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IL TUFFO

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LA BANDA BASSOTTI

LA BANDA BASSOTTI

L’ultimo scudetto di Mike D’Antoni, Dino Meneghin, Bob McAdoo e Roberto Premier venne conquistato in una memorabile, drammatica, irripetibile Gara 5 a Livorno

L’ANTEFATTO - Nel 1988, l’Olimpia aveva vinto di nuovo la Coppa dei Campioni, ma dopo tre anni aveva dovuto cedere in campionato alla Scavolini Pesaro guidata da Valerio Bianchini. Senza un’ala piccola dinamica, in un basket che stava gradualmente cambiando, Milano si trovò scoperta contro Darren Daye. Quindi nella stagione 1988/89 rinunciò a Rickey Brown, protagonista l’anno precedente, per prendere Billy Martin. Ma Martin non funzionò e alla lunga arrivò Albert King, ex stella non del tutto sbocciata nella NBA. Nei playoff, l’Olimpia eliminò Pesaro dai playoff in circostanze polemiche: la Scavolini vinse Gara 1 sul campo ma la perse a tavolino perché una monetina colpì Dino Meneghin. La vittoria a tavolino consentì all’Olimpia di chiudere i conti in casa, 2-0, qualificandosi per la finale contro Livorno. L’Enichem era allenata da Alberto Bucci, aveva Alessandro Fantozzi, Andrea Forti, Wendell Alexis, Alberto Tonut e Joe Binion che componevano il quintetto. Ma quest’ultimo chiuse la stagione prendendo a pugni una porta a vetri a Reggio Emilia. Livorno andò avanti con Flavio Carera come centro e tenendo dalla panchina il duro americano David Wood. Quella era la squadra che contese lo scudetto all’Olimpia vincendo Gara 1 a Livorno e poi a sorpresa Gara 4 a Lampugnano impedendo la festa annunciata dello scudetto numero 24.

LA SQUADRA - Dan Peterson si era ritirato dopo il Grande Slam del 1987 lasciando la squadra a Franco Casalini che nel primo anno aveva vinto Coppa Intercontinentale e Coppa dei Campioni. Ma nel 1988/89 non aveva ancora nulla in mano, neppure la Coppa Italia. Casalini usava Piero Montecchi in quintetto e Roberto Premier dalla panchina. Poi c’erano Albert King, McAdoo e Meneghin. La rotazione era completata da Pittis, Davide Pessina, Max Aldi.

LA PARTITA - Fu una gara ad elastico. Ad inizio ripresa Livorno la afferrò per la gola e se la lasciò scappare. Milano ebbe un passaggio negativo in cui Pittis si fece fischiare un tecnico e a King sanzionarono un antisportivo. Casalini chiamò time-out e richiamò mezza squadra, troppo intenta a parlare con gli arbitri Grotti e Zeppilli, soprattutto D’Antoni. Pessina era il più agitato. Sembrava che l’Olimpia, stanca e logora, in un clima impossibile, fosse sul punto di implodere. Invece ebbe una reazione incredibile. Un pallone che Pessina di forza semplicemente strappò dalle mani di David Wood per segnare a rimbalzo. Un rimbalzo conteso da cento braccia che fu preda di Meneghin che aveva 39 anni. Premier saltò Forti dal palleggio e arrivò al ferro estendendosi in avanti, come se fosse sul punto di capitolare. Milano esplose a più otto!

Premier fino a quel momento nullo, erratico, giocò dieci minuti spettacolari. Ma nel momento in cui la Philips sembrava avesse vinto, Livorno si liberò di tutta la tensione e giocò la sua pallacanestro migliore trascinata da Fantozzi e un fantastico Wendell Alexis che giocò probabilmente la più grande Gara 5 che un giocatore potesse giocare senza vincerla segnando 32 punti. Da 80-72, Livorno tornò a meno tre, con Tonut in contropiede dopo una palla persa da D’Antoni. Nessuno in quel momento realizzò che il tuffo con cui McAdoo gli deviò la palla oltre la linea laterale sarebbe diventato probabilmente il singolo atto più famoso nella storia dell’Olimpia o dell’intero basket italiano. La bellezza del gesto è indescrivibile, il cuore ancora di più. La sorpresa è di Tonut: intento a proteggersi da King, che gli corre accanto alla sua sinistra, si volta senza capire come abbia fatto la palla a sfuggirgli di mano. In quel momento, come un siluro, McAdoo completa il tuffo tra le braccia di operatori tv, fotografi e tifosi appollaiati tutti sulla linea di fondo. “So che se ne parla ancora – dice McAdoo – fu una giocata atipica perché ammetto che in tanti anni di NBA non avevo mai fatto nulla di simile. Non so cosa sia scattato”. Ma la palla rimase alla Libertas e sulla rimessa Fantozzi segnò da tre. La grande beffa è tutta qui: se McAdoo non si fosse tuffato, Tonut avrebbe segnato due punti e Livorno sarebbe rimasta sotto di uno. Invece fu 80-80. Premier segnò ancora da tre attingendo a non si sa quali energie. Alexis rispose con un tiro frontale ma con il piede sulla linea. Un centimetro costato tantissimo: 83-82. D’Antoni chiamò il gioco a elle da destra, girò attorno al blocco monumentale di Meneghin palleggiando con la mano sinistra. Guadagnò abbastanza da “perdere” Fantozzi e segnare ancora da tre. 86-82. Alexis segnò nuovamente da tre per il meno uno. La scelta di Livorno fu quella di non commettere fallo, il che avrebbe lasciato pochissimo tempo per rimediare. Sull’ultimo possesso della stagione, Premier sbagliò il tiro del match-point e l’Olimpia si trovò clamorosamente, inopinatamente, stranamente esposta al contropiede avversario. Fantozzi lanciò un pallone lungo ad Andrea Forti ma forse dopo un’esitazione. Il tentativo di stoppata di Meneghin e McAdoo fu tardivo. Forti da sotto segnò il canestro più facile e importante della sua carriera. Ma dopo il suono della sirena. Quello che successe dopo è letteratura. Invasione di campo, arbitri rifugiati negli spogliatoi, i giocatori di Milano che rientrano convinti di aver vinto (nel filmato si vedono un paio di loro – incluso D’Antoni - esultare dopo aver guardato l’arbitro), quelli di Livorno che non capiscono. Si accende una rissa. Premier resta solo contro tutti ma di certo non risulta intimidito. Nel frattempo, sul tabellone elettronico il punteggio viene corretto a favore di Livorno: non si capisce bene da chi. La notizia arriva negli spogliatoi, i giocatori dell’Olimpia la apprendono con incredulità, come una mazzata. Ma negli spogliatoi si combatte un’altra partita: il canestro di Forti non è mai stato convalidato. Il general manager Cappellari nello spogliatoio degli arbitri si fa consegnare il referto vincente. Lo mostra negli spogliatoi, “ma era passata almeno un’ora”, dice Premier, ed esplode la gioia. Milano abbandona Livorno con enormi difficoltà e minacce. Ma lo fa da squadra Campione d’Italia

IL SIGNIFICATO - Fu l’ultima impresa di quella squadra incredibile, l’ottava finale consecutiva di cui cinque vinte. L’Olimpia tentò di prolungare il ciclo di una stagione, ma sbagliò, e successivamente procedette ad una vera rivoluzione che coincise con il ritiro di Mike D’Antoni e il suo passaggio in panchina al posto di Franco Casalini.

17 APRILE 1983

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