T7 N45 Inserto laRegione

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L’arte delle ‘nuvole’:

tra disegno e scrittura

L’uomo parassita in un mondo sempre più caldo

ticino7

Per cogliere la complessità e le conseguenze locali di ciò che genericamente viene indicato come ‘il cambiamento climatico’, basta visitare il portale della Confederazione e leggere il contributo Organismi nocivi invasivi e cambiamenti climatici: aumento dell’idoneità climatica e della disponibilità di piante ospiti, elaborato dal National Centre for Climat Services (NCCS).

In pratica si spiega, tra le altre cose, come se da una parte l’instaurarsi in Svizzera di climi più caldi permette all’agricoltura la coltivazione di nuove piante, queste presenze vegetali aumentano il rischio dell’arrivo “di nuovi insetti nocivi”.

Tra i parametri osservati con attenzione (in particolare a mediolungo termine) vi è la soglia degli ‘zero gradi’ a cui solitamente si scende nei mesi freddi: “(...) Soprattutto nelle regioni più basse

come l’Altopiano e il Ticino, le temperature saranno superiori alla soglia degli 0° C. Ciò significa che in queste regioni potranno insediarsi nuovi insetti nocivi e che ci si deve quindi attendere un rapido aumento della pressione dei parassiti”. Se anche voi siete tra coloro che hanno dovuto convivere da fine maggio a novembre inoltrato con zanzare tigre, vespe giganti, moscerini e altri insettini – temibili zecche incluse, ‘bestie’ a cui vi rimandiamo nelle prossime pagine –, mettetevi il cuore in pace: salvo improvvise e improbabili nuove piccole glaciazioni, anche i fondovalle del nostro cantone sono destinati a diventare spiagge mediterranee (le famose ‘Maldive’, si sa, già non ci mancano). Per ulteriori aggiornamenti, mercoledì 16 novembre a Bienne si terra il 5° Forum annuale NCCS. Speriamo bene.

sabato 12 novembre 2022 1 Ticino7 numero 45
A CURA DELLA REDAZIONE
© FRÉDÉRIC PAJAK

CHE ZECCA!

Piccole

indesiderate

fastidiose e a volte anche pericolose

globale sulla frequenza delle morsicature ce la si può comunque fare estrapolando i dati dall’app Zecca (scaricabile sui telefonini o consultabile direttamente online, dove chiunque può notificare una morsicatura): in agosto quelle auto-segnalate in tutta la Svizzera sono state 1’123, contro le 1’433 dell’agosto 2021. Fino al 2020, per contro, i dati venivano estrapolati dal sistema Sentinella (riferito a un campione di studi medici che li segnalavano). Nel 2021, complessivamente, le morsicature da zecche registrate sono state 6’854 (6’191 tra gennaio e agosto). Quest’anno, il totale aggiornato ad agosto ne contempla 5’710”.

Come rimuovere correttamente una zecca

Afferrarla il più vicino possibile alla pelle con una pinzetta sottile

Eseguire una trazione lenta e decisa fino a staccare la zecca

Disinfettare il punto della morsicatura

Annotare sul calendario la data della morsicatura

Tenere sotto controllo il punto della morsicatura 6 Consultare il medico solo in caso di sintomi

Borreliosi ed encefaliti sono i maggiori pericoli delle loro morsicature. Le autorità sanitarie confermano che il Ticino (con Ginevra) è il solo cantone a non essere ‘zona endemica’. Ecco perché è meglio evitare di entrare in contatto con loro, come difendersi da questo insidioso parassita e il racconto di chi le conseguenze le ha vissute (e tuttora le vive) sulla pelle

In nove mesi, in Svizzera sono stati censiti più del triplo di casi di meningoencefalite – la cosiddetta Fsme – di quelli complessivi che, a titolo di paragone, erano stati ravvisati dieci anni fa: oltre trecento segnalazioni da inizio 2022 contro uno scarso centinaio. Cifre allarmanti, che negli scorsi giorni avevano appunto portato il medico e specialista del ramo Norbert Satz a suonare l’allarme, ritenendo che molti problemi si potrebbero evitare se la popolazione fosse vaccinata.

In Svizzera, spiega il medico cantonale Giorgio Merlani, sono due le malattie trasmesse dalle zecche. “Da un lato abbiamo la borreliosi, che è una malattia batterica, e dall’altra, appunto, l’encefalite, che, invece, è un virus. Un virus che può anche avere decorsi differenti: nella sua forma minore (circa nel 70% dei casi) è praticamente asintomatico, in altri casi (dal 10 al 30%) si manifesta con sintomi di tipo influenzale senza una chiara causa, ma in una piccola parte può evolvere in una vera e propria meningoencefalite, ossia in un’infiammazione delle meningi e del sistema nervoso centrale, portando a cefalee importanti o a deficit di mobilità. Paradossalmente, pur essendo due tipi di malattia di diversa natura, anche la borreliosi può portare a questo genere di sintomi, con la differenza che gli stessi possono manifestarsi pure a grandissima distanza dalla morsicatura di zecca”. Qual è il decorso della malattia? “Nella maggior parte dei casi, la guarigione è completa. A volte, però, l’encefalite può provocare danni permanenti o addirittura, in una piccola percentuale, portare al decesso. Il problema maggiore è che per l’encefalite non esistono terapie specifiche, mentre per la borreliosi, trattandosi di un battere, una cura a base di antibiotico, pur complicata e lunga che sia, è generalmente efficace”. A livello di casistica, ci sono categorie più a rischio di sviluppare decorsi gravi in caso di infezione? “Ciò che abbiamo notato è che i più giovani sono meno inclini a sviluppare decorsi gravi, praticamente assenti nei bambini fino ai 6 anni di età; probabilmente per una questione immunologica. La percentuale più alta di complicazioni, seppur lieve, la si riscontra tra le persone anziane. Va pur detto che lo spettro dell’età è in stretta correlazione a come la gente si muove nei boschi, ossia dove le zecche vivono: in generale, l’incidenza relativa è più alta nell’anziano, ma la probabilità di infettarsi dipende dalla frequentazione dei boschi”.

Come premunirsi?

“La meningoencefalite si può prevenire con un ciclo di tre vaccinazioni, con un’ulteriore dose di richiamo a una decina di anni di distanza”, afferma Giorgio Merlani. Vaccinazioni che, oltre San Gottardo, possono essere effettuate anche in determinate farmacie. E in Ticino? “No, per ora sono solo gli studi medici a effettuarla. La vaccinazione contro il Covid ha fatto da apripista per questo genere di pratiche in farmacia, ma ora come ora per l’encefalite occorre far capo al medico. Contro la borreliosi, per contro, in Europa non c’è un vaccino specifico”. Il medico cantonale snocciola poi qualche dato per ‘fotografare’ meglio il problema delle zecche a livello svizzero: “Per i casi Fsme la dichiarazione è obbligatoria, per cui abbiamo un quadro preciso, mentre per quelli di borreliosi disponiamo di alcuni report. A ogni buon conto, a oggi in Ticino, benché un recente studio abbia permesso di individuare il virus dell’encefalite anche in animali come le capre, non abbiamo ancora avuto casi di persone infettatesi al di là di ogni dubbio nei nostri boschi (quest’anno ce n’è effettivamente stato segnalato uno sospetto, per il quale sono comunque ancora in corso accertamenti), ma solo casi, peraltro nemmeno così frequenti, di infezione ‘importata’ da oltre San Gottardo. Non a caso, assieme al canton Ginevra, il Ticino è il solo della Svizzera a non essere considerato zona endemica. Un’idea

La dermatologa: ‘Casistiche relativamente frequenti’ Quali sono i sintomi che una persona può sviluppare in caso di una puntura da zecca infetta? E come vengono trattati a livello medico? “La reazione più frequente è la comparsa di quello che in termine medico si chiama eritema cronico migrante, che si manifesta a livello cutaneo – osserva la dermatologa Amanda Marcollo Pini –. La puntura di una zecca portatrice di agenti patogeni non provoca sintomi immediati particolari, ma capaci di manifestarsi giorni se non addirittura settimane più tardi (solitamente tra i dieci e i trenta giorni, ma anche oltre), ragion per cui spesso la comparsa di questi sintomi non viene immediatamente associata a una zecca. In sé, il paziente si accorge della comparsa di una macchia strana che sembra quasi in movimento: una volta la nota magari sulla gamba, che si ingrandisce, per poi sparire, salvo scoprirne una nuova magari sul braccio, dando appunto un po’ l’idea che migri”. Sull’incidenza di questi casi, la nostra interlocutrice non si sbilancia: “Sì, nel mio studio capita con una certa frequenza di trattare casi simili, ma non posso generalizzare e dire che anche i miei colleghi siano altrettanto sollecitati da queste problematiche. Di certo, a ogni buon conto, non sono patologie così rare”. E come vanno trattate? “L’eritema cronico migrante va curato con una terapia antibiotica, generalmente per due settimane; effettivamente si tratta di una cura un po’ ‘tosta’, ma che permette di risolvere il problema”. Ciò non vuol però dire che non possa anche provocare danni permanenti: “Se non trattata, la puntura di una zecca infetta può anche portare a problemi a livello cutaneo, come la comparsa di granulomi da borreliosi (che spesso si manifestano con l’ingrossamento del lobo dell’orecchio, o con altri rigonfiamenti della pelle: la linfoadenosi cutis benigna). Il pericolo più grosso, però, è quello di sviluppare una neuroborreliosi o una meningopolineurite – riconoscibile perché causa di forti dolori alla testa – o, ancora, una radiculomielite, capace di intaccare il sistema nervoso e che può pure risolversi con una paralisi. A lungo andare può anche portare all’acrodermatitis cronica atrofica: un assottigliamento dello strato cutaneo che lo rende più esposto alla formazione di ulcere. Di per sé non si tratta di qualcosa di direttamente pericoloso, ma sicuramente parecchio debilitante”.

Il veterinario: ‘Cani e gatti meno a rischio’ Casistiche di encefaliti da zecche in aumento anche per gli animali? “Non particolarmente, almeno non in Ticino – osserva il veterinario Mauro Cavalli –. A sud delle Alpi, generalmente, le zecche sono presenti quasi tutto l’anno, con un picco in marzo-aprile e uno in settembre-ottobre. Date le sue particolari condizioni climatiche e biologiche, per rapporto al resto della Svizzera, il nostro cantone è comunque da sempre ritenuto una zona particolarmente prolifica per le zecche. Penso, per esempio, alla bassa Vallemaggia, non a caso spesso oggetto di studi approfonditi in materia”.

L’elevata concentrazione di zecche, a ogni buon conto, per quanto concerne il mondo animale non preoccupa più di tanto il veterinario: “No, perché fortunatamente, quelle presenti alle nostre latitudini non sono così problematiche per gli animali, in quanto non portatrici di quelle malattie che spesso vengono loro trasmesse in altri Paesi europei. O lo fanno solo raramente. È vero che una trentina d’anni fa qualche caso endemico lo si era riscontrato, ma col passare degli anni sono diventati sempre meno frequenti: a volte capita di riscontrare qualche caso di borreliosi, piroplasmosi o babesioni nei cani, ma si tratta di cifre contenute, la cui gestione non presenta particolari complicazioni. Diciamo che la zecca è più che altro percepita come un essere ‘schifoso’ da parte del padrone che come animale capace di creare seri problemi alla salute a un cane o un gatto. Anche perché in caso di puntura disponiamo di medicamenti efficaci per contenere gli effetti indesiderati. Fatta eccezione per qualche caso isolato, il tutto si risolve con un po’ di malessere, con qualche linea di febbre e nulla più; sintomi che si possono trattare con una normale cura antibiotica. Il problema, semmai, lo si riscontra con gli animali da reddito, come capre e pecore, che nei periodi dell’anno più caldi si ritrovano praticamente pieni di zecche”. Sono davvero efficaci i collari antipulce? “Sì, sono un buon deterrente. Ma in generale, visto che contengono piretro, sono abbastanza nocivi per l’ambiente, specie se l’animale va in acqua o lo morde. Il consiglio è dunque quello di optare per le apposite pastiglie, molto meno problematiche sotto questo aspetto e che hanno un’efficacia attorno al 99%”.

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L’APPROFONDIMENTO DI MORENO INVERNIZZI
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FONTE: UFFICIO DELLA DIVISIONE DELLA SALUTE PUBBLICA DEL CANTON TICINO

Utile da sapere

• Togliere la zecca il più presto possibile. Se la zecca rimane attaccata per meno di 12 ore, la probabilità di contrarre una malattia è molto bassa.

• Non è vero che la zecca ricresce.

Le testimonianze

Sophie e Nadia ci sono passate. Loro, l’incubo della borreliosi l’hanno vissuto in prima persona, ma fortunatamente adesso è solo un brutto ricordo (almeno per la prima, visto che Nadia ancora oggi è confrontata con qualche sintomo), storia di diversi anni fa (sedici per la prima, diciassette per la seconda). Per entrambe però ancora ben presente nella loro testa. Sheila, per contro, con la borreliosi deve convivere tutt’oggi. Tre storie diverse, che hanno deciso di raccontarci.

Un calvario che dura da oltre un anno e mezzo Il suo calvario non è ancora finito. E per Sheila dura ormai da quasi due anni. “Verosimilmente, perché io la zecca non l’ho mai vista, sono stata morsicata nel novembre del 2020, in montagna, in Verzasca – inizia a raccontare l’oggi 48enne –. Certo, si fosse notata subito la zecca, molto probabilmente il decorso non sarebbe stato così brutale. Poco prima di Natale ho iniziato ad accusare i primi sintomi, improvvisi ma anche piuttosto forti: dolori, nausea... Mi sono precipitata al pronto soccorso per un veloce esame, più che altro per capire se si trattava di Covid, visto che allora era la prima cosa a cui si pensava alla comparsa di sintomi come quelli. Ma, effettivamente, di quello non si trattava, per cui una volta passati i disagi, ho ripreso la mia vita regolarmente”. Col passare del tempo, però, qualche sintomo si manifesta ancora: “Mi capitava spesso di avvertire dolori a qualche articolazione che duravano per un paio di giorni: una volta un braccio, un’altra un’anca, poi una spalla... Essendo una persona piuttosto attiva, pensavo però che fosse a causa di qualche sforzo eccessivo”. A complicare le cose ci si mette poi il coronavirus, che in primavera arriva per davvero: “Il 1. aprile 2021 sono risultata positiva al Covid, con un decorso veramente brutale: sono stata malissimo. Non ero ancora vaccinata, ma la violenza con cui mi ha investita era davvero tanta considerando le mie condizioni fisiche e la mia età. Mi ci sono volute due settimane per vincere questo virus, ma anche dopo le cose non sono migliorate. Anzi, ho iniziato ad avvertire grosse fitte al braccio sinistro e a perdere sensibilità a parte della mano. A quel punto mi sono fatta visitare prima dal medico curante e poi dal neurologo, perché ritenevano potesse trattarsi di qualcosa legato al collo o alla colonna vertebrale. Esami che hanno effettivamente evidenziato che qualcosa non andava, senza tuttavia trovarne la causa esatta. È solo dai successivi esami ematici che è emersa la borreliosi”. Storia di maggio 2021. Ma il calvario di Sheila non è certo finito lì, anzi... “A inizio giugno i medici hanno deciso di sottopormi a esami più approfonditi, per verificare se il liquido infetto non si fosse trasmesso al liquor, ossia il fluido contenuto nel cervello e nel midollo spinale (detto anche liquido cerebrospinale, ndr)”. Esami che purtroppo nel suo caso hanno dato esito positivo: “Ho iniziato la cura antibiotica, per due settimane. Ma, invece di migliorare, le mie condizioni peggioravano ancora, al punto che avevo difficoltà ad alzarmi, facevo fatica a connettere, balbettavo e accusavo tremori. Passato qualche tempo, in clinica ho iniziato la riabilitazione motoria. Verso la fine 2021-inizio 2022 ho provato anche a riprendere a lavorare, al 20%, ma con molta fatica. Parallelamente mi sono sottoposta ad altre analisi del liquor: la prima volta i valori erano migliorati. Pensavo che il peggio fosse passato, ma lo scorso aprile, altre analisi avevano denotato un rallentamento nel processo di guarigione rispetto alla volta precedente. Le ultime analisi, per fortuna, hanno mostrato un certo miglioramento. Al di là di tutto, il problema non è il dolore. Soprattutto per una persona come me, la cui soglia del dolore è abbastanza alto. La cosa più dura da accettare e con cui convivere è la durata del decorso: non poter più fare le cose di tutti i giorni, come guidare, cucinare...”.

‘La cosa più esasperante era il non poter dormire di notte a causa dell’occhio aperto’ Storia di sedici anni fa, si diceva, per Sophie. Quella mattina per lei, allora una bambina di nove anni di Quartino, doveva essere una giornata normale, come tante altre. Ma si accorge quasi subito che qualcosa non va. “In sé non ho mai visto la zecca... responsabile del fattaccio, e sicuramente questo ha fatto sì che l’origine dei miei disturbi non fosse chiara sin da subito. Ma quella mattina ricordo di essermi svegliata con metà faccia praticamente paralizzata. La parte destra: l’occhio restava sempre aperto e non riuscivo più a chiudere le palpebre. Anche la parte destra della bocca era bloccata, aperta, rendendomi impossibile mangiare e bere; pure la lingua era per metà insensibile...”.

In assenza di evidenti indizi riconducibili alla puntura di una zecca, però, inizialmente pensa ad altro: “Lì per lì non ho dato molto peso a questi sintomi, forse perché ero piccolina... Ho pensato che, forse, fossero dovuti a un colpo di freddo e che dunque presto sarebbero passati”. Quando però la sera la situazione non cambia, un campanello d’allarme suona: “Vedendo che ancora a sera non riuscivo a chiudere l’occhio né a mangiare o bere, mia madre ha deciso di portarmi all’ospedale di Bellinzona per una visita di controllo. Dove in un primo momento si era pensato di sottopormi a tutta una serie di esami approfonditi, anche a livello cerebrale, per capire cosa avessi.

• Non usare liquidi (benzina, olio, alcool ecc.) perché potrebbero provocare un aumento della salivazione e il rigurgito della zecca e quindi aumentare il rischio di un’eventuale trasmissione di microorganismi.

• Non è vero che va nella circolazione sanguigna.

• Se schiacciate la zecca o non riuscite a toglierla completamente lasciando nella pelle il suo apparato boccale (comunemente chiamato testa), non allarmatevi; l’apparato boccale sarà eliminato con la ricrescita della pelle.

È stato lì che mia madre ha avuto un’intuizione: si era ricordata che nelle frequenti visite ai nonni a Berna, spesso andavamo a passeggio nel bosco e ha dunque chiesto che mi venissero fatte anche le analisi per individuare l’eventuale contagio da borreliosi. Che, infatti, hanno confermato che si trattava proprio di quello”. Individuata la causa, per Sophie inizia subito la cura: “A base di antibiotico: ogni giorno, per tre settimane, veniva un’infermiera a casa per somministrarmelo in vena. Per il resto, comunque, la mia vita scorreva normalmente: non ho fatto degenza in ospedale, e, anzi, di giorno andavo a scuola regolarmente. Dopo otto giorni di antibiotico, finalmente, ho lentamente riacquistato un po’ di sensibilità alla parte destra della faccia. Poi tutto è andato relativamente veloce: altri trequattro giorni e sono finalmente riuscita a richiudere bocca e occhio normalmente”. Un sospiro di sollievo dopo lo spavento: “Al di là di tutto non è stato così drammatico: una volta scoperta l’origine di quella paralisi e dunque individuata la cura, tutto è andato per il meglio. Il disagio più grosso era il fatto che di notte, con l’occhio aperto, non riuscivo a dormire: la mancanza di sonno è stata esasperante. Per riuscire a dormire qualche ora dovevo chiudere la palpebra con il nastro adesivo”. Nella sfortuna, Sophie cerca di vedere il lato positivo: “I dottori mi hanno detto che sono stata fortunata a contrarre la borreliosi a quell’età, perché più in là la si prende, maggiore è il rischio che i sintomi perdurino nel tempo. Inoltre, il fatto che la malattia si sia manifestata attraverso sintomi così acuti ha permesso di individuarla tempestivamente: ci sono persone che la sviluppano in forma latente, senza sintomi chiari ma con tutta una serie di disagi, dalla stanchezza generale al mal di testa, ma se la portano appresso per anni”.

Il calvario di Nadia, incinta da sei mesi

Per certi versi simile, ma con un decorso decisamente diverso, è la storia di Nadia. “A me è capitato diciassette anni fa, il 29 settembre per la precisione: allora avevo 39 anni, e per giunta ero al sesto mese di gravidanza – racconta l’oggi 56enne locarnese –. Quel giorno lo ricordo ancora bene. Come ogni altra mattina, mi ero alzata e preparata per andare al lavoro. La giornata era iniziata normalmente. Poi, a un certo punto, quando ho provato a bere un sorso d’acqua, direttamente dalla bottiglietta, me la sono rovesciata addosso. Ho pensato a un momento di sbadataggine. E quando più tardi la scena si è ripetuta, ho semplicemente pensato che non fosse giornata per bere dalla bottiglietta, nulla più... Passate un paio d’ore, un mio collega mi ha fatto notare come quel giorno avessi una faccia un po’ strana, ma non avvertendo dolori o altre stranezze, ho continuato a lavorare come se nulla fosse. È stato quando ho iniziato a sentire la lingua che si addormentava, uno strano formicolio nella sua parte destra, che ho iniziato a preoccuparmi: ho chiamato il medico, che visitandomi ha subito notato che la parte destra del mio viso era come paralizzata. Sono allora stata inviata da un neurologo. Dalle analisi del sangue è poi emersa la mia positività alla borreliosi, benché a mia memoria non ricordavo di essere stata punta da una zecca. Fin lì però non avevo dolori particolari”.

I sintomi, tuttavia, si sono manifestati in seguito: “Essendo incinta non potevo curarmi con il cortisone, per cui, a quei tempi non c’erano grandi rimedi con cui combattere l’infezione. Solo antidolorifici e poco altro, per cui per due mesi abbondanti è stato un inferno. Ho dovuto fare anche una risonanza e sottopormi al prelievo del midollo spinale per verificare che non avessi sviluppato una meningite, visto che nel frattempo si erano manifestati pure fortissimi dolori alla testa. E la parte destra del volto, nel frattempo, si era completamente sfigurata. La bocca era tutta storta, al punto che dovevo mangiare solo cose liquide, usando la cannuccia, e l’occhio completamente aperto, che dovevo continuare a idratare con gocce speciali per evitare che la retina si seccasse e chiuderlo per poter dormire...”. Poi, finalmente, ecco il rimedio: “L’antibiotico che facesse al mio caso l’hanno individuato tre settimane prima del parto, e a quel punto facevo la spola tra la casa e l’ospedale, per un’infusione quotidiana di un’ora di antibiotico”. E il parto come è andato? “Fortunatamente è andato tutto liscio. Mio figlio è nato sano come un pesciolino. Un po’ tanto vivace, forse, ma niente fa credere che possa essere una conseguenza della borreliosi. E questo è stato un enorme sollievo per me: i mesi precedenti il parto sono stati molto stressanti e carichi di preoccupazione; alla fine ho potuto tirare un bel sospiro”.

A diciannove anni di distanza, qualche strascico la borreliosi lo ha però lasciato in Nadia: “Sì, in particolare, il trigemine, il nervo facciale, mi provoca ancora delle fitte di dolore, specie quando sono affaticata o quando fa freddo. E quando sono particolarmente stanca, guardandomi in faccia, una certa differenza tra la parte sinistra e quella destra la si nota. Ma medicamenti non devo comunque più prenderne, e anche i controlli susseguenti sono durati ancora qualche mese dopo il parto. Dopodiché per due anni ho dovuto sottopormi a sedute di fisioterapia, facendo quasi da cavia al mio fisioterapista visto che a quei tempi i trattamenti specifici non erano così diffusi”. E ora com’è il rapporto con le zecche? “Prima di allora non ci avevo praticamente mai avuto a che fare direttamente. Ora, invece, ne provo una certa repulsione. Al punto che quando ne scopro una attaccata al mio cane, per farla rimuovere chiamo una mia amica: l’idea di farlo io non mi sfiora nemmeno”.

Cosa sono le zecche

Parassiti esterni, dalle dimensioni che, a dipendenza della specie e dello stadio di sviluppo, possono variare da qualche millimetro fino a circa un centimetro, le zecche sono artropodi (animali invertebrati protostomi celomati, che comprendono circa i 5/6 delle specie finora classificate) che si dividono in due sostanziali categorie: gli Ixodidi (o zecche dure, per la presenza di uno scudo dorsale coriaceo) e gli Argasidi (o zecche molli, senza scudo). Complessivamente, nel mondo, le specie classificate sono circa 900, ma alle nostre latitudini quelle presenti sono circa una quarantina. Le più diffuse e rilevanti da un punto di vista sanitario in Europa sono Ixodes ricinus (la zecca dei boschi), Rhipicephalus sanguineus (la zecca del cane), Hyalomma marginatum e Dermacentor reticulatus

Il loro ciclo vitale comprende quattro stadi: uovo, larva, ninfa e adulto. Dopo la schiusa delle uova, per il passaggio da uno stadio a quello successivo la zecca necessita di nutrimento, che ricava dal sangue. Sangue di cui abbisognano anche le femmine adulte per la maturazione delle uova. Generalmente, per quanto riguarda la selezione delle proprie ‘prede’, le zecche non hanno esigenze particolari: dai cani ai cervi, passando per gli scoiattoli (come pure gli uccelli). Il loro ’pasto’ – ininterrotto – può durare da alcune ore (per le zecche molli) a giorni interi o, addirittura, in taluni casi, anche settimane (zecche dure).

Caldo e umidità per l’habitat ideale Fatta salva qualche eccezione, il problema delle zecche è generalmente circoscritto alla stagione estiva: sono infatti alte temperature e umidità gli ‘ingredienti’ che ne favoriscono la loro presenza. In inverno, invece, tendono a proteggersi cercando riparo tra le pietre o interrandosi in profondità (quelle molli possono anche svernare nelle fessure delle rocce o nelle crepe dei muri). Il loro habitat preferito è rappresentato da luoghi ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva, con preferenze ambientali che dipendono dalla specie. La zecca dei boschi prospera in presenza di clima fresco e umido, mentre la zecca del cane frequenta maggiormente zone a clima caldo e asciutto o dove la vegetazione è più rada. La presenza delle zecche dipende essenzialmente dalla presenza di ospiti da parassitare sul territorio. Per questo, luoghi come stalle, ricoveri di animali e pascoli sono tra i loro ambienti preferiti. Incapaci di volare oppure saltare, generalmente attendono le loro ‘prede’ – rilevate grazie all’anidride carbonica e al calore del corpo – sull’estremità delle piante erbacee o dei cespugli, per poi aggrapparvisi. La puntura è generalmente indolore perché al momento del morso, la zecca inocula nella persona una certa quantità di saliva dalle proprietà anestetiche. Generalmente le zecche rimangono attaccate all’ospite per un periodo che varia tra i 2 e i 7 giorni e poi si lasciano cadere spontaneamente.

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Storie tra parole e disegni

Negli ultimi vent’anni, il fumetto si è conqui stato uno spazio nuovo nella cultura italiana: le grandi case editrici gli dedicano collane specializzate, le librerie gli riservano scaffali, i giornali rubriche. E non c’è genere – dal reportage all’autobiografia, dal giallo al saggio – che non sia esplorato dal fumetto, a dimostrazione che questo mezzo espressivo permette, al pari della scrittura, di parlare di tutto. Con la pagina “Nuvole” raccontiamo un’arte vitale e consigliamo qualche lettura.

Prova a immaginare: è il 1830, la prima ferrovia è appena stata inaugurata e stai salendo su un treno per la prima volta. Fino a oggi hai viaggiato solo a piedi, a cavallo o in carri e carrozze. Qui l’esperienza è tutta diversa: il treno scorre con scioltezza mai vista e sul piano la velocità è tale che dal finestrino tutto si confonde: “I fiori sul ciglio del campo non sono più fiori, ma macchie di colore, anzi strisce rosse o bianche”, scrive Victor Hugo nel 1837. Con il treno, per la prima volta si “vede” la velocità da fermi: spettatori comodamente seduti che dai finestrini osservano il mondo distorcersi. Questa visione tutta nuova trova presto espressione in un mezzo di comunicazione che era già stato sperimentato in precedenza, ma solo ora –grazie all’opera di figure come lo svizzero Rodolphe Töpffer, con le sue “storie in stampe” – si consolida in un linguaggio a sé: è il fumetto, che prima ancora del cinema saprà catturare

Ben Gijsemans ‘Hubert’

Se il fumetto e il cinema nascono con il “mondo in movimento” dell’Ottocento, e di questo rapporto con il dinamismo fanno presto il proprio baluardo (Hitchcock dirà che “il cinema è la vita con le parti noiose tagliate”, mentre il fumetto per antonomasia, negli Stati Uniti, sarà a lungo quello di supereroi), non mancano gli autori che rifiutano i ritmi concitati: i registi del cosiddetto “slow cinema”, per esempio, creano film dominati da “long take” e trame minime. Ecco, si potrebbe dire che Hubert, esordio (ancora inedito in italiano, ma disponibile in francese e inglese) del giovane belga Ben Gijsemans, sia un esempio di “fumetto lento”. Parla di un uomo solitario che passa le giornate nei musei, dove studia i quadri di cui, a casa, riproduce i dettagli (o meglio: le figure femminili). Di questa trama esile, l’autore fa un pretesto per riflettere sul fumetto e i suoi meccanismi. Il libro si apre con una sequenza che riproduce il vagare dello sguardo di Hubert sul quadro di Constant Montald La fontaine de l’inspiration: in ogni vignetta ce n’è un dettaglio (ninfea, ramo, piede); Gijsemans introduce così dentro al fumetto una modalità di lettura che questo di solito nega: invita chi legge a contemplare la singola vignetta, invece di esortarlo ad avanzare nella sequenza. In altri passaggi, troviamo serie di vignette quasi identiche che ci mostrano Hubert sostare davanti a un’opera: invece di sintetizzare questa azione in una singola immagine, Gijsemans ce ne fa saggiare la durata. Ne nasce un racconto della contemplazione; un’esplorazione, attraverso il fumetto, di un diverso tipo di movimento: il passare del tempo.

‘Manifesto incerto 1, 2 e 3’

Se si riflette sul rapporto tra testo e immagine, non si può sfuggire al Manifesto incerto: nei suoi nove volumi Frédéric Pajak, Gran Premio svizzero di letteratura 2021, ha percorso la zona grigia tra fumetto, illustrazione e letteratura. Salvo significative eccezioni, ogni pagina dei primi tre libri (i soli apparsi, per ora, in italiano) è composta da una vignetta quadrata, senza parole, e un testo che scorre sotto di essa, dove si raccontano le vite di alcune figure del Novecento (Benjamin, Breton, Pound) intersecandole con esperienze e riflessioni dello stesso Pajak. “Per anni ho cercato un modo per riconciliare parole e immagini” ha raccontato a settembre al Festival Babel. “Poi ho capito: la soluzione era lasciarle inconciliabili”. In effetti, nel Manifesto il rapporto tra testo e immagine è sfuggente: a volte le immagini sembrano mostrare ciò che racconta il testo (personaggi, luoghi…), altre s’avventurano per sentieri propri e oscuri (una galleria di ritratti di cani, degli attori in scena…). Potrebbe allora venire la tentazione di sorvolarle; ma se si prova a leggere il testo senza di loro, qualcosa si inceppa: è come se la loro sequenza, per quanto misteriosa, tracci un binario su cui la lettura scorre saltando le asperità del testo e congiungendo fili narrativi anche molto distanti. In questo senso, Pajak sembra ribaltare il rapporto testo-immagine che vige nei fumetti tradizionali: se di solito il testo è ciò che conferisce un ordine di lettura ai disegni, esortando chi legge ad avanzare, qui parrebbe che siano i disegni a invitare a procedere nel testo, superando la contemplazione del singolo paragrafo. Un tale rovesciamento è possibile solo a una condizione: che la formafumetto sia ormai tanto consolidata da poter giocare con libertà assoluta con le sue strutture; e così, con il monumento del Manifesto, Pajak non traccia soltando un percorso sconquassato e solenne attraverso il Novecento (“noi siamo, nostro malgrado, gli eredi delle ideologie del ’900. Ne siamo gli ospiti inebetiti, languiamo nel rifiuto delle loro illusioni ancora tiepide”), ma ci parla di una forma d’arte che ha raggiunto la piena maturità.

il movimento in inquadrature simili (guarda caso) a finestrini. Per raccontare il “mondo in movimento” il fumetto si appella a due mezzi espressivi esistenti (la scrittura e il disegno) e li unisce, ibridandoli. Da una parte, il testo si trasforma in immagine: collocato in una vignetta, diventa parte della composizione, un elemento grafico come gli altri. Dall’altra, l’immagine assorbe una proprietà del testo: lo sguardo non è libero di vagare come di fronte a un dipinto, in contemplazione, ma viene incanalato in una lettura lineare che segue un ordine fisso (in italiano, da sinistra a destra) e che incalza chi legge ad avanzare. Da questa fusione si delinea una sequenza che riproduce sulla pagina, appunto, il movimento nello spazio e nel tempo. È l’inizio di una nuova arte per una nuova epoca: un’epoca (la nostra) che sarà dominata dalle immagini e dall’invito ad accelerare, accelerare, accelerare…

Posy Simmonds GRAN PREMIO TÖPFFER 2022

Il 1. dicembre il Cantone e la Città di Ginevra attribuiranno il Gran Premio intitolato al pioniere del fumetto Rodolphe Töpffer (di cui parleremo prossimamente) alla britannica Posy Simmonds. Simmonds è una delle autrici più “romanzesche” del fumetto contemporaneo: i suoi lavori, spesso ispirati a classici letterari (Gemma Bovery a Madame Bovary, Tamara Drewe a Via dalla pazza folla), ricordano i romanzi dell’Ottocento per l’attenzione al grande coro sociale e la minuzia con cui tratteggia le psicologie dei personaggi, in testi e disegni soffusi di ironia ed empatia. Uno dei suoi migliori lavori, Tamara Drewe, racconta di una residenza per scrittori nella campagna inglese, dove il quieto scorrere delle stagioni è interrotto dall’irrompere della giornalista Tamara. Tra limpidi sguardi sui rapporti familiari, sprofondamenti nelle angosce della vita di provincia e scherno verso il mondo letterario (già bersaglio dell’autrice nella rubrica per il Guardian Literary Life), Simmonds compone un’opera magistrale, dando un nuovo significato all’abusata etichetta di “romanzo grafico”.

sabato 12 novembre 2022 4 Ticino7 NUVOLE DI SARA GROISMAN
IN FRANCESE EDITO DA DARGAUD NELLA TRADUZIONE DI MONIQUE NAGIELKOPF; IN INGLESE DA JONATHAN CAPE NELLA TRADUZIONE DI JULIA BLACKBURN Frédéric Pajak

Gino La Rocca

Classe 1944 e un nome che sembra quello di un divo del cinema degli anni Trenta. Gino è nato in Calabria, a Frascineto, insediamento albanese in territorio italiano. Poche classi di scuola elementare e poi il lavoro che lo ha portato in Ticino nel 1961. Da oltre 40 anni Gino coltiva l’orto che sovrasta la trincea della ferrovia, all’altezza del ponte tra Lugano e Massagno. Uno spazio di resistenza che cura con ingegno, intuizione, e fatica. Dice che prima o poi lo lascerà. Ma per ora non si è ancora stancato.

Ci siamo dati appuntamento alla vecchia maniera, di persona, un giorno in cui passavo da Via del Ponte. “Vengo domani mattina alle 8 meno un quarto, d’accordo? Così mi racconta la sua storia”. Nessuna conferma via messaggio WhatsApp o roba del genere. E ho quasi il dubbio che il giorno dopo lui non ci sarà. Ma l’indomani Gino c’è. Fa capolino da dietro un filare di zucchine trombetta. È lì, come ogni giorno, nell’orto situato ai margini della ferrovia, sopra quella che tutti da sempre chiamiamo la trincea di Massagno.

Il

Mediterraneo

a Massagno

Non c’è un vero cancello: si scavalca la parte bassa della recinzione e si entra in un piccolo universo meraviglioso dove il primo odore che colgo è quello del letame che si sta sciogliendo nell’acqua. Siamo all’inizio di ottobre, il sole è arrivato da poco, fa fresco, fra qualche settimana a quest’ora qui ci sarà la brina, ma per ora si coltiva ancora. “Vede che bel sedano?”, mi dice Gino con malcelato orgoglio, invitandomi a guardare sotto la stoffa bianca leggera che copre una piccola serra improvvisata. “Sta crescendo bene. E qui c’è ancora l’insalata. L’ho appena piantata, fa caldo, siamo ancora in tempo”.

L’accento di Gino è quello del Sud Italia: Calabria, provincia di Cosenza. Il villaggio dove è nato si chiama Frascineto... “È un paese fondato da albanesi, italiano e albanese da sempre, mica come accade con gli arrivi di oggi che cambiano tutto e la gente si arrabbia. Io l’albanese l’ho sempre parlato, ma non è lo stesso di quello di oggi, il mio è il vero albanese”. Gli credo sulla parola. Gino è giunto in Svizzera nel 1961: ha lavorato dapprima per dieci anni come stagionale in una pensione di Via Tesserete. Poi una parentesi al Bar Liceo di Viale Cattaneo con permesso annuale. In seguito una vita da operaio in una fabbrica di strumenti chirurgici a Mezzovico. Abita in questo quartiere tra Lugano e Massagno dagli anni Settanta. “All’inizio vivevo nella Casa della pasta, in Via Lisano. Pensi che nell’appartamento non c’era nemmeno il bagno, solo un gabinetto, il bagno con la vasca l’ho costruito io”. Il matrimonio, tre figlie femmine, i nipoti, e la vita. E tanto lavoro. “Ho sempre voluto lavorare. A scuola sono andato poco, solo qualche classe delle elementari, poi la scuola serale. I miei figli mi criticano perché quando scrivo a volte sbaglio, non metto le doppie. Poco importa, me la sono cavata bene”.

Una vita nell’orto (altro che vacanze)

“E all’orto come ci è arrivato?”, chiedo. “È un orto vecchio cent’anni. Quando sono giunto nel quartiere lo tenevo d’occhio, mi interessava, ma lo avevano promesso a qualcun altro, un bergamasco. Poi il tizio è morto, poverino, è morto giovane, e allora l’ho preso io”. E non lo ha più lasciato questo orto. Oltre 150 metri quadri suddivisi in piccoli spazi, apparentemente disordinati: il cavolo nero, le coste, le rape, il sedano, le zucchine trombetta, i peperoncini. Qui le cose crescono come possono ma

anche un po’ come vogliono: un mix di manualità metodica, casualità e anarchia. Capita che le piante di zucca si avventurino al di là della recinzione e scendano verso i binari della ferrovia.

“Le devo tirare su. Se una zucca bella grossa arrivasse sui binari dovrebbero fermare i treni”. Me la vedo la situazione, un poco inverosimile, ma quanto sarebbe bello se accadesse davvero. Notizia del giorno: treni fermi per una zucca di Gino La Rocca caduta sui binari.

Ma non pensiate che sia poesia, l’orto di Gino. Qui si suda e si prende pure rabbia: “Vede quel fico nell’angolo? L’ho piantato perché mi piacciono i fichi, e sa cosa succede? Quel maledetto i fichi li fa, ma poi non maturano mai. Allora quest’anno gli ho detto: tu mi fai piangere? Questa volta ti faccio piangere io. L’ho potato tutto, e adesso vedremo che cosa farà”. Gino sta litigando con il fico. Mi scappa un po’ da ridere, ma non oso. È serio.

“Io per questo orto non vado mai in vacanza. A volte gli amici mi dicono che possono venire loro a lavorare al mio posto ma non è mica così scontato. Quando manco anche solo per qualche giorno le piante cambiano, non sono contente. Sono abituate alla mia presenza, a come le bagno, a come lavoro la terra. Se viene qualcun altro poi non cresce più nulla. È già successo, mi creda”. Anche a me vien da dire che ci potrei venire io a coltivare il suo orto, se avesse bisogno. Lui ridacchia, eccone un’altra che sogna.

Mi spiega che solo per prendere l’acqua per bagnare bisogna tirare la canna fin dall’altra parte del ponte. Ogni giorno. Insomma, vengo rimessa al mio posto.

Arrivederci…

Del futuro di questo orto si sa poco. Ogni tanto i giornali evocano la copertura della trincea di Massagno: le immagini rendering promettono spazi felici con alberi nati già alti, bimbi che giocano, studenti indaffarati e sedute di yoga sui prati. L’orto di Gino non è contemplato. Lui non si preoccupa: “Chissà dove sarò fra qualche anno...”, dice sorridendo.

Capisco che il mio tempo è scaduto. Gino si gira per salutare una signora venuta a cercare delle foglie di cavolo nero e un mazzetto di erba cipollina. Qualche chiacchiera ancora, coperta dal rumore del cantiere di un palazzo che sta sorgendo qui accanto, al posto di una casa unifamiliare di cui nessuno si ricorda già più. Scavalco il cancello, esco. Un’ultima occhiata alla recinzione dove Gino ha appeso dei girasoli secchi, cibo per gli uccellini. Saluto e me ne vado. Il sole adesso è quasi alto. Guardo Gino da lontano, scambia qualche chiacchiera con gli operai del cantiere e poi si avvia verso casa. Tornerà tra qualche ora. Il suo orto, Gino, non lo può lasciare solo per troppo tempo. E viceversa.

sabato 12 novembre 2022 5 Ticino7 INCONTRI
CHIARA CAMPONOVO
© TI-PRESS / PABLO GIANINAZZI
DI
FOTOGRAFIE

Istanbul, Bisanzio, Costantinopoli

Cla è un insegnante di tedesco, religione ed etica in un liceo engadinese. Grazie a una borsa di studio ottenuta da una fondazione che si occupa di dialogo interreligioso, ha il privilegio di poter trascorrere un inverno a Istanbul. Sarà l’occasione per indagare su alcuni temi storici e culturali che lo interessano, di vivere e toccare con mano l’atmosfera magica che avvolge la città sul Bosforo. La sua attenzione è rivolta soprattutto alla figura di Niccolò Cusano, teologo e filosofo vissuto nel XV secolo che ha avuto un ruolo importante nella riconciliazione della Chiesa cattolica romana d’Occidente con la Chiesa grecoortodossa d’Oriente. È affascinato dal pensiero antinomico di Cusano, dal concetto della coincidenza degli opposti, dalla consapevolezza di sapere di non sapere. Cla, in verità, non si è concesso questo periodo sabbatico a Istanbul solo per una ricerca accademica. Intimamente, ha voluto questo distacco dal mondo che conosce bene (la piccola valle engadinese, la bella fidanzata Alva) per ritrovare il vero Cla.

“Se voleva decifrare almeno in parte le vicende di quel luogo per come si erano svolte quasi seicento anni prima, doveva andarci! Toccare quelle pietre antiche. Annusare la città. Ascoltarla. Sì, sentirne il gusto anche. Non tutto poteva essere compreso attraverso la lettura. Come altri prima di lui voleva esserne testimone oculare, coglierne gli spazi con sguardo attento, e umile. Le chiese bizantine, le mura di terra e le mura di mare, le fortezze, le case mercantili, i conventi sufi abbandonati. (…) Tuttavia… non era venuto lì per dedicarsi alla ricerca, per indagare, rivivere. Almeno con sé stesso questo lo doveva ammettere”.

26.-

Novità di novembre

Salvioni edizioni La complicità di un sorriso (Calastri Winzenried Daniela)

• Ipotesi per l’ultima spiaggia. Dove l’arte ha il dono dell’ubiquità (Snozzi Nando)

Armando Dadò editore

• Il filo spezzato (Pezzoli-Vedova Fausta)

• Campi di lavoro e lavoro nei campi (Ramelli Zeno)

• Allam Fakhour (AA.VV.)

Edizioni Casagrande Discorso senza un alito di vento. Quartine (Lonati Leopoldo)

Istituto Editoriale Ticinese Voi che avete visto il mare. La mia famiglia, il Sessantotto e altri ideali (Rossi Guidicelli Sara)

Pagine d’Arte

Pastorali. Luigi Rossi illustratore di Daphnis et Chloe 1892 (Bianchi Matteo e Rima Beatrice)

Edizioni Ulivo

All’insegna della croce bianca (Tognola Giorgio)

La città ricca di storia e di cultura, dove Oriente e Occidente si incontrano e si attraggono.

Nella rete degli inganni

Su questa ambivalenza si intesse la trama narrativa portante del romanzo: Cla, alla ricerca di sé stesso, incontrerà e vivrà un amore forte e passionale che cambierà definitivamente il corso della sua vita. Pulsioni e sentimenti nuovi e inattesi che traspaiono delicatamente fin dalla prima pagina del romanzo, ma che vengono svelati dall’autrice con ponderatezza nel corso della narrazione: “Cla rimase per un attimo a osservarlo, non senza provare invidia per l’innegabile disinvoltura con cui muoveva i suoi passi. L’uomo aveva anche delle belle mani. Oppure a ingannare era quella delicata armonia?”. Attraverso un complesso e sottile intrigo di inganni, che si risolve completamente solo sul finale, Overath ci descrive con delicatezza il percorso del protagonista verso la piena consapevolezza di sé.

Il romanzo di Angelika Overath presenta diverse sfaccettature e più piani di lettura: la storia centrale e personale dell’insegnante engadinese e dei personaggi con i quali interagisce (Baran, Alva), le vicende storiche legate a Niccolò Cusano e al misticismo cristiano medievale, gli innumerevoli riferimenti storici e culturali riguardanti Costantinopoli / Bisanzio, la descrizione degli affascinanti meandri di Istanbul (i mercati, l’Hammam, la profondità del misticismo sufi, le sfumature di colori della città sul Corno d’Oro, i contrasti tra Oriente e Occidente). Dietro queste pagine c’è sicuramente un notevole e apprezzabile lavoro di ricerca che invoglia il lettore ad approfondire i diversi temi e, perché no, a visitare questa affascinante metropoli che si adagia su due continenti.

Altri titoli in pillole

Senza scarpe

Un romanzo biografico fatto di solitudine e povertà, ma che documenta anche una vita anomala ed eccezionale nel Ticino di fine Ottocento e primo Novecento. Una narrazione coinvolgente che incrocia la voce del figlio Saulle con la ricostruzione della vita del padre Roberto Donetta, contadino della Valle di Blenio, venditore ambulante di sementi, cameriere e poi fotografo.

di Casella Mario pp. 184, ottobre 2022

Gabriele Capelli Editore gabrielecapellieditore.com Fr. 21.-

In cammino sulle creste

Il volume propone testi e immagini realizzati nel corso di un trekking ideato e organizzato da Stéphan Chiesa e ripreso e poi trasmesso dalla Radiotelevisione Svizzera nel corso del 2021. Il libro documenta luoghi non accessibili a tutti, ma che meritano di essere conosciuti, proprio perché sono riservati a pochi eletti.

Di Maini Daniele pp. 192, ottobre 2022

Fontana Edizioni fontanaedizioni.ch fr. 50.-

Val Calanca – Selvaggia autentica armoniosa

Lungo i pendii e i prati della Val Calanca le stagioni si alternano inesorabilmente, plasmando i ritmi dell’uomo e della natura. Il libro che le raccoglie, volutamente in bianco e nero, è un invito a rallentare e riflettere sotto una nuova luce su luoghi e situazioni solo all’apparenza comuni.

di Luban Sergio pp. 72, settembre 2022

Salvioni Edizioni salvioni.ch fr. 50.-

sabato 12 novembre 2022 7 Ticino7
PAGINE DA SCOPRIRE DI GIORGIA SCHMID (LIBRERIA ECOLIBRO, BIASCA) PAGINA A CURA DELL’ALESI
Gabriele Capelli Editore In Svizzera. Sulle tracce di Helvetia (Sganzini Lorenzo)
Tutte le novità sono consultabili su www.alesi.ch/catalogo-libri
di Overath Angelika pp. 232, ottobre 2022 editore.ch Fr.

ANIMALI DI CHIARA PICCALUGA; FOTOGRAFIE © FICEDULA E BIRDLIFE SCHWEIZ IN COLLABORAZIONE CON FICEDULA

Il Balestruccio

Un uccello minacciato

Le grandi colonie di centinaia di coppie che si vedevano negli anni Cinquanta sono in gran parte scomparse; i pericoli oggi sono l’asfaltatura di numerose piazze di paese e delle strade sterrate agricole, che ha fortemente ridotto la possibilità per il Balestruccio di trovare la terra necessaria alla costruzione del nido. La diminuzione della quantità di insetti è forse pure all’origine della decrescita di questi uccelli. Certi edifici moderni, i cui muri sono troppo lisci, non consentono più di installarsi.

Il

Balestruccio in Ticino

Nel corso della primavera 2019, Ficedula in collaborazione con l’Ufficio della Natura e del Paesaggio del Canton Ticino ha realizzato l’inventario cantonale dei siti di nidificazione del Balestruccio in ogni comune/località del Ticino. Gli scopi sono stati conoscitivi e di conservazione. Per ogni edificio del Ticino si conoscono il numero di nidi occupati, interi non occupati, rotti, in costruzione, nidi artificiali e tracce di nidi, dalle quali è spesso possibile ricostruire l’evoluzione delle colonie. Un progetto grosso, nel suo genere unico. Sono stati controllati 131’392 edifici di cui 3’591 con nidi o tracce, 1’827 con nidi occupati. Tutti questi dati sono fondamentali per garantire la conservazione di questa specie. Tutti gli interessati possono ricevere gratuitamente delle schede sulla conservazione del Balestruccio inviando il proprio nome, cognome e indirizzo postale a segreteria.ficedula@gmail.com.

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ne 45. Il comune con Juf 46. Una parte di Carona 48. Ha V per simbolo chimi co 50. Un gruppo di facinorosi 51. No me di lago svizzero 52. Prefisso per Terra 53. Lucertolone tropicale 54. Un ipote tico continente scomparso 55. Lo dice il dissenziente 56. Laghetti sopra il Tom 57. Una divinità silvestre 58. Località del Locarnese 59. Impegnativo, ricco di dif ficoltà

coltivi

33. Opinioni,

40. Illimitato,

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Particella dubitativa
Cresce con gli anni
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Un latticino
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Attrezzi per barbieri
Jean, drammaturgo (1639-1699)
Una parte di Bellinzona
Acido desossiri bonucleico in breve
Città della Pu glia
pensieri
Regione storica tra Spagna e Francia
Una parte di Medeglia
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totale 42. Non malata 43. Il nome del cantante Fossati 44. Lo è l’uovo bollito 45. Un frutto esotico 47. Polvere di giaggiolo 49. Jorge, scritto re brasiliano (1912-2001) 51. La produco no le pecore 53. Particella di cognomi olandesi 54. Particella di cognomi scoz zesi 56. Cantone senza canne 57. Quel lo greco vale 3,14.
29.10.2022 MORETTINA Soluzione completa su laregione.ch/giochi Fabio Fosanelli (Quartino) e Nicola Santi (Soazza)
Il ‘Delichon urbicum’ è una specie antropofila, vale a dire che condivide le abitazioni degli uomini da molto tempo. Costruisce il nido agglutinando delle palline di terra incollate con della saliva alle mura degli edifici.
I balestrucci sono uccelli sociali e nidificano in colonie che contano generalmente da due ad diverse decine di coppie. Maschi e femmine presentano un elegante piumaggio nero con riflessi blu metallizzati, le parti inferiori della testa e del corpo sono bianche così come il groppone, la coda è corta, leggermente forcuta ma senza lunghe timoniere esterne. Sono uccelli migratori che tornano alle nostre latitudini in aprile e spesso raggiungono il luogo dove sono nati o si sono riprodotti. Passano l’inverno fra la zona saheliana e il sud dell’Africa e durante i loro viaggi sono esposti a molteplici pericoli. La femmina fecondata depone 4-5 uova nella seconda metà di maggio, che poi cova per 14-16 giorni. I piccoli lasciano il nido circa 22 giorni dopo la schiusa e una seconda covata è intrapresa generalmente durante l’estate a partire dal mese di luglio. Sono uccelli che cacciano in volo numerosi e si nutrono di insetti alati: mosche, zanzare, afidi, piccoli imenotteri. Quando si posano al suolo, lo fanno principalmente per prelevare della terra umida necessaria alla costruzione del nido. Un nido a quarto di sfera è formato da 700-1’500 palline di terra e saliva che, seccando, si induriscono come cemento.

Io a San Luis Potosí non ci volevo proprio andare. Ho provato in tutti i modi a evitarla, aggirarla, superarla senza nemmeno guardarla, ma viaggiando con i mezzi locali a un certo punto ho capito di non avere scelta. Lasciato il deserto, la mia destinazione avrebbe dovuto essere San Miguel de Allende, la città-cartolina del Messico, infilata a forza nelle brochure tra un mare azzurrissimo, una tequila e una piramide. San Luis Potosí nelle brochure non c’è, e anche la guida non sembra entusiasmarsi più di tanto: in sintesi c’è scritto che è una città coloniale come tante, decadente come poche. Quando ho capito che avrei dovuto in ogni caso passarci una notte, ho deciso di fermarmi un giorno e una notte in più, perché quando il destino o - meno romanticamente - gli orari degli autobus ti suggeriscono qualcosa, meglio dar loro retta.

O la borsa o la vita?

L’inizio non è incoraggiante: arrivo in hotel, poso la valigia e quando esco è già quasi buio. La ragazza alla reception si raccomanda: “Attento che è pericoloso, vada a mangiare qui vicino e poi torni subito in hotel”. La sua aria ansiosa mi fa chiedere conferma di questo Bronx messicano al portiere, che praticamente mi ride in faccia: “Pericoloso? Qui? Puoi andare in giro fino alle 3 di notte col portafoglio in mano. Io sono di Irapuato. Lì sì che c’è da avere paura”. Scelgo di dare retta, un po’ più retta, a lui senza tornare alle 3 di notte, senza porgere il portafoglio agli sconosciuti e senza dimenticare cosa ha detto lei: finisco al Café Corta’o, istituzione locale senza pretese dove si mangia bene con pochi spiccioli e ancora meno fronzoli. Quando pago il conto ho già deciso che tornerò, come se sapessi di avere un appuntamento con qualcosa o qualcuno. La mattina dopo scopro una città piacevole, coloniale e decadente il giusto: la prima, da quando sono in Messico, in cui ci sono strane statue che sembrano inneggiare al Ku Klux Klan (e sono invece gli incappucciati delle trenta confraternite della

San Luis Potosí

Avevo comprato il biglietto aereo per il Messico nel febbraio di due anni fa. La partenza era fissata il 17 marzo 2020 da Genova. Sono atterrato all’alba del 6 aprile di quest’anno, una pandemia e quindici ore dopo essere decollato da Zurigo. Nel frattempo, insieme all’aeroporto di partenza, sono cambiati sia il luogo in cui vivo che il mondo. E, a suo modo, pure il Messico. Non so come fosse prima, ma ho un mese di tempo per illudermi di capire com’è ora. (Settima puntata)

Processione del Silenzio, la via crucis muta che si tiene ogni venerdì di Pasqua nelle strade del paese), la prima in cui le prostitute affollano i marciapiedi del centro, e anche la prima in cui leggo una targa curiosa, una specie di lamentela di un’altra targa. C’è scritto: “Qui per 50 anni, finché non se la sono rubata, c’è stata la targa del dottor Mariano Vildosola Davalos”. Nessuna firma, e una data: marzo 2015.

Di forza e di carezze

San Luis Potosí non è invece la prima città a ospitare un fenomeno curioso, che qui però viene elevato a forma d’arte. Le banche non sono banche come ce le immaginiamo noi, ma negozi di elettrodomestici e scooter, con all’ingresso il nome della banca e in vetrina lavastoviglie, robot da cucina e lavatrici: in fondo, se uno controlla bene, c’è anche il bancario, che si porta avanti col lavoro facendo prestiti direttamente sui prodotti in loco. E penso che mi piacerebbe un giorno uscire da una banca in sella a uno scooter o con un aspirapolvere sotto braccio. Camminare mi porta a vedere una scritta, “Ternura radical” (Tenerezza radicale), che mi rimarrà impressa e che riesce a spiegare il Messico più di tante altre parole. Solo più tardi scopro che è il motto di un collettivo artistico nato nel 2018 che gioca con gli ossimori e propone di “usare la forza come una carezza”. A poche decine di metri c’è uno di quei negozi che lotta col caos, in cui non si capisce cosa sia nuovo o usato, cosa sia in vendita e cosa no. A gestirlo c’è tal Ricardo Cesani, un complottista chiacchierone di origini venete che parte da una maglietta del Napoli di Maradona per arrivare a una personalissima lettura della guerra in Ucraina in cui manca solo lo sbarco dei marziani. Il resto della giornata lo passo a girovagare e a guardare cosa vendono le banche finché non mi viene fame e torno al Café Corta’o.

“Niente

mogli, niente storie tristi”

Al tavolo accanto al mio ci sono cinque signori, tutti avanti con gli anni: scherzano tra loro con quella confidenza che solo amicizie di vecchia data possono permettersi. Ridono tanto, ma mai sguaiatamente. Quando arriva il sesto, accompagnato dalla moglie, che subito se ne va, tendo ancor di più l’orecchio, poi non ce la faccio più e chiedo, esordendo così: “Scusate il disturbo. Non so chi siete, ma quando arriverò alla vostra età mi piacerebbe far parte di una tavolata così, con degli amici così”. Uno ribatte scherzosamente che gli sto dando del vecchio, un altro sembra quasi scocciato, altri due invece mi invitano a girare la sedia

verso il loro tavolo. Un altro mi fa notare che sul menù c’è un caffè pasticciato che porta il suo nome, perché l’ha inventato lui. Mi raccontano che hanno 72 anni, che sono stati compagni di classe delle elementari, che non si sono mai persi davvero e che hanno fatto tutti carriera, a vari livelli, nel pubblico, e che da quando sono in pensione - cascasse il mondo - hanno un appuntamento fisso, alle sette di sera, ogni mercoledì, al Café Corta’o. Due regole: “Niente mogli e niente storie tristi”. Danno i voti al mio itinerario messicano e alla fine mi suggeriscono anche una mezcaleria dove provare il mezcal locale, “diverso da quello di Oaxaca, il più famoso, ma non il più buono”, aggiungono con un tocco di campanilismo. Saremo gli ultimi ad andarcene, ma solo perché il bar deve chiudere e non possiamo restare oltre. Ci salutiamo in strada, prolungando un altro po’ le chiacchiere, e anche se ho solo voglia di tornare in hotel mi trascino verso la mezcaleria per non lasciare cadere un buon consiglio. Brindo da solo, senza sentirmi nemmeno troppo stupido, a quei compagni di classe cresciuti e agli orari degli autobus.

sabato 12 novembre 2022 9 Ticino7
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Alpe Motterascio

Il trekking alle porte della Greina

L’alpe di Motterascio è abbarbicato a 2’180 metri sopra il livello del mare, nell’atmosfera rarefatta caratteristica di queste altitudini, custodita e al contempo dominata dall’elegante sagoma a “pinna” del Piz Terri (3’149 metri). Proprio da qui parte il percorso seguito dagli alpinisti per conquistarne la cima. Ma la storia di questo formaggio inizia molto prima di raggiungere la cantina del moderno caseificio, con il suo freddo naturale che garantirà alle forme (alcune sospese in appositi sacchi) una stagionatura lenta ed equilibrata. È infatti al corte di Garzott, oltre cinquecento metri più in basso lungo le sponde del Lago di Luzzone, che iniziano i pascoli dell’alpe. Le mucche salgono poi lentamente verso Motterascio, ma si spingono

anche sull’adiacente altopiano della Greina, nel quale la neve tardiva custodisce un impressionante tappeto di erbe e fiori dai profumi inebrianti, quali la tenace androsace dei ghiacciai. Qui, fra i penetranti fischi delle marmotte e i profili degli agili stambecchi lungo le creste, le mucche acquisiscono quegli elementi nutritivi che rendono il formaggio di Motterascio inconfondibile, grazie proprio alle vivaci persistenze floreali sostenute, specie dopo la stagionatura, da una distintiva nota di miele. I prodotti, tutti affinati da una lunga e tenace esperienza, sono disponibili all’alpe e includono il formaggio (100% latte di mucca), la formaggella, la ricotta e lo yogurt.

Alpe Motterascio

Corte principale Motterascio, 2’180 m

Corti Garzott, 1’628 m

Ubicazione Greina

Periodo carico Fine giugno - metà settembre

Ultimo paese Ghirone

Coordinate 720.023 / 161.548

Proprietà Patriziato generale Aquila Torre Lottigna

Tipo formaggio Semiduro grasso, 100% latte di mucca

Altri prodotti Burro, formaggella, ricotta, yogurt

Dicitura Scalzo Alpe Motterascio: Greina

Animali Una cinquantina le mucche presenti a stagione

Produzione Circa 14 forme giornaliere da 5 kg cadauna (produzione annuale ca. 1’000 forme)

Mungitura Mungitura meccanica

Caseificio Motterascio, Garzott

Acquisto All’alpe è possibile acquistare tutti i prodotti

Itinerario corte principale

→ Da “Campo Blenio” (1’215 m) si sale lungo una strada asfaltata al “Lago di Luzzone” (1’609 m), si attraversa la diga sulla corona per poi imboccare la galleria che porta sulla sponda sud del lago; da qui si segue la strada sterrata che costeggia tutto il lago fino a un posteggio nei pressi del “Corte Garzott” (1’628 m), che è anche un corte dell’alpe “Motterascio”.

Un largo sentiero costeggia il “fiordo” settentrionale del lago sino a raggiungere un particolare ponte ad arco (1’632 m); passato il ponte il sentiero comincia a salire, passa a lato di “Rafüsc” (1’686 m) e poi, dopo una traversa, raggiunge una caratteristica cengia con un cancelletto in legno. Ora il sentiero si fa più ripido e con ampi tornanti in mezzo ai pascoli raggiunge prima la Capanna “Motterascio” (2’171 m) e poco dopo l’Alpe “Motterascio” (2’180 m).

Da “Campo Blenio”: in auto sino a “Garzott”: 30 minuti. Da “Garzott” a piedi: 550 m disl., 4,3 km, 2 ore. Strada asfaltata e sterrata aperta al traffico sino a “Garzott”. Posteggio a “Garzott”.

Escursioni

→ Giro della Greina: dall’Alpe “Motterascio” (2’180 m), attraverso torbiere e verdi pianori, si raggiunge “Crap la Crusch” (2’268 m), nel cuore del piano della “Greina”, si piega poi a sinistra e seguendo il fiume “Rein da Sumvitg” si raggiunge il “Passo della Greina” (2’357 m). Una breve discesa conduce alla Capanna “Scaletta” (2’012 m) dalla quale si può raggiungere “Pian Geirètt” (2’012 m), e da lì con un mezzo pubblico si torna a “Ghirone”.

Sentiero bianco-rosso, 200 m disl., 9,5 km, 3 ore e 30 min.

Un nuovo sentiero

Nel 2019 è stato completato il rifacimento del Sentiero della Transumanza che da Garzott (1’628 m) conduce alla Capanna Michela Motterascio (2’171 m) e all’Alpe. Un intervento importante su un sentiero di grande rilevanza, porta di accesso all’altopiano della Greina, che ogni anno conta il passaggio di circa settemila escursionisti. Una ricostruzione impegnativa, basti pensare che sono stati utilizzati 650 chilogrammi di esplosivo e si sono resi necessari circa 900 voli di elicottero. Il sentiero diventa così ampio e dal fondo regolare, non proprio tipico di un percorso di montagna, suscitando qualche perplessità.

Ma con questa opera si migliora la percorribilità sicura per il bestiame, che sul vecchio sentiero era soggetto a incidenti nei punti più esposti.

Il risultato finale va a tutto vantaggio di due settori, agricoltura e turismo, che sempre più spesso vanno a braccetto e si sostengono.

sabato 12 novembre 2022 13 Ticino7 DAL TERRITORIO A CURA DEL CENTRO DI COMPETENZE AGROALIMENTARI TICINO
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Curiosità 4 6 °3 5 ’ 20 ’’ N 8 ˚58 ’ 38 ’ ’ E

Lavagli l’auto

(e lo conquisterai per sempre)

Dopobarba di lusso, camicie, pigiami, forniture di calzini per tutta la stagione. Negli anni di relazione con un uomo poco avvezzo allo shopping anche voi, come me, potreste aver già esplorato tutte le categorie merceologiche esistenti per i regali. Poco importa che siano stati fatti direttamente o consigliati a suocere e parenti in cerca di ispirazione. “Cosa regalo a tuo marito?”, è la frase più gettonata in questo autunno inverno in cui si avvicendano, in rapida successione, compleanno, onomastico e Natale del maschio di casa. Nel tempo abbiamo anche già ampiamente presidiato la categoria esperienze: biglietti per il teatro, weekend di lusso in date da definire, fughe d’amore sulla neve (dove l’amore è in prima battuta lo sci). Non mancano all’appello neppure i regali boomerang, come il tostapane (del resto parliamo sempre dell’uomo che mi ha regalato una tv come anello di fidanzamento) e i regali incentivanti, come l’abbonamento in piscina e le scarpe da corsa. Passano gli anni e pensi di non poterti inventare nulla, soprattutto

pensi che ogni regalo lo vedrà sinceramente grato ma mai davvero sorpreso né gasato. Come se non esistesse il corrispettivo per lui della borsa di lusso impacchettata sotto l’albero per te. Cosa può davvero stupirlo e soprattutto renderlo incontenibilmente felice? Ero assorta in questo dubbio quando un giorno, tornando a casa e sovrappensiero, l’ho sorpreso incredibilmente commosso. Sorridente. Felice. Grato. Aveva dovuto prendere la macchina per lavoro e l’aveva trovata perfettamente pulita. Non solo non c’erano dentro le bucce di mandarino, i fumetti delle bambine e le carte delle gomme da masticare. Ma era anche profumata. Ordinata. Linda. Non so dirvi, onestamente, quando sia successo. L’ho fatto sovrappensiero pensando che forse andava fatto qualcosa perché non nascesse il muschio sul cruscotto prima che lui avesse modo di prenderla. Non so davvero. Ma so dirvi che sto seriamente valutando un abbonamento settimanale alla pulizia dell’auto come regalo perenne. Non avevo mai visto un maschio così felice.

ALTRI SCHERMI

Mercoledì

La stranezza degli Addams

La cittadina di Burgdorf, alle porte dell’Emmental, è famosa per il suo castello dell’XI secolo, per il centro storico in cima alla collina, per la chiesa, per la bellezza del paesaggio. Sarebbe facile scrivere panchine turistiche, tanto più che in questi giorni gli alberi risplendono di rosso, di giallo, di arancio. Oggi però tento un altro esperimento. Sono le dieci del mattino di un giorno feriale e, nella parte bassa della città, non ci sono turisti, non c’è nemmeno gente che passeggia. Passa un autocarro, il furgone di un macellaio, un ciclista bardato con casco, paraginocchia e paragomiti. Provo a immergermi nel flusso della normalità. Poco distante sorge un quartiere residenziale: case moderne, fatte di vetro e di acciaio. Potrei vivere qui. Questo potrebbe essere il luogo della mia quotidianità, i miei negozi, le strade che percorro in ogni stagione. Potrei. Invece fra poco prenderò il treno e chissà se mai tornerò. Guardo l’orologio: ancora cinque minuti, poi dovrò partire. Ho a disposizione trecentocinquanta secondi per vivere un’intera vita a Burgdorf, nel Canton Berna.

UNA NUOVA SCUOLA

Debutterà su Netflix il 23 novembre, non a caso un mercoledì, la nuova serie di otto episodi che accende i riflettori sulla giovane di casa Addams, Mercoledì, nuova studentessa presso la Nevermore Academy. La ragazza è impegnata nel tentativo di controllare i suoi poteri, di sventare una mostruosa serie di omicidi che terrorizza la comunità locale e di risolvere il mistero che ha coinvolto i suoi genitori 25 anni prima. Tutto ciò mentre esplora le nuove e complicate relazioni dello strano ed eterogeneo corpo studentesco.

UNA FAMIGLIA AMATA

La serie si presenta come un giallo dai toni soprannaturali, che sotto la regia di Tim Burton, alla sua prima esperienza seriale, ridipinge un personaggio iconico degli anni Sessanta con la cupezza, la fantasia e la meraviglia che contraddistingue le opere del regista. Il primo nucleo della famiglia Addams nasce nel 1938 dall’estro del disegnatore statunitense Charles Addams, lo humor nero che permea i personaggi conquista subito il pubblico, che li segue come protagonisti di serie televisive, cartoni animati, film e musical.

TRECCE NERE, MUSO LUNGO

Nel corso della sua esistenza, la figlia dei coniugi Addams ha assunto personalità diverse. Apparsa nel 1940 in una vignetta, si distingue per la sua propensione ai giochi macabri. Nella serie televisiva degli anni Sessanta, Mercoledì è una bambina malinconica che sembra subire l’esuberanza della sua bizzarra famiglia. Negli anni Novanta Christina Ricci (con un ruolo anche in questa nuova serie) interpreta in due film una Mercoledì gotica, anaffettiva e sagace. Ora il testimone è passato alla giovane attrice Jenna Ortega.

TIM BURTON

Il regista di pellicole come Edward Mani di Forbice, La sposa cadavere e Sweeney Todd non può che avere nel suo cuore un posto speciale per la famiglia Addams. Al recente Lucca Comics & Games, dove oltre 8’000 persone lo aspettavano in piazza, Tim Burton presentando la serie ha espresso tutto il suo affetto per personaggi quali Morticia (Catherine Zeta-Jones), lo Zio Fester (Fred Armisen) e su tutti Mercoledì, della quale ha detto: “Mi sono sempre sentito come Mercoledì da ragazzo, avrei potuto benissimo essere lei”.

sabato 12 novembre 2022 14 Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO Coordinate: 2’614’044.5; 1’212’178.8 Comodità: ★★★☆☆ Vista: ★★☆☆☆ Ideale per… immergersi nel flusso. Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direttore Beppe Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione, redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch • laregione.ch
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Il calcio: un Cliché Mondiale

Omaggio a Martin Scorsese

Compie 80 anni uno dei grandi nomi del cinema contemporaneo, uno dei maestri della settima arte statunitense: quanti capolavori ci ha regalato Martin Scorsese! RSI LA 1 e LA 2, nei prossimi giorni, gli rendono omaggio diffondendo ben quat tro suoi grandi film, alle 23.00 ca.

Si parte martedì 15 novembre alle 23.40 su LA 1 con The Aviator (2004), si prosegue poi su LA 2 a partire da mercoledì 16 no vembre con Quei bravi ragazzi (1990), Oscar al miglior attore non protagonista con Joe Pesci, basato sulle vicende di un pentito di mafia raccontate nel romanzo “Il delitto paga bene” di Nicholas Pileggi.

La serata “mondiale” di sabato 19 novembre su LA 1 inizia già alle 20.40 con la diffusione del documentario che, con una introduzio ne a cura di Reto Ceschi, racconta come è nato il lungo viaggio che ci porterà nei prossimi giorni in Qatar.

La FIFA, la Federazione internazionale di calcio, è un gigante globa le. Tanti interessi e tante ombre, a cominciare da quelle che aleg giano sull’assegnazione dei mondiali 2022 all’emirato del Qatar. Il documentario, attraverso ricerche e immagini originali, raccon ta i retroscena di una decisione dove i soldi l’hanno fatta da padro ne. Fra i protagonisti l’ex presidente FIFA Sepp Blatter, l’attuale numero uno del calcio mondiale Gianni Infantino e Michel Platini, che dal calcio giocato è passato a un ruolo da dirigente prima di cadere in disgrazia. Una storia che molti hanno definito un vero e proprio scandalo nel documentario SSR realizzato da Hansjörg Zumstein (SRF), Maria Roselli (RSI) e Ludovic Rocchi (RTS).

E, per rimanere nei cliché, anche il magazine culturale ideato e con dotto da Lorenzo Buccella parlerà di calcio. Un racconto fatto alla maniera di Cliché, partendo dal nostro imma ginario collettivo. Calcio che tra stadi, business, bandiere, rabbia ed emozioni diventa la metafora perfetta di una parte per il tutto.

Un evento globale che racconta molto di noi e attraverso il quale pos siamo leggere tanti aspetti del nostro vivere comune.

Tra gli ospiti di questa puntata speciale di Cliché Massimo Busacca, responsabile degli arbitri della FIFA, l’antropologo Marco Aime, e il comico e appassionato di calcio Gene Gnocchi

Ma il viaggio sulle strade del nostro immaginario per cercare di sta nare i luoghi comuni, gli stereotipi che si annidano tra le pieghe della nostra mente non si ferma alle interviste.

E così dai nostri archivi arriverà la voce di Gianni Brera, che con i suoi neologismi ha reinventato il linguaggio delle cronache calcistiche, e dell’architetto Vittorio Gregotti, progettista di numerosi stadi in Eu ropa e in Africa. Mentre Tommaso Soldini, nel suo monologo, ci farà scoprire un racconto dello scrittore londinese Nick Hornby E, con questa puntata speciale, siamo arrivati al triplice fischio finale: il programma termina qui la sua prima stagione, perché a un cliché si può anche arrivare, non soltanto partire.

Sabato 19 novembre su LA 1 alle 20.40 documentario La FIFA e il Qatar alle 23.10 puntata speciale di Cliché

Tommy Emmanuel Una Chitarra dal mondo

Australiano, nato nel 1955, Emmanuel ha ini ziato a suonare quando era ancora un bambino, ispirato in parte dall’ascolto alla radio del gran de Chet Atkins e di Hank Marvin, quello degli Shadows

Oggi tra i più noti musicisti del suo paese a livel lo internazionale, Emmanuel vanta una carriera che dura da cinque decenni e che l’ha visto esi birsi sui palcoscenici di tutto il mondo. Uno stile unico il suo, messo in evidenza nelle sue esibizioni piene di energia, con l’uso di tutte e dieci le dita sulla tastiera dello strumento, gli spettacolari effetti percussivi (il tapping), melo

In questi giorni, la piattaforma strea ming della SSR compie due anni!

Per celebrare degnamente questa signi ficativa ricorrenza, vi aspettano diverse novità tutte da scoprire gratuitamente: fiction, documentari, cortometraggi e se rie inedite... ce n’è davvero per tutti i gusti!

Per iniziare, con i Campionati mondiali in Qa tar ormai dietro l’angolo, vi proponiamo una nuova serie thriller sugli eccessi del business miliardario del calcio internazionale, a cui si aggiunge una collezione speciale interamente dedicata all’universo del pallone. La rete - Sull’orlo del baratro di Rick Ostermann

La coraggiosa avvocata Lea e l’hooligan Mar cel cercano di risolvere un doppio omicidio: lei ha perso il compagno, lui il migliore amico. Con la consapevolezza di mettere in pericolo la propria vita, l’improbabile duo si imbatte

Giovedì 17 novembre è in programma Gangs of New York (2022), che, girato in teramente negli studi di Cinecittà a Roma, ricostruisce la New York di inizio Nove cento popolata da una guerra tra bande malavitose. A concludere il ciclo, vener dì 18 novembre, Taxi Driver (1976) con gli indimenticabili Robert De Niro e Jodie Fo ster (che compie questo mese i 60 anni) e la sceneggiatura sulfurea di Paul Schrader: un ex marine reduce dal Vietnam, tassista notturno, affonda girone dopo girone in un delirio esistenziale.

in una fitta rete di sfruttamento e corruzio ne, che vede coinvolto l’uomo più potente del calcio internazionale.

Spazio in seguito a due pellicole assoluta mente da non perdere: la prima è la vera sto ria di un attivista ambientale svizzero, che rischia tutto pur di aiutare una tribù nomade del Borneo nella lotta contro la deforesta zione (Bruno Manser - La voce della foresta di Niklaus Hiber).

La seconda, invece, è un documentario che fa rivivere la Passione di Cristo nella dura real tà del sud Italia, denunciando la drammatica condizione dei migranti (Il nuovo Vangelo di Milo Rau. Miglior documentario al Premio del cinema svizzero 2021).

sabato 12 novembre 2022 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 13.11 al 19.11
IN PRIMO PIANO
ogni domenica alle 08.00
Una puntata speciale del programma di e con Lorenzo Buccella aspettando le gare in Qatar, preceduto in prima serata dal documentario “La FIFA, il Qatar e l’ombra della corruzione”
Una serata da non mancare all’Auditorio RSI con Tommy Emmanuel, uno dei maggiori chi tarristi acustici in attività e maestro assoluto del fingerpicking. dia, armonia e ritmo che contemporaneamente sgorgano dalla sua chitarra. Nel suo peregrinare per il mondo ha avuto occasione di suonare e col laborare con artiste e artisti molto diversi tra loro quali Stevie Wonder, Eric Clapton, Tina Turner, Cliff Richard, John Denver, Joan Armatrading, Robben Ford, Albert Lee, Larry Carlton
Tanti auguri Play Suisse! Domenica 13 novembre, ore 20.30 Auditorio Stelio Molo RSI Lugano-Besso Tra jazz e nuove musiche rsi.ch/jazz 15
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