

Introduzione
Prologo
Parte I. Profilo di un autore 1946-60
I. La formazione
Esordio. Nel quale si dà avvio a una vicenda
1. Leonardo Benevolo: tracce per una biografia della sua giovinezza
2. Note sull’insegnamento di Vincenzo Fasolo e ipotesi della sua impronta sull’opera di Leonardo Benevolo studente
II. Alla ricerca di un progetto comune Intermezzo. Nel quale il protagonista è specchio di una generazione
1. «I motivi dell’impegno sociale devono essere trovati nella natura stessa del lavoro tecnico». La dimensione tecnica come opera spirituale
2. Contro l’individualismo. L’ipotesi del teamwork dalla Ricostruzione al boom economico
3. «Nur belehrt von der Wirklichkeit, können wir Die Wirklichkeit ändern». Urbanistica e architettura come esperienza concreta
III. Tra storia e progetto Intermezzo. Nel quale si osserva una ipotesi
1. L’attività accademica e l’impostazione di un metodo storico
2. La conservazione dei centri storici come problema storico e come modello per la pianificazione della città moderna
Parte II. La costruzione della Storia dell’architettura moderna
IV. Il libro
Intermezzo. Nel quale si descrive un’opera
1. La Storia come opera totale. Concezione, individuazione del genere e realizzazione del volume
2. Addenda et corrigenda alla Storia: Una introduzione all’architettura e Le origini dell’architettura moderna
3. La Storia e le politiche editoriali della Editori Laterza nel campo dell’urbanistica e dell’architettura durante gli anni Cinquanta e Sessanta
V. «Method is more important than information» Intermezzo. Nel quale si attraversa la Storia, deserto compreso
1. Sorgenti della Storia e strumenti per la sua costruzione
a. La bibliografia come atto dialogico
b. La fotografia e il viaggio come strumenti di conoscenza
2. Per una «continuità metodologica e ampliamento della rosa di esperienze». Una Storia sul metodo del Movimento Moderno
3. Tempi e geografie del Movimento Moderno
4. William Morris e Walter Gropius, i maestri di metodo. Per un’architettura come moto spirituale e pratica corale
5. Deformazioni, omissioni, invenzioni
VI. Figure
Intermezzo. Nel quale si dice di Benevolo quando ricevette la Storia
1. Le pagine della Storia
2. Album di viaggio
VII. La fortuna della Storia negli anni Sessanta Intermezzo. Nel quale se ne tratteggiano gli sviluppi
1. Una storia condivisa e concreta. L’accoglienza della Storia e le sue traduzioni
2. Benevolo e la Editori Laterza dopo la Storia
Note
Regesto degli scritti
Bibliografia Elenco delle figure
AAC – Archivio Antonio Cederna, Roma
AASO – Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea (TO)
LQ – Fondo Ludovico Quaroni
AO – Fondo Adriano Olivetti
ABZ – Archivio Bruno Zevi, Fondazione Bruno Zevi, Roma
ACL – Servizio Archivi Storici e Attività Museali, Politecnico di Milano, Milano
ASA – Archivio Storico di Ateneo
ACLR – Archivio Carlo Ludovico Ragghianti, Fondazione Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca
ACS – Archivio Centrale dello Stato, Roma
DGIU – Ministero della Pubblica Istruzione,
Direzione Generale Istruzione Universitaria
DGPS – Ministero dell’Interno, Direzione Generale
Pubblica Sicurezza
IN – Fondo Italia Nostra
INU – Fondo Istituto Nazionale di Urbanistica
SGI – Fondo Società Generale Immobiliare SOGENE
ADUS – Archivio Disegni e Fototeca del Dipartimento di Storia, disegno e restauro dell’architettura, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Roma
AEL – Archivio Editori Laterza, Bari
AGB – Archivio Giancarlo Benevolo, Bologna
AII – Archivio Italo Insolera, Roma
AIN – Archivio Italia Nostra, Roma
AIN/ARCH – Archivio dell’Istituto Nazionale di Architettura, Roma
AINASA – Archivio Storico dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, Roma
SSA – Fondo Sodalizio tra studiosi dell’arte
ALB – Archivio Leonardo Benevolo, Cellatica (BS)
APUS – Archivio del Personale dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, Roma
ASBA – Archivio di Stato di Bari, Bari
FEL – Fondo Editori Laterza
ASC – Archivio Storico Capitolino, Roma
VF – Fondo Vincenzo Fasolo
ASFDC – Archivio Storico della Fondazione Carlo Donat-Cattin, Torino
EdR – Fondo Enrico di Rovasenda
ASIL – Archivio Storico Istituto Luce, Roma
ASIS – Archivio Storico Luigi Sturzo, Roma
DC – Fondo Democrazia Cristiana
PS – Fondo Pietro Scoppola
ASNO – Archivio di Stato di Novara, Novara
AN – Archivio Notarile
UR – Ufficio del Registro
DM – Distretto militare di Novara
ASOAPPCRM – Archivio Storico dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, Roma
ASTO – Archivio di Stato di Torino, Torino
GEE – Fondo Giulio Einaudi Editore
ASUC – Archivio generale per la storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
ASUFI – Archivio Storico dell’Università degli Studi di Firenze, Firenze
ASUPA – Archivio Storico dell’Università degli Studi di Palermo, Palermo
ASUS – Archivio della Segreteria di Architettura dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, Roma
ASVCVA – Archivio di Stato di Vercelli, sezione di Varallo, Varallo (VC)
UID – Ufficio delle imposte Dirette di Varallo, Comune di Riva Valdobbia
FAO – Fondazione Adriano Olivetti, Roma AZ – Fondo Angela Zucconi
GTA – gta Archive, ETH Zürich, Zurigo
MAXXI – Fondazione Museo delle arti del XXI secoloMAXXI. Centro archivi architettura, Roma MV – Fondo Michele Valori
L’archivio di Leonardo Benevolo è stato consultato tra il novembre 2019 e il novembre 2021 presso lo Studio Architetti Benevolo a Cellatica (BS). I documenti, non inventariati, sono di seguito citati riportando come segnatura il testo identificativo presente sui faldoni. Quando i documenti erano conservati all’interno di cassettiere, schedari o all’interno dell’archivio fotografico, tale indicazione è riportata nella segnatura.
ESORDIO
Nel quale si dà avvio a una vicenda
Il padre di Benevolo, come molti altri uomini operosi della Novara di fine secolo, costruì un cospicuo patrimonio che permise alla famiglia di condurre una vita agiata. E senza dubbio ciò sarebbe durato a lungo se egli non fosse improvvisamente morto nel 1934. La madre di Benevolo, appena il figlio ebbe concluso il liceo, decise di trasferire la famiglia a Roma. Lì, nel 1946, conclusi gli studi, egli divenne architetto. La sua vita intellettuale, tuttavia, mise le sue radici più profonde, come spesso accade, fuori dalle aule universitarie e, nel suo caso, lontano da Roma. Riva Valdobbia nell’alta Valsesia, sotto le pendici del massiccio del Monte Rosa, fu il luogo che divenne, per ragioni del tutto contingenti, teatro di questa costruzione. Riparato lì, in tempo di guerra, nella loro casa di famiglia insieme alla madre e al fratello, il giovane Leonardo condusse i suoi studi filosofici e teologici e tentò le sue prime prove letterarie dedicandosi allo studio dell’arte sacra di quelle valli. Alternando all’alpinismo la lettura di san Tommaso, Benevolo scrisse alcuni testi destinati a rimanere nel cassetto e un saggio dedicato alla chiesa di San Michele, il cui fianco egli scorgeva dalle finestre di casa. Non che gli insegnamenti universitari non avessero lasciato alcuna impronta nella sua formazione, anzi: forse, però, a guardare il suo futuro mestiere, più che gli insegnamenti di Vincenzo Fasolo e di Gustavo Giovannoni, furono quelli del suo amato Walter Gropius a indirizzare la sua opera, concezione della Storia dell’architettura moderna compresa.
In tarda età, Leonardo Benevolo concesse un’intervista al giornalista Francesco Erbani, poi pubblicata per i tipi di Laterza con il titolo La fine della città1. Tra i molteplici ricordi lì compendiati, Benevolo tracciò una concisa autobiografia dalla sua infanzia e della sua adolescenza fino al suo trasferimento a Roma. Le pagine che seguono tentano di relazionarsi con quelle memorie cercando di integrarle e, talvolta, di contraddirle, facendo uso di documentazioni d’archivio ed elaborando congetture quando queste risulteranno lacunose: non mancheranno riferimenti a episodi avvenuti dopo il 1946 – termine ultimo di questo capitolo – per evitare che l’artificio della periodizzazione, nella continuità della vita dell’autore, istituisca un limite tanto fittizio quanto invalicabile. Queste pagine intendono esplorare il genere della biografia come testo storico nella prospettiva suggerita da Gabriele Turi –cercando di cogliere la vitalità che Natalia Ginzburg riconosceva in quegli «oggetti e suppellettili, quando intatti e quando sciupati, ma caldi ancora della vita degli esseri umani che li toccarono»2, in questo caso la documentazione delle opere qui presentate – e cercando, allo stesso tempo, di tracciare quella gruppenbild nella quale la Leni Gruyten di Heinrich Böll ritrova la sua identità3: per far questo sarà necessario tentare eine biographie seiner Jugend di Leonardo Benevolo e indugiare sui tratti della sua figura – la storia ha inizio nel 1923 quando egli nacque nel novarese, luogo nel quale visse fino alla tarda adolescenza e dove si rifugiò, successivamente, in tempo di guerra mentre era iscritto alla Scuola superiore di Architettura di Roma – per poi riconoscere la sua postura nel lavoro corale all’interno dell’ambito romano fino al 1946, quando si laureò e iniziò la sua attività di architetto nell’Italia della Ricostruzione.
1. Leonardo Benevolo: tracce per una biografia della sua giovinezza
Leonardo Benevolo nacque a Orta Novarese, in provincia di Novara, il 25 settembre 1923. Oreste (1879-1934), suo padre, ragioniere, cavaliere ufficiale e «industriale elettrico»4, come lo definisce il figlio nelle sue memorie o, con maggiore probabilità, operante nel settore delle bonifiche e nel consorzio agrario di Novara5, aveva fatto fortuna pur provenendo «da una famiglia umile, numerosa, [di] braccianti poveri di Acqui»6; rimasto vedovo di Angiolina Ubertone, dalla quale aveva avuto due figli, Ada e Paolo, egli si risposò nel 1922 con Paolina Bianca Angiolini (1894-1964) – diplomata magistrale e benestante «figlia di un colonnello dell’esercito piemontese che aveva fatto le guerre risorgimentali e poi era stato impiegato nella repressione del brigantaggio nell’Italia meridionale»7 – dalla quale ebbe prima Leonardo e poi Aldo8
Trascorsa una infanzia piuttosto agiata – «avevamo la macchina con l’autista e una casa di villeggiatura a Orta»9 – Leonardo studiò dapprima a Novara – dove la famiglia viveva in via Piave al numero 3,
stesure tra il 1944 e il 1945, dal titolo Saggio di teoria dell’arte (sul quale egli ritornerà con ulteriori variazioni fino al 1955)29. A questo periodo risalgono, inoltre, una serie di canovacci per cinque conversazioni sull’architettura moderna (1946) e poi il progetto di un libro, rimasto tale, sull’Esistenza di Dio (1953)30: sono questi tentativi che, in prospettiva, potrebbero essere intesi come la struttura teoretica capace di sostenere la Storia dell’architettura moderna
L’esperienza di questo periodo fu alla base di quella vie intellectuelle che Benevolo sembrava, a quel tempo, aver già impostato sulla scorta degli insegnamenti del teologo e frate domenicano francese Antonin-Dalmace Sertillanges (1863-1948) che nel suo libro, tradotto in italiano nel 1925, discuteva a proposito della formazione e sul ruolo dell’intellettuale cattolico nella vita spirituale e in quella pubblica31; l’insegnamento di questi si riferiva ai molti aspetti della vita di uno studioso, dai principi generali agli strumenti più elementari. Riguardo a questi ultimi, Benevolo nel 1985 ricordava: «Chi l’ha letto ricorderà certamente il capitolo in cui l’autore parla della corporeità del lavoro intellettuale […]: fare schede, prendere appunti, metterli in ordine […]. Ho visto ieri in “Ghostbusters” la scena iniziale del fantasma che fa volare tutte le schede del catalogo della Public Library di New York e a un uomo della mia generazione questo dà disagio. L’idea che uno schedario venga buttato per aria mi imbarazza»32. Oltre allo strumento dello schedario – metafora del rigore nello studio e la cui costruzione, a partire dagli anni Quaranta, sarà portata avanti in modo sistematico da Benevolo per tutta la vita – Sertillanges gli permise di tracciare una mappa spirituale grazie alla quale egli poté impostare la sua vita e il suo pensiero: «due ore al giorno bastano per compiere un’opera»33 e «difendere la propria solitudine con una asprezza che non rispetti più niente»34 sono due indicazioni che egli sembra aver fatto proprie; «la scelta di un padre intellettuale è sempre una cosa seria»35 e sia Sertillanges, sia Benevolo, lo ritrovarono in Tommaso d’Aquino. Scendendo nello specifico del lavoro storico, si può riconoscere come l’interpretazione delle fonti – o, per meglio dire, delle sorgenti – fu per Benevolo un’attività tutt’altro che meccanica, tanto da poter essere intesa come spirituale: «Utilizzare veramente l’opera altrui è cosa altrettanto importante quanto l’inventare»36; elaborare uno stile e un lavoro creativo esigono, proseguiva Sertillanges, «il distacco, sicché bisogna metter da parte la personalità ingombrante e dimenticare il mondo […]. Io spero in colui che si slancia, vinta la propria personalità effimera, verso l’immenso e l’universale; che astronomo, cammina in compagnia degli astri: poeta, filosofo, teologo in compagnia della materia animata o inanimata, dell’umanità individuale e sociale, delle anime, degli angeli e di Dio. Credo in lui perché è posseduto dallo spirito di verità e non da preoccupazioni meschine»37
La costruzione di un ordine e di un metodo portò il giovane Benevolo, nella scrittura storica, a un approccio filologico e a un’ambizione
30. L. Benevolo, Disegno di villa Bianca, 1944. 31-33. L. Benevolo, Disegni di architetture della Valsesia, 1941. I disegni, probabilmente esercitazioni accademiche tranne quello dedicato alla madre, mostrano un tratto e una tecnica simili a quelli insegnati nei corsi di disegno della Facoltà di Architettura di Roma.
INTERMEZZO
Nel quale si osserva una ipotesi
Entrare in aula come assistente di Vincenzo Fasolo doveva pesare non poco al giovane Benevolo. Come era possibile coniugare la storia degli stili e delle forme dell’architettura che ancora insegnava l’anziano maestro con la visione di un Movimento Moderno tutta impostata in chiave metodologica? Forse per opportunità o forse per autentica vocazione, egli continuò ad assimilare l’insegnamento di Fasolo e se qualcosa di tale periodo rimase in lui negli anni successivi, fu l’attenzione per le caratteristiche della fabbrica e un approccio “da architetto” alla lettura degli edifici; dal maestro, sia detto per inciso, non tardò a prender le distanze appena poté, ovvero quando lo sostituì in alcuni insegnamenti; e questi, tutt’altro che soddisfatto per l’emancipazione del discepolo, lo ricambiò poco dopo dandogli il benservito e allontanandolo dalla Facoltà che allora dirigeva. Era questo lo scotto che doveva pagare per aver inserito nel programma dei corsi l’architettura moderna e per averli del tutto impostati sull’interpretazione della storia dell’architettura come storia della società. Distaccandosi nettamente dal consueto rapporto storia-progetto, Benevolo scelse quello opera-contesto – si potrebbe dire opera-società se quest’ultima parola non fosse da un lato limitante e, dall’altro, più vaga – e così i problemi che nel mestiere egli si trovava ad affrontare – il rapporto architettura moderna-centri antichi, per esempio – non risultavano problemi teorici o compositivi interni all’architettura ma problemi squisitamente sociali e progettuali (seppur non risolti solamente dal progetto architettonico).
Risultano aderenti alle esperienze da lui compiute, a ripercorrere la vita di Benevolo, le parole con le quali egli descriveva, nel 2011, il proprio mestiere: «Il mio mestiere è l’architettura. Mi sembra più esatto dire così che non “faccio l’architetto”, perché l’architettura è una cosa difficile da avvicinare e io ho tentato di farlo con vari mezzi: progettare edifici, disegnare piani regolatori, collaborare alla redazione di leggi, scrivere libri o articoli di giornale, insegnare la storia dell’architettura»1. Anche a rimanere solamente alla cronologia osservata in questo libro, è possibile riconoscere questa sua postura rivolta a evitare ogni circoscrizione specialistica nel più vasto campo dell’architettura. Significativa di questa integrazione tra le molte anime di questo mestiere è il rapporto tra storia e progetto il quale, a sua volta, non è da osservarsi, in Benevolo, nell’ambito del più stretto specialismo della storiografia: prima di leggere questa caratteristica mediante la Storia – di questo si dirà nella seconda parte del volume – è opportuno comparare il metodo di insegnamento della storia dell’architettura adottato da Benevolo all’interno della Facoltà di Architettura di Roma e alcune riflessioni condotte sul problema della salvaguardia della città storica: nella frattura tra un presente e un passato più remoto apertasi, secondo Benevolo, in occasione della Rivoluzione industriale, è possibile riconoscere una riflessione sul tempo che trascende i problemi della periodizzazione ma che riguarda, in primo luogo, il problema della continuità con una tradizione individuata e ancora viva, ovviamente, per lui, quella del Movimento Moderno. Ciò produsse, inevitabilmente, una presa di distanza dall’insegnamento del suo maestro Vincenzo Fasolo, effetto di una diversa concezione dell’architettura intesa non come una questione formale o stilistica ma come un espressione della società che l’aveva realizzata.
All’indomani della laurea, nel 1947, Benevolo divenne assistente volontario di Vincenzo Fasolo, ruolo che mantenne fino al 1951 quando ottenne di essere nominato assistente incaricato2. Nel 1955, ottenuta la libera docenza in Storia dell’arte, Storia e stili dell’architettura, divenne professore incaricato presso la stessa cattedra svolgendo i corsi di Storia e stili dell’architettura I e II tra l’anno accademico 195556 e il 1959-60 insieme a Furio Fasolo con il quale si alternava, di anno in anno, nel tenere il corso al primo e al secondo anno del biennio propedeutico3. Durante i tredici anni di insegnamento alla Facoltà di Architettura di Roma che si conclusero con il suo trasferimento presso l’Università di Firenze nel 1960 e con la pubblicazione della Storia, egli svolgeva la sua attività nell’ambito dell’Istituto di Storia dell’architettura diretto fino al 1954-55 da Vincenzo Fasolo e, successivamente, da Guglielmo De Angelis d’Ossat (1907-1992)4. L’affiancamento a Fasolo in qualità di assistente e il successivo passaggio
153. L. Benevolo, La conservazione dei centri antichi e del paesaggio come problema urbanistico, in Ulisse, 1957.
155. B. Zevi, I massimalisti perderanno le città, in L’Espresso, 1957. La posizione di Benevolo rispetto alla conservazione della città antica era intransigente. Intesa come opera anonima e collettiva, la città del passato era per lui da conservare integralmente in quanto l’architettura moderna non poteva intervenirvi con quella naturalezza propria dei secoli precedenti la rivoluzione industriale. L’espressione individuale tanto cara a Zevi, secondo il pensiero di Benevolo, se necessaria, poteva essere esercitata all’interno della città moderna.
Nel quale si descrive un’opera
Nel 1956, quando ricevette da Vito Laterza l’allettante proposta di scrivere la Storia, Benevolo aveva trentatré anni: l’offerta non era certamente rifiutabile e neppure per un solo istante egli lo pensò. Scrivere un libro così importante godendo della fiducia di uno dei maggiori editori italiani poteva essere l’occasione che gli avrebbe cambiato la vita. E così fu. La gestazione fu lunga ma al suo termine – e c’è da sospettare che Benevolo abbia trascorso più di qualche notte insonne a pensare e poi a dare forma al volume – egli divenne, seduta stante, uno degli storici dell’architettura più noti del momento (noto, ma non altrettanto apprezzato all’interno dell’Università: benché avesse pubblicato un libro così ponderoso egli non fu neppure tra i ternati di un concorso sul quale aveva riversato tante speranze). Probabilmente Laterza vide in lui un giovane studioso capace di poter portare a conclusione un lavoro titanico; inoltre, conoscendo le attività che Benevolo svolgeva al di fuori dell’Università, l’editore barese si aspettava un approccio storiografico affine alla prospettiva culturale con la quale egli – all’epoca dei fatti trentenne – stava riformando e ampliando il catalogo della propria casa editrice. Non stupisce che tra i due fosse potuta nascere un’amicizia e che la Storia divenne una fortuna per entrambi. Per Benevolo, più che un libro di storia, essa fu la mappa per descrivere l’architettura e l’urbanistica in cui egli allora credeva e che avrebbe continuato a tracciare e perfezionare negli anni a venire; per Laterza fu uno dei titoli più duraturi e più venduti del suo catalogo.
La Storia ebbe un ruolo decisivo all’interno della storiografia benevoliana. Benché questo volume non sia stato il primo libro da lui pubblicato – al 1957 risale quello su Ascoli Piceno; inoltre, pochi mesi prima della Storia egli aveva pubblicato Una introduzione all’architettura1 – la Storia fu certamente l’opera letteraria più impegnativa che Benevolo realizzò nella seconda metà degli anni Cinquanta e la sua elaborazione, che prese avvio nel 1956, se non fu la prima, fu senza dubbio alcuno quella su cui egli riversò il maggior impegno e nella quale egli tentò, per la prima volta, la strutturazione di una lunga narrazione. «La mia situazione precaria» ricordava Benevolo in La fine della città «finì solo nel 1960, quando, grazie al mio amico Carlo Chiarini, conobbi Vito Laterza, che mi propose di scrivere la Storia dell’architettura moderna»2. Benevolo pubblicò il suo libro più noto a trentatré anni; a titolo di paragone, Nikolaus Pevsner aveva pubblicato il suo Pioneers of the Modern Movement from William Morris to Walter Gropius (1936) a trentaquattro anni – esso era il suo secondo libro dopo Die italienische Malerei vom Ende der Renaissance bis zum ausgehenden Rokoko (1928) – mentre Sigfried Giedion concluse il suo Space, Time and Architecture (1941) a cinquantatré – ed era anch’egli al suo secondo libro dopo Spätbarocker und Romantischer Klassizismus (1922) – e Zevi aveva dato alle stampe a soli trentadue la sua Storia dell’architettura moderna (1950) dopo aver scritto già a ventisette anni Verso un’architettura organica (1945) e a trenta Saper vedere l’architettura (1948). Tralasciando i libri di Pevsner e di Giedion – l’uno è quasi un saggio rispetto alla mole della Storia di Benevolo, l’altro un libro di un autore già di lunga esperienza – le Storia di Zevi e Benevolo sono opere giovanili a cui il primo arrivò dopo alcuni esercizi di progressivo avvicinamento al tema – gli altri due suoi libri appena menzionati –mentre il secondo dopo aver messo a punto un metodo di ricerca su un’altra cronologia ma, soprattutto, dopo aver svolto l’attività di architetto e urbanista per circa un quindicennio. In entrambi i volumi si avvertono quella passione e quell’entusiasmo che portarono gli autori a costruire prospettive interpretative con assoluta determinazione e libertà partecipando in prima persona alle vicende narrate piuttosto che impiegando il distaccato e posato tono di un compassato storico teso a tratteggiare periodizzazioni e delineare figure di maestri. Al di là di questi aspetti che sembrano solo marginali annotazioni biografiche, è da sottolineare, soprattutto, come Benevolo avesse declinato la sua attività in campi spesso molto distanti da quello storiografico e che, rispetto agli studiosi appena ricordati, la sua ricerca di storico non fosse stata rivolta alla modernità. Al giovane Benevolo, la pubblicazione della Storia poneva, probabilmente, numerose questioni fondative: il genere letterario da impiegare, per esempio, e l’adesione a una tradizione specifica in funzione della partecipazione più o meno diretta al dibattito sull’architettura e sulla pianificazione contemporanea erano due questioni che lo riguardavano, in primo luogo, in relazione al mestiere da lui svolto; in sintesi, la scelta di un livello
34. Lo staff della Laterza alla Fiera del libro di Francoforte, 1988. Alle pareti dello stand si riconoscono quattro autori cardine del catalogo della casa editrice: Leonardo Benevolo, Eugenio Garin, Gianni Vattimo e Giorgio Ruffolo.
Riconoscendo alla Laterza quest’aura, Benevolo ricordava i primi suoi contatti con la casa editrice in veste di autore e la riforma della stessa della quale egli fu un artefice di primo piano:
Questi antefatti hanno reso emozionante – negli anni Cinquanta – il mio incontro con l’editore che mi ha chiesto di scrivere una Storia dell’architettura moderna. Questa commissione mi ha messo d’impegno, molto più che se avessi scelto io quest’impresa. Mi sono proposto di uscire dai generi (allora ben circoscritti) dei libri di critica d’arte e di indirizzo professionale, e di restare al livello culturale proprio della casa editrice. Si trattava poi di aggiungere allo strumento verbale della tradizione umanistica, usato fino allora quasi esclusivamente da Laterza, lo strumento dell’immagine: è nato così un nuovo modello tipografico, poi generalizzato nella collana “Grandi opere”107
Rispetto all’«antico seminato»108 costituito dalla filosofia, Laterza iniziò nel Dopoguerra, infatti, una profonda riforma del suo catalogo allargandolo verso molte altre discipline e modificando profondamente, nel 1960, la sua struttura editoriale con una nuova rete distributiva, con l’apertura di una nuova sede a Roma e l’aggiunta di una nuova redazione in quella di Bari109. Questa importante «svolta»110 dell’interno della casa editrice era simboleggiata, secondo Alessandro e Giuseppe Laterza, da due grandi opere: la Storia d’Italia dal 1861 al 1958 di Denis Mack Smith del 1959 e, appunto, la Storia di Benevolo. L’interesse per il campo dell’urbanistica e dell’architettura, benché nato successivamente rispetto ad altri settori inseriti nel catalogo della Laterza, si poneva in un preciso ambito culturale e testimoniava
quell’impegno civile espressamente perseguito da Vito Laterza, il principale artefice di queste politiche editoriali: «All’ideale dell’uomo dotto, proprio di una società statica» egli scriveva alla metà degli anni Sessanta «si sostituisce l’ideale dell’uomo colto, che dalla esperienza del passato e degli altri trae quel che più gli serve per arricchire la sua personalità e per inserirsi nella collettività al più alto livello possibile»111. L’avvio di nuove collane come Libri del Tempo – oppure l’inserimento di discipline prima non comprese all’interno della Biblioteca di Cultura Moderna – e la collocazione politica liberista ma con una netta apertura verso sinistra che caratterizzava la visione dell’editore, dettero un’impronta nuova al catalogo della Laterza già negli anni Cinquanta, specchio di quell’impegno civile e sociale che ancora negli anni del boom economico caratterizzava una parte della società italiana. La posizione di Vito Laterza rispetto al meridionalismo, per esempio, esprimeva un atteggiamento concreto verso i problemi allora attuali della cultura italiana: Laterza pubblicò sia studi di carattere storico sia libri di indagine come Contadini del sud (1954) di Rocco Scotellaro e persino di denuncia come Banditi a Partinico (1955) di Danilo Dolci. In questa elaborazione culturale sempre orientata dal e verso il presente, l’attività di Laterza era profondamente politica e condivisa con molti intellettuali e politici che gravitavano attorno alla sua casa editrice. Gli scriveva, per esempio, Ernesto Rossi (18971967) in una lettera che potrebbe essere letta come un programma di lavoro per la stessa casa editrice:
35. La nuova libreria Laterza a Bari, 1964. All’ampliamento del catalogo corrispose un incremento della struttura produttiva e commerciale della casa editrice.
Nel quale si attraversa la Storia, deserto compreso
Lo attendevano quattro anni di lavoro. Prima a Roma, per la compilazione delle sterminate bibliografie necessarie, poi due febbrili viaggi in auto in lungo e in largo per l’Europa per visitare quante più architetture possibili e a farne le fotografie per il volume: associando l’attenta analisi delle fonti a una moltitudine di attività sul campo, Benevolo elaborò la Storia Probabilmente fu un lavoro piuttosto solitario – perlomeno lo furono i mesi trascorsi in biblioteca così come i viaggi – ma non privo di avventura. Meticolosamente egli aveva strutturato il volume, ne aveva distribuito i pesi delle parti e il loro ordine; poi aveva raccolto le immagini confrontando quelle di repertorio con quelle nuove; infine, ne aveva composto le tavole delle figure. Trascorse così molto tempo in apparente solitudine, in una sorta di deserto; le mille e oltre pagine della sua opera ne sono la prova. Tale luogo era però popolato da quella che egli aveva riconosciuto come la genealogia alla quale si sentiva di appartenere e alla quale stava dedicando i suoi studi così come l’esito delle sue azioni. Fare questo deserto significava preparare l’azione: quella congiunta con i suoi colleghi della Società di Architettura e Urbanistica (SAU), per i quali il suo libro sarebbe divenuto un breviario. La riflessione svolta all’interno della SAU voleva porsi in stretta continuità con il Movimento Moderno e il ruolo della Storia all’interno di questo processo identitario non era quello di una semplice antologia ma di un testo all’interno del quale poter riconoscere i temi e le parabole di una modernità da perorare.
«Method is more important than information»1 affermava Gropius in occasione del CIAM di Bergamo del 1949. Benché Benevolo non avesse udito con le proprie orecchie queste parole, questa affermazione sembra aderire perfettamente al principio posto alla base della sua ricerca, sia quella progettuale rivolta all’architettura e alla città sia quella dedicata alla scrittura2. Quanto a quest’ultima, essa era fondata su un metodo empirico e sull’associazione di più livelli di lettura utili a stabilire il racconto; essi definivano, nel loro insieme, un approccio che non aderiva ai modi della prosa d’arte ma a quelli della storia e della storiografia a lui contemporanea sulla scorta degli insegnamenti di Gaetano Salvemini (1873-1957) e di Eugenio Garin (1909-2004).
Sul metodo di questi autori, Benevolo impostò la sua opera senza distinguere il piano del progetto architettonico o la pianificazione da quello dalla scrittura: si potrebbe, infatti, riconoscere il medesimo approccio progettuale sia nell’elaborazione di un edificio sia nell’impostazione delle analisi di contesti urbani e sociali così come nella scrittura. Gli esiti più significativi di questo atteggiamento si possono riconoscere in un testo dedicato alla ricostruzione della storia e delle polemiche nate attorno al Piano regolatore generale di Roma pubblicato su Urbanistica nel 1959, nelle analisi condotte per l’elaborazione dell’Indagine preliminare al Piano territoriale di coordinamento della regione abruzzese (1960) o negli studi per la fiera di Bologna (1960).
Prima di analizzare il metodo impiegato da Benevolo, converrà riportare per intero un lungo brano del testo che ricostruiva le vicissitudini del Piano di Roma, per intendere ciò che egli poneva – già durante gli anni della scrittura della Storia – alla base della sua attività:
Crediamo che i fatti dimostrino in modo persuasivo questo giudizio. Tuttavia il lettore che fosse di avviso diverso troverà qui raccolti quasi tutti i dati del problema, un gran numero di testi che illustrano le tesi più importanti sostenute dalle varie parti, e potrà valutarli per suo conto.
Non abbiamo nascosto il nostro giudizio sugli avvenimenti, ma abbiamo cercato di non farlo intervenire nella scelta del materiale, secondo questa distinzione di Gaetano Salvemini:
“La differenza tra lo storico e l’agente di propaganda non consiste nel fatto che il primo non sia prevenuto e il secondo sì, e che il primo esponga solo fatti la cui veridicità possa essere provata, mentre il secondo diffonda informazioni false. Entrambi possono fare affermazioni esatte o inesatte. Ma lo storico presenta onestamente al suo pubblico tutte le versioni che gli sono note di un fatto controverso, ed espone tutti gli argomenti che lo inducono non solo ad accettare una versione ma a ripudiare tutte le altre. L’agente di propaganda inizia la sua esposizione vantandosi di essere privo di prevenzioni, imparziale e di larghe vedute, e giura che egli dirà la verità tutta la verità, niente altro che la verità, ma egli distingue in base alla propria prevenzione i fatti che vuole esporre da quelli che vuole nascondere; e quando non può nascondere una versione diversa dalla propria, deforma gli argomenti che militano in favore di questa, e così cerca di persuadere il suo pubblico a credere ciò che non crederebbe se gli fossero presentati tutti i fatti e gli argomenti pro e contro la sua versione”.3
predominano quantitativamente le architetture dei tedeschi, freddamente manieriste. Gropius? Allievi, probabilmente, da lui seguiti. Aalto – (rivestito di lastre di cemento – colori perlacei – forma riposante – raccordo pareti [...]. Sistemazioni a terra molto estrose. L’atmosfera della esposiz. ha dominato tutti […] Le Corbusier (in costruzione). Splendido cantiere – architettura (pare) come al solito matura e sensazionale»)52, “vide” la Columbushaus («rasa al suolo»53) e, probabilmente, la Bauakademie di Karl Friedrich Schinkel («Magazz. di Schinkel – rovine»54) e a Berlino Ovest percorse la Stalinallee («incredibile chilometri di facciate a maioliche color avorio»55) e il cinema teatro Universum di Eric Mendelsohn («sempre attuale»56). Il 24 agosto si trovava a Dessau dove visitava la Bauhaus («è intatta nel senso che non ha subito trasformazioni all’esterno, ma ridotta quasi a rovina –ospita 3 (credo) scuole – all’interno è tutto cambiato. La grande vetrata è sparita – al suo posto una tamponatura di mattoni – Così le vetrate sopra gli ingressi presso il corpo a ponte. Scritte politiche fuori (anch’esse in rovina e mutilate). Dentro busti di Lenin e Thälmann, e mobili in stile tedesco-comunista. È però un edificio noto – tutti lo sanno indicare. C’è una piazza intitolata BAUHAUSPLATZ. Senso archeologico. Singolari rovine del movimento moderno, prive di fascino estetico»57), le case dei docenti («La casa Gropius è rasa al suolo e sostituita da una in stile antico. Le altre sono tutte cambiante»58) e il quartiere Törten («siedlung in rovina»59); ripartì poi per Halle («città
77. L. Benevolo, Modelli di quartiere all’Interbau di Berlino, 1957.
La visita all’Interbau di Berlino fu per Benevolo particolarmente importante: esso fu uno degli episodi maggiori discussi nelle ultime pagine della Storia 78. L. Benevolo, L’edificio di Gropius all’Interbau di Berlino, agosto 1957. 79. L. Benevolo, Il cinema teatro Universum di Eric Mendelsohn, 1957.
Nel quale si dice di Benevolo quando ricevette la Storia
Quale sarà stato il primo pensiero di Benevolo quando vide per la prima volta il frutto delle sue fatiche inviatogli da Laterza e trovato nella posta dopo una giornata di esami? Il libro era mastodontico, cartonato, in due tomi rivestiti di tela grossa color blu all’interno di un cofanetto ben rigido; rispetto ai morbidi libri di carta porosa pubblicati perlopiù da Laterza fino ad allora, era una rivoluzione. Colossale come un’enciclopedia, esso aveva l’abito autorevole di un libro importante per uno studente di architettura e poteva stare bene nell’elegante libreria di una famiglia borghese così come in quella di uno studio. Con una nuova veste grafica tuttavia non troppo moderna e certamente non in linea con il suo contenuto, esso era però un libro totalmente illustrato e tutto su carta patinata, non più caratterizzato dalla polverosa divisione in sedicesimi di testo e sedicesimi illustrati. Un libro, in questo senso, nuovo – certo, la pagina era composta in modo ancora molto tradizionale; le tavole di immagini erano forse un po’ meno raffinate di quelle dell’einaudiano libro di Zevi, forse erano un po’ troppo dense… – ma contava mille immagini! Non si trovava in tutto il mondo un libro sulla storia dell’architettura moderna così riccamente illustrato da sembrare una rivista, perdipiù con una campagna fotografica realizzata all’uopo. E con tutte le immagini raccolte durante i viaggi in Europa, quanti libri si sarebbero potuti fare se solo Laterza lo avesse voluto? Certamente, se la Storia venderà bene, Laterza gliene chiederà altri e intanto un libro di tal presenza farà buon impressione alla commissione dell’imminente concorso…
1. Le pagine della Storia
All’interno del panorama editoriale italiano, la Storia proponeva una forma narrativa alternativa rispetto alla stragrande maggioranza delle pubblicazioni di taglio storiografico. Rispetto a quella più tradizionale che vedeva la preminenza del testo rispetto alle illustrazioni che intercalavano i saggi oppure che erano raccolte fuori testo su carta patinata, il libro di Benevolo presentava una stringente integrazione tra testo e immagini, costituendosi come un vero e proprio libro illustrato. Queste ultime, infatti, erano pubblicate in numero assai elevato, formando un racconto illustrato che componeva un atlante visivo dei principali edifici presentati nella trattazione. All’interno dei volumi della Storia, tuttavia, perlomeno nella prima edizione, ciascuna pagina ospitava, quasi sempre, solamente immagini o, viceversa, unicamente testo: il libro così ottenuto, interamente stampato su carta patinata e suddiviso in due tomi in ottavo e con legatura solida corrente in piena tela blu e custodia illustrata, aveva, per quanto concerne l’impaginato, tuttavia, un aspetto piuttosto tradizionale.
Se il formato era comparabile a Space, Time and Architecture (1941) di Giedion, la cui composizione delle pagine di disegno moderno era stata curata da Herbert Bayer (1900-1985) – che, tra gli ultimi lavori prima di questo libro, si era occupato dell’allestimento della mostra sul Bauhaus al MoMA di New York (1938) – ed era stata riproposta anche nella traduzione italiana, l’impaginato della Storia messo a punto da Benevolo era di aspetto molto più consueto e meno raffinato. Inoltre, l’integrazione tra la narrazione verbale e quella iconografica risultava meno serrata rispetto a Space, Time and Architecture a causa della distinzione tra pagine di testo e pagine di immagini. Questa scelta fu probabilmente operata per facilitare il lavoro di composizione parallela dell’una e dell’altra parte dei volumi. Inoltre, rispetto, per esempio, al Walter Gropius e la Bauhaus di Argan impaginato da Franco Berlanda (1921-2019) e inserito nella Collana storica di architettura diretta da Zevi per Einaudi, nel quale una raffinata disposizione delle immagini definiva pagine di ampio respiro, la composizione della Storia era più schematica e meno elaborata, utile a collocare nelle tavole quante più immagini possibili della dimensione maggiore che il formato concedeva. La rigidezza del risultato era forse da imputare, probabilmente, all’assenza di una tradizione da parte della Laterza nella realizzazione di libri illustrati e, dall’altra, a un Benevolo più attento alla scelta delle immagini e alla funzionalità delle pagine così realizzate che al risultato estetico. Nonostante tutto ciò, la Storia rappresentò per molti anni, all’interno del panorama delle pubblicazioni dedicate alla storia dell’architettura in Italia, un unicum per quanto riguardava la mole del volume e la ricchezza del suo apparato iconografico.
A partire dagli anni Cinquanta, Benevolo impostò un archivio fotografico contenente solo immagini da lui realizzate; un nucleo cospicuo di questa raccolta fu realizzata durante i viaggi che egli compì nella seconda metà degli anni Cinquanta per illustrare la Storia. L’archivio fotografico è suddiviso in una raccolta di negativi – ordinati attraverso la sequenza degli sviluppi dei singoli rulli – e un soggettario che raccoglie i provini a contatto organizzato per edifici e città (alcuni esempi sono pubblicati alle pagine 258 e 259). Composta da negativi in bianco e nero di piccolo formato, questa prima raccolta testimonia, senza alcun filtro, grazie alla continuità fisica del supporto fotosensibile e alla numerazione dei singoli rulli, i viaggi e i movimenti di Benevolo in visita a edifici e a città. Inoltre, essa dà conto degli interessi di Benevolo e degli edifici che apprezzò maggiormente e sui quali il suo sguardo indugiò per più tempo e dei modi tutt’altro che professionali con i quali aveva condotto questo lavoro: le immagini realizzate da Benevolo furono scattate rapidamente e senza un treppiede e si costituiscono come semplice esito di un reportage di viaggio, talvolta dedicando pochissime inquadrature a un edificio, talaltra facendo più scatti dello stesso soggetto con esposizioni diverse. Esse, inoltre, erano tese a rappresentare le trasformazioni dell’edificio nell’arco della sua esistenza e molto spesso ritraevano le modalità con le quali esso era vissuto e abitato: passanti, automobili e ogni aspetto della città contemporanea erano da Benevolo naturalmente inseriti in fotografie che sarebbero state comparate, nelle pagine della Storia, con quelle nelle quali l’edificio era stato ritratto appena costruito (si veda il cap. V.1.b).
Questo aspetto narrativo che emerge dalle sue immagini, fu argomentato in un racconto di viaggio – rimasto inedito – che Benevolo scrisse a proposito della sua visita alle due Germanie nel 1957 e che testimonia, oltre alla sua attenzione per la ricostruzione delle città distrutte durante la Seconda guerra mondiale, anche l’esperienza stessa del viaggio. Eccone le frasi iniziali:
Marienborn è un piccolo villaggio della Germina centrale, che è diventato improvvisamente famoso perché si trova nel punto dover l’autostrada Hannover-Berlino interseca il confine tra le due Germanie: la cosiddetta “cortina di ferro”.
Prima e dopo il confine si trovano fitte foreste, da cui si vedono sporgere ogni tanto, sia di qua che di là, sconosciuti meccanismi, forse attrezzi bellici. Ai due posti di blocco ci sono due file di automezzi: una più lunga e più lenta per i tedeschi, una più breve per gli stranieri, che si disimpegnano con due ore circa di formalità: code agli sportelli, bolli, pagamenti; quando si torna all’auto per proseguire la marcia in territorio orientale si trova l’auto già seminata di opuscoli [di] propaganda, turistica o politica.
L’autostrada corre fra le medesime campagne ondulate che si son percorse prima, ma s’incontrano meno veicoli e meno persone. Si passa vicino a Magdeburgo, dove le rovine del duomo e delle altre chiese che s’è imparato a conoscere sui libri di storia dell’arte, giganteggiano in una spianata uniforme di macerie, come scheletri di animali preistorici1
I rulli fotografici testimoniano, inoltre, l’andamento piuttosto frenetico dei suoi viaggi per realizzare le immagini per la Storia ed è possibile riconoscere, nella loro sequenza, il crescere o il calare della luce alle diverse ore della giornata; in rare occasioni Benevolo indugiava in distrazioni e, salvo rare eccezioni, la totalità delle fotografie ritraeva gli edifici e i quartieri che saranno poi presentati all’interno del volume.
* * *
Le immagini delle pagine successive, realizzate invertendo digitalmente i negativi in bianco e nero conservati nell’archivio di Benevolo, si riferiscono ai viaggi da lui compiuti tra il 1957 e il 1958 in Europa, ovvero quelli dedicati alla visita di molti edifici di cui egli scrisse nella Storia. I negativi sono conservati all’interno delle buste portanegativi del fotolaboratorio che si era occupato degli sviluppi del materiale fotosensibile; è qui riprodotta l’intera sequenza dei fotogrammi di alcuni rulli, scelti tra la sessantina di quelli utilizzati da Benevolo durante questi due viaggi.
Provino 21 –Friedrich Waesemann, Municipio rosso, 1861-69.
Provini 12-19 –Eric Mendelsohn, Cinema teatro Universum, 1927.
Provini 22-38 –Egon Hartmann, Richard Paulick, Hanns Hopp, Karl Souradny, Kurt W. Leucht, Stalinallee, 1951-57.
Provino 20 –Johann Boumann, Duomo, 1747.
Berlino, 22-23 agosto 1957
Provini 1-11 –Le Corbusier, Unitè d’habitation realizzata in occasione dell’Interbau, 1957.
1. Busta portanegativi del laboratorio “La Tecnica s.r.l., Roma” con annotazione ms. di Leonardo Benevolo: «14», «Berlino est ecc.».