ticino7
“È il mio corpo che cambia, nella forma e nel colore, è in trasformazione”. Alla fine degli anni Novanta i Litfiba già cantavano di me, della mia storia. Chi mi conosce lo sa: nei decenni sono passato dalla carta patinata a quella di giornale, ho cambiato nome abbandonando lo storico Teleradio7 – anche se molti, nostalgicamente o distrattamente, mi chiamano ancora così –e da anni porto avanti una relazione esclusiva (e stabile) con l’amata laRegione. Di acqua, direttori e collaborazioni ne sono passati parecchi sotto i ponti; non è sempre stato facile “guardare in faccia” la trasformazione, ma sono convinto che nemmeno le pietre rimangano granitiche per sempre. Oggi questa mia ultima uscita sarà anche quella che mi porterà definitivamente fuori dalle scene delle rotative, degli inchiostri e della carta. Infatti, il mio corpo nei prossimi mesi cambierà ancora, così
che la mia anima curiosa, alternativa e impavida possa incontrare il mondo della contemporanea multimedialità. È un passo necessario, dettato dallo scorrere del tempo, e dagli stimolanti nuovi mezzi di comunicazione che, come me, spendono il tempo a cercar di avvicinare la gente, a farla incontrare, scoprire, conversare, informare e intrattenere. E continuerò a farlo perché è così che mi piace, in modo sempre intelligente. Ai Litfiba la direzione non era ancora chiara; a me pare invece che in questo mondo matto, fatto di incertezze e scompigli la via da intraprendere sia una sola. La scoperta di nuovi mondi per capire e capirci, meglio. Arrivederci gentilissime lettrici e cortesi lettori, ci rivedremo il prossimo autunno. Grazie di tutto e a tutti, soprattutto a coloro che questo inserto lo hanno voluto, sostenuto, amato e a volte pure criticato (aiutandoci a migliorare).
A presto. Ci vediamo su un altro pianeta...
Povero
Plutone
Cosa ci distrarrà dalla lenta e interessata ossessione per Marte, che comunque ci porterà là irrimediabilmente, prima o poi, nel bene o nel male? Forse la disinteressata curiosità per le lune di Giove, che la sonda Juice raggiungerà fra otto anni. O la curiosità per Plutone, che fa presto a diventare affetto, a conoscerne la sfortunata storia…
Plutone non è più un pianeta da quasi vent’anni. Ma la colpa è di Xena (cioè di Eris), scoperta vent’anni fa. Eppure nove era un buon numero. Multiplo del famoso virtuosissimo tre. Dispari per non mentire: per non dare all’Universo, o al sistema solare, quell’aura di parità, ordine, equilibrio che non ha. Dalla retrocessione di Plutone, dal luglio del 2006, i pianeti dunque sono otto. Numero scarso di valori simbolici. E decisione piena di ambiguità, insidie, incertezze come il più delle cose umane. Per fortuna ci fu uno sgambetto più grande, involontario, precedente di alcuni mesi. Una vendetta previa. Nel gennaio dello stesso anno in cui al Congresso di Praga si sanciva che non fosse più un pianeta, la sonda New Horizons partiva per fargli visita. Visto che era là, si sarebbe dedicata un poco a Caronte, luna di Plutone, e avrebbe dato un’occhiata alla Fascia di Kuiper. In quella fascia che iniziava oltre Plutone ora starebbe anche lui, compagno di tanti corpi non più piccoli, che qualcuno chiamava già plutini, gelidi allo stesso modo. Ci ha messo nove anni New Horizons ad arrivare. Lungo la strada ha visitato Giove, celebrando l’incontro con delle foto. Lasciandolo ha approfittato della sua forza, e con una “fionda gravitazionale” si è data la spinta per riprendere il viaggio. Dal 2015 dell’arrivo a Plutone sono passati altri otto anni
e New Horizons continua a navigare e ricercare. Mentre scatta e registra entra in un silenzio da cui non può distrarla nessuno. Finita la sessione di lavoro, emette il bip per dire che ha finito. E che c’è ancora. Di questi bip, il più emozionante è stato il primo. New Horizons è grande “come un pianoforte” e, tanto per ribadire il concetto, o la portata dell’impresa, è arrivata ai limiti del sistema solare e li ha superati. E adesso dovrebbe trovarsi nella Fascia di Kuiper.
Perché è colpa di Xena
Il declassamento di Plutone è stato deciso dall’Unione Astronomica Internazionale, ai voti, dal 5% degli astronomi mondiali. A quel fatidico convegno non ci sono andati tutti, chiaramente. Poi in un congresso non tutti restano fino alla fine, e dei 2’500 partecipanti delle prime giornate i votanti sono rimasti 424. Già da un paio d’anni, dalla scoperta di Xena – ovvero di UBU 313 –, le cose per Plutone promettevano di farsi più difficili di quanto fossero: una luna un po’ troppo grossa, Caronte; orbita che taglia quella di Nettuno, caso unico... E ora si vede che Xena è più grande di lui, anche se di poco. Il congresso comincia con queste tre possibilità: pianeti da nove a dodici: inclusione cioè di Cerere, Xena e Caronte (e Plutone diventa l’unico pianeta doppio); lasciare tutto come sta; declassamento di Plutone. Sappiamo com’è andata e perché Xena cambiò il nome in Eris, dea della discordia. I partecipanti alla missione di New Horizons hanno appreso la notizia a fischiate, naturalmente. Qualcuno non avrà dormito dalla rabbia o dalla delusione, altri hanno ghignato di indifferenza. Avevano altro a cui pensare almeno per altri dieci o vent’anni. Gli amici di Plutone avevano visto quasi tutto giusto su di lui, ma le notizie mandate dalla sonda, che annunciassero conferme o novità, furono accolte con gioia. Massa rocciosa, superficie di metano gelato, montagne di ghiaccio alte 3’500 metri, vulcani che invece che lava emettono
ghiaccio fuso... altre conferme o nuove scoperte sulla composizione dell’atmosfera. Temperatura di 230 gradi sottozero. Per fare un giro intorno al Sole impiega 249 anni terrestri. Da quando è stato scoperto, nel 1930, sono passati 93 anni. Poco più di un terzo della rivoluzione completa. Ha una macchia enorme a forma di cuore.
Povero Tombaugh
Torniamo un poco indietro. Nettuno non si comportava come previsto. Se ne dedusse che un altro corpo celeste, dopo di lui, ne condizionava gli spostamenti. E si scoprì Plutone, nel 1930. Poi si vide che era troppo piccolo, un terzo della nostra Luna, per influenzare le orbite dei vicini. Ma crederlo era servito a trovarlo. L’aveva scoperto Clyde. W. Tombaugh, 24 anni, con un “comparatore a sfavillio di immagini”. Apparve su una lastra il 21 gennaio, anche se la scoperta fu annunciata due mesi dopo. Tombaugh morì nel 1997, a 90 anni, ben cosciente e sofferente degli ostracismi subiti dal suo pianeta, ma al riparo da quello definitivo. Mah, come se qualsiasi cosa che si dica o pensi di lui potesse toccarlo.
Quanto a noi estimatori o amanti di Plutone, modello di emarginato universale, è come se fossimo stati là, su New Horizons, a registrare e ritrarre il più possibile, sbalorditi da quel cuore enorme. E le parole che scambiò con la sonda al momento dell’incontro è come se le avessimo sentite allora, prima che leggerle qui (vedi pagina a lato, ndr).
“È lo spazio interiore, non quello esterno, che dobbiamo esplorare. L’unico pianeta veramente alieno è la Terra”
(J.G. Ballard)
Dev’essere un sacco di tempo...
Ciao Plutone. Ciao. Conosci il mio nome?
Me l’ha detto Nettuno, passando. Ah.
Scherzavo, lo sapevo già. Ti conosco da quasi dieci anni. Anni? Dieci? Una parte di quello che mi dici non la capisco.
Un anno è il tempo che occorre a un pianeta per fare un giro intorno al Sole. La Terra, da dove provengo, ci mette 365 giorni. Tu 249 volte tanto.
Tantissimo.
E dev’essere un sacco di tempo.
Il Sole è quel puntino luminoso che si vede là in fondo?
Esattamente. Chi sa che freddo fa laggiù, se è freddo qui.
Lì veramente fa caldo. Ti sciogli molto prima di arrivarci. Come ti chiami?
New Horizons. Inglese?
Americana. Conosci la lingua inglese?!
Io molte, tutte tecniche, e ne ignoro di più.
Ho capito. E credo di aver capito dove inizia la catena. Questo vuol dire che siamo più vicini di quanto pensassi.
Alcune cose sì le conosco, poche credo.
Quelle che conosco me le insegna Nettuno. Al quale le ha insegnate, mi ha detto, Urano. A lui le ha dette Saturno. A Saturno...
Io non tanto. La mia macchina fotografica è stata creata apposta per vederci al buio.
Quanto ci hai messo ad arrivare fin qui?
Un momento: avvio la macchina, scusa. ...
Nove anni terreni, ci ho messo. Per le misure plutoniane, come essere partita ieri e tornare domani. Sempre che torni.
Perché tu non giri tutto il tempo, senza mai fermarti?
Io vado ad anni brevi, eppure da qui in avanti sarà lunga. Non oso immaginare la noia smisurata, da queste parti, misurata coi tuoi tempi.
Non vorrai girare tutto il tempo, senza mai fermarti.
Non posso scegliere, e mi sembra di star fermo, veramente.
Cos’è la noia?
Possoscattarti qualchefoto?
...
Fa’ pure, ma mi vedi bene?
Una sensazione di vuoto. Voler fare o pensare qualcosa per occuparlo e non sapere che. O non potere, o non volere.
Con il cuore che hai, amico, che nemmeno tanto buio riesce a coprire, avrai una sensibilità notevole. Ne sono certa.
Tranne il nome, so di cosa parli.
Horizons, ringrazia chi ti ha mandato. Con tanti pianeti e stelle, satelliti, hanno pensato a me così lontano. Un pensiero che mi lusinga, e mi conforta anche.
Lo farò senz’altro. Se riesco a tornare Prosegui un poco o inizi il rientro?
Proseguo. Ce ne ho per molto ancora, un lungo giro per la fascia di Kuiper. Sarà tutto scuro come qui?
Già lo sai, Horizons.
A presto, Plutone. E grazie. Ci vediamo al rientro.
A presto, buon viaggio.
Cambiamo pelle.
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Cünta ti che cünti mi Leggende della Svizzera italiana
Un viaggio armonioso fra testo e illustrazioni
Altri titoli in pillole
Mixing
Davanti al bicchiere affiorano i segreti, le debolezze e i sogni di personaggi in apparenza privilegiati, finalmente capaci di guardare dentro sé stessi con la complicità di un ascoltatore attento e silenzioso. Questo libro è dedicato a tutti coloro che almeno una volta nella vita hanno sentito l’impulso di confidarsi con uno sconosciuto.
di Dada Montarolo pp. 136 aprile 2023
Gabriele Capelli editore gabrielecapellieditore.com
€ 16.50
11 racconti di un esilio periferico
“(…) Mi auguro che dai racconti emergano l’immediatezza e la semplicità con cui ho voluto scrivere; qualcuno è allegro, qualcuno triste, ma sono le tracce della vita quotidiana di un, oramai ex, esiliato, con i suoi pensieri e i suoi ricordi, proprio nel momento in cui la sua nazione d’origine vive ancora situazioni che le impediscono di liberarsi definitivamente dall’eredità della dittatura di Augusto Pinochet”.
di Miguel Ángel Cienfuegos
pp. 64
maggio 2023
Salvioni edizioni salvioni.ch fr. 18.-
La pastora illegale
È il 13 settembre 1931. Siamo nei Grigioni, nel villaggio di montagna di Furna. Quel giorno si prende una decisione mai presa prima da nessun altro comune in Svizzera: i parrocchiani scelgono un parroco donna, Greti Caprez-Roffler, di 25 anni, teologa, sposata e mamma. Ne nascono uno scandalo che troverà eco anche in Germania e un diritto che verrà riconosciuto solo decenni dopo. Dopo la sua morte, la nipote ripercorre la vita della nonna.
di Christina Caprez
pp. 456 aprile 2023
Armando Dadò editore editore.ch
fr. 28.-
Le leggende sono dei racconti brevi che appartengono alle tradizioni e alla cultura di un popolo e contribuiscono a creare aggregazione e coesione. Sono schietti e genuini, spesso tramandati oralmente, di bocca in bocca e nella loro semplicità rendono una visione del mondo, tentano di dare una spiegazione a eventi naturali, danno un senso al nome o alla conformazione di un luogo, insegnano qualcosa sull’animo umano. Sono popolati di entità straordinarie (folletti, geni, streghe), di persone semplici (contadini, artigiani), di animali parlanti e di personaggi storici e di nobili (imperatori, principesse, santi) che incarnano virtù e difetti. Nella cultura contadina le leggende hanno avuto una funzione ludica e didattica che è arrivata fino ai nostri giorni e che non deve andare persa. La deliziosa raccolta di Andrea Jacot-Descombes contiene tutti questi ingredienti, amalgamati e riprodotti attraverso un linguaggio semplice e immediato che ricalca fedelmente la tipologia della narrazione orale.
Un viaggio nel cantone
Le quindici leggende del libro ci portano in giro per la Svizzera italiana: tutte, infatti, hanno un riferimento geografico esplicito. Questa localizzazione precisa contribuisce a radicare le storie nel nostro territorio circoscritto e a renderle più vive e colorite. La campagna del Mendrisiotto, per esempio, fa da sfondo a La leggenda del papavero rosso; Neggio, un paese del Malcantone, si illumina con La leggenda delle lucciole; Gasparino da Ghirone, un ragazzo come tanti in Val di Blenio, è il protagonista della bellissima leggenda La principessa Nasone; a Someo, in Vallemaggia, il pastore Tonio se la vede con Le streghe del Pian di Nadro. In questo modo ogni leggenda ci immerge in un mondo fantastico e al tempo stesso tangibile e reale.
Il fil rouge che le unisce tutte quante è il desiderio di raccontare e di stupire. Colui che narra si dona all’ascoltatore che poi potrebbe diventare, a sua volta, un potenziale narratore: da qui il titolo Cünta ti che cünti mi, che evoca un rapporto di reciprocità fra narratore e ascoltatore. Non a caso l’autore, Andrea Jacot-Descombes, oltre ad avere un dottorato in antropologia ed essere un insegnante, è un raccontastorie. Nella sua scrittura lineare e pacata si percepisce il piacere di raccontare ed emerge la non comune capacità di farsi ascoltare. Nicola Lorenzetti, disegnatore e illustratore, arricchisce ogni leggenda con una suggestiva immagine: da ogni storia viene estrapolata una frase chiave che l’artista illustra con i suoi disegni e i suoi colori.
La raccolta, come recita l’introduzione, ha lo scopo di “avvicinare il giovane pubblico a questo tipo di narrazione”, ma ben si presta anche agli adulti che possono essere genitori, insegnanti ed educatori. Si potrebbe aggiungere che strizza l’occhio anche a tutti gli adulti che si sentono ancora un po’ bambini e che amano farsi cullare dal ritmo rassicurante e benefico di questi racconti tradizionali.
Armando Dadò editore
La voce del cuore (Angelo Cassano)
Edizioni Ulivo
• Il secondo tempo (Piero Sanna)
• Antologia di Waste River (Mario Chiodetti)
il cazzo”. Alla volgarità della moglie Shiv, figlia del magnate dei media Logan Roy – la scala su cui si è arrampicato Tom per arrivare dov’è – risponde: “Non ti preoccupare, sempre duro come la roccia”. E poi via, Tom inizia come se niente fosse quella call su Zoom che ha come unico scopo il licenziamento in massa dei partecipanti...
Succession è una serie tv che passa in continuazione dall’infinitamente piccolo (le miserie e le finzioni di una coppia) all’infinitamente grande (la crisi dei media americani e la brutalità dei licenziamenti in un sistema capitalistico). È una serie piena di scene di questo tipo, perfette per diventare dei meme, e infatti proliferano quegli account “out of context” che postano screenshot delle battute più feroci, sottotitolate. Succession è diventata parte della cultura globale in breve tempo: ideata da Jesse Armstrong (già autore della satira politica The Thick Of It) e inaugurata nel giugno 2018 con circa mezzo milione di spettatori, è arrivata oggi alla sua quarta stagione con più di due milioni di spettatori a episodio negli USA. E questa stagione è anche l’ultima, con un episodio a settimana atteso come aspettavamo le ultime vicende di Breaking Bad o Games of Thrones. Come si spiega un simile successo (se mi passate il gioco di parole) in un periodo in cui la guerra dello streaming rende complicata anche solo la sopravvivenza di nuove serie tv?
il proprio posto privilegiato. Se tutte le famiglie sono infelici in modo diverso, quella di Succession da sola offre un campionario variegato e sempre sorprendente di disperazione e fallimento. Quindi, una prima risposta per chi si chieda le ragioni del successo di Succession sta nel piacere di vedere l’1% - ma diciamo pure lo 0,1% - soffrire come o peggio delle persone normali.
Vuoti, infelici ma molto ricchi
Parliamo di una serie così influente che (questo sì, è uno spoiler se non avete iniziato a vedere la quarta stagione) alla morte del capofamiglia il Los Angeles Times gli ha dedicato un finto necrologio. Succession ha reso di tendenza il “quiet luxury”, lo stile che sostituisce gli eccessi massimalisti degli ultimi anni con cappotti di cachemire, dal taglio sartoriale ma fatti per passare inosservati, e cappellini da baseball senza logo da cinquecento dollari. Quando Gwyneth Paltrow, poche settimane fa, ha affrontato il processo per un incidente di sci presentandosi in tribunale con maglioni girocollo e tailleur sottotono, gli spettatori di Succession hanno capito al volo il codice del suo abbigliamento. A metà strada tra commedia e dramma, tra Shakespeare e i Kardashian, Succession racconta la reticenza di un tycoon dell’industria dell’informazione e dell’intrattenimento a passare la mano ai propri figli, ovviamente non all’altezza delle sue aspettative. Racconta quindi l’avidità, il cinismo, l’ottusità, la crudeltà, l’involontaria comicità, la freddezza, l’aridità di persone tanto ricche quanto vuote, e del brulicante mondo di squali e squaletti che gli girano attorno, disposti a tutto pur di non perdere
Quando un “f***” non basta Forse per il vero segreto di una serie che pare un film d’azione in cui i pugni e le pallottole sono le parole, è che è recitata ancora meglio di quanto è scritta. Brian Cox, l’attore scozzese che interpreta Logan Roy, è dotato di un carisma da Re Lear che gli permette di riempire di senso persino il suo centesimo “fuck off” della puntata (solo nel finale della terza stagione sono stati contati 119 “fucks”, ovviamente non tutti del protagonista). La sua aderenza al personaggio è tale che, racconta Cox, persino durante un convegno sul “me too”, schiere di donne consapevoli degli abusi del patriarcato gli chiedevano per piacere di mandarle a quel paese mentre lo filmavano.
Jeremy Strong, che interpreta il figlio Kendall, l’ipotetico successore al trono, è uno di quegli attori che entrano così dentro ai personaggi da confondere realtà e finzione. Kendall è ridicolo per quanto si prende sul serio - “Shiv sto lottando a morte con degli orchi” dice a un certo punto alla sorella: “Stai leggendo dei
documenti, ecco che stai facendo”, risponde quella con realismo - esaltato dalla sua stessa megalomania con cui vuole cambiare l’industria mediatica, ma Jeremy Strong non sembra molto diverso nella vita di tutti i giorni. Al giornalista del New Yorker che gli ha detto di considerare Succession come una specie di commedia nera ha risposto: “Allora anche Cechov è una commedia?”. Ci sono serie in cui il casting è importante quanto la trama e Succession è una di quelle: Kieran Culkin, Sarah Snook, Matthew Macfadyen, J. Smith-Cameron, non c’è un personaggio secondario di Succession che non sia in grado di rubare la scena con uno sguardo o una frase a effetto.
Ma esistono per davvero?
Come è noto, la serie è vagamente ispirata alle vicende di Rupert Murdoch, al potere manipolatorio di Fox News ma anche la guerra fratricida tra i suoi eredi. A chi glielo chiedeva, Murdoch ha risposto seccato che no, non ha mai guardato Succession Eppure nel documento del divorzio da far firmare alla quarta moglie ha pensato bene di aggiungere una clausola che le impediva di parlare con gli autori della serie affinché prendessero spunto dalla sua vita. Il rapporto sottile tra Succession e il mondo in cui viviamo ogni giorno, il prisma attraverso cui mostra la piccolezza di quelli che ci paiono giganti, è la ragione per cui la guardiamo. In una delle ultime scene tra Logan Roy e i figli, una specie di resa dei conti ridicola ambientata in una sala karaoke di New York, il padre guarda i figli col solito sguardo impenetrabile. “Vi amo, ma non siete persone serie”. Tutte le trame, le macchinazioni, i tradimenti sono condensati in quella confessione cristallina, il manifesto di un pessimo padre. Sul Guardian Arwa Mahdawi si è lamentata della popolarità di Succession sostenendo tra le sue ragioni proprio questo genere di battute a effetto, perché “nella vita reale nessuno parla così”. Ed è vero, ma non sta proprio ai film, alle serie, al teatro, rendere più interessante la realtà, dare fascino a persone che, se esistessero veramente, sarebbero semplicemente disgustose?
Alessandro:
IL GR ANDE
Alessandro (Pella 356 a.C.- Babilonia 323 a.C.), figlio di Filippo II Re di Macedonia e della Principessa dell’Epiro e maga Olimpiade, altri la chiamano Olimpia; discepolo di Aristotele, protettore delle arti, sposato con Roxane. Universalmente noto come Alessandro Magno, l’uomo (o forse un dio) che prima conquistò e poi resse per tredici anni un impero che si estendeva su Europa, Asia e Africa: Grecia, Cappadocia, Armenia, la Mesopotamia col Libano dei Fenici, l’immensa Persia, l’Afghanistan e il Pakistan fino al fiume Indo e alla Catena himalayana, l’India con la conquista del Punjab, sfiorando la Cina degli Zhou. Ma a quel punto lo zoccolo duro del suo esercito composto dai fedelissimi macedoni (gli unici che anche all’apice della gloria erano autorizzati a salutare Alessandro come fosse solo un uomo) lo convinceranno a tornare indietro, in un certo senso per non allontanarsi ulteriormente dalle sue origini. Colui che lungo il breve percorso della sua vita aveva fondato innumerevoli città che porteranno il suo nome, tra le quali Alessandria d’Egitto con la famosa biblioteca, morirà a Babilonia nel 323 a.C. per una malattia.
Paolo Giulierini, direttore del Museo nazionale archeologico di Napoli (nella foto a lato, ndr) che al Macedone ha dedicato una grande mostra, così sintetizza sul numero di giugno del periodico Archeologia viva la portata universale delle vicende di Alessandro: “In quei luoghi si giunse a un’inedita e duratura fusione di usi, costumi e religioni che determinarono un nuovo mondo” (si pensi all’arte del Gandhara indiano) e creando quella corrente culturale, o civiltà che dir si voglia, chiamata Ellenismo, predominante fino all’affermazione della potenza romana.
La morte improvvisa
Cinema vs fonti storiche
Di lui si è detto (a partire dalla Anabasi di Alessandro dello storico Arriano, II secolo) che ha sfidato l’impossibile e cercato sempre nuovi territori da esplorare; credo si possa ribadirlo, non solo pensando alle conquiste militari a suon di battaglie epiche in sella al suo Bucefalo, ma anche per la ricerca costante di nuovi orizzonti mentali, politici, sociali e culturali, finalizzata a un incontro tra popoli diversi. Un visionario, più avanti di altri conquistatori venuti dopo di lui, da Cesare a Gengis Khan o Napoleone. Un fenomeno quasi incredibile se pensiamo alla sua origine macedone, tanto disprezzata dai Greci della classicità che lo definivano ‘un barbaro’. “Un ragazzo di ventitré anni, con un fisico nemmeno eccezionale diremmo oggi, gli occhi di colore diverso l’uno dall’altro (l’uno blu e l’altro marrone o nero) capelli rossicci e irti”, dice ancora Giulierini. Un po’ diverso dal Colin Farrell che gli dà il volto in Alexander, film del 2004 di Oliver Stone con Angelina Jolie, Anthony Hopkins e Jared Leto che interpreta il ruolo del tanto amato Efestione; come Achille amò Patroclo. L’anonimo mosaicista ha colto Alessandro che mette in fuga il Re dei re Dario III nella battaglia di Isso, oppure, come si ritiene oggi, in quella epocale della pianura di Gaugamela, nel Kurdistan iracheno, del 331 a.C., che segnò la fine dell’Impero Achemenide, la caduta delle sue capitali nonché la conquista di immensi tesori; e che aprì definitivamente al vincitore le porte dell’Asia. Si realizzava anche il suo sogno di vendicare l’offesa recata da Serse alla Grecia durante la Seconda guerra persiana del 480 a.C. con la profanazione dell’Acropoli di Atene e il trafugamento di opere classiche, subito rispedite in patria da Alessandro. Come ha detto Daniele Morandi Bonacossi, dell’Università di Udine, che scava nella regione, “un momento nel quale la Storia cambia cavalli”
Un uomo tanto potente non poteva restare solo umano. Leggende e miti nascono intorno a lui fin dalla nascita, poiché Alessandro è detto figlio di un miracolo: infatti Olimpia, la notte prima delle nozze, sogna che un lampo seguito da un tuono la colpisca al seno. Ancora vergine concepisce così, immaterialmente, un figlio, che diventerà reale dopo la consumazione del matrimonio. Alessandro è insomma figlio dello stesso Zeus, con il padre discendente di Ercole, la madre della stirpe di Achille. Due aquile si poseranno quel giorno sul tetto della reggia di Pella, simbolo, si dirà, di Europa e Asia unite. “Il signore scettrato della celeste assemblea degli immortali” lo definisce Georges Radet, storico francese, in un volume diventato punto di riferimento per lo studio della figura di Alessandro. E così descrive l’ascesa del Macedone, da essere umano a divinità, seguendo le tappe del suo viaggio: “Dapprima la sua epopea ha la forma greca, ma ben presto essa cade sotto l’influsso delle concezioni orientali: nell’oasi di Ammone entra in contatto con l’apoteosi egizia; a Babilonia raccoglie le sopravvivenze di quella dottrina teocratica di cui la Caldea sembra aver abbozzato uno dei primi schemi; una terza consacrazione divina del Re viene dalla Sibilla eritrea; a Susa e a Pasargad si appropria della dottrina per cui il Re è dio, e deve ordinare la terra a immagine del cielo. In Europa il Macedone era legato all’Olimpo greco, in Asia l’erede degli Achemenidi passa ad una nuova mistica...”; non senza lotte cruente tra i suoi seguaci, alcuni dei quali mal digerivano l’infatuazione del capo per i costumi asiatici. Georges Radet, nel suo libro, racconta un aneddoto significativo sull’incontro con alcuni fachiri indiani. Questi lo accolgono battendo un piede per terra; interrogati sul significato di quel gesto insolito, rispondono tranquillamente: “O re, questo poco di terra che calpestiamo è tutto quanto sia concesso all’uomo; anche tu, quando morrai, e succederà presto, non occuperai che lo spazio della tua sepoltura”. Alessandro, che aveva conquistato l’Oriente ne fu a sua volta conquistato (come poi i Romani con la Grecia); di lì l’idea innovativa per i tempi di creare un mondo nuovo, che unisse Oriente e Occidente, comprendente anche la parte mediterranea fino alle Colonne d’Ercole e forse il Nord dell’Europa; se non fosse sopraggiunta alla corte di Babilonia la sua morte improvvisa a soli trentatré anni.
“(...) un visionario, più avanti di altri conquistatori venuti dopo di lui”
Te lo do io il Giappone!
Manga, sushi, anime… ma quanto sappiamo davvero del Giappone? Ecco sette curiosità sul Paese del Sol Levante tratte dal podcast di una vera yamatologa...
Molti di noi sono attratti dal Giappone. Rimane però il dubbio che quella occidentale sia una passione superficiale, anche stereotipata e che il Paese del Sol Levante sia piuttosto diverso da come ce lo immaginiamo. Di Giappone ne sappiamo un bel po’ da un punto di vista squisitamente pop, grazie agli anime e ai manga. Conosciamo superficialmente un po’ di questo e un po’ di quello, il sushi, i kimono, i samurai, anche se manca l’approfondimento come ci dimostrano queste sette curiosità sul mondo nipponico tratte dal podcast Yamato di Giorgia Sallusti, da molti anni studiosa di cultura giapponese. Anzi, yamatologa…
1. Yamatologia, una parola misteriosa
La yamatologia è lo studio della lingua, letteratura e civiltà giapponesi. Per capirci, Yamato è l’antica parola che identifica il primo regno giapponese, quel nucleo di territorio da cui è nato il Paese del Sol Levante. Un termine così evocativo che negli anni Trenta del Novecento venne denominata Yamato la più grande nave da battaglia della Marina imperiale giapponese.
2. Il sushi? Arriva dalla Cina!
La pietanza sbarca in Giappone dalla Cina nell’Ottavo secolo, e lo scopriamo grazie alla presenza della parola ‘sushi’ in un vecchio codice, una collezione di regole di governo compilata nel 718. Ma la fortuna del sushi arriva più tardi: così come lo conosciamo oggi appare nella città di Edo – ovvero nell’odierna Tokyo – all’inizio del XIX secolo.
3. Ma le donne giapponesi non hanno conosciuto l’emancipazione?
Sulle donne nipponiche abbiamo negli occhi un’immagine che spesso è uno stereotipo che risente di una visione coloniale ed esotizzante, basti pensare all’idea della geisha ricalcata sulla Madama Butterfly di Puccini. Come racconta Giorgia Sallusti: “Butterfly è definita attraverso qualità tradizionalmente associate dalla cultura occidentale alla donna nipponica; e così la Butterfly docile e sottomessa entra nell’immaginario dell’esotico fino a dominarlo del tutto”
In realtà, se pensiamo a Lady Oscar, Lamù, La stella della Senna l’immaginario nipponico presenta figure femminili molto moderne ed emancipate.
4. Nelle famiglie giapponesi si mangia sushi notte e dì?
Mica tanto. Si dice che a creare il nigirizushi – cioè il sushi preparato con le mani, nella forma in cui è possibile gustarlo anche oggi – sia stato lo chef conosciuto come Yoshi, vissuto nella prima metà dell’Ottocento.
Tuttavia, il sushi è appannaggio esclusivo del cuoco specializzato, o itamaesan, che significa letteralmente ‘il signore davanti-altagliere’. Per mangiarlo fatto in casa, occorre prepararne una versione semplice, arrotolata nell’alga nori: il norimaki.
7. Come sono i rapporti tra Svizzera e Giappone?
Sono rapporti di lunga data; infatti già nel 1863 giunse in Giappone una prima delegazione commerciale svizzera. Nel 2025 la Svizzera parteciperà all’Esposizione universale di Osaka con un padiglione intitolato Una Svizzera innovativa
Negli anni Settanta del Novecento c’era una quantità enorme di serie animate provenienti dal Giappone, lanciate sul mercato a prezzi estremamente competitivi e che avevano bisogno solamente dei costi di doppiaggio; erano cartoni animati creati con una tecnica migliore rispetto a quelli europei e americani, erano una novità e in più avevano trame e stili originali.
6. In Giappone si lavora veramente così tanto?
Tradizionalmente i giapponesi hanno considerato il lavoro l’unica via per fare del loro Paese una grande nazione. Allo stesso tempo è il lavoro che dà prestigio e gratificazione all’individuo. Il rovescio della medaglia è il karoshi, la “malattia da troppo lavoro”
Il Giappone è una delle poche nazioni in cui questa “malattia”, che ha come manifestazione un attacco cardiaco dovuto a troppa fatica e stress, è riportata nelle statistiche delle cause di morte.
‘Yamato’ ci racconta
Paese del Sol Levante
Yamato è un podcast prodotto da Emons Record e disponibile sull’App Emons, sulle piattaforme Spotify, Google podcast, Apple podcast, Spreaker. In otto puntate da venti minuti circa Giorgia Sallusti propone un viaggio in questo Paese tanto affascinante, così come non ve lo hanno mai raccontato. Prendendo come spunto luoghi comuni, Yamato approfondisce numerosi aspetti della cultura giapponese e della sua tradizione millenaria, sfatando e spiegando miti e smitizzando stereotipi.
Come mai a un certo punto ci fu una vera e propria invasione di cartoni animati giapponesi?
VINCI
Orizzontali
1. Terra in Val Bavona 5. Macchina per tagliare lamiere 11. Automobil Club Svizzero 12. Ruga 14. Alta Scuola Pedagogica 15. Un’antica bilancia 17. Avanzi, rimasugli 19. Voltata, ruotata 21. La capitale del Perù 22. Area, territorio 23. Una pietra preziosa 25. Parte di Claro 26. Attilio, ciclista ticinese (1933-1995) 28. Adolf, ex consigliere federale 29. Rosicchiare 30. Impera al centro 31. Mezzo uovo 32. Devoto, sincero 33. Cavaliere in breve 34. Formano la corolla 35. Incontri di vocali 36. Partenza all’inglese 38. Meta francese di pellegrinaggi 40. Chiasso, fracasso 42. Il nome dell’indossatrice Campbell 43. Venerabile… storico medioevale 44. Grinfia, unghione 46. Scarso
Spedisci un SMS al 434 (CHF 1.–/SMS) scrivendo TI7 <spazio> SOLUZIONE e partecipa all’estrazione. Termine di partecipazione: giovedì prossimo.
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alla fine 47. Un tipo di vino 48. Il centro di Baar 49. Un tipo di pera 50. Nota musicale 51. Stampate nuovamente 52. Era un titolo etiope 53. Località calabrese di emigranti 55. Il nome dello sciatore Feuz 56. Sono cani da riporto 57. Fiume della Svizzera italiana.
Verticali
1. Momento di un fenomeno 2. Azienda Comunale dei Trasporti 3. Figure geometriche 4. Lo è l’Aida 5. È stato creato da Cristina Castrillo 6. Iniziali di Guttuso
7. Il fiume di Berna 8. Confusioni, disordini
9. Una lingua di terra 10. Capitale delle Samoa 13. Rabbia, collera 16. Tra Cadro e Sonvico 18. Annullate, soppresse 20.
Era il nome del vescovo Bacciarini 22. Cantone svizzero 24. Dissetarsi 25. Fiume tra Svizzera e Francia 26. La dettano grandi stilisti 27. Cerca di correggere opinioni correnti 29. Lo può essere un angolo 30. Affanni, angustie 32. Decisa, risoluta 33. Sono zaini… di legno 34. Località della Val Morobbia 35. Località della Riviera 37. Fiume tra Ticino e Italia 39. Fa la forza 41. È il mese del digiuno islamico 43. Johannes, compositore (1833-1897) 45. Un pesce d’acqua dolce 47. Si beve prima di pranzare (abbreviato) 49. Capitale cantonale 50. Davanti a Fee in Vallese 51. Trasmette da Comano (sigla) 52. Giudicate colpevoli 54. Empi senza pari 55. I confini di Barbengo.
Lui carino e artistoide, lei creativa e bellissima. Li conosci come una coppia, sono amici di amici, non sei intima di nessuno dei due ma li apprezzi esteticamente. Così belli, giovani, innamorati. Li segui sui social come si fa con le persone conosciute al matrimonio di amici comuni con cui si sono condivisi reciproci tag in una lunga serata popolata da tanto alcol e tanta musica. Mesi dopo ti arriva la notizia: si sono lasciati. “Ma se continuo a vedere like e foto insieme?”, obietti tu, boomer dei sentimenti. I giovani ti spiegano che odiarsi, cancellarsi, togliersi l’amicizia o smettere di seguirsi a vicenda, è qualcosa che non s’usa più fare. Tu, con i tuoi rancori, i conflitti, i numeri di telefono cancellati anche se conosciuti a memoria, sei maledettamente anni Novanta. Non stiamo parlando, qui, neppure di quel “restiamo amici”, che ai tempi nostri faceva discutere e dibattere. Qui, ormai, cancellarsi non va più di moda, perché si continua a uscire insieme, a guardarsi le stories, a piazzare cuoricini sotto le foto. Non fanno male, non fanno bene, sono talmente diffusi e attesi che non provocano alcuno smottamento di cuori né di emozioni. Ci sono, questo basti.
Jack Ryan
Qualcuno mi ha chiesto: e se presentassi la panchina di un campo da calcio? Il problema è che non sono panchine libere, accessibili a tutti. Con questa però ci arriviamo vicino. È un campetto nel quartiere delle Semine, a sud di Bellinzona, ed è un luogo dove, quando ancora potevo permettermelo, ho giocato infinite partite in pomeriggi che sembravano durare una settimana. Non sono mai stato un grande giocatore di calcio, ma facevo il possibile. Non si può ignorare il calcio, dai cinque ai sedici anni (e anche oltre). Certo, più che partite erano piccole epopee: difensori che languivano in attesa di invasori lontanissimi, come nel “Deserto dei Tartari” di Buzzati, attaccanti isolati davanti alla porta, in cerca dei loro cinque minuti di gloria, nessun fuorigioco, pochissimi falli (bisognava proprio prendersi a pugni) e variazioni sul tema come la temuta “chi segna va in porta” (si sa, il portiere si assume tutte le colpe). E dopo ore di gioco, quando le ombre si allungavano sul campo e nessuno ricordava il punteggio, ecco la frase fatidica: “Ok, ragazzi, facciamo che chi segna vince!”.
IN VIA GHIRINGHELLI
Coordinate: 2’721’743.7; 1’116’230.3
Comodità: ★★☆☆☆
Vista: ★★★★☆ Ideale per… giocare a “chi segna vince”.
ticino7
Le cose cambiano, i sentimenti si evolvono, i giornali chiudono su carta e continuano online o sotto altre forme digitali. Forse il paragone, ancora una volta, è figlio di una narrativa conflittuale della vita che non si usa più. Ci lasciamo, ma restiamo amici. Chiudiamo il cartaceo, ma continuiamo sulla rete, aspettiamo nuove e mirabolanti proposte. Non sarò anni Novanta come vorrei e mi sforzerò di essere propositiva. No, non vi tedierò con la storia di questa rubrica disorientata. No, non vi racconterò di quando qualche grande capo chiuse il Giornale del Popolo e mi ritrovai senza una pagina in cui scrivere le mie frivolezze. Non vi racconterò di quando mi venne proposto di traslocare a Ticino7, di portare i miei quattro stracci su una copertina patinata che mi accolse a pagine aperte. Non vi dirò nulla perché ci vedremo presto con un formato diverso. Mi dicono che dovrò tirare fuori la voce, forse persino farmi vedere. Parlano di podcast e di video. Restiamo amici. Va bene, dico io. Ma non esageriamo...
(Nell’immagine: Lisandro Rota, Bla bla car; © Bottega Golini, Imola)
ALTRI SCHERMI
INTRIGHI E CORRUZIONE
La quarta e ultima stagione della serie all’insegna dell’intrigo Jack Ryan ha debuttato ieri su Prime Video, con due episodi disponibili ogni venerdì fino all’epico finale il 14 luglio. L’ultimo atto di Jack Ryan (John Krasinski) vede il protagonista affrontare la sua missione più pericolosa di sempre, alle prese con un nemico sia esterno che interno. Nel suo nuovo ruolo di vicedirettore della CIA, Jack Ryan deve portare alla luce la corruzione interna all’agenzia e indagando scopre una serie di operazioni clandestine.
COSPIRAZIONE IN AGENZIA
Nel tentativo di chiarire fino a che punto si sia infiltrata la corruzione, Jack e la sua squadra scoprono una realtà peggiore di quanto credessero – la convergenza di un cartello della droga con un’organizzazione terroristica – che rivela quanto la cospirazione sia molto più vicina a loro di come pensassero, mettendo alla prova la fiducia del nostro eroe nel sistema che ha protetto e per il quale ha sempre combattuto. Allo stesso tempo alcune operazioni intraprese dai corrotti potrebbero palesare la vulnerabilità dell’Agenzia.
DOVE ERAVAMO RIMASTI
SOPRA LA PANCA
Nella terza stagione di Jack Ryan, Jack corre attraverso l’Europa contro il tempo per impedire a una fazione all’interno del governo russo di restaurare l’impero sovietico e iniziare la Terza guerra mondiale. Dopo che il colpo di Stato è stato smascherato, il presidente russo giustizia il traditore Petrov (ex ministro della Difesa) e sradica tutti i possibili cospiratori. Gli appassionati possono recuperare le prime tre stagioni della serie già disponibili sempre su Prime Video.
TOM CLANCY
Il brillante scrittore, sceneggiatore e autore di videogiochi Tom Clancy (1947-2013) è l’autore della famosa serie di libri con protagonista l’eroe Jack Ryan. Ambientati nell’arco di diversi decenni i romanzi raccontano storie di spie, soldati e terroristi sparsi in tutto il mondo. Tom Clancy, assieme a Craig Thomas e a Michael Crichton, viene riconosciuto come esponente di un particolare genere letterario: il techno-thriller. Si tratta di un genere ibrido che attinge da fantascienza, thriller, azione e spionaggio militare.
IN PRIMO PIANO
Un'estate con CASH
Cerchiamo di non sentirla, ma non pensarci nemmeno un pochino è impossibile: quando pensiamo a CASH pensiamo subito a Clarissa, volto iconico di CASH. In realtà sentiamo la responsabilità di presentare un programma televisivo in generale: “sbarcando” nelle case delle telespettatrici e dei telespettatori si spera sempre di fare un buon lavoro, di essere apprezzati dal pubblico. Lo hanno fatto molto bene in passato, ora tocca a noi e ce la metteremo tutta per non essere da meno.
Com’è cominciata la vostra carriera in radio?
Ellis: Nel 2017, quando vivevo a Londra, è uscito un concorso under 25 di Rete Tre: cercavano 6 nuove voci.
Ho partecipato senza esitazione, sono tornata in Ticino per i casting e ho debuttato, con le altre 5 nuove reclute, nel programma Genesix, dove Julie è stata ospite.
2 concorrenti, 10 domande, 10 minuti e 1’000 Franchi in palio… sono questi i numeri di CASH, il quiz estivo della RSI che torna con una grande novità: per la prima volta il programma avrà una doppia conduzione al femminile con Julie Meletta ed Ellis Cavallini
In passato il quiz è stato condotto da Clarissa Tami - in coppia con Claude Pascal, Silvana Gargiulo e Nicola Locarnini – e da Luca Mora, con varie spalle, tra cui Lia Seddio. Ci sono stati anche vari speciali: quelli dedicati al calcio, condotti da Luca Mora e da Valentina Formenti insieme all’arbitro Oscar Cariaga, lo speciale professioni (SwissSkills), condotto da Simona Rodesino con il musicista e cantante Nicola Locarnini, e Cash Suisse, condotto da Daiana Crivelli con il musicista Fabio Martino. Quest’anno, le regole e le modalità dello storico gioco non sono cambiate, fatta eccezione per l’introduzione di un gioco in più, un piccolo aiuto che permetterà alle e ai concorrenti di saltare una domanda di cui non conoscono la risposta. Ricorrere a questo bonus, però, dimezzerà la possibile vincita. Alla vigilia del debutto del programma, abbiamo incontrato le nuove conduttrici per presentarle al pubblico.
È la prima volta, per entrambe, alla conduzione di un quiz televisivo. Come vi sentite all’idea?
Siamo gasate ed entusiaste! Non vediamo l’ora, dopo tante prove, di uscire sul territorio e giocare con le e i concorrenti. È una bellissima opportunità per noi, e siamo felici di vivere questa avventura – questa prima volta di CASH con una doppia conduzione femminile – insieme, tra colleghe ma soprattutto tra amiche.
Secondo voi, quali sono le differenze principali tra lo stare dietro a un microfono rispetto allo stare davanti a una telecamera?
In televisione è importante tener conto della gestualità e del linguaggio del corpo, bisogna entrare in empatia con il pubblico che non solo ti ascolta, ti vede. In radio, invece, non essendoci l’immagine, il rapporto con le ascoltatrici e con gli ascoltatori si “gioca” tutto con la voce, con ciò che diciamo e come lo diciamo. Essendo spesso in diretta, però, la radio ci permette un contatto diretto con il pubblico, che ti può dare riscontri immediati.
Rispetto alla radio, poi, dove siamo abituate a “autogestirci” – conduciamo e creiamo da sole – a CASH saremo parte di una squadra (tra l’altro composta da persone entusiaste quanto noi!).
In genere come ve la cavate con i quiz?
Ellis: il mio rapporto con i quiz è quello da spettatrice: non ho mai condotto né giocato, ma a casa cerco sempre di indovinare le risposte e, sulle domande di musica e le materie più umanistiche, devo dire che me la cavo bene. Ammiro molto quelle e quei concorrenti che le sanno tutte, specie le più difficili.
Julie: Io adoro i quiz, li faccio anche durante i miei programmi radiofonici, come “Nomi, cose e città”, “Trebus”, “Trova l’intruso”… ma devo ammettere che sono più brava a le fare domande che a indovinare le risposte.
Presentate un programma precedentemente condotto da nomi come Luca Mora e Clarissa Tami. Sentite questa responsabilità?
Julie: Ho scoperto il mondo della radio, che ho da subito trovato scoppiettante e dinamico, quando mi recavo negli studi per fare musica. Dopo gli studi a Losanna ho visto un bando per la ricerca di animatori per la radio e mi sono detta, perché no? Sono così entrata nel programma Accademy della RSI, uno percorso di formazione di due anni in vari settori dell’azienda, e oggi sono una animatrice di Rete Tre.
Quali pensi siano i tuoi punti di forza quando si accendono le telecamere? Pensi che qualcosa potrebbe farti paura?
Ellis: Devo ancora scoprire i miei punti di forza davanti alla telecamera, ma lascio che siano le telespettatrici e i telespettatori a farlo. L’unica paura che ho è di fare scena muta durante una puntata, di perdere improvvisamente il filo e non sapere più cosa dire.
Julie: Puntiamo tutto sulla spontaneità, come in radio, e vorremmo mantenere questa caratteristica anche in TV. Mi spaventano le gaffe, ne faccio spesso, ma riesco poi sempre a buttarla sul ridere. Sai cosa? Colgo l’occasione per scusarmi per eventuali gaffes a CASH
Cash
Dal 3 luglio dal lunedì al venerdì alle 20.40 su LA 1
Il quiz televisivo ritorna con un nuovo duo tutto al femminile
Il Rompiscatole ...torna nel mio garage
Fabrizio Casati ci presenta la nuova stagione
L’estate è cominciata alla grande: il caldo, la voglia di lago e montagna, quel desiderio di fresco che solo un ghiacciolo può darti, il richiamo delle vacanze che finalmente si avvicinano. E… quell’incredibile voglia di giocare in compagnia, che solo Il Rompiscatole può dare! Tutto questo sfuggendo dalla canicola, sempre in onda dal mio garage!
Torna l’appuntamento quotidiano con le scatole, le e i concorrenti collegati dalle loro case, i premi, il montepremi, ecco, proprio del montepremi vorrei parlarvi, in questa stagione è RADDOPPIATO (!): in 10 minuti ci sarà la possibilità di portarsi a casa 10’000 franchi (fate voi!).
Ci saranno un sacco di novità, io ve lo dico, un finale che potrebbe diventare rischiosissimo oppure super, nuove scatole, tantissimi indizi e la vostra compagnia! Si, perché, diciamocelo, io ho bisogno di voi, mentre mia moglie esce con Bacco il cane, va al lago, si gode le meraviglie estive della Svizzera Italiana, io faccio i miei lavoretti in garage, da solo, come farei senza di voi?
Per il momento cerco di preparare al meglio tutto, lustro le scatole, le vere protagoniste del programma, faccio pulizie, lucido la vespa rossa, spolvero, cambio lampadine e con mia moglie Evelin e il vicino Armando, cerchiamo premi, cose che non ci servono più, e super premi come una bicicletta elettrica da 5’000 franchi, una piscina idromassaggio, buoni spesa, weekend strepitosi… Insomma, chissà chi si prenderà il rischio, chissà quante risate ci faremo!
Io vi aspetto e sono pronto ad aprire la serranda! Buona estate e, continuo a… rompere le scatole!
Il Rompiscatole Dal 3 luglio dal lunedì al venerdì alle 19.40 su LA 1
Parte il ciclo “Notte in giallo”
Dal 4 luglio la rassegna di pellicole tratte dalla penna dei più celebri giallisti
Il ciclo “Notte in giallo” si apre con il capolavoro di Clint Eastwood “Mystic River”, film del 2003 tratto dal romanzo di Dennis Lehane “La morte non dimentica”, nel quale spiccano le interpretazioni di Sean Penn e Tim Robbins, entrambi vincitori di premi Oscar e Golden Globe per queste prove. La lista delle scrittrici e degli scrittori di questo ciclo comprende anche quella che è forse la più celebre esponente del genere, Agatha Christie, qui presente con il suo romanzo “Crooked House”, alla base del film “Mistero a Crooked House”
E ovviamente non mancherà il maestro del brivido Stephen King, autore del thriller “Dolores Claiborne”, reso cinematograficamente dal regista Taylor Hackford con “L’ultima Eclissi”. Infine una citazione per il grande scrittore newyorchese James Patterson, presente in questa rassegna con ben due film tratti da suoi thriller: “Nella morsa del ragno” con Morgan Freeman e “Alex Cross – La memoria del killer”, con Jean Reno.
4 luglio ogni martedì alle 22.55 su LA 1
Dal 24 giugno al 26 agosto ogni sabato alle 14.30 su Rete Due
Boccaccio, l’arte della narrazione 10 anni fa, sul palco dello Studio 2
La ricorrenza di un anniversario è da sempre un’ottima occasione per concentrarsi su un autore e sulle sue opere. Dieci anni fa, in occasione del settimo centenario della nascita, Rete Due e l’Istituto di studi italiani dell’Università della Svizzera italiana, organizzarono una serie di quattordici serate pubbliche con docenti universitari e scrittrici e scrittori. Dal 26 febbraio al 4 giugno, sotto la regia di Claudio Laiso, oltre ad alcune lezioni di carattere generale, si diede spazio alla reinterpretazione di una decina di novelle. Sul palco, accanto al Prof. Corrado Bologna, gli spettatori poterono seguire, nell’ordine, Gianni Celati, Michele Mari, Andrea Bajani, Ermanno Cavazzoni, Giovanni Orelli, Marcello Fois, Laura Pariani, Marco Lodoli, Margherita Oggero e Marta Morazzoni. A ripresentarci ogni incontro, che era accompagnato dai giovani musicisti della Scuola Universitaria di Musica del Conservatorio della Svizzera italiana, quest’estate, sarà Maria Grazia Rabiolo, allora responsabile del progetto per la RSI.
Un tuffo nel cinema anni ’80 e ’90
Quest’anno i titoli sono davvero dei cult, con alcuni fra i registi più celebri della storia del cinema. Tornano due cicli molto apprezzati dal pubblico: Notte ’80 e Notte ’90
Gli anni ’80 partiranno con “Cocktail” di Roger Donaldson, uno dei primi grandi successi di Tom Cruise, seguito da “Chi protegge il testimone” di Ridley Scott.
Questo decennio sarà poi rappresentato anche da un capolavoro come “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick, dalla geniale commedia dei fratelli Coen “Arizona Junior”, dal tanto chiacchierato “9 settimane e ½” di Adrian Lyne e dall’esilarante commedia di Ivan Reitman “I gemelli”, con l’improbabile coppia Schwarzenegger – DeVito.
E dal 17 agosto si passerà agli anni ’90, con film come “Dracula di Bram Stoker” di Francis Ford Coppola, “Gli spietati” di Clint Eastwood e “La morte ti fa bella” di Robert Zemeckis.
La serie si completa con “Get Shorty”, “Shakespeare in Love” e “Cop Land” Titoli per tutti i gusti insomma, per rilassarsi nelle calde serate estive in compagnia del cinema targato RSI.