Ticino 7 N14

Page 1

Ricercato, vivo o morto

ticino7

“Ciò che la legge vuole, per cui è disposta a pagare, è il suo corpo, che deve esserle consegnato. Dead or alive, questo in fondo è indifferente: perché ciò che è davvero essenziale non è processarlo o punirlo – il che sarebbe impossibile, se fosse già morto. Ciò che è essenziale è che la vita del ‘ricercato’ è ormai messa fuori dalla legge, in un movimento per cui la legge, proprio in quanto la pone fuori da sé, può al contempo pretendere di vedersela consegnata comprandola come una vita che non gode più di alcuna protezione o diritto. In definitiva, la legge pretende le sia consegnato chi essa ha bandito perché non può ammettere che esista una vita sottratta alla legge, una vita in assenza della legge. Da qui l’importanza del ‘manifesto’, del Wanted. Perché, da una parte, il fuorilegge non può sottrarsi alla legge se non facendo perdere le proprie tracce, rinunciando alla propria

identità. Che Billy the Kid sia Henry McCarty, o William Bonney, deve restare incerto. Allo stesso modo, Jesse James avrà bisogno del falso nome di Thomas Howard per poter vivere, fino al suo omicidio da parte del ‘codardo’ Robert Ford, in Missouri. Dall’altra parte, la legge sa che soltanto identificandolo potrà garantire che il fuorilegge non gli sfugga per sempre. I primi manifesti che gli sceriffi cominciarono a distribuire non fornivano, ovviamente, molti dettagli: c’era l’indicazione del nome – a volte vero, a volte falso –, ma nessuna fotografia. (...) Sarà solo l’invenzione della fotografia criminale, segnaletica, giudiziaria, a modificare profondamente la situazione”.

sabato 8 aprile 2023 1 Ticino7 numero 14 A CURA DELLA REDAZIONE
Da La vita fuorilegge. Storia filosofica del Far West di Tommaso Gazzolo (Salerno Editore, 2022)
Eagles. I dolori del ‘fuorilegge’

EAGLES

‘Desperado’ da cinquant’anni

Nei primi giorni di aprile del 1973 arrivò nei negozi un album destinato a durare molto più a lungo di quanto si potesse prevedere. All’inizio non fu un disco da zona alta delle classifiche, ma con gli anni recuperò tutto lo svantaggio iniziale diventando il più amato dai fan. ‘Desperado’ compie oggi cinquant’anni ed è ancora in grado di affascinare a ogni ascolto con i suoni, le voci e i testi così unici che gli Eagles misero insieme in un momento unico e irripetibile della loro storia.

Erano reduci dal successo di ‘Take It Easy’, dell’anno prima, scritta insieme a Jackson Browne, ma non ancora orientati sulla strada giusta da prendere. La scelta del nome Eagles aveva iniziato a cementare quattro caratteri che più diversi tra loro non si poteva. Fu Bernie Leadon, grande conoscitore della mitologia degli indiani Hopi, a proporlo. Era un nome breve e preciso, come quello dei Byrds, loro punto di riferimento iniziale. Inoltre, era parte integrante della storia e dell’iconografia americana: quell’aquila presente nello stemma come nelle monete da un dollaro. E poi l’aquila è l’animale più sacro, più spirituale, perché vola vicino al Sole e quella era l’ambizione degli Eagles: volare in alto.

La banda

Tutto l’album Desperado ruota intorno alla vita e alle gesta della Banda Doolin-Dalton, la più agguerrita e temibile del West. Tra Oklahoma, Kansas e Missouri, seminava il panico rapinando banche e ingaggiando violenti scontri a fuoco durante la fuga. Glenn Frey azzardò il paragone tra gli outlaws, i fuorilegge della musica, con i fuorilegge del West. Entrambi fuori dagli schemi, scevri dalle regole, funamboli della vita come trapezisti sul filo ma senza rete sotto. In perenne bilico tra la vita, la morte e la leggenda. Non a caso la foto della copertina del disco li ritrae tutti e quattro in posa da banditi con pistole, fucili, cinturoni e cartuccere.

Tutta la storia iniziò nel 1887, quando Frank Dalton, il maggiore di 15 fratelli (10 maschi e 5 femmine), vicesceriffo federale, venne ucciso in uno scontro a fuoco con una banda di rapinatori. I quattro fratelli Dalton, su invito della madre, intrapresero la strada da ‘uomini di legge’ diventando sceriffi in diverse cittadine del West; la carriera legale finì però quando due di loro vennero arrestati per furto di cavalli e contrabbando di liquori. Nel giro di pochi mesi, anche gli altri due decisero di passare dall’altra parte della barricata. Così Bill, Doolin, Bitter Creek e Newcombe misero su la banda che, più tardi, innumerevoli spunti avrebbe dato alla cinematografia di Hollywood.

Le loro avventure continuarono fino al 5 ottobre del 1892, quando la Banda Doolin-Dalton tentò il “colpo dei colpi”: due rapine nella stessa giornata a Coffeyville in Kansas, ma dopo la prima andata a segno, la popolazione insorse bloccandoli all’interno della seconda banca. Tre fratelli rimasero uccisi mentre il più piccolo, Emmett Dalton, ricevette 23 colpi di arma da fuoco ma riuscì a sopravvivere, scontando poi quattordici anni di reclusione nel carcere più duro del Kansas.

Ibridazione musicale

Per mettere in musica questa storia e il racconto di quell’epopea, gli Eagles spinsero sull’acceleratore di quel connubio tra le radici acustiche del country e i suoni più forti e taglienti del rock, puntando tutto sulle loro splendide armonie vocali. Desperado divenne subito la punta di diamante del country-rock su quel solco tracciato dai Byrds, da Gram Parsons, dai Buffalo Springfield e da Crosby Stills Nash & Young. Quel processo d’ibridazione musicale venne portato, grazie a questo disco, alla definitiva fusione.

Grazie alla forza dei suoi racconti, delle biografie e degli stati d’animo dei protagonisti, Desperado è un disco che ha la sua forza in ballate morbide e suggestive, arricchite dagli arrangiamenti orchestrali in cui la London Philarmonic Orchestra dà ai suoni un contributo epico, ma anche da alcuni momenti tipici della tradizione folk americana in cui chitarre, banjo, mandolini e armonica tornano protagonisti.

La produzione, come per il precedente album di debutto, venne affidata a Glyn Jones esperto ingegnere del suono già a fianco dei Led Zeppelin, Rolling Stones, The Band, Bob Dylan e gli Who. Gli Eagles volarono a Londra e, in quattro settimane, registrarono tutto il disco. Glyn Johns, che teneva i cordoni della borsa affidatagli da David Geffen, patron dell’etichetta Asylum, voleva realizzarlo velocemente e spendendo il meno possibile. Per ogni brano, dopo un paio di prove, si passava subito all’incisione: massimo quattro registrazioni, senza possibilità di repliche. Risultato: un disco storico con soltanto 30mila dollari.

‘Twenty One’ è riferita agli anni: 21, quelli che aveva EmmettDalton quando venne ferito nell’assalto alla seconda banca di Coffeyville, nel giorno in cui terminò l’avventura della banda Doolin-Dalton. Una vita davanti, ma ormai spezzata, senza più la possibilità di un incontro, di un amore che desse una scossa al cuore. L’unica scossa sarà un ennesimo sorso di tequila per dare un colpo al coraggio e perdersi nell’alcol fino all’alba.

‘Tequila Sunrise’ fu la prima delle due canzoni che Glenn Frey e Don Henley scrissero insieme, dando così vita a un sodalizio artistico e compositivo che negli anni successivi sarebbe stato in grado di sfornare canzoni memorabili. Quando si trattò di mettersi insieme, entrambi furono d’accordo sul fare soldi subito: tanti e da spendere senza pensarci troppo su. Diventare famosi, rispettati e ammirati. Praticamente, il Mito della Frontiera applicato al rock.

Glenn Frey inserì cori, chitarre e uno splendido arrangiamento d’archi senza cancellare quel rimando stupendo agli accordi e alle interpretazioni del ‘Genius’. ‘Desperado’ racconta di un fuorilegge e della sua solitudine, la sua vera prigione. Una vita solitaria, senza nessun affetto, senza possibilità d’immaginare un futuro, in perenne fuga da tutto, da tutti e, soprattutto, da sé stesso.

“Desperado, perché non torni a ragionare, non diventi più giovane ogni giorno che passa. Il dolore e la fame ti stanno riportando a casa e la libertà è solo quella di cui senti parlare. La tua prigione è stare tutto solo in questo mondo. È ormai difficile distinguere la notte dal giorno. Stai perdendo tutte le più autentiche emozioni, lascia che qualcuno ti ami prima che sia troppo tardi”.

Non tutte le canzoni dell’album furono appannaggio della coppia Don Henley/Glenn Frey. Tre vennero composte da Bernie Leadon, socio fondatore anch’egli con Randy Meisner, ma musicalmente il più poliedrico di tutti, a suo agio con qualunque strumento a corda, suonato con grande virtuosismo. Tutta l’esperienza assimilata negli anni precedenti con i leggendari Flying Burrito Brothers, antesignani del country rock, venne riversata in questo pezzo dedicato a Bitter Creek Newcomb, altro fuorilegge della Doolin-Dalton che, dopo la fallita rapina a Coffeyville, formò un’altra banda e s’innamorò di una ragazza di 15 anni, i cui fratelli però, per incassare la taglia, non esitarono a sparargli.

La solitudine del fuorilegge L’altra canzone che la coppia scrisse contemporaneamente fu ‘Desperado’, una melodia che Don Henley aveva buttato giù alla fine degli anni Sessanta ma che non riusciva a terminare. Aveva Ray Charles in mente ogni volta che la suonava ma voleva qualcosa che la rendesse meno datata e più west coast.

Con Desperado si aprì anche la pagina importante dei concerti degli Eagles. Fino a quel momento, con un solo album i live erano stati pochi e piuttosto brevi; da lì in poi fu tutta un’altra musica. Il tour di supporto all’album fu il primo vero trionfo nelle arene, con tutti che – sera dopo sera – avevano una voglia costante di migliorarsi. Sul palco, le armonizzazioni vocali raggiunsero il massimo. Il pezzo finale venne scritto proprio pensando ai concerti e alla partecipazione del pubblico: Don Henley modificò alcune tonalità, aggiunse due strofe e alcuni controcanti, e liberò all’infinito quel “desperado” che, a cinquant’anni di distanza, suona ancora così presente.

sabato 8 aprile 2023 2 Ticino7
DI TUTTO UN POP DI SERGIO MANCINELLI Ascolta il podcast

Dischi dal

retrobottega

Theatre of Tragedy Velvet Darkness They Fear (1996)

Recensire un disco metal in questa rubrica può sembrare un sacrilegio o, bene che vada, uno scadimento. Non lo è (però) se, sfidando un certo pregiudizio snob riguardo al “metallo”, si presenta il lavoro di una band che ha riscritto le coordinate del gothic metal aprendo la strada a innumerevoli imitazioni/ispirazioni. Parliamo di Velvet Darkness They Fear, secondo album dei norvegesi Theatre of Tragedy, uscito nel 1996 e considerato come l’apice compositivo non solo della band ma dell’intero panorama gothic. La rivoluzione dei Theatre of Tragedy sta nell’aver portato definitivamente alla ribalta lo stile di cantato “beauty and the beast”, ovvero una voce femminile angelica, spesso su registri da soprano lirico, contrappuntata da una maschile cupa e aggressiva che sovente sfocia nel growl. Un paradigma che verrà seguito negli anni da band che hanno fatto la storia moderna del genere a partire dagli anni Duemila, dagli scandinavi Tristania, Nightwish, The Sins of thy Beloved agli italianissimi Lacuna Coil. Velvet Darkness They Fear si poggia ancora in parte sulle basi doom-metal dei pionieri del genere (My Dying Bride, Paradise Lost e amici vari): brani mediamente lunghi, ritmiche lente e pesanti, chitarre scarne ed essenziali, con assoli ridotti al minimo o del tutto assenti, come nell’iniziale ‘Fair And ’Guiling Copesmate Death’ e la successiva ‘Bring Forth Ye Shadow’. Ma qui la cupezza funerea del doom sfuma in un’atmosfera malinconica e rétro, sottolineata dalle liriche spesso in inglese arcaico shakespeariano e addolcita da strumenti classici come pianoforte e archi su cui fluttua, eterea, la voce di Liv Kristine che si intreccia, e a volte dialoga, con quella a tratti vigorosa, a tratti lugubre di Raymond Rohonyi. Non mancano le accelerazioni, a partire da quello che è uno dei brani di punta dell’album e di tutto il genere, ‘Der Tanz Der Schatten’, in cui le due voci si sovrappongono correndo parallele a tratti, per poi piegarsi fino a ricongiungersi e poi ancora allontanandosi, con l’“Ich liebe dich” ripetuto ossessivamente da Liv Kristine che farà forse cambiare idea a chi vede nei metallari solo personaggi brutti e cattivi. Un disco che è un capolavoro di poesia gotica, perfetto per anime inquiete e romanticamente tormentate.

Suoni & rumori

Per decenni il ritornello è (più o meno) stato lo stesso: gli anni Ottanta hanno prodotto un sacco di schifezze. Il riferimento non era certo alle merendine industriali per bambini sparate in TV e preferite a frutta e panini al salame. La questione era musicale (e culturale): dai primi lavori di Jovanotti ai gruppi “metal” coi capelli biondi permanentati e le tastiere, da certi suoni da discoteca a fenomeni tipo Samantha Fox e i Milli Vanilli... Poi, sarà per l’invecchiamento della popolazione, la perdita della memoria collettiva o la produzione musicale fai-da-te nata con la rete (veloce, spesso autoprodotta, senza filtri e autocritica), il decennio degli yuppies è stato rivalutato. Al di là dei revival e dell’amarcord, gli Ottanta hanno mostrato molte facce e, soprattutto in ambito musicale indipendente, ci hanno regalato fenomeni e ricerche musicali per nulla banali. E, come sempre, le cose buone si riconoscono a distanza. Prendete i Pixies di Frank Black e Kim Deal (poi fondatrice delle riot-girls Breeders), quartetto nato a Boston nel 1986. Già noti alla critica per lo spiazzante EP Come on Pilgrim apparso nell’87 – dove tra spagnolo e inglese parlano di religione, sesso e incesto, recuperando gli onnipresenti Velvet Underground e certe matrici nervose dei Gun Club e dei Violent Femmes -, per l’etichetta 4AD l’anno seguente apparirà il primo vero album. Considerato uno dei capisaldi del post-punk americano, con Surfer Rosa i Pixies cristallizzano le basi per uno stile (tutto) loro; una sorta di art-punk contemporaneo sulla scia delle ricerche chitarristiche dei Sonic Youth. Parte del merito va certamente anche a chi si è occupato della registrazioni e della produzione (Steve Albini, una vera garanzia per chi cercava certi suoni). Composto perlopiù da canzoni brevi (vedi Ramones, Pistols e Wire), nei Pixies il suono garage-rock è stravolto in un succedersi di riff distorti e spasmi ritmici, ritornelli demenziali e urla isteriche: prendete ‘Bone Machine’, per dire, un crescendo feroce tra dissonanze ed effetti ossessivi. ‘River Euphrates’ pesca nel boogie, mentre la foga si fa sempre più esagitata nell’incedere ska di ‘Something Against You’ come in ‘Broken Face’ (che non avrebbe sfigurato in un album dei Cramps migliori), sino dal voodoobilly di ‘Tony’s Theme’ alla maestosa ‘Gigantic’. Di questo disco, in verità, molti ricordano ‘Where Is My Mind?’, brano originalissimo tra pop e rock, già singolo e tra i più amati della loro produzione. Nel 1990 apparirà il meno spiazzante Doolittle (notevole in tutti i casi ‘Gauge Away’, un cavallo di battaglia dal vivo), a cui seguiranno dissidi, stanchezza... e nel 1993 lo scioglimento del gruppo. Il resto è storia molto più recente, a partire dalla reunion del 2004.

I miei migliori cento

DI ALESSANDRO ‘TONDO’ BASSANINI

Marvin Gaye

What’s Going On (1971)

Pubblicato oltre 50 anni fa, da ascoltare dall’inizio alla fine, What’s Going On è considerato uno dei più grandi album di tutti i tempi e un punto di riferimento della musica soul. La title-track dell'album, ‘What’s Going On’, è stata un grande successo ed è diventata un inno del movimento per i diritti civili. Mi sono imbattuto in quest’opera durante un viaggio in autobus in Francia all’inizio del 1978, e sebbene non ne comprendessi appieno il testo, la canzone mi ha trasmesso immediatamente un senso di dolore così profondo che ho dovuto acquistare il disco... Ma non sono mai riuscito a comprarlo, quindi ho optato per una cassetta francese, e ho subito iniziato il suo processo di traduzione. È stato in un ostello della gioventù di Parigi che mi sono innamorato della musica di Gaye e della Motown in generale. Mi ci sono voluti quasi 5 anni per mettere finalmente le mani sul disco originale in uno ‘squallido’ negozio di dischi di East Chicago e da allora la mia collezione di dischi è migliorata.

L’album è stato un allontanamento dal lavoro precedente di Gaye, che si era concentrato principalmente su canzoni d’amore e musica da ballo. What’s Going On ha affrontato questioni sociali e politiche, tra cui la povertà, il razzismo e la guerra del Vietnam. I testi del disco, scritti da Gaye e dai coautori Al Cleveland e Renaldo Benson, parlavano delle lotte e delle sfide affrontate dagli afroamericani negli Stati Uniti, ma non è necessario essere consapevoli di tali lotte per apprezzarlo, poiché questo disco è un mix di soul, funk e jazz con melodie dolorose e arrangiamenti incredibili, di un ensemble di violini, pianoforte a coda, sassofoni, tromboni, flauti, chitarre, violoncelli e tutto il resto. Ovviamente tutti legati insieme dalla voce setosa di Gaye. Non si salterà mai una canzone di quest’album, che contiene anche brani come ‘Mercy Mercy Me’, ‘Inner City Blues’ e ‘Flyin’ High’. Successo commerciale istantaneo, ‘What’s Going On’ ha venduto oltre due milioni di copie e ottenuto tre nomination ai Grammy Awards, e rimane uno degli album più iconici di tutti i tempi e per sempre nella mia Top 100 playlist.

Figli delle stelle

(vintage edition)

Billy Joel

An Innocent Man (1983)

Una quarantina di anni fa l’euforia per la frequentazione delle modelle Christie Brinkley (più tardi moglie) ed Elle Macpherson catapultò William Martin Joel da Long Island detto Billy nei suoi teenage years, producendo nel pianoman un flusso di ricordi e di musica che nel 1983 proruppe nell’album An Innocent Man, un tributo agli ‘oldies but goldies’, un salto indietro nel tempo che ha la sceneggiatura di un Ritorno al futuro, giunto di lì a un paio d’anni, e la leggerezza dei bei tempi (ognuno ha i bei tempi che crede, finanche quelli che non ha mai vissuto).

Uptown Girls

Quello tra Joel, Brinkley e Macpherson è l’intreccio amoroso cui si dovrebbe ‘Uptown Girl’, in origine minuetto (la Rete regala degna spiegazione), hit che non è il ritratto di Brinkley, ex coniglietta di Playboy che appare nel videoclip in un balletto di meccanici in un’autorimessa, ragazza dei quartieri alti (“uptown girl”) che frequenta il ragazzo dei quartieri bassi (“downtown boy”), che un giorno sarà degno di lei e diventerà “uptown” pure lui. La ‘Uptown Girl’ in questione non è nemmeno l’australiana Macpherson: “Mi riferivo a una pluralità di donne”, dirà Billy nel 2010 ad Howard Stern, specificando che la canzone si sarebbe dovuta chiamare ‘Uptown Girls’. A parziale risarcimento, della (ex) moglie Christie, Billy Joel disse un giorno quanto l’aver sposato una donna bellissima e più alta di lui fosse la dimostrazione che se ce l’aveva fatta lui potevano farcela tutti. E le istruzioni su come fare colpo su donne alte e bellissime stanno tutte in ‘Tell Her About It’ (più o meno ‘Dichiarati’), nel 1983 n. 1 della Billboard: “Una ragazza carina non ti dice mai cosa dovresti fare” (dunque datti una mossa e, appunto, dichiarati).

Tra la Motown e Beethoven

Aperto da ‘Easy Money’, tributo all’R&B, An Innocent Man sfornò 7 singoli. Tra di essi: la canzone che dà il titolo all’album, il cui testo (riassumibile in “Ok, gli altri ti hanno tradito ma io non sono gli altri”) vale un anno di analisi; ‘The Longest Time’, brano ‘a cappella’ (di sole voci) nella top 15, cosa davvero d’altri tempi; ‘This Night’, un 6/8 col ritornello preso in prestito da Ludovico il Grande (Sonata per pianoforte n. 8, o ‘Patetica’); ‘Leave a Tender Moment Alone’, feat. il maestro dell’armonica a bocca Toots Thielemans (1922-2016). In An Innocent Man produce Phil Ramone, suonano la Billy Joel band, da lui smantellata a metà Novanta tra molti mugugni e un suicidio (il bassista Doug Stegmeyer) e una sezione fiati comprendente, tra gli altri, David Sanborn e Michael Brecker. Plurinominato ai 26esimi Grammy, il disco ebbe un’unica, piccola sfiga discografica: competere quell’anno con Thriller di Michael Jackson, che soffiò al pianista tanto il grammofonino al miglior album quanto quello alla migliore interpretazione pop vocale (per ‘Uptown Girl’, naturalmente).

sabato 8 aprile 2023 3 Ticino7
DI MARCO NARZISI
Pixies Surfer Rosa (1988) DI BEPPE DONADIO
DI GIANCARLO FORNASIER MUSICA A CURA DELLA REDAZIONE Guarda e ascolta ‘An Innocent Man’

“Tarapia tapioco come se fosse antani, blinda la supercazzola prematurata con scappellamento a destra?”. L’interlocutore veniva colto di sorpresa, strabuzzava gli occhi, ondeggiava, ma già il conte Lello Mascetti, nobile decaduto a capo di una masnada di attempati perdigiorno nella saga cinematografica di Amici miei, si era accreditato come ispettore tombale con fuochi fatui, o addirittura come vicesindaco, e ne approfittava per scroccare una telefonata, evitare una multa, rimediare una pulitina al parabrezza. La vocazione istintiva e insopprimibile a prendere in giro il prossimo, rintronandolo con discorsi privi di senso e di logica, rendeva il conte Mascetti un campione dell’italica arte di arrangiarsi. Arte, peraltro, non alla portata di tutti, perché una supercazzola come Dio comanda richiede una discreta faccia di bronzo, scilinguagnolo radiofonico, sensibilità lessicale e capacità di scegliere, senza pagare dazio, il contesto dell’esibizione e soprattutto la vittima a cui propinarla. In fondo, è una declinazione tutta orale dell’immortale definizione del genio, anch’essa regalata all’umanità da Amici miei: fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione. Può dimostrarsi un ottimo sistema per trarsi d’impaccio da una situazione imbarazzante: un compagno fedifrago rassicurerà la partner dopo l’ennesima scappatella; un capufficio disinnescherà la legittima ira funesta del ragazzo di bottega, che si ritene a buon diritto sfruttato, malpagato e frustrato, prima che da stagista si trasformi in stragista; uno studente universitario non abbastanza preparato impietosirà la commissione d’esame e la indurrà a mangiare la foglia.

Cercare (almeno) la forma

A guardarla attentamente, la maschera impersonata da Ugo Tognazzi rivelava di sé molto più di quanto apparisse: la animava, oltre alla voglia di divertirsi, l’intenzione di esorcizzare la malinconia per il tempo che passa, la certezza di non avere combinato niente di buono nella vita, l’illusione di truccare le carte al destino, come se tra scherzi e risate l’uomo assurdo di Camus, un Sisifo condannato a riportare in cima il macigno rotolato ai piedi della collina, riuscisse ad essere felice. Ma non solo. Il conte Mascetti aveva trovato la sua personalissima risposta alla domanda fondamentale del Novecento: come prendere di petto, senza lasciarsene travolgere, un mondo

Supercazzole. Perché il mondo è un luogo assurdo

incomprensibile, esauritesi per consunzione le ideologie e le concezioni del mondo che tutto pretendevano di comprendere e spiegare ed essendo venuta meno la convinzione, forse superstiziosa, che dietro l’apparente caos di una realtà frammentata si possa percepire, se non un disegno, almeno una forma?

Ecco: se Joyce si arrendeva al guazzabuglio esplorando ed estremizzando le potenzialità espressive della lingua inglese, Gadda si estenuava riproducendo l’impossibilità di trovarvi un ordine e Calvino individuava ciò che inferno non è e lo descriveva con precisione e chiarezza, dal canto suo il conte Mascetti opponeva all’insensata e a volte crudele casualità delle cose il suo grammelot. Con

illustri predecessori: da Maso del Saggio che, interrogato in una novella di Boccaccio dall’ingenuo Calandrino sulla distanza del paese di Bengodi, gli risponde “Haccene più di millanta, che tutta notte canta”, alla dotta disputa tra il signor de’ Baciaculi e il signor de’ Fiutapeti nel Gargantua e Pantagruele di Rabelais (“… tutta la notte non si fece, con la mano sul boccale, che spedire bolle a piedi e bolle a cavallo per trattener le navi, poiché i sarti volevano fare, con scampoli rubati, un cerbottano per coprire il mare oceáno, il quale allora era grosso quanto una pentola di cavoli secondo l’opinione degl’imballatori di fieno, ma i medici dicevano che dalla sua urina non appariva segno evidente…”).

Affacciati alla finestra

Passando dalle miserie della vita quotidiana alle acrobazie verbali della classe politica, la faccenda si fa meno divertente: qui si tratta di turlupinare l’elettorato vendendogli fumo, attitudine che ha permesso a una quantità inverosimile di tangheri di campare lautamente a spese della collettività e a qualche navigato e accorto statista di galleggiare più o meno dignitosamente. Sarà anche vero, come ha dichiarato Massimo Cacciari a Repubblica, che “il linguaggio politico è demagogico nella sua essenza”, poiché “il suo fine consiste nel guidare il popolo e nel convincerlo con ogni mezzo della bontà di determinate idee e prospettive”, ma non c’è da stupirsi se in Italia i giovani elettori del PD, stanchi di sentirsi presi in giro e derubati del futuro, abbiano affidato le loro speranze a Elly Schlein al grido di “basta supercazzole!”. Il rischio, in effetti, è che qualcuno prima o poi ne chieda conto, con l’ostinazione con cui Nanni Moretti in Ecce bombo (1978) affronta una giovane svagata e spiantata (“Come campi?”, “Mah, te l’ho detto: giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose…”), e finisca per canzonare il re dopo averlo scoperto nudo.

Un esempio memorabile è la sintesi con cui Leonardo Sciascia amava bollare le fumose prospettive dell’eurocomunismo di Enrico Berlinguer: una finestra disegnata su un muro. A Cesare Chiericati e Claudio Pozzoli, che nel 1981 in una trasmissione dell’allora TSI gli chiesero di spiegarsi meglio, Sciascia rispose: “Significa che ti affacci e non vedi niente”. E a quel punto può anche ripetersi la nemesi del burlone che gridava “al lupo, al lupo!” e, quando il lupo arrivò davvero, nessuno gli credette. Dobbiamo di nuovo chiamare in causa il conte Mascetti, ripensando a quella scena mitologica in cui, preso dai sensi di colpa nei confronti di moglie e figlia, costrette ad una vita miserabile, decide di rompere con l’amante appena maggiorenne, la disinvolta Titti, rivolgendole un discorso per una volta serio, responsabile, maturo, persino commovente. Parole da padre di famiglia, da uomo che sa prendersi, anche se con colpevole ritardo, le proprie responsabilità, e “vede chiaramente qual è il suo dovere ed è deciso a farlo anche se gli costa metà del suo sangue”. Lei lo ascolta ruminando un chewinggum e poi, per niente impietosita, reagisce al suo commosso addio fissandogli un nuovo appuntamento galante (“Addio, merdaiolo! Ci si vede domani a mezzogiorno”), che lui accetta senza esitare, tirando solo sull’orario (“No, alla mezza! A mezzogiorno ho un pignoramento!”) e fregandosi le mani dalla soddisfazione, come se niente fosse. Anzi, come se fosse antani.

sabato 8 aprile 2023 4 Ticino7
LA STANZA DEL RICCIO DI VALERIO ROSA UGO TOGNAZZI (1922-1990). A LATO, DA SINISTRA : DUILIO DEL PRETE, ADOLFO CELI, UGO TOGNAZZI E PHILIPPE NOIRET. INSOMMA, I SOLITI ‘AMICI MIEI ’ NOIRET E TOGNAZZI ALL OPERA. CRISTINA E MICHELE (NANNI MORETTI) IN "ECCE BOMBO" (1978).

Giuseppe La Torre

Il prossimo 30 giugno si concluderà una fase importante nella sua vita: giunta (e superata) l’età del pensionamento, terminerà infatti, dopo più di 22 anni, il suo ministero di pastore della Chiesa evangelica riformata nel Sottoceneri, più precisamente nel Mendrisiotto (ma continuerà ad abitare a Chiasso), dove a succedergli sarà il pastore Ulrich Hossbach. “Lascio il mio incarico con riconoscenza, con soddisfazione e con serenità. Porterò con me tantissimi ricordi, legati soprattutto alle persone, quelle che ho accompagnato negli ultimi momenti della loro vita, i bambini che ho battezzato, che ho visto crescere, che ho confermato e per alcuni dei quali ho poi celebrato anche il matrimonio. Mi mancheranno le attività che ho potuto svolgere, per esempio, nel dialogo interreligioso e ultimamente anche con l’accoglienza delle famiglie ucraine, per le quali abbiamo organizzato dei corsi di italiano che teniamo tutte le domeniche, seguiti da una merenda o da una cena, talvolta anche da un pranzo nelle loro ricorrenze più significative”.

La crisi spirituale

Adesso facciamo un balzo indietro di una sessantina di anni per capire come è iniziato il percorso che ha portato Giuseppe La Torre fino ai nostri giorni. “Sono nato in una famiglia cattolica, nella quale mia madre era molto praticante. Da lei ho ricevuto i primi elementi della fede, ma a partire dagli anni 1964-1965 attraversai una profonda crisi spirituale. Volevo diventare prete, per cui sono entrato nel seminario dei salesiani di Pedara e di San Gregorio a Catania dopo il noviziato, ma lì ci furono presto delle incomprensioni tra me e il direttore. Erano gli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II (1962-1965) e io leggevo più la Bibbia che la vita dei santi e contestavo alcuni aspetti della Chiesa cattolica. Facevo delle domande, ma non ricevevo delle risposte esaurienti e alla fine fui praticamente allontanato, viste le crescenti divergenze tra me e il direttore”. Alla ricerca di una struttura che andasse d’accordo con il suo modo di intendere la fede, Giuseppe la trovò nella Chiesa valdese.

“Fu un caso del tutto fortuito, perché nel viaggio notturno che feci una volta lasciato il seminario, incontrai un vecchio valdese che, incuriosito nel vedermi leggere la Bibbia, mi diede la sua testimonianza e ne rimasi affascinato. Nella città in cui vivevo allora, Marsala, scoprii che c’era una chiesa valdese che era stata chiusa durante il fascismo. Mi misi in contatto con alcuni suoi vecchi membri e la ricostituimmo. Posso dire che è lì che è incominciata la mia avventura perché sentivo in me sempre di più il desiderio di servire il Signore. Così, dopo aver approfondito le mie conoscenze del protestantesimo, decisi di iscrivermi alla Facoltà valdese di teologia di Roma. Nel contempo, siccome mio padre era un capitano, un armatore di pescherecci, volle che prendessi anche il diploma nautico. Quindi navigai anche un po’ con lui”.

La spiritualità cattolica e ortodossa

Diversi cattolici, quando abbracciano un altro credo, lasciano la loro Chiesa per così dire “con il dente avvelenato”. Ma per Giuseppe non è stato così, tanto che è rimasto in buoni rapporti con molti cattolici e non ha abbandonato importanti elementi della spiritualità cattolica che considera ancora suoi. “Per me è stato fondamentale l’incontro con Carlo Carretto, religioso dei Piccoli Fratelli di Gesù, grazie al quale ho approfondito la mia spiritualità – soprattutto nell’ambito della preghiera - sin dai tempi del seminario e che mi è rimasta fino ad oggi. Certo, appena lasciata la Chiesa cattolica, ho gettato via il bambino con l’acqua sporca, ma poi ho iniziato un lento lavoro di recupero, per cui non porto nessun rancore nei confronti di questa Chiesa, che rispetto pur essendo contento di essere protestante. Vorrei aggiungere anche quanto per me sia stata importante la conoscenza della Chiesa ortodossa, della spiritualità dei Padri del deserto, del loro monachesimo, per cui mi sono ampiamente abbeverato anche a quella fonte”.

Nato nel 1953 a Marettimo, in Sicilia, dopo gli studi secondari e liceali presso i padri salesiani, si è laureato in teologia alla Facoltà valdese di Roma e all’Università di Basilea. Ha conseguito anche lauree in Lettere, in Scienze storico-religiose e in Filosofia alla Sapienza di Roma. Ordinato pastore valdese nel 1985, ha esercitato il suo ministero a Taranto e a Palermo sino al 1993 e in Val Bregaglia sino al 2000, anno in cui è diventato pastore della Chiesa evangelica riformata nel Sottoceneri. Ha insegnato religione evangelica e storia delle religioni nell’ambito delle materie opzionali dei licei di Lugano 1, Lugano 2 e Mendrisio. Sposato dal 1981 e padre di due figlie.

L’interesse per l’islam

Oltre a questo ecumenismo “inter-cristiano”, Giuseppe La Torre si è specializzato anche nell’islam, sul quale ha pubblicato diversi libri. “Quando studiavo teologia, mi ero iscritto contemporaneamente all’Istituto di studi orientali alla Sapienza di Roma. Negli anni Settanta ci fu un flusso migratorio musulmano abbastanza consistente, per cui la Chiesa valdese mi chiese di occuparmi del dialogo con l’islam. Inoltre fui chiamato a far parte del comitato “Islam in Europa”, creato congiuntamente dalla Conferenza delle Chiese europee e dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Da qui il mio interesse per questa religione, che permane tuttora, tanto che qui in Ticino nel 2003 sono stato cofondatore del Forum per il dialogo interreligioso e interculturale”.

Ecco, appunto il Ticino. “Dopo essere stato pastore in Val Bregaglia – dove peraltro mi trovavo molto bene – nel 2000 si è posto il problema della scuola per le mie figlie: Samira doveva iniziare le elementari e Serena il liceo. Per questo abbiamo preferito trasferirci in un cantone completamente di lingua italiana, tanto più che si era liberato un posto di pastore nella Chiesa evangelica riformata nel Sottoceneri”. Accanto al ministero pastorale, Giuseppe La Torre ha svolto un ruolo importante di insegnante nei due Licei di Lugano e in quello di Mendrisio. “Inizialmente ho insegnato religione evangelica e ovviamente gli studenti protestanti erano pochi. Poi mi è stata offerta la possibilità di insegnare storia delle religioni nell’ambito delle materie opzionali”.

Un messaggio di speranza

Domani è Pasqua, la festa più importante per i cristiani, che celebrano la risurrezione di Cristo. Quindi vorrei concludere questo arricchente incontro con Giuseppe La Torre chiedendogli quale messaggio può ancora dare la Pasqua agli uomini e alle donne di oggi, in un mondo sempre più secolarizzato, con le Chiese che si svuotano: “Il messaggio è che dopo ogni Venerdì Santo c’è sempre una Pasqua, dopo ogni sofferenza, ogni sconfitta dell’umanità bisogna sempre guardare avanti con fiducia e con speranza. E noi cristiani dobbiamo essere segno, testimoni e promotori di questo cambiamento”.

sabato 8 aprile 2023 5 Ticino7 INCONTRI DI GINO DRIUSSI FOTOGRAFIE © TI-PRESS / MASSIMO PICCOLI
UNA FUNZIONE NELLA CHIESA EVANGELICA DI VACALLO.

È la fine della cultura?

Sapere e spirito critico restano gli unici strumenti per comprendere la realtà senza farsi manipolare

Nell’ormai lontano 2009, sceneggiato dallo scrittore Nick Hornby (autore del celebre romanzo Alta fedeltà), è apparso al cinema An Education, pellicola che narra le vicende della giovane e diligente studentessa Jenny, il cui obiettivo è proseguire gli studi all’Università di Oxford. Sul suo cammino la ragazza incontra l’affascinante David, di quindici anni più vecchio di lei, che la introduce a una vita movimentata ed eccitante, fatta di feste, viaggi e regali. Jenny, conquistata da queste nuove esperienze, decide di abbandonare gli studi e di accettare la proposta di matrimonio di David, nonostante il parere contrario di genitori e professori. Prima delle nozze, la giovane scopre che David mente; è già sposato con un’altra donna, da cui ha avuto un figlio, e non è in grado di sostenere il ritmo di vita a cui ambisce. Amareggiata e delusa, Jenny tenta di convincere la scuola a riammetterla per ripetere l’anno, ma senza successo. In seguito, grazie all’aiuto di una professoressa a lei molto legata, la ragazza riesce a terminare gli studi e quindi a candidarsi finalmente all’università. Benché An Education sia certamente un lungometraggio piacevole e ben girato (ha ottenuto tre candidature agli Oscar 2010), l’aspetto più interessante risiede nella storia e nel messaggio: l’istruzione e la cultura come salvezza, come lasciapassare per la libertà di scelta.

È davvero così?

Nelle società occidentali in cui viviamo, la cultura è ancora considerata un valore? A giudicare dai dati, sembra di no. Nella sola Svizzera italiana, nel 2016, gli analfabeti di ritorno o funzionali erano stimati a più di 40mila. Si tratta di persone scolarizzate nel Paese, ma che, una volta terminato il proprio percorso di studio, stentano a comprendere testi semplici e a redigere frasi complete e complesse, perdendo, allo stesso tempo, la capacità di sviluppare un pensiero critico. A livello nazionale, i dati a disposizione si riferiscono ancora oggi all’indagine comparativa internazionale sulle competenze degli adulti nel campo della lettura, della matematica d’uso quotidiano, della capacità di risoluzione di problemi e del rapporto con le nuove tecnologie (Adult Literacy and Lifeskills Survey), svolta nel 2003 e pubblicata nel 2006, dalla quale emergeva (in modo inquietante) che 800mila persone in Svizzera fra i 16 e i 65 anni erano colpite da illetteratismo, cioè “la carenza di quelle competenze di base di cui ogni persona dovrebbe disporre per potersi orientare in molteplici e complesse situazioni private e professionali nella società in cui vive e rispondere alle esigenze richieste in quanto cittadino e cittadina”. C’è da credere che negli anni la situazione non sia migliorata e le cause possono essere multiple ed eterogenee:

• La cultura è stata sacrificata al mercato e alle sue logiche?

Se ne discuteva sul giornale britannico The Guardian qualche anno fa riferendosi al valore intellettuale e formativo di una laurea, ormai, a detta di molti, ridotta a un prodotto da supermercato e non più orientata alla conoscenza, ma a soddisfare i bisogni delle grandi società e delle istituzioni più influenti. Competenze ad hoc, formazioni specifiche e limitate a un certo tipo di richiesta economica. È quindi inevitabile che l’orizzonte culturale degli studenti si riduca.

• L’avvento e la diffusione esponenziale delle nuove tecnologie e dei social ci ha reso più pigri, più stupidi e più smemorati?

Quando lo scrittore e giornalista americano William Poundstone stava lavorando al suo libro Head in the Cloud: Why Knowing Things Still Matters When Facts Are So Easy to Look Up (2016), ha realizzato alcuni sondaggi sia negli Stati Uniti, sia in Gran Bretagna, ponendo domande di cultura generale a diversi campioni di persone. Più del 50% degli intervistati sotto i 30 anni non sapeva nominare il più grande oceano del mondo, quale fosse la reggia costruita per volontà di Luigi XIV, il nome del primo satellite artificiale mandato in orbita nello spazio, l’inventore della radio oppure del telegrafo. Come è possibile? A detta di Poundstone si tratta di conoscenze che rinunciamo ad assimilare e memorizzare perché ci affidiamo completamente alla rete. Google risponde. Internet ha assunto la stessa funzione di un consulto specialistico. Grazie alle enormi possibilità del web, abbiamo deciso di rifugiarci in quella che l’economista statunitense Anthony Downs, già negli anni Cinquanta, definiva “l’ignoranza razionale”, cioè delegare ad altri – e nel nostro caso alla rete – quello che non sappiamo o non sappiamo più. Nonostante tutti i vantaggi offerti da internet, il web porta con sé anche moltissime trappole, notizie false, cattiva informazione, manipolazione. Nelle sue ricerche lo stesso Poundstone ha osservato una correlazione molto forte fra chi non era in grado di rispondere alle sue domande e la presa di posizioni estreme. Infatti, il campione convinto che gli uomini avessero condiviso il mondo con i dinosauri si era dimostrato più propenso a non far vaccinare i propri figli. Riferendosi solo a quanto letto su internet le stesse persone intervistate erano totalmente incapaci di distinguere la validità di un testo scientifico da consigli pseudo-scientifici basati su teorie del complotto.

• Leggiamo, ma non abbastanza e privilegiamo la facilità?

Secondo l’Ufficio federale di statistica, nel 2019, l’83% della popolazione svizzera di 15 anni o più ha letto almeno un libro all’anno (1!) e quasi il 30% più di un libro al mese. In testa alle preferenze, dato poco confortante, ci sono guide e manuali di cucina, decorazione, fai da te, giardinaggio, viaggi e turismo. Romanzi, classici e saggi si collocano in posizioni inferiori. In Europa, la Svizzera, si allinea ai dati danesi (82%), superata dalla Svezia, in testa con il 90% e dai Paesi Bassi (86%). Seguono quindi il Regno Unito (80%) e la Germania (79%). Agli ultimi posti si trova il Sud del Continente, Italia, Romania, Grecia e Portogallo.

Una democrazia “coi buchi”

In un momento storico come quello attuale, caratterizzato da nuovi estremismi e vecchi fanatismi, dove soffiano venti bellicisti e durante i quali la natura si ribella con sempre maggiore frequenza alla fittizia e arrogante sete d’onnipotenza dell’uomo (alcuni la vedono così, non so voi), per mezzo di pandemie, catastrofi naturali e sregolamento climatico, sarebbe prudente non allontanarsi troppo dalla cultura, dal sapere, dallo sviluppo del pensiero critico, poiché essi rappresentano le nostre uniche armi al fine di restare liberi e lucidi. Lucidi nell’identificare la dissimulazione e l’ignoranza dei governanti, liberi dalle scelte imposte dal mercato e dai suoi “influencer”, liberi di cambiare canale, di non seguire i consigli di lettura “in classifica”, di avere un’opinione diversa fondata su dati e fatti concreti, di dire no, ma con criterio, perché, ricordiamocelo, gli episodi più tristi di cui la nostra storia recente e non è stata testimone hanno tutti avuto inizio da una massa indistinta, inconsapevole, paurosa, frustrata e soprattutto influenzabile. A questo proposito resta di grande rilevanza l’opera autobiografica del maggiore esponente della letteratura mitteleuropea, lo scrittore austriaco Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo (1942). L’impoverimento culturale rende porosa la democrazia, i cui cittadini diventano ostaggio perché oramai privi di strumenti per definire, comprendere e criticare la realtà che li circonda. Forse dovremmo tenerne conto.

sabato 8 aprile 2023 6 Ticino7 SOCIETÀ DI FABIANA TESTORI
STEFAN ZWEIG (1881-1942).
fine
DAL FILM “AN EDUCATION” (2009) DI LONE SCHERFIG.

I pesci del Ticino

Un tuffo nei sapori della tradizione

Passeggiando in Ticino è facile perdersi nel blu cristallino di torrenti, fiumi e laghi che – oltre ad essere parte integrante del paesaggio ticinese – ospitano una grande varietà di pesci autoctoni (originari del posto) e alloctoni (introdotti accidentalmente o volontariamente dall’uomo). Oggigiorno la pesca ricopre un ruolo marginale nell’alimentazione e nell’economia locale (contrariamente a quanto avveniva in passato), tuttavia essa è rimasta ben radicata nelle tradizioni culinarie della regione. Trota, salmerino, luccio, coregone, pesce persico, luccioperca, sono alcuni esempi di ciò che le nostre acque hanno da offrire. Ma attenzione, anche i pesci hanno una stagionalità: è vietato pescare determinate specie nei mesi in cui depongono le uova. Parlando di tradizioni culinarie non è raro trovare nei menù di osterie, grotti, ristoranti e cantine filetti di pesce persico fritto, accompagnati da salsa tartara o riso. Altro piatto tipico è il

pesce in carpione. Il pesce utilizzato per questa ricetta? Ai più verrà in mente il coregone, ma è possibile utilizzare altre tipologie di pescato. Il “carpione” consiste nel marinare il pesce, già cotto, in aceto e verdure facendolo poi riposare per alcune ore o giorni. Questa preparazione, grazie alla presenza dell’aceto, consente una lunga conservazione del piatto, motivo per cui un tempo – quando non esistevano i frigoriferi – veniva molto utilizzata. Altro metodo di conservazione è l’affumicatura a freddo (il cibo rimane crudo) o a caldo (il cibo viene cotto), essa conferisce all’alimento un gusto particolare, dettato dal legno e/o dagli ingredienti utilizzati. Ora non ci resta che recarci in una delle pescherie ancora presenti sul territorio, oppure, magari dopo una passeggiata in riva al lago, farci coccolare dagli chef che con passione ci ripropongono piatti della tradizione.

Filetto di coregone in carpione

Ricetta tipica della tradizione ticinese rivisitata da SSSAT (Scuola Specializzata Superiore Alberghiera e del Turismo di Bellinzona).

Ingredienti:

560 g di filetti di coregone

4 ml d’olio d’arachidi

sale pepe

40 g di farina bianca

2 cl di olio extravergine d’oliva

20 g di carote

16 g di finocchi

16 g di sedano stanga

12 g di porro

8 ml di aceto di vino bianco

2,4 cl di vino da cucina

8 ml di acqua

insalata fresca in foglia

2 cl di salsa italiana per insalata

Per la ricetta completa:

Itinerario

→ Parco Naturale del Monte Caslano

Un’escursione affascinante che vi permetterà di apprezzare la bellezza del paesaggio naturale delle rive del Ceresio.

Il sentiero didattico del Monte

Caslano permette di conoscere dal vivo un paesaggio naturale degno di particolare interesse e di rigorosa protezione perché riunisce elementi geologici e botanici diversi che, nell’insieme, formano una sintesi preziosa del paesaggio naturale dell’intera regione.

Geologicamente parlando, il monte comprende una serie che va dalle antichissime rocce del cosiddetto Zoccolo cristallino insubrico, attraverso depositi del Carbonifero e le vulcaniti del Permiano, alle dolomie del Triassico e alle morene

BancaStato èlaBanca di riferimento in Ticino

quaternarie: una successione classica per la regione, qui ordinatamente visibile in una breve passeggiata. Quanto alla botanica, il monte ospita circa 600 specie di piante vascolari oltre a 150 specie di muschi e di epatiche. Il sentiero didattico è segnalato e munito di 15 tavole esplicative che consentono di percorrere agevolmente questo parco. Il parco si erge presso il caratteristico borgo lacustre di Caslano, uno dei comuni più importanti del Malcantone. Nel nucleo non mancano le occasioni per ammirare bellissimi monumenti religiosi e costruzioni antiche. Per apprezzare la bellezza delle rive del Ceresio, si consiglia di raggiungere Caslano in battello e di arricchire il programma con una visita al Museo della pesca.

Un percorso espositivo affascinante che parte dalla pesca nella preistoria fino ai giorni nostri toccando vari argomenti come la costruzione delle barche, il commercio del pesce, la fabbricazione delle reti, le specie ittiche presenti nei nostri fiumi e laghi, le antiche tecniche di pesca in un ambiente moderno e rilassante in prossimità della riva del lago.

Attività

Pesca sul lago Ceresio con guida, barca e attrezzatura

Tutto l’annosu prenotazione.

Caslano Blues Dal 14 al 18 giugno. Crociere ed esperienze sul Lago di Lugano

Tutto l'annosu prenotazione.

Museo della Pesca, Caslano Dal 2 aprile al 29 ottobre.

Unexpected Classic Tour, Lugano Ogni lunedì, dal 10 aprile al 23 ottobre.

Itinerario dal Monte Sassalto al Museo della pesca e del cioccolato

Da aprile a ottobre.

Museum & Chocolate Experience Alprose Tutto l’anno.

Abbiamo tuttibisogno di puntifermi, di certezze edisicurezze. Noi vi offriamo il costante impegno di esseredasemprecon il Ticino eper iticinesi.

sabato 8 aprile 2023 7 Ticino7
bancastato.ch
noi per voi
MELIDE TRA LAGO E CANTINE (© TICINO TURISMO, FOTO LUCA CRIVELLI).
DAL TERRITORIO A CURA DEL CENTRO DI COMPETENZE AGROALIMENTARI TICINO www.ticinoate.ch
N 4 5 ° 5 7 ' 4 2 . 8 50 8E 8 °5 3 ' 2 . 3316
Scopri il percorso
Ricetta
© TICINO TURISMO, FOTO ALAIN INTRAINA Scopri la ricetta
sabato 8 aprile 2023 8 Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE
sabato 8 aprile 2023 9 Ticino7

CON TICINO7

VINCI

Orizzontali 1. Preposizione semplice 3. Ricambiata, vicendevole 11. Iniziali di Ceroni 12. Cantano in gruppo 13. Sulle targhe di Herisau 14. Tsunami 16. Björn, ex tennista

18. Punto cardinale 19. Pianure incolte

20. Palese, logico 22. Il teatro di Sanremo 24. Il padre di Edipo 25. Città ucraina sul Mar Nero 26. Il nome di Foscolo

27. Città italiana sull’Adige 28. Particella dubitativa 29. Voce dissenziente 30. Una zona di Bellinzona 31. Un signore d’altri tempi 32. Serve come lettiera per le mucche 33. Scimmie dalla coda lunga 34. Locande 36. Servio Sulpicio, imperatore 37. Un oggetto qualsiasi 38. Parte alta del braccio 40. Fenomeno

Spedisci un SMS al 434 (CHF 1.–/SMS) scrivendo TI7 <spazio> SOLUZIONE e partecipa all’estrazione. Termine di partecipazione: giovedì prossimo.

PREFERISCI GIOCARE ONLINE?

Vai su laregione.ch/giochi

invernale 41. Gocciolare, lacrimare 43. Acido Ribonucleico in breve 44. Malattia infettiva ormai scomparsa 45. Simbolo chimico del cromo 46. Iniziali di Einstein 47. Località delle Centovalli 48. Un Monte sopra Corticiasca 49. Località leventinese 50. Feretro 51. Tavolieri 53. Pane in cassetta 54. Località del Locarnese 55. Alpe sui Gradiccioli.

Verticali

1. Passo presso il Tremorgio 2. Starnazza in cortile 3. Ama Giulietta 4. Il nome di Ramazzotti 5. C’è a Bellinzona 6. Prefisso per uguale 7. Simbolo chimico del platino 8. Calo, alleggerimento 9. Pianta delle Asteracee 10. La formano posate

in metallo prezioso 12. Località in Valle Maggia 15. Località sopra Melano 17. Vergogna, ludibrio 19. Elenchi 21. Impreciso, poco definito 23. Tirano la slitta di Babbo Natale 25. Lo dice il rassegnato 27. Il nostro pianeta 28. Caricarsi, accollarsi 30. Sciorinato 31. Tra fantino e cavallo 32. Un tipo di sciarpa 33. Durone 35. Le calcano gli attori 36. Animale da pollaio 39. Ricoprono tetti rustici 40. Acquavite 41. Frutto dell’olmo 42. Sbagliato, impreciso 44. Il nome di Behrami 47. Solido geometrico 48. Cittadina zughese 49. Particella di cognomi scozzesi 50. Un serpente 52. Iniziali dello scrittore Silone 53. Sulle targhe di Frauenfeld.

sabato 8 aprile 2023 10 Ticino7
Ci siamo. Soluzionipubblicitarie. ViaGhiringhelli 9 6500 Bellinzona T+41 91 821 11 90 pub@regiopress.ch regiopress.ch laregione
© ceck
37 6 14 54 19 49 20 53 27 34 SOLUZIONE DEL 25.3.2023 SOMMASCONA Soluzione completa su laregione.ch/giochi Ai 5 vincitori facciamo i nostri complimenti! 2 ingressi per
ROSSANO SPORTIELLO NICKI PARROTT concerto del 24 aprile GIOCA
© ceck 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 ORIZZONTALI VERTICALI SENZA PAROLE © DORIANO SOLINAS
JazzCat

Invecchiare è bellissimo

Il nome di una delle bambine, scritto con palloncini gonfiabili, lo lasciamo in bella mostra appeso alla libreria fino al compleanno di quella successiva: tra una ricorrenza e l’altra passano giusto una ventina di settimane. Suppongo andremo avanti così fino all’università, perché in fondo tradizione è il nome da nobile della pigrizia. Così anche quest’anno ci siamo sollazzati nottetempo con la sostituzione di lettere gonfiabili e la maratona ai fornelli perché la mattina la festeggiata, ormai sul limitare della preadolescenza, trovasse pronte alla parete le sue generalità, sul tavolo i suoi regali e nel piatto il suo dolce preferito. A questo punto il genitore di quaranta e qualcosa inizia a distillare una pensosa nostalgia, s’intenerisce con qualche rimpianto e molti rimorsi sui figli che crescono, le rughe che avanzano, e sulla micidiale evidenza che ti capita di lavorare sempre più spesso con gente la cui età è molto più vicina a quella dei tuoi bambini che alla tua. Ma qui si è talmente annoiati da rigettare il cliché, anche perché la giornata è solo all’inizio. Seguiranno, dopo un meritato turno di riposo chiamato lavoro, una corsa con auto strapiena verso una specie di poligono di periferia dove sette decenni

e un’adulta in carne – armati – tenteranno di spararsi palline di vernice che possono decapitare e accecare con facilità, prima di rantolare a casa. Ma è qui, prima di conquistare il divano, che, carica di un anno in più, la maggiore incrocia il tuo sguardo quasi perduto dalla stanchezza e sorride di gioia e pienezza e affetto. “Chiedete a quel padre”, diceva un genio, “se non sa che nulla vale uno sguardo d’uomo che incontra uno sguardo d’uomo”. Parlava di mia figlia, della sua corsa grezza e spettinata che in un anno ci ha donato una gioia inconfessabile di invecchiare. Mica perché si viva per i figli, figuriamoci: la tenerezza è sopravvalutata e l’ingratitudine (loro) è pronta. No, è che la pigrizia delle ripetizioni, l’ironia dell’implicito, il guadagno di uno sguardo che può permettersi il silenzio, sono già diventati la nostra nobile tradizione. Si affaccia una mostruosa voglia del prossimo compleanno: c’è una vita da vivere, ci sono biciclette da inforcare, strade da passeggiare e lettere gonfiabili da sostituire. E non c’è tempo per frignare sul tempo.

TETRAMINI RUSSI

Tetris racconta l’incredibile storia di come uno dei videogiochi più popolari di sempre abbia trovato la fama tra gli accaniti giocatori di tutto il mondo. Henk Rogers (Taron Egerton) scopre il gioco nel 1988 e poi rischia tutto viaggiando in Unione Sovietica, dove unisce le forze con l’inventore Alexey Pajitnov (Nikita Efremov) per portare il gioco alle masse. Basato su una storia vera, Tetris è un thriller biografico dell’era della Guerra Fredda, con cattivi e doppiogiochisti, eroi improbabili e amicizie imprevedibili.

Tetris

SOPRA LA PANCA

Questa è una panchina che conosco da quando ero un bambino di pochi anni. Si trova infatti sul tragitto che mi portava da casa alla scuola elementare. La strada è un rettilineo in salita: per noi bambini era uno spazio pericoloso e sommamente proibito, perché le macchine sfrecciavano veloci. Una volta un mio compagno si fece quasi investire davanti ai miei occhi. Era sotto shock e lo fecero sedere proprio su questa panchina con addosso una coperta. A quei tempi la panchina era una sosta quasi obbligata, anche perché allietata da un albero di noci che, oltre a portare un po’ d’ombra, permetteva di raccogliere i frutti nei mesi autunnali. A fermarmi oggi mi coglie un po’ di tristezza: sento la mancanza dell’albero. Ma presto la tristezza lascia posto alla gratitudine. Anche se è stato tagliato da anni, anche se pochi lo ricordano ancora, tra me e quell’albero c’è stata una connessione, un legame. Sarà la vicinanza con la Pasqua, sarà la primavera, ma in qualche modo sento che, finché ne celebrerò il ricordo, l’albero di noci non morirà del tutto.

IN VIA GALLINO (EX VIA OSPEDALE)

Coordinate: 2’722’377.1; 1’116’344.6

Comodità: ★★☆☆

Vista: ★★★☆☆ Ideale per… pensare a un albero scomparso.

ticino7

UNA STORIA POCO NOTA

Il film del regista scozzese Jon S. Baird, che ha recentemente arricchito il catalogo di Apple TV Plus, vanta una serie di elementi narrativi succulenti: l’espansione dell’industria videoludica, il crollo dell’Unione Sovietica, l’entusiasmo tecnologico e una storia poco nota dietro a uno dei giochi più conosciuti e ancora giocati. Il giovane programmatore russo che lo ha prodotto non ne detiene i diritti, che appartengono allo Stato, e Tetris deve superare molti ostacoli per poter uscire dai confini dell’URSS.

HENK ROGERS

“Questo gioco è poesia”, dichiara Henk Rogers in uno dei suoi tanti momenti di elogio per il videogioco. “Arte e matematica che funzionano in una magica sincronicità”. Rogers è un designer di videogiochi olandese, noto nell’ambiente per aver prodotto nel 1984 il primo gioco di ruolo giapponese:

The Black Onyx. Quando si ritrova tra le mani una demo di Tetris capisce immediatamente le potenzialità del gioco, ne diventa quasi ossessionato, irrompe nella vita del programmatore Alexey e la stravolge.

UN BEL DOC

La storia che ha portato Tetris oltre la Cortina di ferro è ancora più complessa di quella mostrata nel film di Apple e per chi la volesse approfondire su YouTube trova un documentario ben fatto che ne illustra tutti gli antefatti. Sul canale Gaming Historian il documentario La storia di Tetris ne racconta nascita e sviluppo con dovizia di particolari. Dalla sua progettazione, nata dalla passione di Alexey Pajitnov per il gioco di cubetti di legno “Pentomino”, alla lotta per aggiudicarsene i diritti giunta fino alle stanze di Gorbaciov.

sabato 8 aprile 2023 11 Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO
Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direttore Beppe Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione, redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch •
Servizio abbonamenti tel. 091 821 11 86 • info@laregione.ch Pubblicità Regiopress Advertising via C. Ghiringhelli 9, CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 90 • pub@regiopress.ch
laregione.ch
ALTRI SCHERMI DI ALBA REGUZZI FUOG
Il gioco perfetto
TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI

IN PRIMO PIANO

Cinema e Ambiente 6 film per la Giornata della Terra

A partire da martedì 11 aprile, la RSI celebra l’Earth Day di sabato 22 aprile proponendo sei film per il ciclo Cinema e Ambiente

I film in programma

Martedì 11 aprile

• Il processo Percy

L’agricoltore Percy Schmeiser unisce le forze con l’avvocato Jack son Weaver e l’attivista ambientale Rebecca Salcau per difendere la propria terra in una battaglia legale contro una multinazionale.

Martedì 18 aprile

• Il rapporto Pelican

La studentessa di legge Darby Shaw (Julia Roberts) indaga sull’o micidio di due giudici scoprendo verità scioccanti: sarebbero stati uccisi per conto del magnate del petrolio Victor Mattiece, che in tende sfruttare il petrolio che ha trovato sotto le paludi della Louisiana, habitat di una sottospecie in via di estinzione di pellicani.

Martedì 25 aprile

• L’odissea

Nel 1948 il famoso esploratore Jacques Cousteau, con una serie di attrezzature subacquee da lui stesso realizzate, salpa a bordo della nave Calypso insieme a un gruppo di avventuriere e avventurieri, con lo scopo di esplorare i fondali marini.

Martedì 2 maggio

• Il caso Minamata

Il fotografo americano Eugene Smith si reca in Giappone per indagare sui casi di avvelenamento di mercurio nei villaggi costieri, causati dall’inquinamento delle industrie chimiche.

Martedì 9 maggio

• La donna elettrica

Halla è un’ambientalista che lotta contro l’industria dell’alluminio in Islanda. Le sue azioni si fanno sempre più audaci, ma la sua vita cambia quando le viene concesso di adottare una ragazza ucraina.

Martedì 16 maggio

• The Devil Has a Name

Un’ambiziosa direttrice di una corporazione petrolifera mette a rischio l’intera industria quando cerca di raggirare un agricoltore appena rimasto vedovo la cui terra è stata avvelenata.

Dall’ 11 aprile, tutti i martedì alle 23.15 ca su LA 1

Essere nere

Un documentario coprodotto da RTS in prima TV Anche in Svizzera si levano voci inedite di donne che lottano per il riconoscimento del razzismo, decostruendo gli stereotipi e rivendicando la loro doppia identità.

La condizione delle donne di origine africana è quasi del tutto assente dal dibattito pubblico nazionale, sostiene il documentario “Essere nere”. Eppure, qui come altrove in Occidente, esse sono ancora quotidianamente soggette a sessismo e razzismo.

In questo contesto, Rachel M’bon, una giornalista svizzero-congolese, inizia la sua ricerca di identità.

Nel cammino verso l’emancipazione, la donna mette in discussione il proprio passato e presente agli occhi delle sue coetanee e dei suoi coetanei.

Attraverso una serie di ritratti di donne, Rachel e la regista Juliana Fanjul descrivono una condizione sociale plasmata da varie forme di oppressione.

La denazificazione impossibile Edith Bruck ospite a Lo Specchio

Come la Germania venne a patti con la fine del

L’8 maggio 1945, al termine della Seconda guerra mondiale, la Germania nazista fu sconfitta.

Pubblicizzati a dismisura, come sostiene il filmato proposto questa settimana dalla rubrica DOC, i processi di Norimberga suonarono pochi mesi dopo come la promessa di epurare il Paese da un’ideologia devastante, ma questo compito diventerà ben presto un pio desiderio. Nonostante le intenzioni iniziali, gli Alleati sapevano già che sarebbe stato impossibile affrontare i milioni di tedeschi che avevano gravitato intorno al partito nazista.

Una storia poco raccontata che il regista Mickaël Gamrasni ci propone in questo documentario in prima TV per ripercorrere i momenti salienti del processo di denazificazione nelle due Germanie e la sua inquietante attuazione colma di lacune e fallimenti.

Grazie a una narrazione chiara, a filmati di repertorio, interviste d’epoca e citazioni, ne emerge un nuovo sguardo sul nostro passato recente.

Dopo le domeniche dedicate alla politica torna Lo Specchio con un’edizione imperdibile grazie alla straordinaria e toccante testimonianza di Edith Bruck, scrittrice, poetessa, traduttrice, regista di origini ungheresi, sopravvissuta miracolosamente ai campi di sterminio nazisti.

Il suo racconto doloroso, ma che non mancherà di regalarci squarci di luce, ci porterà nel cuore di un’Europa stravolta dall’abominio di Auschwitz e delle selezioni mortali perpetrate da Josef Mengele.

Ma Edith Bruck non ha perso la voglia di lottare per affermare il suo diritto di essere una donna libera, di coltivare le sue passioni e di scrivere.

Nata nel 1931 in una povera e numerosa famiglia ebrea, è stata deportata nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen. Sopravvissuta allo sterminio, dopo anni di pellegrinaggio approda definitivamente in Italia, dove farà della testimonianza una ragione di vita, diventando una stimata autrice di libri e un punto di riferimento morale per le maggiori personalità culturali e politiche.

sabato 8 aprile 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 9.4 al 15.4 12
DOC
aprile alle
su LA 1
Specchio Domenica 9 aprile alle 19.20 su LA 1
Giovedì 13
23.05
Lo
nazismo
guerra
9 aprile alle 22.50 su LA 2
Un viaggio nella sofferenza della
Domenica

I luoghi

della rinascita

Storie riflette sul senso del sacro: ospiti monsignore Alain de Raemy e l’architetto Mario Botta

Una riflessione sull’idea di rinascita, nella domenica di Pasqua, parlando di temi ampissimi come la definizione di sacro ma anche di questioni molto più quotidiane come le architetture che ci circondano.

Quanto è stato in grado di apprendere, l’uomo, dalla vita e dalla natura? “I luoghi della rinascita”, è il documentario di Michelangelo Gandolfi al centro di questa puntata di Storie: un percorso di scoperta architettonica condotto tra il Ticino e la Francia, tra monumenti, costruzioni, chiese, sorti là dove prima era arrivata distruzione. E agli architetti va allora il compito di ricreare bellezza là dove ce ne è più bisogno. Quanto attuale è, una riflessione come questa, in un momento storico come quello che stiamo vivendo? Rachele Bianchi Porro ne discuterà prima e dopo il documentario con due ospiti di eccezione: l’amministratore apostolico della diocesi di Lugano, mons. Alain de Raemy, che da giovane, prima di capire la propria strada, si era dedicato proprio a studi in ambito architettonico, e poi Mario Botta, architetto celebrato a livello internazionale che – a confidarlo è proprio lui – ha una predilezione particolare per le architetture che nascono attorno al tema del sacro. Per Botta il 2023 è un anno particolare di celebrazioni: festeggia i suoi 80 anni. E certo non ha perso la sua vena combattiva come dimostra una recente intervista al Corriere della

Sera in cui traccia un quadro pessimistico sull’aspetto contemporaneo delle città: “La città diventa un’occasione di consumo. L’architetto è una pedina indifferente. I nuovi proprietari se ne fregano dell’architettura perché il valore dell’edificio è legato all’investimento: a volte, se resta vuoto non gli interessa. La finanza è talmente ricca che non si interessa del destino dell’immobile, non sa nemmeno in che Paese stia. È una condizione di ipercapitalismo senza nome, non c’è nemmeno il capitalista da poter contraddire. Da qui anche i grandi misfatti bancari: ci sono banche senza risparmiatori”

Storie Domenica 9 aprile alle 20.40 su LA 1

Pillole di Picasso

Due proposte RSI a 50 anni dalla scomparsa

A 50 anni dalla scomparsa di Pablo Picassounanimemente considerato uno degli artisti più importanti del 900 - Alphaville, lo spazio d’ascolto delle 11.00 su Rete Due, propone dal 10 al 21 aprile 10 pillole di programmazione curate da Emanuela Burgazzoli in cui 10 curatrici e curatori di musei importanti tracciano un ritratto dell’artista partendo da una sua opera. Una proposta che fa il paio con il documentario proposto in TV da DOC giovedì 6 aprile su LA 1, che si può recuperare su rsi.ch/ play: “Picasso, l’eredità” a cura di Nancy Hugues e Oliver Picasso. L’8 aprile 1973 si spegneva l’autore di Guernica. E da subito iniziò uno straordinario lavoro di inventario dell’opera lasciata dal pittore nei suoi undici luoghi di residenza. Si scopriranno così circa 50’000 opere: disegni, pitture, sculture, ceramiche che rivelano una parte della vita privata dell’artista: ritratti delle donne della sua vita,

dei suoi figli legittimi e non. Grazie alle testimonianze dei suoi cari, agli archivi familiari e ai documenti filmati inediti, questo film ricostruisce i tre anni in cui ha avuto luogo questo eccezionale inventario e svela il ritratto di un Picasso segreto e della sua opera multiforme. Questo film rivela, grazie alla consultazione di archivi familiari inediti e alle testimonianze esclusive dei membri della famiglia, un nuovo punto di vista sulla ricchezza creativa dell’artista.

Domenica 9 aprile dalle 10.00 su LA 1

Gli appuntamenti spirituali di Pasqua

Inizia alle 10.00 il trittico spirituale in diretta della mattinata di Pasqua su LA 1. Il Culto evangelico sarà trasmesso in eurovisione dall’Istituto Taylor a Roma-Centocelle. Fondato 100 anni fa, sulle tracce del lavoro sociale e missionario del pastore evangelico battista americano George Boardman Taylor, l’istituto è un orfanotrofio e casa di riposo gestito dalla Chiesa Battista d’Italia. Alle 11.00 collegamento per la Santa Messa con la chiesa Saint-Pierre di Friborgo. Presiede mons. Charles Morerod, Vescovo di Friborgo Commento in italiano di Chiara Gerosa. Costruita nel 1928 da Fernand Dumas, la chiesa di San Pietro a Friborgo è un esempio di modernismo nell’arte sacra e comprende i mosaici di stile cubista dell’artista italiano Gino Severini.

Alla fine della celebrazione, alle 12.00, spazio - come ogni domenica di Pasqua - alla benedizione Urbi et Orbi da Piazza San Pietro, impartita da Papa Francesco

Lunedì di Pasqua, alle 21.05 su LA 2: Sinfonia n.2 Lobgesang di F. Mendelssohn (con il coro e Solisti della RSI e l’OSI diretti da Diego Fasolis).

Meravigliosa Wanda

In prima TV il film di produzione SRF

Wanda, una giovane badante polacca, si occupa dell’anziano capofamiglia Josef Wegmeister-Gloor, nella sua villa sul lago, accudendolo 24 ore al giorno e aiutando anche la moglie Elsa nei lavori domestici. Gregor, il figlio più giovane, le è particolarmente affezionato. Il lavoro è mal pagato, ma Wanda ha bisogno di soldi per mantenere figli e genitori in Polonia. La vita a stretto contatto con i Wegmeister-Gloor le permette di gettare uno sguardo intimo sulle dinamiche della famiglia, così intimo che Wanda, di fatto, rimane inaspettatamente incinta.

Si presenta così “Meravigliosa Wanda”, il film commedia coprodotto da SRF con Zodiac Pictures che LA 2 trasmette in prima TV martedì 11 aprile alle 21.05. Il film è stato realizzato nel 2020 da Bettina Obderli e si avvale dell’interpretazione di Marthe Keller, André Jung, Birgit Minichmayr, Jacob Matschenz, Anatole Taubman, Agnieszka Grochowska.

“Meravigliosa Wanda” racconta di aspetti anche spiacevoli della cronaca quotidiana ma con un passo decisamente umoristico come ha spiegato la regista: “Volevo evitare di mostrare Wanda come una semplice vittima. È in realtà una donna decisamente di forte carattere. E poi mi interessava mostrare una certa idea della Svizzera. Certo, si ride, ma la risata a volte nasce dalla disperazione”

Martedì 11 aprile alle 21.05 su LA 1

sabato 8 aprile 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 9.4 al 15.4 13
IN PRIMO PIANO
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.