernesto Spinello: “Credo che l’aspetto del legame scuola-mondo del lavoro sia fondamentale anche per superare la crisi che ci sta severamente colpendo – dice Spinello – tra l’altro è un’esperienza che nel dopoguerra, quando questo paese ha saputo ricostruirsi dopo un conflitto devastante, era più praticata di adesso, anche se è ovvio che oggi avremmo bisogno di meccanismi diversi nel rapporto scuola lavoro. Davanti alla mia scrivania, nel mio ufficio, ho la targa che mi ricorda che l’attività fondata da mio nonno e da mio zio era riconosciuta come Bottega Scuola Artigiana. Ecco, quello è un bell’esempio da seguire, ancora oggi, ovviamente adattandolo ai nostri tempi. Nel gruppo scuola di Unindustria noi cerchiamo di realizzare ancora queste buone pratiche.

Facciamo quello che possiamo fare, anche se è evidente che c’è bisogno di un disegno molto più ampio e complessivo. A questo le istituzioni devono mirare”.

Nelle pagine successive, diamo due esempi di innovazione che si stanno realizzando con successo nel nostro territorio. Uno è quello del Distretto Ittico, l’altro è quello del Laboratorio Te.Si., che sembra soddisfare in pieno l’appello di Guariento e Spinello ad un maggiore legame tra scuola e mondo produttivo. Due esperienze di enorme rilievo per il territorio.

Che purtroppo, come spesso accade, sono poco conosciute.

Massimo Barbin è il direttore di Unindustria Rovigo, ma quando si parla con lui del Distretto Ittico di

Strumenti di precisione presso il laboratorio Te.Si. di Rovigo 25

ATTUALITà

Innovazione /2

Il distretto ittico più importante d'Italia è in Polesine Rovigo, di cui lui è referente, si ha quasi l’impressione che, nell’insieme del suo lavoro, quello sia un po’ il figlio prediletto. I risultati sono eccezionali, da record, ma sono in pochi a sapere, in questa provincia, che questa è una delle vere eccellenze del territorio. Un risultato non solo in termini economici, ma per il fatto che il successo del distretto, tra l’altro in espansione nonostante la crisi, è anche il frutto di un elevato contenuto di innovazione. Il sistema coinvolge tutti i settori economici, dal primario al terziario, dalla pesca alla trasformazione, al confezionamento alla commercializzazione. E lo fa usando sistemi modernissimi e fortemente innovativi partecipando anche a progetti di rilievo nazionale, quali, ad esempio, “Distretti sul web”, iniziativa pensata da Google (proprio lui, il motore di ricerca) insieme a

Unioncamere con il patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico: un progetto (in fase di realizzazione) che ha l'obiettivo di “favorire la digitalizzazione dei distretti industriali e far conoscere alle imprese le opportunità offerte dal web”; cioè di sfruttare tutte le opportunità delle nuove tecnologie per farsi conoscere e per aumentare il proprio mercato. “Se stiamo ai numeri i risultati fanno impressione – dice Barbin – stiamo parlando di un fatturato di 500 milioni di euro, di 3.500 addetti, cioè dell’ “industria” con più occupati in tutta la provincia. E credo di poter dire tranquillamente che nessun distretto ittico del paese fa questi numeri: cioè siamo i primi in Italia”. La filiera va dalla raccolta alla commercializzazione: sappiamo tutti della qualità del nostro pescato, dal pesce azzurro di Pila alle vongole ed alla cozza 26

Dop di Scardovari. Forse sappiamo meno delle molte industrie di trasformazione che stanno per lo più lungo la “Romea” (la “Cesare Regnoli”, 160 anni di storia, la “Dinon”, la “Mancin Nadia”, per citare solo le più grosse) aziende che esportano in tutto il mondo. E forse sappiamo ancora meno del lavoro delle molte aziende che commercializzano in tutta Europa (e anche più in là) il pesce fresco per lo più pescato da noi, con sistemi assolutamente all’avanguardia e con progetti di innovazione di grande rilevanza: “anche in questo caso abbiamo la piattaforma logistica più importante d’Italia – aggiunge Barbin – è bellissimo vedere come operano tutte queste realtà nate per lo più per commercializzare il pesce a livello locale, che in pochi anni hanno saputo crescere e innovare allo stesso tempo, a tal punto che ora il loro punto di riferimento è il mondo ed il successo (in termini economici ma anche in termini di prestigio) è davvero rilevante”.

Anche qui ci sono aziende leader a livello nazionale, ma pochi lo sanno, citiamo le maggiori: Finpesca, New Sea, Sarto, Polesana Pesca, La nuova pesca. Pesce fresco, lavorato con sistemi all’avanguardia che garantiscono l’eccellenza della qualità, diffuso con sistemi modernissimi, tutte con la Certificazione, tutte attente alla tracciabilità del prodotto con sistemi di ultimissima generazione.

Insomma, i superlativi si sprecano, ma sono del tutto meritati.

Ferrari, Geox, Luxottica, Magneti Marelli, Vimar, Ducati e un altro centinaio di nomi meno impressio-

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Innovazione /3

Laboratorio Te.Si., esperienza unica al mondo nanti ma altrettanto importanti: sono i nomi con i quali ha a che fare il Laboratorio Te.Si., appartenente al Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova che ha la propria sede (splendida) nell’area del Censer, a Rovigo. Lo dirige Paolo Bariani, docente di Tecnologie e Sistemi di Lavorazione nell’ateneo patavino, che del laboratorio è il papà, l’anima, il cuore. E che si arrabbierà un po’ quando vedrà che l’attacco di questo articolo è un elenco di ditte famosissime perchè, dice lui, “il senso del nostro lavoro non è solo in quei nomi”. Ma cos’è Te.Si.?: “é un laboratorio che esiste da circa due anni – dice Bariani – anche se non è ancora completato come vorremmo; ci lavorano, per adesso, 24 persone, la maggior parte dei quali dottorandi in ingegneria che vengono da diverse parti d’Italia e del mondo. é nato per ampliare il gruppo di ricerca già attivo all’università di Padova ed ha trovato qui a Rovigo spazi e disponibilità per strutturare un laboratorio di discrete dimensioni. Sono arrivato a Rovigo anche per interessamento di Unindustria, questo va detto”.

Il lavoro svolto è un lavoro di ricerca avanzatissima che si esprime, a livello universitario, con una locuzione inglese: Precision Manufacturing Engineering Group. Che ha una sua traduzione italiana, certamente: ma a vederli all’opera, questi ragazzi e queste macchine, la traduzione che passa per prima nella testa è: fan-

tascienza. “Precision manufacturing – spiega Bariani – è tutto ciò che in termini di tecnologie abilitanti consentono il progetto, la lavorazione, la fabbricazione di prodotti con complessità elevata sia per geometria che per materiali. Da questo punto di vista il nostro è un laboratorio che per la sua missione non ha pari in Italia. L’elemento di successo è mettere insieme competenze su aree che suscitano un grande interesse per l’industria manifatturiera”.

Già, perchè all’industria manifatturiera (in Italia e molto più in là) questo laboratorio offre idee di assoluta avanguardia che servono loro sia per risolvere problemi relativi ai prodotti, apparentemente irrisolvibili, sia prodotti incredibilmente innovativi: e quando parliamo di industria manifatturiera intendiamo aziende diversissime tra loro, che vanno dal settore biomedicale, a quello elettronico, a quello automobilistico e chi più ne ha più ne metta. Il prin-

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cipio è uno solo: quello che sembra impossibile in fase di produzione ad una determinata azienda, qui lo fanno diventare possibile, elaborando qualcosa a cui nessuno aveva pensato, modificando il processo, realizzando un materiale innovativo, insomma, offrendo soluzioni concrete. Ma se fantascientifico è quello che fanno, altrettanto stupefacente è il modo in cui il laboratorio viene gestito. Altro vanto che va riconosciuto al Professor Bariani: sì, perchè il laboratorio si mantiene da sé: tutte le spese di gestione vengono coperte dagli introiti derivanti dal lavoro svolto per le diverse aziende. Altra unicità, quindi, altra eccellenza: un laboratorio universitario che non costa niente allo Stato perchè si mantiene. Lavorando sodo e producendo innovazione che ricade non solo in questo territorio, ma ben oltre. E che, di questo territorio dovrebbe essere un vanto assoluto. Cosa che purtroppo non accade.

Lina Merlin

STORIE

Invisibili ma indispensabili: le donne che hanno fatto l'Italia

Pozzonovo (Padova), 15 ottobre 1887 - Padova, 16 agosto 1979

La voce della prima donna eletta al Senato

di Bruna Giovanna Pineda

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donna pragmatica e coraggiosa, per niente intimorita dalla calamità che in quel momento stava accadendo, sempre a fianco della sua gente: vestita con un paio di stivaloni e il fazzoletto in testa, come una moderna corsara, andava per mezzo di una barca di casa in casa, o meglio quel che rimaneva delle case sommerse dalle acque, a rincuorare le famiglie, a distribuire beni di prima necessità e, quando era necessario, a convincerle al triste ma inevitabile esodo.

Lei stessa ricorda nella sua biografia: “Durante la prima e apocalittica alluvione (…) mi sono recata ad Adria e vi sono rimasta per dodici giorni (…) dovemmo affrontare una situazione caotica. Solo dopo quattro giorni dall’invasione delle acque, che da un minimo di 40 cm salirono a quota 6,25 m in città e 13,90 m in campagna, vennero gli anfibi per trasportare la popolazione e furono fatti lanci di viveri dagli aerei". Accorati appelli per il Polesine si susseguirono durante la sua attività

uante volte abbiamo sentito il nome di questa donna associato alla legge che in Italia definì la chiusura delle case chiuse, la famosa legge Merlin per l’appunto, senza mai pensare invece a lei come ad una delle figure più importanti della politica italiana?

Soprattutto è triste che succeda anche qui in Polesine, terra da lei tanto amata e per cui si è tanto battuta, dentro e fuori il parlamento. Lina Merlin infatti è stata eletta senatrice per la I Legislatura della Repubblica (1948/1953) nel Collegio di Adria per il partito Socialista, e poi durante le due legislature successive anche nel collegio di Rovigo, e sicuramente la sua figura di donna politica e attivista stride molto con il sinonimo di casta che oggi viene associato ai parlamentari e ai politici in genere. Durante i terribili giorni dell’alluvione del ‘51 sono molte le testimonianze, tra cui anche quella dell’allora sindaco più giovane d’Italia, Sante Tugnolo, Sindaco di Adria, che la descrivono come una 29

LUOGHI STORIE

parlamentare, dalle nuove riforme agrarie e bonifiche, a richieste di finanziamenti adeguati per far fronte alla grande disoccupazione, come anche le denunce che coraggiosamente fece per svelare le gravi responsabilità dello Stato, reo di aver sempre trascurato una terra difficile come la nostra: “L’alluvione è un fenomeno da terra primitiva, fenomeno che doveva accadere, data l’incuria verso il Polesine di questo Governo, come di tutti i Governi che si sono succeduti in Italia dal 1861 in poi” (Senato, 12 febbraio 1952). Furono anche altre le motivazioni che mossero la senatrice Merlin ad occuparsi attivamente del “mezzogiorno del settentrione” (così lei aveva soprannominato il Polesine), terra a cui lei si sentiva legata non solo per motivi istituzionali, ma anche per la Il tesserino del C.L.N. rilasciato a Lina Merlin il 26 aprile 1945 sua storia famigliare e politica: il marito Dante Gallani (1878-1936), medico condotto e come lei socialista, era originario di Bagnolo di Po, ed era stato pure lui deputato scelte ben determinate e non facili, soprattutto per una fino al 1926. La sua generosità politica verso il Polesine donna di quegli anni: fin da giovane fu una coraggiosa e non si limitò all’eccezionalità della tragedia dell’alluvione: determinata antifascista, pagando con il carcere prima e fu di grande sostegno ai lavoratori anche con il confino politico poi la sua coraggiosa durante gli scioperi dei braccianti contro scelta. Dopo la Resistenza si dedicò con lo sfruttamento dei latifondisti, dando devozione e sacrificio alla vita di partito soprattutto consigli alle donne, che erano e parlamentare, senza mai smettere di alle loro prime esperienze di lotta come lottare per chi come lei aveva conosciuto Non bisogna lavoratrici: “Non bisogna piangere, la miseria e la fame. Molti ad esempio non piangere , neppure in prigione. Siamo intese?” sanno che Lina fu una delle poche donne soleva dire alle sue compagne prima facenti parte dell’Assemblea Costituente, neppure in degli scioperi. Fu tra le prime a capire e una delle poche Madri della nostra cara prigione. a denunciare come i finanziamenti dati Costituzione: uno dei suoi più grandi Siamo intese ? a pioggia per le opere di ricostruzione contributi lo portò proprio in uno degli e risanamento nei territori caduti vittima articoli fondamentali della nostra bibbia di calamità naturali, fossero spesso usati laica, l’articolo tre, quando accanto alla per speculazioni tutt’altro che lecite e formula “Tutti i cittadini hanno pari dignità clientelari, e il Polesine anche in quegli sociale e sono uguali davanti alla legge anni non faceva eccezione; durante un suo discorso senza distinzione di razza, lingua, religione... ” propose fiume alla Camera dei Deputati del 19 Gennaio 1961 di aggiungere la parola “di sesso”, proprio perché non lanciò un vero e proprio atto d’accusa contro il Governo dava per scontato ciò che nemmeno oggi tanto scontato perché non erano stati resi pubblici i consuntivi riguardo non è, cioè che chi ci amministra e ci governa si ricordi che i 147 miliardi di lire impiegati per la messa in sicurezza la cittadinanza è composta sia da uomini che da donne. della nostra provincia “ ...gli argini del Delta sono ormai Nei suoi interventi nel difendere le pari opportunità era impastati di terra e di miliardi ”. solita sottolineare: “Rispetto all’uomo si può parlare di differenza non di superiorità o inferiorità!”. In un paese di Le scelte difficili di Lina: una vita per i diritti delle tradizione patriarcale come il nostro non fu una vittoria da donne e dei più deboli poco per la Senatrice: allo stesso tempo si batté per i diritti Lina Merlin iniziò la sua vita politica facendo subito delle delle lavoratrici, per l’equità di salario, contro l’ignobile

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la donna, la cittadina, sia ridotta alla condizione di mercecostume dei datori di lavoro per i licenziamenti facili per le prostituzione…” (discorso al Senato del 12 ottobre 1949). lavoratrici mogli e madri, per gli asili nido, per la scuola Per Lina era giustamente inconcepibile che la Repubblica pubblica, per la cancellazione del discriminante n.n. dai italiana nata dalla Resistenza fosse complice della messa certificati di nascita dei figli illegittimi, per la tutela del in schiavitù di migliaia di donne, perché di questo si lavoro a domicilio e per la legge che finalmente permise trattava: oltre a non essere libere di alle donne di entrare in magistratura. Ma decidere della propria vita perché erano la sua più grande e difficile battaglia fu trattate come mercanzia da chi gestiva e proprio per quella legge che oggi porta traeva ingenti profitti dalla loro già triste il suo nome e che fa ancora discutere, condizione di prostitute, venivano pure cioè la legge per l’abolizione delle case Rispetto all'uomo si registrate in una speciale lista dalla quale chiuse. “Non chiamatela legge Merlin, può parlare di era poi impossibile cancellarsi, come se ma legge dello Stato italiano”, era solita differenza fossero marchiate a vita. Ai colleghi che in dire quando veniva attaccata, derisa e non di Parlamento si opponevano alla sua legge umiliata per questa battaglia di civiltà era solita rispondere con una battuta: “Ma che la vide protagonista per quasi dieci superiorità che uomini siete se una donna non sapete anni in Parlamento. L’Italia in quegli anni o inferiorità! conquistarla, ma solo comprarla?”. Proprio stava per entrare nelle Nazioni Unite, e per questa sua grande determinazione nel per farlo doveva assolutamente abolire battersi e denunciare le ingiustizie sociali la prostituzione di Stato (Convenzione del risultò scomoda a molti, e per questo 1949). Lina Merlin non pensava di certo di motivo è stata invece spesso volutamente e strumentalmente eliminare la prostituzione tout-court, ma l’obiettivo che si era travisata; sta di fatto che oggi viene ricordata in modo a dir prefissata era invece quello di abrogare la complicità dello poco ingeneroso, anche nei luoghi dove il suo contributo e Stato nello sfruttamento della mercificazione delle donne, la sua opera furono più presenti, come il Polesine. che nelle case di tolleranza venivano trattate come schiave.

“Lo Stato deve (…) intervenire perché non sia permesso che

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B I B L I O G R A F I A

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"La peccatrice di Stato", Antonio Gambino, settimanale l’Espresso, 20 ottobre 1957 "Alle dieci di sera", Nello Ajello, settimanale l’Espresso, 13 ottobre 1963 "La mia vita", Lina Merlin, Firenze, Giunti, 1989 "La Senatrice. Lina Merlin, un pensiero operante", a cura di Anna Maria Zanetti, Venezia, Marsilio, 2006

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LUOGHI

L' isola della Batteria, l'atlantide dimenticata... di Danilo Trombin

foto di Angelo de Poli

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l primo articolo che scrissi per questa rivista fu inserito, anche quello, nella sezione “Luoghi”, e parlava della golena di Santa Maria in Punta, località in cui ha origine il ventaglio fluviale del Delta del Po. In realtà io descrivevo questa zona come un “non-luogo”, estendendo il concetto prima al territorio deltizio, e all'intero Polesine poi. Ma mentre stavo elaborando questi profondissimi pensieri, ero molto combattuto nella scelta tra Santa Maria in Punta e l'Isola della Batteria, due località accomunate dall'essere state abbandonate alle acque, elemento che faceva gioco al mio dissertare riguardo la non esistenza del Polesine.

O meglio, entrambe erano state riconsegnate alle acque, dopo un vano tentativo di renderle ubertose, a sottolineare che, anche in un'epoca in cui l'operosità umana viaggiava di pari passo con l'ottimismo, la natura, che osservava silente, difficilmente poteva essere piegata. Son due posti che a me piacciono molto, pregni di un fascino senza tempo, pieni di storie da narrare, ognuno a modo proprio, purchè si abbia la voglia di ascoltarli, in silenzio. E dopo aver raccontato di Santa Maria in Punta, eccomi oggi a scrivere dell’Isola della Batteria.

Potrei iniziare dicendo di quell'operatrice turistica locale, secondo me scarsamente lungimirante, che durante un educational con dei tour operator italiani e stranieri, transitò inorridita attraverso la laguna che oggi occupa quelle che un tempo erano le terre emerse della Batteria, osservando con orrore i resti delle abitazioni abbandonate mentre mi intimava di non accompagnare mai più turisti ed affini in luoghi così tristi e desolati, che si sarebbero certamente fatti un'idea negativa della zona che invece dovevamo vendere. Siccome io non sono mai stato un venditore, ma piuttosto un cercatore, non l'ho mai ascoltata, e negli anni ho accompagnato decine di persone a vedere i ruderi affioranti della Batteria, che l'hanno affrontata invece con un misto di stupore e curiosità che di fatto mi hanno condotto ad approdare alle parole odierne... Tuttavia, per poter parlare degnamente di quello che era l'Isola della Batteria, e di quello che è oggi, si trattava di saperne di più a partire da quei ruderi allagati per costruire le fondamenta di una conoscenza di un territorio che essendo ai margini, è sempre fuori dal comune. Per questo mi rivolsi, dal principio, all'amico Vittorio Cacciatori, discendente della gloriosa stirpe dei “Caparin”, gente che com'è noto, conosce il Delta come le proprie tasche, prevedendo addirittura i cambiamenti fisici, prima che avvengano, in un territorio dai confini labili ed effimeri come quelli del territorio di cui qui si parla. Avrei potuto descrivere La Batteria come si presenta oggi. Avrei potuto commentare foto d'epoca e raccontare di come quelle case sono diventati ruderi, o ancora cercare informazioni di vario genere, ma sapevo che Vittorio avrebbe calato un asso pigliatutto in grado di sbaragliare qualsiasi tipo di concorrenza. E l'asso calato dal buon Vittorio è niente meno che l'ultimo guardiano dell'Isola della Batteria, che per motivi di riservatezza ha chiesto di mantenere l'anonimato.

Io e Vittorio siamo piombati a casa del guardiano in una uggiosa giornata d'ottobre, senza alcun preavviso, all'ora di pranzo, per esser certi di trovarlo. Il guardiano se ne stava seduto a tavola, in attesa, manco a dirlo, di un piatto 33

LUOGHI

avere con la fatica, che lui, perlustrando soltanto i confini dell'Isola in barca, ritiene di non aver mai fatto, in confronto con coloro che si spaccavano davvero la schiena nei campi che avevano reso produttiva l'area, a quel tempo.

- Io giravo in barca, controllavo che non venissero a rubare, giravo sia di giorno che di notte, ma controllavo poco, perché tanto, anche se fosse stato, il padrone non sarebbe andato in miseria per qualche furtarello... Mio padre faceva il passatore. Portava la gente in traghetto sulla Busa di Tramontana, dalla Cirenaica fino a Punta di Mezzo, e noi abitavamo là in una baracca di legno con il pavimento in terra battuta. All'epoca abitavano più persone in Cirenaica che a Pila, c'erano molti casoni in canna, dove vivevano alcune centinaia di abitanti. La Pila vera e propria è nata dopo le alluvioni degli anni '50, quando alzarono gli argini e sfollarono tutti quelli della Cirenaica. C'era la miseria più nera, all'inizio misero la gente a dormire nella scuola. Io avevo i piedi pieni di calli, a forza di camminare scalzo nella neve, non avevo le scarpe. -

fumante di “risi e fasoi duri”, nella migliore tradizione epica del canarolo-pilante...

Riuscire a entrare in casa è stata un'impresa. La moglie guardava me e Vittorio dalla porta, con un'espressione come a dire - No, mi spiace, non abbiamo bisogno di niente... Alla fine, grazie all'intercessione di Vittorio, che ha rivelato la propria identità, si è convinta, e la strada è stata in discesa. In realtà il novantenne guardiano è un tipo abbastanza arcigno, uno che non si sbottona per niente, che è abituato a vendere cara la pelle. Da qui, ad esempio, deriva il desiderio che non venga rivelato il suo nome... Il guardiano ci fa accomodare alla sua tavola, offre di condividere con noi il suo pasto e il suo vino, ma subito, con tono perentorio, ci avverte: - Io non so niente, non mi ricordo più niente. Sono vecchio, ormai... Poi inizia a raccontare, e tutto quello che dirà adesso è fatto di parole secche e misurate, come sospese in un tempo che non sembra passato, perché ha perso la grammatica che ne fa cronologia, e ora si dilata e ora si restringe, come fosse elastico e assolutamente relativo, e non più condito dall'architettura monotona delle lancette di un orologio, o dalle pagine di un calendario che scivolano via inesorabili.

Il tempo così come lo concepisce un vecchio di novant'anni che per quaranta ha fatto il guardiano alla più nota isola del Delta del Po. - Io? Ma io non ho mai lavorato in Batteria, io facevo solo il guardiano! - dice, stupito dalla domanda che gli ho appena rivolto, a sottolineare il rapporto stretto che il lavoro deve

L'Isola della Batteria inizia la sua breve storia all'alba della Grande Guerra, allorquando vi fu installata una batteria, appunto, anti-navale e una diga, che avrebbero dovuto impedire un ipotetico sbarco delle truppe austriache, che intendevano invadere il nord Italia. La zona si prestava a questa eventualità in quanto era scarsamente abitata e più vicina alle coste della Dalmazia di qualsiasi altro punto dell'Adriatico. L'area venne arginata e bonificata e fu messa a coltura. Il primo proprietario di cui qui si ha memoria 34

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fu un certo avvocato Negri di Padova, che sfruttò intensamente l'area.

ni di metano... Vaona allora decise di cambiare la conduzione gestionale della Batteria, trasformandola in valle da pesca a tutti gli effetti, e abbandonando definitivamente - All'inizio abitavano stabilmente in Batteria una ventina di la coltivazione del riso. La Batteria divenne da allora una famiglie, ma potevano essere anche 5 o 6... Ma in stazona di pesca, e di pesce ce n'era tanto, se ne prendevano gione piena si arrivava anche a 800 tonnellate... anguille, pesci gatto, luclavoratori stagionali. Vivevano là per ci, persico sole, persico trota... una tornare a casa solo in certi periodi, ricchezza... Ma le cose continuarono erano soprattutto gente di Taglio di a peggiorare... le rotte negli argini Po o Porto Viro. Lavoravano in risaia erano sempre più frequenti, e non si Poi inizia a raccontare, e oppure raccoglievano la canna o i riusciva più a far fronte a tutti gli intutto quello che dirà adespnaci -. terventi necessari. Gli abitanti della so è fatto di parole secche e - Pnaci? Batteria avevano abbandonato pro- Sì, i pnaci, i pennacchi delle cangressivamente l'Isola, ormai l'unico a misurate, come sospese in ne... servivano per fare scope e per resistere era proprio Vaona... chiese un tempo che non sembra spolverare casa... si viveva in simbioanche l'aiuto dello Stato, per riparapassato, perché ha perso si con la natura: noi prendevamo ciò re le falle, ma questo non arrivò mai, la grammatica che ne fa che essa ci forniva, ma facevamo in finchè la zona non diventò demaniamodo che continuasse a essere prole, negli anni '70. Vaona abitò lì fino cronologia, e ora si diladuttiva anche negli anni a venire, alla sua morte, alla fine degli anni ta e ora si restringe, come non come hanno fatto dopo... L'av'80. Ormai era tutto sommerso, tranfosse elastico e assolutavocato Negri morì nel '57, allora ne la casa, che era circondata da un mente relativo, e non più subentrò Marcello Vaona, suo socio, arginello e aveva una piccola idroma ormai il destino della Batteria vora che buttava fuori l'acqua. Fu condito dall'architettura sembrava già segnato... l'ultimo abitante della Batteria, prima monotona delle lancette di A questo punto interviene la moglie che l'acqua la riprendesse completaun orologio, o dalle pagine del guardiano, che fino ad allora s'emente -. di un calendario che scivora adoperata ai fornelli ascoltando silenziosa la conversazione: Irrimediabilmente sommersa... già... lano via inesorabili. Il tem- Avevo in braccio il mio primogePerché oggi, in seguito alle ingorde po così come lo concepisce nito... aveva pochi mesi... e io aveestrazioni di metano che hanno inteun vecchio di novant'anni vo ancora una volta i piedi immersi ressato tutto il Delta del Po negli anni che per quaranta ha fatnell'acqua... '50 del secolo scorso, tutto il territo- L'acqua cresceva ormai - l'interromrio ha subito un abbassamento calto il guardiano alla più pe il guardiano - di 30 cm l'anno... colato nell'ordine di parecchi metri, nota isola del Delta del Po. quell'anno abbiamo avuto l'acqua in modificando irrimediabilmente e per casa da luglio a Natale. Nonostante sempre l'assetto territoriale dell'area. io avessi riparato le falle peggiori...

A monito di questa ingordigia rimanormai la situazione era diventata ingono ancora oggi le case sommerse sostenibile... così abbandonammo anche noi la Batteria, e e abbandonate, a testimoniare la presenza del piccolo cenci trasferimmo a Pila. Il macchinario (l’idrovora, n.d.a.) non tro abitato, come una piccola Atlantide dimenticata. riusciva più a buttare fuori tutta l'acqua... ormai la pressioAlcune parti di questo articolo, pur provenendo da testimonianze dine del mare da un lato e del fiume dall'altro erano troppo rette, sono state da me romanzate e pertanto non sono da consideraforti. Gli argini di canna e legno erano troppo deboli per re precisa ricostruzione storica di quanto accaduto nei luoghi descritti. sostenere l'abbassamento del terreno dovuto alle estrazio-

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UN PO PIù IN Là

Lucano e la violenza del di Guido Conti

foto di Fabio Negri

grande fiume I

l Po è fonte di vita ma anche di distruzione. Non è solo il fiume del mito ma anche della realtà nel suo aspetto più crudo e violento. Il fiume distrugge i boschi e porta via gli armenti e strappa le terre con i suoi vortici.

Intorno alla metà del I secolo d.C., nella Farsalia di Lucano l’aspetto magico di Eridano si perde per sempre: resta la violenza del fiume con le sue piene, che sradica boschi e mangia le terre.

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UN PO PIù IN Là

dell’antichità.

Siamo nel pieno delle guerre civili che insanguinano Roma.

Esso non avrebbe una portata inferiore a quella del Nilo, se questo fiume non straripasse nelle arene africane attraverso le pianure dell’Egitto; non sarebbe inferiore al Danubio, se questi, mentre solca il mondo, non accogliesse affluenti che dovrebbero gettarsi in altri mari e non sfociasse, non più solo, nelle onde scitiche. (La guerra civile II 416-20)

I monti danno luogo, con abbondanti sorgenti, a enormi fiumi e fanno scendere, in direzioni opposte fra loro, i corsi d’acqua verso i due mari. Sul fianco sinistro scorrono il veloce Metauro, il vorticoso Crustumio, il Sapi con il suo affluente Isauro, la Sena, l’Ofanto che sfocia nelle acque dell’Adriatico e l’Eridano, che ingoia più terre di ogni altro fiume e che trascina in mare boschi divelti, prosciugando di acque l’Esperia. È tradizione che questo fiume sia stato il primo a far ombra alle rive con una corona di pioppi e che abbia avuto onde in grado di sopportare i raggi del sole, allorché Fetonte, mentre conduceva precipitosamente il carro del Sole attraverso un’orbita obliqua, infiammò il cielo con le briglie infuocate, arroventando la terra che era rimasta senz’acqua. (La guerra civile II 403-15)

L’antico “padre” Eridano Eridano non è solo mito. Nelle sue continue metamorfosi il grande fiume che attraversa la pianura diventa figura taurina, mito, ma anche padre, il “pater Eridanus” che osserva Fetonte mentre con il suo carro cade nelle acque vorticose del fiume. Nella stele di un sarcofago del II secolo d.C., conservata presso il Museo Lapidario Maffeiano di Verona, padre Eridano, con in mano una canna palustre, mezzo fiume e mezzo uomo, allunga il suo braccio cercando di salvare Fetonte che cade sgra-

Lucano arriva a paragonare il Po al Nilo e al Danubio, confermando la sua statura mitica, di grande fiume 38

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violenza che io ho visto con i miei stessi occhi nel 2000.

Il fiume ancora oggi porta via case, macchine, carcasse di animali, frigoriferi, televisori, tronchi e tutto quello che incontra dentro gli argini che viene strappato dalla furia della corrente. È come se Lucano si fosse risvegliato di fronte alla dura verità della guerra e della morte, del sangue e della natura, nella sua impossibilità di governarla e di viverla come rifugio in un ideale di armonia spirituale.

Questo insegna ancora oggi Lucano.

Claudiano, al contrario, innalza la figura di Eridano nell’Olimpo delle divinità fluviali maschili, con tanto di corna dorate, i capelli cinti delle piante care alle Eliadi e i riccioli grondanti di ambra, il mantello ricamato con il mito di Fetonte e un’urna con le stelle a indicare la sua dignità divina. Il “Phaetontius amnis” o “Phaethonteus Padus”, il “fiume di Fetonte”, è diventato “pater Eridanus”, e Claudiano ha dato corpo, nei suoi versi, a quello che Virgilio, quattro secoli prima, aveva definito “fluviorum rex”.

Queste sono le mie storie. Mi appartengono. Non fanno parte del passato ma sono storie del mio presente, della mia memoria di uomo e di scrittore.

ziatamente a testa bassa, sotto una nuvola di cavalli imbizzarriti. Eridano è un dio come il Tevere, il fiume venerato dalla potenza di Roma. Claudiano nel IV secolo d.C., nel suo Panegyricus de sexto consolatu Honorii Augusti, descrive Eridano come un dio fatto uomo, il capo cinto da una corona di canne: Eridano alza il suo capo sopra la corrente calma e le sue corna dorate, diffondendo una luce sulle rive, brillavano sul volto grondante di gocce. I suoi capelli bagnati erano velati da un ornamento non comune: rami verdi dagli alberi delle Eliadi riparavano il suo capo e da tutti i riccioli colava ambra. Un mantello ricopriva le sue larghe spalle, e ricamato sopra di esso appare Fetonte sul carro paterno che riluce sul tessuto. E protetta dal grembo un’urna splendida con stelle incise indica la sua dignità divina.

Lucano dà una lezione di tensione stilistica muscolosa e potente, adatta a una realtà torbida e oscura. È lo scrittore delle crude vicende della Storia, dominate dall’orrore e dal sangue. Le acque del fiume erompono con quella 39

Ca’ Cornera

Stazione di sosta nel Delta del Po

Chiuso il mercoledì Area sosta camper Long. 12° 16’ 42” E Lat. 44° 58’ 03” N

Località Ca’ Cornera, 3 Porto Viro Tel. 0426.1900566 Cell. 347.0862259

UN PO PIù IN Là

Il fiume libero di Paolo Rumiz di Paolo Di Paolo

Nella foto i protagonisti del viaggio attraverso il grande fiume compiuto da Paolo Rumiz insieme all'esploratrice Valentina Scaglia, in compagnia di canoisti, barcaioli, scrittori e pescatori

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o dall’adolescenza che le mappe giuste non servono a orientarsi ma a sognare percorsi» scrive Paolo Rumiz nelle prime pagine di Morimondo (Feltrinelli) - ed è già una precisa indicazione di metodo, o di non-metodo. Rumiz ci ha abituati negli anni a questi suoi percorsi di scrittura sospesi fra reportage e qualcosa che ne dilata i confini.

Cosa di preciso? Una attitudine della sua prosa, libera come poche - libera, si direbbe in questo caso, come il fiume che racconta: «Il fiume è la cosa più libera che ci sia. Forse per questo gli italiani, dopo secoli di baciamano e genuflessioni ai potenti, lo evitano e per questo la politica lo ignora». I verbi che l'autore enumera a proposito del Po, grande protagonista della traversata di Morimondo, sono utili a mettere a fuoco le caratteristiche della scrittura di Rumiz. «L’avevo corteggiato» scrive, «letto, studiato, immaginato, circumnavigato». In effetti si ha, seguendo Rumiz, la netta sensazione che gli oggetti della sua scrittura - in parti41

UN PO PIù IN Là

colare i luoghi, le voci di chi li abita e li ha abitati - siano appunto letti, studiati, immaginati, circumnavigati. Succede in Morimondo che la pagina si apre all’improvviso, è come uno squarcio poetico - «Dal ponte, sul far della sera, contemplammo i gorghi del fiume bambino senza avere idea di cosa ci aspettasse a valle e senza percepire la distanza che ci separava dal mare». In passi come questi, si avverte appieno la dimensione «emotiva» della geografia vista da Rumiz: c’è la Storia grande, ci sono le storie minute, le voci della gente, l’indignazione civile, l’atto di difesa, di resistenza anche politica. Ma poi, l’orizzonte che tutto include è legato a un piacere fisico e intellettuale insieme: «sentire» i luoghi, viverli - quelli meno toccati e inquinati dal peggio della modernità - come qualcosa di rigenerante. «L’acqua ci rigenerò, divenne fonte battesimale, miracolo che rese lieve la fatica». D’altra parte - di fronte alla bellezza naturale - Rumiz esplora fino in fondo il proprio stesso stupore: «Nessuna mano di architetto del paesaggio o di giardiniere avrebbe potuto disegnarle meglio», le «sinuose parentesi che a nord e a sud chiudevano il discorso del fiume con una linea armonica e perfetta». Non che questo significhi edulcorare: Rumiz non occulta ciò che pure, di un luogo, può essere ostile, infelice, feroce. Ma c’è stupore anche di fronte a questo - ciò che ci sovrasta, ci respinge, ci spaventa. Dando spazio a tali stati d’animo, il narratore di viaggio diventa - senza perdere concretezza - anche un visionario, quasi il personaggio di un’Operetta morale leopardiana in grado di dare del tu alla natura. «Quando tornammo sul fiume selvaggio, col motore al minimo e il capitano beatamente diviso fra pipa e timone, giunsi a una conclusione irreversibile. Po era una donna. Lo era per il semplice motivo che l’acqua era femmina, punto e basta. Come avevo potuto farmi gabbare dalla o del monosillabo? “Po, quanto sei bella,” mormorai, e funzionava benissimo». Luogo per luogo, tappa per tappa, Paolo Rumiz racconta la storia di una traversata fluviale che è anche la storia, a ritroso nel tempo, di quelle stesse acque, di quegli argini, dei villaggi e delle città nate su quelle sponde. E quindi delle persone che hanno amato nei secoli il fiume e lo amano oggi, che si godono il suo abbraccio, che gli dormono accanto, lo sentono parlare («Il fiume ti parla»), che sono «incazzati come iene» vedendo come spesso la politica sia indifferente a un patrimonio invidiato altrove. Un patrimonio - benché maltrattato, inquinato, spesso indifeso - sempre molto vivo, e soprattutto vitale.

In tenda sulle rive del Po

Paolo Rumiz

Dalle canoe al barcè 42

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Copertina del DVD “Il risveglio del fiume segreto" per la regia di Alessandro Scillitani

B I O G R A F I A

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Paolo Rumiz Paolo Rumiz è giornalista de “la Repubblica” e “Il Piccolo” di Trieste.

Con Feltrinelli ha pubblicato: La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan, 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti naviganti (2007), L’Italia in seconda classe (2009), La cotogna di Istanbul (2010, nuova edizione 2012), Il bene ostinato (2011), la riedizione di Maschere per un massacro. Quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia (2011), A piedi (2012), Trans Europa Express (2012), Morimondo (2013) e, nella collana digitale Zoom, La Padania (2011), Maledetta Cina (2012), Il cappottone di Antonio Pitacco (2012).

Copertina del libro "Morimondo" edito da Feltrinelli

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Faro di Goro 43

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RICORDANDO LUCIANO

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Imbarcadero di Stienta con temporale nell’aria. Un magnifico pontone, uno dei più belli del viaggio. Aveva un’ampia casetta terrazzata, sede dell’Associazione Amici del Po, dove sbarcammo sul più bello di una festa. Tutta la ciurma era stata invitata a partecipare e c’era gran folla ad aspettarci sulla ringhiera: vecchi pescatori, amici di Irene, il sindaco di Stienta e l’amico Luciano Bombarda, frenetico e ospitale come sempre. Era lui l’anima dell’associazione Il fiume, che alla memoria non dedicava solo un fatidico giorno all’anno ma un’attività continua, appassionata e niente affatto rituale, centrata sulle storie dimenticate di ebrei, prigionieri o partigiani finiti nel tritacarne della guerra.

Luciano si era speso in quell’attività, aveva ritrovato parenti dispersi, recuperato personalmente parti mancanti di bografie, organizzato incontri e viaggi in Israele, Francia, Germania. Magro, pronto alla battuta, lavoratore tosto, era divorato da una voglia incontenibile di fare, come se il tempo gli stesse sfuggendo tra le dita. Di lì a qualche mese , in una notte di dicembre sarebbe scivolato in Po davanti casa sua, a Ficarolo, nelle stesse acque dove il nostro piccolo scafo era passato a vela piena, poco prima dello sbarco a Stienta. Pochi, forse nessuno, seppero capire – e tantomeno quel giorno – se c’era un’ombra in quell’uomo che con tanta passione si dava al fiume della memoria e che sarebbe diventato lui stesso fiume e memoria.

Paolo Rumiz, “Morimondo”, pag.255

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PAROLE

Francesco Permunian L’indifferenza di Dio e delle stelle

di Sandro Marchioro foto di apertura di Cristina Finotto

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e avesse ragione Lombroso, Francesco Permunian (visto così come appare nelle foto dei risvolti di copertina di alcuni dei suoi libri) non andrebbe in giro libero già da un bel pezzo. E se i criteri lombrosiani valessero anche per la letteratura, se fosse possibile, cioè, intravedere nelle forme della scrittura una relazione accertabile con gli istinti profondi dello scrivente, se esistesse insomma una sorta di somatica narrativa, beh,

anche in questo caso lo scrittore di origini cavarzerane, ma di stanza nella gardesana Desenzano, non potrebbe non essere soggetto a provvedimenti restrittivi. Per fortuna non è così, e tutti oggi sappiamo che ad ogni lombrosaggine corrisponde una scempiaggine. Conosciuto dal vero, poi, Francesco Permunian è una persona deliziosa, appassionata, garbata e piacevolissima. E i suoi libri sono perfetti congegni di alta e vera letteratura, abilmente 45

PAROLE

costruiti, artigianalmente rifiniti, scritti in un italiano che sembra brace viva. Tutto bene quindi? Assolutamente no!

Per un motivo semplice: oggetti letterari con le caratteristiche di quelli scritti da Permunian in giro, in Italia ma non solo, praticamente non ce ne sono; pochissimi, forse tanti quanti le dita di una sola mano, ce ne sono in Europa. I testi che scaturiscono da quella penna sono tutti unici, inimitabili e alle spalle hanno moltissime letture, ma non precisi e unici modelli di riferimento.

Quando si parla di un grande scrittore i critici spesso si divertono a fare il gioco: “a chi assomiglia?” Succede spesso anche nel caso di Permunian. é un segno tangibile, credo, di due cose: l’ammissione silenziosa della grandezza dell’autore che si sta analizzando e, seconda cosa, la difficoltà a collocarlo (dato che i critici e gli storici della letteratura tendono per istinto a ragionare in termini di spazi, modi e forme) da qualche parte della storia della letteratura e dei movimenti culturali in genere. Certo, le molte e appassionate letture avranno ben insegnato qualcosa al nostro autore.

Certo, alcuni echi si sentono. Certo, percorre una linea percorsa anche da altri, quella dell’uso espressionista dello strumento letterario. Ma nel suo complesso Permunian non è classificabile, tanto meno in questi anni di conformismo culturale e di vuoto ideologico che hanno disseccato e ammutolito il panorama della narrativa italiana dei nostri giorni. Gli albori della scrittura di Permunian sono legati alla poesia; ma è una fase che non conosco e non ne posso parlare. Ma l’attenzione della critica che conta lo scrittore cavarzerano la ottiene con il suo primo romanzo, "Cronaca di un servo felice", pubblicato nel 1999 dall’editore padovano Meridiano Zero (oggi passato di proprietà e gestito dalla bolognese Odoya). Il successo di quella esperienza narrativa, che fin da subito si impone come assolutamente originale e di grande valore letterario, lo porta ad approdare ad un editore di dimensioni molto più grandi come Rizzoli, con

cui pubblica "Camminando nell’aria della sera" (2001) e "Nel paese delle ceneri" (2003). L’esperienza con un grande editore (sarebbe più chiaro dire: con un editore grande) si conclude con questi due romanzi, e sarebbe davvero molto interessante capire quali ne siano i motivi dalla viva voce di Francesco. Per puro divertimento azzardo alcune ipotesi: 1) troppa pressione da parte degli editor (quella figura che, all’interno di una casa editrice, ha il compito di “sistemare” il testo proposto dall’autore secondo canoni che, più o meno, hanno a che fare con la filosofia dell’editore); 2) difficoltà, da parte dell’editore, di trovare una collana in cui collocare i testi di Permunian; editori come Rizzoli chiedono sempre di più testi commerciali, per la massa: ma i libri del nostro autore non possono essere di massa, sono troppo belli. 3) Le esigenze espressive di Permunian sono mutate e lo portano ad una poetica che solo la sensibilità di piccoli, raffinatissimi editori possono comprendere. Questo mutamento di poetica sarebbe testimoniato anche dal fatto che da un certo punto in poi la struttura dei testi diventa smozzicata, rotta, ingannevolmente diaristica, riflessiva, d’un ordine apparentemente casuale, anche se le pagine comunque sono tenute insieme da un esilissimo filo narrativo. Questo ciclo inizia (e non è ancora concluso) con "Il principio della malinconia" (Quodlibet, 2005), e la mutazione stilistica prosegue con "Dalla stiva di una nave blasfema" (Diabasis, 2009), con "La casa del sollievo mentale" (Nutrimenti, 2011), fino all’ultimo edito: "Il gabinetto del dottor Kafka" (Nutrimenti, 2013). Va comunque detto che i testi di Permunian sono come gli Stradivari: si sente in maniera netta che sono costruiti dalla stessa mano, con la stessa filosofia progettuale, ma ognuno ha sfumature di suono diverse, smuove e stuzzica armoniche differenti. C’è, del resto, anche un ritornare a scavare temi e contenuti che di volta in volta si ripresentano: la denuncia della mediocrità delle congreghe culturali del nostro tempo, il legame (psichico, direi psicoanaliti46

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co) con le nostre radici (moltissime pagine, soprattutto nelle ultime opere, sono dedicate alla sua terra d’origine: Cavarzere e il Polesine); e ancora la religiosità che, quando diventa religione, chiesa, apparato, produce contraddizioni, falsità e disagio; la famiglia come luogo in cui si consumano errori ed orrori; e ancora, il confronto continuo con la presenza, a volte orrorifica a volte salvifica, della morte; il dialogo ininterrotto con le vite spente di chi ha accompagnato anche solo un tratto delle nostre esistenze; presente in molte pagine, poi, il tema della follia, intesa come momento di verità tragica, di progressiva rivelazione di quella trama di “inguaribile nichilismo” (Dalla stiva..., pag. 70) con cui Permunian osserva lo scorrere dei nostri giorni. Sono queste le cose che più mi si sono impigliate addosso leggendo tutto quello che ho letto. Eppure, a me capita una cosa strana, che un po’ mi spaventa e che vorrei poter confrontare con altri lettori di questi libri: subito dopo che ho finito di leggerli la loro memoria svanisce, non li ricordo. Anche se contengono immagini fortissime, visioni eclatanti e bellissime, suggestioni che toccano in profondità. La loro componente visiva è sempre molto forte, tale da far pensare a pittori come Hieronymus Bosch, Edvard Munch, Francis Bacon: proprio per questo dovrebbero restare.

Invece, in me, evaporano. Mi resta, quella sì, radicata, una intensissima impressione di meraviglia e stupore.

Non ha a che fare, questo svaporare, con il fatto che nei testi di Permunian quelle che siamo abituati a chiamare “trame” non sono così tracciate (e traccianti), ma sono piuttosto coperte (per fortuna) da una scrittura splendida di cui abbiamo più volte detto. E allora? Credo che la soluzione stia in un processo mentale che, francamente, mi costa ammettere: il tessuto decomposto, putrescente, malato di certi schemi esistenziali che intossicano le nostre esistenze, e che Permunian non solo racconta, ma fotografa con forza dirompente, tutto questo non solo lo condivido ideologicamente e lo apprezzo per il risultato artistico, ma soprattutto mi tocca da vicino. Peggio: mi descrive. Per questo dimentico, e trattengo solo il senso di bellezza “tecnica”, di purezza letteraria che tutte queste pagine mi regalano. Sarebbe facile (dato anche il poco spazio che abbiamo a disposizione) parlare di un solo libro di Permunian e raccontarlo, descriverlo. Se ho scelto di parlare invece delle sue opere complessivamen-

te (rischiando di non rendere l’idea della densità di questo autore) è perchè davvero in ogni sua pagina si trovano tutti gli elementi necessari alla letteratura, quanto è vera letteratura: una scrittura intensa, una grande bellezza, il tentativo di dare risposte e di aiutarci a capire “l’impareggiabile rumore della commedia umana”, che “sembra un mare in tempesta, invece è un soffio di vento tra le ruote del caso e della necessità”. Permunian è indispensabile a tutti coloro che vorrebbero capire la vita in tutti i suoi aspetti, magari imparando anche a declinarla.

La sua visione “partigiana” dell’esistenza potrà aiutare tutti coloro che vorrebbero dire no alla mediocrità, alla falsità, alla stupidità, al non senso di molti comportamenti umani. E per capire tutto questo i libri di Permunian bisogna leggerli tutti, dall’inizio alla fine, dal primo all’ultimo. Fatelo. I libri hanno un senso se una volta che li hai finiti sei almeno un po’ diverso rispetto a quando li hai cominciati. Con Permunian succede sempre.

Francesco Permunian

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PAROLE

Il mondo reale mi sta stretto

di Marco Barbujani foto di Cristina Finotto

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Valentina Liviero, nata ad Adria nel 1990 e cresciuta a Cavarzere, ha realizzato le illustrazioni per la galleria online dedicata al romanzo fantasy "La sesta regola" di Alessandro Fusco nel 2009. Nell’agosto del 2011 è ritornata nella sua città natale con una mostra in sala Cordella dei suoi disegni fantasy e gotici, delle

ra i sogni della loro infanzia c’è stato anche quello di evadere, di esplorare la vastità di un mondo fantastico in cui potersi rifugiare, come tutti i bambini e le bambine.

Ma poi sono andate oltre e intorno ai vent’anni sono riuscite non solo a realizzare quel sogno, ma anche a renderne partecipi tutti quelli che hanno incontrato la loro arte.

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PAROLE

Lisa Maggiolo è la più giovane autrice nel ricco calendario de La fiera delle Parole 2010: la presentazione del suo romanzo fantasy "La sola Verità" (ed. A.Car.) si svolge nella speciale cornice dell’ex caffè Roverella a Rovigo, dove è nata nel 1991. Lisa racconta di come tre giovani si oppongono al regime che manda in guerra, da secoli, i Caldi contro i Freddi, portandoci attraverso due regni dove le insidie si nascondono dietro ogni angolo. C’è davvero un motivo valido per combattere? I Freddi sono davvero nemici giurati? Il romanzo è stato tra i finalisti del concorso di aNobii, organizzato a Brescia.

Greta Ghiselli, classe 1990 e residente ad Arquà Polesine, esordisce a ventun’anni con un’opera di fantascienza, "I Sognatori" (ed.

La Gru).

Greta ci catapulta nel futuristico Distretto, in un regime orwelliano dove ogni cosa, dall’azione al pensiero, è controllata e omologata; e solo pochi hanno il coraggio di alzare la testa e cercare di uscire dalla campana di vetro, di tornare a pensare, disposti a vivere da ricercati in quanto Sognatori pur di fuggire dal regime dei distrettiani. Il suo romanzo è stato presentato tra le mura del castello di Arquà.

C’è qualcosa di unico in Valentina, Lisa e Greta: fanno parte, probabilmente, dell’ultima generazione cresciuta senza videogiochi da 0 a 10 anni, vissute lontane dai grossi centri, a Ca’ Albrizzi, Frassinelle e Arquà; al contrario dei ragazzini di oggi, che hanno tutto - forse troppo - loro i giochi sapevano ancora inventarseli.

Con la fantasia, il legame profondo con un altro mondo, insolito e fantastico: quello che può vedere solo chi sa mettersi in gioco. é la chiave per esplorare un sogno, per uscire da una realtà che sta stretta, grazie anche ad un legame forte sviluppato con la natura, ciascuna a modo suo. Non è certo il Polesine un luogo di grandi foreste incantate, anzi; proprio perciò le tre piccole esploratrici del fantastico ricercano questa Wonderland - fatta di

sue giovani donne sullo sfondo di un mondo fantastico che ci chiama a visitare e amare. In fondo, se il disegno può limitare la rappresentazione a due sole dimensioni, perché non puntare tutto sugli occhi e l’espressione del viso?

Le mani e gli occhi, così difficili da realizzare, sono il biglietto da visita che porta ad un altro mondo, che si raggiunge lungo un’altra dimensione; una dimensione che oggi non percorriamo più così spesso, gli occhi sacrificati sull’altare della tecnologia.

Oggi, con un libro in cantiere e l’apertura del suo nuovo sito web, Valentina vuol far conoscere a tutto il mondo la sua arte.

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selvaggio, altro, incontaminato - altrove, oltre. Lisa lo scorge dall’antica tenuta in campagna dei nonni a Frassinelle, dall’aia rialzata da cui l’occhio spazia per chilometri, e vi entra da sopra i suoi alberi, giocando, con la complicità dell’amore per la Storia. Lo vede Greta, nelle pedalate in cui, con gli amichetti, fa parte di una squadra di nuovi supereroi; anzi, per lei tutto questo va anche difeso, e per questo fonda la Polizia Salva Natura, con tanto di militanti e corrispondenza.

Nei suoi sogni Valentina si allontana dalla sua terra perché non è qui che ci sono le foreste di cui si innamora nei festival celtici e nelle escursioni con gli scout; vuole stare vicina a quegli alberi che, in secoli di vita, ne hanno viste di cose, e quindi possono insegnarcene.

Nei mondi fantastici in cui esse viaggiano il rispetto per la natura c’è sempre: nessuna delle creature che Valentina disegna, nessun personaggio di Lisa e Greta, buono o cattivo, va contro ciò che lo circonda da entrambe le parti, ciò che è ambi-ente. Per questi e altri motivi il mondo che esplorano è lontano da qui anche nel tempo: per Valentina soprattutto il passato, per Greta è il futuro, oppure il passato remoto; per Lisa la Storia, il fascino della romanità, ma soprattutto i suoi amati Medioevo e Rinascimento.

A queste evasioni artistiche nello spazio e nel tempo fanno eco, però, le importanti evasioni fisiche da parte dei personaggi dei due romanzi: di quei Caldi e Freddi che vogliono uscire dal gioco di potere e fermare la guerra e il regime; di quegli 51

abitanti del Distretto che aspirano alla vita libera, oltre il confine, dei Sognatori.

Non solo, quindi, una fuga dalla realtà verso un mondo ancora inesplorato e non danneggiato, ma anche uscire dagli schemi dell’inquadramento cui si sentono soggette oggi, una ribellione dall’omologazione.

Proprio perché nei sogni della notte prima è al sicuro dai giudizi e dalle critiche, Valentina vi ripensa tutto il giorno; vuole tornare nel fruscio delle foglie dei vecchi e saggi alberi, passare per quelle cascate sulla roccia, visibili poi dalle finestre di carta che sa aprirci con un tocco di matita. E se Lisa scrive per allontanarsi da una realtà troppo normale e prevedibile, Greta lo fa anche per svegliare chi ha intorno, per non cadere nelle trappole dell’ingiustizia e non farsi trascinare in un copione che deve andare per forza bene a tutti; ieri come una bimba che si vestiva da Robin Hood a Carnevale - e non da principessa e oggi come scrittrice.

Tre donne che aprono a tutti noi una porta verso una dimensione oltre la realtà che conosciamo, tutte e tre su percorsi che non possono essere battuti senza l’immaginazione che troppo spesso viene persa crescendo; ma loro non hanno mai smesso di sognare.

valentinaworldart.weebly.com www.lisamaggiolo.com gretaghiselli.wordpress.com

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RASSEGNA

CINEMATOGRAFICA

2013/2014

RUGGITI DALLA LAGUNA

INAUGURAZIONE RASSEGNA LUNEDÌ 28 OTTOBRE LA GRANDE BELLEZZA DI P. SORRENTINO 04/11 11/11 18/11 25/11 02/12 09/12 16/12 07/01 13/01 20/01 27/01 03/02 10/02 17/02 24/02 03/03 10/03 17/03 24/03 31/03 07/04 14/04 22/04 28/04

IL GATTOPARDO di L. Visconti IL CINEMA RITROVATO GRAVITY di A. Cuarón LES ENFANTS DU PARADIS di M. Carné IL CINEMA RITROVATO TUTTI PAZZI PER ROSE di R. Roinsard NELLA CASA di F. Ozon RISATE DI GIOIA di M. Monicelli IL CINEMA RITROVATO ZORAN -Il mio nipote scemo di M. Oleotto NINOTCKHA di E. Lubitsch IL CINEMA RITROVATO ROYAL AFFAIRE di N. Arcel DIAL M FOR MURDER di A. Hitchcock IL CINEMA RITROVATO GLORIA di S. Lelio LA FEBBRE DELL’ORO di C. Chaplin IL CINEMA RITROVATO PRISONERS di D. Villeneuve LA VITA DI ADELE di A. Kechiche LA PRIMA NEVE di A. Segre LA GRANDE ILLUSIONE di J. Renoir IL CINEMA RITROVATO STILL LIFE - di U. Pasolini VENERE IN PELLICCIA di R. Polanski PHILOMENA di S. Frears ROMA CITTA’ APERTA di R. Rossellini IL CINEMA RITROVATO MISTER MORGAN di S. Nettelbeck FILM A SORPRESA IL PASSATO di A. Farhadi HIROSHIMA MON AMOUR di A. Resnais IL CINEMA RITROVATO

I PRONIZIO OREIEZIONI 21.15

25 FILM

PREVENDITA DA MERCOLEDÌ 23 OTTOBRE A LUNEDÌ 28 OTTOBRE:

MER - GIO - VEN: dalle 10.30 alle 12.30 – dalle 16.30 alle 18.30 / SAB: dalle 10.30 alle 12.30 - LUN: dalle 18.30 alle 21.00 ABBONAMENTO LARGE 25 INGRESSI: 75 EURO

POSSIBILITÀ DI RECUPERARE FINO A 5 FILM EXTRA RASSEGNA

ABBONAMENTO MEDIUM 10 INGRESSI: 40 EURO ABBONAMENTO MEDIUM STUDENTI 10 INGRESSI: 30 EURO POSSIBILITÀ DI RECUPERARE FINO A 2 FILM EXTRA RASSEGNA

ABBONAMENTO SMALL 5 INGRESSI: 25 EURO

TUTTI GLI ABBONAMENTI SONO RINNOVABILI AD ESAURIMENTO INGRESSI DURANTE LA STAGIONE MASSIMO DUE INGRESSI AL GIORNO - TESSERA ABBONAMENTO NON NOMINALE BIGLIETTO SINGOLO PER SPETTACOLO: 7 EURO INTERO - 5 EURO RIDOTTO (STUDENTI, OVER 60 E AMICI FB) SITO WEB: WWW.POLITEAMA-ADRIA.IT | FACEBOOK: POLITEAMA ADRIA EMAIL: POLITEAMA.ADRIA@GMAIL.COM | TELEFONO: 0426 22461

PALCOSCENICO

Luigi Marangoni Inseguire un sogno con disarmante semplicità

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Per me, infatti, come dice Valère Novarina, "essere attori non è amare l’apparire, è amare enormemente scomparire"

"Alone"

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Intervista di Francesco Campi

è

go, dove Massimo Munaro mi ha accolto per sperimentare col Teatro del Lemming, e da lì è poi arrivata la chiamata di Gabbris Ferrari, un uomo e regista di rara sensibilità che mi ha dato moltissimo ed al quale non mancherò mai di essere riconoscente. Grandi maestri, le prime partecipazioni in spettacoli importanti, viaggi e diarie pagate bene: sembrava davvero tutto in discesa. A poco a poco, però, le cose sono cambiate ed anch’io ho sentito l’esigenza di andare oltre la semplice recitazione e di proporre qualcosa di mio.

Anche in questo caso l'obiettivo è stato centrato e sei riuscito ad affermarti come autore e regista. Oltre a questo, hai fondato tre compagnie, produci video, tieni corsi di formazione, organizzi laboratori teatrali per detenuti e disabili, incidi audiolibri.

Un'invidiabile poliedricità: una scelta o capacità di adattamento ad un mondo in continuo mutamento?

Entrambe. In questi vent'anni di carriera ho visto cambiare molte cose. Prima era molto diffuso lo spettacolo come forma di comunicazione autoreferenziale che teneva quasi snobisticamente il pubblico in secondo piano: il messaggio contava molto più della sua comprensione. Oggi questa prospettiva si è ribaltata. Personalmente, ho sempre prestato attenzione a come viene recepito ciò che viene comunicato.

Per me, infatti, come dice Valère Novarina, "essere attori

partito da Rovigo esattamente 22 anni fa per inseguire un sogno ed oggi, a 41 anni, con una figlia di due ed una lunga lista di progetti alle spalle ed in cantiere, ha la consapevolezza di averlo vissuto e di continuare a viverlo, ma con disarmante semplicità, si limita a dire: “Sono stato fortunato”. La fortuna, si sa, aiuta gli audaci e di audacia Luigi Marangoni ce ne ha messa un bel po’ quando, nel ’93 ha deciso che il suo futuro sarebbe stato quello di attore ed ha lasciato Rovigo. Più che di fortuna, però, è bene parlare di talento e di lavoro, perché in un mondo che non fa sconti a nessuno come quello del teatro, Luigi è riuscito ad affermarsi, studiando, sudando e sperimentando. Non è un caso, dunque, che da marzo a giugno la Rai abbia trasmesso il docufilm in dieci puntate da lui scritto ed interpretato, "Idro il viaggiatore".

C'era una volta: come inizia la storia di Luigi attore?

Avevo appena finito il liceo classico e, da grande appassionato di teatro, ero affascinato dall’idea romantica di questo mestiere e di una vita slegata dagli schemi ordinari. Non ero mai salito su un palco, ma ho comunque deciso di provare ad entrare alla Bottega Teatrale di Firenze di Vittorio Gassman. Superato il provino, mi si sono aperte le porte di un mondo in cui tutto mi appariva facile e bello. Anche a Rovi53

PALCOSCENICO

bris Ferrari, Pilato con Mario Bagnara, Groucho Marx con Marco Tutino e Dracula con Lorenza Costa, solo per citare alcuni dei tanti ruoli che hai interpretato. Fra tutti i personaggi ai quali hai prestato anima e corpo, ce n'è uno che senti più “tuo”, al quale sei più legato?

Sì, ma più che il personaggio in sé è stato lo spirito catartico dello spettacolo il monologo "The other side – Rimbaud & Jim Morrison", ispirato all'opera del poeta maledetto ed alle canzoni dei Doors: questo lavoro ha testimoniato una svolta nella mia vita personale e nel mio modo di fare teatro.

Cosa bolle in pentola?

A proposito di 'differenziazione' del lavoro, sto realizzando un percorso multimediale per smartphone, una coproduzione Italia-Francia per un museo diffuso transfrontaliero sul Monviso, sulle vie dei contrabbandieri, un progetto per il Cedi per delle visite interattive e drammatizzate nella CasaMuseo Giacomo Matteotti di Fratta Polesine, un film-live sul lago di Como "Il tempo in volo". In più, porterò in tournée "Odissea con dj", e il nuovo spettacolo "alone", in coproduzione tra dinamiciteatri e RP Liguria, volto a sensibilizzare il pubblico sui temi riguardanti l’ipovisione e in generale la reazione alla notizia di una malattia degenerativa. E poi continuerò a lavorare allo spettacolo per spettatore parlante "Elogio della Follia 2012|2015". Ci sono anche altri progetti, ma per ora mi fermo qui. www.luigimarangoni.com

non è amare l’apparire, è amare enormemente scomparire". E questo scomparire si produce ogni volta che accendi qualcosa in qualcuno. Essere attore, autore e regista per me non significa esibire ma comunicare. Proprio in questo bisogno di stimolare e creare un dialogo trovano radice anche le diverse forme in cui si articola il mio lavoro. Sinceramente oggi gli attori sono come animali feriti ed ho colleghi anche molto talentuosi che per arrotondare fanno i camerieri. Io ho avuto la fortuna e la tensione continua di percorrere strade che mi hanno fatto andare avanti e con soddisfazione posso dire di essere in grado di vivere facendo quello che più mi piace.

Dopo essere salpato da Rovigo ed aver solcato la Toscana hai fatto rotta verso Venezia ed, infine, dopo aver toccato anche tante città europee, sei approdato a Genova, dove ti sei stabilito. Come cantava Paolo Conte, “Genova, dicevo, è un'idea come un'altra”? é stata una scelta ragionata: nel 2002 dovevo ripartire e, guardandomi intorno, mi è sembrato che Genova fosse, fra le grandi città, quella più fertile per i progetti che avevo in mente. Due anni dopo sarebbe stata Capitale europea della cultura ed era in fermento. Anche in questo caso sono stato fortunato, perché anni dopo, in un momento di disorientamento, Genova mi ha riaccolto e risollevato: i semi che avevo piantato tempo prima erano germogliati ed hanno portato i loro frutti.

Sei stato Faust con Massimo Munaro, Siddharta con Gab-

Foto di Giulio Cesare Grandi

"Elogio della follia", foto di Giulia Parodi

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"Odissea con Deejay", foto di Fernanda Bareggi

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Luigi Marangoni è nato a Rovigo nel 1972. Ha studiato alla Bottega Teatrale di Vittorio Gassman di Firenze, dove si è diplomato nel 1993. In Italia è stato attore protagonista in spettacoli prodotti e ospitati da Teatri Stabili e Compagnie di Ricerca come Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Genova, Teatro del Lemming, La Contrada di Trieste, Estate Fiesolana di Firenze, Volterra Teatro, Festival Internazionale di Commedia dell’Arte di Padova. All’estero, ha lavorato col Teatro Popolare Nazionale Ivan Zajc - Dramma Italiano di Fiume in Croazia (Nino Mangano), con il Festival Internazionale di Musica e Teatro Medievale di Helche in Spagna e con la compagnia Flux Laboratory di Ginevra.

Ha affrontato autori classici e contemporanei, in ruoli comici e tragici.

Tra i suoi più recenti lavori la partecipazione alla Biennale Teatro 2011 di Venezia, con la performance ‘Video Walking Venice’, che ha riunito 14 artisti di tutto il mondo, diretti da Stefan Kaegi (Leone d’argento), del gruppo Rimini Protokol di Berlino, la nascita di dinamiciteatri, con cui ha prodotto Odissea con dj... a video room, di cui è autore e interprete insieme a Alberto 'Bobby Soul' De Benedetti. Nel 2012 ha preso parte come co-autore e attore protagonista alla produzione (Filmakingfarm) del Docu-film di 10 puntate di 30 minuti, “Idro, il viag-

"Elogio della follia", foto di Cristiana Chiarugi

giatore” per la regia di Mattia Costa in onda su RAI 5 da marzo 2013.

Foto di Giulia Parodi

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"Idro, il viaggiatore"

Foto di Giulio Cesare Grandi 55

PALCOSCENICO

è bisogno di teatro Intervista a marCo SGarbi Direttore Artistico della Stagione di prosa del Teatro Comunale di Occhiobello di Camilla Ferrari 56

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na sfida ai limiti dell’impossibile: persone, idee, teatro e un territorio fertile costituiscono il mix esplosivo che da ormai undici anni ha fatto del Teatro Comunale di Occhiobello e della sua stagione teatrale un caso d’indagine interessante.

Prova concreta che la direzione artistica di un teatro, che pone lo sguardo sulle realtà di produzione teatrale più innovative a livello nazionale, può funzionare, senza paure e sfidando prima di tutto l’insidia di un’idea fallace secondo cui portare la televisione e i grandi nomi in teatro sembra costituire l’unico sistema per portarci anche il pubblico. Resta da indagare il come ciò sia stato possibile e chi, quali anime siano riuscite in questa eccezionale impresa che, in uno spazio di 280 posti a sedere, realizzano nell’arco dell’intera stagione una media di 200 spettatori a serata. Arkadis è la risposta, l’associazione culturale costituita all’incirca da 10 artisti, capitanata dal suo giovane presidente l’attore Marco Sgarbi, direttore artistico dal 2002 del Teatro Comunale di Occhiobello. Una associazione che si pone come obiettivo primario la diffusione della cultura e produzione teatrale, a testimoniare una volta di più che una produzione locale c’è e funziona. Una produzione peraltro pluripremiata a partire dallo spettacolo "Immobili" che ha ottenuto la Menzione di merito al Premio Cervi nel 2011, il lavoro "Senza titolo" premiato al Festival Troia Teatro 2011, Premio del Pubblico Finestre di Teatro Urbano 2011, fino al più recente lavoro "Giro solo esterni con aneddoti" Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti" 2011, fino ad arrivare a "Manufatti Artigiani" Premio

Marco Sgarbi

Linutile del Teatro 2012. "Manufatti artigiani – ci racconta Marco Sgarbi – è uno studio sul lavoro quotidiano, qualsiasi lavoro artigianale, così simile a quello dell’attore. In scena si mettono a confronto due concetti interessanti entrambi assai connaturati nella sfera del lavoro, la sacralità e il sacrificio, un gioco di parole che con la presentazione di dodici manufatti artigiani, dei quali solo tre parlati, risolve nel tentativo artistico di portare la spettatore a porsi la domanda del perché egli si trovi in quel momento a teatro”. Un frammento di 20 minuti di manufatti artigiani è stato preludio alla presentazione dell’intera stagione teatrale di quest’anno 2013/2014 al Teatro Comunale di Occhiobello lo scorso 17 ottobre..

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Da dove sei partito, quale urgenza ti ha spinto a pensare che fosse possibile provare a portare un teatro di idea e di concetto in questo territorio, è una bella sfida?

La consapevolezza di essere il direttore artistico – risponde Marco Sgarbi - ha sinceramente preso forma lentamente e quando ho cominciato nel 2002, ho proceduto per tentativi, cercando di farmi meno problemi possibile. Ho dato il via al primo cartellone con una rassegna dedicata prevalentemente al teatro comico, ma i contorni della stagione e della sua forma si sono delineati con il tempo.

Sta di fatto che il pubblico ha cominciato a fidelizzarsi e poco per volta ad affezionarsi all’evento oltre che a fidarsi delle nostre scelte, anche se, in verità, come andrà la stagione, è sempre un’incognita.

PALCOSCENICO LUOGHI

Perché la maggior parte degli spettacoli che scegli esulano dalle circuitazioni teatrali più convenzionali?

Ho sentito ad un certo punto l’esigenza di organizzare un cartellone più mio, che rispondesse in qualche modo alla necessità personale di iniziare un percorso rivolto alle molteplici realtà territoriali e nazionali, magari meno conosciute ma artisticamente molto interessanti. Non c’è un tema o un filo conduttore prescelto a inquadrare l’intera rassegna, ma essa prende forma, una via, mano a mano che vengono individuati i lavori teatrali da inserire. é chiaro che queste scelte, basate sulla qualità e meno sull’effetto del nome, sono generalmente seguite da un certo timore, dalla paura che l’idea non raccolga il favore del pubblico.

Ma la volontà di creare una programmazione di questo genere vuole essere ed è, dal mio punto di vista, un segnale di rispetto verso le persone che arrivano in teatro, che ogni anno siedono in platea, e ricambiano il nostro impegno con la continuità e l’affetto.

Paolo Rossi e I Virtuosi del Carso nello spettacolo "L’amore è un cane blu", foto di Gioia Casale

Negli anni, le stagioni teatrali, il teatro, hanno influito nell’anima di un territorio? Come e quali sono i segnali?

La molteplicità della proposta e la qualità hanno permesso negli anni di porre basi sufficientemente solide e utili allo sviluppo nel pubblico di un sano spirito critico; la capacità, in teatro, di distinguere cioè, quel che piace da ciò che non piace. Un poco alla volta il pubblico ha cominciato a notare per esempio che spesso la qualità di spettacoli portati in scena da sconosciuti era superiore a spettacoli con un cast di nomi noti al grande pubblico.

Questo è un ottimo segnale, a prescindere da tutto, e lo è ancora di più se si pensa che Occhiobello era orfano di teatro da vent’anni.

Giuliana Musso nello spettacolo "La fabbrica dei preti", foto di Luciano Paselli

E l’amministrazione comunale come si è posta e come si pone nei vostri confronti?

L’amministrazione si è fidata di noi e finanzia per il 45% le nostre attività, il resto dei finanziamenti sono di privati, e continuano tutti fortunatamente a credere in noi.

Undici anni fa quando hai incontrato lo spazio teatrale qual’era la situazione?

Qual’era e qual è sarebbe meglio dire. Io chiamo il Teatro Comunale, “lo spazio”, perché non si può esattamente considerare un teatro a tutti gli effetti. In breve questa è la storia: il teatro di Occhiobello è stato un teatro cinema

Andrea Trapani e Aida Talliente nello spettacolo Porco mondo, foto di Marco Davolio

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anni cinquanta con palco, platea e gradinata, poi negli anni ottanta il palcoscenico è stato murato. Sì, sì, murato.

In seguito il teatro, di proprietà privata, è passato al Comune che lo ha affidato ad un gruppo di anziani, i quali ne hanno fatto una sala da ballo con tanto di bancone bar in proscenio e camerini ad uso dispensa, mentre alla platea è stata destinato l’uso di sala ballo. E la situazione è rimasta invariata. Nel senso che durante la stagione noi dobbiamo montare e smontare il palcoscenico oltre a mettere e spostare le sedie della platea ogni qual volta ci sia spettacolo, dato che ogni fine settimana “lo spazio” funge appunto da sala ballo. Un lavoro abbastanza impegnativo, insomma una convivenza faticosa.

C A L E N D A R I O della stagione di prosa 2013/2014

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GIOVEDì 17 OTTOBRE 2013 Costa/Arkadis Finto contatto GIOVEDì 14 NOVEMBRE 2013 Paolo Rossi L'amore è un cane blu

Come mai non si riesce in altri Comuni ad avviare un processo come quello di Arkadis e dell’Amministrazione di Occhiobello?

Perché gli amministratori non rischiano, non conoscono il processo di creazione che forma un lavoro teatrale e la sua identità, la sua qualità; dopotutto anch’esso è un manufatto artigiano. Questa mancanza di conoscenza impedisce di investire nel modo più equilibrato e focalizzare, di conseguenza, quale sia la scelta migliore da compiere sia da un punto di vista qualitativo che economico.

VENERDì 29 NOVEMBRE 2013 Maura Pettorrusso Nostra Italia del Miracolo VENERDì 6 DICEMBRE 2013 Eugenio Allegri Berlinguer. I pensieri lunghi VENERDì 20 DICEMBRE 2013 Biancofango Porco mondo

Qual è oggi l’urgenza teatrale?

Credo che oggi il Teatro debba esprimere una propria verità, che si allontani il più possibile dalla finzione. Gli spettacoli di giro, della circuitazione nazionale, rispondono, credo, ad esigenze ormai sorpassate, ma continuano però a portare lo spettatore, a trascinarlo meglio dire, nella loro finzione. Mettere in scena al contrario la propria verità, permette che ogni sera tutto sia diverso dal giorno precedente. La nostra – conclude Marco Sgarbi - è una realtà che sento spingere, una realtà che porterà inevitabilmente a delle scelte di trasformazione. Avere però l’opportunità di provare, sperimentare, è un ottimo punto di partenza per far crescere un territorio e per far sì che la gente partecipi alla creazione di una realtà e abbia l’opportunità di conoscere il Teatro, per riprendere un dialogo culturale di cui tutti noi siamo affamati.

VENERDì 31 GENNAIO 2014 Giulia Lazzarini Muri - prima e dopo Basaglia VENERDì 14 FEBBRAIO 2014 Bebo Storti Mai morti VENERDì 28 FEBBRAIO 2014 Giuliana Musso La fabbrica dei preti

" Sponsor:

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Musica e parole sincere come il pane Intervista di Riccardo Bego

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na prolifica produzione artistica, anni di concerti passati insieme, un pubblico fedele che li segue nei loro concerti. Verrebbe da dire che i Marmaja sono entrati a pieno diritto nella storia contemporanea della musica popolare polesana. Affermazione giustificata dai riferimenti popolari delle loro composizioni e dai testi che raggiungono, in alcune ballate, la poesia. Approfittando dell’amicizia che mi lega a Maurizio, la voce del gruppo, li ho incontrati e da una amichevole chiacchierata ne è uscita una breve intervista.

Perché Marmaja?

Ci si trovò una sera con un po’ di amici in un'osteria, trattoria tipica ad Aserile, per trovare un nome e ne uscirono diversi. Uno fu scelto e ci lasciammo così, convinti che quello sarebbe stato. Doveva essere musicale, avere con sé il dialetto, ma esser

riconoscibile... e così andammo a dormire. Il mattino mi alzai e non ero convinto, pensai che scartare di lato fosse la cosa giusta e trovai in un dizionario del dialetto veneto/italiano il termine marmaja. Fu amore a prima vista, poi lessi la definizione italiana che diceva: insieme di persone spregevoli e rumorose. Chiamai gli altri e diventò il nostro nome, conteneva tutto ciò che volevamo.

Nella vostra musica si alternano ballate malinconiche con brani decisamente allegri in una sorta di alternanza umorale. C'è forse un collegamento con le tradizioni culturali polesane?

La vita è alternanza umorale. La nostre tradizioni culturali sono uno degli specchi con cui l'affrontiamo. A volte il riflesso è più marcato, con musiche che ricalcano quelle della nostra tradizione, a volte solo nei testi che raccontano storie della nostra terra. Pure 62

un album ha omaggiato il nostro delta con il titolo ed il brano omonimo “Puntamaistra”. é il nostro dna, abbiamo assorbito ciò che questa nostra terra ci offre, senza fare calcoli o essere imprigionati in generi; ci viene naturale e quando scriviamo compaiono paesi, piazze, locali, personaggi, storie o aneddoti del nostro vissuto, della nostra cultura. É innegabile che alcuni testi dei vostri brani abbiano un profondo riferimento alle tematiche sociali: vi ritenete un gruppo impegnato?

Non siamo noi a dare definizioni, è ciò che traspare e questo ci viene riconosciuto. L’impegno nei testi e nella vita di ogni giorno è innegabile, ma non perchè ricorriamo allo slogan d'effetto, o perchè adottati da movimenti, situazioni o altro. Abbiamo spesso detto la nostra in più momenti, manifestazioni, festival o dove

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c’era bisogno e ci hanno coinvolto, ma non ci riteniamo per questo più o meno impegnati. Cerchiamo solo di raccontare storie a chi ci ascolta e la narrazione tiene vivi i personaggi, i passaggi del tempo e del nostro vivere. Il ricordo incontra il futuro quando viene raccontato e questo è il nostro impegno.

In tutti questi anni avete sempre saputo mantenere un rapporto molto stretto con il pubblico senza mai momenti di cedimento, anzi sembra che agli aficionados con il tempo si siano somma-

ti altri estimatori della vostra musica.

Come spiegate questa trasversalità generazionale tra chi vi segue?

Crediamo nella sincerità, come “la sincerità del pane” e questo chi ti ascolta lo vede. Vede che ciò che fai è con il cuore, vede che gli strappi un sorriso o uno stop per pensare, che sai innescare la macchina del ricordo.

Vede che finito il lavoro, come si usava nelle aie col filò, una volta porti il ballo, una volta l'incanto, porti la vite e i suoi frutti. Crediamo sia questo che ci rende trasversali: siamo i “veterani 63

degli emergenti”, una contraddizione che genera forse una sorta di entusiasmo contagioso e transgenerazionale. O forse semplicemente il fatto che il sorriso disordina e non ha età.

Un'altra cosa che colpisce è la vostra capacità di riuscire ad adattarvi ad ogni contesto. Personalmente vi ho visto su palchi con luci ed impianti di tutto rispetto e magari alcuni giorni dopo suonare in piccoli locali, magari all'aperto in mezzo al pubblico, quasi questo fosse una sorta di ulteriore componente del gruppo: come

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spiegate questa vostra capacità di adattamento?

Ad un certo punto della nostra storia musicale, calcati i palchi belli, abbiamo deciso di metterci in gioco provando l’esperienza della musica per strada, dei buskers, e vi confessiamo che non fu così semplice. Dovemmo imparare a stare a tu per tu con il pubblico, ma fu una palestra unica, che ha lasciato un segno indelebile. é più difficile che stare sul palco, non puoi fingere. C'è un contatto, visivo, di pelle quasi, ove la sincerità è d'obbligo, tanto che alla fine ci sembra quasi di esser noi spettatori ed il pubblico protagonista nel canto, nel ballo e nei colori della più calorosa partecipazione. Suoniamo sempre volentieri per strada, è una grande scuola che ci ha insegnato a vivere meglio il palco o qualsiasi altra situazione.

Una discografia ricca, un numero impressionante di concerti, un pubblico affezionato e tanti anni insieme, bella ed intensa anche la vostra partecipazione alla selezione del brano di

accompagnamento per l'edizione di “M'illumino di meno” che vi è sfuggita per una manciata di preferenze. Esiste una formula nascosta per spiegare tutto ciò?

Non sappiamo quale alchimia tenga assieme una band per tutti questi anni. Nel mezzo di questo cammino abbiamo avuto una grave perdita, di quelle che fanno male. Abbiamo dovuto fermarci e ripartire, non senza litigate, separazioni e ritorni. Ma siamo un piccolo collettivo e quel che ci lega è la passione per quel facciamo, da condividere in ogni disco con gli amici poeti e musicisti incontrati per strada, o nelle varie ospitate dal vivo. Non troviamo altra definizione, se non questa, per definire una formula. La passione è la formula esatta per le cose della vita, immaginiamoci per questa nostra.

Ed ora la domanda di rito: progetti per il futuro? È uscito da poco il nostro nuovo disco con Latlantide per etichetta. Ci abbiamo lavorato quasi per due anni e fa 64

parte di una saga intitolata “al cuore marmaja, al cuore”; il sottotitolo di questo primo capitolo è “come le pagine dei libri letti”. Tra i vari ospiti che ci hanno onorato del loro contributo, il cantautore Luigi ”Grechi” De Gregori e l'attore Natalino Balasso. Abbiamo voluto omaggiare, nelle canzoni e negli intenti, il poeta Gilberto Centi e Pierre Perret. Ci sono storie narrate come La ballata del Cerutti o Altri libertini di Tondelli, ballate quattro accordi, visi, ricordi, insomma un disco che ci auguriamo scoprirete presto mentre noi già lavoriamo al seguito di questa saga su cui manteniamo il massimo riserbo. Dovremmo poi pensare a come festeggiare i vent’anni della nostra storia - si accettano suggerimenti - e scrivere il libro dei testi come fosse un romanzo, e poi e poi e poi...

www.marmaja.net

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Marmaja Vent'anni di storia alle spalle e cinque dischi all'attivo, i Marmaja propongono un brioso folk rock innamorato dalla canzone d'autore.

Esordiscono sul nascere ad Arezzo Wave, nel 1994, affermandosi tra le nuove proposte nel panorama indipendente italiano. É il primo dei tanti riconoscimenti che il gruppo riceverà negli anni in vari contesti musicali (Festival Ande, cante e bali, Musica nelle Aie, Buskers di Ferrara, Follia Rotolante – Rai Due, Premio Ciampi, Caterpillar), pur rimanendo slegati da ogni logica discografica. Numerose anche le abbinate che il gruppo riesce negli anni a concertare nel loro festante concerto o nei dischi (The Gang, Cristiano De Andrè, Gualtiero Bertelli, Claudio Lolli, Luigi Grechi, Natalino Balasso...) senza mai perdere di vista la propria identità. Partecipano con i loro brani a numerose compilation di respiro nazionale (Combat, Mille Papaveri Rossi, Not in my name, Note d'autore, Dal Profondo...), ma solo dopo vent'anni firmano il loro primo contratto discografico con Latlantide, sventolando ironicamente la palma a loro cara di “veterani degli emergenti”.

" (…) É grazie a compagni come questi che la musica migliore, quella che viene in viaggio dal cuore passando prima per la testa e si nutre della nostra incazzatura e del nostro piangere, ha saputo rimanere estranea ai meccanismi del mercato, è riuscita a sopravvivere, ad andare avanti e a costruirsi una strada. Strada in salita, sempre. Marco Pandin (A - Rivista anarchica). “Come le pagine dei libri letti” è l'album con cui i Marmaja festeggiano il loro ventennale. É il loro quinto disco ufficiale ed è anche il primo capitolo di un progetto intitolato “Al cuore Marmaja, al cuore...”. Dodici canzoni come pallottole che puntano al cuore, con uno stile ormai collaudato al crocevia tra folk rock e canzone d'autore, ma cariche di un'energia contagiosa, quasi inedita per il gruppo. Canzoni che interrogano il cielo, suggestionate dai versi del poeta bolognese Gilberto Centi o da “Altri Libertini” di Tondelli. Tra le tracce anche “Se stasera ti va”, brano secondo classificato nel contest di Caterpillar – Radio 2 “M'illumino di meno”. Come da tradizione, anche questa nuova produzione si avvale del contributo di ospiti eccellenti: all'album partecipano Luigi “Grechi” De Gregori – che duetta in un riarrangiamento della sua “Pastore di Nuvole” - e l'attore Natalino Balasso che chiude le tracce spiegando, a modo suo, di cosa parla il disco e chi sono i Marmaja...

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Respighi - Violin Sonatas

Un nuovo disco per Fabio Paggioro e Massimiliano Ferrati

intervista di Monica Scarpari foto di Maurizio Rellini 66

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tro sodalizio musicale? no Ferrati: come nasce il vos studi in Conservatorio, ab Fabio Paggioro e Massimilia prima di intraprendere gli no ilia di ssim so cor Ma per iuto ile osc sim con un Fabio Paggioro: Ho e affrontato parallelamente le stesse scuole ad Adria i viaggi fatti insieme tato vol uen ere freq um inn uito gli seg ia in gio biamo nale. Ricordo con zio rna inte a pre da una fam di ri est me ionamento. Ali ntati sem specializzazione con ma ro sede dei corsi di perfez rua tog esperienze o Por re res ap nge intr giu mo rag nche quando abbia da neopatentati per nea a vist di si per i ma ci siamo i ed in contemporaEisler” per specializzarm grande reciproca stima, non s ann “H ule sch och l'H lino presso artistiche diverse, io a Ber da Mario estra d'archi Italiana diretta rch l'O del lino nea primo vio si cor pianistici impegnato nei grandi con Brunello, e Massimiliano numerosi ad una carriera solistica con internazionali e già avviato in mente ne vie ortanti del mondo. Mi concerti nelle sale più imp rto di opo aer all' ro imo e casuale incont riesi in quel periodo un belliss ad due ... tico tas edibile quanto fan rev imp to tan fu te: for nco Fra a! Abbiamo amente in una sala d'attes che si incrociano inaspettat di intraprendeta anche della possibilità parlato a lungo quella vol a presentare in duo ed ora eccoci qua re un’attività concertistica ro artistico era cografica! Il nostro incont la nostra prima uscita dis ersamente. izio e non poteva essere div dunque già scritto fin dall'in alizio nel sod un intesa per suggellare é bastato uno sguardo di pagna, e om acc ci sica che da sempre segno dell'amore per la mu al fine nte me ana tidi ci spendiamo quo ana per la quale reciprocamente um ed ca isti art za e tutta l’esperien di esprimere e comunicar maturata negli anni. usiasmato nella reae diffondere. Cosa vi ha ent ire opr risc da o ian ital e positor Respighi: un importante com discografico? to get per violino e pianoforte. pro sto que di lizzazione iscussa di questo repertorio ind lità qua la to itut anz ti: Inn le del compositore. Il disco massimiliano Ferra vo nella produzione musica luti evo oso cor per un are cci ata in re minore, poco con Poi l'occasione di poter tra e una prima giovanile Son tien con ma e o co fett rafi per nog sul mo nte to mo studiata direttame bia nasce infatti come proget l’ab ta: edi non ora grande ta e tra l’altro anc bellezza e al tempo stesso sciuta e raramente esegui di Bologna. La meravigliosa iano sica ital o Mu tutt la del del to seo gus Mu un al ha accompagnati in noscritto in possesso ci e ort nof pia e lino da vio Sei pezzi per ione in Leggen , la capacità comunicativa nei ta, il piacere della narraz ena Ser o ia lod Me di cantabilità i suoi timori e speranze con la solare e spontanea tenerezza di Berceuse con la a, Ari in te sen pre sità a religio re infine ad un lavoro di composta ma anche festos Valse Caressante. Giunge di era otti sal e ta era nsi e spe e stimolante. Questo grande e la frivola rappresentazion ta un'esperienza fortement sta è ne, ore min si in ata Son momenti di grande passio grande maturità come la nella quale si alternano , ria e ina lim ord sub stra di a nti ttur me hite mo ma anche capolavoro possiede un'arc rto con incredibile energia, offe o ed fatt Il . ato sm tica pla mis le si sica qua e in una dimension , ere grazie ad un materiale mu ess suo del ità ver sla nt Cla ritrova la pace e ante etichetta come la Brillia dolcezza, dove lo spirito discografico per un’import to poter dot di pro e rar sto spe que e ben tar fa ple ci internazionale, one di essere riusciti a com uzi trib dis la da uar e rig per quanto così geniale così ravigliosa arte di Respighi, sics, che offre una garanzia me la del ero est all' che ia sia in Ital portare viva testimonianza uaggio comunicativo. ling suo nel www.fabiopaggioro.com le ura diretta e nat rati.com www.massimilianofer 67

COLORE

“Milky Way”, 20,5x12,5 cm, carboncino e grafite su carta, 2012

Elisa Bertaglia, la materia dei sogni di Tobia Donà

Una foto durante la realizzazione di “Spot #1”, wall drawing a Villa Angeli di Adria durante la mostra “Sedimentazioni”, dal 28 settembre al 20 ottobre 2013.

(Spot #1”, Wall drawing, dimensioni variabili, carboncino e grafite su muro, 2013) 68

REM

"Il fiume è quello della vita, ma è anche il grave, il maestoso, il bellissimo Po, che, libera forza di natura, da una parte trascorre indifferente e indomabile fra tanta umanità che urge alle rive, dall’altra alimenta, protegge, caratterizza, divide e unisce, esalta o deprime terre e genti contigue al suo gran corso.

Esso distribuisce il bene e il male, le disgrazie o la fortuna. Ora specchiante di sole, ora candido di luna, ora idillico e sereno, ora impetuoso e collerico; gonfio d’acque musicanti oppure increspato dal vento in mulinelli e voragini…"

Nello Quilici, in Corriere Padano, 1938

L

a memoria, la lontananza sempre maggiore che ci separa dal passato. La certezza dell’irreversibilità del tempo, l’ansia di trattenere ciò che appartenne alle nostre esperienze, il desiderio di assaporare qualcosa che non è più. “Sono nata a Crespino, vivevo in una casetta sull’argine del Po…” così Elisa rispose alla mail che le inviai per complimentarmi del suo lavoro. Le sue opere sono le delicate filigrane dei sogni, pagine non scritte a sondare i dimenticati e misteriosi moti dell’inconscio.

Il suo è un fiume appassionato dove le fronde dei pioppi, che si specchiano nell’acqua, proiettano bagliori, un’immagine capovolta nel flusso incessante del tempo. Elisa estrae figure e situazioni e riesce a trasferirle di colpo nel silenzioso fiume della vita. Una topografia onirica con la quale descrive il mondo e suoi accadimenti. Personaggi del mito, del passato e del presente, figure reali o inventate o trasformate o colte nell’atto di trasformarsi, che lei fa rivivere e agire in un paesaggio evocativo ricostruito attraverso un’esperienza vissuta poe-

Alma Venus et venatrix Diana #2”, 29,5x20,5 cm, olio, carboncino e grafite su carta, 2013 69

COLORE

Alma Venus et Venatrix Diana, 100x150 cm, olio, carboncino e grafite su carta, 2013.

Primo premio al concorso MantegnaCercasi, Mantova, Galleria Mossini 70

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ticamente e poeticamente reinventata.

Ciò che più colpisce è un senso d’inquietudine, talvolta di apprensione, ma basta prendere respiro, per sentire che in ognuno di noi c’è qualcosa di straordinario, di ambiguo, di angoscioso, di onirico dominato tuttavia da una forza che ci impedisce di naufragare nel terrore. Immagini delicate ma enigmatiche, potenti. Un’autobiografia segreta, come un sogno registrato graficamente in un tracciato. Una confessione mormorata, affidata a simboli da decifrare. Ella, dipinge quello che ha visto e amato, immergendo il ricordo in uno stato d’animo di favole e leggende ascoltate che riemergono quando interviene la nostalgia per quel mondo così straordinario.

Una forza che è fede nell’uomo, nella natura, capacità di intuire quello che avviene o avverrà, nella “regione sconosciuta”. We are such stuff, as dreams are made on.

A sinistra: Leaves of grass, 24,5x18,5 cm, olio, carboncino e grafite su carta, 2013.

Disegno del progetto di Elisa Bertaglia, a cura di Gianluca D’Incà Levis, realizzato per Dolomiti Contemporanee 2013, Nuovo Spazio di Casso A destra:

elisabertaglia.com

Allestimento di “Alma Venus et Venatrix Diana” nella mostra “e l’uomo non è una felce”, a cura di Gianluca D’Incà Levis, Dolomiti Contemporanee 2012, Taibon Agordino

Disegno della serie Profunde #3 esposta a "Oceans: under the skin of the sea”, HB55, Berlino, 14-22 settembre 2013

Populus III, installazione di 28 disegni, dimensioni variabili, olio, carboncino e pastelli su carta, 2011. Veduta d’insieme 71

COLORE

Milky Way, 29,5x20,5 cm, olio, carboncino e grafite su carta, 2013 72

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B I O G R A F I A

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Elisa Bertaglia

Leaves of grass, 24,5x18,5 cm, olio, carboncino e grafite su carta, 2013.

Progetto di Elisa Bertaglia, a cura di Gianluca D’Incà Levis, realizzato per Dolomiti Contemporanee 2013, Nuovo Spazio di Casso

Nasce a Rovigo nel 1983. Nel 2009 consegue la Laurea di II Livello in pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia e vince una Borsa di collaborazione didattica presso l'Atelier del Prof. Di Raco. Nel 2011 viene selezionata per esporre nel Padiglione Accademie alla 54° Biennale di Venezia. Dal 2009 collabora a diversi progetti ed espone sia in Italia che all'estero. Tra le mostre principali: "Alma Venus et Venatrix Diana", "Art Stays", "Dc Pulse/Two", "Vertigo" (2011), "Dolomiti Contemporanee" (2012), "Con la bestia nel cuore", "Eclettica" (2013). è stata inoltre selezionata in vari premi, tra cui, "93° Collettiva Bevilacqua La Masa" (2009), "Premio Combat", "Premio Celeste", "Premio Ora" (2012), "MantegnaCercasi" e "Premio Combat" (2013).

Come scrive Chiara Serri, "L'immaginario di Elisa Bertaglia [...] è popolato da animali e bambini, radici sospese e lacerti di paesaggio, tutti sottoposti ad una progressiva semplificazione, che si esplica nella scelta cromatica essenziale e nel segno tenace, capace di ampie volute e grande incisività.

Un vocabolario personale che l'artista ha elaborato negli ultimi anni, a partire da alcuni riferimenti autobiografici, ma anche dal sogno, dalla letteratura e dal mito [...]".

Alma Venus et Venatrix Diana, 100x150 cm, olio, carboncino e grafite su carta, 2013.

Primo premio al concorso MantegnaCercasi, Mantova, Galleria Mossini 73

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COLORE

L’Ossessione nordica Böcklin, Klimt, Munch e la pittura italiana Rovigo, Palazzo Roverella, 22 febbraio – 21 giugno 2014 intervista di Sandro Marchioro ad Alessia Vedova, direttrice della Mostra

De Chirico, Salita al convento 74

L’Ossessione Nordica nella pittura italiana

I

l prossimo appuntamento con l’arte proposto da Palazzo Roverella aprirà il 22 febbraio ed ha un titolo già di per sé intrigante e suggestivo: “L’Ossessione nordica. Böcklin, Klimt, Munch e la pittura italiana”. Come per le passate edizioni, anche in questo caso il motore dell’iniziativa è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che ha affidato questa volta la cura della mostra ad uno studioso di grande spessore e di fama internazionale, Giandomenico Romanelli; mentre la direzione, come per le precedenti mostre, è affidata ad Alessia Vedova. Ed è proprio quest’ultima a raccontarci cosa sia “L’ossessione nordica” ed a svelarci (in parte) cosa troveremo negli spazi espositivi del Roverella da febbraio fino al 22 giugno 2014, data prevista per la chiusura.

“Quello che stiamo portando alla realizzazione e che abbiamo chiamato Ossessione nordica è un progetto molto ambizioso - dice Alessia Vedova - che parte da un’analisi della storia dell’arte italiana tra fine ottocento e primi novecento per capire quale impatto abbiano avuto sulle arti figurative italiane le opere degli artisti cosiddetti nordici, che arrivano per la prima volta in Italia attraverso i padiglioni delle Biennali a loro dedicati fin dal 1895, data della prima Esposizione Biennale d’Arte di Venezia. L’obiettivo scientifico della ricerca che ha prodotto la mostra è quello quindi di capire come vengono colte (e poi espresse) queste influenze, queste inquietudini dei grandi artisti nordici nei più importanti pittori italiani dell’epoca (Tito, Sartorio, Laurenti, De Carolis e molti altri che saranno presenti in mostra). Il titolo della mostra è una citazione che abbiamo tratto dalle recensioni

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di Vittorio Pica, un importante critico dell’epoca, che aveva appunto parlato di ossessione nordica per indicare l’attenzione che molti artisti italiani dell’epoca dedicavano ad autori come Böcklin, Klinger, Kallela, Von Stuck e molti altri che potremo ammirare al Roverella.

Si tratta di una mostra davvero importante e spettacolare, anche perché ci sono circa 120 opere esposte, che vengono da 25 musei europei. Un percorso che racconta una fase molto importante della cultura italiana ed europea, e che vede il nostro panorama culturale aprirsi, anche grazie ai pittori rappresentati a Rovigo, agli stimoli più innovativi ed alle inquietudini della psicoanalisi di Freud, della filosofia di Nietzsche; ma anche ad una sensibilità nuova verso il paesaggio, ad una concezione diversa del rapporto uomo natura che proprio i pittori nordici stavano praticando già nella seconda metà dell’Ottocento”.

A che punto è l’organizzazione della mostra?

“L’allestimento comincerà a gennaio.

Noi abbiamo comunque già completato l’elenco delle opere che arriveranno in mostra. Non è stato semplice, anche perché abbiamo dovuto scegliere tra una massa molto importante di opere; a molti degli autori nordici in mostra, infatti, le varie Biennali di inizio Novecento avevano dedicato delle vere e proprie mostre individuali, spesso composte da circa 50, 60 opere. Scegliere tra queste è stato difficile, abbiamo voluto rappresentare a Rovigo quelle più significative proprio per l’idea che sta alla base della nostra mostra”.

Quali sono gli autori di maggior rilievo che potremo vedere al Roverella?

“Sono molti. Tra tutti citerei uno straordi75

Anders Zorn, Hilma Herikson

Moggioli, Burano

Marussig, Notturno

L’Ossessione Nordica nella pittura italiana

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nario Arnold Böcklin, presente con una versione de L’isola dei morti; poi abbiamo un altrettanto straordinario Franz von Stuck, presente con un’opera sconvolgente: Il peccato; abbiamo poi molti altri interessanti artisti del nord Europa, che rappresentano, per noi, delle vere e proprie scoperte; citerei, tra questi, Kallela, Larsson, Zorn; autori svedesi o norvegesi presenti con opere di straordinaria bellezza che a quell’epoca fecero grandissimo scalpore, quando furono presentate alle Biennali di primo Novecento; la loro presenza è di grande significato proprio perché da allora non sono mai più tornate in Italia”.

Fin dall’inizio avete scelto, con le mostre del Roverella a Rovigo, di indagare un arco cronologico ben preciso, quello di fine Ottocento inizi Novecento. È una scelta che vi ha dato soddisfazione?

“Finora direi di sì. È stata una scelta azzeccata che ha contribuito a distinguere Rovigo da altre sedi di mostre di questo livello. La nostra è stata una scelta strategico-culturale che ha avuto, tra le altre cose, la finalità di fare individuare nel Roverella il luogo in cui si dà esito di un preciso filone di indagine della storia dell’arte italiana e non solo. Anziché andare a random, proponendo ora una mostra di arte antica ora una mostra di arte contemporanea eccetera, abbiamo pensato di indagare tutte quelle correnti, tutti quei fermenti che hanno portato alle avanguardie italiane del Novecento. L’idea è quella di progredire man mano, di andare avanti in questa indagine; difatti anche questa mostra arriva fino al 1912/1914 (abbiamo qualche opera della biennale del 1914), cioè arriviamo al limite della prima guerra mondiale”.

Cambon 76

REM

Iniziative di questo tipo portano qualcosa al territorio che le ospita?

“Beh, finora il successo è stato evidente.

Oltre al grande numero di visitatori mostre di questo tipo illuminano il territorio che le ospita. La Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo fin dall’inizio ha fatto un grande investimento in questo territorio, anche se non sempre è un territorio facile da scuotere e qualche volta si incontrano difficoltà a mettere insieme le diverse realtà che in esso agiscono ed a prepararle all’accoglienza di un grande numero di visitatori.

Ma l’impegno, da parte nostra, è sempre molto forte ed i risultati, fino ad ora, sono più che soddisfacenti”. www.mostraossessionenordica.it

Von Stuck, Scherzo

Von Stuck, Il Peccato

Cesare Laurenti, Fioritura nova 77

IMMAGINI

Anna Casazza

e la messa a fuoco sull’anima

Intervista di Monica Scarpari

Pain

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Anna Casazza

ensando ad Anna, documentandomi rispetto al suo percorso, osservando con grande curiosità e cura i suoi lavori, mi rendo conto che è giovanissima, molto brava e molto bella, ma soprattutto realizzo che è il primo fotografo donna che passa tra le pagine di REM. Ed è così che riscontro un dato di fatto: che fare l’artista o il fotografo di professione pare finora sia stato un lavoro prevalentemente maschile e, ancora, facendo scivolare la mente attraverso l'infinità di immagini attribuite a fotografi che ho 78

REM

frequentavo il Liceo Sociopsicopedagogico. Sottolineo sempre l’importanza di questa mia prima formazione umanistica, mi ha insegnato a guardarmi dentro e a indagare l’animo umano. Mi sono laureata presso l’ Accademia di Belle Arti di Venezia con una tesi in Fotografia di moda, e dopo aver studiato Fotografia per sei mesi a Bristol - UWE (University of West England), ho preso il diploma di Laurea Magistrale in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Attualmente frequento un master in Fotografia allo IED di Milano. Negli studi accademici ho appreso che prima di ogni cosa viene l’animo umano. Dopodiché arriva la fotografia, come strumento per analizzare. La fotografia per me è solo un mezzo, non giro con la macchina fotografica.

Mi piace eseguire una ricerca concettuale e fare le mie considerazioni. Solo quando l’idea è consolidata ricerco le immagini e partorisco un progetto. Ogni volta è un dolore ed una gioia. Credo sia il mio modo di leggere il mondo e comunicare, non vedo altre alternative.

scorso nel tempo, noto che la visione che ha una donna rispetto ad un uomo di rendere la vita producendo scatti è una delle arti che maggiormente rivela la spaccatura tra le diverse sensibilità dei due sessi.

Anna, iniziamo restando in tema. Spiegami tu, di getto, cosa mette una donna in uno scatto che un uomo non fa e viceversa, e perché tutti questi fotografi maschi?

Difficile è non cadere nei cliché e non amo le generalizzazioni. Ma posso dire, da confronto diretto con artisti e fotografi uomini e donne, che i primi sono più preparati sulla tecnica e perfettamente istruiti sugli strumenti di lavoro e le novità tecnologiche. C’è una sensibilità diversa, l’occhio dell’uomo è più attento, descrittivo e metodico e forse più portato al reportage. La donna ha una sensibilità differente, data probabilmente da una migliore capacità di autoanalisi e da una innata empatia. é più facile incontrare artiste che hanno rivolto il loro sguardo verso l’interno, mettendosi in gioco. Il lavoro del fotografo, per questioni logistiche (attrezzatura pesante e viaggi improbabili), ha sempre favorito per natura l’uomo, ma con l’avvento di una concezione della fotografia più legata all’espressione artistica molte donne si sono avvicinate a questo strumento.

Nelle tue foto c’è una grande attenzione al femminile e all'introspezione. Parli di solitudine, di ricerca di sè, di violenza, di dolore. Cosa ti ha spinto ad affrontare tali temi?

Tutti i temi trattati fanno parte di me o sono rielaborazioni emozionali delle esperienze altrui. Nascono da una riflessione sulle esperienze di vita e dal bisogno di mettersi in gioco. Come tutti, anche io ho provato solitudine, ho

Adesso raccontami di te, della tua passione, del tuo inizio, delle tue soddisfazioni, del tuo percorso.

Ho iniziato a fotografare a sedici anni, quando ancora

I was here 79

IMMAGINI

cercato me stessa, ho sentito dolore e violenza. Il coraggio (e forse la follia) sta nel decidere di esternarli, perché l’animo umano è quanto più di interessante e immortale vi possa essere.

Mi hanno colpito la serie di ritratti di donne dagli occhi tondi e vuoti e dai volti tutti simili quasi privi d’espressione e, di contro, alcuni scatti che hai fatto a persone dopo aver chiesto loro di riportare alla memoria un forte dolore. Ricerca, attraverso l'espressione, questo corpo come mezzo, parlaci del messaggio.

Il progetto PAIN nasce come una serie di ritratti sul dolore. I volti delle persone, con il passare del tempo e delle esperienze subiscono delle trasformazioni, ed i segni restano indelebili dentro e fuori. Le esperienze negative sono quelle che più ci segnano e ci formano. A queste persone è stato chiesto di posare cinque minuti in silenzio guardando la fotocamera e pensando al dolore più forte provato in vita propria. Sono stati in seguito invitati a raccontare quello a cui pensavano costruendo una frase. La frase posta sotto i rispettivi ritratti si fonde con l’espressione della fotografia. é stato un lavoro impegnativo ma anche terapeutico per tutti coloro che hanno partecipato, me compresa. Mi piace pensare che questi non sono solo semplicemente ritratti, ma vive immagini con frammenti di vita delle persone. Il progetto ha avuto buona visibilità perché è stato selezionato da Enrico Bossan, coordinatore del Dipartimento di fotografia di FABRICA Benetton e direttore di COLORS Magazine, per una video intervista su e-photoreview.

In Memoriam La negazione della vita attraverso il segno della croce La fotografia di guerra e di morte viste nell’intimità di un archivio fotografico privato

Anche il "fine-vita" si esplica molto attraverso le tue immagini, vedi le sezioni del tuo sito: In Memoriam e I was here. Che rapporto hai con essa?

Ho avuto modo di riflettere intensamente sul tema della morte, in particolare con la mostra In Memoriam, un diario mnemonico sulla fotografia di morte, a partire dalle immagini di guerra trovate nell’archivio di famiglia. Nelle fotografie della mostra In Memoriam, le croci che segnano i volti sono segni di negazione: un intervento artistico diretto e simbolico per far riflettere sull’imprevedibilità della morte. Il segnare un volto con una croce impone il fine di non porlo più in essere e ricorda che anche noi un giorno dovremo confrontarci con la morte. Per 80

REM

Come definiresti il tuo genere e quali sono i tuoi obiettivi e i tuoi sogni a livello professionale e come artista?

Vorrei occuparmi di arte, utilizzando la fotografia e la performance come strumento. Non è un ambiente per nulla facile, bisogna essere in grado di saper raccontare e di farlo efficacemente. Mi piace pensare a un genere di fotografia concettuale e di ricerca interiore. Nulla deve essere lasciato al caso e allo stesso tempo bisogna trovare il coraggio di lasciarsi guidare dalle proprie intuizioni.

Una colonna sonora per le tue immagini?

La musica è continua fonte di ispirazione e mi affascina.

La melodia che mi appartiene deve essere maestosa e dolorosa, forte e dolce, quasi struggente. Tutte le musiche del compositore Andrea Guerra mi danno queste sensazioni, in particolare il brano “La finestra di fronte”, dall’omonimo film di Ferzan Ozpetek.

L’artista fotografo/a che preferisci?

Non vi sono fotografi preferiti in assoluto, ma artisti che senti vicino più di altri in certi periodi della tua vita. Nel momento storico mentale che sto vivendo adesso, mi occupo di ricerca interiore e di corpi, facendo riferimento a Robert Mapplethorpe e a Francesca Woodman.

Polesine

Polesine: visto che la nostra rivista tratta di questo, la tua terra, se dovessi rappresentarla con una sola immagine, quale sarebbe?

Sono molto legata alla mia terra. Il Polesine (con le sue pianure, la sua natura libera e le sue nebbie), mi evoca vuoto e silenzio, desolazione e senso di smarrimento.

Non è assenza, è la fertilità di un animo che necessita di perdersi per ritrovarsi. La terra è viva, e vive in simbiosi con noi. Credo che ognuno porti dentro al suo animo l’esatto riflesso del territorio che sente suo. Ci sono luoghi che senti più magnetici di altri, perché ci hai lasciato ricordi e sogni, o spesso senza un motivo preciso. Adoro la spiaggia di Porto Caleri, con i suoi legni opachi, la sua sabbia fredda e calda e il suo mare scuro e limpido.

La foto del Polesine che sento più mia rappresenta quel mare, nella semplicità formale di una linea. Pieni e vuoti, chiari e scuri. Nell’apparente banalità e insignificanza vi è l’immenso e tragico flusso dei nostri pensieri.

secoli l’uomo si è accostato alla morte con naturalezza, accettandola come sofferenza che è parte della vita. Il rifiuto odierno verso la morte ci porta a non voler pensare che esista, con lo scopo di demonizzare la nostra paura.

Non è facile parlare di morte, ma ecco che, parlandone, l’angoscia lascia spazio alla conoscenza di se stessi.

Tu adesso vivi tra Rovigo e Milano, di cosa ti stai occupando?

Milano è una città mentalmente stimolante e piena di opportunità, ma Rovigo mi permette di lavorare meglio, è più a misura umana. Al momento sto lavorando a un progetto per IED, e sono in continuo fermento, alla ricerca di nuove idee e nuove soluzioni. Raccogliere immagini, ascoltare le persone, immedesimarsi nelle esperienze altrui, scrivere e appuntare ogni pensiero, creare una grande mappa “interdisciplinare” e dare vita a un progetto finale è il lavoro dell’artista.

www.annacasazza.it 81

PERSONAGGI

L'obiettivo di Dondero sulla Resistenza polesana di Luigina Badiale e Liana Isipato

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PERSONAGGI

N

el romanzo di Luciano Bianciardi La vita agra, Mario è un giovane ragazzo che con l’amico Ugo lavora per un’agenzia fotografica.

Nei primi capitoli è rappresentato mentre si guarda nel quadratino di specchio in bagno, guance insaponate, pronte alla rasatura. Canta Le Rififi e sogna Parigi…

Il Mario è proprio lui, Mario Dondero, che la sua Parigi l’ha poi avuta, visto che ci è vissuto quarant’anni e ce la racconta, con le sue foto (non solo quella famosissima che ritrae gli scrittori del Nouveau Roman) ma soprattutto con gli aneddoti e i ricordi di una vita.

Perché Mario è un grande narratore e si serve delle sue storie per intrecciarne di nuove, ancora curioso delle persone come il ragazzo che si radeva allo specchio, appena poco più grande del sedicenne che aveva preso la strada della montagna per fare il partigiano. Mario Dondero, classe 1928, cresciuto a Milano, fece parte infatti della Brigata Cesare Battisti in Val d’Ossola, spinto dalla storia familiare e dall’urgenza personale di lottare contro ogni sopruso e contro la brutalità della Repubblica di Salò.

Dopo la guerra, dapprima cronista e giornalista, assunto da Enzo Biagi a Milano Sera, sceglie di dedicare la sua vita al fotogiornalismo. Dalla "base" di Milano nel 1954 si trasferisce a Parigi dove incontra i più grandi fotografi e intellettuali del periodo, da Robert Capa a Joris Ivens, Ionesco, Beckett. A Roma, poi, frequenta Laura Betti, Pasolini, Volponi, Parise. La sua attività, sempre sul filo dell’impegno politico, è intensa e lo si può trovare in Marocco come

Mario Dondero ad Adria con Elios Andreini e Gianni Sparapan 84

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Mario Dondero con le autrici dell'articolo

in Afghanistan, dove collabora con Emergency; a Cuba come a Genova, dove è “camallo” onorario. Ancora adesso, quando gli telefoni, non indovini dove sia; Mario è un vero paradosso vivente, se pensiamo che il suo domicilio è a Fermo! Abbiamo conosciuto Mario Dondero perché invitato dallo scrittore cavarzerano Francesco Permunian a ridare vita e presenza a persone e ambienti della Resistenza polesana, attraverso la poetica magìa delle sue immagini fotografiche. Lo scopo finale del progetto ideato da Permunian e seguito dall’Assessore Provinciale di Rovigo, Laura Negri, sarà l’allestimento di una mostra itinerante con catalogo.

Subito, Mario ci ha raccontato particolari interessanti e divertenti della sua vita per coinvolgerci e metterci a nostro agio. é nata così in pochi giorni, scoprendoci in sintonia, un’amicizia "accelerata" che sicuramente durerà nel tempo. Semplice e aperto, ha voluto conoscere la storia

del nostro territorio e, con la sua Leica, raggiungere gente sconosciuta, cercando di scoprirne i sentimenti.

Da Cavarzere a Rovigo, da Adria a Villamarzana, Villadose, Castelguglielmo e negli altri luoghi visitati, sotto la canicola di metà giugno, col pesantissimo borsone carico di macchine e pellicole, Dondero ci ha messe in difficoltà a seguirlo tra campi, argini e fossati.

Dobbiamo dire ancora che con il suo atteggiamento signorile, cordiale e spontaneo al tempo stesso, ha lasciato un segno, un ricordo prezioso in tutte le persone che l’hanno incontrato. Noi in particolare, che l’abbiamo affiancato più a lungo nei giorni della sua presenza in Polesine, ci consideriamo delle privilegiate e, non lo nascondiamo, proviamo un senso di invidiosa ammirazione per Giovanni Giudici che l’ha saputo immortalare in Io e te che sorridiamo dalla foto di Dondero, di cui riportiamo alcuni versi: 85

Fu in Milano un remoto pomeriggio Nella casa che più non abitiamo E adesso al buio o tutt’al più in penombra Per quel filo di luce dal cortile Ma è come se vivessimo e viviamo In un paese ormai molto lontano […]

Io e te che sorridiamo l’un l’altra sottobraccio Due stagionati sposi di Ben Shahn Da pie preci sepolti innanzi tempo Dunque al riparo, fuori piove, e qui Benché tu non ci sei noi due contemplo In domestici panni ossia dal vero Nel giorno stesso che passò Dondero […]

www.mariodondero.com Mario Dondero collabora ancora con la Repubblica e con Il manifesto; a chi lo volesse conoscere meglio suggeriamo la lettura di: Donderoad, gli scrittori di Mario Dondero di Massimo Raffaeli e Angelo Ferracuti Dalla parte dell’uomo di Mario Dondero Mario Dondero. Incursioni sul set di Francesco Monceri e Stefano Alpini Mario Dondero a cura di Simona Guerra Dondero 4 20 di Danilo De Marco

MESSAGGIO REDAZIONALE

Con scienza e coscienza La clinica odontoiatrica Biscaro Poggio ad Adria

N

genere. Di quanta scienza e coscienza ci sia bisogno per coniugare tecniche e tecnologie, materiali e prodotti con esigenze di carattere economico, operativo e architettonico, nel rispetto costante dei dettamidelle norme e dei canoni dell’estetica. Scienza intesa come conoscenza ed esperienza, qualità di cui sono dotati tutti i tecnici progettisti e direttori dei lavori e di cantiere con cui ho avuto la fortuna ed il piacere di collaborare. Scienza intesa anche come maestria e qualità di esecuzione, ovvero come capacità ed esperienza realizzativa: dati che ho riscontrato in tutte le maestranze e gli operatori delle imprese appaltatrici e negli artigiani che hanno partecipato alla realizzazione delle opere. Infine coscienza, intesa come consapevolezza delle proprie capacità professionali, ma anche dei propri limiti di conoscenza e competenza.

el corso della mia esperienza professionale non ho mai sentito l’esigenza, come in questo caso, di divulgare gli interventi e le opere realizzate dallo Studio di Ingegneria e Architettura che ormai da vent’anni ho il piacere e l’onore di guidare. Un bisogno questo che da un sentimento di gratitudine nei confronti di tutti coloro che hanno dato vita a questo bellissimo intervento: “la clinica odontoiatrica Biscaro Poggio” ad Adria in via Monsignor Pozzato.

Tutto nasce nell’ottobre 2010, quando due committenti illuminati e determinati, quali i Dottori Biscaro e Poggio, supportati da un loro giovane e intraprendente collaboratore, il Dr. Contiero, hanno avuto l’intuizione ed il coraggio di voler realizzare in Adria una nuova grande clinica, per ospitare la loro apprezzata e titolata struttura odontoiatrica, riqualificando urbanisticamente un’area degradata della città. é difficile immaginare, soprattutto per chi non è addentro al mondo delle costruzioni e in modo particolare a quelle sanitarie, quanto studio, preparazione e lavoro siano necessari per progettare e realizzare un’opera di questo

Ing. Luca Costanzo Studio Costanzo Rovigo

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dove la sterilizzazione rappresenta il cuore pulsante. Da essa si diramano i corridoi che danno accesso agli ambulatori e un’area dedicata alla chirurgia odontoiatrica, fiore all’occhiello della struttura. Essi sono dotati di strumentazione asportabile sterilizzabile dopo ogni trattamento, di mobili sospesi con superfici attive antibatteriche e apparecchiature all’avanguardia per la diagnostica radiologica, che permettono di raggiungere la precisione estrema con una dose di raggi molto bassa. La climatizzazione, rappresentata da un sistema tecnologico futuristico, assicura all’interno di ogni singolo ambiente un microclima con riciclo, filtrazione e ri-ossigenazione dell’aria. Il primo piano ospita i servizi e gli spogliatoi del personale medico e dei collaboratori con uno spazio speciale dedicato al relax e al ristoro. Sulla copertura, completamente mimetizzate, sono ospitate la centrale termica e le sale macchine per un controllo degli impianti in tutta sicurezza. Un occhio di riguardo è stato dedicato infine alla luce, elemento chiave di questa struttura, che studiata e modulata nelle sue forme naturali e artificiali, accompagna, guida ed assiste in maniera rassicurante chi cura e chi viene curato.

L’edificio è la sintesi di un ricercato dialogo tra due tipologie costruttive contrapposte, dove il bianco del corpo frontale rende più leggibili le linee e le forme della parte realizzata in cemento armato prefabbricato. Le linee rosse, di contorno delle due pensiline, emergono dai fronti bianchi del fabbricato segnalando quasi con insolenza gli ingressi alla clinica. All’interno si è pervasi dalla sensazione di essere proiettati ancora verso l’esterno, grazie alla grande vetrata che si sviluppa per tutta l’altezza della zona di ricevimento dando modo a chi entra, con lo sguardo e la mente, di godere di un giardino esterno, dove un giovane olmo fa da padrone. La zona dell’accoglienza, con uno spazio speciale dedicato alla ludica dei bambini, è divisa dalla zona operativa da una parete nera, lavata dalla luce, sulla quale come una quinta scenica si proietta il bancone in olmo della reception. Linee sghembe e colori materici sono protagonisti di sedute, banconi e tavoli. Ancora una volta è infatti la natura a rivelare spunti per l’arredo: una esplosione di lampadari e cuscini a foglia, colorati nelle tonalità del verde, creano un ambiente rilassante ed accogliente come una prosecuzione interna del giardino.

Dalla sala d’attesa si viene accolti attraverso due porte vetrate che lasciano intravedere la zona operativa degli studi, dotati di impianti innovativi e tecnologie all’avanguardia,

Arch. Angela Lusiani Studio Costanzo Rovigo

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CLINICA ODONTOIATRICA

BISCARO POGGIO Via Monsignor Pozzato, 20/A - Adria (RO) - tel. 0426.40014 - www.biscaropoggio.it

ANCHE IL POLESINE HA LE SUE ECCELLENZE L’odontoiatria sta vivendo un momento d’importanti cambiamenti: a degli spazi che identificano i vari momenti del percorso odontoiatrico. livello tecnologico, operativo, ma anche e soprattutto nel rapporto con il Alla diagnosi ed alla sterilizzazione è dedicata l’intera area centrale: TAC paziente. È per cavalcare questi cambiamenti da protagonisti Cone-bean e panoramico digitali - con la più bassa emissioche il dott. Biscaro e la dott.ssa Poggio hanno voluto creare la ne radiogena ed uno spazio dedicato alle fotografie clinica Biscaro Poggio: una struttura all’avanguardia dal punto consentono di raccogliere, in sede, tutte le informazioni di vista progettuale ed operativo. necessarie per la formulazione di un accurato piano di L’idea è nata nel 2010, ma come tutte le cose importanti ci trattamento. L’area diagnostica è affiancata dalla zona sono voluti anni di maturazione e di crescita prima di vederla sterilizzazione, cuore pulsante dell’intera clinica: in un realizzata. Il dott. Biscaro ha aperto il suo primo studio ad ambiente ampio e luminoso Rossana ed Antonella, da anni, Adria nel 1988: fin dall’inizio ha scelto di investire nella formahanno l’esclusivo compito di tutelare la salute dei pazienti zione, seguendo numerosi corsi di specializzazione e divendella clinica provvedendo alla disinfezione, sterilizzazione tando, negli anni, un impegnato oratore in congressi scientifici ed imbustatura di tutta la strumentazione necessaria per sia in Italia che all’estero. Questo gli ha consentito di essere l’esecuzione delle terapie.

Dr. Leonello Biscaro eletto Presidente della più prestigiosa Accademia Protesica Attorno all’area centrale sono disposti gli studi, allineati ed d’Europa, l’Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica. organizzati in funzione delle diverse specialità: igiene, È affiancato nella vita e nella sua attività dalla Dott.ssa Poggio conservativa, endodonzia, pedodonzia, ortodonzia per che, dopo aver esercitato per anni nello studio di famiglia a bimbi, adulti, e pre-chirurgia maxillofaciale, odontoiatria Milano ed essersi specializzata in Ortognatodonzia presso estetica, protesi,, chirurgia ed implantologia. l’Università di Ferrara, dal 2000 si è trasferita nel Polesine.

Uno spazio speciale è dedicato ai numerosissimi piccoli Assieme hanno creato, negli anni, un team composto dal dott. pazienti: accolti in un’area apposita nella quale i colori, i Contiero, dal dott. Guariento, dal dott. Beccatelli e dalla Dott.spiccoli tavoli, i giochi, i disegni eliminano l’ansia e la paura, sa Zovi, in grado di offrire prestazioni di elevata qualità che vengono curati ed accuditi dalla Dott.ssa Poggio e dalla coprono tutte le branche dell’odontoiatria.

Dott.ssa Zovi con le più moderne tecniche ortodontiche.

La clinica è stata progettata con un attenzione particolare alla La possibilità di eseguire interventi in regime di sedazione vivibilità ed all’accoglienza degli ambienti, al fine sia di mitigacosciente nell’area dedicata alla chirurgia, consente la Dr. Paola Maria Poggio re il timore e la preoccupazione del paziente che di consentire realizzazione dei più complessi trattamenti implanto-proteal personale medico ed infermieristico di operare in condizioni ottimali. sici che hanno reso lo studio Biscaro Poggio un punto di riferimento nel Il paziente entra in un ambiente elegante, ma per nulla pretenzioso e panorama odontoiatrico nazionale. non ha la percezione di essere in una clinica dotata delle più moderne Anche il Polesine ha le sue eccellenze: una di queste è la clinica odontotecnologie, la cui operatività è garantita da un’accurata suddivisione iatrica Biscaro-Poggio.

PASSATO REMOTO

Un museo per Frattesina di Vincenzo Tiné

Ricostruzione fisica e virtuale del rituale funerario

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e importanti scoperte realizzate nella seconda metà del secolo scorso nel Polesine, in siti di abitato come Mariconda di Melara, Frattesina, Grignano e nelle necropoli coeve, hanno reso questo territorio uno dei più importanti per la comprensione dell’origine e dello sviluppo delle società italiche nell‘età del Bronzo finale (XI-IX secolo a.C.). Un’età cruciale anche per la formazione della civiltà veneta antica nella successiva età del Ferro e una storia molto più antica di quella che vedrà poi in Adria il suo epicentro polesano.

A questa importantissima fase storica e, in particolare, al sito di rilevanza europea di Frattesina di Fratta Polesine, è parso opportuno dedicare un nuovo Museo Archeologico Nazionale, alloggiato nelle barchesse della splendida Villa Badoer di Fratta Polesine, realizzata da

Andrea Palladio nel 1554. L’allestimento, interpretando con discrezione gli spazi a disposizione, accompagna il visitatore in un percorso narrativo, suggerendo suggestioni archeologiche. Un attento uso del colore e della luce mette in risalto le scenografie, arricchendo di appropriate suggestioni emotive la lettura dei materiali archeologici: il giallo e un’intensa luminosità al piano terra per l’abitato di Frattesina, penombra e blu ottanio al primo piano per le necropoli. Testi essenziali con brevi approfondimenti e disegni ricostruttivi agevolano l’immersione del visitatore nelle atmosfere tipiche della protostoria dei popoli padani.

Nel 2012 il percorso espositivo è stato completato con la traduzione integrale in inglese di tutti i testi e l’allestimento di uno spazio di ricostruzione fisica e virtuale delle ne89

PASSATO REMOTO

cropoli di Frattesina, al piano superiore. Sono state ricostruite in scala reale le caratteristiche sepolture ad incinerazione, alloggiate in cinerari biconici all’interno di un pozzetto ricoperto da un piccolo tumulo e le più rare inumazioni in fossa. Alle spalle di questa paleosuperficie un grande video a retroproiezione presenta una sequenza animata in realtà virtuale che ricostruisce il villaggio di Frattesina e il rituale di incinerazione del grande capo della tomba 227, attraverso le diverse fasi della processione del catafalco, dell’attraversamento in canoa del Po, del rogo, della selezione delle ossa combuste e della loro deposizione con cinerario in un pozzetto coperto da tumulo.

Nel 2013, infine, è stato progettato e realizzato dall’architetto Loretta Zega un nuovo sistema di scale e un ascensore di particolare rilevanza estetica, che rendono accessibile il secondo piano del museo a tutti i visitatori, integrandosi senza forzature nella struttura della villa palladiana.

Frattesina e il Polesine all’alba della storia I dati archeologici di cui disponiamo per la protostoria del Polesine provengono da scoperte fortuite e da regolari campagne di scavo. Il primo sito archeologico ad essere stato indagato fu quello di Mariconda di Melara nei primi anni Sessanta del secolo scorso. Lo straordinario insediamento protostorico di Frattesina restituì, invece, le sue prime testimonianze nel 1967, in seguito ad intense attività di aratura e sbancamento delle campagne. Nel 1968 vennero aperti i primi saggi di scavo a cui seguirono numerose indagini sistemati-

che, dirette da Anna Maria Sestieri e Maurizia De Min e concentrate soprattutto nei settori orientale e occidentale dell’antico villaggio.

Queste indagini archeologiche hanno permesso di indicare per l’antico villaggio di Frattesina un’estensione approssimativa di circa 20 ettari, ovvero circa 800 metri di lunghezza per 300 metri di larghezza. L’abitato era situato su un lieve rilievo di origine alluvionale, nei pressi della sponda destra dell’oggi scomparso “Po di Adria”, che costituiva una naturale struttura difensiva. Le abitazioni erano fittamente distribuite e le numerose attività artigianali - dai metalli, alle ceramiche, ai tessuti, alla lavorazione del corno, dell’ambra e, per la prima volta in Italia, del vetro - venivano praticate in apposite officine ma anche all’interno delle stesse capanne. In località Fondo Zanotto, distante solo 500 metri dall’abitato, venne scoperta nel 1977 una prima necropoli, mentre nel 1985 in località Narde, aldilà del fiume Po, venne alla luce una seconda, ancora più vasta e strutturata, area funeraria. Nel 2004 un’ulteriore area di seppellimento, contigua a quella di Narde, ha preso il nome di Narde II. Dagli scavi di queste necropoli, condotti da Luciano Salzani, che è stato anche il primo Direttore del Museo (2009-2011), provengono straordinari corredi funerari che restituiscono preziosi indizi sull’organizzazione socio-economica dell’epoca. Spicca in particolare il ricco corredo della tomba maschile 227 delle Narde, che comprende una spada di bronzo con rivetti d’oro. Solo questa tomba e un’altra, su oltre un migliaio scavate, contengono armi, evidenzian90

Nuovo sistema di accesso al II piano con scala e ascensore

sopra: allestimento I piano (sala dell'abitato) sotto: allestimento II piano (sala necropoli)

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Corredo tombale della tomba 227 delle Narde (spada con rivetti d'oro)

do un vero e proprio tabù, rotto solo per quelli che dovevano essere i capi del gruppo umano stanziato a Frattesina, nelle cui mani si concentrava certamente il complesso sistema di produzione e redistribuzione delle risorse alimentari ed economiche e dei beni di prestigio. Tutto sembra un "modo di produzione" di tipo egeo ed orientale, scaturito da una strettissima interazione con elementi provenienti da queste zone, come provano anche le importazioni a vastissimo raggio: dalle uova di struzzo, all’avorio, alla ceramica tardo-micenea.

La contropartita indigena a queste importazioni di beni di prestigio e il principale obiettivo dei commerci orientali con il Polesine era senza dubbio l’ambra. Dal Baltico questa preziosa resina fossile raggiungeva l’Alto Adriatico, trovando in queste zone i principali poli di lavorazione della materia prima e di scambio dei prodotti finiti con le grandi civiltà mediterranee. I manufatti rinvenuti a Frattesina mostrano l’esistenza anche di un evidente legame con i siti dell’età del Bronzo recente, sorti in tutta la Pianura Padana nel XIII secolo a.C. Tra questi sono compresi nelle collezioni del museo i materiali dall’abitato di Larda di Gavello nel

Medio Polesine, caratterizzato da un fossato, da un argine e da strutture abitative su palificata. A brevissima distanza da Frattesina, in località Campestrin di Grignano Polesine, recenti campagne di scavo hanno restituito ampie tracce di un sistema quasi-industriale di lavorazione dell’ambra, testimoniata da perle a vario stadio di lavorazione, una selezione delle quali è in corso di allestimento anche a Fratta (altri materiali da Grignano si trovano presso il Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo). La visita del Museo di Fratta rappresenta una possibilità unica di conoscenza del Polesine all’alba della sua storia millenaria, un territorio che per la sua posizione, al margine tra Europa e Mediterraneo, ebbe nell’antichità una straordinaria vitalità culturale e una decisiva importanza strategica.

Questa visita potrà poi essere idealmente integrata dagli altri due grandi musei archeologici del territorio polesano: quello dei Grandi Fiumi a Rovigo e quello Nazionale di Adria, anch’essi interessati da recenti e allettanti interventi di allestimento.

Nuova guida tematica del museo

Veduta di Villa Badoer a Fratta Polesine, sede del museo

Pettine in avorio 91

MESSAGGIO REDAZIONALE

IDeaCasa IN: missione design IDeaCasa IN .la filosofia Ricercare, trovare, provare o meglio “osare” è scritto nel dna di chi fa parte della realtà Ideacasa In. Lo studio, l’analisi, il progetto dello spazio abitativo creato dal continuo interagire con chi ha il piacevole onere di dover abitare. Abitare come sentimento. Programmare la casa prendendo esempio dal vivere contemporaneo.

IDeaCasa IN .la storia Wilma e Robertino a Rottanova negli anni '60 Una storia che inizia oltre quaranta anni fa. Spirito imprenditoriale e grande forza di volontà di una coppia di giovani sposi, la signora Wilma ed il signor Francesco. Un piccolo negozio di frazione dove si vendeva tutto quello che all’epoca era indispensabile al vivere di casa. Lì era possibile trovare ogni sorta di articolo per la casa. Lampadari, sedie, tavoli, poltrone, ottomane, mobiletti per la cucina, stufe a gas e a legna. Un vero e proprio piccolo paradiso della casa, comprese biciclette e motorini.

IDeaCasa IN .il percorso Genialità ed intraprendenza vengono geneticamente trasmesse alla successiva generazione. Entrano presto a far parte della realtà commerciale i figli Paola, Antonella e Roberto, nati e cresciuti “tra i mobili”, come afferma mamma Wilma. I tempi cambiano, le abitudini pure, tutto ciò si trasforma in continui stimoli e sfide che Wilma, Francesco, Paola, Antonella e Roberto non si lasciano sfuggire. Siamo nei primi anni ottanta, papà Francesco inaugura a Cavarzere (Venezia) lo spazio IDeaCasa. Non il negozio di mobili ma il vero e proprio showroom. Il progetto e la realizzazione sono curati e diretti dai figli Paola e Roberto. IDeaCasa diventa presto un punto di riferimento per tutto quello che è il mondo dell’arredo.

IDeaCasa IN .l'evoluzione Siamo alla fine degli anni novanta, i tempi continuano a cambiare, la realtà IDeaCasa segue i passi del tempo. Viene alla luce un nuovo ed entusiasmante progetto, il suo nome è IDeaCasa IN. Paola e Roberto concepiscono un inedito ed originale spazio dedicato all’arredo, ma soprattutto al design ed allo styling. Boffi e B&B Italia sono i marchi protagonisti del design made in Italy nel nuovo showroom. La location del progetto IDeaCasa IN viene pensata e realizzata a Piove di Sacco in provincia di Padova. Il successo è INevitabile!

IDeaCasa IN .il presente Novembre 2011, cena tra amici, esattamente in otto. Roberto, Davide, Genny, Patrizia, Tito, Alessio, Fabio e Leonardo. INformale sede dove, quasi a sorpresa, prende forma il progetto IDeaCasa IN Porto Viro. Tolti piatti, bicchieri, posate e tovaglia il tavolo da pranzo, rigorosamente di design, si trasforma nel supporto del nuovo progetto. Si srotola il lucido che contiene il disegno della nuova “missione”. Ne scaturisce subito enorme entusiasmo. Gli otto protagonisti, nel dopo cena, iniziano un vero e proprio brainstorming. Il concetto di uno spazio singolare, una superficie ampia e capiente dedicata allo stile ed al “modus operandi” di IDeaCasa IN, esalta e manda in visibilio gli otto scatenati. Il progetto si realizza! Si apre il nuovo capitolo. IDeaCasa IN Porto Viro trova la sua speciale collocazione nel nuovo REDLINE building, struttura industriale atipica, contemporanea, spaziosa e confortevole. Un nuovo concetto architettonico, un loft modulare dove lo stile IDeaCasa IN ha la sua massima espressione. Artefice e mente del progetto la giovane ed emergente Architetto Genny Augusti di Studio Architettura Leonardo.

Dal sei luglio duemila dodici è attivo il nuovo showroom IDeaCasa IN Porto Viro, qui sono visibili importanti esempi di arredo con elevato grado di design, prestigio e tecnologia. I marchi partners di questa incredibile avventura sono BOFFI, B&B ITALIA, RIMADESIO, PAOLA LENTI, VITRA, GLAS, HENGE. L’altro gioiello di IDeaCasa IN Porto Viro è l’ampio e raffinato spazio eventi creato al piano superiore dove trova collocazione una fantastica cucina BOFFI attiva e completamente funzionante. Lo spazio eventi di IDeaCasa IN è il luogo dove prendono forma eventi, show cooking, incontri, mostre d’arte e convegni. Ciò che contraddistingue il lavoro di IDeaCasa IN è l’attenta e ricercata progettazione degli spazi abitativi, attraverso una qualificata elaborazione progettuale che anticipa il vero e proprio momento di fornitura ed installazione degli arredi. Consulenza mirata alla scelta dei materiali rigorosamente eco-compatibili ed a ridotto impatto ambientale, nuove tecnologie, IDeaCasa IN Porto Viro - showroom e spazio eventi nuovi sistemi e programmi di arredo. Fusione e reinterpretazione tra moderno 92

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e tradizionale, tra passato, presente e futuro. I programmi di arredo vengono completamente realizzati su misura in base a precise e dettagliate indicazioni dell’Architetto Roberto Destro. Le aziende produttrici, con le quali IDeaCasa IN ha instaurato un proficuo rapporto di partnership, fanno parte delle più importanti e qualificate del settore.

IDeaCasa IN .la realizzazione IDeaCasa IN nel corso del 2013 ha realizzato un importante ed ambizioso progetto di arredo e design in uno dei contesti più incantevoli di tutta l’isola di Albarella. Ne è nata una stimolante e coinvolgente collaborazione con i professionisti della committenza, che interfacciati con l’art director di IDeaCasa IN, l’Architetto Roberto Destro, hanno dato vita ad una residenza in cui stile e creatività firmati IDeaCasa IN, hanno trovato sfoggio e splendore. La realizzazione del progetto di arredo si è sostanziato in una prima fase dedicata all’indoor. Il living è stato studiato dall’Architetto Roberto Destro per consentire accoglienza e confort a tutti gli ospiti della villa, sempre numerosi.

B&B ITALIA imbottito Luis BOFFI cucina XilaST RIMADESIO tavolo Manta B&B ITALIA sedia Vola au Vent MAXALTO contenitore PAOLA LENTI tappeto Air GLAS tavolino Atlantis Una seconda ma non meno importante fase è stata quella dedicata al programma di arredo outdoor. Outdoor funzionale ed armonioso idoneo a soddisfare tutte le esigenze di convivialità volute dai proprietari. Un ampio terrazzo sviluppato su due livelli.

PAOLA LENTI tavolo Sunset PAOLA LENTI sedia Mira B&B ITALIA divano Canasta PAOLA LENTI tavolino Giro B&B ITALIA divano Charles Outdoor IDeaCasa IN Porto Viro Abbiamo creato un nuovo e singolare spazio per diffondere e consolidare la cultura del design. Per noi arredare è un sentimento.

Architetto Roberto Destro art director IDeaCasa IN showroom e spazio eventi: S.S. Romea - Via Murazze, 38/ic 45014 Porto Viro - Rovigo - Italy T. +39 0426 320661 M. +39 377 7060059

www.ideacasain.com 93

Strisce

La Rovra

illustrazioni di Giovanna Gazzi

Sono passato lì accanto proprio il giorno prima che si adagiasse per sempre, forse, sul crinale dell’argine del Po di Goro. Come d’abitudine, scrutando a destra e a sinistra in cerca dell’Averla cenerina, ho posato lo sguardo anche sulla sagoma possente della Rovra, che è sempre stata un elemento rassicurante, nella mia memoria, nel piatto panorama circostante della pianura bassopolesana… sapevi che c’era sempre, e che era là…

La Rovra era veramente un qualcheccosa di speciale, era quel quid in più che rende unico un territorio, era lo schiocco di dita che rende reale una magia…

La Rovra era una di quelle pochissime cose di cui, senza mai averla vista, senti parlare in maniera mirabolante, e provi a immaginare com’è fatta, quant’è grande, cosa ti darà il giorno in cui avrai la fortuna di ammirarla… poi quel giorno arriva, e scopri che, con la sola immaginazione, mai saresti potuto giungere a concepire una simile creatura… gli aggettivi si sprecano… quando ti sei trovato a tu per tu per la prima volta, rimani almeno un minuto a bocca aperta, a guardare all’insù… quanti rami… quante foglie… quanta chioma… mica l’avevi immaginata così… così potente… così evocativa… così fuori dal tempo… così eterna… poi senti il bisogno di correre giù dall’argine, verso il tronco, per vedere quanto è grande, e la prima cosa che ti vien da fare è abbracciarlo, quel tronco, guardando ancora verso l’alto, rimanendo questa volta senza fiato, attaccato alla corteccia di uno degli esseri viventi più grandi che probabilmente avrai la fortuna di toccare in vita tua…

Pensi a Dante Alighieri, che vi si è arrampicato sopra, a Napoleone Bonaparte, che l’ha ammirata al pari tuo, passandoci accanto, cerchi l’entrata della casa dello gnomo che la abita, e che sicuramente deve essere qui, da qualche parte…

Quando il giorno dopo averla vista lì, saldamente al suo posto, ho appreso dai social network che invece la Rovra si era irrimediabilmente accasciata, forse per sempre… dopo il grande dispiacere iniziale, ho cercato informazioni, ho seguito i requiem dedicati dalla folta schiera di ammiratori di questa pianta monumentale… un mio amico, ad esempio, è andato a raccogliere le ghiande per far nascere i figli della Rovra… ora, io non so se il gigante verde si sia accasciato per colpa di qualcuno, se non è stato curato a dovere, o cosa si potrà fare con tutto il legno che ne costituiva il tronco, se darlo a un artista col compito di creare un’opera che onorerà la memoria della Rovra… non so rispondere a questi quesiti, non ne so abbastanza, anche se capisco le voci di coloro i quali si sono arrabbiati… però certe volte ho visto grandi alberi piegati dalle intemperie, dall’età, dai parassiti, fino a stendersi al suolo… e lì continuare a vivere, trasformando i loro stessi rami in nuovi tronchi protesi verso la luce… magari se aspettiamo un po’ le foglie non avvizziscono, magari il gigante è solo stanco, e si è adagiato sull’argine per riposare e faticare di meno… credo che domani ripasserò a guardarla. testo di Danilo Trombin

SAPORI E SAPERI

Le delizie di Bellombra

di Paolo Rigoni illustrazioni di Sofia Boccato

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n progetto di conoscenza del territorio, ideato da Slow Food Rovigo, che intende proporre ed offrire non solo ospitalità ma, insieme, far conoscere storia, tradizione, leggenda e mito. E gastronomia, naturalmente. "Le delizie di Bellombra", sigla che raggruppa tre bed and breakfast, La Marcanta, La Possionanza, La Zanzara, riparte dal passato per dire con chiarezza e pure con convinzione certa che Bellombra, Papozze, Adria ed il Polesine tutto non sono stati uno “spet-

tacolo desolante: acqua, paludi e canneti, interrotti soltanto qua e là da esigue estensioni di grano e viti coltivate nelle parti più alte”1, ma luoghi di lavoro, di vita quotidiana, di cultura e civiltà ove si sono conservati angoli di memoria, paesaggi suggestivi, storie ed umanità profonde, leggende e miti significativi. Una terra mitica? Si direbbe di sì, visti i numerosi sedimenti orali.

Le “delizie di Bellombra” perché una splendida delizia estense, nel luogo attuale detto “Il Palassasso”, docu-

mentata sin dal 14212, fino al 1509 è stata meta della migliore nobiltà ferrarese; una delizia che nel maggio del 1452 accolse addirittura Federico III d’Asburgo, ospite di Borso d’Este, mentre si recava a Roma per l’investitura imperiale: “Avevano quivi i marchesi un palazzo detto di Bellombra - scrive Francesco Antonio Bocchi - nucleo dell’omonima villa dove anche allora esisteva la chiesa parrocchiale di S. Giacomo3. In quel palazzo eretto od ampliato da Borso, donato poscia all’amico suo Teo-

1.V. Montanari, La bonifica delle terre venete, Rovigo, 1950, pp.4-5 cit. in S. Malavasi, Giovanni Maria Bonardo, Agronomo polesano del 500, Deputazione di Storia patria per le Venezie, Vol, XXV, Deputazione Editrice, Venezia, 1988, p. 57. La moderna storiografia, anche accademica, non si è ancora scrollata di dosso alcuni luoghi comuni del passato, secondo i quali Cristo su sarebbe fermato sui confini padovani dell’Adige.

2. Anno in cui vi è la separazione tra il Comune di Adria e il Comune delle Corbole Venete con appositi ordinamenti statutari concessi dal marchese Leonello.

3. In realtà la chiesa di San Giacomo si trovava a Panarella. Minata dal tempo ed erosa dalle acque del Po venne ricostruita a Bellombra, nel luogo attuale, solo nel 1584.

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filo Calcagnini4 ed oggi non altrimenti esistente nel nome di un fondo rustico, l’imperatore cenò e pernottò (19 – 20 maggio). Io m’imagino di vedere il massaro, il sindaco, i consoli di Adria venuti ad onorarlo e presentarlo di pesce (tanto più opportunamente ch’era la sera del venerdì) secondo un’abitudine che vedremo sovente praticata dai nostri cittadini coi loro principi, quando venivano a villeggiare in Corbola.”5 Luogo di caccia, “quam plura et infinita nemora” ricoprivano la zona, di divertimento e di cavalcate in villa di tutta la corte, abbellito dai consigli di Biagio Rossetti, con una serie di obblighi da prestarsi dagli abitanti di Adria e delle Corbole ogni volta che la Signoria decideva di soggiornare in villa, con tutto il codazzo di cortigiani, domestici, servi, cuochi e scalchi: “Che ogni volta accaderà al d. to Sig. re overo ad alcuno della sua famiglia per causa de solazzo, overo esercitio, overo per altra causa andare con la sua compagnia andare alla terra d’Adri, overo alla Villa de Corbole detti huomini, et Commune di Corbole, et Adria siano tenuti dover conferire per la terza parte, et li huomini, et Commune de Corbole per le altre doi parte à dare, et condurre alla Corte quando saranno ricercati per il scalcho, et offitiali, overo Castaldo e de detto Sig.re tutte, et singule quantità de letti, drapamenti, et altre cose necessarie alluso di essa corte, et similmente servire ad essa corte con le sue persone, et nome sicome sarà necessario ad essi offitiali richiesta, purché detti huomini di Adria non siano tenuti di servire alla cusina per portare legne, acqua, overo cose simili, né alcun altra cosa spettante ad essa cusina.”6 Dai primi del ‘500, con il passaggio a Venezia, la delizia

perse il suo rango perché l’oligarchia veneziana mutò modello di appropriazione e di sfruttamento del territorio.

Ma il “Palassasso” ha continuato nei secoli e continua or ora a presidiare il territorio con il suo fascino misterioso.

Un concentrato di mito mai dimenticato è custodito nelle sue fondamenta, nelle sue viscere, sotto gli archi di fondazione, nascosto tra le fronde del frassino pluricentenario e dei pioppi bianchi, silenti testimoni del trascorrere del tempo e delle sue memorie luminose. Sì, perché c’è un Polesine, ignoto ed insospettato, una centuriazione sotterranea, un reticolo labirintico di strade, vie, passaggi segreti, sentieri. Sussistono in ogni dove gallerie che conducono dal Palassasso a Corcrevà, da qui ad Adria e ai Dossi, da Papozze a Villanova correndo interamente sotto l’argine dei frati certosini, da Gavello ai Cisimatti, da Ariano a Mesola, da Mesola a S. Basilio, da S. Basilio al castello di Ferrara… E così pure da chiesa a chiesa, da palazzo a palazzo, da monastero a convento, da forno da pane a forno da pane. In ogni cunicolo e in tutti gli anfratti, mostruose an’se e marassi sibilanti, carbonassi nerastri e gigantesche bisse bòbe7 custodiscono tesori da chissà quanti secoli. Giacciono sepolti ducati, zecchini e marenghi dei Paladini di Francia, la spada di Garibaldi, la carrozza d’oro di Re Adriano, il mitico fondatore di Adria. Una ricerca che periodicamente ritorna anche nelle cronache e che attende i temerari attenti ai segni, in grado di avventurarsi nelle profondità telluriche. Secondo Luigi Groto, il tesoro si trova sotto la chiesa della Tomba di Adria, da dove riemerge la notte del solstizio d’estate, la notte magica di S. Giovanni, trainato da due possenti buoi, guidati da un gigantesco carrettiere: “Un

4. Il duca Borso, la notte di Natale del 1465, creò Teofilo Calcagnini “cavaliere a speron d’oro, gentiluomo di camera, socio e commensale, ossia com’oggi si direbbe –maestro di camera. Inoltre gli donò le tenute o gastalderie di Benvegnante e Bellombra, da lui così intitolate, coi palagi che erano stati edificati”, Archivio Antico del Comune di Adria, F.A Bocchi, Annali Pollicinensi, Busta 399, f.378 Stando al Bocchi, ufficialmente il nome di Bellombra risalirebbe a questa data, anche se il palazzo regalato all’amico Teofilo non sembra essere propriamente la delizia, piuttosto la località che attualmente porta il nome di La Contuga, proprietà dell’omonima famiglia estense. Eleonora Contuga, maritata Calcagnini, nel 1584 donerà a gli abitanti di Bellombra un appezzamento di terra per costruirvi la nuova chiesa. Prova ne sia che sino al cadere del XV secolo sono documentati parecchi donativi di Adria e delle Corsole ai nobili d’Este soggiornanti nella delizia; spulciando qua e là: 30 chepe alla duchessa Eleonora, pesce ed uccelli ad Alfonso, letti e coperte per Ercole ed il marchese di Mantova; e ancora: luzi, reine, tenche, anguille, anadre…

5. Bocchi, Annali cit., f. 154.

6. A. Bellato – P. Rigoni, Lo statuto delle Corbole del 1421. Comune di Adria, 1986. Per tutto l’imponente apparato della “cusina” per “Andata in villa”, si veda, C. Messi Sbugo, Libro novo nel qual s’insegna afar d’ogni sorte di vivande secondo la diversità dei tempi così di carne come di pesce, In Venetia, MDLVII, copia rist. anast, Forni, Bologna, 1982, ff.3-8.

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SAPORI E SAPERI

[tesoro] ce ne cela dentro al cimiterio / Qui de la tomba, che era del Rè Atrio, / Un carro, e al carro son giunte due coppie / Di buoi. E il caratier, che ‘l regge, e siedevi / Sopra un gigante con una gravissima / Mazza in mano. Ed è tutta questa fabrica / D’oro massiccio. E quella chiesa attornia / Tre volte ogni anno a le più folte tenebre / De la notte, la state a venti quattro di / Giugno”8.

Gorghi, paludi, fosse e peschiere ad ogni lunata, ad ogni ansa, ad ogni curva, ad ogni meandro del fiume rimandano il lamento di fanciulle morte d’amori infelici, non corrisposti, inesausti o maledetti. Pianti e singulti tra le canne sibilanti al vento, strida notturne di uccelli solitari che segnalano il fantasma biancovestito di donne scomparse nelle acque nere.

E chiese sprofondate, divenute pietre d’angolo, le cui campane chiamano a raccolta le anime dell’Aldilà per la messa della notte di Natale. Edifici che sono divenuti pietre d’angolo per rendere sicura e certa una terra

Il pozzo dei rasoi

7. I racconti sulle an’se, semplicemente da anguis, biscia, sui marassi e sui carbonassi, modi diversi per definire il saettone, sono assai suggestivi. Si diceva che le an’se avevano un calice sulla testa, che fossero enormi, che compissero salti prodigiosi bloccando il cammino alle persone, che i marassi uscissero dalle tombe e soffiassero così intensamente da sembrare turbini, che non si doveva fissarli per non rimanere pietrificati come succedeva con il basilisco. Le an’se con il calice in testa non sono altro che le serpi crestate che trainavano il carro di Cerere, mentre per quanto riguarda i marassi nei cimiteri, Ovidio riferisce della convinzione in auge ai suoi tempi che faceva nascere le serpi dalla spina dorsale del defunto, OvidiO, Metamorfosi, XV, vv. 389 390. Le bisse bòbe, infine. Plinio segnala serpenti di straordinarie dimensioni chiamati bovae perché si alimentano col latte dei buoi, cfr. PliniO, Naturalis Historia, VIII, 14, e il grande potere che nelle Gallie si assegna ad ovum anguinum, uova di particolari serpenti, impiegate dai Druidi nella medicina, IVI, XXIX, 52 – 54. L’uovo dei serpenti trova riscontro nelle mele d’oro che le bisse bòbe, stando allacciate in riva al Po –si diceva- secernevano e lanciavano in aria giocosamente. E qualcuno arricchiva se coglieva la palla prima che cadesse a terra dandosela, naturalmente, a gambe levate. Comunque sia, i tesori sono ovunque custoditi da esseri mitici. Possono essere giganti come nel successivo carro di Re Atrio del Groto o genericamente folletti, spesso serpenti. Il serpente presidia gli accessi al sacro, s’insinua nelle fenditure della terra, discende nel mondo infero e rinasce da se stesso con la mutazione della pelle. Genius loci, custode e protettore di fonti, altari, oracoli, città. Atene, secondo i Greci, era custodita dal serpente di Atena, divinità ctonia, legata al mondo degli inferi e perciò, in quanto rappresentazione dei defunti e degli antenati, custode delle tombe, del focolare domestico, della casa.

8. l. grOtO, Il Thesoro, Comedia nova di Luigi Groto, Cieco d’Hadria, Appresso Fabio, e Agostin Zoppini Fratelli, In Venetia, MDLXXXIII, in l. grOtO, Opere, vol. II (a c. di G. Brunello e A. Lodo), Atti del Convegno di studi Luigi Groto e il suo tempo (Adria 27-28 Aprile 1984), Minelliana, Rovigo, 1987, pp. 155-156.

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REM

mutevole ad ogni stagione delle piogge o ad ogni mareggiata. In ogni paese, in ogni singolo gruppo di case, pozzi dei rasuri, dei rasoi. Pozzi maledetti, che echeggiano delle grida di ragazze spulzellate e fatte sparire senza lasciare traccia. Una miriade di pozzi dei rasoi che testimoniano, nella tradizione orale, arcaici luoghi di culto nei quali si compivano sacrifici di vittime, anche umane, per sacralizzare le fonti o impetrare la fecondità della terra. Pozzi che si collegano alla favissa dei Celti, al botrhos greco, al mundus latino, ove dimoravano gli eroi eponimi, fondatori e custodi vigili della comunità. E ancora acque sommerse sopra le quali è stato costruito il nuovo paese dal quale si può ancora udire il minaccioso scroscio sotterraneo, scrofe rosse terrificanti che si materializzano in ogni anfratto del paese, della borgata più isolata, dello stradone più buio, della corte più lontana; il

Taiavene che si annida tra i pioppi delle golene, assetato di sangue giovane e virginale per ristabilire le sue forze ormai declinanti, il Salvanèlo che inganna in viaggiatori notturni, che insidia le donne, se formose e giunoniche, ma che talvolta perde il suo cappuccio rosso, il pilleum, e per riaverlo è costretto a rivelare l’ubicazione di un tesoro. Come avvenne per colui che trovò il putin d’oro nelle campagne della Possionanza…9 Sembra quasi che nella terra delle tre onde in mare il mito abbia affondato le sue pietre d’angolo e collocato una serie ininterrotta di divinità telluriche a protezione della vis generativa di una terra nuova, per farne un avamposto insormontabile e saldo contro l’elemento equoreo, incerto, mutevole e pericoloso, sempre pronto ad ingurgitare campi or ora prosciugati.

DIDA

Il Palassasso

9. Per i materiali cui si fa riferimento si vedano: P. Rigoni, Presenze mitologiche nella tradizione orale del Polesine, in Etnografie intorno al Polesine in età moderna e contemporanea, a cura di G. Giacobello, Atti del XXIV Convegno di Studi organizzato dall’Ass. Cult. Minelliana, Rovigo, Accademia dei Concordi, 11 – 12 novembre, 2000, Minelliana, Rovigo, pp. 241 – 282; P. Rigoni, Il tesoro di Garibaldi, in Garibaldi e il Polesine tra Alberto Mario, Jesse White e Giosuè Carducci, a cura di Z. Ciuffoletti, , Atti del XXX Convegno di Studi storici organizzato dall’Ass. Cult. Minelliana, Lendinara e Rovigo, 26 - 27 ottobre 2007, Minelliana, Rovigo, 2009, pp. 279 – 284.

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MESSAGGIO REDAZIONALE

“Ambiente Territorio” è lo sportello dell’anno 2013: Bancadria prosegue nel percorso d’innovazione

P

pee e non solo, come Deutsche Bank, Sparkasse, Raiffeisen, Singapore Bank ed altre.

Sullo sportello “Ambiente Territorio” così si esprimeva nel 2010 il Presidente di Bancadria Giovanni Vianello, all’atto della sua inaugurazione: “Nell’anno 2006, nella ricorrenza del 110° anniversario della fondazione della nostra Banca (allora Santa Maria Assunta, ndr) abbiamo inteso dare alla nostra azione una precisa collocazione ed abbiamo deciso di rivedere, fino al punto di metterlo in discussione, il nostro modo di fare politica bancaria, convinti come siamo che oggi le BCC devono intraprendere un nuovo percorso, che potrebbe essere così sintetizzato: credere nel territorio, promuovere le azioni economiche socialmente ed eticamente utili. Un percorso, quindi, altamente innovativo (e ciò rende giustificato e consequenziale il premio vinto a Francoforte per una Banca che pone a base del proprio operare la qualità e lo stretto contatto con la società e con il territorio, ndr) e che, contemporaneamente, vede la Banca impegnata a ricoprire con attenzione il ruolo di tutoraggio nei confronti delle imprese, prevalentemente medie e piccole, sempre di natura locale, che chiedono agli istituti bancari

arte da lontano il prestigioso risultato internazionale ottenuto da Bancadria-Credito Cooperativo del Delta. Un risultato ancora troppo recente per essere assimilato dal territorio, anche perché ancora non ci si rende perfettamente conto della portata del progetto e non si valuta compiutamente il cambio di passo della Banca, con tutti i risvolti e le implicazioni in esso contenute.

Il 17 settembre 2013, in Germania e più esattamente a Francoforte, nel contesto di un convegno bancario e finanziario, alla presenza di importanti istituzioni bancarie, Bancadria è stata insignita dell’ambito premio biennale a livello internazionale denominato “Sportello dell’Anno 2013”, organizzato dalla nota rivista “Geldinstitute”, specializzata nel mondo della finanza e delle banche.

Nella circostanza, lo spazio “Ambiente Territorio”, quale parte terminale del più ampio progetto “Portale Ambientale”, ha vinto nella prestigiosa categoria di “miglior concetto di innovazione per l’operatività di sportello”, giudicato da cinque esperti totalmente indipendenti. Il concorso ha visto la partecipazione di istituzioni bancarie euro104

REM

un aiuto finanziario equo ed etico”.

La rivista organizzatrice del Convegno ha così motivato la vittoria di Bancadria: “Bancadria non fa distinzioni fra rispetto della natura, territorio ed il proprio business. Anzi, con il suo sportello “Ambiente Territorio” ha cercato e creato una sinergia davvero vincente: i clienti trovano in questo spazio dedicato non solo i classici professionali servizi bancari, ma anche personale specializzato nella consulenza tecnica in diversi e specifici settori, dalla pesca all’agricoltura, dall’edilizia sostenibile alle energie rinnovabili.

Questa nuova filosofia ha come obiettivo uno sviluppo ecosostenibile del territorio ed ovviamente un incremento della clientela della Banca”.

Grande soddisfazione è stata esternata dai componenti il Consiglio di Amministrazione presenti nell’occasione a Francoforte. Per tutti la convinzione di aver concepito e di aver lavorato su un progetto davvero vincente, visto che il risultato di oggi si affianca a quello già ottenuto nel 2010 con il “Green Global Banking”, premio nazionale che ha riconosciuto Bancadria ed il suo prodotto etico “Finetic-Fai valere l’Ambiente”. La soddisfazione generale è stata condivisa in due distinte circostanze: con una conferenza stampa presso lo sportello vincitore con tutto l’ufficio di Presidenza e con una presentazione presso il Palazzo della Provincia con la Presidente Tiziana Virgili che ha avuto parole di plauso che hanno messo in risalto “un’eccellenza del Polesine a livello internazionale; un premio - ha voluto sottolineare - né scontato, né regalato. Per una Banca locale, concettualmente piccola, ancor più se del nostro Polesine, questo premio deve avere un valore ancora maggiore”.

Protagonisti della conferenza stampa in Provincia: al centro la presidente Tiziana Virgili, alla sua destra il presidente di Bancadria Giovanni Vianello

Componenti il C.d. A. di Bancadria alla conferenza stampa presso la sede di “Ambiente Territorio”

La premiazione a Francoforte: a sinistra il presidente Giovanni Vianello e a destra il vice presidente vicario Raffaele Riondino mostrano i riconoscimenti ricevuti. Al centro il presidente della Dreika di Bolzano, azienda allestitrice dello sportello vincitore “Ambiente Territorio” 105

I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO Luigina Badiale è nata e vive a Cavarzere, ha lavorato come direttore amministrativo in diversi Istituti scolastici. é impegnata in molte attività di volontariato ed è presidente del Presidio del libro di Adria, associazione che organizza incontri ed iniziative finalizzate alla promozione della lettura.

Natalino Balasso è attore, comico e autore di teatro, cinema, televisione e libri. é nato a Porto Tolle nel 1960. Debutta in teatro nel 1990, in televisione negli anni ‘90, in cinema nel 2007 e pubblica libri dal 1993. é collaboratore di REM fin dal primo numero.

Marco Barbujani è nato ad Adria nel 1992, si è diplomato al Liceo Classico “Bocchi” e studia tecnologie forestali e ambientali all’Università di Padova. Nel tempo libero si dedica alla lettura, alle piante e agli innumerevoli esperimenti musicali che porta in giro per il Polesine.

Riccardo Bego è nato ad Adria nel 1964, segue per la Fiom-Cgil il comparto metalmeccanico del territorio di Rovigo. Con lo pseudonimo Pino Sbando anima le pagine dello scalcinato blog di satira “Antimateria grigia”.

Francesco Campi è nato a Firenze dove si innamora presto del giornalismo iniziando a collaborare con quotidiani locali. L’amore cresce e lo porta a fare follie, come l’abbandono della città natia per Rovigo, dove, divenuto professionista, fra collaborazioni e uffici stampa, ha messo radici da ormai sette anni. Anche se a sentirlo parlare non si direbbe...

Guido Conti è nato a Parma nel 1965, è uno dei più noti scrittori italiani. La sua attività editoriale, di promozione della lettura e della scrittura è vastissima. Con il volume di racconti “Il coccodrillo sull’altare” ha vinto il premio Chiara nel 1998. Con “Giovannino Guareschi, biografia di uno scrittore”, edito da Rizzoli nel 2008, ha vinto il premio Hemingway per la critica 2008. Insegna tecniche della scrittura presso biblioteche e università. Ha fondato riviste letterarie e settimanali.

Nel 2012 ha pubblicato “Il grande fiu-

me Po” (recente Premio “Carlo Levi”), un vero e proprio viaggio attraverso i luoghi, le poesie ed i racconti che affiorano lungo il corso del grande fiume.

Paolo di Paolo, scrittore romano, è autore di “Mandami tanta vita” (Feltrinelli), finalista al Premio “Strega” 2013. Ha esordito nel 2004 con i racconti “Nuovi cieli, nuove carte” (Empirìa, finalista Premio Italo Calvino per l’inedito 2003). Nel 2008 ha pubblicato il romanzo “Raccontami la notte in cui sono nato” (Perrone), nel 2009 “Questa lontananza così vicina” (Perrone). Nel 2011 è uscito “Dove eravate tutti” (Feltrinelli, vincitore Premio Mondello, Superpremio Vittorini e finalista Premio Zocca Giovani). Scrive per il teatro e collabora tra l’altro con il supplemento “Domenica” de “Il Sole 24 Ore”, con le pagine culturali de “L’Unità”, con la riviste “Nuovi Argomenti” e “L’indice dei libri del mese”.

Tobia Donà è nato ad Adria nel 1971, è laureato in architettura allo IUAV, i suoi articoli sui temi di arte e architettura sono pubblicati in diverse riviste, è docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Camilla Ferrari, cantante e attrice, è nata a Rovigo. In giovane età si è avvicinata al teatro e non se ne è più allontanata. Nel frattempo, formatasi musicalmente come cantante, ha scelto il jazz. Insieme ad altre quattro cantanti ha fondato il gruppo vocale a cappella “Le Bruit” con il quale gira l’Italia in lungo e il largo, collaborando con Banda Osiris, Swingle Singers e Zap mama. é laureata in archeologia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e collabora per la pagina culturale del quotidiano RovigoOggi.it. é cantante solista nel “Cami’s Trio”, con cui si è aggiudicata il primo premio al Concorso di musica jazz per giovani talenti “Jazzup Newgeneration” di Viterbo. Tiene laboratori di vocalità e frequenta il terzo anno di canto jazz presso il Conservatorio “Venezze” di Rovigo.

Giovanna Gazzi è diplomata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Verona, ha iniziato a lavorare come

illustratrice di libri scolastici e di varia per bambini. Realizza laboratori di pittura e illustrazione inerenti a progetti lettura con i bambini dai tre anni in su, oltre a corsi d’aggiornamento per insegnanti delle scuole materne ed elementari; svolge corsi di pittura annuali con ragazzi diversamente abili e si è occupata di formazione alla didattica dell’arte per operatori museali. é parte dell’equipe al femminile “Textures”, quattro matite colorate e intraprendenti che si occupano di produzione di immagini e attività artistiche, tra le quali “Alphabet”, svoltasi recentemente a Rovigo.

Paula Carolina Gonzalez è nata a Quilmes, un quartiere a sud di Buenos Aires. La sua famiglia è multietnica: nonni paterni spagnoli, nonna materna italiana e nonno polacco.

Liana Isipato è nata e vive a Cavarzere, ha insegnato materie letterarie nelle scuole medie. é impegnata nel volontariato Auser e fa parte, come pure Luigina Badiale, dell’Iveser (Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea) presieduto da Mario Isnenghi.

Bruna Giovanna Pineda è nata a Rovigo nel 1967. Da sempre attenta alle tematiche sociali, ha aderito alla rete nazionale antirazzista e partecipa a varie iniziative contro le deportazioni dei migranti e contro i Cpt, oggi Cie. Aderisce al Social Forum polesano e ha fondato con altri a Rovigo l’associazione Migro Diritti Senza Confini. é stata assessore comunale alle pari opportunità e all’immigrazione a Rovigo.

Paolo Rigoni è nato ad Adria nel 1949. Tra i fondatori del Centro Etnografico Adriese, è insegnante di lettere, studioso delle tradizioni locali, amante dell’enogastronomia. é fiduciario della condotta di Rovigo di Slow Food.

Sergio Sottovia è nato a Crespino nel 1946. Pubblicista dal 1990, ha respirato l’aria sportiva dei campi di calcio come giocatore e dirigente della Fulgor Crespino. Benemerenza sportiva della FIGC, del Coni e della Provincia di Rovigo, è stato cronista e

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cantastorie per “Il Resto del Carlino” e per “Areasport” Rovigo. Ha pubblicato con Apogeo la trilogia “Polesine gol” (100 personaggi del calcio polesano) e la storia degli “Olimpionici & Gentlemen” nel libro edito per i 50 anni del Panathlon Rovigo. é l’animatore del sito www.polesinesport.it, straordinaria banca dati dello sport polesano e non solo.

Vincenzo Tinè è soprintendente per i beni archeologici del Veneto e è stato direttore del Museo Archeologico Nazionale di Fratta Polesine. Esperto di Archeologia Preistoirica italiana ed egea, ha pubblicato più di cento contributi scientifici in italiano e in inglese, tra cui diverse monografie e atti di convegni.

Danilo Trombin vive ad Adria, dove è nato nel 1972. Lavora come tecnico faunista nel settore del monitoraggio e della ricerca, soprattutto nel territorio del delta del Po. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici sull’avifauna e collaborato alla stesura di opere divulgative su fauna e flora del delta del Po. Ha pubblicato con Apogeo, con Emiliano Verza e a cura dell’Ente Parco, il volume “Le Valli del Delta del Po”.

Vainer Tugnolo è tra gli animatori dell’Associazione culturale Magnacharta di Porto Tolle e collaboratore di REM fin dall’inizio. Appassionato di cinema, è tra i promotori della rassegna “Delta d’autore”, giunta quest’anno alla sesta edizione.

Sofia Verza è una studentessa rodigina. Iscritta a giurisprudenza europea e trasnazionale all’Università di Trento, è attualmente in Erasmus a Istanbul. Ha scritto articoli per il blog “Diary from Jenin” dell’associazione no- profit Maia Onlus di Trento e realizzato un foto-reportage sulla città di Jenin (West-Bank) intervistando le Ngo’s locali. Collabora con il giornale “Trentino”. Diplomata in chitarra classica, nonostante la giovane età vanta esperienze importanti nel settore solidarietà con la mensa dei poveri di Rovigo e le associazioni “Libera” e “Volontarinstrada” di Trento.