Ticino 7 N38

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Alla ricerca della serenità perduta

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Ogni epoca ha i suoi malanni, e ogni epoca ha i suoi miti (che puntualmente qualcuno sfata). Prendete il significato dell’espressione “sano come un pesce”, che di tanto in tanto qualche medico (vecchia scuola) ancora recita di fronte al paziente ipocondriaco. In rete si legge che il detto avrebbe radici nell’antichità, quando i pesci venivano osservati mentre se la spassavano placidi in acqua – assai meno inquinata di oggi – ed erano visti come esseri viventi che (apparentemente) non si ammalavano mai... Si scoprirà che certe beghe le hanno anche loro. Ma l’uomo senza microscopio, impotente spettatore di una selezione naturale della specie, difficilmente avrebbe potuto osservare un

Questo non toglie che solo chi vive in ambienti poco o per nulla inquinati ha speranze di vita molto maggiori di chi, al contrario, deve arrancare tra plastiche, liquami mortali e polveri fini. Anche se, invece di nuotare, cammina. una da noi, ciò

pesce morente per malattia. Come sappiamo, i problemi che la civilizzazione e i processi d’industrializzazione hanno creato all’ambiente (leggasi contaminazioni della natura) sono un aspetto relativamente nuovo e recente nella nostra storia: improbabile per un abitante dell’Antica Roma o per un pescatore del Seicento trovarsi davanti a morie di pesci. Supportati dalla scienza, sappiamo dunque che anche loro possono stare male, come tutti gli esseri del regno animale.

SPECIALE SALUTE & BENESSERE
sabato 24 settembre 2022 1Ticino7 numero 38 A CURA DELLA REDAZIONE
A volte è solo
questione genetica. Molto più spesso stare bene dipende
da
che facciamo, mangiamo e respiriamo. Sano, all’apparenza

DSA Punti di (s)vista

Disturbi specifici dell’apprendimento sono le difficoltà che si possono manifestare nei bambini in età scolare in relazione alla lettura, alla scrittura e al calcolo in contrasto con una buona capacità cognitiva generale. Oggi studi e osservazioni sempre più precoci e mirati permettono d’intervenire in aiuto di chi ne soffre, con sostegni specifici e creando ambienti in grado di aiutare ragazze e ragazzi.

Che cos’è l’intelligenza? In che cosa consiste?

Domande gigantesche a cui sono state fornite molteplici risposte, ciascuna delle quali evidenzia un lato del concetto – quello filosofico, quello operativo, quello funzionale eccetera – mettendo così in luce la sua natura “plurale”: non di “intelligenza” si dovrebbe infatti parlare ma di “intelligenze”, perché ciascuno di noi ha in dotazione decine di “sistemi intelligenti” altamente specializzati nella comprensione dei diversi aspetti del reale. La competenza adoperata per leggere un libro, per esempio, è differente da quella necessaria a “leggere” una carta geografica, oppure un paesaggio. L’abilità nell’esprimere verbalmente uno stato d’animo o un’idea non va di pari passo con la capacità di rappresentarlo visivamente, con un quadro, un’immagine o un film. Ci sono poi intelligenze di tipo divergente (o creativo, “laterale”) e convergente (logico, consequenziale), così come di tipo dichiarativo (una cosa che so fare con il pensiero, per esempio il calcolo ‘7x4=28’) e procedurale (una cosa che so fare con il corpo, per esempio guidare un’automobile o manovrare una gru). Tutte queste diverse forme d’intelligenza sono declinate in misura variabile nel singolo individuo, si modificano nel tempo e si modellano in relazione alle richieste dell’ambiente: un certo tipo di intelligenza può infatti risultare utile in un determinato contesto; inutile o addirittura controproducente in un altro. In tutte le sue composite manifestazioni, l’intelligenza è infatti, e prima di tutto, un dispositivo di adattamento: un device ottimizzato per sintonizzare l’ambiente interno (fisico e psicologico) con quello esterno (fisico e relazionale) e viceversa (fino alle estreme conseguenze dell’Antropocene).

La storia della tovaglia

Ricordo un aneddoto raccontato un giorno in aula da un’insegnante di biologia che aveva vissuto per alcuni anni in Kenya: la collaboratrice domestica era un’autoctona che svolgeva le proprie mansioni con estrema precisione, ma c’era una cosa che inspiegabilmente sembrava non riuscire a fare, ovvero stendere la tovaglia in modo che le linee dei quadrettoni decorativi seguissero i bordi del tavolo, come a noi occidentali viene naturale, quasi istintivo, fare. Quando apparecchiava la domestica, invece, la tovaglia veniva disposta in maniera invariabilmente asimmetrica, con i quadrettoni trasformati in rombi, cosa che suscitava nell’insegnante una sensazione di disordine. Ne parlò dunque con la collaboratrice fino a comprendere l’arcano: essendo cresciuta in un villaggio nella savana, un paesaggio in cui le linee rette e squadrate, tipiche delle zone urbanizzate, di fatto non sussistono, la persona aveva sviluppato un sistema di “lettura ambientale” in cui gli elementi salienti per orientarsi erano di tipo puntiforme (per esempio, il riferimento rappresentato da un albero o da una roccia) piuttosto che di tipo lineare (pensiamo alla nostra classica indicazione stradale: “Avanti 250 metri, poi giri a destra, alla seconda traversa vada a sinistra ed è arrivato...”). Le linee rette della tovaglia a quadrettoni non erano in questo senso “significative” per lei e quindi non era rilevante come si disponessero in relazione ai bordi del tavolo: la nostra percezione, infatti, è selettiva; notiamo quello che a priori abbiamo “stabilito” essere importante.

Quando i problemi si sommano La pluralità delle intelligenze di cui disponiamo risulta particolarmente evidente nell’ambito dei Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), ovvero quelle difficoltà che si possono manifestare nei bambini in età scolare in relazione alla lettura, alla scrittura e al calcolo in contrasto con una buona capacità cognitiva generale. Per fare diagnosi di questi disturbi – ciascuno dei quali si stima interessi dal 5 al 15% della popolazione infantile – è cioè necessario constatare una discrepanza fra il Quoziente Intellettivo (normale o, talvolta, superiore alla media) e i risultati ottenuti in una particolare materia scolastica. I principali disturbi dell’apprendimento comprendono infatti: la dislessia, ovvero la difficoltà nell’imparare a leggere in modo fluente; la disortografia, criticità che riguarda il processo di conversione del suono in parola scritta, con i conseguenti errori ortografici; la disgrafia, che invece concerne la componente grafo-motoria, ostacolando l’acquisizione di una capacità di scrittura fluida e

Consigli per la lettura

Per approfondire l’argomento, un buon inizio può essere rappresentato dai libri di Giacomo Stella, fondatore di AID, Associazione Italiana Dislessia, a cominciare da Storie di dislessia.

I bambini di oggi e i bambini di ieri raccontano la loro battaglia quotidiana (2007) oppure dal più recente Nessuno è somaro. Storie di scolari, genitori e insegnanti (2018).

sabato 24 settembre 2022 2Ticino7 L’APPROFONDIMENTO DI MARIELLA DAL FARRA FOTOGRAFIE © SHUTTERSTOCK

Ticino, un supporto per i genitori

Da alcuni anni esiste anche in Ticino un’associazione, la ADAT, che si occupa di disturbi specifici dell’apprendimento con sede a Gordola. Questi possono essere la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia (DSA); nonché il deficit dell’attenzione (ADHD). L’associazione ha quale fine quello di informare e promuovere una migliore conoscenza dei DSA e dell’ADHD attraverso conferenze, giornate informative, stand informativi, uso dei media e dei social eccetera; collaborare con autorità, enti ospedalieri, altre associazioni e creare contatti tra logopedisti, psicologi, docenti, medici, ricercatori; sviluppare una maggiore consapevolezza dei problemi affrontati dalle famiglie e dai rispettivi figli a scuola e fuori; supportare tramite occasioni di incontro personali per genitori e bambini/ragazzi, nonché tramite gruppi di aiuto e un gruppo chiuso di auto aiuto in Facebook (storie DIS; facebook.com/groups/dislessiaadhdticino/). Per maggiori informazioni e per scoprire tutte le attività del gruppo vi rimandiamo alla pagina associazioneadat.com Naturalmente, anche la sanità pubblica si occupa in modo specifico di questi disturbi. L’istituto pediatrico della Svizzera italiana (presso EOC) riunisce i reparti, i servizi e gli ambulatori delle pediatrie dei quattro Ospedali regionali (Lugano, Bellinzona, Mendrisio e Locarno) sotto un’unica responsabilità di conduzione operativa in una struttura clinica e gestionale. Un punto di riferimento per una corretta diagnosi, un’informazione per i genitori e le possibili cure per i piccoli pazienti.

continua; la discalculia, che rende complicato operare con i numeri ed eseguire calcoli aritmetici.

I bambini che manifestano difficoltà inquadrabili in uno di questi disturbi mostrano una compromissione circoscritta a quel particolare processo, ciascuno dei quali correla con una specifica localizzazione a livello cerebrale; poiché alcune di queste localizzazioni sono limitrofe, può accadere che due o più DSA si presentino in concomitanza nello stesso individuo, condizione che si stima riguardi fra il 30 e il 60% dei casi. A lato delle ricadute più immediate in termini di risultati scolastici, i Disturbi specifici dell’apprendimento possono impattare sul funzionamento sociale, emotivo e comportamentale dei bambini (Grigorenko et al. 2020), con particolare riferimento alla percezione di sé e del proprio valore personale. Che si tratti di causa o di effetto, forse non è un caso che una percentuale compresa fra il 25 e il 50% dei bambini con DSA (soprattutto di tipo verbale) abbia anche sintomi ascrivibili al Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (Pennington, 2009), al Disturbo d’ansia generalizzata, ai Disturbi depressivi e ai problemi della condotta (Cederlöf et al. 2017).

Prima è meglio

Se non trattati, i DSA determinano difficoltà di adattamento al contesto scolastico, che a loro volta possono portare a voti più bassi, abbandono scolastico ed esiti occupazionali meno vantaggiosi. Le conseguenze, a medio e lungo termine, sono suscettibili di condizionare l’intero ciclo di vita di un individuo, ed è dunque importante riconoscerne le manifestazioni precocemente in modo da intervenire prima che il costo emotivo, e quindi anche sociale, di questo tipo di disturbo diventi eccessivo. Alcuni segnali sono riscontrabili già a partire dall’ultimo anno di scuola materna, sia a livello fonologico (per esempio, difficoltà nel pronunciare alcune parole, con particolare riferimento ai suoni iniziali e finali; segmentazione, ovvero suddivisione della parola in sillabe) che di motricità fine (impugnatura della penna; difficoltà nell’utilizzo di piccoli strumenti, per esempio le forbici; un tratto eccessivamente calcato) o di coordinazione visivo-motoria (difficoltà nello stare

dentro i margini o nella ricomposizione di un puzzle). L’intervento dovrebbe essere tempestivo perché la sua efficacia è inversamente proporzionale all’età del bambino: alcuni studi indicano che un trattamento effettuato in prima o seconda elementare risulta due volte più incisivo che in terza (Lovett et al. 2017) e questo perché i processi di apprendimento funzionano “a cascata”: è necessario impratichirsi con le parole e con i numeri per sviluppare i sistemi neurali che sottendono la capacità di lettura e di calcolo; a sua volta, la capacità di leggere fluentemente consente lo sviluppo del sistema lessicale, con accesso immediato al significato delle parole (semantica) e alla loro articolazione in frase (sintassi).

L’ambiente è fondamentale

Un “buon” intervento nell’ambito dei DSA deve necessariamente contemplare tanto le difficoltà relative al funzionamento dei singoli processi implicati (fonologico, ortografico, mnemonico, motorio) quanto quelle che pertengono alle competenze psicologiche più generali. Secondo un modello di intervento messo a punto di recente (‘Learning disabilities and challenging behaviors’, Mather et al. 2015), le competenze “di base” sono quattro: auto-regolazione, che consente al bambino di prestare attenzione e di imparare a controllare gli impulsi; modulazione del comportamento, laddove un disturbo della condotta, un atteggiamento sfidante od oppositivo, un insufficiente controllo della rabbia possono condizionare negativamente le interazioni con gli insegnanti e con i pari; modulazione emotiva, poiché condizioni quali l’ansia e la depressione possono ridurre significativamente la propensione all’apprendimento; resilienza, in quanto il modo in cui un individuo percepisce se stesso e a quali fattori attribuisce i propri successi e fallimenti cambia il modo in cui si rapporta con le difficoltà.

Quindi, per andare bene a scuola, un bambino avrà prima di tutto bisogno di “un’atmosfera di classe supportiva, capacità di sostenere l’attenzione, auto-disciplina, emozioni salutari e una percezione sufficientemente positiva di se stesso e della scuola” (Ibidem).

Grigorenko, E. L., D. L., L. E. American (2020)

Pennington, B. F. ed.) New York, NY: Guilford Press (2009)

Cederlöf, M., Maughan, B., Larsson, H., D’Onofrio, B. M., & Plomin, R.

Reading problems and major mental disorders— co-occurrences and familial overlaps in a Swedish nationwide cohort in Journal of Psychiatric Research, 91, 124–129 (2017)

Lovett, M. W., Frijters, J. C., Wolf, M. A., Steinbach, K. A., Sevcik, R. A., & Morris, R. D.

Early intervention for children at risk for reading disabilities: The impact of grade at intervention and individual differences on intervention outcomes

In Journal of Educational Psychology, 109, 889–914 (2017; http://dx.doi.org/10.1037/edu0000181)

Mather, N., Goldstein, S., & Eklund, K.

Learning disabilities and challenging behaviors: Using the Building Blocks model to guide intervention and classroom management Paul H Brookes Publishing (2015)

Von Karolyi, C., Winner, E., Gray, W., & Sherman, G. F. Dyslexia linked to talent: Global visual-spatial ability in Brain and language, 85(3), 427-431 (2003)

Schneps, M. H., Brockmole, J. R., Rose, L. T., Pomplun, M., Sonnert, G., & Greenhill, L. J. Dyslexia linked to visual strengths useful in astronomy in American Astronomical Society Meeting Abstracts# 218 (Vol. 218, pp. 215-08; 2011)

Stella, G. Storie di dislessia: i bambini di oggi e i bambini di ieri raccontano la loro battaglia quotidiana Libri liberi (2007)

Stella, G. & Zoppello, M. Nessuno è somaro. Storie di scolari, genitori e insegnanti Il Mulino (2018)

Come ben spiegato sul sito dedicato “InfoDSA” (infodsa.it) la plasticità cerebrale che ci caratterizza fa sì che il nostro sistema neuropsicologico sviluppi automaticamente strategie compensatorie al fine di minimizzare le criticità comportate da eventuali deficit. Non di rado, tali “compensazioni” si trasformano in aree di eccellenza, come per esempio nel caso di quei soggetti sordomuti dotati di una particolare abilità di lettura del linguaggio non verbale, tale per cui risulta praticamente impossibile mentire loro. In questo senso, un punto di forza delle persone con dislessia è costituito dalla tendenza ad avere una visione periferica migliore di quella centrale (che invece è prerequisito cruciale per la lettura), ovvero a processare in maniera più rapida ed efficiente le informazioni provenienti dalla periferia del campo visivo piuttosto che dal suo centro. Questa propensione si traduce nella capacità di cogliere velocemente il significato di una situazione nel suo insieme. Per esempio, uno studio del 2003 (von Karolyi et al.; ‘Dyslexia linked to talent: Global visual-spatial ability’, in Brain and language) indica che i soggetti dislessici impiegano in media un terzo di tempo in meno dei soggetti normodotati (e cioè, 2,26 secondi) per definire possibili o impossibili dei disegni ispirati a Escher. Sul piano “pratico” questa abilità ha per esempio consentito a un gruppo di astrofisici con dislessia di individuare la presenza di buchi neri con un grado di accuratezza significativamente maggiore dei lori colleghi (Schneps et al.; ‘Dyslexia linked to visual strengths useful in astronomy’, in American Astronomical Society Meeting Abstracts, 2011).

sabato 24 settembre 2022 3Ticino7
Compton,
Fuchs,
S., Wagner, R. K., Willcutt,
G., & Fletcher, J. M. Understanding, educating, and supporting children with specific learning disabilities: 50 years of science and practice In
Psychologist, 75(1), 37
Diagnosing learning disorders: A neuropsychological framework (2nd
DSA e super-poteri: l’approccio alle risorse Bibliografia di riferimento

Barbara Conrad

È nata nel 1977, abita a Bellinzona ma è cresciuta a Friborgo, dove ha conseguito il dottorato in Economia politica. “Vegana e ottima forchetta specie prima delle competizioni”, vive al sud delle Alpi dal 2009 quando ha iniziato a lavorare all’Ufficio per lo Sviluppo economico del Dipartimento finanze ed economia, di cui è responsabile del Settore turismo. Un passo dietro l’altro, un metro di dislivello sopra l’altro, oggi è fra le appassionate di trail e ultra trail più regolari e tenaci del Ticino.

Da tredici anni corre su e giù per le montagne. E nonostante l’ampio bagaglio di esperienze accumulato si dice sempre pronta a imparare dai propri errori, dai guru della disciplina e dai compagni di viaggio che le capita d’incontrare alle competizioni condividendone gioie e dolori costellati dall’amore per la fatica. Tanta fatica. Di gare ne ha accumulate decine, fino alla recente 100 miglia del Monviso conclusa terza fra le donne.

Da bambina, attacca Barbara, “lo sport non mi attraeva minimamente”. Fino a 17 anni ha trascorso il tempo libero sul divano a leggere libri. I successivi dieci anni a nuotare anche sette volte a settimana fino a tre chilometri al giorno: “Dovevo bruciare tanta energia, ma senza mai partecipare a gare, a parte la traversata del lago di Morat che trovavo divertente”. Quindi nel 2008 la svolta, tutt’oggi il motore delle sue stagioni. L’ultima fatica autoinflitta è la 100 miglia del Monviso, in Piemonte, cui ha preso parte in agosto. L’ha portata a termine in 36 ore e mezza superando ottomila metri di dislivello e classificandosi terza fra le sette donne partite. Dei 63 iscritti, lungo i 160 chilometri se ne sono ritirati venti. “Non tutto è andato liscio, ma alla fine tutto è andato bene e con la mente sono ancora su quelle bellissime pietraie, il mio terreno di gara preferito”, racconta citando alcuni errori commessi: “Avrei potuto evitare di perdermi tre volte stando solo un po’ più attenta alla segnaletica”. Di ogni appuntamento importante scrive un resoconto elencando episodi e sensazioni, come la rabbia provata pascolando fuori percorso e immaginando altre concorrenti superarla, o i tentativi infruttuosi di addormentarsi in un angolino scomodo per riposare anche solo qualche minuto, oppure la liberazione provata nel tirar giù una birretta tenuta dai volontari nel fresco di una fontana. Poi c’è il trascorrere del tempo, misurato in numero di albe viste sorgere.

Contro la distanza (non il tempo)

Ma il Re di Pietra è solo l’ultima tappa di una progressione durata anni e caratterizzata da un approccio spesso individualista alla pratica sportiva. “È il 2008 e annoiata dal nuoto mi faccio convincere da un amico a correre la celebre Morat-Friborgo. Mi alleno in gruppo e arrivo in fondo morta ma felice. E lì mi parte la scimmia”. Pochi mesi dopo si trasferisce all’ombra dei castelli dove s’iscrive a un gruppo podistico, si allena con regolarità e partecipa a diverse gare: “Quasi ogni weekend una dieci chilometri, poi una mezza, poi delle maratone. Soddisfazioni sì ma niente di più. Tanta preparazione e disciplina, poche emozioni”. Onnivora, nel 2013 s’iscrive alla ‘Sei ore di Bellinzona’: “Non guardo più il cronometro ma solo la distanza. Camminando, correndo, l’importante è andare avanti. E questo cambiamento di prospettiva mi è piaciuto tantissimo”. Puntuale arriva una fascite plantare che la porta su terreni più morbidi. Abbraccia così la corsa sui sentieri: “È la montagna a fare la differenza. Puoi faticare tantissimo e correre da sola o fra centinaia di sconosciuti, sotto la stecca del sole, fra la nebbia o in mezzo ai temporali, ma la sensazione di gratitudine che si prova è indescrivibile”.

Molta, molta preparazione

Cosa le dà la distanza, cosa produce una gara che abbraccia due notti e due albe, nemmeno lei sa dirlo: “Durante e dopo mi sento bene. Tutto qui. Il trucco forse è evitare le gare con ‘cancelli orari’ stretti e discutibili, dalle quali si viene facilmente esclusi in corso d’opera. Uno stress mentale che mangia molte energie”. Ma che gara sarebbe senza spirito di competizione? “Beh (sorride, nda) quando vedi altri concorrenti davanti, logicamente li punti! Diventano… punti di riferimento, specie di notte quando si scorgono in lontananza le loro luci frontali. Meno evidente quando gli iscritti sono pochi, come al Monviso”. Essere autodidatta non basta e infatti per affinare la preparazione in vista della 100 miglia si è confrontata con l’allenatore Stefano Ruzza: “La sua tabella prevede anche nuoto, bici, esercizi per il core. E ha dato i frutti sperati. Da fine marzo a metà agosto sono stati il mio pane quasi quotidiano. E la gara me la sono proprio goduta, anche perché il numero esiguo di iscritti mi ha permesso di correre con i miei pensieri, di sentirmi lasciata a me stessa ma in senso positivo, riuscendo così a controllare le cose che andavano storte, a percepire tutta l’atmosfera magica della notte e della sua vuota immensità. Una sorta di trance agonistica durata gran parte della gara”.

La felicità di correre Poi c’è il dopo, quando di botto tutto finisce. Cosa resta? “La cosa più bella che ho portato a casa è stata la sensazione provata negli ultimi chilometri di gara, che erano facili e tutti da correre. Mi sono sentita come fisicamente trasportata dalla folle impressione di poter ‘correre per sempre’. Se da un lato ero felice di arrivare e arrivare bene, dall’altro mi spiaceva un po’ vedere avvicinarsi la fine del viaggio. Ed è stata una sensazione del tutto inattesa e disarmante. Non avrei potuto immaginare di provare qualcosa del genere dopo due notti in bianco e tantissime ore di sforzo. Questi sono i regali che a volte ti fanno le ultradistanze”.

A casa, tutto ciò richiede un’applicazione costante nel tempo: più una droga o una passionaccia? “La seconda, perché riesco a rinunciarvi. E anche perché mi aiuta a svuotare la testa dopo una giornata di lavoro. In quei momenti allenarmi da sola mi aiuta, ma vado anche col mio compagno ed è utile farlo in gruppo, sebbene occorra una grande intesa”. Ma esiste un limite? “Non lo so, lo sto ancora cercando. Quello dei 150-170 chilometri è comunque un buon limite”. E ritirarsi a metà gara, quanto brucia? “Tanto, perché nelle settimane precedenti e durante la trasferta s’investono tempo e risorse importanti. Ma a volte è un passo obbligato, specie quando per qualche

motivo non mi sto divertendo”. Punti di riferimento nel mondo? “L’ultra runner americana Catra Corbet. Mi piace il suo essere adorabilmente sopra le righe. Mi capita di reagire a dei suoi post sui social e lei si prende sempre il tempo di rispondere”. Consigli ai neofiti? “Scarpe buone, non improvvisare, studiare bene i percorsi e godersela”. Ma la bambina dei libri a cui non piaceva sudare, che fine ha fatto? “Leggo ancora tanto, soprattutto romanzi, romanzi storici, autobiografie, qualche giallo, in particolare nordico. È un altro mio modo di viaggiare”.

sabato 24 settembre 2022 4Ticino7 INCONTRI DI MARINO MOLINARO FOTOGRAFIE © UTLO/B.C.

L’en er gi a è sc ar sa . No n sp re ch ia mo la .

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Al tr e ra cc omanda zi on i di se mp li ce e ra pid a at tu azi one su ze ro ­s pr ec o.ch

BELLEZZA AL LIMONE

Il più solare dei frutti ha una lunga storia e infinite generose proprietà

I limoni sono sovente stati associati a immagini da cartolina delle località vacanziere: da Amalfi a Ravello, dal Lago Maggiore al Siracusano. Fascinazione estiva tradotta nella moda, per esempio, da Dolce&Gabbana sugli abiti “della domenica” in una emblematica sfilata di un lustro fa. Fantasie che gridano “spremimi, spremimi!” sono state spesso offerte dalle grandi firme tra le quali Stella McCartney, per non parlare della precorritrice della moda pop Elsa Schiapparelli. La poesia della freschezza agrumata è stata sublimata anche nei versi di Pablo Neruda: “Miracolo acido... agra, segreta simmetria”. Un’armonia di colore e di forma che ha incantato e immortalato nelle sue opere anche Roy Lichtenstein. E se turgidi limoni appaiono negli affreschi della Casa del frutteto di Pompei, si trovano pure nei dipinti di artisti fiamminghi, mentre, in epoche ben più recenti, fanno parte delle nature morte di Monet, Matisse, Picasso. Nel secondo Novecento eccoli reiterati nei paesaggi di Guttuso, omaggio alla sua Trinacria. Artisti e intellettuali a parte, il limone è popolare presso ogni continente con le sue diverse varietà e la moltitudine di ricette in cui si sfrutta il suo succo amarognolo e aspro, eppure buonissimo, le sue bucce, le sue foglie di un verde scuro, i suoi fiori candidi. Da secoli è eclettico elemento in cucina, grazie alle sue possibilità di accostarlo ad altri sapori e ingredienti. Nonché noto per le preziose proprietà benefiche, calmanti, aromatiche, disinfettanti, antiemorragiche, antidepressive, nonché cosmetiche.

La limonata, ieri e oggi Nello slang americano i limoni rientrano in quella filosofia di vita che sa trarre il meglio dalle situazioni più difficili: When life gives you lemons, make lemonade (Se la vita ti dà limoni, fanne una limonata). Vendere la limonata, con l’ingegnoso banchetto davanti alla porta di casa, appartiene all’esperienza dei bambini statunitensi e fa parte della iconografia locale incoraggiante la capacità imprenditoriale in erba (vi ricordate i Peanuts di Schulz?). Le leggende e i miti riguardanti la pianta di limone sono comunque antichi quanto la sua storia. Secondo la mitologia greca i frutti sugosi sarebbero stati prodotti dalla Terra in onore delle nozze di Giunone con Giove, il quale, ammirato del loro splendore aureo, li portò nel giardino delle ninfe Esperidi, assimilati come i mitici pomi d’oro. Mele dorate, così li descrisse pure Virgilio indicandoli come rimedio contro i veleni e per cui divennero simbolo di salvezza. Poi, dato che la pianta di limone produce frutti tutto l’anno,

essi rappresentano pure l’amore fedele e perenne. Il limone è un frutto caro anche ai marinai: ai tempi della navigazione a vela lo scorbuto causò più morti delle ferite inflitte durante gli scontri navali, più dei naufragi e degli incidenti a bordo. Il flagello era causato dalla mancanza di vitamina C nel cibo della ciurma, finalmente nel tardo Cinquecento si scoprì che una dieta comprendente limoni combatteva la malattia. Tuttavia, l’introduzione dell’agrume, tra i viveri dell’equipaggio, avvenne ufficialmente solo a metà del Settecento. Una conferma storica di come il limone sia efficace per la cura di molti malanni. Salute ma anche bellezza, visto che il suo utilizzo e impiego nell’arte dei profumi e delle cure estetiche si perde nella storia della civiltà.

La pianta dai frutti color sole era già conosciuta nel 2000 a.C. nella valle dell’Indo, l’attuale Pakistan, poiché, se pur molto apprezzata in Occidente, ha radici profonde in Oriente. Coltivata in Cina, durante la dinastia Song, poi in Persia, Iraq, Egitto. I Greci la importarono dalla Media come pianta profumata e ornamentale, tuttavia le prime descrizioni del suo impiego a scopo terapeutico risalgono alle opere di Teofrasto, considerato il fondatore della fitoterapia. Tutto fa pensare che gli antichi romani la conoscessero, pare anzi che l’imperatore Nerone fosse un assiduo consumatore di limoni, ossessionato come era dalla paura di morire avvelenato. Nell’anno mille gli arabi diffusero gli agrumi in tutto il Medio Oriente cosicché i Crociati, di ritorno dalla Terrasanta, li portarono in Europa, soprattutto nel sud d’Italia. Ma la vera e propria coltivazione venne avviata a Genova nel XV secolo. Da qui Cristoforo Colombo li introdusse in America portandone abbondanti semi a Hispaniola.

Il succo dell’agrume, ricco di vitamina C, più aggiunta di vitamine B ed E, magnesio, potassio e sali minerali, è ideale per essere applicato sulla pelle e sui capelli o ingerito. Un vero e proprio pronto soccorso naturale in favore del benessere e della bellezza. Eccone alcuni esempi:

1. Immunizzante

Mezzo limone, spremuto in una tazza di acqua calda e assunto al mattino a digiuno, è una sorta di doccia interna che depura il fegato, riequilibra l’intestino, stimola il metabolismo, tiene lontano virus e batteri. Di conseguenza anche l’epidermide se ne avvantaggia e ringrazia splendendo.

2. Schiarente

L’acido citrico che abbonda nell’agrume è un ottimo schiarente per le cicatrici da acne e macchie cutanee. Si può preparare una maschera da applicare su viso, collo e decolleté, mescolando la nostra spremuta con del bicarbonato. Si lascia in posa per una decina di minuti, poi si risciacqua abbondantemente.

3. Anti cellulite

Uno scrub drenante e levigante per combattere l’odiosa cellulite si prepara miscelando la spremuta di un limone con mezzo bicchiere d’olio d’oliva, sale e bicarbonato di sodio. Il composto va massaggiato sotto la doccia sulle parti interessate con movimenti circolari. Provare per credere!

4. Esfoliante e purificante

Si ottiene un ottimo esfoliante, per pelli impure con punti neri e pori dilatati, con un mix di succo fresco, olio di mandorle, zucchero di canna. Si applica con delicato massaggio scrub.

5. Anti occhiaie

L’agrume è perfetto per contrastare occhiaie e gonfiori intorno agli occhi, dovuti a nottate e bagordi. Si applica direttamente un batuffolo imbevuto del succo sul contorno occhi e si lascia in posa per un minuto. Attenzione: sciacquare abbondantemente prima di esporsi alla luce solare, pena la comparsa di macchie.

6. Rinforzante

Per rinforzare e sbiancare le unghie ingiallite o macchiate, basta immergerle per dieci minuti in una miscela di succo citrico e olio d’oliva. Da ripetere per alcuni giorni. Garantite unghie sane, belle e forti.

7. Illuminante

L’agrume è pure un alleato prezioso per dare riflessi chiari e luminosi ai capelli. Se ne applica una abbondante spremuta diluita in acqua tiepida sulla chioma e si lascia in posa per una mezzora prima di procedere allo shampoo. Previene pure l’indebolimento e l’effetto crespo.

sabato 24 settembre 2022 6Ticino7
TAVOLA& SALUTE DI MARISA GORZA; FOTOGRAFIE © SHUTTERSTOCK
COSE DA SAPERE 7 Pronto soccorso naturale in favore del bellessere Una storia ‘acidula’

Alpe Gorda

Proprio di fronte all’Alpe ecco la presenza imponente dell’Adula – con le sue frastagliate creste rocciose ai cui piedi si dirama il bianco ghiacciaio di Bresciana – che domina la scena sulla quale si colloca l’Alpe di Gorda (1’779 metri) con i suoi ariosi pascoli e l’ampia vista sul fianco orientale della Valle di Blenio.

Proprio a fianco, a pochi passi, si situa anche la Capanna Gorda costruita nel 1965 e poi completamente rinnovata nel 2000.

Una felice “compagnia” per l’Alpe, dove gli avventori possono degustare i meravigliosi prodotti, naturalmente dell’Alpe, così come della regione.

Itinerario corte principale

→ Strada: da «Ponto Valentino» (715 m) si segue la strada carrozzabile sino a «Fontanedo» (1’590 m), da questo punto si può seguire la strada sterrata che, passando da «Piano Cassinella» (1’737 m), raggiunge il nucleo di case di «Gorda» (1’779 m), poco sopra le case si trova l’Alpe «Gorda» (1’815 m ca.).

→ Sentiero: giunti a «Fontanedo» (1’590 m) su strada asfaltata si può parcheggiare l’auto e proseguire lungo il sentiero che si dirama in mezzo ai pascoli sino a raggiungere il nucleo di «Gorda» e l’omonimo alpeggio.

→ Strada: da «Ponto Valentino» in auto 30 minuti. Sentiero da «Fontanedo»: sentiero biancorosso, 220 m disl., 1,4 km, 45 min. Strada sterrata aperta al traffico, possibilità di posteggiare all’alpe oppure a «Fontanedo».

Escursioni

→ Rifugio Nido d’Aquila, Punta di Larescia: dall’Alpe «Gorda» (1’815 m ca.), si seguono saltuarie tracce di sentiero attraverso pascoli e bassa vegetazione, dopodiché si passa ad un terreno con particolari conformazioni geologiche, sino a raggiungere la cresta, da dove in breve si arriva sulla vetta sulla quale si trova un piccolo rifugio denominato «Nido d’Aquila». Sentiero bianco-rosso, 380 m disl., 1,6 km, 1 ora.

Alpe Gorda

Corte principale Gorda, 1’779 m

Ubicazione Valle di Blenio

Periodo carico Indicativamente dal 7 giugno al 10 settembre

Ultimo paese Largario

Coordinate 712.755 / 150.649

Proprietà Patriziato Aquila Torre Lottigna

Gestore Boggesi Alpe di Gorda

Tipo formaggio Semiduro grasso, 100% latte di mucca

Altri prodotti Burro, formaggella

Dicitura scalzo Gorda

Produzione Ca 1’500 – 1’600 forme a stagione sole

Animali 85 mucche e 12 maiali

Circonda il caseificio una vegetazione tipica delle corti d’altura, caratterizzata da rade macchie boschive che si alternano ai pascoli, esposti allo spirare delle correnti che discendono fredde dal Passo del Lucomagno e dalla Val Soi, ma anche dal sole che investe l’intera prospettiva. Il prodotto di questo Alpe medio/grande è dunque ricco delle caratteristiche aromatiche di tali pascoli, rispettandone appieno gli elementi floreali. Potrete così riscoprire fin da subito le suggestioni del territorio in prodotti quali il formaggio vaccino, la formaggella e il gustoso burro.

Curiosità

A un passo dal cielo

All’Alpe Gorda c’è una fantastica novità. Tra l’omonima capanna e l’Alpe è stata installata una struttura molto particolare, dotata di grandi finestre attraverso le quali si possono osservare le stelle nelle notti serene e comunque godersi un cielo che solo la montagna ci regala.

La camera è dotata di una finestra particolare che offre una splendida vista del cielo stellato. E persino dotata di comodi servizi come: letto matrimoniale con piumino, WC, doccia e corrente elettrica.

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Un “trekking” nella valle del
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mostro 45. Distesi, pacati 46. Da lì partì Colombo 47. Il fiume di Göschenen 48. Fiume francese 50. Michael, che scrisse La storia infinita 51. Località in Val Be dretto 52. Vita senza pari 53. Antico istitutore 54. Località in Val Calanca 55. Concetto filosofico orientale 56. Ar ticolo maschile 57. Animale del pollaio 58. Il fiume di Frauenfeld 59. L’Elvis più noto (1935-1977) 60. Parte della gamba.

Verticali

1. Il nome dell’attrice O’Neal 2. Cosmo dromo 3. Lo sono molti prodotti 4. Cen tro di Bienne 5. Capocciata 6. Un titolo di Mattia Bertoldi 7. Un composto or ganico 8. I confini di Liestal 9. Le vocali di Piero 10. Grigiastro 11. Una piccola particella 13. Latitudine in breve 17. Il

nome della nave di Giasone 20. Pre giati pesci di mare 21. Insigni, esimi 24. Messe in posizione verticale 26. Il mostro di Lerna 28. La capitale del New Jersey 30. Non alto 31. Aureole 33. Lo deve essere un pugile 36. Uno inglese 38. Dopo Buenos in Argentina 39. Può essere Vialone 41. Lo sono le occasioni non sfruttate 42. Un frutto per Eva 43. Proprietà, possedimento 44. Località bleniese 45. Il più vecchio dei due 46. Località delle Centovalli 47. Località presso Hospental 49. Il nome del regista Cerri 51. Si possono am mainare 52. Cantone svizzero 54. So cietà Atletica Lugano 55. Ar ticolo inglese 57. Iniziali di Sergi 58. Sulle nostre targhe.

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13 34 57 29 8 21 23 2 44 20 SOLUZIONE DEL 10.9.2022 NOTIZIARIO Soluzione completa su laregione.ch/giochi HA VINTO: Giovanna Gerosa (Arogno) 2 INGRESSI AL JAZZ CAT CLUB Concerto del 10 ottobre di Billi Charlap Trio Teatro del Gatto, Ascona GIOCA CON TICINO7 © ceck 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 SENZA PAROLE © DORIANO SOLINAS

ARNOLD RIKLI

Il dottore del Sole

Il pioniere del ‘turismo’ della salute era svizzero. A metà Ottocento mise a punto un metodo di cura basato su luce, aria e acqua. E ispirò i fondatori di comunità naturiste come quella del Monte Verità o di Capri, ‘l’isola della luce’.

Guarigione naturale

Arnold Rikli nacque nel 1823 a Wangen an der Aare, figlio del proprietario di una grande tintoria. Con il fratello Karl installò a Seebach, in Austria, una nuova fabbrica di tintura della pelle. A contatto con le sostanze chimiche, nel 1852 si ammalò e per disintossicarsi si recò nel villaggio di Veldes, ai piedi delle Alpi Giulie, dove sviluppò il suo personale regime di guarigione: nuoto in acqua fredda, esposizione alla luce del sole e passeggiate sulla vicina collina Straža, attività preferibilmente svolte da nudo, che poi estese agli ospiti del suo sanatorio, fondato proprio lì qualche anno più tardi, abbandonando la precedente attività.

La gente del posto soprannominò Rikli švajcar (ragazzo svizzero) e “medico solare” perché promuoveva l’abbronzatura. Oltre alle persone in cerca di guarigione, a Bled (considerata una delle migliori destinazioni turistiche dell’Impero Austro-Ungarico) arrivava pure chi desiderava trascorrere le vacanze in un ambiente sano. Rikli era anche un sostenitore del movimento Lebensreform (riforma della vita), il cui nucleo formativo era la Comune Humanitas di Himmelhof (Vienna), fondata nel 1897 da Karl Wilhelm Diefenbach (1851-1913). Quando questa comunità fece bancarotta, si trasferì a Capri. Pittore e riformatore sociale tedesco, Diefenbach è considerato il “capostipite dei movimenti alternativi”, uno dei più importanti sostenitori del Freikörperkultur (naturismo) e del movimento per la pace. Lui stesso era stato curato da Rikli, dopo che gli si paralizzò il braccio destro a causa della febbre tifoide e di un’operazione fallita. Si trasformò nell’apostolo dello stile di vita naturale di Rikli e fu anche l’ispiratore della colonia salutista del Monte Verità ad Ascona, fondata nell’autunno 1900 dal suo allievo Gusto Gräser, con Henri Oedenkoven e Ida Hofmann. Divenuto poi sanatorio naturista, gli ospiti soggiornavano in capanne “aria-luce”,

mangiavano vegetariano (un esempio di menu: due arance, otto noci del Brasile, sei datteri e riso al pomodoro), danzavano e coltivavano nudi, e per questo venivano chiamati, come è noto, balabiott. L’abbigliamento riformato era tra le regole di queste comuni, che si  rifacevano anche a Eduard Baltzer (1814-1889), fondatore nel 1867 della prima organizzazione vegetariana in Germania. Questo religioso, teologo e scrittore tedesco, a sua volta, fu influenzato dal libro del 1866 Die naturgemäße Diät, die Diät der Zukunft (La dieta naturale, la dieta del futuro) di Theodor Hahn (1824-1883), farmacista, medico e scrittore tedesco, naturalizzato svizzero, pioniere della dieta vegetariana a scopo terapeutico, fondatore di due case di cura nel Canton San Gallo.

“Questa non è un’ondata di caldo tradizionale, un momento in cui prendere il sole al parco”, scriveva il giornalista britannico Will Hutton sul periodico Internazionale il 22 luglio scorso, quando a Londra c’erano temperature di 40 °C. Chissà che cosa avrebbe detto Arnold Rikli, il “dottore del sole”, il “guaritore” che aveva fatto dell’elioterapia il suo credo. Oggi, quando ci esponiamo a lungo al sole, dobbiamo difenderci dai raggi ultravioletti nocivi per la nostra pelle con creme protettive ‘fattore 50+’, stare sotto l’ombrellone o usare un parasole come le giapponesi. Le donne dell’Ottocento andavano in spiaggia vestite di tutto punto, non soltanto per pudore ma perché la pelle chiara era aristocratica e soltanto chi lavorava sotto il sole era abbronzato (un po’ il contrario di oggi: chi ha preso la tintarella è stato in villeggiatura, chi è bianco no). Ma a quel tempo c’era anche chi si metteva nudo al sole, seguendo i consigli di Rikli, che nel 1855 fondò sul Lago di Bled, oggi Slovenia, un “resort” per cure basate sugli effetti della luce e del sole, dell’aria e dell’acqua sul corpo umano. Un luogo che divenne presto famoso e dove accorsero pazienti da tutta Europa. Rikli, ideatore del concetto di dinamismo nella cura, rivoluzionario per l’epoca, proponeva la “terapia atmosferica” tramite l’alternanza di bagni caldi e freddi, di sole e aria, e il camminare a piedi nudi nell’erba, per sollecitare in modo naturale la pelle, attivare così la circolazione e la disintossicazione dell’organismo. Il sanatorio chiuse nel 1918, 12 anni dopo la morte del suo fondatore, avvenuta nel 1906 a Sankt Thomas.

Un secolo e mezzo fa ci si poteva curare con il sole senza problemi perché non era “malato”, come cominciò a dire certa stampa, in modo erroneo e schematizzato, quando si scoprì il buco nello strato di ozono che, in certe località del pianeta, lasciava passare le radiazioni ultraviolette dannose. L’abbronzatura, di per sé, è una sorta di filtro solare naturale, che la pelle autoproduce per proteggersi ma non la fa abituare al sole, perché la porzione di melanina è determinata geneticamente.

Il sole stimola le cellule che producono tutta la melanina che sono in grado di produrre, ma non di più. Una volta si sentiva parlare molto meno delle malattie degenerative della pelle. Solo nel 1970 un numero sempre maggiore di ricerche ha dimostrato che l’esposizione solare gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di alcuni melanomi, e negli anni 1990 si è iniziata a praticare la dermoscopia, l’analisi della cute.

Le cure elioterapiche esistono ancora oggi, ma devono essere eseguite con attenzione, considerando benefici, rischi e alternative, come per qualsiasi altra terapia medica. Ora tutti sanno che è buona norma utilizzare delle protezioni solari efficaci ed evitare l’esposizione al sole nelle ore centrali della giornata, anche se, paradossalmente, è proprio in queste fasce che sono concentrati i raggi UVB, grazie ai quali il nostro organismo trasforma la vitamina D nella sua forma attiva D3 (diventata preziosa in tempo di Covid-19), ormone essenziale per la salute del corpo umano.

Arnold Rikli Giuseppe Pellizza, Il sole (1904)
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‘L’acqua è buona, l’aria è migliore e soprattutto la luce del sole’
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Covid-19

Un valzer di statistiche

Che succede in Ticino (e in Svizzera) coi dati sui ricoveri e soprattutto i decessi ‘con’ (cioè in presenza di altre malattie o comorbidità anche gravi) o ‘per’ Covid-19 (unica causa attribuita)? La domanda è lecita e – malgrado i contagi al momento siano stabili – ancora attuale; considerando il dibattito scientifico tuttora in corso, i dati svizzeri che non combaciano e persino le più recenti prese di posizione del Governo ticinese. Ecco perché.

Nessuna autopsia

Benché la pratica medica insegni che solo l’autopsia può stabilire con certezza una causa di morte, apprendiamo che in Ticino, ci conferma l’Istituto cantonale di patologia dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), esami autoptici non sono stati fatti durante la pandemia. Anche se la Legge sanitaria cantonale (art. 16) per cui è possibile farli in caso di “malattie trasmissibili” (come il Covid-19) e se ci sono “dubbi sulla causa della morte”... E pensare che pure la Società svizzera di patologia (SSPath) ancora il 19 aprile 2020, sosteneva che: “Le autopsie dovrebbero essere effettuate sui pazienti Covid-19 se possibile”. Di più; se gli esami post-mortem sui pazienti Covid non fossero consigliati dalla normale pratica medica, nel marzo 2020 la Società svizzera di medicina legale (SMLL) non avrebbe diffuso delle “raccomandazioni per la gestione del Sars-CoV-2 per l’esame di persone decedute (ispezione legale, imaging post-mortem e autopsia) e per gli esami clinici”. Anche per lo stesso EOC si tratta di un “esame insostituibile” come “accertamento della causa di morte”, si legge nel suo sito. Ma allora perché durante la pandemia non sono state fatte autopsie? Alcuni medici legali hanno gridato alla scandalo: “Mancata opportunità” e “lockdown della scienza”, così in uno studio italiano pubblicato sul Journal of Clinical Medicine già nel maggio 2020, ma reso noto dalle agenzie italiane soltanto  lo scorso agosto. È emerso che su ben 9’709 articoli scientifici pubblicati sul tema, solo 7 contenevano indagini istologiche, di cui solo due complete e il decesso ‘di’ Covid riguardava solo una di esse: “La mancanza di indagini post-mortem non ha permesso di definire l’esatta causa di morte per determinare i percorsi di questa infezione”, concludevano gli autori.

Decidono i medici Siccome, quantomeno in Ticino, i medici legali non sono stati interpellati, a decidere quale fosse la principale causa del decesso sono stati i singoli medici negli ospedali o nelle case di cura. “E qui sta il problema”, osservava per esempio ancora lo scorso 22 marzo il sito britannico specializzato MedicalNewsToday, le cui notizie sono verificate da factcheckers indipendenti e nel 2019 era il terzo sito sulla salute più visitato negli Stati Uniti (PR Newswire, 2019). Infatti, è noto che la malattia “può portare a problemi multipli - polmonite, insufficienza respiratoria, coaguli di sangue, ictus e infarto -, ognuno dei quali può causare la morte. E la maggior parte di coloro che muoiono dopo aver contratto il Covid-19 ha una o più comorbidità”, si legge. Viene citato poi l’esempio di un grande anziano in casa di cura affetto da demenza avanzata e malattia coronarica (CAD). Contrae il Covid ma ha pochi

sintomi, poi muore: “Qual è stata la causa primaria della morte?”, ci si chiede. Siccome solo i medici clinici possono stabilire la causa di morte, “un medico potrebbe registrare la demenza come causa primaria, con CAD e Covid-19 come fattori contribuenti” continua il sito, mentre “un altro potrebbe decidere che il Covid-19 è stato la causa primaria perché, senza aver contratto il virus Sars-CoV-2, l’uomo avrebbe potuto vivere per qualche settimana in più con le altre due condizioni”. Del resto anche il Governo ticinese la pensa così, quando dice che “ogni analisi avrebbe una componente soggettiva” e perciò la distinzione ‘con’ o ‘per’ Covid-19 “va relativizzata”. Lo si legge nella sua risposta del 2 febbraio scorso al gruppo UDC in Gran Consiglio (vedi anche riquadro in basso, ndr).

Dati affidabili?

Giustamente MedicalNewsToday fa notare che “anche se potremmo dire che tutte queste persone sono morte ‘con’ Covid-19 e non ‘di’ Covid-19, la malattia ha quasi certamente giocato un ruolo”. Ecco perché “i decessi sono, in un certo senso, imprecisi”, dice il dottor William Schaffner, professore di malattie infettive al Vanderbilt University Medical Center di Nashville (USA), e autore di oltre 400 pubblicazioni scientifiche. “All’inizio non c’erano test diffusi, quindi abbiamo sottostimato i decessi. Ora i dati sui decessi sono più affidabili”, ha aggiunto. Non in Svizzera però, dove da mesi l’Ufficio federale di statistica (Ufs) e l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) bisticciano coi dati. Che i conti non tornassero a Berna è emerso lo scorso mese di febbraio. L’Ufs per la prima ondata pandemica (primavera 2020) contava 2’130 decessi imputabili al Covid-19, ovvero “circa 400 in più” rispetto ai dati dell’Ufsp, riporta rsi.ch Lo scorso agosto, per le cause di morte nel 2020, l’Ufs contava 9’305 casi rispetto ai 6’907 dell’Ufsp, riporta laRegione

Il motivo? La “diversità dei due sistemi di raccolta dei dati”, è stato spiegato. I dati dell’Ufs sarebbero “più affidabili” di quelli dell’Ufsp, perché si basano sugli uffici di stato civile che archiviano gli atti di morte con le cause del decesso, mentre i secondi utilizzano il sistema di segnalazione degli studi medici. Ma sempre di decisioni soggettive si tratta, e non del risultato di rigorosi esami autoptici. Ecco perché secondo MedicalNewsToday un decesso ‘di’ o ‘con’ Covid “è aperto all’interpretazione” e per questo “alcuni contestano le cifre ufficiali”. Resta il fatto che statistiche se possibile esatte, unitamente ai dati demografici, dovrebbero essere alla base dell’epidemiologia, che serve per capire la natura di una pandemia e come poterla gestire.

Oltre alla divergenza dei dati raccolti e comunicati al pubblico (vedi sopra), dalla fine del 2021 l’Ufficio federale di statistica (Ufs) afferma che “si opera una distinzione tra i casi per cui (il Covid-19, ndr) è stato indicato come causa di morte principale e quelli per cui figura come malattia concomitante”. L’ha voluto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), introducendo nel marzo 2020 dei nuovi codici “per la classificazione dei decessi con Covid-19”, spiega l’Ufs. Esiste quindi una chiara distinzione a discrezione dei medici. Lo dimostrerebbero i dati dell’Ufs dello scorso agosto relativi al 2020 e riportati dall’agenzia Keystone-ATS: il 95,7% dei “morti per il Covid (...) soffriva di almeno una malattia concomitante che non è però stata la causa del decesso”. Insomma, la distinzione è chiara. Tuttavia, rimane il problema di fondo: come si fa a stabilire l’esatta causa del decesso senza un’autopsia?  Un po’ di confusione c’è anche in Ticino. Il 2 febbraio scorso il Consiglio di

Stato risponde al gruppo UDC in Gran Consiglio: si legge che poiché “non vi è una categorizzazione chiara e univoca condivisa a livello nazionale sulle caratteristiche dei pazienti ricoverati per o con Covid”, la distinzione ‘con’ o ‘per’ Covid-19 “va relativizzata”, dato che “ogni analisi avrebbe una componente soggettiva” e risulterebbe “di limitato valore statistico”. Insomma, a Berna l’Ufs distingue mentre in Ticino non è importante farlo? Non è tutto. Il 22 aprile lo stesso Governo, tramite la Cancelleria, in risposta alla consultazione di Berna sulla prossima gestione dell’epidemia, afferma che sarebbe “opportuno” fare una “precisazione statistica (...) a cominciare dalla distinzione tra ‘con Covid’ e ‘per Covid’ nelle ospedalizzazioni e nei decessi”. Insomma, non si capisce.  Il Servizio dell’informazione e della comunicazione (Sic) della Cancelleria dello Stato ci risponde così: siccome le ospedalizzazioni ‘con’ o ‘per’ Covid generano “lo stesso

carico di lavoro” la distinzione “non è quindi rilevante”, anzi, è persino “superflua, poiché il virus rappresenta sempre almeno una concausa”. Quale sia la sua incidenza nei casi di patologie pregresse non sembra quindi interessare, oltre a non tenere conto delle persone resistenti al virus (vedi Ticino7 n. 14 del 9.4.22). I decessi, continua il Sic, “sono sempre stati ritenuti quelli a causa di Covid”, quindi come presunta causa principale, in totale assenza di autopsie (vedi articolo principale). In Ticino, spiega sempre il Sic, un caso di Covid-19 è “trattato come tale fino alla fine dell’isolamento” e “non al momento della dimissione” dall’ospedale, “succede quindi che casi ricoverati ‘per’ Covid non siano più calcolati come tali, anche se il motivo era Covid”. Infine, conclude, “i casi di ricoveri per altri motivi, che risultano Covid positivi, corrispondono semplicemente alla prevalenza e alla circolazione del virus nella popolazione”.

Mentre secondo alcuni nei prossimi mesi dovremo tornare a fare i conti con la pandemia, la questione dei ricoveri e dei decessi ‘con’ o ‘per’ il virus rimane irrisolta. A Berna i dati non coincidono, in Ticino la distinzione conta poco: ma senza autopsie come si fa?
A Berna si distingue, da noi invece no
sabato 24 settembre 2022 11Ticino7
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IL BAMBÙ Pianta del futuro

L’antico albero magico conosce il segreto per salvare il mondo?

Passato, presente e soprattutto futuro Interessarsi all’arte del bambù è come compiere un suggestivo viaggio nel passato, nel presente e, a quanto pare, anche nel futuro prossimo e remoto. L’uomo ha imparato molto presto a sfruttarne le valenze utilizzandolo nei diversi ambiti della vita quotidiana, nella medicina, nella cosmesi, nella realizzazione di suppellettili e arredi e perfino nella costruzione delle case. Attualmente ne esistono sul mercato migliaia di prodotti e ogni giorno vengono aggiunte nuove applicazioni. Nel campo tessile, per esempio, poiché tra le fibre più apprezzate da chi ha a cuore l’ambiente c’è quella di bambù. Nasce dalla cellulosa estratta dalla polpa della pianta per generare un tessuto dalla mano morbida e setosa, con caratteristiche antimicrobiche e traspiranti. Per non parlare della carta, ricavata sempre dalla sua cellulosa. Molto divulgato pure nel settore alimentare a cominciare dai freschi germogli di primavera per continuare con le foglie e le farine, il bambù è un alimento interessante e non solo per dare un tocco d’Oriente alle nostre tavole. Fonte di fibre, aminoacidi e con basso contenuto di grassi, è perfettamente adatto ai nuovi trend food&health.

Dall’Oriente all’Occidente

Se in Oriente il bambù è pervaso da un alone mistico, in Occidente viene apprezzato per le sue versatili qualità. Come è noto la pianta, di cui ne esistono 75 tipologie e circa 1’200 specie, nasce a levante del mondo, ma si diffonde anche a ponente. Anzi, da qualche decennio la sua coltivazione in Europa si è decisamente ampliata ed è oggetto di ricerca per inaspettati impieghi. Accreditati studi raccontano pure che la nostra gentile graminacea riuscirà a sopravvivere al crescente riscaldamento globale continuando a elargire i suoi doni. Forse ha in sé la vocazione a salvare il mondo ancor prima che arrivino tempi apocalittici?

Ma qual è il suo segreto? La pianta, oltre a generare una quantità maggiore di ossigeno rispetto ad altre colture, è funzionale all’assorbimento di CO2 a livelli considerevoli fin dai suoi primi anni di vita. Tuttavia, la vera differenza, rispetto ad altri alberi, la si vede dal nono al centesimo anno di vita (una foresta di bambù vive oltre un secolo) arrivando a sequestrare una quantità di anidride carbonica 36 volte superiore a quella catturata da un bosco tradizionale. Inoltre, può fare a meno di pesticidi e si adatta a diverse condizioni atmosferiche.

Le bioplastiche sono in arrivo!

Queste e altre notizie ce le conferma Emanuele Rissone, presidente di una società leader in Europa per la piantumazione del bambù gigante fondata nel 2014 in Lombardia. Ed è con entusiasmo che ci racconta il perché, tra le molte specie di questa graminacea, è stata scelta quella definita ‘gigante’: “Oltre a essere la pianta dalla crescita più veloce al mondo e che crea una grande massa da utilizzare nelle svariate filiere, se viene tagliato il bambù ricresce in 4 mesi senza l’aiuto di altre preziose materie prime. Rinasce dalle proprie ceneri come la mitica fenice...”.

Dato che i bambuseti della vostra società coinvolgono diverse regioni, compresa la Lombardia, c’è la possibilità che l’attività possa trovare collaborazioni anche in Svizzera?

“Perché no? Avendo un progetto industriale su vasta scala, per crescere queste piante, oltre alla giusta combinazione di terreno, acqua e clima, già constatata nel centro/nord d’Italia, necessita di una superficie piana di almeno cinque ettari, vicinanza a fonti idriche e accesso a servizi. La Svizzera potrebbe quindi essere una valida opzione per questo tipo di attività economica. Il nostro modello peraltro ha già attirato l’attenzione di altri governi europei”.

“Sii come il bambù, fuori duro e compatto, dentro morbido e cavo. Le sue radici saldamente confitte nel terreno si intrecciano con le altre piante per rafforzarsi e sorreggersi a vicenda. Lo stelo si lascia investire dal vento, e lungi dal resistergli, si piega. Ciò che si piega è molto difficile che si spezzi”. (pensiero buddista)

Le poche righe del pensiero buddhista che avete letto qui sopra riassumono bene le virtù esotiche di questa pianta. Però, come non ricordare che la lunga vita del bambù è per la cultura cinese simbolo di longevità e resilienza? In tutto l’Oriente, dall’India alle Filippine al Giappone, la pianta è allegoria di buon auspicio e felicità. Flessibile e forte, nel contempo, è legata a molti valori positivi, nonché a una poetica eleganza. Si tratta peraltro di un arbusto dal quale dipende il sostentamento di milioni di persone e i cui utilizzi risalgono a epoche preistoriche. Via via il suo uso diventava così fondamentale da radicarsi nei miti e nelle leggende di vari popoli. E se nel Sud/Est asiatico è diffusa la credenza che i primi esseri umani siano nati dai suoi internodi, nel Sud America si tramandano antiche storie legate ai poteri magici dei suoi fusti e delle sue foglie.

In giardino, ma con attenzione

Sebbene possa sembrare una buona opzione, secondo alcune fonti e portali specializzati la scelta di piantare del bambù a casa andrebbe fatta in modo oculato, evitando quindi di coltivare più esemplari insieme o in spazi troppo piccoli. Ecco alcuni aspetti da prendere in considerazione:

Il bambù è una pianta a crescita rapida per cui può invadere il giardino dei vostri vicini di casa. Potrebbe essere necessario realizzare una parete per contenere la pianta ed evitare una vera e propria invasione di campo.

Quali sono i prodotti più innovativi e sostenibili sui quali state lavorando?

“Le applicazioni del bambù gigante sono molte e note. Noi ci siamo concentrati sulle potenzialità della pianta come materia prima per rimpiazzare una delle sostanze più inquinanti: la plastica. Da oltre un anno abbiamo avviato una collaborazione con la startup Mixcycling che, con un processo di sanificazione delle fibre naturali, miscela il nostro bambù con polipropilene riciclato per dar vita a bioplastica e produrre oggetti durevoli. Ha già superato tutti i test di performance tecnico-fisica per sostituire la plastica comune. Si potrebbe fare lo stesso con argilla e materiali con i quali si fanno i mattoni. Un progetto ambizioso che contribuisce a ridurre la carbon footprint dell’impattante settore delle costruzioni”.

Ma la coltivazione-utilizzazione del bambù non presenta lati negativi? Non mancano critiche e detrattori?

“Il bambù è una pianta ‘rustica’, cioè resistente e durevole. Solitamente si crede che si diffonda per proliferazione aerea dei pollini; per la verità il bambù gigante alla fine della sua vita centenaria emette un solo fiore i cui semi cadono in prossimità della pianta originale. L’apparato radicale rizomatico è molto vitale, ma sviluppandosi entro 40 centimetri di profondità, può essere tenuto a bada con studiate tecniche di aratura. Dal punto di vista industriale, trattare questa materia per fare cose innovative non è così facile. Per esempio, il mondo del germoglio oggi non è particolarmente proficuo dal punto di vista economico dato che da noi i germogli sono ancora troppo piccoli, perciò bisogna attendere qualche anno in più. Redditizio potrebbe essere quello dei tessuti, ma testando a fondo i mercati, sembrano rispondere al meglio sia il campo della bioplastica, sia quello della compensazione dell’impatto ambientale”.

• La rapida diffusione del bambù può essere all’origine di problemi ambientali (per esempio, legato alla protezione della biodiversità) di alcune zone, dove stanno crescendo in modo incontrollato piante di questa specie orientale.

• La rimozione di piante di bambù indesiderate può richiedere molto tempo a causa delle radici che attecchiscono in profondità nel terreno.

• La crescita del bambù spesso richiede l’impiego di erbicidi , sostanze che contrastano con l’idea di eco-sostenibilità o semplicemente con l’intenzione di fare nel proprio giardino una lotta ai parassiti tutta biologica.

• Anche se si sostiene spesso che non tutte le specie possiedono la stessa velocità di crescita, è piuttosto difficile distinguere il giusto tipo di pianta da coltivare nel proprio giardino. Nel dubbio affidatevi a un esperto giardiniere o a un centro specializzato, tenendo sempre in considerazione quanto emanato dall’ Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) riguardo alla diffusione delle specie invasive.

sabato 24 settembre 2022 13Ticino7
AMBIENTE DI MARISA GORZA FOTOGRAFIE © SHUTTERSTOCK
sabato 24 settembre 2022 14Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE

L’Alpe di Pii si trova a 1’610 metri di quota, fra i monti sopra Lodano, in Valle Maggia. Arrivare quassù è come riemergere dopo un’immersione subacquea: il fiato allarga i polmoni, gli occhi si aprono alla luce, ai colori, e finalmente si placa la tensione del cervello, sempre teso a misurare lo sforzo. Sta accadendo qualcosa. Qui, tra i larici e i cespugli di mirtillo, proprio qui. Mi sento come una sentinella che si guarda intorno, con affanno, cercando di capire da dove arrivi la sensazione che qualcuno – amico o nemico? – si stia avvicinando. Poi intuisco che su queste montagne le cose avvengono adagio. Bisogna stare all’erta, ma non per il timore che gli eventi sfuggano. Il rischio è piuttosto quello di non accorgersi che qui tutto si muove. L’erba trasmuta dal verde pieno al verde chiaro, poi al giallo; il cielo passa dall’azzurro estivo all’azzurro autunnale, più profondo, più meditativo; il minuscolo laghetto, quasi inaridito, si allarga di pochi centimetri dopo la pioggia. Come percepire questa vitalità? Devo imparare a pensare più lentamente.

Alla

Molti dicono che settembre sia il vero gennaio, il mese dei buoni propositi, della salute al primo posto, dei pasti equilibrati, del movimento, del decluttering. E Roger Federer ha scelto proprio questo mese per noi persone normali così denso di intenzioni e nuovi slanci per annunciare ciò che aspettavamo da tempo e non volevamo sentire. Il Re lascia il tennis e lo ha fatto sapere in un modo talmente low profile (un post su Instagram con fermo immagine e audio) da risultare ancora più forte in termini di impatto.

“Il tennis mi ha trattato più generosamente di quanto io potessi immaginare, ma ora è arrivato il momento di dire basta, e terminare la mia carriera da professionista”. Parole dolci, forti e misurate, come lo stile a cui Federer ci ha abituato. Parole che raccontano i limiti del corpo e quelli della mente. Chi abbia letto Open, la biografia di Andre Agassi, un altro grande tennista ma diversissimo dal nostro Roger, non può non notare la differenza. Per Agassi il tennis è stato un meraviglioso, munifico e devastante tiranno (diretta emanazione di un padre

molto ingombrante), per Federer un partner generoso. Danno come l’idea dello scampato pericolo, quelle parole. Come a dire: poteva andarmi peggio. Non solo potevo non vincere, ma potevo non divertirmi, potevo non avere i nervi così saldi, potevo farmi molto più male. E invece il tennis è stato generoso. Roger saluta con grazia uno sport che certamente gli ha dato tanto (i soldi, la fama, le soddisfazioni), ma altrettanto certamente gli ha tolto. Ecco, la lezione incredibile, per noi lamentosi che a metà settembre già siamo devastati dal dover incastrare il calcio dei bambini con la piscina, la pulizia dei denti e il controllo dal pediatra, è il fatto che si possa fare fatica senza lamentarsi mai, accettare la fatica e il sacrificio come parte necessaria del divertimento, del mestiere, del talento. Questo è il fascino dello sport e pochi artisti come il grande Roger hanno saputo viverlo con tanta grazia.

ALTRI

CYBER COACH

Da uno straordinario simulatore di canottaggio alla sensoristica di nuova generazione: un curioso e intrigante viaggio nello sport del futuro in streaming su PlaySuisse.

L’allenatore - il coach - è una figura centrale per qualsiasi sportivo; tuttavia un dispositivo che si appoggia sull’intelligenza artificiale riesce a vedere o calcolare determinate azioni meglio di qualunque persona in carne e ossa. Un documentario di Cesare Bernasconi, presentato all’interno della trasmissione ‘Il Giardino di Albert’ della RSI.

VERSO IL FUTURO

Questa docuserie, 12 episodi in streaming su Netflix, esamina tendenze tecnologiche nuove ed emergenti con l’aiuto di esperti del settore per ipotizzare prospettive rivoluzionarie nei vari ambiti, l’ottava puntata è dedicata allo sport. Atleti e ingegneri si confrontano con i nuovi sviluppi dell’intelligenza artificiale e della robotica per eliminare gli infortuni che possono rovinare una carriera e anche la vita. Affinché gli atleti, in un futuro non troppo lontano, non debbano più mettere a rischio i loro corpi.

CYBATHLON

Il Cybathlon consiste in una serie di competizioni internazionali organizzate dall’ETH di Zurigo per concorrenti con disabilità fisiche, i quali possono utilizzare tecnologie bioniche di assistenza come protesi robotiche, interfacce neurali ed esoscheletri motorizzati. Al fine di identificare i bisogni, le aspettative e le sfide quotidiane delle persone con disabilità, il comitato organizzatore di Cybathlon è in stretto contatto con fondazioni, ricercatori e, naturalmente, persone con disabilità. Il docu è su PlaySuisse.

HUMAN

Scienza all’avanguardia e avvincenti storie personali si incontrano in questa illuminante serie Netflix sull’incredibile funzionamento del corpo umano. Nel primo episodio, “Reazioni”, attraverso gli occhi di un pugile, di un operatore di primo soccorso e di un uomo con la mano bionica osserviamo come il cervello e il sistema nervoso trasformano le informazioni in azioni. Nella puntata intitolata “Sensi” si scopre come una coppia di pattinatori riesca a fare salti perfetti grazie alla potenza e alla flessibilità dei sensi.

sabato 24 settembre 2022 15Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO Coordinate: 2’693’251.8; 1’124’541.3 Comodità: ★★☆☆☆ Vista: ★★★☆☆ Ideale per… stare all’erta. Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direttore Beppe Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione, redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch • laregione.ch Servizio abbonamenti tel. 091 821 11 86 • info@laregione.ch Pubblicità Regiopress Advertising via C. Ghiringhelli 9, CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 90 • pub@regiopress.ch ticino7
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SCHERMI DI ALBA REGUZZI FUOG
salute del Re Benessere hi-tech Tecnologia in palestra SOPRA LA PANCA TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI

La storia infinita

Un affascinante viaggio nel passato del nostro territorio

Quattro puntate in prima serata; quattro epoche della no stra storia regionale raccontate in prima persona da Jonas Marti, in un affascinante viaggio nel passato del nostro territorio.

È questa, in sintesi, la nuova trasmissione che la RSI propone in prima serata per quattro lunedì sera di seguito, a partire da lunedì 3 ottobre, dopo il Telegiornale e il gioco Attenti a quei due

Si tratta — per Jonas Marti e gli ospiti che ritroveremo in studio — di valorizzare gli elementi del nostro passato, spesso sconosciuti ai più, qualche volta sotto forma di aneddoti curiosi, e di riproporli al grande pubblico.

Verranno proposte piccole e grandi vicende che raccontano la nostra grande Storia: un viaggio tra i millenni, alla scoperta del le tante meraviglie del nostro territorio, da vedere e toccare con mano attraverso i reportage realizzati per tutta la Svizzera italia na, con alcune incursioni nel resto del Paese.

La forma narrativa sarà variata, con servizi e schede che ci porte ranno alla scoperta delle nostre radici, con cartine e immagini del passato che si animano e ospiti in studio che spiegano e contestua

lizzano. Il tutto impreziosito da materiale iconografico dell’epoca: stampe, dipinti, proclami e documenti. Non mancheranno inoltre gli approfondimenti e le analisi sulle connessioni tra il locale e il globale e tra l’attualità e il nostro passato.

Rigore storico da un lato, linguaggio semplice, accattivante, com prensibile a tutti dall’altro: saranno questi gli ingredienti di un programma che dedicherà le sue quattro puntate rispettivamente a quattro epoche diverse.

Dapprima verrà affrontato il Medioevo nella Svizzera italiana: la storia di una terra contesa, poi l’epoca romana con la prima straordinaria globalizzazione del mondo. La terza puntata parlerà dell’epoca dei baliaggi, fra landfogti, streghe e rivoluzioni. Infine, l’ultima puntata sarà sulle vie di comunicazione raccontando le migrazioni dei popoli che con i loro movimenti hanno cambiato il corso della storia del nostro Paese e plasmato il territorio.

L’appuntamento con la prima puntata è per lunedì 3 ottobre, per un’avventura che ci farà scoprire una Svizzera italiana che non co noscevamo.

Da lunedì 3 ottobre, alle 21.10 su LA 1

La prima direttrice d’orchestra

Marin Alsop è stata la prima donna ad essere nominata direttrice musicale dell’Orchestra Sinfonica di Baltimora, dell’Orchestra di Stato di San Paolo e dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Vienna e la prima donna a ricevere il prestigioso MacArthur Award

Nata in una famiglia di musicisti a New York, Marin Alsop ha deciso di diventare direttrice d’orchestra a soli nove anni mentre accom pagnava suo padre a un concerto di Leonard Bernstein. Il suo percorso verso il successo professionale non è stato facile, ma nono stante fosse stata ripetutamente respinta dall’establishment della musica classica e vi vesse in un’epoca in cui secondo il New York Times “era più facile per una donna diventare leader di una nazione o un generale a cinque stel le che direttrice di una grande orchestra”, Marin

Alsop non si è persa d’animo e non ha mai abbandonato il suo sogno di dirigere una grande orchestra, diventando un modello per tante giovani ragazze che lottano contro le discriminazioni per realizzare le proprie pas sioni.

Lo Specchio 25 settembre alle 19.20 su LA 1

Claudio Cecchetto ospite a Lo Specchio

Cos’hanno in comune Jovanotti, Fiorello, Gerry Scotti, Amadeus, Linus, Pieraccio ni, Fabio Volo, Max Pezzali, Sabrina Saler no e tanti altri? Sono stati tutti scoperti e lanciati da Claudio Cecchetto

Dj, produttore discografico, conduttore televisivo, fondatore di radio ed editore, a 70 anni compiuti approda a Lo Specchio un nome leggendario nel mondo dello spet tacolo, un visionario che ha contribuito a rimodellare lo stile e il costume di alme no un paio di generazioni Sollecitato dalle domande di Damiano Realini, l’influente talent scout italiano ed autore del tormen tone “Gioca Jouer” ripercorrerà con simpa tia ed intelligenza la sua vita e la sua car riera, dagli inizi nelle radio milanesi alle prime apparizioni televisive su Telemilano 58, divenuta poi Canale 5. Esperienze che lo portarono ancora giovanissimo a pre sentare tre Festival di Sanremo di fila – dal 1980 al 1982 – e in seguito il neonato e for tunatissimo Festivalbar.

Una chiacchierata da non perdere

Alla scoperta dei Giardini straordinari

Gli schermi della RSI tornano a colorarsi di rossocrociato con il doppio appuntamento di Nations League.

A llo stadio de La Romareda di Saragozza sta sera gli uomini di Murat Yakin affrontano la capolista Spagna (diretta dalle 20.20 con il pre-partita), mentre martedì allo stes so orario e sempre su LA 2, la “Nati” ospita al Kybunpark di San Gallo la Repubblica Ceca nella sesta e ultima partita del girone.

Doppia sfida quindi, ma anche doppio obiet tivo: da un lato si cercherà di salvaguardare il posto nella Lega A (elvetici ultimi con tre punti in quattro gare), dall’altro si utilizze ranno queste due partite come test in vista del Mondiale che si disputerà dal 20 novem bre.

L’esordio della Svizzera alla è fissato il 24 novembre

Venerdì 23, sabato 24 e domenica 25, nel palinsesto di LA collegamenti con la Tennis Laver l’ultima presenza

sabato 24 settembre 2022 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 25.9 all’1.10 16
Coppa del Mon do
per
con il Came run.
2,
Cup da Londra per
di Roger Federer. VITA! Mercoledì 28 settembre alle 21.05 su LA 2
IN PRIMO PIANO
Domenica
Torna la Nazionale Federer gioca per l’ultima volta

In cammino sull’Himalaya Prima serata

Alla vigilia del 45.esimo anniversario della prima spedizione ti cinese sul Pumori, una delle grandi vette del pianeta, un gruppo di escursionisti capitanati da Romolo Nottaris e composto da Anna Nottaris, Carlo Spinelli, Aramis Dozio, Mauro Pini, Dafne Darani e Martin Dalsass lo chef stellato, ripercorre le piste solcate nel 1978, partendo dal basso Nepal fino alle pendici del Pumori e dell’Everest.

Condotta da Carla Norghauer, la serata speciale permette di rivi vere una affascinante avventura e mette a confronto aspettative, sensazioni, emozioni ed esperienza di appassionati della monta gna di ieri e di oggi.

Attraverso le immagini realizzate in occasione delle due spedizio ni, si ripercorre la risalita della pionieristica impresa del secolo scorso e quella di chi, pur non raggiungendo la vetta, l’esperienza l’ha vissuta la scorsa primavera. Tutto questo in un territorio pro fondamente trasformato da un’attività originariamente per pochi, le scalate, che è diventata oggi un fenomeno turistico a tempo pie

no, con tutte le domande, i dubbi e i pericoli che accompagnano questo radicale mutamento di costumi.

Nel 1978, come si diceva, la spedizione di 12 ticinesi condotta da Romolo Nottaris conquistò la vetta del Pumori (7.161 metri), una montagna allora poco conosciuta tra i non addetti ai lavori. La spe dizione aprì la via dell’Himalaya all’alpinismo ticinese e svizzero: nel 1981 lo stesso Nottaris conquisterà il Makalu (8.485 metri), la quinta vetta più alta del mondo, sempre nell’Himalaya.

Un’impresa documentata dal regista Fausto Sassi che accompa gnò la spedizione fino al campo base ad oltre 5500 metri, prima di affidare la telecamera a Romolo Nottaris per ripendere l’ascesa finale.

“In cammino sull’Himalaya” è stato ideato e realizzato da Stéphan Chiesa che ha documentato la recente spedizione.

Mercoledì 28 settembre, alle 21.10 su LA 1

La musica raddoppia

Con

Lo abbiamo conosciuto e apprezzato quale musicista, cantante, fine dicitore, autore di canzoni a dir poco emozionanti e splendido performer, ma non ci sarem mo aspettati (o forse sì) che ci coinvolgesse così profon damente, toccandoci l’anima, anche attraverso la sua scrittura al servizio di un romanzo. Eppure, una volta ancora, Ermal Meta stupisce mettendo il suo talen to, la sua sensibilità e il suo rigore in “Domani e per sempre”; il suo esordio nei panni di scrittore. Ve lo la sciamo scoprire, senza togliervi il piacere di perdervi tra le pagine del libro! Parole ma anche musica, con le sue canzoni che non mancheranno…

Giovedì

Freddie & The Cannonballs Showcase, diretta Rete Tre e streaming video

Condotto da Federico “Cannonball” Albertoni, bassi sta, cantante e grande appassionato di blues, il grup po da tempo immemore infiamma i palchi del nostro Paese con grande piacere del pubblico grazie a un re pertorio capace di offrire una selezione scoppiettante di brani degli anni ’50 e ’60 e di canzoni di propria com posizione.

Per l’occasione, prima dello Showcase, proporremo un estratto del documentario “Andiamo a Memphis!”, che la sera stessa sarà fruibile sul sito streaming della RSI.

Venerdì 30 settembre, ore 20.00

Studio 2 RSI, Lugano-Besso rsi.ch/eventi – rsi.ch/livestreaming

Storie Domenica 25 settembre alle 20.40 su LA 1

La vie en rose

L’ UAE team Emirates è una squadra ci clistica con una forte impronta svizzero italiana, ticinese in particolare. Nasce dall’intuizione di Mauro Gianetti che ha scelto Rubens Bertogliati quale di rettore tecnico della neonata squadra femminile. Nella squadra c’è una gio vane neoprofessionista ticinese, Linda Zanetti

La troupe di Storie ha accompagnato la squadra nella sua nascita a Calpe (luogo del primo ritiro) e nella prima avventura del Tour de France femminile. Gli otto giorni del Tour sono vissuti in seno alla squadra, fra atlete, dirigenti, meccanici, massag giatori. Un sogno che si è realizzato per sei ragazze, mentre Linda ha assistito al Tour da casa ma con la consapevolezza che pre sto (forse prestissimo) anche lei sarà al via di quella che è già la corsa più importante al mondo.

“La vie en rose” è stato realizzato da Gian mario Reycend e da Stefano Ferrando, “voce” RSI del ciclismo e conduttore della trasmissione su due ruote “Salirò”

Tra Jazz e nuove musiche

La nuova stagione riparte mercoledì 28 settembre, alle 21.00 nello Studio 2 RSI di Lugano-Besso, con una proposta firmata dal trio Humair-Blaser-Känzig: “Helveticus”

Appellativo di una stagione di concerti dove confluiscono generi e tendenze legate al concetto di improvvisazione, Tra jazz e nuove musiche – prodotta dalla Rete Due sin dalla fine degli anni ’80 – ha ospitato nel corso della sua lunga storia numerosi tra i più accla mati nomi della scena musicale contemporanea, accanto a molti giovani musicisti emergenti.

Nata nello Studio 2 della RSI di Lugano-Besso, la rassegna si propone ormai regolarmente anche al di fuori degli spazi dell’ente radiote levisivo, con concerti e spettacoli nati in collaborazione con altri enti, associazioni e organizzazioni attivi sul territorio.

Le serate saranno trasmesse in diretta su Rete Due e su rsi.ch/ retedue. Tutte le informazioni su prezzi dei biglietti, prenotazioni o prevendite, condizioni d’accesso su rsi.ch/jazz e sui siti dei par tner promotori.

La nuova stagione da Mercoledì 28 settembre

“Tra Musica e Parole” Incontro con Ermal Meta
sabato 24 settembre 2022 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 25.9 all’1.10 17
29 settembre, ore 20.00 Auditorio Stelio Molo RSI, Lugano–Besso rsi.ch/eventi – rsi.ch/livestreaming
Ermal Meta e Freddie & The Cannonballs

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