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MicheRubriche

MicheLiber Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli

Mariagledis Kohilamulla

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Daniele è un ragazzo di vent’anni che convive da quando è nato con una feroce e irrefrenabile esigenza di seguire gli impulsi. Dotato di una sensibilità estrema, non c’è giorno in cui non si chieda cos’è che lo rende diverso agli occhi degli altri e che fa scaturire in lui un sentimento d’odio viscerale nei confronti di se stesso. Daniele chiede salvezza.

Gianluca ama a dismisura e nel farlo si lascia pervadere da un’euforia disperata e illusoria che lo trascina in un susseguirsi di picchi e abissi che lui non può tenere sotto controllo. Gianluca chiede salvezza. Mario ha sessant’anni e parla con un uccellino. Ha il sorriso buono e gli occhi dolci che esprimono saggezza e conforto, ma che in realtà non hanno mai conosciuto la pace. Mario chiede salvezza. Alessandro rappresenta, apparentemente, il “nulla assoluto”. Non parla, mangia a malapena e non cambia mai espressione, ma vive attraverso le parole del padre, il quale si assicura ogni giorno che quello spietato “nulla assolu- to” non inghiotta suo figlio per sempre. Alessandro chiede salvezza. Giorgio piange quotidianamente, logorato dal ricordo della morte di sua madre. Anche lui è estremamente fragile e dotato di grande empatia, ma spesso il dolore lo acceca e, repentinamente, lo rende violento nei confronti di se stesso e degli altri. Giorgio chiede salvezza. Madonnina è un uomo dai contorni sfumati, una sagoma che grida nell’ombra, che delira in un angolo, ignorato, incompreso e isolato da tutti, ma che avrebbe un vitale bisogno di ascolto e compagnia. Madonnina chiede salvezza. Nel suo romanzo, vincitore del premio Strega Giovani nel 2020, Mencarelli lascia che ogni personaggio si spogli lentamente della paura e del disagio di mostrarsi nella propria autenticità e guida il lettore in una profonda analisi introspettiva che lo porterà presto aempatizzare con i protagonisti. Aprendo le pagine di questo romanzo non ci si immerge solo in una lettura coinvolgente, ma in un vero e proprio caleidoscopio di storie dalla tangibile complessità, incontri commoventi e scomode verità.

Musica Strange Fruit di Billie Holiday

Angelica Penna

Siamo a New York, è il 1939 e il Café Society è pieno di persone e di fumo. Tre sere a settimana Billie Holiday sale sul palco. Il fondatore del club ha sentito questa canzone potente, scritta da un attivista di sinistra di nome Abel Meeropol. Il testo è terribile, parla dell’inquietante fenomeno del linciaggio e del terrorismo contro gli afroamericani: è fortemente politico. Billie accetta di cantarlo con qualche esitazione. Solo un riflettore è puntato su di lei. Un respiro profondo, poi chiude la serata con Strange Fruit. Quando finisce, si allontana senza un bis, non presta attenzione al pubblico, rimasto attonito, in silenzio, colpito da quel racconto così amaro. Così grave.

Billie Holiday ha ricordato questo episodio nella sua autobiografia: “Non c’era nemmeno un leggero applauso nell’aria, all’inizio, poi solo una persona ha iniziato a battere nervosamente le mani e così tutti gli altri l’hanno seguito”.

La lotta per i diritti civili è dentro di lei, e nella sua performance ha riempito la canzone di rabbia, e anche di disprezzo, invertendo il consueto rapporto tra un cantante nero e il suo pubblico bianco: Billie Holiday non li stava intrattenendo, sembrava dire: “ora basta, ora mi ascolti”. Pubblico e cantante hanno dovuto, costretti da Strange Fruit, affrontare insieme il triste e violento problema del razzismo in America, prima della Civil Right Era. E Abel Meeropol, autore della canzone? Non era né di colore, né era del sud. Era invece uno scrittore bianco, ebreo, americano, di New York City, un rappresentante della lunga tradizione americana di sinistra. Decise di scrivere Strange Fruit dopo aver visto la fotografia sconvolgente di un linciaggio.

L’immagine l’ha ossessionato e è avvenuta una metamorfosi: prima, infatti, Strange fruit era una poesia, poi diventò successivamente la canzone cantata da Billie Holiday al Café Society, che ricordo essere un club progressista per persone progressiste, perfetto per godere di buona musica, drink e compagnia, anche se il pubblico era perlopiù bianco e i musicisti perlopiù neri. Quell’episodio ha segnato un capovolgimento.

Strange Fruit è stato il grido di protesta, forse l’inizio del movimento per i diritti civili, nella musica e non.

Il produttore discografico Ahmet Ertegun ha chiamato la canzone una “dichiarazione di guerra”, mentre il jazzista Leonard Feather l’ha definita il primo grido contro il razzismo.

Billie Holiday e la sua figura hanno di certo accelerato il processo. Billie Holiday con quella sua voce malinconica e roca, che riflette la tragedia della sua vita.

Nata da giovani genitori indigenti in un bordello di Baltimora, testarda nella lotta, dipendente dalla droga: i suoi tormenti si ritrovano tutti nelle sue canzoni, e, se ne volete sapere di più, c’è la sua autobiografia, La signora canta il blues, pubblicata in Italia da Feltrinelli.

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