MSOI thePost Numero 107

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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IL GRAN BALLO DELLA POLITICA ITALIANA

Tra impeachment e Articolo 92, un’interpretazione oscura della crisi italiana

La crisi politica italiana assomiglia ormai sempre più, ogni ora che passa, a un gran ballo, nel quale si avvicendano giri di valzer, piroette, passi avanti, indietro e di lato. La settimana forse risolutiva di una crisi di governo, iniziata il 4 marzo scorso, comincia domenica sera. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un discorso drammatico, spiegava le ragioni che hanno portato al fallimento del tentativo di creazione di un governo Lega-M5S guidato da Giuseppe Conte. Il nodo riguardava Paolo Savona, prestigioso economista noto per aver ideato un piano B per un’eventuale uscita dell’Italia dall’Euro, che la maggioranza nascente voleva al ministero dell’Economia. Per le sue posizioni contrarie alla moneta unica e all’Unione a trazione tedesca, Savona, tuttavia, non era gradito dal presidente Mattarella, che, preoccupato per l’esposizione finanziaria dell’Italia, ha deciso di esercitare le sue prerogative costituzionali non accettando di nominarlo al Tesoro. Di fronte all’irrigidimento di Salvini e Di Maio, che non accettavano nessuna soluzione alternativa, il governo Conte moriva prima ancora di nascere.

La domanda fondamentale rimane una: “Può Mattarella porre un veto definitivo sulla nomina di un Ministro?”. La risposta non pare univoca, dovendo guardare all’interpretazione della Carta Costituzionale, ma anche alla prassi. Seguendo quest’ultima linea potremmo avere diversi esempi di “imposizioni”, il più recente dei quali riguarda il veto posto da Giorgio Napolitano sulla nomina del procuratore Nicola Gratteri al ministero della Giustizia del governo Renzi. Per non dover poi andare a riesumare il caso di Scalfaro e Previti, fermato anch’egli alle soglie del Ministero di Giustizia. La Carta all’art. 92 Costituzione, d’altro canto, parla chiaro: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Al Capo dello Stato spetta il compito di affidare l’incarico di Presidente del Consiglio e di “nominare”, su indicazione del premier, i singoli Ministri. Detta così sembra facile. Il problema, però, è un altro: che cosa intendevano i padri costituenti con “nominare”? Chi è che decide? In queste ore sta avendo discreto successo tra i leghisti la fotografia della pagina di un libro di diritto costituzionale in cui la risposta alla domanda è semplice: il potere di nomina è

solo formale, non effettivo. “Il Presidente della Repubblica - si legge nel testo - ha un ristretto margine di discrezionalità nella scelta del presidente del Consiglio, mentre non ne ha alcuno nella scelta dei ministri, formalmente demandata al presidente del Consiglio”. Resta il fatto che l’interpretazione del termine “nominare” nell’articolo citato della Carta Costituzionale, non può essere demandata ad un unico testo di diritto costituzionale. La crisi politica diventa allora istituzionale: lo scontro tra il Quirinale e le forze della maggioranza si fa sempre più acceso. Nella serata di domenica, dal palco di Fiumicino, Luigi Di Maio minacciava la messa in stato d’accusa per il capo dello Stato, cambiando repentinamente il proprio atteggiamento nei confronti del capo dello Stato. Una storia già vissuta, in primo luogo, con l’ex presidente della Repubblica Giovanni Leone nel 1978, che lasciò l’incarico dopo una lunga campagna sullo scandalo Lockheed. A seguire, con Oscar Luigi Scalfaro, nel 1993, che fu il secondo Presidente ad essere minacciato per gestione di fondi neri ad uso personale, anche se non si arrivò mai a una formulazione concreta per la messa in stato

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Per Marco Damilano, direttore dell’Espresso, la messa in stato d’accusa di Mattarella sarebbe “l’atto finale di una crisi che non è mai stata soltanto di governo, ma di sistema”, dove il Presidente della Repubblica è stato lasciato solo “ad affrontarla nella sua complessità e gravità”.

di accusa, e Scalfaro concluse il proprio mandato. Ricordiamo, ancora, Francesco Cossiga, a causa della vicenda Gladio, anche se la messa in stato di accusa fu respinta nel 1991. Ma veniamo ad un chiarimento puntuale del termine “impeachment”. Anzitutto, la nostra Costituzione non parla di Impeachment, bensì codifica “la messa in stato di accusa del Capo dello Stato”. Disciplinata all’art. 90 Costituzione troviamo così scritto “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”. Come sottoscrive l’articolo riportato, il requisito fondamentale per dare vita a una richiesta di messa in stato di accusa, è adottare un testo in cui si chiariscano le ragioni e il motivo oggettivo per cui si sostiene un alto tradimento o attentato alla Costituzione. I 5 Stelle, che sono quelli che hanno lanciato l’idea insieme a Giorgia Meloni, avrebbero dovuto quindi trovare le ragioni costituzionali per circostanziare le accuse. Il punto è che, anche si trovassero le ragioni sufficienti per sostenere la messa in stato di accusa, comunque il verdetto finale non spetterebbe alle Camere, bensì alla Corte Costituzionale. 4 • MSOI the Post

Sembra, però, ben evidente l’uso strumentale di questa crisi istituzionale fatto dai due partiti della maggioranza, in particolare dalla Lega di Salvini, sempre più forte nei sondaggi. Scrive infatti Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera: “La sensazione è che […] Matteo Salvini, e in scia anche Luigi Di Maio, fossero impegnati a preparare la nuova campagna elettorale, a creare l’occasione per sfilarsi da un accordo fragile e rischioso, pieno di promesse impossibili”. Sensazione presente anche all’interno del Movimento, dove, rivelano alcuni articoli de La Stampa, aleggia il sospetto di essersi fatti usare dal leader del Carroccio. Nel frattempo, Mattarella chiamava al Quirinale Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review, per conferirgli l’incarico di un governo che si annunciava senza alcun sostegno in Parlamento. Lo sbocco quasi inevitabile di una crisi infinita sembravano le elezioni anticipate, forse a fine luglio o in autunno. Ritornavano i toni da campagna elettorale, con

Matteo Salvini a tuonare contro l’Europa e la Germania che vorrebbero imporci i Ministri, con Di Maio, indietro nei sondaggi e con qualche critica interna, a rilanciare giocando la carta dell’impeachment, con il PD a invocare la creazione di un fronte repubblicano. Venivano chiamate a raccolta le piazze per il 2 giugno. A dettare il tempo a questo balletto arrivavano i mercati finanziari, già in fermento da qualche settimana. Lo spread superava soglia 300 nella giornata di martedì 29 maggio, che registrava inoltre un tonfo di Piazza Affari del 2,65%. La crisi diventava anche finanziaria. Tuttavia, nella giornata di mercoledì si è assistito ad un ennesimo cambio di musica.

È stato il Movimento 5 stelle a fare una nuova piroetta: dopo aver abbandonato martedì i toni incendiari contro la Presidenza della Repubblica e l’ipotesi di impeachment, Di Maio ritornava da Mattarella e, accantonando l’orgoglio personale, accettava di sacrificare Savona all’Economia, purché quest’ultimo restasse nella squadra di governo. La mossa, oltreché ad aprire al ritorno del governo Conte, ha scaricato su Salvini la responsabilità di non far partire il governo gialloverde e di far tornare il Paese alle urne in una situazione drammatica. Il passo di lato di Savona, il passo indietro di Salvini e quello avanti di Di Maio possono forse riaprire le danze del gran ballo della politica italiana.


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 27 maggio. “I richiedenti asilo che si spostano sul territorio dell’Unione Europea non possono essere rimandati nel Paese in cui abbiano presentato domanda di protezione internazionale senza il consenso di quest’ultimo”. La decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea ha sciolto, in questo modo, il nodo procedurale più critico del regolamento di Dublino III.

FRANCIA/GERMANIA 31 maggio. “I dazi di Donald Trump sono inaccettabili”. Parigi e Berlino reagiscono all’ultimatum inviato dagli Stati Uniti all’Europa su acciaio e alluminio, inviando una risposta coesa alla Casa Bianca. Trump ha, infatti, annunciato l’imposizione di dazi rispettivamente del 25% e del 10%. Il rischio di una guerra commerciale globale, tuttavia, continua a preoccupare l’Unione Europea. GERMANIA 30 maggio. Berlino continua a guardare con preoccupazione l’Italia e la sua attuale situazione politica. La cancelliera Angela Merkel, in attesa del nuovo governo italiano e di un programma politico definito, si è contrapposta a coloro che hanno preannunciato una “possibile uscita dell’Italia dall’unione monetaria”; tra questi, vi sarebbe stato l’economista Hans-Werner Sinn.

MACRON A MOSCA, MERKEL A PECHINO: SERVE PIÙ COOPERAZIONE GLOBALE Una risposta all’isolazionismo e al protezionismo

Di Giuliana Cristauro Il presidente francese Emmanuel Macron e quello russo Vladimir Putin si sono incontrati in occasione del Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo 2018 (SPIEF), che si è svolto dal 24 al 26 maggio 2018. Lo SPIEF è una piattaforma importante per la discussione di questioni centrali sull’economia mondiale e sulle sfide globali che le nazioni devono affrontare. Il tema di quest’anno è stato la creazione di un’economia di fiducia, una questione che pone al centro il rapporto tra la disponibilità cooperativa dei regimi politici e le modalità di integrazione della solidarietà globale. Nel suo discorso, Macron, ha fatto riferimento ai valori di “cooperazione”, “multilateralismo” e “sovranità”, criticando velatamente le politiche d’isolazionismo e protezionismo. Ha descritto la Russia come una partner importante per l’Europa e ha invitato al dialogo e alla fiducia per porre fine a quello che ha definito “uno dei periodi più a difficili della stori ”. Infine, Macron ha sottolineato come sia difficile, attualmente, parlare di “fiducia” nella comunità internazionale e che gli obiettivi di “cooperazione e multilateralismo” sembrano essere di non facile attuazione. Tuttavia è necessario, ha aggiunto, “cercare di lavorare

insieme”, al di là delle incomprensioni accumulate in passato. A queste parole hanno fatto seguito quelle di Putin, che ha parlato di “crisi sistematica delle regole del commercio globale”, infrante a causa di “una nuova era di protezionismo”. Le parole di Putin sono sembrate un chiaro riferimento alla recente questione dei dazi sollevata dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Intanto, nel bel mezzo della guerra commerciale tra Donald Trump e Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, la cancelliera tedesca Angela Merkel si è recata a Pechino dal 24 al 26 maggio per l’undicesima visita ufficiale. Durante l’incontro Xi ha manifestato l’intenzione di collaborare con la Germania per portare le relazioni bilaterali a un superiore livello di cooperazione e per promuovere il miglioramento della governance globale nell’ambito di un quadro multilaterale. Questi due incontri ufficiali sembrano indicare una chiara convergenza d’interessi tra Cina, Germania, Francia e Russia di fronte all’offensiva commerciale lanciata da Donald Trump, seppure i leader europei siano ben attenti a non compromettere gli equilibri con gli Stati Uniti. MSOI the Post • 5


EUROPA NUOVO REGOLAMENTO SUL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI L’UE dà le direttive, ma non tutti si adeguano

LUSSEMBURGO 28 maggio. Pierre Moscovici, responsabile degli Affari Economici, ha smentito l’indiscrezione riguardante la presunta esistenza di un “piano B” elaborato in caso di uscita dall’euro da parte dell’Italia. “Non devono esservi piani che contraddicano la democrazia”, ha dichiarato Moscovici, aumentando le polemiche sul recente esito del voto elettorale italiano.

REGNO UNITO 29 maggio. Secondo quanto dichiarato dall’Indipendent, il miliardario George Soros, durante un discorso tenuto nella città di Parigi, avrebbe dichiarato che “la popolazione britannica potrebbe cambiare idea sull’appartenenza all’Unione Europea”. Soros avrebbe finanziato il movimento, Best for Britain, guidato da Gina Miller e che dovrebbe condurre una campagna finalizzata allo svolgimento di un secondo referendum. A cura di Edoardo Schiesari

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Di Rosalia Mazza Il 25 maggio 2018 è entrato in vigore il GDPR – General Data Protection Regulation – Regolamento UE 2016/679, che regolamenta il trattamento dei dati personali all’interno dell’Unione Europea e si applica ai dati che provengono da Paesi esterni all’UE. Per dato personale si intende “qualunque informazione relativa a un individuo, collegata alla sua vita sia privata, sia professionale che pubblica”. Il Regolamento comporterà numerosi nuovi obblighi per le imprese: gli utenti dovranno acconsentire al trattamento dei propri dati, leggendo un’informativa – prodotta dall’azienda – che deve obbligatoriamente essere chiara, scorrevole ed evitare in ogni modo ambiguità; gli utenti possono richiedere che i propri dati vengano eliminati dai database delle aziende, o richiedere che venga loro fornita una copia dei dati in possesso dell’impresa; in caso di data breach, l’azienda deve comunicare l’accaduto agli utenti entro 72 ore; ogni azienda dovrà predisporre un esperto – interno o esterno all’azienda stessa – al quale gli utenti si possano rivolgere e che vigili sul rispetto del Regolamento. Qualora le aziende non dovessero rispettare questi e altri obblighi, sono previste sanzioni che possono arrivare a

un massimo di 20 milioni di euro o al 4% dei profitti. Nonostante si tratti di un regolamento che impone un adeguamento al progresso e che incrementi la sicurezza e il rispetto della privacy, due necessità alle quali si è fatto particolare riferimento soprattutto in seguito al caso Cambridge Analytica, gran parte delle aziende non si sono ancora del tutto adeguate: sebbene un completo adempimento possa costituire un vantaggio competitivo, i costi sono considerati proibitivi specialmente dalle piccole e medie imprese. Ogni impresa è già in possesso dei dati personali dei propri collaboratori e dei propri clienti ma, secondo le informazioni pubblicate da Capgemini nei giorni immediatamente precedenti all’entrata in vigore del Regolamento, solo il 48% delle imprese italiane si considerava ampiamente o completamente adeguata al GDPR. Le imprese britanniche raggiungono il 55%. Un adeguamento sul piano legale e tecnologico richiede un investimento di decine di migliaia di euro da parte delle aziende e, sebbene inizialmente fosse stata esclusa la possibilità di proroghe per l’adeguamento, il Garante Privacy potrebbe valutare nuovamente questa opzione date le difficoltà incontrate dalle imprese.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

STRAIGHT TOWARDS U.S.-NORTH KOREA SUMMIT Trump-Kim encounter arrangement talks may resume after sudden halt

By Kevin Ferri STATI UNITI 25 maggio. Harvey Weinstein si è consegnato alla polizia di New York ed è stato poi rilasciato in seguito al pagamento di una cauzione da 1 milione di dollari. Il produttore, al centro degli scandali sessuali denunciati dal movimento #MeToo, è stato accusato, nello specifico, da due donne per molestie sessuali e stupro. Weinstein ha dovuto consegnare il proprio passaporto e dovrà indossare un braccialetto GPS. 28 maggio. Dopo l’incontro tra Moon e Kim Jong-un, proseguono le trattative tra Stati Uniti e Corea del Nord. Proseguono, dunque i lavori preparatori al summit previsto per il 12 giugno a Singapore, ancora a rischio. In corso di discussione sarebbero principalmente le condizioni per la denuclearizzazione della penisola coreana. Pechino, invece, non ha ancora assunto una posizione chiara. 29 maggio. Trump ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi doganali verso la Cina. I prodotti tecnologici importati saranno tassati del 25%, per un valore complessivo di 50 miliardi di dollari. In programma, inoltre, una stretta sugli investimenti cinesi negli Stati Uniti e maggiori controlli sulle esportazioni,

On Thursday, Trump surprisingly canceled the anticipated U.S.-North Korea summit, scheduled for June 12th, citing hostile comments from top North Korean officials and concern about the country’s commitment to giving up its nuclear weapons. “Sadly, based on the tremendous anger and open hostility displayed in your most recent statement, I feel it is inappropriate, at this time, to have this long-planned meeting” said Trump in his letter to Kim Jong-un. However, things changed quickly after South Korean president Moon Jae-in met with North Korean leader Kim Jongun on Saturday for an unannounced discussion about their hopes for a U.S.-Korea summit. The North Korean Leader is still committed to the “complete denuclearization” of the Korean Peninsula and willing to meet with President Trump. But Kim also expressed concerns about whether he could trust the United States guarantees that he will remain in power following denuclearization. Significantly, this is an extremely relevant aspect, as pointed out by senator Marco Rubio, which expressed his skepticism

about the fact that the Supreme Leader will agree to completely give up his country’s nuclear capabilities, stating that the leader almost has an emotional attachment to them and that they make him feel prestigious and powerful. After all, we must remember that North Korea under Kim Jong-il committed to full denuclearization in Six Party Talks in 2005 and in 2007, but it did not yet. Leaving all the political ‘fuss’ behind, the Trump administration has been working in the shadows to prepare the meeting. In fact, a United States delegation is currently in North Korea to make arrangements for the Singapore summit on June 12th. In the beginning, the original idea from Moon and Kim was a three-way summit when they held their first meeting at Panmunjom on April 27. Moon publicly raised the possibility again at a press conference Sunday, saying he hoped for a three-way summit “should the North Korea-U.S. summit succeed.” At the moment, talks with North Korea on a summit with Kim Jong-un are going “very well” Trump said on Saturday. Trump also said there is “a lot of goodwill” and that the original plan was still being considered and that “that hasn’t changed.”

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NORD AMERICA finalizzati alla protezione della proprietà intellettuale americana. 30 maggio. Uno scandalo sessuale e un uso illecito dei fondi raccolti per la sua campagna elettorale hanno costretto il governatore del Missouri, Eric Greitens, a dimettersi. Il politico ha comunque negato di aver infranto la legge.

CANADA 25 maggio. Esploso un ordigno artigianale in un ristorante indiano della città di Mississauga, Ontario, nei pressi di Toronto. 15 persone sono rimaste ferite, tra le quali, 3 particolarmente gravi. Gli autori del gesto sarebbero stati 2 uomini incappucciati. Le autorità proseguono le indagini per chiarire se possa essere stato un atto di terrorismo. 30 maggio. Il governo canadese ha acquistato l’oleodotto Trans Mountain, di proprietà della statunitense Kinder Morgan. La scelta della “nazionalizzazione” è stata presa per permettere investimenti in grado di aumentarne la portata e favorirne le esportazioni verso l’Asia. La decisione è stata duramente contestata dal governatore della British Columbia e dai gruppi ambientalisti. A cura di Luca Rebolino

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LA CORSA DELLE DONNE AL CONGRESSO Il Partito Democratico statunitense si rinnova

Di Jennifer Sguazzin

na di San Antonio.

L’attuale presidenza statunitense ha assistito alla nascita di importanti campagne sociali guidate dalle donne contro le molestie sessuali, tra le quali MeToo e TimesUp, che in breve tempo hanno raggiunto una portata globale. Questo crescente attivismo femminile ha scosso anche le primarie nazionali, raggiungendo il record di quasi 400 donne in corsa per il Congresso, la maggior parte delle quali appartenenti al Partito Democratico.

Agli occhi di molti osservatori e candidati, queste vittorie ricordano il 1992, il cosiddetto “Year of the Woman” per il numero record di donne che hanno corso e vinto le elezioni, soprattutto per posizioni al Congresso Diversi fattori contribuirono a tale primato femminile, ma senza dubbio fu la vicenda di Anita Hill a scatenare l’indignazione e la scesa in campo delle donne. Hill portò in tribunale Clarence Thomas, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, per molestie sessuali sul lavoro. Il caso fece scalpore per il trattamento che subì Hill, non creduta e pesantemente accusata sia sul piano personale sia su quello politico. L’ascesa delle donne in politica sull’onda del movimento MeToo, e in contrapposizione alla presidenza Trump, ricorda la mobilitazione avvenuta all’epoca.

Questo scenario inedito è dominato dal nome di Stacey Abrams, in corsa per la carica di governatrice della Georgia. Con un passato da procuratrice e scrittrice, Abrams affronta una duplice sfida: essere la prima donna e la prima afroamericana a ricoprire tale ruolo. Una sfida ancor più difficile considerando che la Georgia è una roccaforte Repubblicana e che gli afroamericani costituiscono solo il 30% della popolazione. Le donne sono state le protagoniste anche negli altri Stati ove si sono svolte le primarie. L’ispanica Lupe Valdez, ex sceriffa di Dallas dichiaratamente omosessuale, ha battuto Andrew White nella corsa per il posto di governatore. In Kentucky, l’ex marine Amy McGrath ha vinto per un seggio alla Camera contro il sindaco di Lexington Jim Gray. E un’altra donna, Gina Ortiz Jones, veterana dell’aeronautica, ha vinto nell’area lati-

Il Partito Democratico ha scelto, dunque, di scommettere su donne che si rivolgono a quella fetta di elettorato che non si sente rappresentata dal presidente Trump e che non ha più fiducia nei tradizionali candidati dei due partiti. Questo cambiamento potrebbe risollevare le sorti di un partito che porta ancora le cicatrici della sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. A novembre, con le elezioni di metà mandato, e ancor di più nel 2020, i Democratici scopriranno se questa è stata una scelta vincente.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole IRAN 29 maggio. Tensioni durante le esequie pubbliche di Nasser Malek-Motie. Il celebre attore, bandito dal cinema nel 1979, dopo la rivoluzione islamica, è deceduto all’età di 88 anni. Il funerale è diventato occasione di protesta contro il governo da parte della popolazione e i manifestanti sono stati contenuti con l’utilizzo di lacrimogeni e colpi di pistola sparati in aria.

ISRAELE 29 maggio. Gaza ancora teatro di scontri. I militanti palestinesi del Jihad Islamico, hanno sparato colpi di mortaio verso la città di Sderot, i quali hanno avuto, come risposta, nuovi raid israeliani preannunciati da Netanyahu. Poche ore dopo Lieberman, ministro della Difesa israeliano, ha ribadito l’efficacia dell’attacco anti-terroristico e ha annunciato “nuove risposte armate ad eventuali ulteriori minacce”. 29 maggio. Una piccola flotta palestinese è partita, nella mattinata, da Gaza con l’intento di rompere il blocco navale imposto da Israele. La Marina militare israeliana ha bloccato le modeste imbarcazioni a 12 miglia dalla costa e ha arrestato i 17 palestinesi che erano a bordo. 30 maggio. Nonostante l’assenza di accordi ufficiali, Hamas avrebbe fatto sapere che, grazie

IL CESSATE IL FUOCO A GAZA

La tregua tra Hamas e Israele sarà duratura?

Di Lucky Dalena Continuerà ad esplodere. In un canto disperato per Gaza, invitando al silenzio, il poeta Mahmoud Darwish assicura che Gaza continuerà ad esplodere. Ma Gaza, questa notte, si è presa una pausa dalle bombe. Martedì 29 maggio è stata una delle giornate più sanguinose nella storia del conflitto dal 2014. Lo stesso giorno, un’imbarcazione ha preso il largo dalle sponde di Gaza trasportando pazienti, medici, studenti e attivisti diretti a Limassol, Cipro. Una volta raggiunte le 9 miglia nautiche (secondo gli accordi di Oslo del 1993 Israele dovrebbe permettere la pesca fino a 20 miglia nautiche – concessione che, di fatto, non è mai stata attuata), la barca è stata fermata dalla marina israeliana, la quale ha arrestato i passeggeri. “Questi sono stati giorni difficili in Cisgiordania, Gerusalemme e in particolare sulla Striscia di Gaza. L’occupazione israeliana ha portato avanti una severa aggressione con aerei e razzi, il che indica che l’occupazione non vuole la pace. Ma noi vogliamo la pace, e chiediamo la pace” , ha dichiarato il presidente palestinese Mahmoud Abbas, accusando Israele di aver fomentato e portato all’inasprirsi degli scontri.

Nella fazione opposta, invece, il governo israeliano ha fatto sapere, tramite il governo egiziano, postosi come mediatore (seppur reiterando le restrizioni alla frontiera con Gaza), che se i palestinesi non dovessero diminuire le violenze, Israele reagirebbe in maniera più forte, dura e colpendo direttamente la leadership dei gruppi. Le minacce, però, sembrano essere sfociate in una tregua. Secondo fonti di Hamas, tra cui il deputato Khalil al-Hayya, Israele e il gruppo hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco a partire dal 30 maggio scorso. Israele non ha confermato le indiscrezioni, ma ha assicurato che se Hamas dovesse continuare ad attaccare, la loro reazione sarebbe in ogni caso più forte. Di fatto, il cessate il fuoco sembra – per ora – essere effettivo e non si sono registrati attacchi nelle prime ore dopo l’inizio della tregua alle 4 del mattino. Dopo 12 anni di occupazione, con scontri che si sono aggravati negli ultimi anni causando la morte di 2.251 palestinesi e 66 israeliani, ci si chiede se questo sia un buon segno verso una (lunga) risoluzione del conflitto. Senza che persone disperate debbano affidarsi al Mediterraneo come via di fuga.

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MEDIO ORIENTE all’intervento dei mediatori egiziani, sarebbe disposto ad accettare il cessate il fuoco per quanto riguarda la striscia di Gaza.

UNA PACE PER LA LIBIA? Il summit a Parigi tra le fazioni opposte

LIBIA 25 maggio. Un’autobomba non lontana all’hotel Tibesti, a Bengasi, città controllata da luglio dal generale Hafthar, ha ucciso 7 civili causando, circa, altri 20 feriti. L’attentato non è stato rivendicato. 28 maggio. 13 tra le più importanti milizie libiche hanno fatto pervenire, alle massime istituzioni, un documento contrario alla Conferenza di Parigi riguardante il futuro politico della Libia. 30 maggio. Si è tenuta a Parigi, sotto l’egida di un sempre più influente Macron, l’incontro che ha riavvicinato i due fronti della Libia: il governo di Accordo Nazionale guidato da al-Serraj, con base a Tripoli e ufficialmente riconosciut o , e quello di Tobruk, illegittimo, ma appoggiato da potenze come Egitto, Russia e la stessa Francia, con a capo il generale Hafthar. Gli intenti dichiarati al termine della Conferenza sembrano direzionarsi verso lo svolgimento delle elezioni parlamentari e presidenziali all’inizio di dicembre. OMAN 28 maggio. Il ciclone Mekunu, che si è abbattuto anche sullo Yemen facendo evacuare centinaia di famiglie, ha causato 13 morti nelle giornate di sabato e domenica. A cura di Lorenzo Gilardetti

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Di Anna Nesladek Mentre l’Italia è concentrata sulla crisi di governo, la Francia guarda alle sponde libiche per favorire un processo di pace dopo il conflitto che da anni affligge il Paese. Lo scorso martedì 29 maggio, a Parigi, Macron è stato protagonista di un summit tra le fazioni rivali in Libia. La Libia, in conflitto dal 2011, vede ora separate due fazioni principali. Da un lato, il presidente AlSarraj, il cui ruolo istituzionale è riconosciuto dalla comunità internazionale e il cui governo (Governo di Accordo Nazionale – GNA) ha avuto il benestare delle Nazioni Unite. Dall’altro lato, il governo delle milizie dell’esercito nazionale libico, il cui leader è il generale Haftar, di recente protagonista delle cronache a causa del suo stato di salute. L’incontro di Parigi, immortalato da numerosi fotografi per le storiche strette di mano fra i due rivali, è stato interpretato da molti come qualcosa di positivo, ma c’è del dissenso tra gli opinionisti. Se per alcuni si tratta di una nuova pagina, altri hanno espresso i loro dubbi.

Come risultato del nuovo dialogo, è stata fissata una data per porre le basi costituzionali necessarie allo sviluppo di una nuova elegge elettorale, con scadenza a settembre, per poter svolgere le elezioni parlamentari e presidenziali nella prima metà di dicembre. Quello che lascia perplessi gli esperti, però, è la mancanza di un effettivo cambiamento nella situazione che rappresenti una svolta concreta. Inoltre, su Al Jazeera qualcuno si chiede se la parte che perderà le elezioni sarà poi effettivamente in grado di accettare la sconfitta e di agire come una forza democratica di opposizione, senza riportare il Paese nel caos. L’incontro non è il primo in Francia, e ce ne sono stati anche in Egitto e negli Emirati Arabi. L’inviato speciale delle le Nazioni Unite per la Libia, a settembre scorso, aveva dichiarato che troppi incontri avrebbero potuto rovinare il processo di pace tra i due Paesi. Il presidente Macron, però, sembra voler essere protagonista di questo nuovo slancio verso il dialogo pacifico. Si spera solo che non diventi un’altra Gaza, in cui mentre le scintillanti strette di mano tra i politici sono sulle prime pagine, il popolo muore sotto i bombardamenti.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

AZERBAIJAN 24 maggio. Il presidente azero Ilham Aliyev ha firmato un decreto con il quale quale ha concesso la grazia a 634 detenuti. Tuttavia, secondo quanto messo in luce da Human Rights Watch, di questi 634 prigionieri, solamente 12 di loro sarebbero stati attivisti politici. Restano, infatti, in prigione la maggior parte dei detenuti politici, giornalisti e blogger arrestati nel corso degli anni. Resta in prigione anche Ilgar Mammadov, uno dei principali esponenti dell’opposizione, nonostante la Corte europea abbia già riconosciuto la sua detenzione come illegale. MONTENEGRO 29 maggio. La NATO ha reso ufficiale che la prossima settimana l’aeronautica italiana e quella greca “pattuglieranno i cieli del Montenegro dopo averne ricevuto richiesta da Podgorica”. Il Montenegro ha ricevuto questo diritto dopo essere diventato ufficialmente un membro dell’organizzazione lo scorso giugno. RUSSIA 30 maggio. Dati i tentativi, messi in atto dal governo russo da aprile, ma senza successo, di bloccare la popolare app di messaggistica Telegram, l’ente garante delle telecomunicazioni Roskomnadzor ha ufficialmente chiesto ad Apple di

STRATEGIE ENERGETICHE DI RUSSIA E BULGARIA

La possibile riapertura del “South Stream” ricostruisce i rapporti tra i due Stati Il progetto South Stream fu elaborato nel 2008 grazie alla collaborazione tra Gazprom ed ENI. Il suo scopo era il trasporto di gas naturale dalla Federazione Russa all’Italia passando per la Bulgaria e i Balcani. Esso fu inteso come un contro bilanciamento al North Stream che collega la Russia Di Amedeo Amoretti alla Germania, ma, in seguito alle critiche europee, il progetto meridionale fu rimpiazzato Le relazioni tra UE e Russia dall’amministrazione russa con si stanno ridimensionando, il Turkish Stream. almeno sotto il profilo economico. E la Bulgaria sembrerebbe muovere i primi La sua rivitalizzazione, secondo passi in questa direzione. Radev, costituirebbe “senza Il 22 maggio, a Sochi, il presidente bulgaro Rumen Radev ha incontrato Putin per valutare lo sviluppo di nuovi progetti in ambito energetico tra i due Paesi. Radev, infatti, ha voluto sottolineare che il motivo della sua visita fosse “restaurare il dialogo tra i due Paesi al più alto livello possibile”. Secondo l’emittente radiofonica RFE/RL, la Russia sarebbe pronta a rendere la Bulgaria un hub nel trasporto di gas naturale russo. Affinché ciò possa essere possibile, è necessaria la ripresa dei lavori per il gasdotto South Stream, bloccato nel 2014 dalle forti critiche da parte della Commissione Europea. Secondo quest’ultima, il progetto non avrebbe rispettato le legislazioni vigenti.: l’infrastruttura andrebbe a rafforzare il programma russo in parallelo al “Turkish Stream”, l’impianto che rifornisce la Turchia.

dubbio, il modo più sicuro, più credibile e più economico” di trasporto di gas naturale russo all’Europa meridionale. Qualora la Bulgaria non dovesse dare le garanzie necessarie per evitare un’ulteriore sospensione del progetto, secondo la TASS, le possibilità di una riapertura dei lavori sarebbero remote.

Un altro argomento sul piano energetico trattato nel meeting è stato quello della volontà di riaprire la centrale nucleare di Belene, annunciata il 12 maggio scorso dal primo ministro bulgaro Borisov. Ciò sarà possibile solo in seguito al ritiro, da parte del Parlamento – la cui maggioranza sostiene Borisov – della moratoria imposta nel 2012. La volontà sarebbe quella di privatizzare la centrale o attrarre investitori esteri strategici. La Russia sarebbe interessata a finanziare il progetto, ma anche la Cina sembrerebbe aver messo gli occhi sulla questione. MSOI the Post • 11


RUSSIA E BALCANI “eliminare l’applicazione dal loro AppleStore”. Non sono ancora chiare quali potrebbero essere le conseguenze al rifiuto da parte di Apple allo scadere del mese concesso da Mosca, all’azienda di Cupertino, per provvedere al blocco. 31 maggio. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha incontrato Kim Jong Un, leader della Corea del Nord, durante la sua visita a Pyongyang. Il meeting ha rimarcato chiaramente la volontà di mantenere una posizione chiave della Russia nella risoluzione della crisi coreana. SERBIA 28 maggio. La Serbia ha confermato un accordo di cooperazione di lunga durata con il colosso russo del gas Gazprom. Dopo un incontro con il CEO di Gazprom, Alexey Miller, e con Alexander Dyukov, il ministro serbo per gli Affari energetici Aleksandar Antic ha confermato che “la Serbia costruirà nuovi sistemi di trasmissione e nuovi depositi sotterranei di gas”. UCRAINA 30 maggio. Dopo aver diffuso per giorni la notizia sull’avvenuta morte, a causa della sua opposizione al governo di Mosca, del giornalista russo Arkady Babchenko, è emerso come il decesso fosse solo stato simulato, dalle istituzioni ucraine, per proteggere il giornalista, da tempo rifugiatosi a Kiev. Il governo di ucraino è ora accusato da diversi attori, fra i quali anche l’OSCE, per aver diffuso informazioni non veritiere e per aver minato la credibilità giornalistica, in quella che viene definita una guerra dell’informazione. A cura di Elisa Todesco

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SVENTATA UN’OPERAZIONE DI GUERRA IBRIDA In Polonia arrestata una cittadina russa che fomentava odio nei confronti dell’Ucraina

Di Andrea Bertazzoni Due settimane fa l’ABW, uno dei servizi segreti polacchi che si occupa di sicurezza interna, ha arrestato la cittadina russa Ekaterina C., rea di aver preso parte a diverse azioni di istigazione all’odio nei confronti della popolazione ucraina. Secondo le autorità polacche, la donna sarebbe stata una mercenaria del governo russo che perseguiva l’obiettivo di dare inizio a una guerra ibrida e ad una campagna di disinformazione al fine di fomentare le ostilità nei rapporti ucraino-polacchi.

i cittadini stranieri. Le autorità polacche provvederanno a interrogare e controllare anche i cittadini polacchi, considerati “complici” della donna russa, che, nel corso di svariati mesi, avrebbe tentato di cucire una fitta rete di circoli filorussi presenti in Polonia. L’agenzia per la sicurezza interna ABW si è dichiarata al corrente del fatto che la Federazione Russa stia spingendo alcuni cittadini residenti all’estero a compiere azioni di fomentazione d’odio. La Russia starebbe “finanziando numerosi mercenari, tenuti ad agire negli interessi di Mosca”.

La giovane donna si trovava in Polonia dal 2013, quando si era trasferita dopo aver ottenuto un visto che le permetteva di proseguire gli studi all’estero. Oltre ad essa, i servizi segreti polacchi avrebbero individuato altre 4 persone provenienti dalla Federazione Russa, alle quali è stato esplicitamente vietato l’ingresso in territorio polacco.

Proprio pochi giorni fa gli expresidenti dell’Ucraina Kravčuk, Kučma, Juščenko e i loro omologhi polacchi Komorowski e Kwaśniewski hanno firmato un documento congiunto, in cui chiedono di impegnarsi a cercare nella storia dei due Paesi i tratti positivi, capaci di contribuire al miglioramento dei rapporti bilaterali, e non gli aspetti più delicati e difficili, che potrebbero dimostrarsi motivo di astio.

Il portavoce del coordinatore dei servizi segreti polacchi per la sicurezza interna, Stanislaw Zaryn, ha affermato che la donna sarà espulsa e rimandata in Russia, ed ha sottolineato che i servizi segreti hanno agito nel pieno rispetto della legge riguardante

Da quando ha avuto luogo l’annessione della Crimea, la Polonia è stata uno dei critici più aggressivi nei confronti dell’amministrazione Putin, molto inviso ai cittadini polacchi e spesso tacciato di condurre campagne di disinformazione in merito alle posizioni di Varsavia.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole COREE 27 maggio. Incontro a sorpresa tra Kim Jong-un e Moon Jae-in a Panmunjom, nella zona demilitarizzata del confine. Primo punto all’ordine del giorno, l’organizzazione del summit tra Corea del Nord e Stati Uniti previsto il 12 giugno a Singapore. Il leader sudcoreano ha annunciato che Kim sarebbe disposto a una “denuclearizzazione completa” della penisola, in cambio di garanzie di sicurezza per il proprio Paese. Dopo aver divulgato l’annullamento del meeting, Donald Trump è tornato, quindi, a parlare di “colloqui molto produttivi con la Corea del Nord per ripristinare il summit”. 30 maggio. L’ex capo dei servizi militari di intelligence nordcoreani e vicepresidente del Comitato centrale del Partito dei Lavoratori, Kim Yong-Chol, è arrivato a New York, per incontrare il segretario di Stato americano, Mike Pompeo. Il braccio destro di Kim Jong-un ha il compito di discutere i dettagli dell’incontro tra il leader nordcoreano e il Presidente degli Stati Uniti.

FILIPPINE 29 maggio. Il ministro degli Esteri filippino, Alan Peter Cayetano, ha comunicato le intenzioni del presidente Duterte “di entrare in guerra contro la Cina in risposta alla militarizzazione del Mar Cinese Meridionale”.

DEFORESTAZIONE COME STRUMENTO POLITICO-ECONOMICO L’Indonesia svende il suo popolo alle grandi imprese offerti dai privati a candidati e rappresentanti politici per ottenere particolari concessioni.

Di Alessandro Fornaroli L’Indonesia continua ad attraversare un duro periodo di crisi ambientale, oltre che di incertezza politica e lotta alla corruzione. Martina Borghi, responsabile italiana della Sezione Foreste di Greenpeace, ha riferito che, secondo il Ministero dell’Ambiente indonesiano, il Paese ha perso nel periodo compreso tra il 1990 e il 2015 più di 24 milioni di ettari di foresta tropicale, surclassando qualsiasi altro Stato in questo primato negativo. I fattori che hanno portato a questo risultato, favoriti dal sistema economico e politico dell’arcipelago, non vanno cercati tanto nell’amministrazione centrale indonesiana, quanto nei singoli villaggi. I leader delle piccole comunità, sfruttando un vuoto normativo, hanno iniziato verso la fine del secolo scorso a vendere autonomamente concessioni per la deforestazione, l’estrazione mineraria e lo sfruttamento agricolo. Accanto alla gestione indebita del territorio da parte di grandi imprese straniere ed all’arricchimento dei singoli a discapito degli abitanti locali, hanno concorso a determinare la crisi gli incentivi indebiti

Come ha indicato l’Indonesian Central Bureau of Statistics, la profonda diseguaglianza nella ripartizione del territorio, che consegna 41,69 milioni di ettari alle industrie e solamente l’1% ai contadini, ha generato un profondo scontento tra la popolazione. In aggiunta a questo dato, bisogna sottolineare che il traffico di denaro dei lobbisti rimane confinato al livello dell’illegalità, senza contribuire positivamente alla spesa per il welfare sociale. Tutti questi motivi, hanno portato gli indonesiani a disboscare preventivamente le aree intorno ai loro villaggi, di fatto cercando di boicottarne il trasferimento di proprietà. Dal momento che il Governo attuale non riesce a venire a capo di questi problemi, molti guardano al regime passato come a un esempio di stabilità. Il dittatore Suharto infatti, secondo i sondaggi, viene considerato dal 32,9% dei cittadini come l’ultimo grande Presidente. Il suo erede biologico e politico, Hutomo Mandala Putra, detto Thommy Suharto, ha recentemente fondato il Party Berkarya, o Partito dei Lavoratori, con l’obiettivo di accorciare le distanze tra ricchi e poveri all’interno della regione. Thommy non teme che la propria immagine venga intaccata dall’influenza del padre e ha preparato un tour politico lungo la costa, per di raccogliere più consenso possibile tra i suoi concittadini. MSOI the Post • 13


ORIENTE Dopo essere stato accusato di un’eccessiva indulgenza nei confronti della Cina, Duterte si dichiarato pronto a un approccio più duro “qualora la Cina dovesse superare le linee rosse”; se dovesse, dunque, continuare a sfruttare le risorse naturali della regione. INDIA 28 maggio. Il Governatore dello Stato del Tamil Nadu ha annunciato la “chiusura permanente di una delle fonderie di rame più grandi del Paese”, appartenente al gruppo inglese Vedanta. Da diversi decenni gli ambientalisti denunciano l’impatto della fonderia sul territorio e sulla salute degli abitanti. Nelle ultime 3 settimane le proteste si sono intensificate e gli scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine hanno causato la morte di 13 ambientalisti. INDONESIA 30 maggio. Il presidente indonesiano, Joko Widodo, e il primo ministro indiano, Narendra Modi, si sono incontrati, a Giacarta, per discutere della cooperazione marittima tra i due Paesi. In particolare, i due leader si sono accordati sulla costruzione di infrastrutture e di una zona economica a Sabang, zona strategica per il commercio internazionale.

L’IRAN ENTRA NELLA SCO Il distacco con gli USA porta a un riavvicinamento con la Cina

Di Tiziano Traversa Il presidente iraniano Hassan Rouhani si recherà in visita ufficialeinCinaperpartecipareall’annuale vertice della Shanghai Cooperation Association (SCO). Il comunicato arriva dal Ministero degli Esteri cinese, che ha fatto sapere che l’Iran ha ricevuto l’invito a seguire i lavori dell’organizzazione tra l’8 e il 10 giugno. La nota informa, peraltro, che Pechino intende rafforzare i propri rapporti con Teheran.

di restare isolato nello scacchiere internazionale. In egual misura, la questione aperta sul nucleare iraniano con gli Stati Uniti, che hanno dichiarato di volersi tirare indietro dall’accordo del 2015, apre a interessanti opportunità per i membri dell’area asiatica. La Cina, in particolare, sembrerebbe assai interessata a colmare il vuoto che si verrebbe a creare nell’economia iraniana con un possibile passo indietro dei mercati occidentali e l’applicazione di ulteriori sanzioni.

La SCO, nata all’inizio del secolo, agisce nei settori della sicurezza, dell’economia e della cultura, e raggruppa 8 Nazioni dell’area orientale, compresi i 3 colossi asiatici: Cina, Russia e India. L’Iran, uno dei principali partner commerciali della Cina, ne è membro osservatore da diversi anni e da qualche tempo circolano voci su di un possibile ingresso permanente.

Ai Paesi già membri dell’organizzazione, l’Iran appare ricco di risorse; possiede ingenti capitali che possono essere reinvestiti e ha interesse a portare avanti la produzione di energia nucleare. Per i governi che alimentano l’idea di una rivalità tra est ed ovest globali, la culla della civiltà persiana è altresì un interessante alleato sotto un profilo ideologico.

Nella delicata situazione internazionale odierna, con gli Stati Uniti che tornano ad essere ostili con l’Iran, non sorprende la volontà dello Stato di A cura di Virginia Orsili volgere il proprio sguardo verso est. Nuove sanzioni minacciate dall’occidente fanno sì che il Paese voglia evitare

Mosca e Pechino da anni lavorano per allargare l’area di influenza nei Paesi del Medio Oriente. È una lotta tra la vecchia e, si potrebbe azzardare, un poco stanca supremazia USA e le nazioni emergenti, che, lente ma inesorabili, conquistano lo scenario dell’economia internazionale.

MYANMAR 28 maggio. L’ufficio della consigliera di Stato Aung San Suu Kyi ha comunicato il rimpatrio di 62 Rohingya nel “campo di accoglienza” di Nga Khu Ya. Essendosi opposti alle procedure ufficiali di rimpatrio, i 62 Rohingya sono stati, in un primo momento, arrestati.

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AFRICA 7 Giorni in 300 Parole GAMBIA 22 maggio. Si è tenuta la conferenza internazionale tra Unione Europea e governo del Gambia, presieduta dall’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, e il presidente del Gambia, Adama Barrow. In occasione dell’incontro, la Comunità Internazionale ha stanziato 1,45 miliardi di Euro a sostegno del piano di sviluppo del Paese. L’Alto Rappresentante ha, inoltre, garantito un ulteriore finanziamento di 140 milioni di Euro, in aggiunta ai 225 milioni, già erogati nel 2017.

MOZAMBICO 29 maggio. Almeno 10 persone sono state decapitate in un attacco operato da presunti terroristi jihadisti nel villaggio di Monjane, centro minerario e petrolifero. Dallo scorso ottobre sono state arrestate 200 persone legate ai militanti. Inoltre, alcune moschee sono state chiuse per collegamenti sospetti con i gruppi terroristici. Nella scorsa settimana, solo 6 di queste, sono state nuovamente aperte ai fedeli. RWANDA 30 maggio. Approvata la legge sull’acquisizione di armi, che andrà a sostituire la precedente regolamentazione in materia, datata 2009. Da oggi, i singoli, potranno richiedere il porto d’armi e i commercianti potranno vendere armi da fuoco, per uso

PRONTI AL DECOLLO?

Presto operativo un nuovo framework di cooperazione dell’Unione Africana

Di Guglielmo Fasana 26 Paesi africani hanno assunto un impegno formale ad integrare il Single African Air Transport Market (SAATM), un progetto facente parte dell’Agenda 2063 dell’Unione Africana (UA) dal 28 gennaio, data della 30a riunione dei Capi di Stato e di Governo. Al momento del suo lancio, Paul Kagame, attuale presidente del Rwanda e dell’UA, ha salutato l’iniziativa come “[…] un grande passo per i trasporti. Siamo quasi pronti ad adottare l’area di libero scambio continentale”. In un momento di difficoltà manifesta di un gran numero di fori internazionali, in primis ONU e UE, sotto attacco di opinione pubblica e governi, l’Africa si piazza positivamente in controtendenza. Il commercio internazionale, dominio a cui appartiene il SAATM, potrebbe rivelarsi un vettore d’importanza capitale nel raggiungimento di un continente integrato, prospero e stabile. Il successo annunciato del SAATM è stato rilanciato il 28 maggio dal Commissario dell’UA, Moussa Faki Mahamat, nel corso delle riunioni un gruppo di lavoro ministeriale che si sta svolgendo a Lome, capitale del Togo, per rendere finalmente

operativo ciò che è stato approvato sulla carta. Gli sforzi della prossima tappa sono quelli che ricadono sulle spalle degli Stati membri dell’UA. Per adottare il SAATM è necessario che questi emendino gli accordi bilaterali attualmente in vigore, in particolare i Bilateral Air Service Agreements, per far spazio alla nuova architettura multilaterale. L’obiettivo del singolo mercato è piuttosto evidente: quello di rendere più veloce e meno costosa la connettività all’interno dei confini dell’Unione Africana, che dal canto proprio spera così di incoraggiare gli investimenti transnazionali e l’innovazione, così come di aumentare le operazioni commerciali e la loro efficienza. Ricadute positive sono previste anche nel settore del turismo, che andrebbe a beneficiare di una riduzione delle tariffe dei voli civili e di una liberalizzazione dei diritti di sorvolo, di capacità e di frequenza, sempre in base alle esigenze del mercato. Entro il 2023 il SAATM sarà realtà e l’impatto sull’economia sarà di ampiezza notevole. Secondo le stime dell’UA, saranno 300.000 i posti di lavoro generati nel breve termine, e circa altri 2 milioni di opportunità create indirettamente. MSOI the Post • 15


AFRICA strettamente difensivo, sportivo o per caccia. Il Ministero per gli Affari Costituzionali e Legali ha dichiarato che la “regolamentazione del possesso di armi non sfocerà nell’indulgenza verso l’uso indiscriminato di esse”.

IN CERCA DI GIUSTIZIA

Migliaia di studenti senegalesi protestano per l’uccisione di Mouhamadou Fallou Sène

Di Jessica Prieto SOMALIA 29 maggio. Più di 40 civili e due giornalisti sono stati arrestati dalle autorità somale in occasione delle proteste avvenute in Somaliland. Lunedì 28 maggio, i manifestanti hanno marciato attraverso la città di Las Anod, alzando la richiesta di ricongiungimento con il governo federale. Le FA della regione di Sool hanno individuato alcuni elementi che coordinavano la protesta, mentre sono ancora in corso le ricerche di ulteriori e possibili organizzatori. TANZANIA 29 maggio. Il processo tra il governo della Tanzania e i bloggers e attivisti si è concluso con la vittoria del governo. Le New Online Content Regulations hanno fatto discutere per i costi restrittivi imposti agli utenti. Per operare online, questi dovranno pagare una tassa di registrazione e licenza fino a 900$. I contravventori saranno condannati al pagamento di una sanzione pecuniaria di 2200$ o alla detenzione per un minimo di 12 mesi. A cura di Federica De Lollis

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Giovedì 24 maggio, nelle principali città del Senegal, migliaia di studenti hanno marciato pacificamente per chiedere allo Stato chiarezza sull’uccisione del loro collega Mouhamadou Fallou Sène. Quest’ultimo, uno studente di 26 anni dell’Università di Gaston Berger (UGB), a SaintLouis, è stato ucciso il 15 maggio scorso nel corso di alcuni scontri con la polizia. Le forze dell’ordine erano state convocate dal Rettore dell’Università per sedare la protesta di alcuni studenti, che decidendo di usufruire gratuitamente dei ristoranti universitari, reclamavano il pagamento delle proprie borse di studio, in ritardo di più di due mesi. La morte del giovane, che secondo le ultime perizie sarebbe stata causata da una ferita da arma da fuoco, ha quindi sollevato l’indignazione degli studenti in tutto il Paese e ha puntato i riflettori sulle criticità del sistema scolastico senegalese. Alcuni studenti intervistati dal quotidiano “Jeune Afrique” hanno dichiarato che i sussidi statali per l’educazione sono ini sufficient : le borse di studio ammonterebbero a 27/50 euro al mese e sarebbero pagate re-

golarmente in ritardo. Per quanto riguarda gli alloggi, invece, in camere adibite a massimo quattro persone, spesso convivono 10 o 12 persone. Di fronte alle crescenti richieste degli studenti che, oltre ad un miglioramento generale del sistema universitario, reclamano le dimissioni dei Ministri dell’Istruzione e delle Finanze; il presidente Macky Sall, dopo aver licenziato il Rettore e il Direttore del centro di lavoro dell’Università, ha convocato una piccola rappresentanza di studenti dell’UGB per un incontro informale, durante il quale ha espresso le sue sentite condoglianze e ha ascoltato le loro rivendicazioni. Il giorno seguente l’incontro, il Presidente ha ricordato ai Ministri riuniti in Consiglio di voler fare dell’insegnamento e della figura dello studente “uno dei pilastri fondamentali della politica di sviluppo economico e sociale [del Senegal], per favorirne il successo e migliorare le condizioni di vita”. Alle parole, tuttavia, non sono di fatto seguiti provvedimenti. Per questo motivo, gli studenti dell’UGB hanno dichiarato uno “sciopero illimitato” finché non otterranno delle risposte concrete dal Governo.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole BRASILE 28 maggio. Il sindacato del settore petrolifero, la Federazione Unica dei Lavoratori del Petrolio (FUP), ha convocato “uno sciopero di avvertimento” di 72 ore a partire da mercoledì 30 maggio. Il presidente, Michel Temer, dovrà affrontare questo secondo attacco alle politiche governative, successivo allo sciopero degli autotrasportatori che ha paralizzato la prima economia latinoamericana. COLOMBIA 28 maggio. Iván Duque, candidato della destra per il Centro Democratico ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali della Colombia, con il 39,11 % dei voti. Sfiderà al ballottaggio del 17 giugno il rivale, Gustavo Petro, ex sindaco di Bogotà, esponente della sinistra e arrivato secondo, in queste elezioni, con il 25,09 % dei consensi. MESSICO 30 maggio. Le Nazioni Unite hanno denunciato la scomparsa di 23 persone nel comune di Nuevo Laredo per mano della polizia federale. “Questi crimini, perpetrati nel corso di 4 mesi in una sola città, sono da condannare”, ha dichiarato l’Alto commissariato per i diritti umani

NICARAGUA 29 maggio. Il Consiglio Superiore dell’Impresa Privata, ha chiesto ai suoi membri di rinunciare a qualsiasi

L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE COLOMBIANO E’ RIMANDATA AL BALLOTTAGGIO Duque e Petro, i candidati più votati si scontreranno il 17 giugno Senato e 5 alla Camera, così come garantito dagli accordi di pace. Chi sono quindi Duque e Petro?

Di Francesca Chiara Lionetti Le elezioni presidenziali colombiane, tenutesi il 27 maggio scorso, non hanno decretato un vincitore. Nessuno dei candidati ha superato la soglia della metà più uno dei voti validi. I più votati sono stati Ivan Duque, del Centro Democratico, con il 39,14% dei voti, e Gustavo Petro, della sinistra radicale Colombia Humana, con il 25,08%. Uno dei due verrà eletto Presidente il prossimo 17 giugno al secondo turno delle elezioni. Quest’ultime sono però state votazioni pacifiche, le prime dopo l’accordo siglato con le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) il 24 ottobre 2016, che ha messo fine alla guerra civile che durava dal 1964 e che ha causato la morte di circa 200.000 persone. L’ex gruppo rivoluzionari si è convertito in un partito politico conservando la stessa sigla, ma sotto il nome di Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune. Il debutto politico delle nuove FARC è stato piuttosto deludente, e com il solo 0.4% avrà comunque 5 seggi al

Duque, il favorito, è un esponente della destra e nella campagna elettorale si è schierato contro l’accordo di pace con le FARC. Ha promesso che rivedrà il patto, considerato troppo tollerante da molti colombiani. Il candidato ha incentrato la propria campagna elettorale anche sul tema della sicurezza, facendo leva sui nuovi gruppi criminali che si sono fatti strada una volta smembrate le FARC. Petro, di sinistra, è stato sindaco di Bogotá dal 2012 al 2015. Sostiene il trattato di pace e ha un passato da guerrigliero: prima di intraprendere la carriera politica, fu membro del Movimento 19 aprile (M-19), un gruppo rivoluzionario di sinistra attivo negli anni ‘70 e ‘80. Per quanto sostiene, Petro non combatté mai direttamente ma svolse incarichi amministrativi. Ha incentrato la sua campagna elettorale sulle disuguaglianze economiche e sociali del Paese, promettendo di tassare i terreni meno utilizzati, riformare il sistema fiscale agevolando la popolazione più povera e aumentare l’uso delle energie rinnovabili. Il ballottaggio del 17 giugno segnerà una svolta nel futuro della Colombia. Il Presidente eletto avrà un ruolo importante: quello di garantire la stabilità dell’accordo di pace appena firmato, che si spera possa portare serenità e stabilità al Paese.

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AMERICA LATINA relazione con l’esecutivo di Ortega, a seguito della rivolta popolare in atto da 43 giorni. I più importanti imprenditori del Paese, come Carlos Pellas e Piero Coen, hanno dichiarato che il “modello corporativo è giunto a conclusione” e che sarebbe “necessario un cambio di governo”.

PRIMA DONNA PRESIDENTE IN PARAGUAY Dopo le dimissioni di Cartes, Alicia Pucheta sarà Presidente

PARAGUAY 28 maggio. Il presidente del Paraguay, Horacio Cartes, ha annunciato la decisione di rassegnare le proprie dimissioni. Ha, inoltre, pubblicato una la lettera indirizzata al Presidente del Senato paraguayano, nella quale avrebbe annunciato di volere “continuare a servire il Paese dal Senato”. VENEZUELA 29 maggio. Il presidente Maduro ha annunciato, in un discorso televisivo, che la riconversione monetaria verrà rimandata di almeno 60 giorni, come caldamente consigliato dalla Associazione Bancaria del Venezuela. 30 maggio. Luis Almagro, a nome dell’Organizzazione degli Stati Americani, ha promesso di “inviare alla Corte Penale Internazionale un resoconto redatto da un gruppo di esperti in cui siano elencati gli avvenimenti che hanno interessato il Venezuela a partire dal febbraio 2014”. L’obiettivo sarebbe quello di aprire, a La Haya, un giudizio circa la loro configurazione, ai sensi dello Statuto di Roma, come crimini contro l’umanità considerando Maduro, il loro autore intellettuale. A cura di Davide Mina

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Di Elisa Zamuner Horacio Cartes, presidente del Paraguay dal 2013 e membro del Asociación Nacional Republicana – Partido Colorado (ANR-PC), si è dimesso dalla carica per poter occupare quella di senatore. Il Presidente ha annunciato la sua decisione con un messaggio su Twitter nel quale ha aggiunto di voler “continuare a servire il Paese all’interno del Senato della Nazione, come disposto dalla volontà nazionale, depositata nelle urne”. Il mandato di Cartes sarebbe dovuto terminare ad agosto con il passaggio dell’incarico a Mario Abdo Benitez (ANR-PC), eletto Presidente il 22 aprile scorso. La Costituzione paraguaiana prevede che il Presidente uscente diventi di diritto senatore a vita ma con un potere di voto del tutto limitato; rinunciando alla propria carica, invece, Cartes può occupare la carica di senatore con piene funzioni, avendo ottenuto quel posto nelle ultime elezioni e l’autorizzazione della Corte Suprema del Paese. Se le dimissioni venissero approvate dal Parlamento, Alicia Pucheta, vice-Presidente del Paraguay, succederebbe a Cartes, portando a termine il mandato negli ultimi tre mesi e diventando così la prima donna a oc-

cupare la carica di Presidente della Repubblica del Paraguay. Pucheta, anch’essa membro del Partido Colorado, ha 68 anni e ha fatto parte della Corte Suprema fino allo scorso aprile, quando si è dimessa per entrare nel Governo in prospettiva della rinuncia di Cartes. La futura Presidente è famosa per le sue posizioni conservatrici, e alcuni esponenti dell’opposizione hanno espresso delle perplessità sul nuovo ruolo che dovrebbe assumere. In particolare, Desiree Masi, membro del Partido Democrático Progresista (PDP), ha dichiarato di non vedere alcun progresso per le donne con questa nomina, facendo riferimento alle posizioni anti-aborto di Pucheta. Ha inoltre aggiunto di ritenere la parità tra uomini e donne in Paraguay ancora lontana poiché l’incarico non è stato raggiunto attraverso il voto popolare ma è stato, a suo parere, una mossa strategica di Cartes per spostare l’attenzione mediatica dalle sue dimissioni. Attualmente all’interno del Parlamento la rappresentazione femminile tocca delle percentuali molto basse; infatti, nella Camera dei Deputati solo 12 membri su 80 sono donne, mentre in Senato, il rapporto è di 9 su 45.


ECONOMIA IN EUROPA PER RIDURRE IL DEBITO E SOSTENERE LA CRESCITA Pubblicata la Relazione annuale della Banca d’Italia per il 2017

Di Francesca Maria De Matteis Il momento è delicatissimo e l’imminenza della cerimonia, che si tiene in via Nazionale dal 1947, sembra passare in secondo piano. Il Presidente del Consiglio incaricato, Carlo Cottarelli, prosegue le consultazioni per stilare la lista dei ministri da presentare al Quirinale, lo spread sale paurosamente e gli occhi dei Paesi europei sono puntati sull’Italia. La congiuntura di eventi del 29 maggio scorso ha caratteri straordinari. Continua a salire lo spread, mentre il Governatore della Banca d’Italia dà inizio al tradizionale discorso a Palazzo Koch. Ignazio Visco, in occasione della pubblicazione della Relazione Annuale sul 2017, lancia un messaggio di speranza e incoraggiamento, nella consapevolezza della criticità della situazione politica che il nostro Paese sta attraversando. “Il destino dell’Italia è in Europa”, afferma con convinzione. Consolidamento della crescita e riduzione della disoccupazione appaiono obiettivi realizzabili solo nel rispetto della logica economica e dei trattati internazionali, accanto alla tutela del risparmio. “Le norme entro cui operiamo possono essere

discusse, criticate. Vanno migliorate. Ma non possiamo prescindere dai vincoli costituzionali.” Il suo discorso viene accolto dalla sala con applausi e standing ovation finale.

competitività nelle imprese esportatrici, che ha evitato che i valori di mercato delle stesse crollassero: l’export è, infatti, uno dei fattori trainanti della crescita del nostro Paese, accanto alla globalizzazione.

Nelle sue considerazioni, il Governatore conferma la ripresa dell’economia italiana, che nel 2017 è stata pari all’1,5%, superando le principali previsioni, anche se inferiore alla media dei Paesi dell’Eurozona, e rassicura che ci sono le basi per fare in modo che non si receda. “Preservare la fiducia delle famiglie, delle imprese e degli investitori”, sottolinea Visco, “è condizione necessaria per il proseguimento della crescita dell’economia”. La nostra economia è sì al quindicesimo mese di ripresa, ma non essendo rigorosa, ha bisogno di un contesto stabile. Visco ammonisce sul pericolo di fuga dei risparmiatori, in prospettiva di una possibile perdita di valore dei loro risparmi.

Nonostante resti elevata la disoccupazione, le riforme e le innovazioni introdotte nel mercato del lavoro stanno portando risultati incoraggianti. La povertà, però, aumenta (nell’ultimo anno il numero di famiglie che vivono in condizioni di estrema povertà è quasi raddoppiato), e la posizione della popolazione giovane peggiora. L’accento viene posto anche sul ben noto ma non ancora superato divario tra Nord e Sud del Paese.

Non solo note positive, purtroppo. Viene lamentato un ristagno della produttività, e la presenza di piccole e medie imprese, poco capitalizzate, meno produttive di imprese analoghe di molti degli altri Paesi europei e poco propense a crescere e a innovare. Nonostante questo, si è registrato un recupero di

“Non sono le regole europee il nostro vincolo, ma la logica economica” sottolinea in chiusura del suo discorso Ignazio Visco, che conclude ribadendo ancora una volta l’importanza del contesto comunitario dell’Unione Europea, della quale l’Italia è uno dei Paesi fondatori – elemento significativo già ricordato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel comunicato ufficiale di domenica scorsa, in occasione del rifiuto dell’incarico di Presidente del Consiglio da parte di Giuseppe Conte. MSOI the Post • 19


ECONOMIA GLI STATI UNITI INTRODURRANNO PRESTO DAZI SULLE IMPORTAZIONI DI ACCIAIO E ALLUMINIO L’annuncio del Presidente Trump è ormai atteso nelle prossime ore

Di Giacomo Robasto Come già riportano numerosi quotidiani statunitensi, dal Washington Post al Wall Street Journal, gli Stati Uniti d’America si accingono ad introdurre nuovi dazi sulle importazioni di alluminio (10%) e acciaio (25%), le quali che potrebbero entrare ufficialmente in vigore nelle prossime ore. Tra i Paesi produttori che saranno interessati dalle nuove misure protezionistiche vi sono, oltre al Canada e al Messico, tutti i 28 Stati membri dell’Unione Europea. L’idea di misure restrittive nei confronti dell’industria siderurgica europea e non solo aveva preso piede a partire da gennaio scorso, quando il presidente Donald Trump aveva reso pubblica l’intenzione di aumentare la produzione siderurgica interna. Secondo il piano di Trump, infatti, garantendo incentivi e sgravi fiscali alle aziende del settore, il governo statunitense contribuirebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro, riducendo ulteriormente il tasso di disoccupazione del Paese, che già ora è ai livelli più bassi da quarant’anni a questa parte. L’idea è poi stata sviluppata e approfondita fino al 23 marzo scorso, quando i dazi avrebbero

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dovuto entrare in vigore, ma sono stati poi sospesi fino al primo giugno per addotte ragioni di ‘sicurezza nazionale’. Il tempo così guadagnato per aprire un negoziato commerciale più vasto non sembra, però, aver avvicinato le parti. L’Unione Europea, come ha ribadito nelle scorse ore il ministro olandese al Commercio Sigrid Kaad, resta fedele alla linea del “non si tratta”, almeno finché sul tavolo resterà la possibilità dei dazi. L’ultima possibilità per scongiurare la sempre più concreta possibilità dei nuovi dazi è offerta in queste ore dal forum annuale dell’OCSE in corso a Parigi, a cui stanno prendendo parte anche il Segretario al Commercio statunitense, Wilbur Ross, nonché il suo omologo in Europa, Cecilia Malmström (Commissario al Commercio dell’UE). Da una parte, Ross ha lasciato intendere che le trattative potrebbero proseguire anche con l’entrata in vigore dei dazi. “Ci possono essere negoziati con o senza le tariffe, non è che non si possa parlare con le tariffe in piedi”, ha tenuto a precisare. Dall’altra Cecilia Malmström, già la settimana scorsa, aveva

accantonato come irrealistica l’ipotesi di una esenzione completa e permanente dai dazi per la UE: se non saranno dazi, saranno quote all’export, aveva spiegato la commissaria. La reazione dell’UE potrebbe però essere differente in base allo scenario: nel caso dei dazi, sono già pronte contro-tariffe su 2,8 miliardi di euro di prodotti Made in USA. Se, invece, Washington sceglierà le quote restrittive, la Commissione opterebbe per misure di riequilibrio sulle importazioni dagli Stati Uniti, a un livello molto inferiore rispetto a quanto farebbe in caso di dazi. La priorità per l’Europa è quella di evitare una guerra commerciale con gli USA, anche se non è escluso che già nei prossimi mesi l’Unione Europea valuti dazi sulle importazioni su numerosi beni di consumo americani, tra cui blue jeans, burro di arachidi e altri prodotti alimentari. L’Europa spera ora in una reazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio per scongiurare il peggio. È indubbio che la questione commerciale avrà un ruolo di primo piano anche nell’incontro dei capi di governo del G7 in programma a La Malbaie (Québec) il prossimo 8 giugno.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO YEMEN: L’ORRORE NASCOSTO AL MONDO Armano la guerra in Yemen ma nessuno la ferma

Di Debora Cavallo Il 12 Agosto 1949, a seguito del sanguinoso secondo conflitto mondiale che vide come principali vittime i civili, vennero ratificate le Quattro Convenzioni di Ginevra. Eppure, questi principi cardine e generali che dovrebbero regolare ogni conflitto armato al fine di garantire una protezione volta ad evitare il ripetersi di atrocità passate, oggigiorno sembrano quasi cacciati nell’oscurità del silenzio. Dal 2015 lo Yemen è devastato da una guerra civile di cui si parla meno rispetto al caso Siriano, ma come questo è campo di battaglia di altri Stati mediorientali e, in particolare, terra di conquista dell’Arabia Saudita e dell’Iran. Quest’ultimo, infatti, sostiene i ribelli sciiti Houthi, mentre contrasta e sconfigge i sauditi. La vita di almeno 22 milioni di yemeniti, l’80% della popolazione, è prigioniera della guerra tra la coalizione dei Paesi arabi guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta anche dagli Stati Uniti, contro i ribelli Houthi. Da sempre gli Stati Uniti sono impegnati con missioni specifiche nello scenario yemenita. Nessun dibattito, nessuna discussione, nessun chiarimento. L’impegno degli Stati Uniti sul fronte yemenita è diversificato.

Negli ultimi due anni, le truppe governative sostenute dagli americani e dagli Emirati arabi uniti hanno portato avanti un’oscura guerra in tutte le regioni centrali e meridionali dello Yemen, per colpire le milizie legate ad Al Qaeda. Soltanto l’anno scorso, gli Stati Uniti hanno lanciato più di 130 attacchi aerei nello Yemen​. La maggior parte degli strike compiuti dagli Usa hanno preso di mira i militanti qaedisti, mentre 10 sono stati lanciati contro i combattenti del sedicente Stato Islamico. Inoltre, il 7 maggio scorso, i raid sauditi hanno colpito il palazzo presidenziale a Sanaa, la capitale, che dal 2014 è controllata dai ribelli sciiti Houthi, mentre il governo del presidente internazionalmente riconosciuto, Abd Rabbo Mansur Hadi, ha la propria sede ad Aden, nel sud del Paese. Il d ​isastro umanitario dello Yemen, in cui gli aerei sauditi colpiscono con ferocia, rappresenta l’ennesimo risultato di questo scontro fra blocchi contrapposti. Inoltre, le prime vittime, così come in Siria, sono i civili. M ​ ilioni di persone sono a rischio carestia​. I bambini vivono in condizioni disperate e di malnutrizione costante. I casi di colera faticano a contarsi. Nel frattempo, il Paese conta intere città distrutte e un’economia, già poverissima, ormai al collas-

so. A cosa è servita un’evoluzione normativa a sostegno del diritto di protezione quando questa non viene rispettata? L’8 giugno 1977 è stato ratificato un Primo protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, dove nello specifico l’art. 48, intitolato regola fondamentale, così viene disciplinato: “Allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra lapopolazione civile e i combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari”. Tale principio, qualificato come “fondamentale”, viene identificato nel diritto internazionale umanitario come “principio di distinzione”, il cui scopo è assicurare la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, effettuando una distinzione rispetto ai combattenti e agli obiettivi militari. Un principio che, tuttavia, non sembra preso in considerazione dalle potenze in conflitto ai danni di una popolazione civile sempre più indifesa. MSOI the Post • 21


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL CONSIGLIO DI SICUREZZA E IL DIVIETO DI AFFAMARE LA POPOLAZIONE CIVILE Tramite risoluzione, l’organo dell’ONU è ritornato sul tema

Di Pierre Clément Mingozzi

civile.

Il 24 maggio 2018, durante la sua 8267 seduta, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la risoluzione 2417 (2018), con quale chiede agli Stati il rispetto del divieto di affamare la popolazione civile durante lo svolgimento di un conflitto armato insieme a garanzie d’accesso agli aiuti umanitari.

Riferendosi proprio a quest’ultima categoria, anche il II Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali, sancisce chiaramente all’art. 14 del titolo IV che “È vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili. Di conseguenza, è vietato attaccare, distruggere, asportare o mettere fuori uso, con tale scopo, beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, quali le derrate alimentari e le zone agricole che le producono, i raccolti, il bestiame, le installazioni e le riserve di acqua potabile, e le opere di irrigazione”.

Tale richiamo, per quanto posso sembrare d’emblée evidente, in realtà non lo è affatto. Le cronache provenienti dagli attuali teatri di guerra, infatti, evidenziano una costante e continua recrudescenza dei conflitti internazionali, sia per quanto riguarda i means sia i methods of warfare. È l’art. 48 del I Protocollo addizionale (1977) a sancire il dovere, en toutes circonstances, di distinguere tra popolazione civile e combattenti e tra obiettivi civili e militari. Ad oggi, tuttavia, tale norma sembra vieppiù violata. In un contesto così delineato, il richiamo portato avanti dal CdS, oltre ad esser stato auspicato da più parti, è da considerarsi estremamente necessario per riattrarre l’attenzione della comunità internazionale sul rispetto e sulla protezione delle parte più debole di un conflitto armato, ovvero la popolazione 22 • MSOI the Post

La risoluzione, partendo dal presupposto che “using starvation of civilians as a method of warfare may constitute a war crime”, afferma inoltre “that responding effectively to humanitarian needs in armed conflict, including the threat of conflict-induced famine and food insecurity in situations of armed conflict, requires respect for international humanitarian law by all parties to conflict, underlining the parties’ obligations related to protecting civilians and civilian objects, meeting the basic needs of the civilian population within their territory

or under their effective control, and allowing and facilitating the rapid and unimpeded passage of impartial humanitarian relief to all those in need”. Garantire l’accesso agli aiuti umanitari è quindi fondamentale, e gli Stati non possono ostacolarlo o ritardare tali procedure, essendo obbligati al pieno rispetto del diritto internazionale umanitario. Inoltre, data l’importanza del divieto dell’uso della fame come metodo di guerra, risulta altresì fondamentale “protecting civilians and taking constant care to spare civilian objects, including objects necessary for food production and distribution (…) and refraining from attacking, destroying, removing or rendering useless objects that are indispensable to the survival of the civilian population, such as foodstuffs, crops, livestock, agricultural assets, drinking water installations and supplies, and irrigation works, and respecting and protecting humanitarian personnel and consignments used for humanitarian relief operations”. In ultima analisi, tale risoluzione è un appello a ricordare “the primary responsibility of States to protect the population throughout their whole territory”. Un elemento, quest’ultimo, che non può essere dimenticato.


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