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LA BANDA BASSOTTI
L’ANTEFATTO - La stagione 1978/79 fu quando Mike D’Antoni esplose e diventò Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo. Successe a Roma, contro la Stella Azzurra di un tecnico emergente di nome Valerio Bianchini: D’Antoni rubando palla dopo palla riportò l’Olimpia in partita e la condusse alla vittoria 94-92 in Gara 1. Poi chiuse i conti in Gara 2. Era nata una leggenda. In semifinale, l’Olimpia trovò Varese nella parte finale della sua incredibile striscia di dieci finali europee consecutive. Il Billy a sorpresa sbancò anche Varese in Gara 1, 8676, ma sentì la pressione e perse in casa Gara 2 rinviando il verdetto alla terza partita, la cosiddetta bella, a Masnago. Una partita con pronostico a senso unico.
LA SQUADRA - Era il primo anno di Dan Peterson a Milano, il secondo dopo il ritorno in Serie A e anche il secondo anno di D’Antoni a Milano. Ma la squadra non era quotata: aveva sei giovani in squadra e quattro veterani come Mike Sylvester, CJ Kupec, Vittorio Ferracini oltre a D’Antoni. Peterson decise che quella che doveva essere una debolezza si trasformasse nel punto di forza della squadra usando tutti i suoi giovani, di grandi qualità, per alzare i ritmi, aggredire in difesa e correre in contropiede. Quindi D’Antoni era il playmaker, Sylvester la guardia, Kupec, Gallinari (20 anni) e Ferracini i lunghi. Nel basket di oggi non sarebbe un quintetto piccolo, tutt’altro, ma nel 1979 lo era perché di fatto non aveva un centro ma solo ali. Da qui l’idea di chiamare la squadra la
“Banda Bassotti”. Gli altri interpreti erano Dino e Franco Boselli, Francesco Anchisi più Paolo Friz e Valentino Battisti.
LA PARTITA - “Battemmo Varese in Gara 3 con sei canestri dall’angolo di Kupec. Giocava il pick and roll con D’Antoni, eseguiva un taglio a banana e riceveva in angolo. Non sbagliò mai”, ha raccontato Peterson. Ma il vero capolavoro fu un altro. Peterson partì con un quintetto e non fece neppure un cambio. Andò avanti 40 minuti con gli stessi cinque giocatori. “Non fu una scelta premeditata, maturò nel corso della partita”, dice il Coach. Non solo: l’Olimpia finì la gara con cinque uomini in campo tutti carichi di quattro falli. Ma nessuno commise il quinto. Finì 87-84, con 26 punti di Kupec, 35 di Sylvester, otto punti e 11 rimbalzi di Ferracini, otto e nove rimbalzi di Gallinari. Varese ebbe 36 punti di Bob Morse e 18 di Dino Meneghin.
IL SIGNIFICATO - L’Olimpia raggiunse la finale scudetto a sorpresa. Venne battuta in due gare dalla Virtus Bologna, con lo stesso nucleo lasciato da Peterson per trasferirsi a Milano. Ma quella partita, la qualificazione alla finale, sublimò il ruolo storico della Banda Bassotti (“Fu un piacere allenare quella squadra – dice Peterson – perché non potevi mai dire nulla, a nessuno, davano sempre tutto. Tutti quelli che ne hanno fatto parte sono orgogliosi di avere fatto parte”) e aumentò il credito di Coach Peterson permettendogli poi di superare indenne i due anni successivi, in attesa dello scudetto.