Ticino 7 N48

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Storia di un timido alieno e altre memorie

Er Thrilleraro e l’artri ‘Immortacci’

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“Li cantanti morti nun so’ morti veramente. So’ nascosti a Roma a fa’ la bella vita”. Nel brano ‘Li immortacci’ – una sorta di stornello che sfocia ne ‘I Watussi’ e che per ambientazione pare uscito da Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli – gli Elio e le Storie Tese teorizzano l’esistenza di una ditta che avrebbe assunto in blocco i presunti defunti del pop e del rock, che in realtà sarebbero tutti a Roma “a ffa’ la bella vita”. Lo scopo? “Pe’ ffa’ vennere più dischi e faje un po’ pubblicità”.

Insieme a “er Chitara” (Hendrix), “er Lucertolaro” (Morrison), “er Rastamanno” (Marley), “er Pelvicaro” (Elvis) e molti altri, c’è anche “er Thrilleraro”, per gli amici “Micheletto”. Er Thrilleraro, almeno lui, è morto veramente. C’è la foto, perché una foto dentro al sacco nero non si è mai negata a nessuno, neanche ar Pelvicaro. Micheletto ci ha lasciato “er disco più venduto de sempre”, un disco che lo ascolti e dici “li mortacci…”.

sabato 3 dicembre 2022 1 Ticino7 numero 48 A CURA DE 'STO GIORNALE

CHI LI ASCOLTA?

‘Sono le azioni partite dal basso, soprattutto dai giovani, a fermare più spesso conflitti e ingiustizie’ scriveva qualche settimana fa Giuseppe Cassini sul quotidiano il Manifesto, a naturale conclusione di una serie di manifestazioni storiche riuscite, in nome della giustizia sociale e del pacifismo. Eppure. Danno fastidio.

Quanto è facile a volte aderire all’immaginario di lotta e gioia con entusiastico fervore, schierarsi dalla parte dei manifestanti in nome di romantiche memorie e dire con fermezza ‘largo ai giovani’ mentre si osservano su tutti gli schermi le fiumane colorate che si mobilita(va)no per i ‘Fridays for Future’. Facile e semplice, a volte, lasciar fare ai ragazzi, quasi spettasse loro riordinare dopo i festini altrui. Ma se poi gridano troppo, steccano o si dimenano, silenziarli con la dotta esperienza e professionale destrezza dell’età matura. Non è forse quello che accade? Che sta accadendo proprio ora?

Danno fastidio.

Eppure: i giovani si indignano, propongono soluzioni in modo apparentemente disordinato e disorganizzato, come il loro mondo. L’hanno sempre fatto, da sessant’anni a questa parte.

Con la sfrontatezza e l’arroganza, l’irragionevolezza e l’esuberanza dell’esperienza di quel misero paio di decadi di vita alle spalle. Partecipano al dibattito di idee globale e quel bisogno di far emergere una voce, limpida e ancora a suo modo pura, è quel che lo mantiene vivo. Non solo, una sorta di allarme da prendere così com’è, frastornante e indelicato. Non è forse stato l’urlo fermo di una ragazzina a mobilitare le folle negli ultimi anni? Ci piace (ecco che mi metto già, anagraficamente è un dovere, dall’altra parte della barricata), eppure sentenziamo troppo spesso su pertinenze, modi e linguaggi. Quasi non fossimo mai abbastanza vicini per poterli ascoltare davvero.

La voce dei ragazzi Osservo le azioni, spio le ripercussioni sull’opinione pubblica: spesso le liquida. Ascolto interviste in cui manifestano la loro paura per il futuro, snocciolano pensieri a volte più lucidi dei miei e dimostrano una coscienza tutt’altro che ingenua rispetto al mondo attuale. Studi (l’ultimo di qualche giorno fa a Berna) dimostrano che sono molto più attivi di quanto si creda, e di quanto credano loro. Fanno sentire la loro voce a volte con più timore rispetto a qualche anno fa - che la pandemia abbia tarpato le ali un po’ a tutti si sa, e son proprio loro ad averne risentito di più. E poi sbroccano, a furia di tanto parlare e poco arrivare, sbroccano. Le recenti azioni andrebbero sicuramente analizzate in maniera approfondita una per una, per decifrarne volontà, rivendicazioni, pertinenza. Tra l’altro il loro perpetuarsi non fa che confermare, a mio parere, una necessità di fondo parecchio diffusa. Sono andata a chiacchierare con alcuni ragazzi che in una scuola d’arte si stanno formando, e che un’idea su quanto stia accadendo se la sono fatta. Per cercare anche di scoprire con loro quali possibilità d’ascolto effettivo ci sono per i ragazzi oggi, come possono essere attivi con le proprie idee, quale visione del mondo si stanno facendo. Ne è uscito ovviamente un discorso un po’ sconnesso e disarticolato come loro, ma che nella sua imprecisione brilla. La difesa delle opere d’arte non è mai stata messa in discussione, semplicemente non è questo il punto.

CSIA, un pomeriggio d’autunno “Qui si parla tanto, si viene ascoltati e si fa sentire e valere la propria opinione, è una bella scuola”. Gabriel, Emma, Licia, Fabienne, Este, Dayan, Emma G. sono all’ultimo anno del loro percorso scolastico.

sabato 3 dicembre 2022 2 Ticino7 L’APPROFONDIMENTO DI VALENTINA GRIGNOLI; FOTOGRAFIE © TI-PRESS
I giovani e l’attivismo: riflessioni su un fenomeno che dà fastidio

“A scuola abbiamo uno spazio espositivo, un comitato attivo che ci permette di avere voce in direzione” mi racconta Fabienne. Le chiedo se sia attiva politicamente anche in altri modi: “Ho fatto parte del Consiglio cantonale dei giovani, per due anni, e anche di qualche progetto del PS. Era molto interessante, super professionale, ma ricordo una lista lunghissima di proposte bocciate, anche un po’ deprimente”. Questa cosa del non essere ascoltati a sufficienza è rimbalzata più volte, in diverse chiacchiere anche con altri ragazzi. Interviene qui Gabriele dicendo che, comunque, si può essere attivisti anche nel proprio piccolo, “tutti possiamo contribuire a costruire un mondo migliore”. Este ha un suo parere personale: “Attenzione, i ragazzi si battono in una maniera piena di contraddizioni. Una manifestazione legale non è uno sciopero. È abbastanza inutile. Esprimo il mio dissenso, certo, ma non è detto che la gente poi lo ascolti. Ormai sembra una festa, ci vai perché viene fatta, routine. Ma non puoi fermare così le industrie che rovinano il mondo”. Lisa non è d’accordo: “Però proprio con le manifestazioni puoi convincere tutti coloro che usufruiscono dei servizi di queste industrie. Non riusciremo a cambiare il mondo ma di sicuro ci saranno informazione e partecipazione”. Ragazzi, ma come sta il mondo oggi? Dayan: “Non son mica rose e fiori! Ho una visione abbastanza pessima della società, la gente non sembra vivere bene, anzi”. Gabriele: “Ma il mondo è mai andato bene?”.

Una lettura oltre l’atto (provocatorio) Più positiva Emma G., per la quale “la situazione sta comunque migliorando, si investe molto sulle energie rinnovabili. Ma certo è che finché non succede qualcosa di concreto sotto al nostro naso, facciamo tutti finta che la crisi non esista!”. È anche questo che stanno tentando di dirci i giovani attivisti che se la prendono con le opere d’arte? Dopo una discussione sulla pertinenza o meno e l’utilità contestata di queste azioni, Licia interviene: “Se si è consapevoli che lo scopo non è vandalizzare ma si va più a fondo e ci si informa, l’azione è utile. Sta a noi capire se siamo pronti ad ascoltare un certo discorso oppure no”. “Il discorso è spesso fatto solo dopo il gesto, e che si fa? Ci si ferma lì”. Continua Fabienne: “Quando la primavera scorsa un pazzo ha lanciato una fetta di torta sulla Gioconda per provocazione, senza un vero pensiero di fondo, non se ne è parlato più, tutti ne hanno riso ed è finita lì. Oggi invece il gesto viene fatto con cognizione, con una motivazione carica di senso per la nostra generazione”. Eppure. Danno fastidio.

Certo, c’è accordo comune rispetto al fatto che bisogna pensare a strategie comunicative più efficaci, per farsi ascoltare, anche se Emma sostiene che: “Ma dai! Avremmo già tutti gli strumenti per capire la gravità della situazione climatica. Senza bisogno di azioni di questo genere. Se ci si mantiene in superficie, non si è disposti ad accettare la realtà che si ha davanti. Questo mi fa paura”. Per Fabienne: “E poi diciamolo. Viviamo in una società vecchia. Le persone più anziane sono quelle che gestiscono la maggior parte delle associazioni. È qualcosa che si vede. Ora, certo, sta nelle nostre mani, come dite, ma cosa possiamo fare? Chi ci ascolta?”.

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Attivisti del movimento ecologista Ultima Generazione (costola italiana di Extinction Rebellion) imbrattano con un passato di verdura Il seminatore di Vincent van Gogh. Dopo il gesto i militanti vi si incollano alla parete chiedendo delle politiche per il contrasto del cambiamento climatico.

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Due attiviste del gruppo Stop Fossil Fuel Subsidies Australia prima imbrattano il celebre Campbell’s Soup Cans di Andy Warhol con della vernice blu e poi tentano di incollarsi all’opera. L’azione non ha danneggiato le serigrafie, che secondo gli attivisti rappresentano il consumismo impazzito.

Il senso dell’attacco alle opere d’arte

Rispetto alle azioni plateali e agli attacchi verso simboli e opere artistiche di immenso valore (culturale ed economico) cui assistiamo con una certa regolarità, abbiamo chiesto un commento a Monica Delucchi, docente di Storia al CSIA di Lugano e alla SPAI di Trevano.

I giovani oggi vengono ascoltati e presi sul serio a sufficienza? Da cosa se ne accorge? “Troppe volte la nostra società si limita a fare atto formale di ascoltare i giovani, spesso visti con fastidio, ostilità, timore. Assistiamo alla sfilata di classi di bambini e ragazzi ricevuti dalle autorità politiche e invitati a sedere nelle aule del legislativo o a festeggiare la maggiore età, con tanto di foto ricordo pubblicata sui quotidiani; esiste il Parlamento dei giovani, istituito dal mondo politico per dialogare con le nuove generazioni: iniziative lodevoli, che però non riescono quasi mai a sfociare in veri atti politici, e sembrano fatte per gratificare il bisogno di buonismo e inclusività degli adulti. Questo lo si vede non appena i giovani chiedono qualcosa che esula dalla zona comfort degli adulti: basta pensare alle reazioni di insofferenza dell’uomoqualcuno (l’uomo qualunque che si sente qualcuno di cui canta Caparezza) verso Greta Thunberg e i giovani manifestanti nei Venerdì per il Futuro, o la catartica soddisfazione che si respirava nei giorni successivi alla demolizione del Macello. I giovani vengono incentivati a occuparsi di politica, ma non appena lo fanno seriamente, abbattendo il muro di facciata del perbenismo, il mondo degli adulti li rimette al loro posto. E guai a commettere errori: l’errore è imperdonabile! Sarebbe invece buona cosa ricordarsi la lezione pedagogica dell’Illuminismo, che ci ha insegnato a vedere l’errore come un fondamento della crescita nella libertà: libertà che è una grossa responsabilità, prima che un diritto”.

Insegna anche in una scuola d’arte (CSIA): come avete commentato le azioni di protesta che colpiscono le opere?

“Ne ho parlato solo con le classi che hanno sollevato l’argomento. Paradossalmente questo è successo soprattutto nella scuola tecnica dove insegno, con allieve e allievi che non frequentano regolarmente musei e luoghi d’arte. Il tono nelle loro parole era pieno di indignazione, molto simile all’orrore scandalizzato che proviamo quando un membro della comunità viola la legge inconscia e sacra che ci dice che non dobbiamo camminare sulle tombe o fare picnic in una chiesa. Nei pochi accenni al tema usciti nella scuola d’arte ho invece percepito sentimenti di tristezza per l’aggressione a opere di artisti amati, che oltretutto nella loro vita erano stati ‘imbrattati’ dallo stigma della società benpensante del tempo, come Van Gogh”.

In quanto storica, concorda con il fatto che servano gesti eclatanti per essere visti? Esempi storici di rivolte dal basso che cambiano il mondo?

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5 novembre / Museo del Prado, Madrid

Due attiviste del collettivo ecologista Futuro Vegetal incollano le proprie mani alle cornici della Maja desnuda e della Maja Vestida, due capolavori di Francisco de Goya. Sulla parete, tra i due dipinti, scrivono anche “1,5°”, un riferimento al recente annuncio dell’ONU sulla “impossibilità di restare nel limite, stabilito dall’Accordo di Parigi, di 1,5° di aumento della temperatura media rispetto ai livelli preindustriali”.

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“Da storica ho imparato a convivere col pessimismo circa la possibilità di cambiare il mondo. Certamente i gesti eclatanti aiutano, ma la qualità fondamentale per cambiare le cose è l’intelligenza, accompagnata da una buona dose di perseveranza: se mancano queste due qualità, la protesta eclatante susciterà solo sentimenti oppositivi al tema su cui si vuole portare l’attenzione. La ragione della protesta è a mio avviso assolutamente legittima, e rappresenta una delle sfide prioritarie dell’imminente futuro in cui i giovani saranno costretti a vivere. Di esempi storici ne esistono molti: dal Boston Tea Party del 1773, che portò alla nascita degli Stati Uniti, al gesto di Rosa Parks, che nel 1955 si rifiutò di cedere il posto ad un bianco su un bus di Montgomery, passando per il fenomeno della Resistenza nella Seconda guerra mondiale e arrivando alle proteste silenziose di Plaza de Mayo a Buenos Aires, così simili a quelle in corso contro il regime russo e bielorusso, o a quelle urlate e di massa contro il regime degli Ayatollah in Iran. Nei limiti di grandezza dati, è stata intelligente e ironica anche la protesta dei forni a microonde organizzata dai liceali di Locarno lo scorso anno”.

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29 maggio / Louvre, Parigi Alcuni giovani attivisti, al grido di “Salviamo il Pianeta”, lanciano una torta sulla Gioconda di Leonardo da Vinci. Incidente senza conseguenze, come quasi tutti gli altri che sono seguiti. 22 luglio / Uffizi, Firenze Nella sala Botticelli viene esposto uno striscione con scritto “Ultima Generazione, No Gas No Carbone”. I giovani si incollano poi al vetro che protegge La Primavera. Nessun danno per il dipinto, proprio per la presenza di un vetro speciale. 27 ottobre / Museo Mauritshuis, Aja Tre ecologisti del movimentio Just Stop Oil entrano nel museo e, giunti davanti alla Ragazza dall’orecchino di perla di Vermeer, vi si incollano, lanciando contro il quadro una sostanza che potrebbe somigliare a una zuppa di pomodoro. L’opera, ha comunicato il museo, non ha subito danni, anche grazie al vetro protettivo. novembre / Palazzo Bonaparte, Roma novembre / National Gallery of Australia, Canberra 15 novembre / Leopold Museum, Vienna Attivisti di Last Generation gettano del liquido su Morte e Vita di Gustav Klimt, opera del 1908-1915; uno di loro s’incolla al quadro. L’opera, protetta da un vetro, pare non aver subito danni.
RECENTI AZIONI PER SETTE SIMBOLI DELL ’ ARTE A CURA DELLA REDAZIONE/T7 7

“L’opera d’arte ti piace se ti parla e, meglio ancora, se parla di te. Se ti riconosci in essa. Se ti aiuta a capirti meglio”. In comunità di recupero, quasi 40 anni fa, c’era un ragazzo che non voleva essere toccato. Fabiano, educatore e artista, lo invitò a lavorare su una grande scultura in gesso. Per farlo, il ragazzo non poteva evitare di abbracciarla. Ne uscì un’intimità artistica, una prossimità sensoriale che forse aiutò il giovane a emanciparsi dal suo trauma, o quantomeno gli permise di realizzare un’opera d’arte intrinsecamente terapeutica, di consistenza quasi corporea. Fabiano Bevilacqua ricorda quell’esperienza come una tappa fondamentale di una vita iniziata a Locarno, sviluppatasi negli anni fra Puglia, Zurigo, Firenze e Parigi, e che prosegue oggi in un luogo magico dove il mare, letteralmente, respira. Se è vero che in qualche modo apparteniamo ai territori che abitiamo, allora Fabiano, stabilendosi a Biarritz, si è consegnato alla vastità dell’Atlantico, alle sue spettacolari escursioni, alle alte e alle basse maree che in poche ore cambiano il paesaggio; a quel lungo e profondo canyon sottomarino, quasi perpendicolare alla Grande Plage, che crea onde fra le più ricercate dai surfisti, le cui brevi cavalcate tracciano effimeri percorsi nella spuma ribollente.

A proposito dei baschi

Fabiano Bevilacqua

È nato a Locarno nel 1957. Dopo gli studi commerciali a Bellinzona si è formato artisticamente a Firenze e a Parigi. È stato educatore in istituti cantonali, per i quali ha organizzato laboratori manuali e artistici, e dal 1984 al 1987 ha gestito un centro alternativo al carcere per giovani ex tossicodipendenti in Puglia. Artisticamente, dal 1982 al 1997 ha realizzato ingrandimenti di sculture per l’atelier Régine Heim di Zurigo ed è stato cofondatore della stamperia d’Arte “L’Impressione” di Locarno, con Franco Lafranca. Ha svolto atelier di scultura a Locarno, Zurigo, Verscio e, a partire dal 1979, ha esposto in molte personali e collettive in Svizzera e all’estero. Dal 2010 vive a Biarritz, in Francia, dove opera come scultore e pittore.

La scienza del cambiamento Accanto a tutto questo, per Fabiano, c’è l’arte astratta, vero filo conduttore che permette di coniugare sentimento e materia. Nell’appartamento in Avenue de République, che all’occorrenza è anche atelier, dipinti e sculture raccontano un’evoluzione che è continua, mutevole traduzione di un modo di essere in continuo cambiamento, “dove passato, presente e futuro sono come tessere intercambiabili di un mosaico da comporre fuori dalla linea del tempo”. Nella scultura, Bevilacqua crea con cera, gesso e bronzo. “Alla Fonderia d’arte di Irun, in Spagna, il primo giorno l’ho passato spiegando chi sono, cosa desidero e come voglio lavorare con loro. Non mi sono mai limitato a portare il modello per poi passare a ritirarlo. Controllo i dettagli, i processi, curo i ritocchi alla cera, al gesso, faccio i calchi, le cesellature”. Quanto all’ispirazione, “è dettata dall’intimo, più che dal luogo in cui sono. Il viaggio più bello che puoi fare si svolge nella tua testa, ed è nel segno della sorpresa di un continuo cambiamento. Tutto quello che vediamo, e che sentiamo, lo trasformiamo sulla base della nostra sensibilità. Il luogo mi mette in una certa condizione psicologica, ma non mi ispira direttamente; semmai, incontra ciò che io sono in quel preciso momento, sulla base della mia esperienza. Siamo fatti di tutto e ce lo portiamo sempre dietro. Ciò che reputo fondamentale è la coscienza del cambiamento; anche delle idee, delle convinzioni che un tempo si credevano inscalfibili. Ho sempre rifuggito gli “ismi”, le ideologie che diventano religione”. Nell’approccio alla sua arte, unitamente al cambiamento (“Se lo accetti, accetti la vita”), i capisaldi sono il paradosso e l’ironia: “Il paradosso è decostruzione, l’ironia è la base per conoscersi”.

Affatto effimero è il percorso esistenziale dell’artista, che 12 anni fa, già ultracinquantenne, scelse il Paese Basco francese dopo tre soggiorni da cinque settimane di vacanza e un anno sabbatico. “A un certo punto ho capito che dovevo rimanere. Me l’hanno suggerito tante cose: fra esse, il fatto che qui è ancora possibile ritrovare il Ticino degli anni Sessanta”. Il quotidiano grande mercato sulla spianata “des Halles” è un coacervo di odori, sapori ed esperienze. È piazza, luogo d’incontro in un contesto “molto meno stressante rispetto a quello che ritrovo quando rientro o ripenso alla Svizzera. Qui la gente si prende tutto il tempo necessario. La Spagna è vicina e molto presente, si va regolarmente a San Sebastian. Quando li accompagno, gli amici che arrivano dal Ticino mi chiedono quale festa ci sia; nessuna festa, rispondo loro, questa effervescenza è la normalità”. Siamo, anche, le lingue che parliamo e quelle che ascoltiamo. Quella basca è la più antica d’Europa: “Deriva dal Neolitico, risale a oltre 8’000 anni fa. Nelle tre province basche francesi la utilizza ancora un quarto della popolazione, nelle 4 province spagnole una buona metà del totale. L’idioma, con tutti i suoi dialetti, differisce molto sulla costa, terra di marinai, rispetto all’entroterra montano, dove la gente è più dura. Qui non c’è sostanziale differenza fra tradizione e attualità, molte librerie e addirittura alcune scuole privilegiano il basco con l’intento di mantenerlo vivo, unitamente alla sua cultura”, dice l’artista.

La sua è una vita da riscoprire ogni singolo giorno. Particolarmente illuminante, per Fabiano Bevilacqua, è la lezione del rebbe Nachman di Breslov: “Ne demande pas ton parcour a quelqu’un qui le connaît: tu risquerais de ne pas te perdre”. Perdersi per ritrovarsi, direbbe il filosofo: in questa stessa terra basca successe a Coco Chanel, che vi aprì il suo primo atelier, e a Pablo Picasso, sulle cui “Bagnanti”, dipinte nel 1918, veglia il faro di Biarritz, sentinella di un’epoca in cui Napoleone III fece costruire il vero simbolo della città, l’Hôtel du Palais, eretto a forma di “E” per offrirlo in dono all’imperatrice Eugenia.

“Siamo fatti di tutto. E ce lo portiamo sempre dietro” Nell’appartamento in Avenue de la République, appesa a un muro, c’è una vecchia targa: ‘Colorificio Beretta, Locarno’. “Fu aperto nel 1899 dal mio bisnonno Osvaldo. Il diavolo che vi si vede raffigurato è un ‘omaggio’ a Gli Anticlericali, di cui il mio avo fu il fondatore nel 1903. In bottega si facevano i colori con le ricette scritte a mano. Si prendevano i pigmenti, gli olii, c’erano le pulegge che giravano con i nastri di corame. Io, affascinato, osservavo. Poi aiutavo a versare a mano i colori nei contenitori di latta di diverse dimensioni, che venivano pesati sulla vecchia bilancia con i piombini, prima di venire chiusi con il martelletto ed etichettati. La qualità era eccezionale. E facevano anche la cera, con il padellone”.

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INCONTRI DI DAVIDE MARTINONI; FOTOGRAFIE © GIANMARIO TOGNI

Un libro coraggioso

Nessuna retorica, nessun pietismo.

Al suo esordio nella narrativa, Massimo Cecchini si misura con il tema della grave disabilità che irrompe in una normale coppia borghese, nella Roma degli anni Sessanta.

Senza tralasciare gli aspetti più insospettabili del quotidiano fisiologico di un bambino con forte andicap, l’autore ci accompagna nei meandri di una storia vera e solo in parte romanzata.

Già dall’incipit, Cecchini ci cala nella realtà senza giri di parole e senza addolcire la pillola: “Aveva gli occhi ciechi, la bocca sempre aperta, la saliva libera, il grido gutturale, la forza animale, la parola e il dolore incomprensibili, la purezza dei poveri di spirito”.

Il bambino è un romanzo che lascia il segno in chi legge: non è facile abbandonare la lettura, e paradossalmente non è nemmeno facile riprenderla.

La nascita e l’incidente

Pietro e Anna Bonaventura sono due ragazzi come tanti; lei viene dalla Calabria, lui romano, fa parte di una nota dinastia di avvocati. La nascita del loro primogenito cambierà totalmente il corso della loro vita. Angelo, poi detto sempre Angelino – anzi, per tutti sempre il Bambino –, nasce con un incidente imprevisto che lo condurrà a una drammatica e inguaribile disabilità. Angelo manifesterà in tutta la sua potenza le difficoltà di ogni tipo che il suo fisico malato mostrerà ai genitori, e a coloro che nel tempo si presteranno ad aiutarli in un’impresa che molti, nelle loro stesse famiglie, giudicheranno eroica da un lato, ma anche folle e dissennata dall’altro. Il Bambino calamita attorno a sé l’attenzione e la cura incessante di tutta la famiglia, anche perché le sue patologie, con il passare degli anni, si aggravano, rendendo necessario l’aiuto di un numero sempre maggiore di persone per la sua gestione. Così nella vita di Pietro, Anna e Angelo entrano una serie di personaggi, prime fra tutte due domestiche filippine, Nora e Roselyn, che accompagneranno i Bonaventura per gran parte della loro vita. L’altro protagonista del libri è Lorenzo, il giovane autista di cui Angelo ha bisogno quotidianamente.

La trappola del giudizio Questo è un romanzo sulla tenacia, sulla dedizione ma anche sull’insensatezza, e l’atteggiamento dell’autore, nato a Teramo nel 1961, appare volontariamente non giudicante: racconta, documenta, analizza, prova a spiegare e cerca di capire gli atteggiamenti di quanti circondano questa famiglia messa a una durissima prova, senza mai dare giudizi morali o moralistici. Si misura con una lingua potente, perché la storia che racconta lo richiede. Inoltre sa dare profondità psicologica ai personaggi e una notevole ricchezza di dettagli emotivi alle situazioni.

“A loro, perché nulla venga dimenticato” è la dedica che troviamo all’inizio del libro. Una frase in qualche modo ‘strana’ per una storia personale; appare piuttosto come un monito per non dimenticare un fatto storico rilevante, per ricordare un avvenimento dal quale si possa (e debba) trarre una lezione. E in effetti qualcosa che emerge dalla vicenda personale e diventa universale c’è, eccome. Come se Cecchini volesse dirci: “Non dobbiamo esser giudicanti”. Mai.

sabato 3 dicembre 2022 5 Ticino7 LETTURE DI SAMANTHA DRESTI INCLUSIONE ANDICAP TICINO Regala gioia aNatale: esaudi scii desideri deituoi cari la sciando alorolascelta! Così si av verera nnotut ti ides id eridiN atale: con la ca rta rega lo Migros of friundonoricc odipos sibilità .D is ponibili oraintut te le fili alie su mon doca rtereg alo- m.ch
Il bambino di Massimo Cecchini Neri Pozza (2022)

Diciamo la verità. Non tutti i bambini se lo sarebbero abbracciato. Seduta a metà sala in un cinema cittadino, nel dicembre del 1982 Laura aveva nove anni; si era trattenuta per tutto il film e poi, sul finale, aveva mollato gli ormeggi: “Mia mamma mi disse di non piangere, che un giorno sarebbe tornato da Elliott, oppure che Elliott sarebbe volato da lui con un’astronave. Io non dissi niente, continuai a guardare in basso, come tutte le altre volte in cui veniva inquadrato. Per Natale mi regalarono il pupazzetto, con il collo che si allungava: scoppiai in lacrime davanti all’albero di Natale. Io da E.T. ero terrorizzata…”.

Eventi e nessi causali Iniziare la commemorazione di E.T. l’extra-terrestre con l’incipit “Chi in fondo non ha amato l’extraterrestre rimasto intrappolato sulla terra?” significherebbe generalizzare. Rispettosi di tutte le diversità, e al netto di qualche esperienza traumatizzante, non è un azzardo dire che all’alieno del film di Steven Spielberg – uscito in lingua italiana nel dicembre di quarant’anni fa –sono legati i ricordi di noi umani che non abbiamo mai preso un’astronave (o almeno non che non abbiamo i milioni per farlo), noi terrestri che quando ci tagliamo con il coltellino svizzero possiamo pure puntare il dito sulla ferita per mezza giornata e non succede nulla (vale anche per i gerani appassiti). Per quelli col cuore di pietra che non avessero mai visto E.T., questo è ciò che vi siete persi...

‘Sinossi’

Giunto da non si sa dove per incasinare la vita di un bambino che già aveva abbastanza problemi di suo (i genitori divorziati, una piaga nel 1982, oggi un po’ meno), E.T. – occhi cerulei su faccino da anziano simpatico, busto da donna flaccida e trascurata –viene trovato dal piccolo Elliott in un campo di grano come Piero nella celebre canzone pacifista; in un lampo lampante, tra il terrestre e l’alieno nasce un’amicizia interplanetaria. Elliott e i suoi fratelli – Mike e Gertie – nascondono E.T. in casa, assecondando giorno dopo giorno il suo tentativo di rimettersi in contatto con il Comune di residenza extraterrestre; interfacciato con l’alieno, grazie a “una forza dentro che neanche io so come” (cit. Famoso Iole), Elliott diventa prima alcolista, poi animalista, e riesce persino a baciare la più bella della scuola; in seguito, come in tutti i film in cui ci sono dei bambini, arrivano gli stupidi adulti, qui sotto forma di Governo che E.T. lo vuole studiare. Elliott allora si carica l’amico verde nel cestino della sua bicicletta volante e vola via, dando così vita al logo della Amblin Productions (poi Entertainment). Il film si chiude là dov’era iniziato, nel bosco, da dove passerà l’ultima astronave di mezzanotte (lacrime, tante lacrime, benedette lacrime).

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CINEMA & COSTUME DI BEPPE DONADIO
portami via” L’alieno buono compie 40 anni “Come spieghi cos’è la scuola a un’intelligenza superiore?”
“Extraterrestre
(ELLIOTT)
GEORGE W. BUSH alle prese con uno scoop sugli alieni e la politica statunitense.

Il Vangelo secondo Spielberg C’è poco da fare gli spiritosi. E.T. l’extra-terrestre è la storia di tutte le storie, è l’incontro ravvicinatissimo del terzo tipo, nato dal personaggio immaginario creatosi dallo Steven Spielberg figlio di divorziati e finito nello script di Melissa Mathison (1950-2015), per diventare la storia di fantascienza più reale ed empatica con gli altri mondi possibili. Presentato in anteprima a Cannes nel maggio del 1982, il mese dopo era nelle sale americane, a sbalzare dalla vetta dei film campioni d’incasso Star Wars, restandovi – in vetta – ben undici anni. Nove nomination all’Oscar, ne vinse quattro. Uno alla musica di John Williams, fido accompagnatore delle visioni spielberghiane. Per qualcuno E.T., sceso in terra ad asciugarci le lacrime, è il Vangelo secondo Spielberg: “Una crocefissione da parte della scienza militare”, lo definisce il critico Andrew Nigels, e una “resurrezione per mano dell’amore e della fede”. Secondo il biografo del regista, Joseph McBride, per il poster del film la Universal Pictures si sarebbe rifatta alla Creazione di Adamo di Michelangelo. Tutta quest’aura fantascientifico-religiosa è smentita, almeno in parte, dallo stesso Spielberg. Dall’Enciclopedia digitale: “Se fossi andato da mia madre e le avessi detto ‘mamma, ho fatto un film ed è una parabola cristiana’, cosa credete che mi avrebbe risposto una che ha un ristorante Kosher a Los Angeles?”.

Paura eh?

Altre esperienze personali. Racconta Daniela, che all’epoca aveva undici anni: “Era bruttino, ma simpatico con quel fondoschiena da paperino”. Daniela di cognome fa Rambaldi e quando papà Carlo le sottopose la sua creazione – racconta nella bella intervista rilasciata a Francesco Gallo dell’Ansa – le chiese se facesse paura. “Poi arrivò anche il placet di Steven Spielberg”. Rambaldi figlia, nella fondazione dedicata al padre diretta dal fratello Victor, racconta che i mostri creati dall’illustre genitore tenevano lontani i suoi amichetti, spaventati da King Kong e Alien, in bella mostra nel suo studio, ma anche dal rischio di ritrovarsi una testa mozzata sul tavolo di casa. Un’altra delle difficoltà di Daniela stava nel dover rispondere alla domanda “che lavoro fa tuo padre?”, trovando un’alternativa più moderata a “fa i mostri”.

“Spielberg mi ha detto che voleva una cosa brutta ma innocente. Beh, per farlo brutto bastava mettere molte grinze sul volto. Farlo innocente era più difficile, perché poteva sembrare stupido. Poi un giorno ho guardato il mio gattino aleano, e nei suoi occhi ho visto proprio quell’innocenza che cercavo” (Carlo Rambaldi)

Nato in Emilia Romagna nel 1925, morto in Calabria nel 2012, Rambaldi ha vinto tre Oscar. Il primo per King Kong, film di John Guillermin del 1976 in cui la figura intera della bestia, alta dodici metri, è raramente inquadrata; gli si preferisce l’effettista Rick Baker (sette volte Oscar, colui che truccò Michael Jackson in Thriller) vestito da gorilla, e un braccio meccanico col quale quel romanticone di King afferra Jessica Lange e la porta a sé, innamorato perso di lei (chiamalo scemo). Rambaldi ritirerà una seconda statuetta per la creatura di Alien (1979), e la terza per l’extraterrestre di cui scriviamo.

L’alieno di legno

Geometra diplomato all’Accademia delle Belle arti di Bologna, Carlo Rambaldi debuttò nel cinema costruendo il drago Fafner nel film Sigfrido, tratto dall’opera di Richard Wagner. Lavorò per Mario Monicelli, Marco Ferreri, Pier Paolo Pasolini e Dario Argento. È suo, a questo proposito, l’inquietante bambolotto di Profondo rosso (1975), e così sarebbe stato il Pinocchio di legno, oggetto però di causa tra l’ideatore e la produzione. Stando alle parole di Rambaldi – se ne fa tramite il Dagospia non gossipparo, citando l’introduzione al Pinocchio di Giuliano Cenci – il burattino era uno dei suoi sogni; con l’interesse della Rai a farne una serie televisiva, Rambaldi ne produsse un prototipo a sue spese (oggetto che destò l’attenzione di Renato Guttuso, che voleva comprarselo); sfruttando un ritardo di consegna dei materiali per il loro funzionamento, i tre Pinocchi pronti per lo sceneggiato di Comencini (“Uno da mezzo primo piano che parlava e rideva, uno che correva e un altro addirittura che prendeva il martello e lo lanciava”, scrive il creatore) vennero fotografati in lungo e in largo dal cognato del regista, ingegnere meccanico che si fece dei Pinocchi tutti suoi, utilizzati per le riprese in luogo degli originali; da qui la causa per plagio, il blocco dello sceneggiato poco prima della messa in onda, il risarcimento milionario. La soddisfazione più grande per Rambaldi fu che il burattino plagiato – un mezzo sgorbio se messo a confronto con quello rambaldiano – funzionava a stento. Nella storia dell0 sceneggiato, il piccolo Andrea Balestri, il Pinocchio in carne e ossa, arriva solo a questo punto, per porre rimedio ai difetti di funzionamento di quello di legno.

“Chi fa il bello, può fare anche il brutto: non c’è alcuna differenza. Anzi, a volte creare il brutto è più complicato, perché la cosa si presta a tante possibilità. C’è il brutto spaventoso, quello simpatico, l’antipatico e via dicendo. Nel caso di E.T. serviva un personaggio diverso dal terrestre. L’ho potuto fare bruttino, allargandogli gli occhi, portandogli su il naso a patatina, ingrandendogli la bocca. In questo modo ci siamo allontanati dall’umano e dal bello” (Carlo Rambaldi)

Tornando a E.T. La storia dice che nessuno dei migliori effettisti di Hollywood seppe creare quell’essere tra il tenero e lo spaventoso; Spielberg congedò gli americani e volle con sé quell’eccellenza italiana già coinvolta per dare forma e vita, anni prima, agli alieni di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Creato in tre mesi al costo di 1,5 milioni di dollari, il pupazzo di E.T. consta, complessivamente, di quattro teste di cui una meccanizzata e una figura intera dentro la quale si celavano Tamara De Treaux e Pat Bilon, nani del mondo del cinema, più un 12enne senza gambe, Matthew De Meritt, nella scena in cui l’extraterrestre cade a terra. Gli occhi sono in vetro, così come deciso dalla produzione dopo averne commissionato lo studio ad apposito istituto. Che E.T. dovesse avere le sembianze di una specie di Benjamin Button in età avanzata, dunque un bambino-vecchio, è idea di Spielberg; quanto al resto, Rambaldi s’ispirò al proprio gatto himalayano per il volto, rifancendosi a figure del dipinto Donne del Delta. Ma guardato bene negli occhi, E.T. ha ancha qualcosa del suo creatore.

“Io sarò sempre qui…” E.T. uscì negli Stati Uniti nel giugno del 1982. Lo scorso maggio, presentando la versione Imax della pellicola al TCM Classic Film Festival, Steven Spielberg è tornato sul rapporto con il film e sull’influenza che esso ha avuto e continua ad avere sulla sua vita. Ha parlato della connessione speciale con il cast, e con Drew Barrymore in particolare. Più in generale, E.T. gli fece capire il significato di avere una famiglia: “Andavo di film in film, di script in script, non volevo avere figli perché la cosa non rientrava nell’equazione. Poi, durante le riprese, mi sono ritrovato a prendermi cura di Henry (Henry Thomas, Elliott nel film, ndr), di Mike (Robert McNaughton, che interpreta Michael, fratello di Elliott e Gertie, ndr), ma soprattutto di Drew (Barrymore, ndr), che all’epoca aveva solo 6 anni. Ho pensato che quella sarebbe potuta essere la mia vita un giorno, che sarei potuto essere padre. E un regista, di un film, è già di suo un padre o una madre. Ho pensato seriamente che la famiglia sarebba stata la mia grande casa di produzione”. Benché nessuno si chiami Elliott o Gertie o Mike ecc., da E.T. l’extra-terrestre in avanti Steven Spielberg ha fatto sette figli.

Amarcord per un alieno (e un edificio che non c’è più)

“Ognuno di noi, compreso me, ha abbastanza tempo ed esperienza sulle spalle per poter sapere che non si scappa da ciò che si è, dalla propria natura, dalla propria realtà, dalla verità. Anche i ticinesi, e io ne ho conosciuti tanti all’estero, lo sanno bene: in qualsiasi posto vada, un ticinese rimane ticinese nel cuore”. Il senso della canzone – l’impossibilità di sfuggire a se stessi –non corrisponde esattamente al senso di E.T., eppure l’ “Extraterrestre” di Eugenio Finardi, brano pubblicato nel 1978 sull’album Blitz, è l’alieno più celebre della canzone italiana. “E.T. è un film che mi piace molto, che mi fa ancora tenerezza”, dice Finardi, incontrato a proposito dello showcase RSI di lunedì allo Stelio Molo (vedi laRegione di ieri). “E poi ho dei ricordi personali”, perfettamente in tema con i ricordi di questa pagina: “Mio figlio aveva paura di E.T., lo guardava dal corridoio, con un occhio solo e la mano davanti all’altro. Avrà avuto tre-quattro anni”. Dice ancora il cantautore: “In ambiti di fantascienza ci sono film che forse ho amato di più, come Poltergeist, ma se vogliamo restare agli extraterrestri – anche per il senso, che si avvicina molto a quello della mia canzone – allora sopra tutti gli altri metto Incontri ravvicinati del Terzo Tipo”.

Mi pare fosse la fine dell’82. Nostra madre ci portò al cinema, a Biasca, immagino sull’onda del successo mediatico e di pubblico che E.T aveva raggiunto. Una storia di alieni che sbarcano sulla Terra, ma questa volta buoni, mica quelli malvagi di Welles o della fantascienza (quasi) horror de La Cosa di Carpenter... e, guarda il caso, siamo sempre nel 1982. A quale pubblico fosse diretto e se fosse necessario avere un’età minima non ricordo, di certo sono almeno un paio le cose che non ho dimenticato: i ragazzini sulle bellissime e futuristiche Bmx – vedi in basso; molti di noi pedalavano con bici tipo ‘Graziella’, ma opportunamente modificate e spogliate, senza parafanghi e fari per farle “un po’ da cross” –e quei terribili uomini in camice bianco che, saputo dell’arrivo di quel testone alieno, le autorità spediscono a casa di Elliott. Insomma, quegli scienziati mi fecero una gran paura e piansi pure; mia sorella, la più piccola, aveva già iniziato a versare lacrime con la prima comparsa dell’alieno, con ’sto collo che si allungava e quegli occhi, forse pure buoni e ispirati al gatto di Rambaldi, ma che di certo erano strani forte. Il mio inconscio terrore degli uomini mascherati di bianco credo venisse dalla visione (sconsiderata) che a casa avevamo fatto della serie per la tv I sopravvissuti (roba del 1975-1977; la vedeva solo chi in valle aveva “i canali”; agli altri toccava giusto l’allora TSI e poco altro), e soprattutto di quella sigla iniziale con tanto di musichetta sospesa, nella quale uno scienziato (appunto) occhialuto e con la mascherina chirurgica fa cadere una provetta con un virus maledetto. Ancora oggi quella roba mi inquieta assai, tanto per capirci, figurati quando di anni ne hai appena sei o sette. E di E.T. che mi ricordo ancora…? Quel pomeriggio a Biasca c’erano un sacco di ragazzini, la sala era bella piena e forse i pop corn non c’erano ancora, boh… Anni dopo, era il luglio del 2004, il Teatro Politeama, ormai, fatiscente fu demolito per fare posto a un grande magazzino (vedi foto in alto; il regista Victor J. Tognola lo racconta bene in uno dei suoi documentari). Sorto nel 1928, nei decenni ci fecero di tutto, lì dentro, dai veglioni di Capodanno alle disco-feste. Ma i ricordi mi riportano sempre quell’Extra Terrestre col dito che fa luce e il cuore in bella vista. Immortale.

sabato 3 dicembre 2022 7 Ticino7
‘Eugenio-telefono-casa’
DI GIANCARLO FORNASIER
“Beh, se tagliate le orecchie a un gatto aleano e spostate un po’ più su il naso vedrete molto di quella che è l’immagine di E.T.”
(CARLO RAMBALDI)
CARLO RAMBALDI in compagnia della sua creatura.

Orizzontali 1. La capitale di Nidwalden 5. Curvata, flessa 11. Località mesolcinese 12. Ca vi sulle navi 13. Antenato 14. È simile alla prugna 15. Iniziali dell’economista Toppi 16. Infuso bevibile 17. Turbati, traumatiz zati 18. Il re dei Francesi 19. Un attrezzo per bucare 21. Prive di accento 23. In ferma, menomata 25. Città olandese nota per un formaggio 26. Consigliava Otello 27. Istruire 29. Una grossa can dela 30. Il nome dello scrittore Martini 31. Un pappagallo 32. Località sul Ce resio 33. Prefisso che raddoppia 34. Articolo femminile 35. Località del Lo carnese 36. 199 romani 37. Coleottero 38. Figlio di Zeus ed Egina 39. Affollate, riempite 41. Un vaso panciuto 42. Giorno

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appena trascorso 43. Lo rispetta chi non ritarda 46. Il nomignolo del regista Mo retti 48. Una parte di Quinto 50. Nel rogo 51. Inerzia, mancanza di volontà 53. Raganelle 54. La moglie di Socrate 55. Antica marca d’auto 57. Stanno tra due virgole 58. Una Piazza romana.

CON TICINO7

18. Ha Rh per simbolo chimico 20. Gretta, spilorcia 22. Noia, fastidio 24. Indoeu ropeo 28. Le donne di Attila 29. Foschi, annebbiati 30. Messo sulla bilancia 32. Scuri di pelle 33. Mucchio di covoni 35. Pannelli di legno a più strati 36. Una parte di Faido 37. Sta a Meyrin (sigla) 38. Un profeta maggiore 40. Ronald at tore e presidente USA 41. Lago detto an che Cusio 44. Film di fantascienza del 1979 45. Cittadina del Lazio 47. Tram poliere 49. Tribù, gruppo 52. Ufficio Prevenzione Infortuni 55. No Comment 56. Iniziali della Veil (1927-2017). SENZA PAROLE © DORIANO SOLINAS

sabato 3 dicembre 2022 8 Ticino7
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Documentarelabreve e giganti di ghiaccio con c mi èparso un omaggio della lorobellezza. Anche re cosìimmobile ed ete bene quanto l’equilibrio sia effimero, sono destina miei occhi,lasciando solo di questa portentosa poet
ioni esistenza di questi curiosità scientifica o doveroso, degno e se ora tutto appa rn o, so fin troppo di queste sculture ate asvanire sotto i nei ricordi la traccia icadel ghiaccio.
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Verticali 1. Movimenti bruschi 2. Oste 3. Lo na sconde l’esca 4. Simbolo chimico del sodio 5. Collega Uri e Grigioni 6. Fio re che prende nome dall’arcobaleno 7. Popolazione, razza 8. Per l’appunto 9. Iniziali di Einstein 10. Medicinale con tro la nausea 12. Si sentono con le orec chie 14. Tappa durante il viaggio aereo 15. Radiogoniometro 17. Una corda fine © ceck 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 ORIZZONTALI 1 La capitale di Nidwalden VERTICALI 1 Movimenti bruschi

T come Ticino, Tè e Tisane

Un viaggio sensoriale grazie alle erbe officinali ticinesi

Ricetta

Da bambini la mamma ce la dava quando avevamo mal di pancia, da adulti spesso la prendiamo dopo aver esagerato col cibo o per rilassarci dopo una giornata di lavoro. In alcuni paesi è diventata una vera e propria tradizione, un rito. Stiamo parlando della tisana. Tisane e tè hanno infatti innumerevoli proprietà e benefici, dati dalle erbe officinali usate per realizzarli. Salvia per digerire, Lippia (o Verbena) per rilassarsi, Menta piperita per il mal di denti e Fiore di sambuco contro il raffreddore. Per gli occhi? Il tradizionale tè nero. Tutti con una propria funzione ed un metodo di utilizzo diverso; alcune possono essere impiegate anche in cucina! Come i fiori commestibili, gli estratti, gli sciroppi, i biscotti. Le erbe officinali sono fantastiche, ancora di più se nascono, crescono, e vengono raccolte nel nostro soleggiato Ticino. Ebbene sì, il nostro Cantone offre anche questo. Sono numerose le coltivazioni sul

Itinerario

territorio, molte seguono i principi dell’agricoltura biologica, dove la lavorazione avviene in gran parte a mano e coinvolge diversi produttori e fondazioni. Il microclima unico del Monte Verità, invece, permette alle piante del tè (Camellia sinensis) di prosperare. Dal 2005 una piccola piantagione si inserisce magnificamente nel parco del Monte Verità, dove il tè è diventato un elemento culturale; pensiamo per esempio alla Cerimonia del tè giapponese e al festival della raccolta del tè. Dalla raccolta delle erbe officinali ticinesi nascono numerose tisane e bevande fredde, ma anche prodotti un po’ particolari come la Kombucha (ottenuta dalla fermentazione del tè). Molti prodotti portano il sigillo di qualità Ticino regio.garantie, facilmente reperibili presso produttori e negozi della rete TICINO A TE, così come nella grande distribuzione. Ottime idee regalo!

Risotto al caprino e fiori edibili

Per 4 persone | 25 min. | facile

50 g cipolla tritata 50 g burro 400 g riso ticinese Loto

2 dl Merlot bianco del Ticino 1 l brodo di verdure 60 g burro

2 büscion di capra qb sale

qb fiori edibili qb pepe della Vallemaggia

Rosolare nel burro la cipolla tritata finemente, aggiungere il riso, farlo tostare, bagnare con il vino bianco. Lasciar evaporare e aggiungere a poco a poco il brodo bollente. Aggiustare di sale. Terminare la cottura e mantecare aggiungendo burro e formaggio. Impiattare con una spolverata di pepe della Vallemaggia e decorare con i fiori. A piacere aggiungere un filo di miele ticinese.

Attività

Locarno on Ice, Locarno

La passeggiata inizia dal paese di Arcegno, caratterizzato da un nucleo di case tradizionali ticinesi e stradine lastricate in pietra. Attorno, la natura è intatta e invitante, una vera oasi per rigenerarsi. In paese sono state rinvenute una necropoli romana e un’incisione su rupe, mentre nei boschi ulteriori massi incisi con le coppelle e pietre allineate ci parlano del culto della natura di Celti e altri popoli. Il confine sotterraneo fra la placca continentale europea e quella africana, chiamato Linea Insubrica, attraversa direttamente la zona del Monte Verità e di Arcegno. Questo fenomeno ha portato a formazioni

geologiche interessanti e a volte a un magnetismo più elevato. L’erosione millenaria dei ghiacciai ha lasciato belle colline levigate e preziose zone paludose. Le colline come il Barbescio offrono una piacevole vista sul Lago Maggiore e sono dei punti energetici. La silenziosa grotta dei Pagani ricorda un luogo di culto preistorico. Si dice che Hermann Hesse abbia trascorso qualche giorno di meditazione qui con Gusto Gräser, cofondatore del Monte Verità.

dal 18 novembre 2022 all’8 gennaio 2023

Natale in Città, Bellinzona dal 24 novembre 2022 al 8 gennaio 2023

Natale in Piazza, Lugano dal 1. dicembre 2022 all’8 gennaio 2023

Vini in Villa, Lugano dal 2 dicembre 2022 al 4 dicembre 2022

Mercato di Natale, Locarno 8 dicembre 2022

Piazza la Fondue, Lugano 11 dicembre 2022

Antiquariato e specialità gastronomiche, Mendrisio 11 dicembre 2022

La Tavolata di AsconaA base di raclette, Ascona 7 gennaio 2023

sabato 3 dicembre 2022 9 Ticino7
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‘ THRILLER’

40 anni di un album killer

Oltre il ‘muro’

Michael Jackson era reduce dalla delusione del disco precedente, Off The Wall, che – seppur arrivato al n. 1 – non era stato subito apprezzato dalla critica e aveva conquistato un solo Grammy come Miglior interprete soul, mentre in cuor suo Michael si aspettava di ricevere quello di Migliore album dell’anno. Si sentiva sottovalutato dallo star system musicale, visto che la rivista Rolling Stone aveva rifiutato di realizzare una storia di copertina su di lui. “Mi è stato detto più e più volte che i neri sulla copertina delle riviste non vendono copie. Aspettate, un giorno quelle riviste mi pregheranno per un colloquio. Forse gliene darò uno, o forse no”.

La delusione, unita a quel senso di solitudine che avanzava interiormente inesorabile, produssero la tensione necessaria per affrontare con determinazione l’inizio della nuova avventura discografica, in grado di rappresentare il riscatto definitivo. “Ero deluso dagli album con una hit e il resto semplici lati B”, dichiarò. “Perché invece non realizzarne uno con tutte hit? Perché non avere tutti singoli bellissimi che la gente avrebbe comprato volentieri anche da soli? Questo era il mio scopo quando iniziammo a lavorare a questo disco”.

Un lupo mannaro americano nel pop

Per realizzare questo nuovo progetto, Michael Jackson si affidò nuovamente a Quincy Jones, produttore del disco precedente. Il comune intento era quello di conquistare anche il pubblico bianco del pop e del rock, ancora molto distante dal nuovo groove afroamericano. Intento centrato in pieno: Thriller è diventato un fenomeno culturale e multimediale globale sia per il XX che per il XXI secolo, infrangendo le barriere musicali e modificando per sempre le frontiere del pop, diventando il disco che per la prima volta affidava ai video le sue sorti. Complici un budget fino ad allora impensabile e un regista visionario come John Landis.

Un video musicale di quattordici minuti era al tempo inimmaginabile, ma ha fatto di Thriller il capolavoro della nuova era dei videoclip. La canzone venne scritta da Rod Temperton (già autore di Rock With You e Off The Wall) dopo un giro notturno in taxi in una Los Angeles, a quell’ora, surreale; l’atmosfera notturna è lo sfondo dell’incontro tra i due protagonisti, con la trasformazione di Michael Jackson in lupo mannaro, e la trasformazione di tutto ciò che si muove intorno a lui. Coreografia strepitosa con in sottofondo la voce terrorifica di Vincent Price e la regia unica di Landis, per il quale Michael Jackson stravedeva. Per lui e per il suo film di culto, Un lupo mannaro americano a Londra, uscito l’anno prima.

Black or white

L’apertura di Thriller è affidata a “Wanna Be Startin’ Something”, che Michael Jackson e Quincy Jones conservavano nel cassetto dall’album precedente. Registrata nel 1978, venne ripresa quattro anni dopo con un arrangiamento completamente diverso. È il trionfo della nuova elettronica, con il poderoso contributo di una sezione fiati forte e precisa, un carnevale sonoro di percussioni e vitalità che cattura perfettamente la diversità, la fusione e la velocità di una nuova era. Ecco la nuova matrice del funky afroamericano che non dimentica le origini, citando il sassofonista camerunense Manu Dibango e il suo “Mama-say mama-sah ma-ma-coo-sah” dal brano “Soul Makossa”, il primo mattone del Funky. All’interno dell’album, Michael Jackson desiderava avere almeno un duetto e per “The Girl Is Mine”, nata da un’intuizione di Quincy Jones, volle a fianco a sé Paul McCartney con il quale aveva già inciso alcuni pezzi, compresa “Say, Say, Say”. Alcuni critici storsero la bocca, definendola troppo leggera, ma “The Girl Is Mine” spazzò via i pregiudizi di radio e classifiche americane, che ancora facevano grande distinzione fra razze: le radio e le classifiche del rock erano dominate da artisti bianchi, mentre quelle del rhythm’n’blues da afroamericani. Con questa canzone, il primo duetto nella storia della musica in cui un uomo di colore e un uomo bianco si contendono la stessa ragazza, radio e classifiche dovettero cancellare le vecchie categorie.

Rock nero, o dance metal

La seconda facciata di Thriller si apre con una tripletta micidiale. A iniziare da “Beat It”, il brano più rock di tutta la discografia di Michael Jackson. “Volevo suonare il tipo di canzone rock che mi avrebbe fatto venire voglia di uscire subito di casa per andarla a comprare, ma anche qualcosa di totalmente diverso dal tipo di musica rock che ascoltavo alla radio”. A dare quel suono forte e violento di chitarra fu chiamato Eddie Van Halen, che mise tanta di quella foga nell’assolo da mandare in tilt l’amplificazione di sala. “Beat It” è il primo crossover discografico, tanto che qualcuno l’ha definito “rock nero” e qualcun altro “dance metal”. Eddie Van Halen, gratificato dall’invito così prestigioso di Michael Jackson e Quincy Jones, non volle neanche un dollaro per la sua prestazione. Un aspetto che caratterizzò tutta la lavorazione di Thriller fu che Michael Jackson volle incidere tutte le parti cantate completamente al buio, così da essere sempre al massimo della concentrazione. Fu così soprattutto per “Billie Jean”, storia – vera – di una ragazza ossessionata dall’aspettare un figlio proprio da Michael Jackson, una stalker che per lungo tempo non gli rese la vita facile, condannata poi per molestie. Musicalmente, in “Billie Jean” è il giro di basso a far muovere

Impossibile non celebrare i quarant’anni dell’album più venduto della storia. Le ultime statistiche dicono di una cifra superiore ai 120 milioni di copie vendute tra vinili, musicassette e compact-disc. Numeri destinati a moltiplicazioni esponenziali con le visualizzazioni di YouTube e le playlist di Spotify. Se è vero che dietro ogni disco c’è una storia, dietro ‘Thriller’ gli intrecci di relazioni, avvenimenti e aneddoti sono infiniti. Michael Jackson voleva fosse il primo album al mondo ad avere tutti i pezzi in grado di raggiungere, anche come singoli, la vetta di ogni classifica. ‘Thriller’, un disco in cui ogni pezzo fosse un “killer”…

tutto il pezzo, mentre nel video trionfa l’abilità coreografica dell’artista, complice il moonwalk, il passo di danza da lui inventato, quella specie di camminata all’indietro, al rallentatore, che sembra portata in totale assenza di gravità. Un passo che incuriosì Fred Astaire, che durante le riprese gli chiese d’insegnarglielo, dicendogli: “Ti muovi in modo divino, sei un ballerino infuriato, proprio come me”.

L’umana natura

Quel ‘tris d’assi’ venne completato da “Human Nature”, il pezzo sospeso nel tempo, che venne inserito all’ultimo: Quincy Jones chiese ai Toto, che avevano suonato in tutto il disco, se avessero qualche canzone per completare l’album; il tastierista Steve Porcaro propose questo brano, scritto un giorno in cui sua figlia Heather era tornata da scuola in lacrime perché un suo compagno l’aveva spinta giù dallo scivolo. Papà Steve le disse: “Non preoccuparti, fa parte della natura umana”. Michael Jackson restò folgorato dalla leggerezza della canzone e mentre i Toto la stavano incidendo, Michael disse loro di suonare liberamente. David Paich, pianista e cantante dei Toto, ha poi dichiarato: “Michael ci coinvolse molto nel progetto, ed era un perfezionista. Stava sempre in sala con noi, seduto da una parte, dicendo: ‘Io voglio solo che voi abbiate la più completa libertà di quello che fate. Immaginate di essere Michelangelo mentre dipinge la Cappella Sistina. Non sentite limiti’”.

sabato 3 dicembre 2022 10 Ticino7
DI TUTTO UN POP DI SERGIO MANCINELLI
Leggi & ascolta

Dischi dal retrobottega

Ci fu un tempo, nei tardi anni Novanta, in cui il rock italiano, scevro da capezzoli stellati e stratificazioni di rimmel intorno agli occhi e ancora riscaldato dalle ultime braci del grunge, produceva lavori di indubbia qualità.

Come Rosemary Plexiglas degli Scisma, il sestetto guidato da Paolo Benvegnù, una sorta di guru dell’indie italiano, che nel 1997 provava a tracciare un solco profondo, destinato però, ahinoi, a restare ben poco seminato in futuro, con il successivo “Armstrong” non agli stessi livelli. Il maestoso attacco orchestrale della title-track che apre l’album evoca quello che già da un paio d’anni risuona dall’altra parte dell’oceano (“Mellon Collie”, is that you?). Ma qui l’atmosfera è più trasognata che malinconica, sorretta dalla voce eterea ma mai stucchevole di Sara Manzo contrappuntata da quella di Benvegnù e punteggiata dal pianoforte che stendono un tappeto morbido sotto lo sferragliare delle chitarre. Chitarre che diventano spesso stridenti assecondate da ritmiche non lineari e cambi di tempo come da tradizione del miglior alternative e noise rock. È un sali e scendi di archi e pianoforte, distorsioni ed echi, accelerazioni nervose e distensioni oniriche, riff minimali ma incisivi. Sfuriate ‘rumorose’ come “Completo”, “Centro”, “Negligenza”, “Loop 43” si alternano a digressioni a tratti vagamente psichedeliche, con le atmosfere sospese di “Psw”, “Svecchiamento” e “Nuovo”, per citarne alcune. In mezzo, piccole perle come “L’equilibrio”, che ripropone il gioco d’intrecci fra chitarre e pianoforte e le due voci: un brano, a giudizio di chi scrive, decisamente sottovalutato. E i testi? Poetici, complessi, a tratti surreali o quasi nonsense ma mai fini a sé stessi o manieristici. Perfetta dimostrazione di come si possa fare del gran rock senza dover per forza mettere in mezzo ansie esistenzialistiche o, peggio, un “ribellismo” di facciata a base di frasi fatte e slogan triti e ritriti per dimostraredi essere veri rockettari. Un album che, a distanza di 25 anni, si direbbe, insomma, invecchiato benissimo. Resta solo un rimpianto per il prematuro scioglimento di una band che avrebbe meritato sicuramente un posto migliore nella scena italiana.

Suoni & rumori

Per la gioia e le orecchie di coloro per i quali il temine ‘Heads’ non è solo l’abbreviazione dei Talking Heads di David Byrne (gran bel gruppo, si sa), lo scorso 9 settembre è stato ripubblicato uno dei dischi più importanti di questi ragazzotti di Bristol (ma qui siamo in Inghilterra). Un box set – tiratura di sole mille copie – che contiene il doppio album apparso in origine nel 2002 (rimasterizzato), altri due vinili con Peel Session, versioni demo e tracce sparse (oltre a un bel librettone) di un gruppo che, sin dal suo esordio, ha sempre amato pubblicare 7, 10 e 12 pollici a tirature limitate, originali nell’approccio e dalla grafica provocatoria al punto giusto. Come la presenza nel 45 giri Quad (1994, 500 copie; quello con SuperLorna in copertina...) di una confezione di cartine; o il seme di marijuana in una versione speciale di Coogan’s Bluff (7”; 1995). Terzo lavoro esteso della band, alla sua apparizione Under Sided fece storcere il naso ad alcuni fan, ma nel tempo si rivelerà un gemma ipnotica, acida e sfaccettata. Come suonano i The Heads? Siamo nella prima metà degli Ottanta e in Gran Bretagna esplodono almeno un paio di sottoculture legate alla psichedelia e al garage rock degli anni ’60/’70 (dai Greatful Dead, passando per Stooges, Steppenwolf, Doors e MC5). In questa prima ondata ritroviamo i seminali Spacemen 3 e i Loop, oltre ai “padri” di tutti gli adepti del wall of sound post Velvet, i primi The Jesus & Mary Chain. I gruppo più pop daranno vita al movimento shoegazer (molti poi confluiti nella Creation Records di Alan McGhee; Primal Scream, My Bloody Valentine, Ride ecc.). Quelli devoti alle chitarre pesanti si cimenteranno in una lettura ‘hard’, sia del blues americano sia bevendo alla fonte dei Pink Floyd di Syd Barrett e dei tedeschi Can. I The Heads, attivi sin dal 1990, troveranno posto in questo secondo filone, il meno commerciale: il primo lavoro esteso, Relaxing With... (1996) e il seguente Everybody Knows We Got Nowhere (2000) prepareranno il terreno a un percorso artistico costruito su chitarre infuocate, wah wah senza un domani, lunghe sessioni e ritmiche telluriche. Roba per menti ‘aperte’, cultori delle distorsioni e timpani rodati.

I miei migliori cento

Nella mia lista dei cento migliori dischi da ascoltare dall’inizio alla fine ho volutamente evitato Best Of perché sarebbe l’equivalente di barare; e il Best Of è il tipo di cosa che alla fine ha distrutto la musica come la conoscevamo un tempo, quando gli artisti sono diventati sempre più consapevoli che realizzare un GRANDE album con GRANDI canzoni dall’inizio alla fine era un duro lavoro che richiedeva ispirazione, piuttosto che produrre alcuni ‘singoli di successo’ da riconfezionare poi nella migliore delle compilation. Lungo la strada, alcuni dischi sono da considerarsi l’equivalente di album ‘Best Of’ e Slowhand di Eric Clapton del 1977 si trova in cima a questa lista, con hit dopo hit, brani senza tempo, tutti suonati con quello stile non frettoloso che probabilmente ha portato Giorgio Gomelsky (il manager degli Yardbirds) a dare a Eric Clapton il soprannome di ‘slowhand’ nel lontano 1964. Il disco inizia con una versione di “Cocaine” di J.J. Cale e da lì non si guarda più indietro, con “Wonderful Tonight”, “Lay Down Sally”, “Next Time You See Her” e “We’re All The Way” a concludere uno dei più grandi lati A del rock. Il lato B non è di minore sostanza, e per molti di noi che siamo cresciuti con la ‘prima’ versione di Clapton, segna l’ultimo lato in cui le sue corde vocali intrise di whisky e la chitarra blues sporca suonano così, per non suonare mai più. Il duetto di “The Core” con Marcella (Marcy Levy) è il classico suono fumoso da bar del mercoledì sera di Clapton, che conduce alla sua cover di “May You Never” di John Martyn, aprendo una finestra sulla sua anima tormentata. Ci sono dischi di Clapton più complessi? Certo. Ci sono suoi dischi più tecnici e melodici? Di sicuro, ma NESSUNO offre un piacere d’ascolto senza tempo da cima a fondo come Slowhand, un album per tutte le età, stagioni, stati d’animo.

Un disco che è rimasto fermo nella mia playlist definitiva negli ultimi 40 e più anni.

Figli delle stelle (vintage edition)

“Non ho mai avuto bisogno di vestirmi in un modo o in un altro per cantare quello che scrivo”. È tra i passaggi più elementari e significativi dell’intervista di Oprah Winfrey a James Taylor nei giorni di American Standard, album da Grammy uscito nel 2020.

L’aspetto estetico non vincolante del singer-songwriter statunitense, noto al grande pubblico per “You’ve Got A Friend” (che però è di Carole King), fa un po’ il pari con il fatto che dall’album eponimo del 1968 edito dalla Apple Records dei Beatles, fino ai giorni nostri, James Taylor suona esattamente lo stesso. È la sua grandezza. Ma Hourglass, album di 25 anni fa, suona un po’ più James Taylor degli altri.

“I remember Richard Nixon back in ’74” Così come American Standard, Hourglass è vincitore di Grammy, uno per il Miglior album pop vocale e uno per la miglior produzione (a Frank Filipetti). Ma forse più di altri è intimo e personale. In “Jump Up Behind Me” (con Sting), è raccontato il padre salvifico che tirò fuori il giovane James dagli eccessi dell’era Original Flying Machine, sua prima band; “Enough To Be On Your Way” (col violoncello di Yo-Yo Ma) parla dell’alcolismo del fratello Alex. C’è “Boatman”, scritta insieme al fratello Livingstone, c’è “Another Day”, una di quelle cose che gli autori per anni non riescono a chiudere, ma poi arriva ed è perfetta. E poi c’è Richard Nixon: “Line ’Em Up” (più o meno “Metteteli tutti in fila”), dalla rallentatissima divisione ritmica sudamericana, è il nostalgico compiacimento per il Richard Nixon fresco di dimissioni, che nel 1974, sulla porta della Casa Bianca – “Una lacrimuccia dal suo occhietto sfuggente” – saluta il suo staff allineato e si toglie dalle scatole (eufemismo).

Tempo

Il solismo, in Hourglass è garantito: Branford Marsalis nell’ecologica “Gaia” e nel sei ottavi “Up From Your Life”; Michael Brecker nella ritmica “Ananas”; Stevie Wonder all’armonica in “Little More Time With You”, resoconto dei tempi delle dipendenze (cocaina, metadone, alcol e tabacco). E la brava Shawn Colvin, singer-songwriter anch’essa, insieme allo zio James in “Yellow and Rose”. Hourglass (ovvero clessidra; mai titolo avrebbe avuto più senso) è anche un album di arrivi e dolorose partenze: alle tastiere, Clifford Carter ha già preso il posto del defunto Don Grolnick; il batterista Carlos Vega, tra i più importanti session men, se ne sarebbe andato di lì a poco, sparandosi un colpo di pistola in testa. Solo Steve Gadd, nell’odierna band di James Taylor, di Vega può riprodurre l’essere ‘indietro’, la virtù di tutti coloro che, in musica, tentano di fermare il tempo e, come in questo disco, ci riescono.

sabato 3 dicembre 2022 11 Ticino7
Scisma Rosemary Plexiglas (1997)
DI MARCO NARZISI
James Taylor Hourglass (1997) Ascolta “L’equilibrio” The Heads Under Sided (2002/2022) DI BEPPE DONADIO DI ALESSANDRO ‘TONDO’ BASSANINI Eric Clapton Slowhand (1977)
Ascolta “Line ’Em Up”
MUSICA
MILANO, TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI, 28 ottobre 2022 (fotografia © laRegione)
sabato 3 dicembre 2022 12 Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE

Una piastra è vero amore?

Insieme al dress code per la cena aziendale, quello del regalo ai partner è tradizionalmente uno dei temi più dibattuti all’interno dei nostri open space. La sosta alla macchinetta del caffè a metà mattina non è più minimamente sufficiente a risolvere i dubbi di chi si arrovella tra il regalo esperienziale, quello utile e il bisogno insopprimibile di avere qualcosa da incartare. Spesso l’ufficio è tutt’altro che risolutivo. Il malcapitato che aveva ipotizzato l’acquisto di una piastra si è trovato in mezzo a un fuoco di fila di opinioni contrastanti. Da un lato il marketing assolutamente favorevole alla spesa, purché di un determinato marchio e purché di quel marchio si scegliesse l’articolo più costoso. Neanche il tempo di inviare al malcapitato il link per acquistare la piastra platinum edition in pratica confezione regalo che si è alzata l’opposizione di risorse umane e team legale. E giù accuse contro il regalo utile, troppo semplice e per nulla coinvolgente. Nello spazio di cinque minuti le alternative proposte andavano dal corso di cucina al biglietto del teatro, dal weekend nelle Langhe

1899

Mistero in alto mare

all’incontro con lo scrittore preferito. Nello spazio di cinque secondi il marketing faceva sentire forte e chiara la sua voce contro il regalo esperienziale, l’evento e tutto ciò che questo comporta: biglietti che rimandano a esperienze che finiranno per non venir fatte mai, necessità di organizzazione, totale assenza di un oggetto materiale su cui sfogare le proprie frustrazioni o catalizzare la propria gioia, niente da criticare, niente da cambiare dopo le feste.

Il dibattito è appena cominciato quando si fa sentire l’ufficio acquisti, che butta lì bundle (“del resto, la piastra piacerebbe molto anche a mia figlia”) e la possibilità di uno sconto cumulativo. Nemmeno il tempo di verificare l’ipotesi sconto comitiva che finiamo all’eterno dibattito sul Kindle. Lei legge molto, sarebbe perfetto. Sì, ma ama il profumo della carta.

Ma chi l’ha detto che il Kindle debba soppiantare la carta, però vuoi mettere portarsi Guerra e Pace in una baguette di Fendi? Il marketing sente Fendi e salta su. Dal fondo dell’open space si risveglia il reparto amministrazione decantando la bontà del pagamento a rate. A mezzogiorno

ALTRI SCHERMI

IL SOGNO AMERICANO

1899, una nave si dirige verso ovest lasciandosi alle spalle il Vecchio Continente. I passeggeri, di diverso ceto sociale e provenienti da varie nazioni, hanno in comune speranze e sogni per il loro futuro. In alto mare la traversata subisce una svolta imprevista: una strana chiamata di soccorso sembra giungere da una nave che si credeva affondata da quattro mesi. Il capitano, assieme a un gruppetto scelto, raggiunge con una scialuppa la nave. Ciò che troveranno a bordo trasformerà il loro viaggio in un terrificante incubo.

PER MENTI ANALITICHE

Il nuovo mistery in otto parti, targato Netflix, si dipana davanti allo spettatore come un puzzle allettante. Tanto da aver scalato e raggiunto, in pochi giorni dal suo debutto, le prime posizioni nella classifica “dei più visti” sulla piattaforma. 1899 è nata dalla stessa mente dei creatori di Dark, la serie tedesca dai toni cupi e intriganti che dalla sua comparsa, su Netflix nel 2017, ha visto un numero sempre crescente di scritti e video che tentano di spiegarne la trama complessa, gli intrecci e anche il finale.

UNA BABELE MARINA

SOPRA LA PANCA

La stagione del foliage di solito finisce in ottobre. Quest’anno invece anche a novembre inoltrato capita di cogliere un lampo giallo nel fondovalle, un muto dialogo fra tonalità di rosso lungo un viale, variazioni d’oro, un segno arancione sullo sfondo di un parcheggio. La parola “foliage”, che di solito si pronuncia alla francese (forse perché ha un suono più dolce), proviene dall’inglese: fall è il nome dell’autunno negli Stati Uniti e in Canada. I francesi hanno anche il termine feuillage, mentre in italiano è meglio evitare “defoliazione”. Parliamo di foliage, dunque, e facciamolo a pochi passi dal torrente Guasta, dove quello che sarebbe un paesaggio livido e grigio viene ravvivato da un’ultima resistenza di colori. Il filosofo Duccio Demetrio invita a immaginare dietro questa gloria tardiva “la primavera che cova sotto le foglie”, meditando sul fatto che “tutto quanto ritornerà non sarà mai uguale a prima. Né una foglia né un fiore saranno identici a quelli che li hanno preceduti e seguiranno” (D. Demetrio, Foliage, Raffaello Cortina Editore).

In 1899 il transatlantico che sta solcando i mari verso l’America rappresenta una vera e propria babele linguistica. Fin dalle prime classi e poi giù fino agli infernali antri delle caldaie alimentate a carbone, convivono donne e uomini che parlano svariati idiomi: inglese, tedesco, spagnolo, francese, polacco, danese, portoghese e persino cantonese. A questo proposito l’autrice Jantje Friese ha dichiarato: “Spero che gli spettatori apprezzino le molte lingue diverse. Il cocktail di culture è unico e molto stimolante”.

IL CAPITANO

L’attore tedesco Andreas Pietschmann veste i panni del capitano Eyk Larsen: deciso, di poche parole e con molti segreti. Già in Dark aveva un ruolo da protagonista e sa bene come affrontare il lavoro della coppia di autori. “Ovviamente, ogni volta che leggi una sceneggiatura di Jantje

Friese e Baran Bo Odar, ti prendi davvero il tuo tempo, ti siedi, accendi una candela e ne rimani sopraffatto”, ha rivelato. Aggiungendo: “Ho letto tutta la notte, non riuscivo a fermarmi e non c’erano dubbi, volevo farne parte!”.

sabato 3 dicembre 2022 13 Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO Coordinate: 2’721’734.4; 1’115’601.0 Comodità: ★★☆☆☆ Vista: ★★☆☆☆ Ideale per… afferrare gli ultimi colori. Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direttore Beppe Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione, redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch • laregione.ch Servizio abbonamenti tel. 091 821 11 86 • info@laregione.ch
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I SUONI DI QUESTA PANCHINA SU ANDREAFAZIOLI.CH/BLOG IN VIA FOSSATO
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DI ALBA REGUZZI FUOG TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI non abbiamo ancora risolto nulla. Ma ci domandiamo cosa sarebbero i regali di Natale senza il dibattito dell’open space E come facevamo gli anni scorsi in smart working?

RSI EVENTI

La Sera della Prima Boris Godunov Showcase di Eugenio Finardi

“Euphonia suite” è l’ultimo, sorprendente e incantevole progetto artistico di Eugenio Finardi che sarà al centro del nuovo Showcase RSI

Sgombriamo il campo da un possibile equivoco: “Euphonia suite” non è una mera raccolta di molte delle perle Eugenio Finardi ha disseminato sull’arco di una carriera importan te, longeva e di successo. Non è neppure il classico “best of” pubblicato per celebrare i propri 70 anni!

Ha detto l’autore: “Come la memoria è fatta di singole immagini o eventi che evocano una narrazione, così le canzoni ci riportano al momento del loro primo ascolto e alle emozioni che ci avevano evo cato. Ho pensato che legando le canzoni in una tela che si svolge come un antico papiro e ci avvolge come un mantello, saremmo riusciti a abbassare un poco il volume della razionalità per sottolineare l’espe rienza emozionale”.

Il nuovo progetto offre 17 brani che, proprio come in una su ite, si fondono l’uno nell’altro senza soluzione di continuità generando idealmente un solo unico brano; che facendo fede proprio al titolo del disco è “eufonico”, ovvero regala un piace vole incontro tra suoni, tra la musica e le parole. E che musica, e che parole!

Alcune delle pagine più emozionanti e significative della sua e della nostra storia - “Voglio”, “Soweto”, “La radio”, “Diesel” ed “Extraterrestre” ad esempio - vivono di nuova luce, emozionando, grazie al virtuosismo poetico musicale di Mirko Signorile (pia noforte) e Raffaele Casarano (sassofono).

Ed è una vera perla questa suite che annovera due splendidi omaggi a Franco Battiato e Ivano Fossati

Conduce Gian Luca Verga

#ShowcaseRSI

Lunedì 5 dicembre, dalle 20.00 all’Auditorio Stelio Molo di Lugano-Besso

Prenota il tuo posto su rsi.ch/eventi

Fiabe sotto le stelle, che successone!

Grande successo per i tre appuntamenti - le iscrizioni sono già esaurite - dedicati a bam bine e bambini dai 6 ai 10 anni organizzati mercoledì 30 novembre alle 13.30, mercole dì 14 dicembre sempre alle 13.30 e sabato 17 dicembre in mattinata: un evento organiz zato dal portale RSI Kids e in collaborazione con RSI Sport intitolato Fiabe sotto le stelle

Ospitato nella magica atmosfera dello Studio di n’DOHA nem a Comano - il sorprendente scenario allestito da RSI Sport per i Mondiali di calcio 2022 e animato ogni sera da Andrea Mangia, Serena Bergomi e i loro ospiti - il suc cesso di Fiabe sotto le stelle fa il paio con un’al tra iniziativa lanciata da RSI Kids, Un mondo di figure, un progetto prodotto da Alessandra Bonzi con il settore Fiction, e presentato negli scorsi mesi nei teatri e nelle sale di Acqua rossa, Osogna, Airolo e Aurigeno.

Grazie alla preziosa collaborazione con il DFA di Locarno e l’Ispettorato scolastico Bellinzo nese e Tre Valli, quattro delle dieci storie sulla geometria sono diventate uno spettacolo inte rattivo che, in soli quattro giorni, hanno fatto cantare, ballare, divertire e imparare ben 1200 bambini e i loro docenti!

Torna il tradizionale appuntamento RSI da non perdere per gli appassionati della musica lirica.

La diretta scaligera che inaugura la sta gione d’opera 2022-2023 del Teatro alla Scala di Milano sarà in programma mer coledì 7 dicembre dalle 17.45, su LA 2 e Rete Due.

Sono risultate subito esaurite su rsi.ch/ eventi le due serate organizzate al PalaCi nema di Locarno e al LUX art house di Mas sagno.

In questa stagione l’opera presentata al tempio scaligero è il Boris Godunov, dram ma musicale popolare in un prologo e tre atti (versione 1869) dal libretto di Modeste Petrovic Musorgskij, con l’Orchestra e Coro del Teatro e la direzione di Riccardo Chail ly. L’evento RSI nasce in collaborazione con Rai Com e vede per la RSI la produzione di Christian Gilardi

Sia in TV che su Rete Due, Davide Fersini e Giovanni Conti si collegheranno con Mila no e, in compagnia dei loro ospiti in studio, vivranno insieme al pubblico l’emozione di questa grande serata.

Un museo tutto per sé

Incontro con Melania G. Mazzucco

Melania G. Mazzucco dedica il suo ul timo libro - Self-portrait - Il museo del mondo delle donne appena uscito per Einaudi - a 36 artiste che lottando hanno saputo rivendicare il diritto di realizzarsi nell’arte.

Il libro nasce da un progetto sviluppato con Rete Due per il magazine di arti visive Voci dipinte Donna s-oggetto, in cui settimana dopo settimana Melania Mazzucco ha con dotto le ascoltatrici e gli ascoltatori in un particolarissimo viaggio nella vita femmi nile.

Il libro e la colta lettura della scrittrice, in cui si intrecciano il piano sociale e quello storico, saranno al centro della serata aper ta al pubblico in programma il 12 dicembre allo Studio 2. Una serata che offrirà scorci sulla vita di artiste straordinarie: da Arte misia Gentileschi a Plautilla Briccia (“l’ar chitettrice” protagonista del suo ultimo ro

manzo), da Frida Kahlo a Georgia O’Keeffe Alla fine dell’evento ci sarà un momento di firmacopie: un’occasione per acquistare il li bro, farselo autografare ed incontrare l’au trice. Conducono Monica Bonetti e Sandra Sain Entrata gratuita con prenotazione ob bligatoria fino ad esaurimento posti su rsi. ch/eventi. L’incontro sarà trasmesso anche su rsi.ch/livestreaming. Al termine dell’in contro sarà offerto un rinfresco.

Lunedì 12 dicembre, alle 18.30, Studio 2 RSI a Lugano-Besso

sabato 3 dicembre 2022 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 4.12 al 10.12 14
Mercoledì 7 dicembre alle 17.45 su LA 2 e Rete Due

La tentazione

di esistere

Grande appuntamento in prima serata e in prima TV con il cinema di casa nostra

“La tentazione di esistere” è il secondo lungometraggio del regista luganese Fabio Pellegrinelli (dopo “L’ombra del figlio” del 2018), coadiuvato nella realizzazione della sceneggiatura da Marco Pagani e Andrea Fazioli

Il film, girato on the road tra nord e sud del Ticino, principalmente nel Luganese e nel Mendrisiotto, è stato coprodotto da Rough Cat e RSI Radiotelevisione svizzera, con il sostegno della Ticino Film Commission.

Il cast è composto da importanti attori quali Paolo Sassanelli, Massimo Rigo, Euridice Axen, Irene Casagrande e Luca Lazza reschi. Al loro fianco, un cospicuo numero di attori svizzeri e ti cinesi tra cui Christoph Gaugler, Teco Celio, Tatiana Winteler, Massimiliano Zampetti e Jasmin Mattei

La trama

Elvezio Zoppi, insegnante fresco di pensione assillato da mille fo bie, si accorge che sul suo conto sono stati versati per errore oltre quattro milioni di franchi. Anziché segnalare la svista, nella sua mente prende forma una decisione per lui inaspettata: preleva i soldi e fugge in sella al suo fidato motorino. Svanita la possibilità di coronare il suo sogno d’amore, Zoppi sente di dover far perdere le sue tracce. Inizia qui un viaggio costellato di incontri legati al suo passato, che lo condurrà fino alle rive dell’Adriatico, scenario di un evento che lo ha segnato per tutta la vita.

Ad inseguirlo, oltre a due bizzarri quanto pericolosi sicari svizze ro-tedeschi, c’è Livio Bronner, un improbabile e goliardico de tective ingaggiato dalla responsabile conti della banca per recu perare i soldi.

Anteprima film

Ariaferma

In occasione dell’uscita del film Ari aferma nelle sale cinematografiche della Svizzera italiana, Amka Film in collaborazione con la RSI organizzano un’anteprima in presenza del regista Leonardo di Costanzo, e della produt trice Michela Pini

Ambientato in un carcere in via di dismis sione, dove sono rimasti soltanto qualche agente e pochi reclusi, il lungometraggio vanta nel cast due grandissimi attori qua li Silvio Orlando e Toni Servillo, per la prima volta protagonisti insieme. Dopo la proiezione seguirà una riflessione su car ceri e giustizia con l’ex procuratore ge nerale Bruno Balestra e Cristina Castelli dell’Associazione FRASI.

In palio alcuni biglietti che sarà possibi le vincere sul profilo Instagram RSI, tra mite la Newsletter RSI (per iscriversi: rsi. ch/newsletter) e su Rete Due in Alphaville, lunedì 5 e martedì 6 dicembre tra le ore 11.00 e le 13.30.

Giovedì 8 dicembre alle 20.35 su LA 2

Imitare la vita

di Suzanne Heintz

Il documentario di Karen Whitehead e Ka therine De Francis racconta la storia di una donna che, spinta da una incredibile ener gia positiva, riesce a raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi: liberarsi dal conformi smo, vincere la battaglia contro il cancro e trionfare nel mondo dell’Arte.

Imitare la vita è il ritratto di una provoca trice, un’artista davvero singolare, una fo tografa che ha creato un mondo surreale di immagini che descrivono la nostra società con sottile, ma anche spietata ironia. Nata nel 1965 a New York e figlia della clas se media americana, Suzanne Heintz da 20 anni si batte per cambiare l’immagine ste reotipata della donna e della famiglia per fetta.

Il documentario segue l’artista nella sua quotidianità, raccontando sia la sua vita, sconvolta da una grave malattia, sia la rea lizzazione dei singolari lavori artistici con i manichini, sempre in bilico tra realtà e fin zione.

Una serie di film “Fuori dal comune”

Terminato il ciclo “Cinema nel cinema”, da martedì 6 dicembre su LA 1 parte una nuo va serie intitolata “Fuori dal comune”: sei pellicole che toccano il tema della disabi lità e raccontano storie positive e di affer mazione.

Il ciclo parte pochi giorni dopo la giornata internazionale dedicata alle persone con di sabilità, che viene celebrata oggi.

Ogni martedì dal 6 dicembre al 10 gen naio, alle 23.20 circa su LA 1.

I film in programma

• 06.12. La famiglia Bélier di Éric Lartigau

• 13.12. Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani

• 20.12. The Specials di Olivier Nakache e Éric Toledano

• 27.12. La teoria del tutto di James Marsh

• 03.01. Forrest Gump di Robert Zemeckis

• 10.01. Come as You Are di Richard Wong

sabato 3 dicembre 2022 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 4.12 al 10.12 15
IN PRIMO PIANO
Giovedì 8 dicembre, alle 20.30 Cinema LUX art house, Massagno
DOC Giovedì 8 dicembre alle 23.05 su LA 1
L’audacia
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