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Infodemia: il troppo ai tempi del Covid-19
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Un infermiere che prova a fermare il Covid. Un uomo davanti al pc, l’ unica comunicazione sociale, che si dispera
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Disorientamento, paura e ansia. Sono queste le emozioni che hanno contraddistinto il periodo di pandemia che ha scosso il mondo a partire dal 2019, quando un virus sconosciuto, identificato poi come Covid-19, ha destabilizzato le vite delle persone. Non sorprende, infatti, che le parole più cliccate sui motori di ricerca ed evidenziate da Google trend siano uno specchio delle paure provate in quel momento. Così Amuchina, Pandemia, congiunti, contagi e mascherine sono solo alcuni piccoli frammenti di un timore più grande: un virus di cui non si conosce nulla e che sta cambiando il mondo intero.

Ed è stata soprattutto la paura di non sapere e di voler conoscere il più possibile sul Coronavirus a fare da traino al diffondersi dell’infodemia. Un fenomeno, quest’ultimo, caratterizzato dalla circolazione di una quantità eccessiva di informazioni spesso non vagliate con accuratezza. Così invece di spiegare il fenomeno, rende ancora più difficile orientarsi su uno specifico argomento, generando ansia e frustrazione in chi legge. Ma a questo punto, a quasi un anno dal picco della pandemia, c’è da domandarsi: di fronte all’esigenza del pubblico di essere informati su una questione sanitaria e molto delicata, come si è comportato l’impianto dei mass media?
Lo abbiamo chiesto ad uno specialista del settore, il Dirigente Medico Ambulatorio
Malattie Infettive P.O. L. Bonomo di Andria, Giuseppe Mennea.
“L'attenzione rivolta dai media è stata giusta, il problema è stata la cattiva informazione. Infatti molti hanno manipolato l'informazione passando da semplici opinionisti ad esperti della materia. Di contro alcuni professionisti sanitari cavalcando l'onda euforica della notorietà si sono accreditati competenze non proprie (rianimatori ed igienisti che diventavano virologi, Infettivologi che son diventati matematici e così via)”
A fare da eco alla cattiva informazione c’è stata anche l’ignoranza, lecita, della popolazione legata alle nuove misure di prevenzione da adottare per fronteggiare la pandemia. Da un lato i media hanno ripreso la storica denominazione di “maestri” in quanto offrivano consigli e soluzioni, dall’altro lato però, c’è stato un bombardamento di notizie e aggiornamenti sull’emergenza sanitaria che non hanno fatto altro che “monopolizzare l’informazione e indirizzarla verso la corrente dominante della sanità”. Di qui nasce l’espressione di un’ overdose d’informazione sanitaria, del voler conoscere il più possibile e sempre di più. Una mania che ha reso la maggior parte del pubblico vittima della conoscenza, di un sapere che è stato però sulla bocca di tutti, esperti e no ed è stato proprio questo a creare un circolo vizioso tra paure, ansie e, in alcuni casi, cattiva informazione. Durante la pandemia il racconto della vita e dei giorni che passano cambia radicalmente e si trasforma in una specie di narrazione “in fieri” di un tempo già vissuto che è ritornato, all’improvviso, ma in un’altra veste: quello della guerra.
In questo periodo si è assistito ad una narrazione unica e scandita ogni giorno dai bollettini sanitari con cui si annunciavano i decessi, i nuovi contagi e in generale, l’andamento della pandemia con l’indice Rt che misura la trasmissibilità del virus. Dalle testimonianze raccolte emerge il chiaro riferimento alla paura e alla disinformazione, ma non solo, c’è anche un sentimento di disagio dovuto all’ingombrante presenza delle notizie legate ai temi sanitario/scientifici che ha annullato quasi del tutto le altre informazioni, spostandole in secondo piano. Per quasi due anni c’è stato il dominio dei dati, dei contagi e della pandemia e sembrava che tutto il resto non esistesse. Il mondo si era fermato e con lui anche l’informazione sembrava puntare i riflettori solo su una fetta privilegiata di notizie, se non riguarda il Covid-19 non interessa, non fa audience.
Tutto questo fa pensare ancora di più non solo perché il racconto mediatico procede in un unico senso, quello che il pubblico vuole sapere e in tempi brevi, ma anche perché è stato avantaggiato dalla mancanza di un contraddittorio, come ci ha riferito il dottor Ignazio Floriano, specializzato in anestesia, rianimazione e terapia del dolore.
Una soluzione ci sarebbe. L’ informazione rimane fondamentale, questo è indiscutibile, ma forse andrebbe strutturata meglio come ha sottolineato, durante una nostra intervista, lo psicoterapeuta Victor Laforgia, coordinatore Regionale “AltraPsicologia”.
“Conoscere il rischio dal punto di vista psicologico è certamente rassicurante, però, venire inondati di informazioni anche allo scopo di rassicurarci rischia in modo paradossale di aumentare l’intensità della paura. In queste condizioni sarebbe stato meglio dare poche precise informazioni rassicuranti piuttosto che insistere nei tentativi di rassicurazione”.
E invece così non è stato, al contrario, i cittadini volevano sapere cosa stesse succedendo anche se le informazioni a riguardo non erano state del tutto verificate o erano ancora in fase di studio. La fretta di avere risposte certe, di avere un punto di riferimento o qualcuno che dicesse cosa fare e quando farlo ha spinto le persone a farsi mille domande e a cadere nel vortice della dipendenza dai mass media.
Ma attenzione: la pandemia unita ai social e ai riflettori delle televisioni ha anche messo in luce le storture del mondo, affidando narrazioni a persone che, senza scrupoli, per pochi minuti di notorietà hanno diffuso fake news e creato confusione.
Allora viviamo in un’epoca caratterizzata da molta informazione da cui non riusciamo a disintossicarci?
E poi c’è da chiedersi: la colpa dell’overdose d’informazioni sanitarie è davvero del sistema dei mass media oppure è legata alla nostra inesauribile sete di notizie?Non a caso si parla ancora oggi di Ansia da Covid e di “sindrome della capanna”, per cui molte persone hanno continuato a provare disagio a uscire di casa anche dopo la fine del lockdown. Oltre a questo, esiste anche una condizione non solo psicologica, ma anche fisica, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “Pandemic Fatigue”, lo stress da pandemia. La particolarità di questa condizione è che identifica uno stress, insieme individuale e comunitario, sospeso e persistente. Una situazione che non colpisce solo il presente ma dissesta anche il futuro. Non è strano trovare tra le principali cause che determinano tale stress, l’infodemia, le informazioni angoscianti e il lockdown. Tuttavia, secondo gli studi condotti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, è proprio nei periodi di maggiore incertezza e confusione che l’uomo decide se accettare o non accettare un’informazione piuttosto che un’altra, rigettando così quelle che non sono di suo gradimento. Ma il vero problema è quello di capire fino a quando l’uomo riuscirà a tollerare l’overdose informativa?
Rosanna Luise
Influenza Meidatica
I principali social media utilizzati per propagare notizie e per tenersi informati oggi, così come durante la pandemia
