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E alla fine arriva l’IA

ChatGPT: allarme o no?

Rispetto agli altri modelli, questa Intelligenza Artificiale offre risposte più dettagliate. Che futuro per la stampa?

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Parla l’esperto Giuseppe Pirlo

“SCRIVI UN ARTICOLO” Accanto, un esempio di “conversazione” con ChatGPT. Basta dare un comando e il gioco (gratis) è fatto

Negli ultimi due anni, l’umanità ha raccolto più dati di quanti ne abbia collezionati dalla preistoria. Ed è grazie a questi dati che le intelligenze artificiali imparano a parlare, pensare, agire come gli esseri umani. Non è da meno ChatGPT, acronimo di Generative Pretrained Transformer: questo strumento di elaborazione del linguaggio naturale utilizza algoritmi avanzati di machine learning e ha, fin da subito, attirato l’attenzione per le sue risposte dettagliate e articolate, pur non essendo sempre accurate. Per dirla in parole povere, come ogni IA memorizza ed emula le risposte che gli utenti danno nel corso delle interazioni. Sta imparando, poco a poco, ed è difficile immaginare il livello di precisione che raggiungerà con il tempo.

“Di sicuro questi sistemi cresceranno, dobbiamo prenderne atto”: a dirlo è il professor Giuseppe Pirlo, professore ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni dell’Università di Bari “Aldo Moro”.

E proprio la loro capacità di crescere e migliorare, rielaborando in maniera sempre più ottimale ciò che galleggia nella rete, pone nuove sfide per tutte quelle professioni che potrebbero, in futuro, subire una trasformazione radicale a causa loro.

Il mondo del giornalismo non è esente da questo fenomeno, e qualcosa già si muove. L’amministratore delegato di BuzzFeed, Jonah Peretti, ha dichiarato che quest’anno l’IA avrà un ruolo maggiori nelle operazioni editoriali e commerciali dell’azienda. E questo mentre la testata, così come altri colossi americani quali Washington Post, Vox Media e Cnn, licenziano in massa i giornalisti. Secondo Peretti, nei prossimi 15 anni l’Intelligenza Artificiale sarà decisiva per “creare, personalizzare, animare i contenuti stessi”.

Più IA meno giornalisti? È troppo presto per dirlo, nonostante alcune operazioni volte al suo contrasto siano già arrivate. Ad esempio, le scuole nello Stato di New York l'hanno messa al bando.

“Credo che a ChatGPT manchi una qualità: i testi che elabora - sostiene il professor Pirlo - sono vuoti, mancano cioè di un indirizzo che solo un tecnico può dare. Descrive i fatti, ma non li interpreta”.

“Tuttavia - aggiunge - è chiaro che con questi nuovi strumenti l’asticella del giornalismo deve alzarsi”.

C’è poi la questione della privacy: che fine fanno i dati che le IA raccolgono? “Sono in atto studi e ricerche per capire quanto gli algoritmi siano in contrasto con il Gdpr (Regolamento generale sulla protezione dei dati)”, racconta Pirlo. È possibile fare questa domanda a ChatGPT stesso (un po’ come in un romanzo di George Orwell), e la sua risposta è la seguente: “Non presento alcun rischio diretto per la sicurezza informatica. Tuttavia, potrebbe esserci il rischio che informazioni sensibili vengano condivise con me durante le interazioni, quindi è importante essere consapevoli delle proprie azioni e prendere le precauzioni appropriate per proteggere i propri dati. Inoltre, quando si utilizza una tecnologia basata su intelligenza artificiale, è importante considerare anche i rischi associati alla sua impiegabilità o alla sua eventuale utilizzo improprio” (l’errore grammaticale alla fine è incluso nella risposta).

Al di là di tutto, resta un fatto incontrovertibile, e cioè che la tecnologia avanza e non si può sfuggirla. Che fare, quindi? Adattarsi, saper riconoscere i cambiamenti quando avvengono e non quando è troppo tardi (cosa che la stampa, soprattutto quella locale, non sempre è riuscita fare in campo digitale).

A tal proposito, racconta Pirlo, è importante l’educazione digitale nelle scuole, e in questo ambito l’Italia è fanalino di coda in Europa. Il Bel Paese è infatti penultimo nella classifica Ocse per le competenze telematiche: un dato che non sorprende, visto che si posiziona al 20° posto della classifica europea DESI (l’indice di digitalizzazione ed economia della società).

Secondo una ricerca effettuata dall’Osservatorio scientifico del Movimento Etico Digitale, 2 ragazzi italiani su 3 non sanno cosa sono tali competenze. Il 70% dei ragazzi è convinto di sapere cosa significhi essere cittadino digitale, ma il 68% ne dà una definizione sbagliata o parzialmente sbagliata. Il 75% segnala di non aver mai ricevuto forma-

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