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Oltre l’estetica: l’arte come ultimo mezzo di sopravvivenza

tricimerano gli artisti che Dubuffet preferiva.“Per me la follia è la super sanità mentale, la normalità è psicotica, normale significa mancanza di immaginazione, di creatività”, diceva. Visitava in lungo e in largo i manicomi per scovare gli alfabeti misteriosi, le forme ipnotiche ed i colori violenti di persone recluse che si sentivano comunque libere di creare.

L’Art Brut rende protagonista il fascino dell’inconscio, della sofferenza, delle più recondite paure e frustrazioni, ma anche la più genuina e spensierata voglia di esprimere la propria interiorità, abbattendo così ogni discriminazione creativa, e includendo nell’arte tutti, non solo la parte “sana” della società, in grado di rispecchiare i canoni estetici prestabiliti. Le malattie psichiatriche e le patologie vengono riconsiderate, e viene centralizzato e reinserito nella società ciò che fino ad ora era stato marginale.

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Nell’Art Brut ognuno lavora in solitudine e nell’anonimato.

Era il 19 novembre del 2013 quando Nidaa Badwan, artista palestinese, dopo essere stata fermata dai miliziani di Hamas per essere interrogata, ha chiuso la porta della sua camera e ha deciso di non uscire per 14 mesi. “Nei primi tre mesi ho tentato il suicidio. Poi un giorno mia madre mi lasciò dei sacchetti con verdure e frutta, dicendomi di darle una mano a preparare il pranzo. Dal sacchetto rotolarono fuori cavoli, cipolle, proprio nel punto in cui batteva il sole. È stata un’illuminazione. Ho preso la macchina fotografica ed ho fotografato quel momento. Nell’immagine si vede una ragazza che piange, ma non si capisce se per la cipolla o se stava già piangendo”. È nel pieno della depressione che Nidaa concepisce l’idea del suo più famoso progetto fotografico Cento giorni di solitudine, colorando con le sfumature dell’arte il buio tunnel in cui è entrata e salvando la sua vita: così come Van Gogh che dipinge la sua schizofrenia nel Campo di grano e Munch che si libera della sua angoscia attraverso l’Urlo La follia crea l’arte e l’arte salva. È proprio a questo che il pittore francese Jean Dubuffet pensava quando, nel 1945, subito dopo la guerra, ha teorizzato il concetto di Art Brut, un movimento artistico che intende l’arte come spontanea, praticata da coloro che sono privi di cultura artistica, volta solo all’espressione dell’immaginario del singolo, oltre i vincoli tecnici e i legami con la realtà. I pazienti psichia -

L’artista non concepisce la pittura come l’altra faccia di una realtà in disordine, ma piuttosto come una cura che lo aiuta a riconciliarsi con il mondo. Rifà il mondo come lo desidera. Non si tratta di estetica ma di un ultimo mezzo di sopravvivenza, senza preoccupazione per la critica e gli sguardi altrui.

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