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LA STOPPATA
Il primo scudetto dell’era Peterson venne vinto dall’Olimpia al Palazzone di San Siro contro una grande Pesaro. La giocata risolutiva fu una stoppata di John Gianelli su Mike Sylvester
L’ANTEFATTO - C’era pressione sull’Olimpia alla vigilia della stagione 1981/82. Coach Dan Peterson era al quarto anno a Milano, ma ancora non aveva vinto nulla. Nel 1979, il Billy era arrivato a sorpresa in finale, ma poi erano seguite due eliminazioni in semifinale e qualcosa si era sgretolato, non solo per le partenze di CJ Kupec e Mike Sylvester. Nel 1981, Milano aveva perso la semifinale con Cantù cedendo in Gara 3 al Palazzone di San Siro dopo due tempi supplementari. Peterson era finito sul banco degli imputati perché a quei tempi era consentito rinunciare a tirare i liberi in situazione di bonus ma lui non l’aveva fatto – non lo faceva mai – e quella scelta era costata la rimonta e infine la vittoria di Cantù. Ma nell’estate del 1981, vennero realizzate due grandi mosse di mercato. Varese, alle prese con una necessaria opera di ricostruzione, aveva deciso di cedere Dino Meneghin. Lo voleva Venezia, ma lo prese l’Olimpia in cambio di Dino Boselli e un conguaglio in denaro non indifferente per un giocatore di 31 anni. Oltre a lui arrivò da Gorizia il bomber Roberto Premier che piaceva a Peterson per lo spirito agonistico non solo per le doti balistiche. Ma la squadra partì male in campionato. Meneghin ebbe un infortunio al ginocchio e dovette fermarsi a lungo. Senza di lui, l’Olimpia andò a Pesaro nel girone di andata e perse 110-65, la più clamorosa sconfitta della sua storia. Pesaro vinse la stagione regolare. Torino arrivò seconda. Ma l’Olimpia gradualmente salì di tono. Nel girone di ritorno vinse 10 partite su 13 risalendo fino al terzo posto davanti a Cantù che in quella stagione avrebbe vinto la Coppa dei Campioni (e venne eliminata nei quarti di finale dalla Virtus, poi sconfitta da Pesaro). Eliminata Brescia nei quarti di finale, trascinata da Franco Boselli vinse Gara 1 a Torino e poi chiuse i conti in Gara 2, in un complicatissimo 66-65. La finale cominciò a Pesaro, nel cosiddetto hangar di Viale dei Partigiani, dove il fattore campo è sempre stato terribile. La Scavolini aveva Dragan Kicanovic come stella, uno dei più forti bomber della storia del basket slavo che aveva vinto nel 1980 l’oro olimpico a Mosca battendo in finale proprio la Nazionale azzurra, e italiani fortissimi e giovani come Ario Costa e Walter Magnifico o veterani al top della parabola come Domenico Zampolini, Mike Sylvester, il tiratore Amos Benevelli. Il secondo straniero era il centro da Syracuse, Roosevelt Bouie. Gara 1 fu comandata dall’Olimpia. Il vantaggio nella ripresa raggiunse i dieci punti, poi Pesaro venne trascinata da Ponzoni e Benevelli, infine Dragan Kicanovic, dopo un secondo tempo passivo, ingabbiato da Mike D’Antoni, la riportò fino a meno uno. Ma il Billy chiuse 86-83.


LA SQUADRA - Mike D’Antoni era il playmaker e praticamente non aveva cambi e non usciva quasi mai dal campo. Erano altri tempi rispetto a quelli odierni e quell’anno l’Olimpia non disputò neppure le coppe europee. Quando proprio serviva era Franco Boselli, una guardia, a giocare in regia. Boselli quell’anno diventò il sesto uomo del Billy alle spalle di Roberto Premier. La squadra era stata trasformata in una corazzata fisica in cui Vittorio Ferracini e Vittorio Gallinari giocavano da ali piccole mascherate. I due lunghi erano John Gianelli, al secondo anno a Milano, e Dino Meneghin. Quella di Dan Peterson era di fatto una rotazione di sette uomini.
LA PARTITA - Quattro giorni dopo Gara 1, a San Siro, l’Olimpia conquistò lo scudetto della stella dopo un’altra battaglia di 40 minuti, con 10.000 spettatori presenti. Con una mossa inattesa e dibattuta per anni il coach di Pesaro, Pero Skansi, tenne in panchina per 16 minuti nel primo tempo proprio Kicanovic. “Dopo Gara 1, Kicanovic avrebbe voluto uccidermi e in spogliatoio a Pesaro successe di tutto. Io ero tranquillo perché a difendermi c’era Meneghin - raccontò in seguito D’Antoni – Di certo, non avrei mai accettato di non giocare il primo tempo di Gara 2”. Quale fosse il senso della mossa di Skansi non è mai stato chiarito. Forse voleva sorprendere Peterson o forse tenersi Kicanovic fresco per la ripresa contando di restare agganciato alla gara. In ogni caso, Kicanovic segnò 16 punti in metà gara, portando la Scavolini da meno otto a più tre. Nel rocambolesco finale, Mike D’Antoni non sbagliò nulla. Fu suo l’ultimo canestro, 73-72, prima che la difesa del Billy alzasse il suo muro. L’ultimo tentativo praticamente disperato fu di Sylvester, l’ex, ma John Gianelli eseguì la stoppata dello scudetto con la quale coronò una prova da 19 punti che diventò lo specchio della sua crescita rispetto al giocatore discusso nel corso del primo anno, di cui i tifosi chiedevano il taglio per quell’atteggiamento che solo in apparenza era distaccato. Così il Billy vinse lo scudetto dopo dieci anni e conquistò la seconda stella.
IL SIGNIFICATO - “Per me fu un sollievo – dice Mike D’Antoni a proposito del suo primo scudetto – perché dopo tante volte in cui ci eravamo andati solo vicino cominciavo ad avvertire la pressione di dover vincere”. Lo stesso concetto valeva per Dino Meneghin, che era stato etichettato come vecchio a inizio stagione, in declino, per Dan Peterson che aveva vinto un titolo a Bologna ma ancora nulla a Milano. Lo scudetto del 1982 aprì un ciclo di otto finali consecutive per l’Olimpia, che avrebbe perso le successive due, ne avrebbe vinte poi tre di seguito prima di perdere nel 1988 quella con Pesaro (affrontata ma in un abbinamento impari anche nel 1985) e chiudere nel 1989 con la leggendaria vittoria di Livorno. D’Antoni, Premier e Meneghin avrebbero percorso insieme tutto quel ciclo, Peterson sarebbe rimasto fino al 1987 come Gallinari e Franco Boselli. Gianelli e Ferracini sarebbero rimasti un altro anno, quello in cui l’Olimpia arrivò seconda sia in campionato che in Coppa dei Campioni.


Olimpia Milano-Juvecaserta 84-82
