Rdp Numero 7

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Via il sipario trinseca buffoneria. La commedia, in questo senso, docet: il riso scaturisce sempre dal dramma. Ma nel teatro – e nella poesia spettacolo che da esso deriva – viene individuato da Ripellino anche l’antidoto, l’escamotage contro il dolore nichilistico par exellence, l’ineluttabile contiguità della morte: «Se io venissi da te a raccontarti / che senza tregua cambio il mio trucco, / perché la morte non mi riconosca, / sobbalzeresti...».¹⁴ Da qui ha origine l’altra invariante della poesia ripelliniana, quella della «maschera». Il poeta tramite i suoi versi può continuamente variare personaggio e con numerosi travestimenti nascondersi dalla morte che incombe. Ma per far questo ha bisogno che la sua poesia risuoni fragorosa, sia buffonesca, ridanciana, un con-

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tinuo esorcismo del nulla perpetrato attraverso le «parole vestite con frange di festa»:¹⁵ il poeta infarcisce così i suoi versi dello sfarzoso armamentario scenico per la recita, ovvero «di tutto il bailamme che tiene a bada la morte».¹⁶ Ed ecco che la poesia non può che trasformarsi in spettacolo. «Teatro, e ancora teatro, è la mia sorte. / Che altro mi resta se non incantarmi / dei bianchi ceroni, dei rossi / tondini sulle guance / e di questa irrisione della morte?».¹⁷ Scrive Antonio Pane, «il teatro è il prodigioso congegno che raccoglie e fa risplendere di luce poetica i detriti di tutte le arti».¹⁸ Perciò si spengano le luci in platea e si interpreti la poesia di Ripellino, ogni altra poesia. Con un’unica indicazione registica: ad alta voce.

14 Lo splendido violino verde, n. 27 15 Non un giorno ma adesso, “Vivere è stare svegli”. 16 Lo splendido violino verde, n. 7. 17 Poesie prime e ultime cit., “Teatro, e ancora teatro, è la mia sorte”. 18 Pane, Storia di Ripellino cit., p. 37.


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