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Ing. A. Cella, Ing. I. Lanza, Dott. M. Lattere

SRP3- STRUTTURA RESIDENZIALE PSICHIATRICA PER INTERVENTI SOCIO-RIABILITATIVI

Norma attuale DLR Liguria 2018 Norma integrativa/sostitutiva

Requisiti strutturali SRP 3

È organizzata in moduli fino a 8 posti letto per un massimo di 3 moduli . È preferibilmente collocata in contesto residenziale urbano o vicino a zone di vita urbana. È raggiungibile con mezzi pubblici. È assicurata la visitabilità condizionata di cui all’art. 5 comma 7 del D. Lgs. n. 236/89. visitabilità di cui all’art. 5 comma 7 del D. Lgs n. 236/89. Sono garantite condizioni di sicurezza per gli ospiti (ad es., messa in atto di sistemi per la sicurezza antincendio). Le camere possono essere personalizzate, anche con l’inserimento di arredi personali.

Fondamentale che l’immobile disponga di adeguata privacy rispetto a tutte le vedute esterne

Per ogni modulo sono previsti:

• Camere da letto a 1 o 2 posti letto (superficie rispettivamente di 9 o 14 mq); • Un servizio igienico completo ogni 4 pl; • Presenta le caratteristiche delle civili abitazioni: - un’organizzazione interna che garantisca gli spazi e i ritmi della normale vita quotidiana (soggiorno/sala pranzo); - cucina e locali accessori, adeguati alle normative vigenti in materia. Se tale servizio è appaltato all’esterno, è presente un locale per porzionatura.

• Tutta la struttura dovrà applicare criteri progettuali di prevenzione all’autolesionismo; • Le finestre e le porte finestre avranno maniglie asportabili; • Le finestre, le porte ed in generale tutto il perimetro esterno dell’immobile dovranno avere sistemi di controllo al transito non autorizzato; • I bagni avranno dimensioni ed attrezzature per utenti disabili, impermeabilizzati anche verticalmente garantendo la tenuta; • I rilevatori antincendio dovranno distinguere il fumo di tabacco da quello della combustione • I sistemi di illuminazione nelle camere da letto dovranno garantire un livello di luminosità idoneo ad un controllo visivo dei pazienti senza disturbo al sonno; • Dovranno essere disponibili accendini elettrici e ridotti o eliminati quelli a gas. • Dovrà esistere uno spazio buffer per garantire spazi residenziali idonei a pazienti asintomatici o paucisintomatici, compresi percorsi differenziati per il personale, spogliatoi, porzionatura cibi, ecc.); • Dovranno essere garantiti spazi verdi esterni, comprensivi di sedute, illuminazione notturna, percorsi idonei anche a persone diversamente abili; • Gli spazi comuni è necessario abbiano idonei sistemi di riduzione della riverberazione.

Servizi generali (per l’intera struttura):

Requisiti tecnologici

È necessario che i colori siano scelti nella scala di quelli rilassanti (azzurri e verdi) utilizzando colori vivaci sono in ridotte campiture per evitare sovraeccitazione; Favorire affacci delle finestre su spazi verdi. È altamente funzionale prevedere un sistema domotico di controllo delle presenze, dei percorsi e di eventuali uscite non autorizzate/previste

Requisiti impiantistici

È assicurato il collegamento funzionale con il Dipartimento di Salute Mentale.

Condizionamento e riscaldamento

Dovranno essere ridotte e possibilmente eliminate tutte le utenze alimentate a combustibile fossile, utilizzando energia elettrica, auspicabilmente autoprodotta con fonti rinnovabili Deve essere garantito un sistema di rinnovo dell’aria, tale da garantire il raggiungimento di condizioni termoigrometriche rientranti nel “range” del confort ambientale (vedi ad es. diagramma psicrometrico benessere Aicarr e ISO 7730/84) e si consiglia, considerando l’utenza, di evitare i valori minimi sia in inverno sia in estate. Il calore dell’indice di benessere PMV deve essere valutato e rientrare nel range -0,5 / +0,5. Le portate dell’aria saranno quelle derivanti dal calcolo per il raggiungimento dei valori termoigrometrici previsti; è ammesso il ricircolo nei limiti del 30%. Dovranno comunque essere sfruttate al meglio le condizioni ambientali esterne e le caratteristiche distributive degli spazi per favorire la ventilazione naturale dell’edificio; resta comunque imprescindibile il rispetto delle normative sul contenimento dei consumi energetici e ricorso a energie alternative non convenzionali. I diffusori dell’aria devono essere posizionati tenendo conto dell’arredo interno favorendo quelli con limitata turbolenza e comunque con getto possibilmente esterno alle zone di riposo (letti, poltrone, tavolo servitore, ecc.). L’intero sistema di climatizzazione deve essere conforme alle normative regionali sulla qualità dell’aria (L.R. 2 luglio 2002 n. 24). Il progetto dell’impianto deve essere dettagliato e riportare tutti i parametri considerati e gli output previsti; i contenuti prestazionali del progetto, riguarderanno: - caratteristiche generali; - modalità d’uso; - organizzazione del progetto; - definizione stanza per stanza della classe d’igiene, dei limiti climatici e delle caratteristiche tecniche e strutturali dei materiali impiegati; - apparecchiature; - manuale sicurezza e antincendio; - criteri di risparmio energetico; - prove di verifica; - normativa di riferimento.

Gas medicinali

La distribuzione dei gas medicinali deve essere realizzata con sistema di stoccaggio, rete di distribuzione e terminali di stanza soltanto nelle strutture e nelle aree in cui è prevista la creazione di un area buffer.

Impianti elettrici e impianti speciali

- Collegamento digitale anche con sistemi di Telemedicina. - Collegamenti con maxischermo nelle aree buffer ed in generale almeno in un locale utilizzabile per contatti virtuali

L’Umanizzazione delle cure passaggio obbligato per la tutela delle persone

ING. GIULIO TAGLIAFICO Dirigente Ingegnere S.C. Patrimonio e Gestione Tecnica presso ASL2 - Savona Commissione Sanità Ordine Ingegneri Genova

« Il primo requisito di un ospedale dovrebbe essere quello di non far del male ai propri pazienti ». Approcciando la tematica dell’Umanizzazione delle cure, ci si imbatte inevitabilmente nella produzione di Florence Nightingale (18201910), considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica, da cui è tratto l’aforisma iniziale. Svolgendo attività quotidiana all’interno del SSN, e con la consapevolezza che la Pubblica Amministrazione ha la missione di tutelare Diritti, tale affermazione può essere guida nella definizione delle scelte, delle priorità e delle strategie. Il Sistema Sanitario Nazionale viene istituito come strumento a servizio della Repubblica (L. 833/1978) al fine di tutelare la Salute come fondamentale diritto dellindividuo e interesse della collettività (art. 32 Costituzione Repubblica Italiana). La definizione di Salute si può trovare nell’Atto

Costitutivo dell’Organizzazione

Mondiale della Sanità (1948) ed include già non solo lo stato “clinico” della persona, ma anche il suo sistema di relazioni: «La Salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la mera assenza di malattia o d’infermità . L’articolo 14 del titolo IV del D. Lgs. 502/1992 introduce il concetto di “ misura ” della prestazione sanitaria, prevedendo indicatori di qualità dei servizi e delle prestazioni relativamente, tra altre, all’Umanizzazione dell’assistenza. Il patto per la salute 2014-2016, all’art. 4, impegna le Regioni ad attuare interventi strutturali di Umanizzazione (oltre che organizzativi e relazionali) in ambito sanitario; il patto per la salute 2019-2021, alla scheda 14, pone il focus sulla partecipazione e l’interazione del cittadino quale portatore di interessi. Regione Liguria, con Legge

Regionale numero 9/2017

e con DGR 1185/2017 , ha aggiornato le norme in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie. Il capitolo 8 del manuale di accreditamento istituzionale tratta di “Umanizzazione”, criterio così declinato: «L’impegno a rendere i luoghi di assistenza e i programmi diagnostici e terapeutici orientati quanto più possibile alla persona, considerata nella sua interezza fisica, sociale e psicologica è un impegno comune a tutte le strutture». L’accreditamento istituzionale è uno strumento di garanzia della qualità delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie, che devono soddisfare criteri qualitativi ritenuti sufficienti ad assicurare i Livelli Essenziali di Assistenza . L’accreditamento è obbligatorio per ogni struttura (intesa sia come “contenitore” strutturale sia come servizio organizzato) al fine di poter accedere al finanziamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Nel criterio riferito all’umanizzazione, richiamando la centralità del paziente e il principio dell’appropriatezza delle cure, i requisiti richiesti afferiscono sia ad aspetti organizzativi quali la sfera della relazione e della comunicazione, sia ad aspetti tecnici: garanzia di “condizioni di comfort” nelle aree dedicate ai

pazienti, al personale, agli accompagnatori. I requisiti tecnici che una struttura sanitaria deve soddisfare sono stabiliti dal DPR 14/1/97: «... requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private» e, per quanto riguarda Regione Liguria, dalla citata LR 9/2017.

Umanizzazione e progettazione di un luogo di cura

Cosa significa Umanizzare le cure o i luoghi di cura? «Per umanizzazione s’intende quel processo in cui il paziente, come persona, e non solo come soggetto malato, è al centro della cura e, considerando le sue esigenze materiali, psicologiche e spirituali, conserva la dignità, l’affettività, la socialità e se ne salvaguarda oltre che il benessere fisico anche quello psicologico ” (Belvedere, 2010). Tale definizione pone la persona, non solo in quanto paziente, al centro di un processo di cura che coinvolge ogni aspetto della sua vita, necessariamente sociale e articolata. Le relazioni, sia sociali (con le altre persone), sia con l’ambiente circostante (con la struttura in cui si trova), sono centrali nella percezione che la persona avrà delle proprie esperienze e nel decorso della patologia, pertanto nel processo di progettazione e gestione delle strutture sanitarie questo aspetto va tenuto in massima considerazione. Le esigenze di Umanizzazione possono rivelarsi in contrasto con i vincoli strutturali e progettuali degli specifici progetti, rendendo necessario un processo di ottimizzazione delle risorse ed armonizzazione delle soluzioni tecniche adottate.

Il Progetto di un luogo di

cura, così come di ogni altra struttura o impianto, si può

definire come un processo costituito da un insieme di

attività coordinate, svolte attraverso una specifica organizzazione di risorse, caratterizzato da vincoli (tempi e costi definiti, requisiti tecnici) e obiettivi specifici (soddisfazione di un quadro esigenziale). Gli input al progetto possono essere schematizzati come: obiettivi, che corrispondono alla definizione di un quadro esigenziale, e in cui trovano collocazione i criteri di Umanizzazione; vincoli (tempi, risorse, performance); disturbi quali imprevisti, variazioni normative, contenzioso ( Nari et al , 2017). Gli output del progetto sono il prodotto (opera), da realizzarsi nel rispetto dei vincoli, e il raggiungimento degli obiettivi (soddisfazione del quadro esigenziale). In un’opera pubblica, lo sviluppo di un progetto ha una articolazione rigidamente strutturata che ricalca le fasi previste dal Codice dei Contratti (D.Lgs. 50/2016): Programmazione ( art. 21 Cod.), Progettazione (art. 23 Cod.) suddivisa in vari livelli, tra cui il progetto di fattibilità tecnica ed economica che individua la soluzione che presenta il miglior «rapporto tra costi e benefici per la collettività , in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare », che viene poi sviluppata dai progetti definitivo ed esecutivo, e concretizzata in fase esecutiva. La definizione del quadro esigenziale costituisce il momento in cui si stabilisce l’input più significativo alla progettazione. Per la sua definizione, è essenziale identificare i portatori di interesse (tutti) per l’opera, e le loro esigenze, in coerenza con la finalità, per un’opera in ambito sanitario, di tutela del diritto alla Salute. Sono identificabili: stakeholder esterni , che manifestano l’esigenza di salute nel ricevere assistenza (le persone malate e il loro sistema di relazioni); stakeholder interni, che manifestano l’esigenza di salute nel prestare assistenza (progettazione ergonomica e funzionale, D.Lgs. 81/08); stakeholder esterni ed interni, che manifestano esigenze diverse quali trasparenza, informazione, esigenze amministrative, professionali, di rendicontazione sociale. Le esigenze emerse per il singolo progetto (caratterizzato da unicità) andranno calate all’interno dei vincoli del progetto stesso, tendendo ad una ottimizzazione che rappresenti il miglior compromesso per la collettività. La definizione del quadro esigenziale auspicabilmente avrà carattere dinamico in coerenza con l’evoluzione del progetto (variazione e riadattamento a fronte di disturbi). Con la conclusione del progetto è possibile misurare i risultati ottenuti in termini di rispetto dei tempi, dei costi e di conformità tecnica; è inoltre opportuno misurare il grado di soddisfacimento dei bisogni, che può essere valutato tramite questionari POE ( Post Occupancy Evaluation).

Gli aspetti rilevanti di Umanizzazione

Perché Umanizzare? Diversi studi dimostrano che pazienti posti in condizione di avere una relazione positiva con l’ambiente (sia con altre persone sia con l’ambiente fisico circostante) mostrano una ricaduta positiva dell’evoluzione clinica della malattia in termini di minore stress, minor ricorso ad antidolorifici, degenze più brevi (Frampton et al., 2008), pertanto la realizzazione di un buono spazio di relazione, anche strutturalmente, contribuisce in senso stretto alla tutela della Salute. Sono identificabili tre aspetti ( Rassu et al., 2001) dell’Umanizzazione: amministrativo (facilitazione delle pratiche e dei rapporti con l’ente), strutturale (comfort di tipo alberghiero, sicurezza, abbattimento barriere architettoniche, attrezzature, ambiente, arredo, colori, luminosità, rumore, igiene, servizi alla persona, connettività, dotazioni dei locali), relazionali. Raccogliendo i risultati ricavati da interviste e dall’analisi bibliografica condotta da alcuni studi (Belvedere, Biolchini, Del Nord) è possibile identificare gli aspetti ritenuti di maggior rilevanza. Esigenze di chi riceve assistenza: privacy (spazio privato nelle interazioni), accudimento (presenza familiari), disimpegno mentale (vista esterna, quadri e dipinti, musica, colori, connettività), continuità con l’ambiente domestico (impianti nascosti), attenzione alla sfera spirituale (luogo di culto, multiculturale), wayfinding , qualità degli spazi di relazione, benessere ambientale : acustico, termoigrometrico (temperatura, umidità, velocità dell’aria, irraggiamento, PMV); visivo, olfattivo. Esigenze di chi presta assistenza: ergonomia e funzionalità degli spazi, benessere termoigrometrico (quale esempio di unicità si può richiamare la particolare necessità di adeguare i sistemi di climatizzazione alle condizioni di vestizione, per esempio con riferimento al grado di vestizione che nei reparti adibiti alla gestione dell’emergenza COVID-19 è radicalmente cambiato), acustico, visivo. Esigenze di chi presta attività di supporto (logistica, manutenzione, pulizie): accessibilità e agevoli spazi di movimentazione, accessibilità degli impianti con chiara identificabilità, sicurezza delle superfici, minimizzazione delle interferenze con l’attività sanitaria. Il complesso quadro di esigenze che si può delineare per ogni singolo progetto, va calato nella realtà dei vincoli progettuali. Sia il DPR 14/1/97, sia la normativa regionale di Regione Liguria, nella parte relativa ai requisiti di carattere generale, comuni ad ogni singola tipologia di attività, richiamano sostanzialmente l’intero quadro normativo applicabile agli edifici civili, in termini di protezione antisismica, antincendio, acustica, di sicurezza elettrica e antinfortunistica, di igiene dei luoghi di lavoro e protezione dalle radiazioni ionizzanti, di barriere architettoniche, smaltimento dei rifiuti, microclima, distribuzione dei gas e dei materiali esplodenti. Tali richiami permettono di garantire l’umanizzazione degli spazi di cura dal punto di vista Strutturale. Le esigenze dei portatori di interesse, e i requisiti di ottimizzazione tecnica degli ambienti di cura, sono spesso in contrasto tra loro, in maniera tanto più forte quanto più è elevata l’intensità di cura prestata. La necessità del massimo utilizzo degli spazi contrasta con l’esigenza di privacy (e.g. camere singole) e di spazi per la socializzazione, l’accessibilità degli impianti contrasta con la loro integrazione architettonica, la massima standardizzazione

con la personalizzazione degli ambienti, la gestione impiantistica centralizzata con il comfort personalizzato.

Altro vincolo di grande impatto, è rappresentato dalla struttura, spesso esistente, all’interno della quale vengono inserite le

nuove attività sanitarie , tramite rifunzionalizzazioni o riconversioni, che rappresenta un vincolo e una limitazione alla potenzialità dei progettisti di perseguire l’ottimizzazione delle cure anche tramite l’adozione dei criteri di umanizzazione ponendo realmente e completamente la struttura a servizio del paziente. Nel processo di progettazione è quindi necessario trovare un buon bilanciamento tra le esigenze tecniche e le esigenze di Umanizzazione, privilegiando le prime nei

locali e servizi a più alta intensità di cure e densità impiantistica, e le seconde nei locali e servizi a più bassa intensità, dove possono essere maggiormente fruite dalla persona-paziente, o dove hanno un ruolo considerevole nel processo di cura (e.g. lungodegenze, strutture psichiatriche).

Linee guida e metriche

Nella normativa citata, non vi è richiamo esplicito a requisiti specifici, ovvero a metodi di valutazione e misura del “grado di umanizzazione”. Per poter esprimere un giudizio che fornisca dati confrontabili tra loro, è necessario ricorrere a metriche che permettano di tradurre dati di tipo qualitativo in dati di tipo quantitativo. Le Linee Guida

sull’Umanizzazione degli

spazi di cura del Ministero della Salute (cfr R. Del Nord), propongono una metrica per la valutazione del grado di umanizzazione di una struttura basato sull’attribuzione di un punteggio ad una serie di requisiti (raccomandazioni o items ) che sono stati identificati come qualificanti. Ad ogni indicatore è applicato un sistema di pesatura personalizzabile secondo l’importanza che si attribuisce alla singola raccomandazione o allo spazio in cui viene valutata. dove I(j) è il peso attribuito

allo spazio i-esimo (degenza, attesa, sala riunioni, …), G(i) è il giudizio per la raccomandazione (i-esima), P(i) il peso attribuito alla raccomandazione i-esima. La presenza dei pesi consente di personalizzare la valutazione, secondo i parametri che vengono ritenuti maggiormente significativi, ma va resa omogenea tra strutture ed organizzazioni differenti, al fine di assicurarne la comparabilità. Ad esempio, parametri per la valutazione di qualità di una sala d’aspetto sono l’accessibilità a diverse tipologie di utenti (e.g. adulti, bambini), la multifunzionalità degli spazi, la custodia degli effetti personali. Altra metrica è proposta dall’AGENAS, Agenzia

Nazionale per i Servizi

Sanitari Regionali , a seguito dell’attività ad essa demandata dalla Conferenza Unificata (2007). Agenas che ha sviluppato una checklist per la valutazione partecipata del grado di umanizzazione delle strutture di ricovero, che prevede l’utilizzo di 29 criteri per un totale di 142 items applicabili, suddivisi in quattro macro aree: processi orientati al rispetto e alla specificità della persona, accessibilità fisica dei luoghi, accessibilità delle informazioni, cura della relazione con il paziente. Per ogni criterio viene assegnato un punteggio, tramite la valutazione sui singoli item, che permette di ottenere un punteggio numerico rappresentativo del grado di umanizzazione raggiunto da una struttura. Punteggi aggregati e mediati possono quindi essere ottenuti per strutture, su scala aziendale o regionale, o a livello nazionale. Pertanto possono essere utilizzati sia come misurazione di un singolo livello di performance da monitorare nel tempo nell’ottica del miglioramento continuo, sia come dato statistico di una popolazione di strutture sanitarie.

Conclusioni

anche tramite la progettazione attenta degli aspetti strutturali (l’ambiente fisico) che si pongono inevitabilmente in relazione con il cittadinopaziente influenzandone la qualità dell’esperienza e il decorso clinico, è un obiettivo coerente con l’impianto normativo attuale, con l’ottica del miglioramento continuo delle cure, e con la missione del SSN. La coesistenza con la normativa e i vincoli tecnico economici comportano la necessità di giungere a compromessi che garantiscano il miglior rapporto costi benefici per la collettività.

Nell’ambito della gestione di un progetto, il soddisfacimento delle esigenze di Umanizzazione rientra tra gli obiettivi del progetto da definire in maniera approfondita con i portatori di interesse, e che pertanto è auspicabile misurare a fine (e nel corso del) progetto.

Gli aspetti connessi alla progettazione tecnica delle strutture sanitarie (architettura, strutture, impianti, arredi e finiture), possono essere oggetto di miglioramento prevalentemente in occasione di nuova realizzazione o ristrutturazione dell’esistente. La normativa attuale prescrive il rispetto di una qualità tecnica minima (requisiti minimi di carattere generale DPR 14/1/97) e una dotazione minima di locali e requisiti tecnici (in Liguria LR 9/2017) adottando un approccio di tipo prescrittivo: il rispetto della prescrizione rende una soluzione conforme, e viceversa. Come promuovere l’utilizzo dei criteri di Umanizzazione?

Nell’ottica del miglioramento continuo, i criteri e le metriche di Umanizzazione potrebbero essere incluse tra i requisiti necessari da tenere in conto in fase di progettazione delle Strutture

Sanitarie. Immaginando di sostituire

l’approccio prescrittivo con

approcci di tipo prestazionale, una volta definita la metrica da utilizzare e gli aspetti ( items ) rilevanti per il singolo progetto, è possibile definire una qualità minima (traducibile in punteggio minimo) al di sotto della quale la progettazione non si possa ritenere accettabile. Inoltre, i criteri

di Umanizzazione, potrebbero essere utilizzati quali criteri

premianti (parimenti ai CAM perseguono l‘interesse pubblico) nella procedure di selezione dell’offerente aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo - (art. 93 Cod. Contratti). Il maggiore sforzo richiesto, in termini intellettivi ed economici, è ampiamente giustificato ricordando che tale approccio garantisce cure che rispettano la Salute della persona-paziente, coerentemente con la missione del SSN di tutela del diritto alla Salute.

BIBLIOGRAFIA 1. Lo spazio ospedaliero: tendenze in atto e indirizzi progettuali, F. Belvedere, Università degli studi di Palermo, Tesi di Dottorato ciclo XXII ICAR/14 a.a. 2008/2009/2010 2. Il rischio negli appalti pubblici di lavori e misti nelle Aziende Sanitarie. Studio di un modello di Risk Management applicato al procedimento di appalto, UNIGE, MIPA AA 2016/2017, D.Nari, N. Rosso, G. Tagliafico 3. Building the business case for patient-centered care, Frampton et al., 2008, Healthc Financ Manage 2008 Mar; 62(3): 80-5, 4. L’umanizzazione dei servizi sanitari, Caleidoscopio italiano, Rassu, S., Pintus, S., Manca, MG, Cigni, A, Medical Systems editoria, 2001 5. Architettura e ambiente ospedaliero. Indagine sul reparto di oncologia pediatrica del Giannina Gaslini, POLITO, E. Biolchini, Relatore Prof. Riccardo Pollo 6. L’umanizzazione degli spazi di cura, Linee Guida ministero della Salute, R. Del Nord, G. Peretti 7. Perfezionamento e validazione di metodi e strumenti per il miglioramento partecipato del grado di umanizzazione e studio della loro applicazione all’ambito dell’assistenza territoriale, AGENAS, Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali. 8. La valutazione partecipata dell’umanizzazione per il miglioramento delle cure, I quaderni di Monitor, AGENAS, 2019,

ING. GIULIO TAGLIAFICO

Ingegnere Meccanico (2007), Dottore di Ricerca (2011), con specializzazione in campo termotecnico. Autore di oltre 20 pubblicazioni a carattere internazionale nel campo della termofluidodinamica, energetica, elaborazione di immagini biomedicali. Attualmente (dal 2020) Dirigente Ingegnere responsabile manutenzione e gestione impianti presso Azienda Sociosanitaria Ligure 2 (Savona); dal 2018 al 2020 Dirigente presso ASL1 (Imperia), dal 2014 al 2018 Collaboratore Tecnico Professionale presso ASL3 (Genova). Si occupa di programmazione, progettazione, coordinamento, direzione lavori, di interventi a prevalenza impiantistica in ambito sanitario.

Ospedali: guardate gli atri o voi ch’entrate. Un Project Manager li cambierebbe

ING. ALBERTO CELLA Esperto edilizia ospedaliera - Commissione Sanità Ordine Ingegneri Genova ING. ILMO LANZA Esperto edilizia ospedaliera - Commissione Sanità Ordine Ingegneri Genova

Se scegliere dove costruire nuove strutture sanitarie o ospedali è indispensabile avere il supporto di data base, software e studi specifici (E venne l’era in cui l’informatica indicò dove costruire gli ospedali - n. 2 A&B 2021 https://www.ordineingegneri. genova.it/atto/ab-n-02anno-2021 ) la successiva costruzione deve avere come necessaria presenza la figura di ingegneri in grado di “indirizzare le scelte e le strategie costruttive ”: il progettista di sanità, un vincolo imprescindibile nel gruppo di lavoro composto da specialisti di urbanistica, igiene, medicina, diritto amministrativo e così via, che devono pianificarli e seguirne la realizzazione.

Figura che attualmente manca nel panorama universitario

e formativo, dove troviamo corsi per Horeca, Paesaggisti, BIM specialist; potremmo continuare ma non vi sono veri percorsi universitari in grado di costruire esperienze a 360° nel settore. Oltre a questo esperto fondamentale, bisogna individuare la figura del Project manager, perché la complessità sempre crescente di un edificio

Il dibattito in corso su identità, aspetti funzionali e costi dei luoghi di cura. Al di là delle specificità legate al posto, ecco perché è sempre più necessario ricorrere a progettisti specializzati ed al Project Management per progettare e realizzare opere complesse

adibito ad Ospedale, o anche solo a Palazzo della salute, richiede grande capacità di coordinamento, appunto di direzione del progetto. Il project management è infatti una disciplina, come evidenzia la parola, di origine anglosassone tipicamente utilizzata per coordinare grandi progetti: il gruppo RINA ha dato dimostrazione del grande potenziale che ha l’applicazione di criteri di P.M. in opere complesse e critiche come il Ponte Morandi. Costruire ospedali ed in generale strutture sanitarie è operazione che richiede grandi capacità di Project management: una su tutte il rispetto dei tempi e del budget. La tormentatissima realizzazione dell’ospedale Felettino di Spezia è esempio lampante dell’importanza di regole da P.M. per evitare inconcludenti situazioni di durata pluridecennale e di cui ad oggi non è in vista una soluzione credibile e sicura. Cerchiamo per esemplificare questo concetto di dover definire gli obbiettivi, il target all’anglosassone di un elemento comune ad ogni Ospedale, anzi ad ogni struttura sanitaria, A come

Atrio

Esaminiamo gli atri di quattro ospedali, n ordine progressivo di costruzione di cui due dell’area metropolitana genovese noti a quasi tutti i lettori, tipologie diverse tra loro ma utili come esemplificazione del concetto di Project management e per un approfondimento sulla logica di costruzione, fondamentale in un periodo in cui sulla sanità sono in arrivo tante risorse economiche. I. Ospedale Galliera II. Monoblocco, Policlinico San Martino III. Ospedale dell’Angelo a Venezia-Mestre IV. Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma I - L’Ospedale Galliera, costruito grazie alla munificenza della duchessa su progetto dell’ing. Cesare Parodi, ultimato nel 1877, rappresenta quanto di più lontano tecnicamente e funzionalmente oggigiorno si intende un moderno ospedale. Per semplificare: una carrozza a cavalli paragonata all’odierno bisogno di mobilità. II - Il padiglione Monoblocco, all’interno del Policlinico San Martino, rappresenta un ospedale nell’ospedale, costruito seguendo gli stilemi della Bauhaus e le declinazioni successive di Le Corbusier, vide progettista Ing. Daneri & C., venne progettato nella metà degli anni ‘50 ed ultimato intorno al 1965. Per la compattezza complessiva, se rapportata all’estensione dei precedenti nosocomi, possiamo sintetizzarla come un’utilitaria, una Fiat 600 multipla. III - L’Ospedale di Mestre, progettato alla fine del secolo scorso e realizzato nella prima decade di questo, rappresenta forse il punto massimo dell’ospedalocentrismo, l’Ospedale come ombelico nel mondo seguendo la massimizzazione dell’hospital street, l’area commerciale interna introdotta negli anni precedenti dal modello francese dell’Hopital Pompidou di Parigi dell’arch. Zubleina. Declinato attraverso una vetrata gigantesca vide progettista studio Altieri & C. con la collaborazione artistica dell’architetto Emilio Ambaz, 2000-2008, portando all’esasperazione altri esempi in Italia di strada ospedaliera Lecco e Bergamo, in particolare una Bugatti Veyron nel parallelo con la mobilità. IV - Il Policlinico Universitario Campus BioMedico di Roma, sede della nota fiction “The Doc”, in cui l’atrio è punto catalizzante dei racconti, è uno degli interventi più importanti ed esemplari di nuova costruzione di Ospedali in Italia, coevo del precedente, ma potremmo definirlo una Tesla rapportato sempre al mondo automobilistico.

Austeri come chiese o che guardano all’accoglienza?

Analizziamo nei dettagli i vari atri premettendo che tutti e quattro sono il punto di ingresso a circa 600 posti letto e che vennero salutati ed ampiamente citati, come importanti riferimenti progettuali, nella stampa specialistica nell’epoca in cui vennero costruiti.

I) OSPEDALE GALLIERA a) Atrio principale

Evidente come l’atrio principale del Galliera sia vincolato dal MBAC, e rappresenti quasi un ingresso in Chiesa, derivato dal concetto Michelangiolesco di punto centrale della struttura per la salvezza del corpo e dell’anima. Valutare i costi del restauro, del riscaldamento ed in genere della manutenzione necessaria è intuitivo, cosi come il concetto di flessibilità e ridondanza impiantistica; condizioni indispensabili nei nuovi ospedali, qui non sono nemmeno concepibili. Una crena a soffitto è semplicemente inimmaginabile

b) Atrio CUP In epoca recente è stato ristrutturato l’atrio secondario del Galliera, per adibirlo a sede

del CUP. Il risultato in termini di privacy, funzionalità e distanziamento in caso di Covid è drammaticamente inadeguato mentre il risultato estetico e sicuramente importante. L’impiego del pavimento galleggiante per collegare le varie postazioni è impossibile, guardando quello in marmo ad intarsi appare ovvio che gli impianti seguono necessariamente i mobili con palese criticità su flessibilità ed incremento di dotazione impiantistica. L’inserimento della domotica sconvolgerebbe tutto l’atrio e richiederebbe costi esorbitanti. O forse sarebbe sostanzialmente impossibile. Per certo in termini di costi riordinare un unico locale ha superato l’intera spesa per la ristrutturazione e l’ampliamento del Poliambulatorio dell’Ordine di Malta, realizzato nello stesso periodo.

II - OSPEDALE SAN MARTINO Padiglione Monoblocco atrio centrale

Costruito negli anni 60 è stato ristrutturato nel 2008, in occasione della costruzione dei due nuovi ascensori sul retro del Monoblocco, per migliorare l’accoglienza e l’umanizzazione. A fianco alla porta scorrevole, visibile l’unico negozio edicola/tabacchi, mentre sul retro dell’immagine è situato il bar. Il Bancomat è appena oltre il bancone reception. Gli interventi di fatto sono stati di manutenzione ordinaria, sostituzione di corpi illuminanti e nuovi arredi, fatti con una semplice SCIA all’interno del progetto degli elevatori e senza vincoli MIBAC. L’impianto complessivo dell’atrio riflette lo stile essenziale e spartano derivato dal movimento della Bahaus a partire dagli anni ‘30 del secolo scorso in Germania; anche le finiture ed i materiali sono semplici ma tecnologicamente idonei: un pavimento in pietra ricomposta tuttora in ottimo stato, intonaci a parete e soffitto tinteggiati ed anche loro senza particolari interventi manutentivi dagli anni ’60. La criticità dell’intervento è la disposizione a corpo triplo dell’edificio perché non consente flessibilità distributiva per tutte le funzioni operative: sale operatorie, rianimazioni etc.

III - OSPEDALE DELL’ANGELO MESTRE/ VENEZIA - Vista interna dal piano intermedio

Ospedale dell’Angelo Mestre/Venezia Atrio centrale vista esterna Partiamo dal più ambizioso e costoso, l’atrio del nuovo Ospedale di Venezia, ideato dall’architetto argentino Emilio Ambaz, archistar internazionale mentre il progetto venne sostanzialmente sviluppato dallo studio Altieri di Padova. La struttura, realizzata con la formula del Project finance è stata oggetto di contenzioso per gli alti costi complessivi sia di costruzione che di manutenzione (oltre un miliardo e mezzo di euro nell’arco dei 24 anni di concessione). Proprio il microclima di questa hall ha dato e continua a dare qualche grattacapo, trasformandosi d’estate in un vero e proprio forno (fonte: “Sanità Sole 24 Ore”). L’Ospedale è classificabile come un’evoluzione del concetto di piastra-monoblocco, in cui molti spazi operativi che necessitano di larghe superfici sono ipogei e ricoperti da verde pensile.

IV - OSPEDALE UNIVERSITARIO CAMPUS BIOMEDICO DI ROMA - Atrio principale

L’edificio principale del Campus è stato costruito in una riserva naturale adiacente alla zona dell’Eur dal 2008 ed è sede del Policlinico Universitario e della Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia UCBM. L’intervento ricalca l’importanza architettonica e scenografica di Mestre ma su dimensioni molto più ridotte. La grande hall d’ingresso è dotata di sala ristorante, esercizi commerciali e di una banca. La criticità dell’intervento è la collocazione, Trigoria vicino al campo di allenamento della Roma per gli amanti del calcio, ma sicuramente svantaggiato quanto ad accessibilità con mezzi pubblici ed in generale con la viabilità. Simile per alcuni aspetti all’idea di Erzelli L’Ospedale si sviluppa con una innovativa soluzione planimetrica di quattro blocchi funzionali connessi appunto dall’atrio centrale che funge da punto di snodo: in questo senso facilita l’orientamento ai visitatori e accorcia i percorsi interni. Facendo due conti, ancorché approssimativi, realizzare i volumi non strettamente necessari dell’atrio di Mestre è costato molti milioni di euro, più di un reparto completo di radiologia nucleare completo di TAC, PET, gamma camera, ciclotrone e sistema di produzione dei radiofarmaci di contrasto, mentre per costruire oggi l’ingresso del Monoblocco a Genova dovremmo impegnare solo qualche decina di migliaia di euro, qualche letto di Terapia Intensiva, per restare in tema. Più difficile è stimare il costo di gestione di un atrio come nell’esempio di Mestre: condizionamento, lavaggio di vetri a grande altezza e spazi comuni di enorme dimensione, piantumazioni, ecc., che sicuramente superano di ordini di grandezza quelli di una struttura “normale” come quella del Monoblocco. A fronte di questi esempi nascono spontanee alcune domande: - l’Ospedale di Mestre, la cui tipologia porta con sé un incremento di costi di realizzazione e gestione (pensate 1,2 miliardi di euro di manutenzione in 25 anni di gestione; fonte: Sole 24 Ore) ha una sua giustificazione funzionale, oppure è solo frutto di scelte architettoniche, una vetrina per esibire la propria abilità professionale? - è corretto applicare, senza considerazioni critiche, agli ospedali gli schemi architettonici mutuati dai grandi centri commerciali e dagli edifici simbolo: musei, fondazioni, sedi di grandi aziende? - quando accadrà che gli Ospedali siano anche progettati da progettisti specializzati e validati da organizzazioni di Project Management che stabiliscano la “sostenibilità” dell’intervento?

Quando ci trovi i servizi di un centro commerciale

Esaminiamo gli atri anche sotto un altro aspetto: la dotazione funzionale, cioè le dotazioni a supporto, tipiche di un Centro commerciale I) Galliera: bancomat II) San Martino: bancomat, bar, edicola/ tabacchino III) Mestre: bancomat, vari negozi, ristorante (citato da Tripadvisor!), parrucchiere IV) Campus Biomedico: agenzia bancaria, edicola. Se esaminiamo gli Ospedali genovesi, il Monoblocco è stato il primo in cui i progettisti hanno previsto una dotazione di spazi non strettamente sanitari ma a supporto dei visitatori ed in generale dei pazienti; la ristrutturazione del 2008 ha ampliato lo spazio bar a scapito di una attesa che nell’atrio, per la carenza di servizi medici era sostanzialmente inutile. I negozi e le funzioni a supporto prendono piede concretamente negli Ospedali al punto che quello di Lecco, “Alessandro Manzoni”, aperto alla fine del secolo scorso, aveva molti negozi, compresi un’agenzia di viaggi, pompe funebri, un fioraio etc. etc. Negozi quasi tutti poi chiusi. Nello stesso periodo l’arch. Aymeric Zubleina progetta a Parigi l’Ospedale Europeo Georges Pompidou: situato in un contesto urbano diventa luogo di passaggio, fruibile al pubblico grazie alla galleria longitudinale che lo attraversa e che ospita l’ufficio informazioni, le sedute, l’edicola, quasi come fosse una pubblica via. Fra l’altro uscendo dalla galleria c’è l’ingresso al Parc de la Citroen, su cui si affacciano le stanze ai piani superiori. Visitato nel 2008, alcuni negozi erano chiusi ma la connessione tra Ospedale e pubblica via era funzionale ed operativa; certo tutto da ragionare in termini di security e privacy ma sono altri temi La dotazione da centro commerciale raggiunge il massimo appunto nell’Ospedale di Venezia, come abbiamo visto, con una presenza di spazi pubblici enorme ma smentita nella realtà. La filiale di Intesa San Paolo chiuse nel 2016 ad esempio lasciando spazio ad un bancomat ed in generale la rete dei negozi è in grande sofferenza funzionale. L’Ospedale cioè - a parere degli scriventi - non deve far concorrenza ai centri commerciali, ma questo è il messaggio: assimilare e metabolizzare razionalmente tutta la tecnologia mirata all’accoglienza del Cliente, alla gestione organizzata degli spazi e dei percorsi ed in generale a tutte quelle tecnicità che rendono i migliori centri commerciali apprezzati dalla Clientela. Umanizzazione vuol dire anche questo: essere a disposizione del Cliente, sia paziente che visitatore, per fornirgli un’ospitalità ed un’accoglienza in generale di livello. L’immagine della Chiesa come atrio, senza apparire blasfemi, richiama troppo il senso di distacco tra le cose terrene e l’ingresso in spazi superiori. Nel rispetto del dolore e della sofferenza il quesito da porsi è quanto è necessario/corretto ridurre la sensazione di freddezza e di polverosa consuetudine negli atri degli Ospedali.

Il peso dei costi e le domande sulle scelte da fare

Le risposte sono concettualmente complesse e se generiche e immediate rischiano di liquidare l’argomento con semplicismo ed elementare conoscenza del dibattito culturale –che da anni è oggetto di interventi di grande calibro. Genericamente e apparentemente con il comune buon senso, si potrebbe dire che: ● Le risorse economiche pubbliche sono limitate e sono destinate a diminuire sempre più per l’aumento dell’età media che richiede aumento delle cure e il soddisfacimento degli aspetti socialmente rilevanti, quali la salvaguardia dei diritti degli anziani; ● Le tecnologie diagnostiche e farmacologiche, con le relative strumentazioni, a costi sempre crescenti e con la necessità di aumenti e rinnovi delle attrezzature anch’esse a costi sempre crescenti, incidono sempre maggiormente sui costi della sanità e sicuramente hanno un ruolo determinante rispetto ad altri aspetti quali la cura degli spazi e degli ambienti alberghieri; ● I costi energetici sono destinati a crescere quanto meno per i prossimi 30-40 anni e quindi appare ovvio contenere al massimo i consumi nel rispetto, ovviamente, degli standards di comfort ambientale e sicurezza di operatori e pazienti. Però se ripercorriamo la storia dell’architettura e le tipologie che si sono succedute nel tempo, con ospedali sempre più confortevoli e funzionali, vedremmo che inizialmente i mutamenti sono stati sicuramente conseguenti ad aumenti dei costi delle costruzioni e della spesa delle gestioni: se per questi motivi non fossero stati accettati ci troveremmo sicuramente in situazioni meno progredite. Stiamo quindi scivolando sul giudizio dell’architettura contemporanea, argomento spinoso e non privo di critiche e contraddizioni. In tutte le principali città del mondo, in Italia a Milano in particolare, sono stati costruiti edifici scenografici sui quali le opinioni sono spesso contrastanti. Le novità o suscitano entusiasmo e vengono accolte come opportunità del progresso tecnologico, oppure sono accettate come pegno da pagare alla globalizzazione dei mercati con la ricerca di forme che però contrastano con i “sani”, consueti e sperimentati principi dell’architettura. È giusto assecondare la sperimentazione illimitata, la ricerca di strutture e volumi giganteschi, con la costante ossessione di aver costruito qualcosa di unico e irripetibile, o sbagliamo perché così bistrattiamo le nostre tradizioni e la nostra idea di architettura? Questo è un ricorrente interrogativo quando si discute di architettura e progresso. Ma non solo: i costi devono essere un vincolo in termini di parametri e di costi/benefici o possono essere una semplice variabile da adempiere o meno in funzione degli obbiettivi? E infine: è corretto sacrificare fondi pubblici, utilizzabili per tecnologie e cure, al soddisfacimento dell’estetica? Concludiamo non concludendo, ma sollevando altri interrogativi: 1) Le strutture giganti e in un certo senso autoreferenziali, possono essere accettate, al di là degli aspetti economici e funzionali, perché simboli del progredire dell’architettura e concettualmente rappresentativi del piacere umano per l’estetica che in questo caso simboleggia cose più grandi e potenti di noi oltre la spettacolarità della propria forma? 2) Il costo di costruzione e manutenzione deve essere considerato tra le variabili che sono alla base delle scelte progettuali? E in caso affermativo, come parrebbe a logica, in che misura? Ovvero, come sia possibile parametrare l’atrio di Ambaz a Venezia o la ristrutturazione dell’Atrio Galliera a Genova per consigliare un DG o la politica in genere a “soprassedere”… 3) Riprendendo le valutazioni su Hospital street, ossia Ospedali sull’impronta dei Centri commerciali, in che modo gli ingegneri possono influire sulle mode e sulle tendenze utilizzando professionalità specifiche e criteri di Project management, fermo restando che l’estetica, il bello in genere siano un parametro importante?

Climatizzazione e contagio da Covid-19 negli ospedali: rischio quasi nullo?

ING. ALBERTO BORNETO Dirigente Ingegnere U.O. Attività Tecniche Ospedale Policlinico San Martino di Genova Commissione Sanità Ordine Ingegneri Genova

Un approfondimento sul tema affrontato in questo articolo, in tutti i suoi molteplici risvolti, si è reso necessario visto il diluvio di pubblicazioni che ha investito il nostro Paese all’inizio dell’emergenza sanitaria mondiale cd. COVID-19, da parte di autorevoli associazioni del settore impiantistico HVAC (Heating Ventilation Air Conditioning), secondo le quali - per contrastare il rischio della diffusione del contagio negli ambienti indoor - sarebbe necessario intervenire a più livelli sugli impianti di riscaldamento, raffrescamento e ventilazione. Una trattazione specifica è stata riservata nel merito al settore ospedaliero, e le indicazioni diffuse sono state subito prese in grande considerazione dalle istituzioni sanitarie, prima nazionali e a seguire regionali; come legge del mercato vuole, a nuova domanda non ha tardato ad arrivare nuova offerta, da parte di operatori economici del settore sia impiantistico sia delle pulizie/sanificazioni, quest’ultimo particolarmente cresciuto negli ultimi 18 mesi. Nel mare magnum delle tipologie impiantistiche HVAC, sotto la lente d’ingrandimento naturalmente sono finiti gli impianti a convezione forzata, cioè quelli che per riscaldare o raffrescare un determinato ambiente, presentano sistemi di emissione che muovono l’aria in essi contenuti, con le più inimmaginabili conseguenze per la movimentazione dei cd. droplet di qualsivoglia granulometria. Gli interventi suggeriti dalla neo-letterattura tecnica, che vanno dall’incremento della frequenza di banali interventi di ordinaria manutenzione (come ad esempio pulizia, sanificazione e/o sostituzione dei filtri) a veri e propri lavori con modifiche strutturali più o meno invasive dell’architettura o della funzionalità impiantistica, partono tutti dal medesimo assunto - sostanzialmente aprioristico - che gli impianti a convezione forzata siano un fattore di aggravio del rischio di contaminazione, come già accaduto in passato per tutt’altre tipologie di infezioni, quali ad esempio quelle di natura batterica come la Legionella. Tutto ciò premesso, pur condividendo pienamente l’approccio cautelativo nell’addentrarsi in un universo ancora poco conosciuto, in ossequio alla sicurezza non solo dei pazienti ma anche degli operatori sanitari,

abbiamo creato una piccola task force di professionisti, tutti operanti a vario titolo in ambito sanitario, iniziando così uno studio specifico di rara multidisciplinarietà durato più

di un anno. Ognuno di noi ha messo a disposizione le proprie competenze, da una parte per amore della conoscenza e dall’altra per l’assenza di prove scientifiche robuste circa il contagio per trasmissione airborne, mettendo in discussione talune delle più recenti determinazioni in merito al rischio di contagio per via aerea, per rispondere alla domanda: “Ma gli impianti a convezione forzata costituiscono davvero un fattore di aggravio del rischio di trasmissione dell’infezione da COVID19?”? Che potrebbe essere banalizzata in: “Gli impianti di

condizionamento trasmettono il

virus?” Quanto riportato in questo articolo, che tratta sostanzialmente gli aspetti ingegneristici interagenti con l’emergenza pandemica, sinora a mio modesto avviso molto trascurati dagli organi di informazione, si lega a filo doppio con uno studio ancora inedito stante la continua evoluzione del virus, condotto dall’Università degli Studi di Genova presso l’Ospedale Policlinico San Martino e diretto dal Prof. Alberto Izzotti; che ha visto coinvolte diverse professionalità del calibro del Dott. Dimitri Sossai, autentico “padre” della sicurezza negli ambienti di lavoro in Italia; del Prof. Matteo Bassetti, che ritengo non necessiti di presentazione, nonché la competenza di una delle migliori aziende italiane in ambito di prevenzione di infezioni nosocomoliali come Gadomed, che ha messo a disposizione gli strumenti di campionamento oltre al proprio know how.

Breve panoramica sulle tipologie impiantistiche in ambiente ospedaliero

Senza entrare nel merito dei parametri odierni, secondo i quali si dovrebbero progettare e realizzare gli impianti HVAC in ambiente ospedaliero, con tutte le differenziazioni in funzione della specifica destinazione d’uso in nessun altro caso tanto varie come in sanità, vediamo brevemente quali impianti ha trovato il coronavirus SARS-CoV-2 all’interno degli ospedali italiani, condizioni che facilmente si possono presumere con buona approssimazione estendibili a tutti gli altri Paesi industrializzati. Orbene tralasciando gli impianti tipici delle aree non sanitarie dove ancora oggi non solo negli ospedali ma anche nel terziario, uffici, ristoranti e quant’altro, non esistono impianti di ventilazione meccanica, restringiamo il campo alle due principali grandi famiglie impiantistiche che sono:

1. Impianti a tutta aria 2. Impianti ad aria primaria

I primi si chiamano così in quanto utilizzano l’aria come vettore per la climatizzazione, opportunamente trattata attraverso specifiche macchine chiamate in gergo UTA che sta per Unità di trattamento aria, talvolta chiamate anche CTA (Centrali di trattamento aria ). L’aria svolge in tal caso la duplice funzione di climatizzare e di rinnovare l’aria ambiente (fatto salvo il raro caso delle UTA a tutta aria ricircolata), estraendo quella “viziata” ed immettendo aria esterna. La portata immessa in ambiente non è mai o non dovrebbe essere inferiore ai 6 vol/h per garantire un efficace “lavaggio” dell’ambiente. Tali impianti si trovano solitamente dove si svolgono le attività sanitarie più delicate e quindi dove sono richiesti elevati standard di qualità dell’aria cd. IAQ (Internal Air Quality) come sale operatorie, reparti di sterilizzazione, camere bianche, degenze di immunodepressi, oppure dove si possono trovare concentrazioni di aria potenzialmente nociva e/o maleodorante come reparti infettivi, medicina nucleare,

sale autoptiche, obitori. Tali impianti sono poi sottocatalogalizzabili in: - Impianti a tutta aria ESTERNA (tutta l’aria immessa proviene appunto dall’esterno) - Impianti a tutta aria RICIRCOLATA (tutta l’aria immessa è un ricircolo di quella interna) - Impianti a tutta aria MISCELATA dove l’ultima, come è facile intuire dal nome, rappresenta un ibrido tra le prime due tipologie e può propendere più a favore dell’aria esterna o di quella interna, anche in maniera variabile in funzione di taluni parametri quali ad esempio le condizioni atmosferiche esterne oppure la percentuale di CO2 quale biomarcatore di affollamento.

La seconda tipologia

impiantistica (cd. aria primaria ), che si trova diffusamente negli ambienti ospedalieri, in particolare nei reparti di degenza, utilizza l’aria esterna solo per il ricambio dell’aria ambiente immettendola all’interno ad una temperatura mite prossima a quella indoor, con un flusso solitamente compreso tra l’1 e i 3 vol/h, mentre il compito di compensare i disperdimenti termici in inverno o, di neutralizzare i carichi termici durante la stagione estiva, viene svolto da terminali idronici (ventilconvettori, travi fredde, pannelli radianti), all’interno dei quali scorre come fluido termovettore acqua calda o refrigerata a seconda della stagionalità, ovvero a mezzo di terminali ad espansione diretta (multisplit o VRV/VRF) . A&B Ordine Ingegneri Genova - Block Notes n. 12 - Settembre 2021 41

In tal senso uno dei criteri in base al quale possiamo sottocategorizzare gli impianti ad aria primaria è proprio la tipologia di terminale utilizzato per contrastare il carico sensibile, quindi possiamo avere impianti a: - Radiatori o termoconvettori (funzionanti solo in inverno); - Ventilconvettori, travi fredde o pannelli radianti (funzionanti anche d’estate); - Sistemi ad espansione diretta (anch’essi funzionanti in tutte le stagioni).

Rischio contagio per “via aerea”

Ad oggi tutta la documentazione scientifica che tratta il tema del contagio virale da individuo ad individuo per mezzo della via aerea (cd. trasmissione airborne) può essere ridotta sostanzialmente a 3 metodi di calcolo probabilistico:

1. Relazione di Wells-Riley (1978)

C = S (1 – e–Iqpt/Q) Dove: ● C è il numero delle nuove infezioni; ● S è il numero dei soggetti “contagiabili”; ● I è il numero dei soggetti “contagianti” (al tempo dei “Promessi Sposi” li avrebbero definiti untori); ● q è il numero di dosi “infette” immesse nell’aria ambiente; ● p è la ventilazione polmonare richiesta per ogni soggetto “contagiabile”, espresso come portata in volume; ● t è il tempo di esposizione; ● Q è il tasso di ventilazione di aria di rinnovo o disinfettata.

2. Relazione di GammaitoniNucci (1997)

C = (q*I)/(N*V) + [(n/V) – (q*I)/ (N*V)] e –N*t Dove: ● C: concentrazioni di dosi infettanti nel volume V all’istante t [quanta m3]; ● n: numero di dosi infettanti nel volume V all’istante t iniziale [quanta]; ● N: velocità di rimozione delle dosi infettanti dal volume V [h-1]; ● q: dosi infettanti emesse da un infetto nell’unità di tempo [quanta h-1] ● I: numero di infetti presenti nel volume V

3. Relazione di Rudnick-Milton (2003)

Quest’ultima in effetti non è altro che un’evoluzione della relazione di Wells-Riley, nella quale la ventilazione e l’affollamento sono sostituiti dal dato empirico costituito dal fattore f , che sta ad indicare la quantità di CO2 quale biomarcatore della della presenza umana in un ambiente confinato. Pertanto quest’ultima relazione ha il pregio di essere “più pratica” delle precedenti ed applicabile nei casi, di fatto i più numerosi, in cui non si conoscono con precisione ventilazione ed affollamento che vanno per l’appunto ad incidere sulla percentuale di anidride carbonica presente

Relazione di Rudnick-Milton (2003)

nell’aria indoor e misurabile in tempo reale attraverso appositi sensori. Parafrasando i tre metodi e riducendoli ai minimi comuni denominatori è facile verificare che tutti traducono in termini numerici ciò che già il senso comune ci permetteva di intuire, ovvero che il rischio

di contagio per via aerea in un ambiente confinato è tanto più

probabile quanto: - maggiore è l’affollamento, ovvero maggior numero di soggetti positivi nel determinato volume; - minore è il ricambio dell’aria, ovvero minore portata di aria esterna a diluizione di quella “viziata”; - maggiore è il tempo di permanenza nel locale confinato in presenza di vettori infettanti. Da ciò la scelta della nostra task force di effettuare dei campionamenti dell’aria all’interno di un reparto COVID ad alto affollamento, dotato di un impianto ad aria primaria dalla portata di aria di rinnovo modesta o addirittura privo di ventilazione forzata, in modo da massimizzare i fattori di aumento del rischio di contagio, per avere una “fotografia” cautelativa del panorama ospedaliero del nostro Paese. Se si considera che la stragrande maggioranza dei reparti di degenza, soprattutto quelli dedicati alle malattie infettive e nello specifico del contesto attuale dedicati al COVID, sono dotati di impianto di rinnovo dell’aria ambiente, e se consideriamo altresì che un impianto ad aria primaria di un reparto di degenza evolve mediamente 2 vol/h di aria di rinnovo senza ricircolo (il che vuol dire tutta l’aria presente in ambiente viene integralmente ricambiata con aria esterna climatizzata e filtrata ogni 30 minuti) pur ipotizzando un forte affollamento traducibile in termini numerici in un paziente ogni 8 m2 di superficie (rif. UNI 10339), assumendo un’altezza netta media interna pari a 3 m e infine, considerando che una persona adulta inspira ed espira a riposo un volume d’aria pari a ca. 0,5 m3/h otteniamo: - Volume d’aria “disponibile” per cad. paziente: 8m 2 * 3m=24 m3; - Volume d’aria evoluto dall’impianto di rinnovo per cad. paziente ogni ora = 48 m3; - Volume d’aria “infetto” espirato dal paziente positivo ogni ora= 0,5 m3 . È facile desumere che la frazione d’aria potenzialmente “infetta” costituisce circa l’1% (1/(48 *2) nel caso numericamente descritto) dell’aria rinnovata con aria esterna dall’impianto di ventilazione. Tale banalissima considerazione di carattere geometrico, pubblicata in una notizia ANSA del 7 maggio 2021 dal titolo

“In reparto Covid aria infetta

può arrivare a 1% aria pulita”, fece un certo scalpore e venne erroneamente interpretata come il risultato dello studio condotto al Policlinico San Martino quando al contrario ne costituiva il punto di partenza. Infatti ipotizzando che tutte le condizioni al contorno di cui sopra fossero verificate, ciò starebbe a significare che tutte le iniziative proposte per contrastare l’aumento del rischio di contagio indotto dagli impianti HVAC a convezione forzata, si fonderebbero sull’ipotesi che una quantità di aria potenzialmente infetta prossima ad un centesimo dell’aria presente nei reparti a più alta densità di pazienti COVID positivi, sarebbe sufficiente a rendere potenzialmente infettivo il restante 98-99% di aria direttamente proveniente dall’esterno. È altrettanto facile dimostrare che l’ordine di grandezza non muta se consideriamo un reparto sprovvisto di impianto di ventilazione, nel quale comunque il ricambio avviene con l’apertura saltuaria delle finestre e dai trafilamenti delle stesse. Prendendo in prestito taluni valori dalla letteratura tecnica in tema di risparmio energetico degli edifici, quale gli 0,5 vol/h di ricambio d’aria che si considerano in un ambiente confinato dotato di serramenti esterni in caso di ventilazione naturale, si ottiene che la frazione d’aria potenzialmente “infetta” costituirebbe circa 1/25 dell’aria di rinnovo. Dunque anche senza impianto dedicato al rinnovo dell’aria, trattasi sempre di una frazione nettamente minoritaria di aria potenzialmente vettore di infezione rispetto a quella di rinnovo.

Questo presupposto di “iper capacità infettante della movimentazione dell’aria dovuta agli impianti” ha creato un vero e proprio caso nella primavera 2020 con l’avvicinarsi della prima stagione calda dell’era COVID, creando nelle situazioni più estreme vere e prorie psicosi e schieramenti, in particolare nel mondo sanitario, del tipo: “condizionameno SI” contro “condizionamento NO”. A fine giugno 2020 pervenne da A.Li.Sa. una nota intitolata “Misure operative minime al fine di attivare gli impianti di raffreddamento ” che promuoveva l’intensificazione delle attività di pulizia degli impianti di climatizzazione portandoli a cadenza bisettimanale, senza particolari diversificazione in base alla destinazione d’uso.

In questo contesto sono iniziati ad arrivare, nelle strutture sanitarie, preventivi di spesa dalle aziende del settore impiantistico e non, talvolta anche nate ad hoc come sovente accade nelle occasioni

drammatiche, per incrementare le operazioni di pulizia e sanificazione di filtri, bocchette e quant’altro in qualche misura collegato agli impianti HVAC. Essendo stato coinvolto in prima persona, posso affermare che la primissima offerta ricevuta per implementare un sistema di sanificazione con cadenza quindicinale all’interno del Policlinico superava abbondantemente i 250’000 €, spesa da ripetersi ogni 15 giorni almeno fino alla fine della stagione calda ma, potenzialmente fino a fine emergenza e dunque con un A&B Ordine Ingegneri Genova - Block Notes n. 12 - Settembre 2021 43

impatto economico tutt’altro che trascurabile sul bilancio

aziendale. Successivamente, forse anche a causa della prospettiva di spesa citata, con una nuova pubblicazione di A.Li.Sa. dal titolo “ Gestione degli impianti di ventilazione e condizionamento dell’aria in ambiente indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV2 in ambito sanitario”, è stata modificata la proposta e conseguentemente l’offerta economica, riformulata in base ad un’analisi del rischio che diversificava la frequenza degli interventi in funzione della presenza o potenziale presenza di pazienti COVID positivi all’interno dei reparti interessati, introducendo la seguente diversificazione: - Rischio Alto (reparto degenza pazienti Covid 19): cadenza ogni 15 gg; - Rischio Medio (Triage Pronto Soccorso, Ostetricia, OBI, servizi diagnostici accertamento Covid 19): cadenza ogni 3 settimane; - Rischio Basso ( tutte le altre aree comprese quelle amministrative e di ricerca): cadenza ordinaria, ovvero cadenza bimestrale o trimestrale a seconda dei contratti in essere.

Questa modifica ha avuto l’effetto positivo di razionalizzare gli interventi stabilendo che gli gli stessi non sono vincolati alla stagionalità

e, ha adeguato tempi e modalità delle sanificazioni in funzione della destinazione d’uso del reparto. Dunque l’approfondimento svolto per definire e quantificare l’impatto della pandemia sulla gestione degli impianti HVAC e trovare così la risposta alla domanda “ma gli impianti di condizionamento trasmettono il virus?”, si è concretizzato con l’effettuazione di

campionamenti dell’aria in un reparto ad alto affollamento di pazienti COVID positivi, privo

di ventilazione forzata o dotato di un impianto ad aria primaria di vecchia realizzazione e concezione, considerando queste le condizioni potenzialmente più influenti nell’aggravio del rischio di

contaminazione ambientale, nonché una rappresentazione piuttosto fedele del panorama nosocomiale del nostro Paese.

Strumenti e metodi di campionamento e di analisi

CAMPIONATORE D’ARIA - Vari dispositivi di campionamento possono essere utilizzati per recuperare virus dispersi nell’aria. I più comuni sono impattattori liquidi e solidi nonché supporti di filtrazione. Nella figura sottostante sono schematizzate due tipologie di impattatore ad umido, dove le linee e le frecce rosse rappresentano il flusso d’aria nel campionatore.

Nello studio eseguito presso il Policlinico San Martino di Genova si è optato per un campionatore ad umido BioSampler. Il sistema di campionamento di bio aerosol tramite gorgogliamento, funziona accelerando le particelle sospese nell’aria attraverso uno stretto orifizio posto a una distanza fissa dal fondo di un contenitore/gorgogliatore contenente del liquido. Così facendo, si crea una caduta di pressione nel gorgogliatore che forza l’aria ad entrare attraverso l’ingresso. L’aria entra in orizzontale attraverso un tubo di vetro, che curva in una posizione verticale, costringendo l’aria a cambiare direzione e scorrere verso il basso. Il diametro del tubo si restringe bruscamente e funge da orifizio di flusso critico, accelerando l’aria che lo attraversa ad alta velocità. Il flusso rimane costante fintanto che vi è almeno mezza atmosfera di aspirazione all’interno del dispositivo. La curva nel tubo ha lo scopo di intrappolare le particelle più grandi per imposizione inerziale e imita le vie aeree del naso umano. Le particelle più grandi che entrano nel gorgogliatore attraverso l’orifizio di flusso critico impattano sul liquido. Il campionatore Biosampler, può inoltre operare a secco, senza liquido alcuno di assorbimento, con gel di paraffina cosparso sulle pareti di campionamento o direttamente con un brodo di coltura: è stato studiato per poter lavorare con un flusso di 12,5 litri per minuto, pari a 0.75 m3/h e quindi, per quanto visto nei paragrafi precedenti, molto prossimo alla

portata evoluta dall’apparato

respiratorio umano . Per convogliare il flusso di aria all’interno del BioSampler è stato utilizzato il campionatore a portata costante AirCube COM2-

TH, regolabile con flusso operativo compreso in un unico range dinamico tra 0,4 e 30 litri per minuto senza l’ausilio di valvole bypass e senza l’utilizzo di regolatori particolari per operare nel campo dei bassi flussi. L’apparecchiatura permette la visualizzazione immediata durante le fasi operative di campionamento elenca in tempo reale tutti i dati riferiti ad esso come: flusso istantaneo e flusso medio del periodo, temperatura istantanea al contatore e media del periodo, temperatura ambiente istantanea e temperatura media del periodo, pressione barometrica atmosferica istantanea e media del periodo, volume parziale campionato, tempo di campionamento.

ESECUZIONE

CAMPIONAMENTI - Sono stati eseguiti diversi campionamenti, in date diverse e in condizioni al contorno volutamente diverse sempre utilizzando la medesima strumentazione, dalle medesime persone e nel medesimo reparto se non addirittura nella stessa stanza. Un primo campionamento è stato eseguito il 12 febbraio 2021, in condizioni che potremmo definire di convezione naturale, all’interno di un reparto dedicato a pazienti COVID positivi dotato di 46 posti letto (in seguito ppl), nello specifico in un open space di 6 ppl del volume di 140 m3 (ca. 23 m3 di aria per cad. paziente) Tale ambiente risultava essere il più gravoso il giorno del campionamento in termini di rapporto pazienti/volume e, ancor di più se consideriamo

che la stanza specifica è priva di bocchette sia di mandata che di ripresa e pertanto sostanzialmente priva di ventilazione meccanica di cui invece è dotato il resto del reparto. Il campionamento è stato effettuato collocando lo strumento a fianco ad un paziente, lontano da correnti d’aria, a circa 1.5 m dal pavimento e quindi sostanzialmente immerso in aria relativamente calma. Un secondo campionamento, che potremmo definire eseguito in convezione forzata, è stato eseguito il 25 marzo successivo, sempre nello stesso reparto, in un open space da 8 ppl di 190 m3 (ca. 24 m3 di aria per cad. paziente). Il nuovo sito di campionamento è stato scelto in quanto oggetto di recente installazione di un estrattore da 3000 m 3/h di portata nominale, necessario per ridurre la percentuale di O2 nell’aria, che raggiunse valori critici nei periodi più gravosi della “seconda ondata”. Tale estrattore è stato pertanto sfruttato per effettuare un campionamento installando il ricettore immerso in un flusso forzato di aria ritenuto rappresentativo della qualità dell’aria circolante all’interno dell’intero reparto COVID. La mattina del campionamento il reparto presentava 45 posti

occupati da pazienti COVID positivi su 46 posti letto disponibili. Il campionamento è stato preceduto da alcuni rilievi ambientali, con particolare riferimento al flusso di aria forzata aspirata dalla bocca di estrazione che hanno dato le seguenti risultanze. - Condizioni termoigrometriche indoor: T 22.9 °C – U.R. 40.9% - Portata d’aria aspirata sulla bocchetta oggetto di campionamento: 1284 m3/h. Al fine di massimizzare il flusso campionato è stata artificiosamente aumentata la portata sulla bocchetta superiore strozzando quella inferiore con una normalissima federa. Tale accorgimento ha portato a quasi il raddoppio della portata, che ha raggiunto i 2465 m 3/h assolutamente compatibili con la portata nominale dell’estrattore. Sono stati eseguiti nelle medesime condizioni 3 campionamenti, posizionando l’ampolla di gorgogliamento in corrispondenza della bocchetta di estrazione così come rappresentato nelle foto. Il tempo di ciascun campionamento è stato di 60’ ciascuno, partendo da 20 ml di liquido di gorgogliamento (acqua DNase-RNase free) e ottenendo 3 aliquote di circa 15 ml ciascuna di materiale. Per non dilungarci ulteriormente sulle specificità dei campionamenti e per concentrarci in questa sede sugli aspetti ingegneristici legati all’interazione impianti HVAC / rischio di contagio, basti sapere che ai primi quattro campionamenti eseguiti tutti in date diverse nel medesimo reparto di medicina critica servito da un impianto ad aria primaria di vecchia concezione, ne sono seguite ulteriori due effettuati presso la Clinica Malattie Infettive diretta dal Prof. Matteo Bassetti dove, data la specificità del padiglione realizzato nel 2000 con i criteri dell’epoca, c’erano naturalmente condizioni più favorevoli in termini di sicurezza come in particolare stanze singole dotate di filtro di ingresso e impianto a tutta aria esterna, che si traducono pertanto in un minore affollamento ed un maggior ricambio dell’aria.

ANALISI LABORATORIO

- Per quanto concerne le analisi di laboratorio, come anche gli aspetti più specialistici dal punto di vista biologico nell’effettuazione dei campionamenti di cui al paragrafo precedente, si rimanda integralmente alla pubblicazione dal titolo “ Sviluppo di un protocollo integrato di monitoraggio ambientale della contaminazione da SARSCoV-2. Applicazioni presso l’IRCSS Ospedale Policlinico San Martino Genova, Italia”, il cui Responsabile Scientifico è il Prof. Alberto Izzotti, che ringrazio e senza il quale ci si sarebbe inevitabilmente dovuti fermare alle formulazioni teorico-probabilistiche su menzionate. Ringrazio anche tra gli altri partecipanti attivi allo studio coloro con cui ho avuto maggior modo di confrontarmi e che cito in ordine alfabetico: - Dott. Maurizio Barbaresi, che ha fisicamente effettuato i campionamenti nei reparti COVID; - Prof. Matteo Bassetti, che ha messo cortesemente a disposizione il reparto da lui diretto e a cui va il merito di aver dato visibilità all’iniziativa; - Dott. Andrea Boccaccio e tutta GADOMED, con particolare riferimento alla Dott.ssa Valeria Manfredi ed al titolare Dott. Fabio Patti, che hanno messo a disposizione i propri mezzi ed il proprio know how per rendere tecnicamente fattibili i campionamenti; - Dott. Dimitri Sossai, che è stato il primo a rendersi conto della potenzialità dello studio e dei risvolti dello stesso in termini di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Sull’utilità di potenziare gli interventi di pulizia e sanificazione terminali

Dunque, come già detto, la principale contromisura suggerita dalle associazioni e/o istituzioni per contrastare l’aumento del rischio di diffusione dell’infezione virale ipoteticamente attribuita agli impianti HVAC, con esclusione dei terminali che trasmettono calore principalmente per irraggiamento, quali termosifoni e pannelli radianti, è stata l’incremento delle attività di pulizia e sanificazione dei terminali tipo: - bocchette per gli impianti aeraulici; - ventilconvettori per gli impianti idronici a convezione forzata; - split per gli impianti ad espansione diretta ivi compresi gli impianti con tecnologia VRF/ VRV. Agli interventi periferici e capillari sui terminali in ambiente, si aggiungono quelli puntuali suggeriti sulle UTA (unità di trattamento aria), vero e proprio cuore pulsante degli impianti aeraulici, siano esse ad aria primaria (solo A&B Ordine Ingegneri Genova - Block Notes n. 12 - Settembre 2021 47

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