Ticino 7 N18

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Tina Turner, semplicemente la migliore

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Il ‘mistero’ del San Gottardo

In un istituto scolastico elementare del Sopraceneri, nelle ultime classi gli allievi affrontano il tema delle grandi vie di comunicazione. Che dalle nostre parti vuol dire cogliere i fondamenti del valico del massiccio del Gottardo (senza nulla togliere ad altri storici passaggi, Lucomagno per primo), tra mulattiere, ferrovie e strade. Le nozioni sono molte – date, fatti, personaggi, leggende, ma anche tragedie del lavoro e sviluppo del territorio – e mica è detto che tra gli studenti tutti abbiamo già viaggiato in treno verso nord, o riescano a immaginare le fatiche di attraversare “a mani nude” una gola (Piottino, Biaschina, Schöllenen); o ancora cosa significasse in passato salire i tornanti della vecchia Tremola. Certe cose

meglio vederle che solo leggerle, e ci si aspetta che la scuola organizzi una bella missione esplorativa tra Giornico, Faido e Airolo, così che tutti si rendano conto che cosa stanno studiando e dove ci troviamo. E invece... Il “problema” è che dal 2016 di ferrovie che bucano il massiccio ce ne sono due (aspetto che risulterà poco chiaro a non pochi studenti), con percorsi a volte sovrapposti, a volte separati. Per sciogliere gli ultimi dubbi non resta che salire sui mezzi pubblici con figli e amici e farsi una scampagnata tra Camorino, Biasca, Bodio... “Ah ecco, allora qui di binari ce ne sono 4 e di treni 2: uno va piano e uno va veloce!”. Esatto, poi (meteo permettendo) tra qualche giorno guarderemo Airolo dall’alto e il gioco sarà (quasi) fatto.

sabato 6 maggio 2023 1 Ticino7
numero 18 A CURA
DELLA REDAZIONE

Le mille vite di

TINA TURNER

La prima parte della sua vita, Tina Turner la trascorre con il suo nome di battesimo, Anne Mae Bullock, a Nutbush nel Tennessee, ma già a dieci anni, per la separazione dei genitori, si trasferisce a St. Louis dalla nonna. L’unica cosa che la rincuora è cantare la domenica mattina nel coro della Chiesa. Con una consapevolezza già chiara: “Non ho mai avuto paura di cantare o del palcoscenico. Sentivo che la musica correva dentro di me. Il mio dono era la voce e io sapevo come usarla”. Ha sempre detto e raccontato poi, nelle sue biografie, di non essersi mai sentita amata da sua madre, che non voleva un’altra figlia da un marito violento. Le uniche oasi nella sua infanzia sono quelle canzoni gospel della domenica e l’ascolto continuo della radio fino a quando non viene mandata a lavorare in una famiglia del Tennessee dove, per la prima volta, sente un po’ di calore e di accoglienza.

‘A Fool in Love’ È una sera del 1957, lei ha 17 anni e dopo avere ascoltato alla Radio i Kings of Rhythm chiede alla sorella di poterli andare a vedere. Alla fine dello spettacolo chiede al leader di poter cantare. Il leader è il chitarrista Ike Turner (in basso a destra in una foto degli anni Settanta con Tina, ndr), autore pochi anni prima del primo pezzo rock della storia, ‘Rocket 88’. Lui non dà troppo peso alla richiesta di quella ragazzina aspirante infermiera, ma è fine serata e l’accontenta: alla prima nota di lei, gli è subito chiaro il talento. Il giorno dopo va dalla madre per chiederle di poterla avere nel suo gruppo come corista. Trasforma Anna Mae in Little Anna cambiandole nome, look, prospettive e sogni. Lei entra nella band e in quei primi mesi s’innamora di Raymond Hill, il sassofonista; pochi mesi dopo dà alla luce Craig, il primogenito. Ma la storia dura poco perché Ike, appena separatosi dalla prima moglie, inizia a corteggiarla insistentemente.

Il punto di svolta: la mattina in cui la band deve registrare ‘A Fool in Love’, la cantante principale non si presenta; pur di non perdere la giornata di studio già pagata, Ike Turner chiede a Little Anna di cantare lei ‘A Fool in Love’, provvisoriamente. La registrazione è perfetta, definitiva, entra in classifica e tutto cambia.

Ike & Tina Turner Revue

Cambiano soprattutto le cose tra i due. Lui non tarda a rivelare il suo carattere aggressivo, avido e affarista; capisce subito che lei sta diventando l’attrazione principale, lei e quella voce graffiante, e quella figura che si muove sinuosa e felina sul palco. Decide di sposarla: a Tijuana, in Messico, per avere il controllo totale su di lei, le cambia il nome, registrandolo però come marchio di sua proprietà, così da bloccare ogni rivendicazione o abbandono futuro. Anna Mae diventa Tina Turner e la formazione da quel momento sarà Ike & Tina Turner Revue. Mentre gli spettacoli si moltiplicano, viene fuori tutto il lato violento di Ike: liti e botte sono all’ordine del giorno,

complice una bipolarità aggravata dall’uso massiccio di alcol e cocaina. Occhi neri, labbra tumefatte, costole rotte, ogni volta al Pronto soccorso lei deve inventarsi una scusa diversa per spiegare l’ira animalesca di un uomo verso cui si sentiva in debito per averle dato la possibilità di diventare una cantante. La prima ancora di salvataggio gliela offre Phil Spector che ingaggia il duo per incidere ‘River Deep - Mountain High’, ma paga a Ike 25mila dollari purché non si intrometta in sala di registrazione. Lei vola, tutta sola, per la prima volta a Londra e assapora i primi giorni di libertà.

‘Nutbush City Limits’

Tornata a Los Angeles, l’inferno familiare riprende, nonostante l’arrivo di un figlio e la famiglia allargata che include anche i due figli avuti da Ike in precedenza. Il pubblico ignora tutto questo, perché lei sul palco non dà a vedere nulla. Aumenta il fondotinta per coprire i gonfiori, e la musica catalizza tutta l’attenzione. Come in ‘Proud Mary’ dei Creedence Clearwater Revival, che da lenta si trasforma in un r’n’b scatenato in cui tutta l’energia repressa di Tina viene fuori, un sabba musicale. Pubblico in delirio, quotazioni che salgono alle stelle, su quest’onda, per la prima volta, Tina scrive un pezzo ed è un successo clamoroso: ‘Nutbush City Limits’, con la chitarra acida di Marc Bolan, leader dei T. Rex.

Il successo di ‘Nutbush’ è mondiale: Ken Russell la chiama per interpretare il ruolo di Acid Queen nella trasposizione cinematografica di Tommy, l’opera rock degli Who, cosa che scava un solco ancora più profondo tra lei e Ike. Alle violenze e ai soprusi si aggiunge una gelosia artistica che esaspera una situazione ormai insostenibile: dopo gli ennesimi schiaffi

La forza, il riscatto, le cadute e le rinascite, la determinazione costante, hanno fatto di Tina Turner l’interprete che ha segnato, con una firma indelebile, cinquant’anni di rhythm and blues, funky, rock e grandissima musica pop.

ricevuti durante un viaggio per aver rifiutato di assaggiare un cioccolatino squagliato dal sole, per la prima volta lei reagisce…

Ramada Inn, Dallas, TX

Arrivati in albergo, a Dallas, Tina lascia calmare Ike, che come sempre beve e prende un sonnifero; lei, in piena notte, lascia tutte le sue cose nella stanza, esce di corsa con 36 centesimi nel borsellino, attraversa la statale tra i clacson dei veicoli che sfrecciano e raggiunge un albergo, il Ramada Inn, dove chiede una stanza che assicura di pagare appena rientrerà a casa. Il direttore la riconosce e l’aiuta in quel primo tratto verso la libertà. Una libertà pagata a caro prezzo: per ottenere il divorzio, Tina lascia ad Ike tutte le proprietà in comune compreso lo studio di registrazione a Los Angeles, chiedendo in cambio solo di poter mantenere quel nome: Tina Turner. Trova accoglienza a casa di Wayne Shorter, il grande sassofonista dei Weather Report, che insieme a sua moglie inizia a parlarle del Buddismo di Nichiren Daishonin. È la porta che apre a Tina la sua seconda vita. Anche Cher corre in suo aiuto, invitandola spesso nel suo show televisivo. Una sera, al Roxy di New York, arriva a sentirla David Bowie. “Sono qui per la mia cantante preferita”, risponde a un giornalista. Tutto il vertice della Emi è lì, Tina è esplosiva, indimenticabile. Due giorni dopo firma un nuovo contratto per tre album: è la ripartenza.

‘The Best’

‘What’s Love Got to Do with It’, ‘Better Be Good to Me’, ‘I Can’t Stand the Rain’, ‘Let’s Stay Together’ e un piccolo gioiello scritto inizialmente da Mark Knopfler per Love Over Gold dei Dire Straits, prima di rendersi conto che sarebbe stato perfetto per la voce di Tina Turner. Il successo di Private Dancer è planetario come quello del tour. Contemporaneamente, Tina recita in Mad Max, oltre la sfera del tuono, con Mel Gibson. È il momento d’oro: l’amore vero bussa alla sua porta nella persona di Erwin Bach, dirigente europeo della Emi che sposerà e col quale oggi vive in riva al Lago di Zurigo. Il 1986 è l’anno di Break Every Rule e ‘Typical Male’, con la batteria di Phil Collins, lascia un ulteriore segno. Tutti vogliono cantare con Tina: Bowie, Jagger, Bryan Adams, Rod Stewart, Santana, Barry White, più tardi Ramazzotti ed Elisa. Lei collabora con Eric Clapton, Steve Winwood, Herbie Hancock. Il terzo disco di quel tris che chiude un decennio irripetibile è Foreign Affair: ‘I Don’t Wanna Lose’, ‘Look Me in the Heart’, ‘The Best’ e un tour con 4 milioni di spettatori che batte il record di allora, detenuto dagli Stones. Il traguardo è raggiunto: “Ho sempre avuto presente in me il detto buddista di trasformare il veleno in medicina”, dice Tina. “Adesso mi guardo indietro e capisco tutto. Dal dolore è nata la gioia. Sono riuscita a emergere dall’incubo e trovare l’armonia. E non sono mai stata così felice come oggi”.

sabato 6 maggio 2023 2 Ticino7 DI TUTTO UN POP DI SERGIO MANCINELLI
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Dischi dal

retrobottega

Bollati dai puristi del black metal come commerciali, invisi ai media mainstream in quanto “blasfemi”, i britannici Cradle of Filth non sono un ascolto dei più facili. Ma se retrobottega dev’essere, che retrobottega sia: ed eccoci a parlare di Dusk and Her Embrace, considerato l’apice creativo del gruppo. Le origini black metal vengono riassorbite in un suono teatrale, fatto di ampie parti orchestrali e aperture melodiche che immergono totalmente l’ascoltatore in un’atmosfera inquietantemente gotica, ma venata di un certo romanticismo rétro. Perché in fondo, Dusk and her Embrace racconta una storia d’amore: certo, l’amore è quello fra un umano e una vampira, e dunque negli elaboratissimi testi ci va dentro un po’ di tutto fra sesso, morte. Le tracce mediamente lunghe dell’album, anche 6 o 7 minuti, sono complesse suite: repentini cambi di tempo, velocissimi blast di batteria black metal che sostengono arie melodiche, improvvise frenate doom metal e pause sospese che aprono scorci quasi narrativi: quanto basta per fare a pezzi il formato canzone classico strofa-ritornello. C’è poi una cosa che, nel bene o nel male, salta all’orecchio, ed è la vocalità del disco. È chiaro da subito che lo schema canonico del gothic metal “beauty and the beast” (voce maschile in growl/voce femminile angelica) non ha posto in questo disco. Più che di angeli eterei, le donne di Dusk and Her Embrace sono infatti affascinanti e demoniache succubi pronte a trascinare in tentazione l’incauto ascoltatore: uno su tutti, il “NEVER LEAVE ME!” sospirato, ansimato in ‘Funeral in Carpathia’ (la traccia di punta di tutto il disco) suona quasi come un’inquietante minaccia più che una disperata preghiera. E poi c’è Dani Filth, che salta da un growl lovecraftiano allo screaming furioso, passando per angoscianti sussurri in funzione narrativa fino ai suoi caratteristici acutissimi gridolini che, sì, possono piacere oppure no, ma si inseriscono perfettamente nell’atmosfera sensualmente grandguignolesca dell’album. Dusk and her Embrace non è sicuramente un disco da regalare a San Valentino, ma è la base di partenza per chi è sensibile al fascino delle atmosfere oscure ma si è un po’ scocciato del gothic fatto di borchiette, fondotinta e frasi da Baci Perugina.

Suoni & rumori

DI GIANCARLO FORNASIER

Add N To (X) Avant Hard (1999)

“Questa non è elettronica, esattamente come i Led Zeppelin non erano blues. I tre scoprono una nuova dimensione dell’elettronica, più aspra e più profonda, esattamente come i Led Zeppelin avevano scoperto una nuova dimensione, più aspra e più profonda, del blues. Loro hanno scoperto l’ ‘hard elettronica’ esattamente come i Led Zeppelin avevano scoperto l’‘hard rock’ ” Così scriveva il critico musicale Piero Scaruffi – l’autore dei sei monumentali volumi sulla Storia del rock per l’editore Arcana –all’uscita Vero Electronics (1995) e On the Wires of Our Nerves (1998), i primi lavori estesi degli Add N To (X) apparsi per la Mute Records. Terzetto formatosi a Londra e dedito a tastiere analogiche, vocoder e drum machine (in seguito arriveranno anche le vere batterie), su ritmi a volte baroccamente colorati (ma intrisi di rumori) costruiscono ambientazioni nerissime animate da robot fuori controllo, con “squilli, brevi suoni intermittenti, scricchiolii e grida acute” (cit. sempre Scaruffi) a fare da sottofondo. I brani del trio profumano di un futuro rétro e una colonna sonora elettropunk; impossibile a questo punto non citare – tra le numerosissime influenze dirette e indirette – quel prezioso pentolone ribollente che è stata la musica tedesca degli anni Settanta (dai Kraftwerk agli Amon Düül), ma anche i Tangerine Dream, i maestri Cabaret Voltaire e i Clock DVA, i newyorkesi Suicide (imperdibile il primo omonimo capolavoro del 1977) e i “demenziali” (e geniali) Devo. La ricetta sonica viene resa meno ostica, più “rilassante”, nel terzo doppio vinile Avant Hard, dove spiccano tracce come la fruibilissima (a modo suo) ‘Revenge Of The Black Regent’ (già singolo dalla grafica ricercata) e ‘Metal Fingers In My Body’, narrazione di un rapporto sessuale tra una giovane donna e una macchina (che alla fine esploderà...). ‘Oh Yeah Oh No’ invece riconduce a certe sperimentazioni vocali quasi jazz degli Stereolab, mentre i 10 minuti ‘Machine Is Bored With Loved’ inghiotte il mondo intero un enorme nulla sonoro, ma infantilmente dolciastro (con tanto di vocalizzi iniziali alla Morricone).

“Ciò che rende unici gli Add N To (X) è il vortice dei sintetizzatori che infuria, stratificato, sopra il drumming violento” (cit. Scaruffi); senza dubbio degne di nota diventano così anche la serrata cavalcata di ‘FYUZ’ (spezzata da improvvise distorsioni) e ‘Buckminster Fuller’, brano d’assalto che mostra come i nostri amici abbiano ben assimilato le ricerche dei già citati Cabaret Voltaire e il tribalismo viscerale e psicotico dei Can. Presentatisi in splendida forma all’inizio del 2001 per registrare una Peel Session alla BBC (la seconda dopo quella del novembre 1999), ad Avant Hard seguiranno Add Insult To Injury (2001) e Loud Like Nature (2002). Il gruppo si scioglierà nel 2003, originando altri progetti e formazioni.

I

miei migliori cento

The Specials The Specials (1979)

È venuto fuori dal nulla, almeno per noi tra Svizzera e Italia. Prodotto da Elvis Costello, 14 canzoni in tutto, inclusi i classici dei The Maytals ‘Monkey Man’, ‘Too Hot’ di Prince Buster e ‘A Message to You Rudy’ di Dandy Livingstone, insieme a 11 canzoni originali che sono diventate dei classici dello ska all’istante. E per quelli di noi che hanno vissuto in quegli anni e hanno assistito con orrore alle rivolte nelle città del Regno Unito, sarà ricordato per sempre come una colonna sonora di quei tempi. Non avevo mai sentito parlare di ska prima, ma sono stato immediatamente catturato dalle sue linee di basso che camminano, dal tempo up-beat e dai ritmi off-beat. Più tardi avrei inalato tutto lo ska: The Selecter, Bad Manners, Madness, The Beat, The Skatalites, Toots & The Maytals, Jimmy Cliff, tuffandomi nei Mighty Mighty Bosstones quando fecero irruzione nella scena ska statunitense. Sono anche diventato un habitué di tutti i concerti ska che trovavo, e ancora oggi tengo molto alla mia collezione di sciarpe da concerto. A parte la musica, si guadagna molto apprezzamento se si capiscono i testi, ma non in senso letterale, piuttosto per ciò che implicano e rappresentano, ed è probabile che se non si è mai finiti in un pub di Coventry alla fine degli anni Settanta, o non si ha mai camminato nello squallore dei sobborghi urbani del Regno Unito all’inizio degli anni 80, si potrebbe non ottenere mai un pieno apprezzamento per questo disco senza tempo. L’ironia di tutto ciò è che siamo nel 2023 e fondamentalmente non è cambiato nulla! E The Specials è rilevante oggi come lo era più di 40 anni fa. Ma non sono qui per elogiare questo disco per il suo messaggio di unità razziale, o per elogiare Jerry Demmers per aver fondato la 2 Tone Records e aver letteralmente iniziato una nuova era ska. Sono qui per dirvi che The Specials è una gioia assoluta, e indipendentemente da dove vieni, ti godrai questo disco dall’inizio alla fine. Personalmente, questo album è saldamente nella mia top 10 dei dischi che ho ascoltato, e immagino di averlo fatto più di 100 volte nella mia vita, dall’inizio alla fine. A proposito di “fine”: l’ultima traccia è ‘You’re Wondering Now’: inizia con un bussare a una porta… “You can’t come in” risponde la voce… Lentamente la ’72 Fender Telecaster di Lynval Goldin entra in punta di piedi con una melodia semplice, il basso entra presto, semiminima dopo semiminima, più tardi si unisce il suono assurdo dell’organo Vox Super Continental di Jerry Demmers del 1966. Sono le due di notte: pub vuoto, gente stanca che si trascina... Una scena che la maggior parte di noi, cresciuti in quei tempi, può capire.

“You’re wondering now, what to do, / Now you know this is the end / You’re wondering how, you will pay, / For the way you did behave / You’re wondering now, what to do, / Now you know this is the end / A simple, beautiful Polaroid”

Figli delle stelle

(vintage edition)

DI BEPPE DONADIO

Guarda e ascolta ‘I Want a New Drug (live)’

Huey Lewis and the News Sports (1983)

Dici Huey Lewis and the News e in un attimo ti ritrovi nel 1955. Ma prima di Ritorno al futuro e di ‘The Power of Love’, la band portatrice del San Francisco sound già navigava nelle alte classifiche. Sin dai tempi di Sports, album di quarant’anni fa a settembre, un concentrato di felicità e bel suonare cui faranno seguito Fore (1986) e Small World (1988), entrambi con i Tower of Power, sezione fiati da sogno.

Sports è la consacrazione della band di Huey Lewis, all’anagrafe Hugh Anthony Cregg III, che vagabondò in Europa con l’armonica a bocca in tasca e fece lunga gavetta. Una volta trovato il nome giusto (volevano chiamarsi Huey Lewis & The American Express, ma c’era un problema di carte di credito), Huey Lewis and the News debuttano nella musica che conta prodotti da John ‘Mutt’ Lange (AC/DC, Def Leppard, Bryan Adams, Shania Twain), sfondando (senza di lui) proprio con Sports, con la foto di copertina scattata in uno dei luoghi di gavetta, uno di quelli che sopra il bancone c’era la TV, e in TV lo sport.

Aperto dal battito cardiaco (non digitale) di ‘The Heart of Rock & Roll’, chiuso dal tributo al monumento del country Hank Williams (‘Honky Tonk Blues’) e con in mezzo sprazzi d’elettronica (la drum machine di ‘Bad is Bad’), Sports contiene una manciata di Top 10: ‘Heart and Soul’, ‘If This is It’, con video girato sulle spiagge della California, e soprattutto ‘I Want a New Drug’, n. 1 nella sezione ‘Dance/Disco’ (sic) della Billboard.

La donna nuda

‘Weird Al’ Yankovic – che bombardò Michael Jackson con le di lui immortali parodie intitolate ‘Fat’ (‘Bad’) e ‘Eat It’ (‘Beat It’), due inni all’obesità – trasformò ‘I Want a New Drug’ in ‘I Want a New Duck’ (Voglio una nuova anatra). La canzone affascinò anche Elio e le Storie Tese, per i quali diventò ‘La donna nuda’, storia di un uomo che s’innamora di una conducente di autobus (“La donna nuda si depila col Bic / Tenta l’uomo dall’autobus, lo colpisce col crick”).

‘I Want a New Drug’, dove la droga è da intendersi come nuovo amore, ma anche nuovi stimoli e ogni altra novità non ascrivibile allo sballo sintetico, fu anche oggetto di causa e controcausa con al centro i fantasmi: quando, nel 1984, il brano ‘Ghostbusters’ sbanca le classifiche, Huey Lewis porta in tribunale Ray Parker Jr., autore del tema dall’omonimo film di Ivan Reitman. L’accusa è di plagio, con riferimento alla melodia e al giro di basso; il contendere dura fino all’accordo economico raggiunto nel 1985, segreto. Nel 2001, di quell’accordo, Lewis parlerà in TV e Parker lo controdenuncerà per violazione della clausola di riservatezza (rientrando delle spese precedenti).

sabato 6 maggio 2023 3 Ticino7
Cradle of Filth Dusk and Her Embrace (1996)
MUSICA A CURA DELLA REDAZIONE

L’archeologia svizzera in SUDAN

Giornalmente giungono drammatici aggiornamenti su quanto sta succedendo in Sudan, uno dei molti teatri di guerra (ai quali non dovremmo comunque mai abituarci). Non tutti sanno che nel paese africano opera una missione archeologica svizzera, avviata dall’Università di Ginevra diversi decenni or sono sul sito di Kerma, nell’antica Nubia, vasta regione a cavallo tra Egitto e Sudan...

Nell’ottobre del 1994 l’archeologo Charles Bonnet era venuto a Lugano, su invito dell’Associazione archeologica ticinese, per parlare, appunto, di quell’ambizioso progetto, del quale era il promotore e l’anima; ne scrisse anche un resoconto sul Bollettino annuale dell’associazione. Da allora i lavori sono continuati senza sosta, da vent’anni sotto la direzione di Matthieu Honegger dell’Università di Neuchâtel che ne ha ampliato il concetto, con il sostegno del Fondo nazionale per la ricerca scientifica e sotto il cappello della Fondazione Kerma presieduta dal professor Antonio Loprieno che insegna Egittologia all’Università di Basilea.

Ecco in sintesi cosa mi ha raccontato il professor Loprieno del lavoro a Kerma, alla luce di quanto sta succedendo nel paese da settimane: “Quando si parla di tragedie che colpiscono un paese, l’archeologia passa naturalmente in secondo piano. È chiaro che in questa situazione ogni attività archeologica è stata sospesa; colleghi tedeschi sono appena stati rimpatriati, mentre i nostri sono stati a Kerma fino al mese di gennaio di quest’anno, poiché le campagne di lavoro sul terreno si svolgono nei mesi invernali a partire da novembre”.

un’educazione all’archeologia, a una presa di coscienza delle proprie radici, fornendo gli strumenti necessari per affrontare il futuro”, ci confida ancora il professor Loprieno. Un compito difficile ma importante in un paese che, come purtroppo vediamo, è dilaniato da una sorta di guerra civile combattuta tra gruppi con origini e interessi diversi: “Il paese è sempre stato dipendente dall’Egitto per ragioni storiche e culturali, dall’antichità fino al secolo scorso; d’altra parte non è stato toccato dall’occidentalizzazione culturale che ha influenzato invece l’Egitto moderno. Ha una storia originale. Si tratta di far scoprire le radici di un paese a cavallo tra Africa centrale, mondo arabo (ben presente nella regione) e il mondo mediterraneo legato all’Egitto. Il Sudan è insomma un crocevia globale, malgrado la separazione consensuale avvenuta qualche anno fa dal Sudan del sud, la parte meno islamizzata del paese”. E come vede Antonio Loprieno il futuro della ‘Missione Kerma’, una missione che ricordo opera in collaborazione con altre; in particolare con quella franco-elvetica della quale fa parte anche il collega Charles Bonnet. Quali prospettive vede? “Davanti a noi ci sono due scenari. Lo scopo primario è dare la possibilità alla popolazione locale di gestirsi la propria archeologia, lo dicevo prima, per esempio con la creazione di un Museo a Kerma, come hanno iniziato a fare Charles Bonnet e adesso Matthieu Honegger. La fondazione di un museo locale stabile, nel quale la gente possa incontrarsi e riconoscersi è fondamentale. Il secondo scenario che mi auguro di poter vedere, anche se non sono molto ottimista, è che il paese possa tornare presto alla normalità e così continuare il nostro lavoro laggiù a favore della popolazione locale”.

I ‘Faraoni neri’

Prr la difesa della storia e della memoria

Per loro dunque nessun problema immediato. Dopo anni di ricerche sul terreno che hanno messo in luce monumenti importanti come un presunto Palazzo reale con annessi vari, compresa una sala adibita alle udienze dei regnanti, i vostri obiettivi scientifici quali sono? “La nostra attività è volta al coinvolgimento in prima persona della comunità scientifica (università, docenti, studenti, ricercatori) e civile sudanese, non solo per lo scavo vero e proprio, ma soprattutto nel lavoro di valorizzazione e messa a disposizione del pubblico delle testimonianze della loro cultura. Si tratta di arrivare a

Kerma divenne la capitale di un vasto territorio a monte della Terza cateratta sul Nilo ai confini con la terra dei faraoni, del quale si ha notizia fin dal III millennio a.C. Su decine di ettari sono sparse opere murarie di difesa, resti ampi di edifici civili e religiosi decorati con pitture nonché migliaia di tombe con ricchi corredi, a testimonianza della presenza continuata di una città importante, capitale di un regno che forniva al faraone oro, avorio, ebano e animali selvatici impiegati nelle cacce reali: testimonianze di una cultura dai tratti originali, fino ad allora poco conosciuta dagli archeologi, e che faceva da ponte tra il Mediterraneo e il mondo africano. A proposito dell’oro degli Egizi, come non ricordare le missioni dei fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, scopritori dell’antica Berenice Pancrisia, città dalla quale partiva il prezioso metallo alla volta della corte faraonica. Ma dalla Nubia vennero anche i faraoni del Nuovo Regno, XXV Dinastia (747-656 a.C.), che presero il potere, tentarono senza fortuna l’unificazione dell’intero Egitto e lottarono contro gli Assiri. Qualche anno fa al Laténium di Hauterive, presso Neuchâtel, si è tenuta una grande mostra dedicata appunto a questi famosi ‘Faraoni neri’, con le riproduzioni delle grandi

SOPRA: I MAGNIFICI ‘ FARAONI NERI ’, GIÀ ESPOSTI IN PASSATO IN UNA MOSTRA A NEUCHÂTEL. IN ALTO: UNA RICOSTRUZIONE DELL A CITTÀ DI KERMA: AL CENTRO, IL TEMPIO PRINCIPALE.

SOTTO: UN RESOCONTO DELLE ATTIVITÀ 2017-2019 DELL UNI DI NEUCHÂTEL IN SUDAN.

statue che rappresentavano i sovrani nubiani, accompagnate dai tesori emersi dagli scavi soprattutto delle necropoli - gioielli, suppellettili, armi, ceramiche, statuine -, provenienti dal Museo di Karthum (che si spera non venga danneggiato dai combattimenti in corso). Un’iniziativa frutto della collaborazione tra le autorità sudanesi di allora e le istituzioni culturali della Svizzera. Speriamo che questa intesa possa continuare anche in futuro, una volta dissipate le nubi di guerra che ricoprono ora il Sudan.

sabato 6 maggio 2023 4 Ticino7 CUOREMENTE DI MARCO HORAT
IL
PROFESSORE ANTONIO LOPRIENO

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“L’importante non è vincere, ma partecipare”. Questa frase, attribuita al fondatore dei Giochi olimpici dell’era moderna, Pierre de Coubertin, si addice perfettamente a Mida Fah Jaiman, sciatrice che ha visto avverarsi un sogno: gareggiare ai Giochi invernali del 2022 a Pechino nel gigante e nello slalom, la sua disciplina preferita. Ma come è stato possibile che una giovane leventinese abbia potuto rappresentare la Thailandia a una rassegna che è senza fra le massime aspirazioni per uno sportivo?

Il mistero è presto svelato... “Mia mamma era thailandese. Quando avevo due anni sono stata accolta in una famiglia affidataria, che aveva già due figli. Ovviamente, non ricordo niente di quel momento, perché ero troppo piccola. Ho incominciato a sciare all’età di 3 anni per puro divertimento, quindi sono entrata dapprima nello Sci Club Rodi-Fiesso, poi in quello di Airolo. Le prime gare le ho disputate all’età di sette anni, mentre ho esordito in una competizione internazionale FIS nel novembre 2018 a Diavolezza”.

Una svolta importante nella sua vita è avvenuta nell’estate del 2021, quando la Federazione thailandese di sci ha preso contatto con lei in vista di una sua partecipazione ai Giochi invernali di Pechino. “È andata così. L’allenatore della nazionale thailandese di sci è un amico del tecnico di TiSki Alessandro Lazzarini. E così i due hanno parlato della possibilità che avrei avuto di gareggiare con passaporto thailandese. C’è stato subito un interesse reciproco, per cui le cose sono andate rapidamente in porto”.

Pechino: un’esperienza tosta

E così, ecco la nostra Mida, appena ventenne, catapultata nel febbraio dello scorso anno alle Olimpiadi invernali di Pechino. “Per me è stata un’esperienza abbastanza tosta, direi. Sono atterrata in Cina da sola, in un ambiente completamente nuovo per me .Certo, non è stato facile ambientarmi, anche perché c’erano ancora le restrizioni del Covid, per cui eravamo tutti molto isolati ed era difficile percepire quell’atmosfera che caratterizza generalmente queste manifestazioni, dove tutti gli atleti si mescolano e si ritrovano insieme. Dal punto di vista sportivo è stata un’esperienza incredibile. Il piccolo team thailandese comprendeva, oltre a me e ai tecnici e dirigenti, un altro sciatore alpino e due fratelli fondisti. Tutti e tre vivono in Italia, per cui potevamo parlare italiano tra noi, anche perché non so il thailandese”.

Durante i Giochi di Pechino Mida è diventata molto popolare in Thailandia. Nella via centrale di Bangkok c’erano delle enormi gigantografie che la ritraevano. “Questo mi ha fatto uno strano effetto, perché dal nulla sono diventata improvvisamente popolare in un Paese dove non ero peraltro mai andata. Ci sono

Mida Fah Jaiman

È nata il primo dicembre del 2002 a Mendrisio da madre thailandese. All’età di due anni è stata data in affido alla famiglia di Renzo e Roberta Venturini, di Catto, con la quale vive tuttora. Dal 2017 al 2021 ha frequentato la Scuola professionale per sportivi d’élite di Tenero. In seguito è stata assunta come apprendista di commercio dalla Valbianca SA, società attiva nel settore del turismo invernale ed estivo di Airolo e della Leventina, con la quale sta concludendo il tirocinio. Ha gareggiato per la Thailandia nello sci alpino ai Giochi olimpici invernali del 2022 a Pechino e quest’anno ai Campionati del mondo di Courchevel Méribel, in Francia. Fa parte dello Sci Club Airolo e della squadra Under 21 di TiSki, la Federazione Sci della Svizzera italiana. Abita a Catto, frazione di Quinto.

stata per la prima volta l’anno scorso, pochi mesi dopo la fine dei Giochi. È stato bellissimo e ho trovato gente molto accogliente e disponibile”.

I mondiali in Francia

Con la preparazione e poi la partecipazione ai Giochi, la vita di tutti i giorni di Mida è naturalmente cambiata. “Quando ho iniziato il mio stage lavorativo ero all’80 per cento, poi la nuova situazione mi ha portato a spalmarlo su due anni al 50 per cento, quindi ho dovuto fare un ‘sacrificio’ dicendomi: ok, c’è questa possibilità, per cui mi prendo l’impegno di dedicare metà del mio tempo allo sport e metà al mio lavoro e direi che ne è valsa la pena”. Tanto più che lo scorso febbraio per lei c’è stato un altro importantissimo appuntamento, quello dei mondiali di sci a Courchevel Méribel. “È stata decisamente un’altra esperienza rispetto a Pechino, anche perché era più vicino a casa e c’era tutta la mia famiglia a sostenermi. Ho trovato tutto meno

artificiale e più umano rispetto alla Cina. Per quanto riguarda i risultati, ho concluso tutte le quattro manche sia in gigante sia in slalom, il che non era avvenuto ai Giochi, per cui posso ritenermi senz’altro soddisfatta”.

Uno sguardo al futuro

Concludiamo la nostra piacevole conversazione con questa sportiva semplice, modesta e, come si dice, dalla faccia pulita parlando del suo futuro. “Nei prossimi mesi dovrò prendere importanti decisioni. A luglio terminerò il mio stage alla Valbianca e avrò gli esami di fine tirocinio. La mia intenzione è di iscrivermi poi alla Scuola universitaria federale dello sport di Macolin per diventare docente di sport. Dovrò quindi decidere se abbinare questo impegno allo sport agonistico o se fare un’esperienza universitaria completa. Spero anche di poter ulteriormente sviluppare la mia grande passione, che è quella dei viaggi”. Allora, il minimo che possiamo augurarle è di ricavare ancora tante soddisfazioni dallo sport e dalla vita, perché indubbiamente se le merita.

sabato 6 maggio 2023 6 Ticino7 INCONTRI DI GINO DRIUSSI; FOTO PRINCIPALE © TI-PRESS / ALESSANDRO CRINARI
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sabato 6 maggio 2023 8 Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE
sabato 6 maggio 2023 9 Ticino7

Saper tessere storie è un’arte, che pare si possa anche apprendere. Un volume di recente pubblicazione svela alcuni consigli pratici. Poi vedete voi se proprio proprio volete scrivere anche un libro…

Come diventare grandi narratori

Essere in grado di raccontare storie è senza dubbio una delle cose più affascinanti che esistano. Perché le storie catturano, divertono, commuovono, fanno sognare. Chi ha il dono di saper narrare attira l’attenzione, crea empatia, instaura legami, riesce a costruire fiducia con chi lo ascolta. Si crede che l’arte del narrare storie sia qualcosa di innato oppure riservato a una ristretta cerchia di scrittori professionisti. In realtà siamo un po’ tutti narratori: raccontare è una competenza che ci appartiene, è un atto che l’umanità compie da quando ha iniziato a comunicare. E come tutte le azioni che compiamo può essere migliorata, ponendo l’attenzione su pochi, semplici consigli pratici. Ecco alcune delle strategie che propone la scrittrice irlandese Bernadette Jiwa nel suo I segreti dei grandi narratori (vedi a lato, ndr), agile vademecum per essere consapevoli protagonisti dei nostri racconti.

Le idee per le storie sono tutte attorno a noi. Dobbiamo solo essere molto attenti a coglierle. Per diventare buoni narratori si deve quindi essere prima di tutto disposti ad ascoltare e avere una buona capacità di osservare quanto ci succede attorno. Bisogna essere interessati alle persone e a quello che hanno da dire. E non avere la testa costantemente china sullo smartphone!

2. Scoprire la meraviglia

nel quotidiano

Le storie più grandi nascono spesso da vicende di poco conto, che hanno per protagonisti eroi ed eroine comuni, simili alla maggior parte delle persone che poi ascolteranno la nostra narrazione. Sono queste storie apparentemente ordinarie che fanno scattare il meccanismo di identificazione che le rende indimenticabili.

3. Sfruttare la forza del particolare

Se la vostra storia vi annoia prima ancora che la raccontiate oppure vi sembra una lista della spesa, forse volete mettere troppa carne al fuoco. Puntate su quel particolare che ha colpito voi

per primi. Raccontatelo come se lo steste rivivendo nel momento in cui ne parlate. Non abbiate paura di dilungarvi solo nel momento in cui avete catturato l’attenzione dell’uditorio.

4. Fare pratica nel mettersi in gioco

Narratori si diventa facendo pratica, narrando e imparando a rischiare qualcosa di noi stessi. Raccontare, infatti, implica lo sforzo di mostrarci, di farci conoscere, di far vedere al pubblico le nostre capacità, ma anche le nostre vulnerabilità.

5. Porsi nei panni del pubblico

Non raccontiamo per noi stessi, ma per chi ci ascolta. Facciamo quindi attenzione a essere empatici e non esclusivamente centrati su noi stessi. Narrare significa compiere un atto di generosità, fare un regalo a chi ci sta di fronte, non costruire un monumento al nostro narcisismo.

6. Il racconto deve essere pensato, non improvvisato

A differenza del semplice aneddoto una bella storia deve essere strutturata, pensata, organizzata. Solo così diventa significativa e anche memorabile. Insomma, non si può essere buoni narratori se non si pensa a come cominciare, proseguire e come terminare un racconto.

7. Meglio essere sinceri...

Non vuol dire che nelle storie dobbiamo dire tutta la verità e nient’altro che la verità. Significa che dobbiamo ammettere con noi stessi che quando raccontiamo vogliamo essere riconosciuti, visti, apprezzati. Quindi, nel momento in cui vogliamo metterci in mostra, meglio rivelare la parte più sincera di noi stessi.

Nel volume pubblicato in italiano da Hoepli (2022), Bernardette Jiwa condivide sette strategie per diventare grandi narratori. Essere in grado di trasformare i fatti in storie, di raccontare e coinvolgere è oggi, più che mai, necessario non solo per gli scrittori, ma per le aziende, gli imprenditori, i manager, i liberi professionisti. Sono le storie, infatti, a permettere di chiudere un affare e di creare universi narrativi in cui i valori del brand e quelli dei consumatori si incontrano. Perché non si può più comprare l’attenzione, si può solo cercare di costruire una fiducia che duri nel tempo.

sabato 6 maggio 2023 10 Ticino7 TENDENZE & EDITORIA DI ROBERTO ROVEDA
Un manuale per scoprire come raccontare le (proprie) storie
1. Bisogna essere presenti

Alpe Prato-Ambrì

Trekking tra le corti di Pian Taiöi, Garzonera, Cascina di Lago e Gioett

Alpe Prato

Corte principale Pian Taiöi, 1’668 m

Corti Garzonera, 2’003 m / Cascina di Lago, 1’979 m / Gioett, 1’464 m

Ubicazione Valle Leventina

Periodo carico Metà giugno, metà settembre

Ultimo paese Ambrì

Coordinate 693.524 / 151.197

Proprietà Boggesi Ambrì Alpe di Prato

Gestore Boggesi Ambrì Alpe di Prato

Tipo formaggio Semiduro grasso misto, 90% latte di mucca e 10% latte di capra

Altri prodotti Burro

Dicitura scalzo Prato Ambrì

Animali Ca. 80 mucche e 90 capre

Produzione Ca. 18 forme giornaliere e 900 a stagione

Mungitura Mungitura meccanica (Pian Taiöi e Garzonera in sala fissa, Cascina di Lago e Gioett carro mobile)

Caseificio Pian Taiöi (trasporto latte con veicolo)

L’alpe è situata in zona Garzonera a pochi passi dall’omonima Capanna e prende il suo nome dal Lago di Prato (2’055 m s.l.m.). Ma è dal fondo valle che è suggestivo scorgerla, quasi sospesa sopra il villaggio di Ambrì, da dove, sino a poco tempo fa, sovrastava la leggendaria pista di Hockey della Valascia. La strada che dal fondo valle giunge all’alpe s’inerpica lungo il crinale, attraversando boschi di abeti e larici che esalano gradevoli e suggestivi profumi.

Situato ad un’altitudine di 1’668 metri, l’alpe stesso regala una vista altrimenti negata a chi rimanesse a valle, rivelando i notevoli nuclei di villaggi nascosti quali Altanca, Catto, Lurengo e Deggio, che tessono un degno contrappunto panoramico sul lato opposto della Val Leventina. L’Alpe viene caricato principalmente con mucche da latte provenienti dai contadini membri della piccola Corporazione

Itinerario corte principale →Da «Ambrì» (992 m), si percorre la strada asfaltata sino al nucleo di case di «Giof» (1’386 m), dove bisogna lasciare l’auto in quanto da questo punto il transito è possibile unicamente agli autorizzati. Si segue la strada che aggira tutte le case e prosegue sopra l’abitato per 2,5 km sino a raggiungere un bivio in prossimità del ponte sul torrente «Ri Secco» (1’547 m). Non si prosegue diritti in direzione del monte di «Cassin d’Ambrì», ma si prende la strada che gira a destra e sale nel bosco a «Pian Scarléi» e poi continua sino a «Pian Taiöi» (1’668 m) che è il corte principale dell’alpe.

Sentiero: da «Giof» (1’386 m) si segue la strada che aggira tutte le case e prosegue sopra l’abitato, poco dopo l’ultima casa si abbandona la strada per un sentiero che sale nel bosco. A circa 1’530 metri di quota

dei Boggesi a cui si aggiungono quelle di proprietà di alcune famiglie appassionate e alcuni capi provenienti dalla Svizzera centrale che contribuiscono a raggiungere la quantità di bestiame bovino necessaria per la stagione alpestre. Di dimensioni importanti, la produzione dell’alpe di Prato dipende da corti quali Garzonera, in prossimità della capanna della SAT Ritom, e il corte Cassin di Lago, in prossimità del suggestivo Lago di Prato. L’alpe produce un formaggio caratterizzato dall’originale miscela di latte vaccino (90%) e caprino (10%), un unicum nella produzione leventinese. Le forme tendono pertanto ad acquisire una leggera nota caprina con il procedere della stagionatura, senza per questo sacrificare la delicatezza dell’insieme, impreziosito da note di fieno, di sottobosco e di nocciola.

si incrocia il sentiero che sale dal ponte di «Camperitt», si continua a salire in parte costeggiando il torrente «Calcascia» sino ad uscire dal bosco e raggiungere il pascolo in prossimità del ponticello a quota 1’613 m. Si segue sulla sinistra una pista per fuoristrada in leggera salita e in breve si arriva al corte principale dell’Alpe di «Prato», ovvero «Pian Taiöi» (1’668 m)

→ Strada asfaltata e sterrata, 300 m disl., 4,5 km, 2 ore.

→ Sentiero bianco-rosso, 300 m disl., 2,3 km, 1 ora.

→ Strada asfaltata, aperta al traffico sino a «Giof», dopo chiusa (cartello di divieto). Posteggio possibile a «Giof».

Escursioni

→ Lago di Prato: dal corte principale di «Pian Taiöi» (1’668 m) si sale al corte «Cascina di Lago» (1’979 m), da qui si segue il sentiero che porta al «Lago di Prato» (2’055 m).

Bruschettoni al formaggio d’Alpe e grappa ticinese

1 fetta di formaggio Tre Valli

1 noce di burro

1 bicchierino Grappa Bianca polenta abbrustolita a fette

q. b. pepe

Sciogliere il burro in una padella possibilmente di ferro (oppure col fondo antiaderente), mettere le fette di formaggio ben distanziate e lasciarle lentamente sciogliere. A circa metà dell’operazione, spruzzare il formaggio con la grappa e pepare. Servire le fette di formaggio ben calde su crostoni di pane fritti nel burro, oppure su fette di polenta abbrustolita.

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PIAN TAIÖI, 1’668 m (© ELY RIVA, FABRIZIO BIAGGI)
4 6 ° 29 ’ 56 ’ ’ N ; 8˚39 ’ 39 ’ ’ E
il percorso
Scopri Ricetta

Orizzontali

1. Un veicolo… romano 5. Località del Mendrisiotto 12. Uno dei sette colli romani 14. Città e porto dello Yemen 15. Reparto della fiera 16. È simile al finocchio 17. Albero con le samare 19. Animale della Lapponia 21. Si contrappone al bianco 22. Lancio, schizzo 23. Società Anonima 24. Né mio, né suo 25. Pronta per la semina 26. Negazione bifronte 27. Extraterrestre in breve 28. Risolse l’enigma della Sfinge 29. Capoluogo del Dipartimento della Mosella 30. Partecipava alle corse con i carri 32. Una parte di Lostallo 34. Spiccio, spedito, rapido 36. Stanno nella pisside 38. Lo abbrevia la A di USA 40. Giocatore scorretto 41. Gloria, vanto 42. Eventualmente all’inizio 43. Legge sulle Imprese Artigianali 44. Principe

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islamico 45. Così finisce la cantilena 46. Reo decapitato 47. Capitale europea 48. Il fiume di una Francoforte 49. Compiti, mansioni 50. Lo sono i materiali che non bruciano 51. Costruzioni nei cimiteri 53. Patria di cavalli… spinosi 54. Lo sono le terre dove venimmo alla luce 55. Lo Stato USA con Montpelier 56. Apocopi, troncamenti 57. Il figlio di Anchise.

Verticali

1. Ora si chiama assistente familiare 2. Quattro romani 3. Capanna in Valle d’Arbedo 4. Caverna, spelonca 5. Sinistra abbreviata 6. Ha scritto Le indagini imperfette 7. Articolo maschile 8. Serviva per il bucato 9. Nasce in testa 10. La rete a tennis 11. Ci sono quelle funebri

CON TICINO7

13. Principio filosofico orientale 16. Porta dell’armadio 18. Enclave spagnola in Marocco 20. Parte del chilo 22. Né bianchi, né neri 23. Lo sono molte ticinesi 25. Appellarsi, rivolgersi 26. Saltano a chi s’arrabbia 28. Ha Er per simbolo chimico 29. Cloto, Atropo e Lachesi 31. Ufficio federale delle strade in sigla 32. Misura per il legname 33. Ha perso il Cervino 35. Si contrappone all’odio 37. Veste da frate 39. Danneggiata, bacata 41. Ossa delle spalle 44. Evanescenti, incorporei 45. Thomas Alva, inventore 47. Il nome della scrittrice Nin (Ï=I) 48. Ricche, abbondanti 49. Tavernieri, locandieri 50. Arriva a metà 52. Società Atletica Lugano 53. Fieri senza pari 55. Iniziali dell’ex-ciclista Nibali.

sabato 6 maggio 2023 12 Ticino7 VINCI In cammin conDante SalvioniEdizioni Vinci il libro… A700 anni dalla morte di Dante lo scr Gerry Mottis rende omaggio all’autore Divina Commedia con l’interpretazione n sa della sua prima Cantica, l’Inferno. Senza tralasciareilrigorelinguistico elafe al testo originale, la narrazione accompa lettoreattraverso l’Oltretomba dantesco to da demoni, mostri mitologici, Lucif dalle innumerevoli anime dannate in un gio di riscoperta del capolavoromedieval Grazie al linguaggio moderno escorrev volume dà la possibilità astudenti, appass ti ecuriosi di gustarsi una delle operepiù di di tutti itempi, congiuntamente alle s dinarie raffigurazioni di Gustave Doré sapranno conquistareanche ipiù esigent no rittore della proedeltà agna il abitaferoe viage. vole, il sionagranstraoré che ti Viaggio commemorativo all’inferno 1321– 2021
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Con le dita nel naso

Ai bambini si insegna che quando si sbaglia o si offende qualcuno bisogna pentirsi, scusarsi, rimediare. Può accadere anche di vergognarsi di un errore fatto ed è naturale e giusto. Ma non può finire lì perché la vergogna è un sentimento che non produce nulla se non un ulteriore rivolgimento dello sguardo su di sé. Il fine di un qualunque gesto di correzione e, allargando il campo, educativo, non può essere quello di suscitare nell’altro vergogna. La cosa che più mi ha colpito nella vicenda delle tre ragazze universitarie che prendevano in giro delle persone di origine asiatica sul treno regionale Como-Milano, canzonandole per il loro modo di parlare e di essere, per l’appunto, asiatiche, è che la ragazza (una TikToker famosa, si è scoperto poi) che era con le persone canzonate ha deciso di tirare fuori il telefonino e filmare tutto per vendicarsi dell’idiozia delle idiote e lo ha fatto sperando “che qualcuno in Italia le trovi e le faccia vergognare”. Ora. Non penso certo che una TikToker in viaggio in Italia giustamente irritata dal comportamento stupido di tre ragazze debba impegnarsi per il loro ravvedimento. Però mi domando a che cosa serva questa gogna. La vicenda ha assunto i contorni di tutto ciò che diventa un caso sui social, specie sul peggiore

di tutti, TikTok: video virale, visualizzazioni che aumentano in poche ore, giornali online che riprendono il caso amplificandolo, volti delle ragazze che, nel frattempo, qualcuno oscura ma che in origine erano ben visibili e dunque le cretine vengono effettivamente riconosciute e trovate, come la ragazza offesa si augurava, e associate alle università che frequentano. In poche ore arriva il post dell’università, primo ente a vergognarsi e – altra parola fondamentale in questo ecosistema tossico e superficiale in cui siamo immersi – dissociarsi. Si è scomodato il razzismo italiano ed europeo, i valori di rispetto che l’Università Cattolica del Sacro Cuore promuove e non vede riconosciuti nelle tre idiote. Oggi, mentre leggete queste righe, è passata più di una settimana dai fatti e tutto è dimenticato. Fino a che non arriverà qualche episodio analogo a dimostrarci che siamo tutti gente orribile, che si mette le dita nel naso, prende in giro le persone, frequenta le migliori università senza trarne beneficio, siamo maleducati e orrendi. E lo siamo sia davanti che dietro alla telecamera.

ALTRI SCHERMI

UN NUOVO VIAGGIO

Per il 70esimo anniversario del suo adattamento cinematografico d’animazione, la Disney ha prodotto Peter Pan e Wendy, ora in streaming sulla piattaforma Disney+. Si tratta di una rivisitazione live-action del romanzo di J.M. Barrie e del classico animato del 1953. Diretto da David Lowery (Il cavaliere verde) il film è interpretato da Jude Law (Animali fantastici: I segreti di Silente) nel ruolo del malvagio Capitan Uncino. Nei panni di Peter Pan troviamo il giovane attore inglese Alexander Molony al suo debutto.

PAURA DI CRESCERE

Peter Pan & Wendy racconta di Wendy Darling, una ragazza che ha paura di lasciarsi alle spalle la casa della sua infanzia, e del suo incontro con Peter Pan, un ragazzo che si rifiuta di crescere. Insieme ai suoi fratelli e alla piccola fata Trilli, viaggia con Peter nel magico mondo dell’Isola che non c’è, imbarcandosi in un’avventura elettrizzante che cambierà la sua vita per sempre. La storia di Peter Pan, anche questa volta, viene raccontata attraverso gli occhi di Wendy (Ever Anderson, figlia dell’attrice Milla Jovovich).

CAPITAN UNCINO

SOPRA LA PANCA

È senz’altro una circostanza straordinaria essere in un luogo proprio nel momento in cui si rinomina una via. Di recente è accaduto nel villaggio di Rasa, nelle Centovalli, al momento dell’inaugurazione di via Raffaello Ceschi (1936-2013): a dieci anni dalla scomparsa, il paese di nascita dello storico ticinese ha voluto ricordarlo in questo modo. Questa piccola panchina appare fragile, così come tutto ciò che appartiene alla storia degli umani. È un pomeriggio di sole e, appoggiandomi contro lo schienale, penso che spesso il senso delle cose sta nelle minuzie. Anche la grande storia è fatta di piccole fatti, di incontri e scambi inaspettati. Scriveva Raffaello Ceschi: “Credo che il lavoro dello storico si fondi su un desiderio di dialogo: dialogo con i testimoni del passato, dialogo con gli studenti nell’insegnamento, dialogo con la società in cui si vive e si opera, dialogo con la comunità scientifica nella ricerca” (da un discorso pubblicato nel periodico Archivio storico ticinese, n. 154, 2013; p. 12-13).

IN VIA RAFFAELLO CESCHI

Coordinate: 2’693’926.9; 1’112’329.2

Comodità: ★★☆☆☆

Vista: ★★★☆☆

Ideale per… cogliere un cambiamento nel momento in cui avviene.

ticino7

Questo nuovo rifacimento rispetta i caratteri essenziali attribuiti già agli inizi del Novecento ai due personaggi principali, Peter Pan e Wendy. Anche Capitan Uncino è sempre il solito villain ma Jude Law, che lo interpreta, in un’intervista ha dichiarato: “Il mio Capitan Uncino non è più il solito cattivo a cui siamo abituati, anzi è convinto di essere l’eroe della storia perché segue una sua verità. Ovviamente deve fare paura, ma senza sfociare nella pantomima. Ho voluto che fosse anche divertente, a modo suo”.

TANTI PETER

Peter Pan è apparso per la prima volta nel 1902 come personaggio secondario nel romanzo L’uccellino bianco di J.M. Barrie. Lo scrittore lo rese protagonista nella sua nuova opera del 1906: Peter Pan nei Giardini di Kensington. Il successo fu immediato e nacquero opere teatrali e adattamenti romanzati autorizzati da Barrie. Il cinema lo accolse già nel 1924 con un film muto. Del 1953 è la versione animata della Disney e nel 2003 P.J. Hogan porta nelle sale la prima versione live-action di Peter Pan.

sabato 29 aprile 2023 13 Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO
Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direzione e redazione Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione e redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch • laregione.ch Servizio abbonamenti tel. 091 821 11 86 • info@laregione.ch Pubblicità Regiopress Advertising via C. Ghiringhelli 9, CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 90 • pub@regiopress.ch
DI ALBA REGUZZI FUOG
Peter Pan & Wendy 70 anni e un nuovo film
sabato 6 maggio 2023
TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI

L'arte nomade di viaggiare attraverso le parole

Incontro con Andrea Fazioli: tra letteratura, radio e TV

Scrittore, giornalista, docente e drammaturgo ticinese, Andrea Fazioli è l’autore di libri come “Chi muore si rivede”, “L’arte del fallimento”, “La sparizione” e, il più recente, “Le strade oscure”. Ai suoi esordi, nel 1998, ha vinto il Premio internazionale Chiara giovani.

Nel 2004 si è laureato in Lingua e letteratura italiana e francese all’Università di Zurigo, ottenendo il premio Pro Ticino 2005 per la sua tesi su Mario Luzi. Ha presentato laboratori di scrittura creativa in diversi ambiti pubblici, privati e universitari; inoltre ha fondato il laboratorio Scuola Yanez, un progetto dedicato a chi ama leggere. Nel 2017 il presidente della Repubblica italiana gli ha conferito l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia. Per Rete Due ha partecipato ad alcuni programmi, in particolare Alphaville, per cui ha ideato All’incontrario va, dieci puntate su come oggi sia è cambiato il nostro viaggiare. Sempre per lo stesso programma, e insieme a Marco Pagani, si è occupato di Un attimino… che ne è della lingua italiana? e con Yari Bernasconi ha pubblicato per Rete Due dei video a tema letteratura.

Tu ti occupi di tante cose, libri, blog, programmi radio… C’è effettivamente una differenza muovendosi fra questi spazi?

In effetti come scrittore ho uno spirito in parte nomade, in parte sedentario. La parte nomade è quella che mi porta a esplorare nuove forme di espressione, nuovi stili; questo è legato anche a una mia inquietudine che mi rende difficile tornare su una strada già percorsa. Nello stesso tempo però credo che, per quanto riguarda il contenuto, non ci sia bisogno di viaggiare: gli esseri umani sono quelli che sono, in qualunque epoca, in qualunque paese. Così mi piace tornare a osservare un luogo, una situazione, un po’ come faceva Cézanne con la montagna Sainte-Victoire.

Osservando i minuscoli cambiamenti di un pezzo di mondo, mi pongo delle domande su di me, sui fatti di cui parlano i giornali, sul presente e sul futuro. Il blog in questo senso è un’occasione per sperimentare alcune forme di scrittura diverse.

La radio è un altro discorso ancora: ho iniziato a collaborare con la RSI nel 2006, se ricordo bene, e ho fatto molte cose diverse, dal puro giornalismo all’intrattenimento.

Negli ultimi anni mi sono occupato di Verde aurora, la fascia del mattino su Rete Due. Ma di recente ho potuto portare finalmente anche alla radio parte della mia creatività di scrittore. Questo in particolare con la serie All’incontrario va, dedicata all’arte di viaggiare, che è andata in onda all’interno del programma Alphaville su Rete Due e che si trova ancora nel podcast.

Qual è l’idea che c’è dietro il ciclo “letteratura” per Rete Due?

È un ciclo di video pensati per le reti sociali, YouTube e Facebook in particolare. Insieme a Yari Bernasconi presento in pochi minuti alcuni percorsi letterari: a volte ci soffermiamo su un’autrice o un autore, a volte su un personaggio, a volte su un tema generale. Si tratta di un formato divulgativo, che ha lo scopo d’incuriosire chi guarda più che di approfondire. Con Yari porto avanti un sodalizio che si esprime soprattutto nella creazione letteraria: scriviamo infatti testi a quattro mani, come il reportage “A Zurigo, sulla luna”, pubblicato di recente da Gabriele Capelli in italiano e da Limmat Verlag in tedesco.

Da alcuni anni tieni dei laboratori di scrittura per la Scuola Yanez. Qualche consiglio a chi ci legge per impostare un testo? Qual è la prima regola da tenere a mente?

Mi capita in effetti di tenere laboratori per la Scuola Yanez, in Italia e in Svizzera, ma anche per la Scuola Flannery, a Milano, e in altre circostanze ancora. In questi casi cerco di non porre delle regole, ma d’incoraggiare le e i partecipanti a seguire la propria via. Più scrivo, più mi rendo conto che è importante sviluppare un senso del testo, uno strumento affine all’orecchio musicale – e su questo si può lavorare – ma bisogna stare attenti a non chiudersi in un recinto. Quindi la prima regola da tenere a mente è che non ci sono regole. L’unica raccomandazione: leggere, abbandonarsi il più spesso possibile al piacere lento della scrittura

Come si supera il blocco dello scrittore? Internet aiuta o è dannoso?

Direi che spesso internet è la causa del blocco dello scrittore… e soprattutto di molte distrazioni!

A volte, la molteplicità di stimoli non è un aiuto. Stare lontano dagli schermi, soprattutto dalle reti sociali, trovare in sé il tempo per l’ascolto e per la contemplazione, questo permette al pensiero di seguire vie inesplorate. Oltre a ciò, è utile il dialogo con le altre e gli altri, il confronto con chi è diversa o diverso, con chi guarda il mondo in modo differente. Bisogna convincersi che le nostre idee vanno affinate e perfezionate nel confronto con altre idee, con altre visioni.

Ma infine… che ne è della lingua italiana? (sottotitolo della trasmissione Un attimino, che va in onda ogni lunedì alle 11.30 su Rete Due)

La lingua italiana è il mio strumento di lavoro. In fondo per scrivere basta una pagina bianca e qualcosa che lasci dei segni neri. Rispetto ad altri mestieri i mezzi sono molto semplici: non si usano attrezzi specifici ma una sorta di congegno meraviglioso, la lingua in cui si decide di scrivere (che non è per forza la lingua materna). A occuparci del programma Un attimino siamo in due: Marco Pagani e io cerchiamo in questo spazio di riflettere sulla bellezza della lingua italiana, ma anche sui malcostumi che possono avvilirla. Questa trasmissione è inserita nel contesto della trasmissione di attualità culturale Alphaville

Grazie alle intuizioni di Sandra Sain, la responsabile di Rete Due, e di Enrico Bianda, il caporedattore, questa e altre serie speciali s’inseriscono in un contesto più ampio di riflessione e di approfondimento sul nostro tempo e la nostra realtà.

sabato 6 maggio 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 7.5 al 13.5 14
A TU PER TU

Molto più

di un'incoronazione

Inizia il tempo di Re Carlo III: saprà farsi amare?

Laura Giovara, inviata della RSI a Londra, ci racconta gli scenari che accompagnano il cambio di regno in casa Windsor.

Diciamolo subito. Re Carlo III non brilla certo per popolarità. Nella classifica dei reali più amati uscita pochi giorni fa, al primo posto c’è la sempre perfetta Kate Middelton, principessa del Galles. Al secondo posto il marito nonché futuro erede al trono, principe William, terzi i loro figli. Carlo occupa appena la quinta posizione, la gente gli preferisce anche la sorella, la principessa Anna, al quarto posto.

Questo è un problema per Carlo III e per l’istituzione che rappresenta perché in una democrazia le monarchie dipendono dal consenso del pubblico. Con questa incoronazione si gioca quindi molto.

Vuole essere un sovrano moderno e ha già annunciato che ci saranno delle modifiche alla cerimonia dal rito antichissimo per renderla al passo con i tempi.

Re Carlo III ha riconosciuto che “il mondo è cambiato negli ultimi 70 anni” e quindi la cerimonia sarà più breve, ci saranno meno ospiti e costerà di meno rispetto a quella della madre nel 1953.

Un altro fatto tutt’altro che scontato è l’incoronazione della moglie Camilla. E con lei si apre il capitolo della vita sentimentale di Carlo che per anni ha plasmato in negativo la sua immagine pubblica.

Il matrimonio infelice con Lady Diana e il tradimento dell’amatissi-

ma principessa del popolo è l’eredità più pesante che il futuro re si porta appresso.

Dall’intervista rilasciata da Lady D e da quel matrimonio sono passati decenni eppure nell’opinione pubblica esiste ancora un partito pro Diana che non perdona Carlo traditore.

E questo nonostante Camilla abbia smesso da un pezzo di essere la terza incomoda e dal 2005 sia sua moglie.

Il nuovo Re è cosciente che ora che la Regina Elisabetta non c’è più, la voce di chi chiede di rivedere la monarchia si fa più forte.

Il movimento repubblicano ha annunciato che farà sentire la propria voce il giorno dell’incoronazione con ampie proteste al grido di “Not my King”

Altro fatto che non gioca a favore del futuro della monarchia è il divario generazionale. Dai sondaggi si evince che la monarchia è una cosa da anziani, piace con il passare degli anni.

I giovani dai 18 ai 24 anni non sono interessati all’incoronazione e anzi preferirebbero un presidente eletto ad un Re.

Eppure, sempre dai sondaggi, emerge anche che tra un secolo il Regno Unito continua a vedersi con un Re o una Regina. Segno di quanto questo paese abbia un rapporto speciale con la monarchia. La grande minaccia a questo punto non è tanto una rivoluzione o di essere abrogata dal Parlamento ma diventare irrilevante per il Paese.

La vera sfida per Re Carlo III sarà saper ritagliarsi un ruolo rilevante nella vita nazionale.

A 60 anni dal primo album, due documentari sui Beatles

Sessant’anni fa i Beatles pubblicavano il loro primo album “Please Please Me”. Era il 22 marzo 1963 e con quel 33 giri i Fab Four cambiarono la storia della musica, della moda e del costume: nel mondo scoppiò la “beatlesmania”.

Per celebrare questa ricorrenza, la RSI propone due documentari sui quattro “baronetti” di Liverpool.

Quando incontrai i Beatles in India

Vita! - Mercoledì 10 maggio, alle 21.05 su LA 2 1968. L’anno delle rivolte studentesche, delle proteste contro la Guerra del Vietnam e delle marce per i diritti civili.

In questo periodo di grandi mutamenti Paul Saltzman, 24enne in crisi esistenziale, parte alla volta di Rishikesh, in India, per cercare sé stesso. Nell’ashram del guru Maharishi Mahesh Yogi incontra...i Beatles.

La diretta e i documentari

Sabato 6 maggio, il giorno dell’Incoronazione, LA 1 si collega in diretta con Londra dalle 11.00: Francesca Campagiorni conduce dallo studio appoggiandosi all’inviata Laura Giovara e all’inviato Lorenzo Amuso Il team si completa con la contessa Barbara Ronchi della Rocca, esperta di aristocrazia. La programmazione della giornata prosegue in prima serata con due documentari a tema che completeranno il flusso informativo: “Carlo, nato per diventare Re” di John Osborne (LA 1, 20.40): attraverso una straordinaria collezione di immagini d’archivio, questo unico e avvincente filmato svela la vita, gli amori e le passioni di Re Carlo III. Un viaggio alla scoperta dell’uomo che da oggi siede sul trono, un Capo di Stato, ma anche la guida della famiglia più famosa del mondo.

Di seguito “Il grande progetto di Re Carlo III” di Jim Brown (LA 1, 21.30): la storia inizia 14 anni fa, quando l’allora Principe del Galles si lancia in una temeraria avventura e acquista una tenuta in rovina nella regione più povera del Regno Unito. Oggi ammette di aver corso un enorme rischio, ma un rischio che valeva la pena correre. Sua Altezza Reale, con grande dedizione ha riportato in vita la prestigiosa Dumfries House e ridato speranza e fiducia a tutta una comunità. L’obiettivo principale dell’acquisto della villa e del costoso restauro del fiabesco giardino cinto da mura era soprattutto quello di creare un centro socio-economico, culturale e educativo che potesse favorire la rinascita di questa parte depressa della Scozia.

Le popstar più celebri del momento sono in ritiro spirituale con mogli e fidanzate per imparare la meditazione trascendentale. L’incontro con i quattro di Liverpool aprirà nuovi orizzonti per Paul Saltzman, che oltre mezzo secolo dopo ripercorre le tracce di quell’incredibile viaggio.

Come diventare... i Beatles

DOC - Giovedì 11 maggio, alle 23.10 su LA 1

Considerati uno dei più grandi gruppi di tutti i tempi, i Beatles continuano a influenzare generazioni di musicisti e di fan in tutto il mondo. Ma prima di cambiare per sempre il volto della musica pop John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr erano quattro ragazzi che suonavano insieme nei locali di Liverpool. Attraverso interviste alla band, a loro vecchie amiche e vecchi amici, immagini rare e aneddoti divertenti, il documentario ripercorre la loro storia meno nota, da quando si chiamavano The Quarrymen fino al successo planetario.

sabato 6 maggio 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 7.5 al 13.5 15
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Sabato 6 maggio dalle 11.00 su LA 1

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