Ticino 7 N06

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Cartoline da una Germania scomparsa

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Il momento Schabowski

Sei un funzionario della Germania Est, di quelli con la giacca in duralluminio e la spilla del partito all’occhiello. Incarnato grigio topo, sguardo un po’ spento, hai comunque alle spalle una carriera brillante: come ex giornalista al servizio del partito unico, sei uno di quelli che il Muro di Berlino lo chiamano barriera antifascista. Magari ci credi anche. Ti chiami Günter Schabowski.

È il 9 novembre del 1989, da quasi un mese ti occupi delle comunicazioni del governo. Sta succedendo un casino. L’Ungheria ha aperto le frontiere, i tuoi concittadini ne approfittano per scappare dalle gioie del realsocialismo. Ingrati. Occorre decidere cosa fare con quel benedetto Muro. Egon Krenz, il tuo nuovo capo, si affida al vecchio adagio manzoniano: adelante, con juicio. Ormai non si possono più tenere i berlinesi prigionieri, ma cerchiamo di far le cose con ordine. Ti fa convocare una conferenza stampa e ti mette in

mano le istruzioni: basta saper leggere, credi. Ma quando senti la tua stessa voce lasciar intuire che state per aprire tutto, ti accorgi che il tuo mondo muore lì. “Da quando?”, ti chiede un giornalista italiano. Sudi freddo. Forse ti confondi tu, forse ti hanno fregato, fatto sta che ti esce solo: “Per quel che ne so… da subito, immediatamente…”. Apriti cielo. Un paio d’ore dopo, il Muro è già solo un trampolino per saltare a Ovest. Game over, come negli odiosi videogiochini della propaganda atlantica. Tu non sapevi, tu non volevi. Ma intanto perdi il lavoro, i tuoi colleghi ti schifano, finisci perfino a Spandau (il carcere, non il complessino inglese). Passerai alla storia come il becchino della Germania Est, proprio tu. Soprattutto, darai volto al timore che ci perseguita tutti: il lampo d’ebetismo, la cantonata istantanea e deflagrante, il blackout della ragione che in un secondo ti smantella la vita. Il momento Schabowski.

sabato 11 febbraio 2023 1 Ticino7 numero 6 DI LORENZO ERROI

Nel 1990, l’anno successivo alla caduta del Muro di Berlino, ciascun tedesco dell’Est gettò via 1,2 tonnellate di rifiuti: una media tre volte superiore a quella registrata dai cugini dell’Ovest. Questo perché in discarica ci finiva di tutto: elettrodomestici, suppellettili, rottami d’un mondo che fu, rispetto al quale il termine ‘rifiuto’ assume anche un significato politico e storico.

Gli ‘Ossi’ se ne liberavano – altro verbo dalle molte sfumature – per fare spazio alle magnifiche sorti progressive dei ‘Wessi’, mentre la porta di Brandeburgo, pietra miliare di quella divisione, si trasformava in mercatino delle pulci per ogni sorta di chincaglieria legata alla memoria del vecchio regime. Ancora non c’era l’Ostalgie, la nostalgia per quel che fu o che almeno avrebbe potuto essere (banalizzata, a partire dai primi anni Duemila, dalla riscoperta a fini di marketing delle vecchie marche di cetriolini e simili). Sulle bancarelle di Berlino si potevano acquistare per pochi marchi le testimonianze materiali di un regime che molti avevano fretta di liquidare.

OSTALGIA CANAGLIA

Immagini dalla

Germania che non c’è più

Romantici rottami

La vita, però, non si può rottamare. O almeno non si dovrebbe. Ai più svegli fu subito chiaro che tutto quel bric-à-brac un po’ smunto un po’ kitsch portava con sé il racconto di un’epoca, come le coppe e le spille antiche che oggi si conservano nei musei. Se ne accorsero per primi a migliaia di chilometri da Berlino, per la precisione a Los Angeles, dove nel 2002 aprì il Wende Museum (museo della ‘svolta’, nome che storici e giornalisti hanno assegnato fin da subito alla riunificazione tedesca). La città Usa che “non viene da nessuna parte, non va da nessuna parte” – secondo i versi di Bertolt Brecht, che come tanti esuli tedeschi vi aveva trovato rifugio dal Terzo Reich –offriva il campo neutro necessario per preservare la storia materiale della Ddr, come scrive Justinian Jampol, lo storico con trascorsi oxfordiani che fondò il museo a soli 24 anni: a lui saccheggiamo le informazioni di queste righe, contenute nel bel saggio che introduce ‘Das Ddr-Handbuch’. Ovvero ‘Il Manuale della Germania Est’, in edizione bilingue tedesca/inglese, appena ristampato da Taschen: un’edizione ‘tascabile’ – per quanto possa essere tascabile un libro rilegato che conta oltre 800 pagine e pesa quasi due chili – che riproduce perfettamente, in scala ridotta, il monumentale ‘Jenseits der Mauer’ (‘Oltre il Muro’ è grande quasi il doppio, di chili ne pesa oltre cinque, arriva in

una valigetta cartonata e ormai si trova solo a prezzi proibitivi).

Il Manuale è di fatto il catalogo del museo, vi risparmia il fastidio di andare fino a Culver City e organizza in modo tematico quanto raccolto dai suoi curatori, spesso grazie a donazioni di vecchi uomini della Stasi e del regime di Erich Honecker, i quali temevano che certe ‘collezioni’ sarebbero risultate troppo controverse se donate a un museo europeo. Materiale salvato dal “cestino della storia” (sempre Jampol): pacchetti di sigarette e statue lignee di Lenin, cataloghi di grandi magazzini e lattine di caffè istantaneo, spille di propaganda e copertine di vinili pop indigeni, diapositive pornografiche, cartoline di hotel brutalisti, programmi di viaggio dalla motonave ‘Amicizia dei popoli’ (“ore 7: sveglia; ore 7.10: ginnastica”), magliette delle squadre di calcio come la Dinamo Dresda e la Dinamo Berlino (quest’ultima assai cara al capo della Stasi Erich Mielke, con tutti i privilegi del caso).

Il gusto del Doppelgänger

Qualcuno potrebbe chiedersi perché mai spendere 40 franchi per un libro del genere, se non per improbabili nostalgie comunistoidi o compiaciuta necrofilia occidentale (“abbiamo vinto noi, gnè gnè gnè!”). C’è probabilmente una componente voyeuristica. Quei tinelli economici e quelle vecchie pubblicità finiscono per costituire una sorta di Truman Show realsocialista, l’evocazione d’una quotidianità un po’ ‘Goodbye, Lenin’ che però rivela anche molte similitudini con quella occidentale. Non si tratta di un mondo così lontano, tutto sommato. Ma allora, forse, è proprio lì il ‘bello’: guardare dal salotto quel ‘come eravamo’ appena un po’ fuori fuoco o fuori asse, osservare il nostro

sabato 11 febbraio 2023 2 Ticino7
L’APPROFONDIMENTO DI LORENZO
©
ERROI; FOTOGRAFIE/ILLUSTRAZIONI
TASCHEN
“Quel bric-à-brac un po’ smunto un po’ kitsch porta con sé il racconto di un’epoca”
SOPRA: FANTASCIENZA ANNI 60. IN ALTO: TURISMO ANNI 80.

bislacco Doppelgänger con la zazzera e i baffoni, leggerne le cartoline da un posto dove le famiglie nei manifesti delle assicurazioni hanno lo stesso sguardo ebete che troviamo nelle nostre e le mode si assomigliano, anche se un po’ alla buona, ma tutto appare al contempo stampato su una diversa filigrana sociale e ideologica.

25% poliestere Così, dietro ai bimbi che giocano al nido vediamo spuntare cartelloni di propaganda (“Più forte è il socialismo, più stabile è la pace!”), mentre l’elevata ritualizzazione della politica di regime invadeva anche la vita giovanile, a partire dalle divise (25% poliestere, 75% viscosa). Un mondo in cui il Muro di Berlino era presentato come “barriera di protezione antifascista” e “imparare dall’Urss significa imparare a vincere”, ma in cui la vita andava avanti al di là dell’immagine spesso stereotipata che ce ne siamo fatti in tanti.

È un libro che si guarda prima ancora di leggerlo, ‘Il Manuale della Ddr’. Ma è un peccato non soffermarsi poi sui testi che accompagnano i vari capitoli, facendo dei diversi oggetti una chiave di lettura storica e illuminando diversi aspetti della società Ossi: la cultura nudista, i giochi in cui gli indiani battono sempre i cowboy, i modi in cui ciascuno cercava di crearsi piccoli mondi lontano dallo sguardo del partito e dalle orecchie della Stasi. Così, alla fine l’immagine di ogni oggetto ci pare sussurrare la stessa frase, identica a quella che a Lipsia animò le prime proteste per la libertà:

“Il popolo siamo noi”.

Sonnenallee

1.

Commedia del 1999 di Leander Haußmann. Vite bizzarre di adolescenti tormentati lungo la ‘via del Sole’, strada di Berlino che collegava Est e Ovest. È l’altro film che ha lanciato la Ostalgie, insieme al più noto ‘Goodbye, Lenin’ che sarebbe però uscito solo quattro anni dopo.

4.

Labirinto Stasi. Vite prigioniere negli archivi della Germania Est

Lo storico Gianluca Falanga pesca dagli archivi della vecchia intelligence, aperti al pubblico per consentire ai cittadini di recuperare le loro schedature, e ne esce col racconto di tre diversi destini: Baldur, tipografo che a 19 anni, nel 1958, si beccò tre anni di carcere per aver letto ‘1984’ di George Orwell; Andreas, che a 20 anni finisce in carcere per aver cercato di fuggire a Ovest, e scopre solo nel 1992 che a far la spia fu suo padre; infine Gilbert, condannato a due anni di carcere per avere fotografato la comunità punk di Berlino Est, che va alla ricerca dell’agente che lo aveva interrogato.

2.

La Stasi dietro il lavello

“Il signor Petzke mi fece dunque mettere in piedi davanti alla classe mentre lui discettava sui motivi per cui il movimento per la pace e il distintivo sarebbero in realtà frutto della propaganda tedesco-occidentale e che pertanto io sarei stata smascherata come nemico di classe. Concluse dicendo che io volevo la fine della Ddr e quindi il ritorno al fascismo”. Un’altra storia adolescenziale, ma stavolta autobiografica e vicina alla dissidenza, quella descritta da Claudia Rusch nel suo libro ‘La Stasi dietro il lavello’, mirabilmente tradotto da Keller. Esperienze e ricordi di una ragazza ironica e anticonformista, che sogna Parigi e le barrette Bounty.

5.

Il circolo di poesia della Stasi

La storia di un gruppo di spie, soldati e guardie di confine che dal 1962 al 1989 si riuniva in gran segreto a Berlino per imparare a scrivere versi, a scopo propagandistico e per ‘stanare’ il nemico di classe. Molti, però, a forza di studiare i grandi della poesia inizieranno a veder vacillare la loro fede nello Stato comunista.

3.

Stasiland

La giornalista australiana Anna Funder raccoglie in questo libro – tradotto da Feltrinelli col discutibile titolo ‘C’era una volta la Ddr’ – le testimonianze di persone perseguitate dalla Stasi e dai suoi agenti. Una lettura disturbante e mai banale, che può accompagnare l’arcinoto ed eccezionale film ‘Le vite degli altri’.

6.

Die Stasi-Ballade

Uno dei testi più popolari del geniale cantautore e cabarettista Wolf Biermann, cui fu negato il rientro nella Ddr nel 1976 per averne criticato il regime: un ironico ringraziamento a quei poveretti della Stasi costretti a fare di tutto, dai pedinamenti sotto la neve all’ascolto delle conversazioni nel bagno dell’artista, facendogli pure il piacere di registrare ogni sua battuta.

7.

Ddr. La guerra fredda del football

Vincenzo Paliotto scava in una miniera di aneddoti sul calcio della Germania orientale, tra tentativi di fuga, ingerenze politiche e surreali magheggi che vanno ben oltre i temi del calcio giocato. Dello stesso autore c’è anche ‘Stasi Football Club’.

sabato 11 febbraio 2023 3 Ticino7
COSE DA VEDERE, LEGGERE, ASCOLTARE
ANNI 70: ABAT-JOUR PER BAMBINI CON ‘SABBIOLINO’ (SANDMÄNNCHEN), PROTAGONISTA DI UNA POPOLARE SERIE TV ANIMATA.
7
30° CONGRESSO DELLA FREIE DEUTSCHE JUGEND.
IL
LE AUTO IN VENDITA NEL 1978: LADA, MOSKOWITZ, DACIA, POLSKI-FIAT E NATURALMENTE TRABANT. CATALOGO DEL WENDE MUSEUM (TASCHEN)

La penna scivola sul foglio, la matita stride, graffia. Ma non c’è un verbo per dire che rumore fa la matita. Scivola la penna a sfera, poi, mentre la stilografica graffia e scricchiola più della matita. Riscriverò a matita questa frase, per vedere che rumore fa. “La penna scivola sul foglio, la matita stride, graffia…”. È che trova un maggiore attrito, è dura anche se di durezza variabile. La penna a sfera, con la pallina mobile minuscola che gira su se stessa, prende l’inchiostro per rilasciarlo sul foglio ruotando ininterrottamente in su e in giù. Fa questo per un colpo di genio del signor Biró, ungherese-argentino. La matita sarebbe più vicina nei suoi cammini sulla carta alla penna stilografica dalla quale è per il resto lontanissima.

La matita di NABOKOV

L’umile matita che quasi non vorrebbe lasciar traccia e che tanto quella che lascia si può cancellare, la matita che si consuma tutta, si sgretola lavorando fino a sparire, non potrebbe essere più lontana dalla penna stilografica, pomposa fin dal nome e anche nel modello più semplice. Non tende all’opulenza, ad allargarsi giusto alla cintura? E quel debole che ha, più o meno dissimulato, o ostentato, per le dorature? La matita, invece...

«Non una di quelle bellezze esagonali in ginepro della Virginia o cedro africano, col nome del fabbricante impresso in caratteri argentei, ma una banalissima vecchia matita di pino a buon mercato, tinta di un lilla sporco, tonda, tecnicamente anonima». Simile forse a questa che ho appena ritrovato che è di nessun colore, nata e restata di legno grezzo ma forse levigato. Ridotta a cinque centimetri, senza più gomma ma con la corona che la stringeva argentea e splendente per l’uso. Una matita da niente capace di scrivere cose notevoli, chissà. Mentre la bellezza «esagonale in ginepro della Virginia o cedro africano», dipende, non è detto. Se fossero belle soltanto le matite belle, una matita assomiglierebbe a tanti altri oggetti, ma spesso non è così. E Nabokov, l’autore delle parole che abbiamo letto qui sopra, di matite ne sapeva qualcosa, in qualità di bambino prima che di scrittore. Il bambino Vladimir Nabokov, già espertissimo piccolo carnefice di farfalle, nelle preveggenze e nei semideliri di una delle sue tante

convalescenze immagina la madre che va a comprargli uno dei quotidiani regali del tempo di malattia. La vede, più che immaginarla: «Ebbi la visione vivida di lei che percorreva via Morskaja in direzione della Prospettiva Nevskij». Vede che sale sulla slitta e si siede. Si sistema la coperta di pelle d’orso sulle gambe. Ne ha appena assicurato l’asola del secondo lembo al pomo dello schienale. Vladimir sente lo sbuffare del cavallo, il tonfo della terra mista a neve battere sul davanti della slitta. «Vedevo la pelliccia di foca di mia madre e, mano a mano che la gelida velocità aumentava, il manicotto che lei sollevava all’altezza del volto – il gesto aggraziato di una dama di San Pietroburgo durante un’uscita invernale». La slitta è arrivata, si ferma davanti a Treumann – «articoli di cancelleria, ninnoli in bronzo, carte da gioco» – e la madre entra. Ne esce dopo alcuni minuti, seguita dal valletto. Il quale «reggeva in mano ciò che lei aveva appena acquistato, e che mi sembrò una matita. Ero sbalordito che non fosse lei stessa a portare un oggetto così minuscolo…». Nella visione c’è qualcosa che non torna, sospetta Vladimir. E sempre che sia una matita («mi sembrò…»). Ma la

slitta è ripartita e non c’è tempo di riflettere. Occorre seguirla nel viaggio di ritorno. La coperta viene di nuovo rimboccata, i corpi, al contatto del gelo, riprendono a esalare vapori. E il fuoco dello sguardo del bambino si concentra, di nuovo, sul volto della madre. Vede le labbra spingere leggermente, in un gesto che conosce bene, per scostare la veletta troppo tesa. Ciò gli evoca immagini meno immateriali e contatti di baci materni, attraverso quel «reticolo di tenerezza».

La slitta è arrivata a casa, la madre scende ed entra nella stanza del bambino. E «teneva tra le braccia un grosso pacco». Ecco la svista. L’unico felice abbaglio dell’allucinatoria realistica visione: non era

un minuscolo involto ma un pacco grande. Che deve contenere «una gigantesca matita Faber poligonale, lunga più di un metro e venti e spessa in proporzione».

Era stata fatta per la vetrina, per réclame, la lunghissima matita, e là stava quando la madre la vide e pensò che non ci fosse miglior dono per un bambino. Il proprio bambino già quasi fuori dalla malattia, ma non del tutto. La matita non è in vendita, ma la cosa forse si può risolvere con una telefonata al «Dottor Libner». Una signora mi chiede se, gentilmente… E la slitta riparte con quell’occupante in più. «Per un attimo terribile mi chiesi se la punta fosse davvero di grafite. Sì, lo era. E alcuni anni dopo, praticandovi un buco di lato, ebbi la soddisfazione di constatare che la mina correva per tutta la lunghezza: un esempio perfetto di arte per l’arte concepito dalla Faber e dal Dottor Libner…». Nabokov traspone l’accadimento infantile nel romanzo Il dono, ma nelle memorie di Parla, ricordo narra «l’evento originale». Che ho rinarrato qui.

«Per un attimo terribile…», ricorda, e probabilmente di una terribilità doppia, bivalente. Se fosse di grafite soltanto la punta, sarebbe terribile. Se è di grafite l’intera mina, fino alla fine, è terribile. Una gioia che richiede tutte le proprie energie per essere sopportata.

sabato 11 febbraio 2023 4 Ticino7
LETTERATURA DI MARCO STRACQUADAINI
“La penna scivola sul foglio...”
“... la matita stride, graffia...”
“Una banalissima vecchia matita di pino a buon mercato”

GEORGES SIMENON

Il mago della penna con la pipa in bocca

Georges Simenon, genio e sregolatezza, si diceva una volta. Un uomo passato attraverso il ’900 con la penna in mano e la pipa in bocca. Centinaia di titoli tra romanzi ‘Maigret’ e ‘non-Maigret’, reportage, saggi e racconti di successo; film e telefilm ispirati al suo personaggio più famoso. Guardato con freddezza da scrittori e intellettuali invidiosi forse della sua fama universale; disaffezione generosamente contraccambiata dal grande Georges, che non amava quella che definiva ‘letteratura con la maiuscola’ e i suoi rappresentanti. Ironia del destino: ben quattro volumi che raccolgono diverse sue opere verranno pubblicati da Gallimard nella prestigiosa Bibliothèque de la Pléiade, riservata agli immortali della Letteratura!

Lui, un belga, come Jacques Brel prestato alla Francia, nato povero a Liegi nel febbraio 1903 e morto milionario a Losanna nel 1989. Una parabola straordinaria in tutti i sensi: Belgio, Parigi, Stati Uniti, dove emigra a causa dei sospetti di troppa condiscendenza nei confronti del regime di Vichy e degli occupanti tedeschi durante la guerra; l’approdo a Épalinges, nel Canton Vaud, in cerca di tranquillità e discrezione, qualche lingua maligna dice oltre che per ragioni fiscali.

Una vita tormentata, vissuta intensamente tra la passione per la scrittura, quella per le donne (ne ha frequentate migliaia, ha confessato una volta, comprese molte professioniste), la navigazione, a vela per mare e sui canali di Francia; un fratello morto combattendo in Indocina, dove si era recato su consiglio di Georges, cosa che la madre gli rinfaccerà sempre. Georges ne parla nella drammatica ‘Lettre à ma mère’ del 1974: “Cara mamma, tre anni e mezzo sono passati da quando, a novantun anni, sei morta, e ora soltanto, forse, comincio a capirti...”. Due matrimoni turbolenti alle spalle, con la seconda moglie malata di nervi e una figlia, Marie-Jo, ossessionata dalla figura paterna, che a Parigi si sparerà un colpo al cuore con una calibro 22 lasciando accanto a sé una lettera straziante indirizzata al padre. Aveva 25 anni. Un ulteriore dramma che segnerà profondamente Simenon: da questo tormento nasceranno le ‘Mémoires intimes’, un’autobiografia che è stata la sua ultima fatica terrena, forse la più ardua.

L’incontro

Ho avuto il piacere di incontrare Georges Simenon con un microfono in mano, in una clinica sopra Montreux, dove trascorreva l’inverno del 1981. Avevo letto quasi tutti i suoi Maigret che acquistavo a Firenze su una bancarella dell’usato in Piazza dei Ciompi. Colpevolmente, conoscevo meno il resto della sua sconfinata produzione, quella alla quale lui teneva invece di più. Ero molto felice ed emozionato quel giorno. Ricordo che mi accolse con un sorriso gentile, e forse un po’ ironico, nella sua suite, sprofondato in una poltrona rivolta verso il lago sottostante, con l’immancabile pipa (la sua o era quella di Maigret?), mentre altre riposavano sulla scrivania ingombra in attesa di essere usate. Ne venne fuori una lunga chiacchierata della quale ho

sintetizzato qui solo alcuni passaggi, nel 120esimo anniversario della nascita. Forse non sono verità assolute, ma solo alcune ‘sue’ verità. Sul Maigret che mi ero portato appresso, una dedica: ‘À Marco que j’ai peut-être choqué par mon franc parler’.

Tutti gli artisti le diranno che fanno la stessa cosa. Picasso, che conoscevo bene, non era per niente un intellettuale, non sapeva affrontare nessun discorso sulla pittura e tanto meno parlare dei suoi quadri; li faceva e basta. È quello che distingue l’artista dal bravo mestierante. Credo che scrittori si nasca, non si diventi, anche se per affermarsi la strada è lunga».

Autodidatta, fiero di esserlo «Non sono un intellettuale ma un intuitivo, come lo è il Commissario. Lo affermo avendo pur letto anch’io Dostoevskij, Faulkner e gli altri classici della letteratura. Quando scrivo, io mi metto nella pelle di un personaggio e non ne esco più fino al termine della storia. Parto da un ricordo, da un aneddoto, da un profumo, un suono e vado avanti di getto, senza un piano di lavoro prestabilito, come fossi in un stato ‘altro’ dalla normalità.

Tanti titoli, Maigret e gli altri «Ho iniziato a scrivere polizieschi per apprendere il mestiere, e quando mi sembrava di averlo imparato ho smesso. Ho pubblicato più di 80 Maigret, che all’inizio terminavo in una settimana e in seguito al ritmo di uno all’anno. Ho così scoperto con meraviglia che potevo vivere di letteratura, dopo anni di miseria nei quali avevo cambiato diversi lavori. Poi ho iniziato a pubblicare ‘romanziromanzi’, diventati con gli anni la maggior parte della mia produzione, circa 130 titoli. Ma, contrariamente a quanto si dice, io non sono presente in nessuno dei miei libri e dei miei personaggi (cosa della quale mi permetto di dubitare un pochino, ndr). La mia vita non si riflette mai nelle storie che scrivo, così come queste non sono ambientate nei paesi nei quali vivo in quel momento; per scrivere un romanzo ho bisogno di un certo distacco dalla realtà quotidiana. A 70 anni ho infine smesso con la scrittura per dedicarmi alla dettatura al magnetofono dei miei diari intimi, dove posso esprimere liberamente le mie idee e fare i conti con la mia vita»

La ‘spugna’ che assorbe l’acqua «Io sono un anarchico pacifico, sono contro la società così come è organizzata attualmente; un idealista da sempre, anche se qualcuno mi accusa di essere invece uno scettico. La critico, ma vivo in questa società, oggi tutto sommato in un modo relativamente modesto. Ciò che possiedo l’ho comunque ottenuto solo con il mio duro lavoro e soprattutto senza mai aver sfruttato nessuno. Del resto sono sempre stato dalla parte della gente comune, degli umili, dell’uomo della strada. Io appartengo alla ‘piccola gente’. Preferisco incontrare persone semplici in un bistrot, le osservo, parlo con loro bevendo un bicchiere in compagnia; piuttosto che frequentare i salotti mondani o i cocktail letterari. Detesto i libri con le frasi eleganti fini a sé stesse, lo stile curato e le finezze linguistiche. Mi piace invece una lingua semplice, diretta, asciutta, non le parole ricercate e i gerghi specialistici. Le assicuro che non è per niente facile scrivere così, checché ne dicano gli intellettuali che mi criticano e dicono che sono solo un osservatore neutro, una specie di magnetofono. Ho solo cercato di capire e descrivere i comportamenti umani nei diversi strati della società umana e i conflitti che ne possono derivare. Senza giudicare nessuno.

sabato 11 febbraio 2023 5 Ticino7
CUOREMENTE DI MARCO HORAT
“Sono un anarchico pacifico, sono contro la società com’è organizzata attualmente”
“Una vita tormentata, vissuta tra la passione per la scrittura e quella per le donne”

SALLY ROONEY

Leggere e amarla significa capire i Millennial

Perché la scrittrice irlandese Sally Rooney è diventata un fenomeno letterario ed editoriale di fama mondiale? Perché ci racconta chi siamo, come viviamo e che genere di relazioni sappiamo o non sappiamo sviluppare.

Non succedeva da un po’, alcuni dicono dai tempi di J.D. Salinger con ‘Il giovane Holden’, altri addirittura da quelli di F. Scott Fitzgerald con ‘Di qua dal Paradiso’, che uno scrittore riuscisse a convincere, seppur involontariamente, buona parte della critica di poter rappresentare fedelmente un’intera generazione. Sally Rooney ce l’ha fatta. E splendidamente, magistralmente. Lo stesso quotidiano Times l’ha definita “il primo grande autore Millennial”. Lo stile è perfetto e la tecnica impeccabile. Fatto raro tenendo conto della sua età, 32 anni, e considerando

studentesse universitarie stringono amicizia con una coppia adulta, segue il cortocircuito creato dalla relazione segreta fra una delle due con l’uomo sposato. Una vicenda vista e rivista, ma che Sally Rooney reinterpreta secondo i codici dei Millennial e rende avvincente come pochi sanno fare.

Infatti già si nota, seppure si tratti di un’opera prima, il perfezionismo della prosa, la quale contraddistingue anche i due romanzi successivi: ‘Normal People’ (Persone normali) del 2018 e ‘Beautiful World, Where Are You’ (Dove sei, mondo bello), dato alle stampe due anni fa.

Le trame costruite dalla scrittrice irlandese presentano vicende di vita quotidiana, descrivono relazioni interpersonali nella società contemporanea, ma, in realtà, sono le tematiche (e lo stile) a tenere il lettore incollato alle pagine: crisi identitarie, dinamiche di potere fra differenti gruppi sociali, precarietà lavorativa post-recessione, tardo capitalismo, confusione politica, prospettive incerte, fragilità emotiva, interminabile rimuginio, bulimia sessuale, anoressia sentimentale, dipendenza (e interdipendenza) dalla rete. Ecco il cocktail Millennial per eccellenza, versato in un bicchiere di cristallo, acclamato, polemizzato e presentato in libreria.

che il suo primo romanzo ‘Conversations with friends’ (Parlarne tra amici), scritto durante gli studi in letteratura americana al Trinity College di Dublino, è stato pubblicato quando la Rooney aveva appena 26 anni.

Subito ben accolto dalla scena letteraria europea, come da quella statunitense, nel 2018, ‘Parlarne tra amici’ è stato nominato sia per il premio Dylan Thomas, sia per il Rathbones Folio.

La storia è semplice e vecchia come il mondo: quattro amici, due

‘Persone normali’ ha riscosso un successo tale – il Guardian lo ha classificato nel 2019 al venticinquesimo posto nella lista dei cento migliori romanzi del secolo – che la BBC Three nel 2020 ne ha tratto una serie televisiva di discreto successo (quattro candidature ai premi Emmy). Tradotto in 46 lingue, Normal People, oltre ad aver vinto numerosi altri premi, nel 2018 è stato nominato romanzo irlandese dell’anno.

La storia narrata è molto comune, quasi banale, se non fosse concepita e scritta così bene. Un ragazzo e una ragazza all’ultimo anno di liceo entrano in contatto, lei di estrazione alto-borghese,

lui proletario, lei misantropa e bullizzata dai compagni, lui la star dell’istituto scolastico. Vivono una relazione segreta, di cui il loro microcosmo liceale non deve assolutamente sapere poi la rottura. Passano gli anni e si ritrovano all’università. Il legame fra i due è indissolubile, ma il contesto e le circostanze sono cambiati. Ora è lei la celebrità, mentre lui è quello isolato. Se si analizza da vicino, l’argomento principale presentato dalla giovane scrittrice non è la storia d’amore, ma l’importanza dei gruppi sociali di appartenenza e della loro influenza sulle relazioni che decidiamo di vivere. Niente di nuovo, né di trascendentale, potrebbero obiettare alcuni. Sarebbe però ingiusto ridurre l’opera di Sally Rooney ad un unico filone letterario, declinando quindi i suoi romanzi alla categoria dei belli, ma leggeri. La scrittrice irlandese è colta, intelligente, schietta e ben consapevole della complessa realtà vissuta dalla propria generazione. Tanto è vero che, in tutti i suoi scritti, per mezzo dei protagonisti, non mancano i rimandi artistici e letterari, le riflessioni politiche (la Rooney si definisce marxista), religiose e sociali sulla nostra epoca, spingendo a sua

volta il lettore ad interrogarsi sull’oggi. Il tutto in un mondo 2.0, dove domina Internet, anzi dove la rete è parte imprescindibile, integrante, quasi costitutiva della vita dei protagonisti: dalla comunicazione virtuale ai social media, dall’esposizione costante al voyeurismo, fino alla ricchezza inesauribile di informazioni, le quali ampliano gli orizzonti e offrono opportunità.

Leggere Sally Rooney negli anni in cui si susseguono i suoi romanzi è un po’ come vederla crescere, seguirne l’evoluzione e osservarne l’acquisita maturità letteraria.

In molti hanno definito la sua ultima opera ‘Beautiful World, Where Are You’ (Dove sei, mondo bello), il suo romanzo più riuscito e più completo. Il New York Times l’ha qualificato come bestseller e qualche giorno prima della sua pubblicazione ufficiale alcuni esemplari circolanti in rete sono stati venduti su e-Bay per più di 200 dollari a copia. Il giorno esatto dell’uscita il romanzo è stato fra i più venduti su Amazon. Anche per ‘Dove sei, mondo bello’ , Sally Rooney si concentra sulle persone e sui nostri giorni: un quadrilatero amoroso composto da trentenni, due uomini e due donne, intercalato da episodi di vita vissuta e da scambi di e-mail fra le due protagoniste. I vent’anni sono passati ed ora sono i trenta che spingono a maggiori riflessioni, alla profondità, addirittura alla stabilità? I temi cari alla Rooney ci sono tutti, crisi economica, amicizia, sentimenti e classi sociali, ma l’intreccio letterario è sempre più ricercato, i dialoghi - tratto distintivo d’eccellenza della scrittrice Millennial - sono a regola d’arte e la lucidità intellettuale ineccepibile. Leggere Sally Rooney è un po’ come leggere Jane Austen, ma nel 2020. Un puro piacere. Senza fatica le pagine si divorano, una ad una, e arrivando alla fine, forse, capiamo qualcosa in più di questi tempi matti.

sabato 11 febbraio 2023 6 Ticino7
SOCIETÀ & EDITORIA DI FABIANA TESTORI
“Crisi identitarie, dinamiche di potere, precarietà lavorativa, tardo capitalismo...”
“Un mondo 2.0: la rete è parte imprescindibile, integrante, quasi costitutiva della vita”

DAMMI‘WILMALA CLAVA!’

Donne primitive, rivoluzionarie e molto incavolate

“Wilma dammi la clava!”, urlava il cavernicolo Fred nei fumetti e nei film degli antenati Flintstones. La clava però non è un semplice randello. La clava è lo scettro pesante del potere. Giustizia e pari opportunità per uomini e donne? Certamente. Ma se l’obiettivo dichiarato non è la parità bensì l’egemonia, è un altro paio di maniche.

Viviamo ancora in una cultura patriarcale e paternalista, una società gerarchica e competitiva. A differenza di ciò che accade nei fumetti sulla preistoria la donna non domina, al comando stanno più frequentemente i maschi, per la verità con molte eccezioni. Anche il divario retributivo la dice lunga: in Europa le donne guadagnano in media il 15 per cento in meno degli uomini.

‘Lady Sapiens’

Un documentario archeologico e un libro che portano lo stesso titolo, ‘Lady Sapiens’, stanno rivalutando il ruolo della compagna spesso trascurata dagli studi paleoantropologici sul sapiens maschio. La tematica cosiddetta di genere da qualche anno a questa parte ha investito anche gli studi sulla preistoria, che hanno revisionato la figura centrale del maschio cacciatore di mammut come protagonista assoluto. A pensarci, è logico che le donne abbiano sempre contribuito in maniera indispensabile all’economia e alla cultura, con attività quotidiane le cui tracce però sono svanite. O non si sono mai volute vedere. Donne invisibili e misconosciute, pregiudizialmente. Forse anche autrici di importanti graffiti e delle famose statuette note come Veneri del Paleolitico. Chissà.

Leadership Rivendicare il diritto alla leadership, tuttavia, lascia perplessi. Per alcune femministe non basta che le donne ottengano la parità, ma devono insediarsi al top, nelle posizioni sociali “apicali”. In buona sostanza le donne meriterebbero di comandare perché – secondo un luogo abbastanza comune – le donne sono migliori degli uomini. Peccato che chi lo afferma forse non si renda conto di incappare in un sessismo alla rovescia.

Detto questo, sorge un dubbio radicale e soavemente anarchico sul tema della supremazia. Da brave scimmie nude quali siamomaschi e femmine – rispondiamo a un’etologia ancestrale: leadership è una parola che designa le mansioni di capobranco, ed è una parola e un ruolo di cui siamo infatuati. E infatuate. Forse è proprio il concetto feticcio di leadership che dovremmo revisionare e magari abbandonare, a favore di una condivisione di responsabilità, di compartecipazione alle decisioni, di complementarità tra generi. Perché sia gli uomini sia le donne nel corso dell’evoluzione umana hanno dato i loro contributi, senza necessariamente disputarsi la clava.

QUANDO LE DONNE AVEVANO LA CODA

Un film del 1970 diretto da Pasquale Festa Campanile. Con Giuliano Gemma e Senta Berger. Fantozzi lo definirebbe “una boiata pazzesca”.

Johnny Hart L’ANTICHISSIMO

MONDO DI B.C. Mondadori, a cura di Fruttero e Lucentini (varie edizioni). Fumetto “preistorico” dove spadroneggia Jane, una temibile virago con il randello in mano.

Marija Gimbutas IL LINGUAGGIO

DELLA DEA

Editore Venexia, 2008. Pietra miliare dell’archeomitologia, ha rivoluzionato le prospettive sulle origini della nostra cultura. L’autrice ricostruisce la civiltà dell’Europa antica valorizzando la presenza del femminile nella storia.

Jennifer Kerner, Thomas Cirotteau, ed Eric Pinkas LADY SAPIENS. COME LE DONNE INVENTARONO IL MONDO Piemme, 2022. Così come nel libro di Marylène Patou-Mathis, La preistoria è donna (Giunti Editore, 2021), si pongono le basi per una storia delle donne molto diversa, libera da stereotipi.

Eva Cantarella

L’AMBIGUO MALANNO. CONDIZIONE E IMMAGINE DELLA DONNA NELL’ANTICHITÀ GRECA E ROMANA Feltrinelli, 2010. Dove un’ottima antichista demolisce fantasiose tesi relative a un presunto matriarcato primitivo.

Agata Currà, Giuseppe Vettori e Rosalba Vinci

CANTI DELLA

PROTESTA FEMMINILE

Newton Compton Editori, 1977. Storico canzoniere femminista. Contributo musicale allo sviluppo di una nuova cultura “rivoluzionaria” che accompagna le donne nella lotta contro la subalternità. Molto anni 70.

Valerie Solanas MANIFESTO PER L’ELIMINAZIONE DEL MASCHIO (1967)

Ortica Editrice, 2010. “Il maschio è intrappolato in una zona d’ombra a metà strada tra l’essere umano e la scimmia”. Dunque alle donne responsabili e civili non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario e distruggere il sesso maschile.

sabato 11 febbraio 2023 7 Ticino7 COSTUME DI DUCCIO CANESTRINI
A differenza di ciò che accade nei fumetti sulla preistoria la donna non domina. Anzi.
INVITI ALLA LETTURA 7

Tutto quel che Dio ti dà è per il tuo bene

In un antico paese della Cina viveva un re che aveva scelto come consigliere personale un vecchio saggio. Questi però, nonostante i molti pregi, aveva anche un difetto: qualunque cosa succedesse, bella o brutta, ripeteva: “Quello che ti accade è un dono di Dio ed è per il tuo bene”. Al re questo andava comunque bene perché il saggio dava buoni consigli e ne ricavava grandi vantaggi.

Un giorno il re uscì dal castello con il suo consigliere, pioveva a dirotto, ma doveva recarsi dal barbiere e dopo aver raso la barba e tagliato i capelli, il ragazzo di bottega cominciò la manicure. Mentre stava tagliando l’unghia del mignolo vi fu un gran botto, il ragazzo dallo spavento fece un salto e trac, al re venne tagliata una falangetta.

Urla di dolore e una rabbia violenta sul malcapitato garzone: “Ti ordino la prigione, hai mutilato il tuo re”, ma il vecchio saggio, rimasto imperturbabile fino a quel momento, cominciò la sua tiritera: “Quello che ti accade è un dono di Dio ed è per il tuo bene”; il re al colmo della rabbia sbottò: “Basta, finiscila con le tue stupidate, ordino la prigione anche a te così potrai blaterare le tue lagne con gli altri detenuti”.

La mattina seguente, il re per smaltire tanta rabbia pensò di andare a caccia da solo in quanto il suo saggio consigliere era ormai dietro le sbarre.

Dopo aver camminato per qualche chilometro nel bosco venne catturato da alcuni devoti dei Kalinghi, felicissimi di aver trovato un’anima da sacrificare per la notte di luna piena. Nonostante le urla e le minacce il re non fu ascoltato, a loro non importavano né il rango, né il blasone, per loro era semplicemente un uomo da uccidere sull’altare sacro. Lo vestirono con la sacra veste, lo cosparsero del sacro unguento, ma poi si accorsero con orrore che alla vittima designata mancava un pezzettino di dito. Ma per essere sacrificato un corpo deve essere integro, per cui lo liberarono di nuovo nel bosco. Ancora frastornato, il sovrano si avviò verso il castello, e nel tragitto capì che il suo vecchio consigliere aveva avuto ragione, come al solito; grazie a quell’incidente dal barbiere, la sua vita era stata risparmiata; cosa importava un piccolo pezzetto di dito, se paragonato al rischio che aveva corso? Meglio vivo senza un dito che morto integro.

Raggiunto il castello andò subito a liberare il garzone e il suo saggio uomo e lo abbracciò: “Amico mio, perdonami, mi han rapito e mi stavano sacrificando, poi hanno visto che mi mancava un pezzo di dito e mi hanno lasciato andare: avevi ragione tu, ‘Quello che ti accade è un dono di Dio ed è per il tuo bene’. Ti chiedo ancora perdono, starai sempre al mio fianco, ma ora spiegami, ti ho sbattuto in prigione, umiliato e insultato, dove lo vedi il bene di Dio per te in tutto questo? “Vede maestà, se lei non m’avesse messo in prigione, io l’avrei accompagnata a caccia, come sempre, ed a me non manca alcun pezzo di dito…”.

Orizzontali

1. Un mago de’ Il signore degli anelli

8. Una linea in geometria 13. Recipiente per lubrificare 15. Un Re di Shakespeare 16. Bordo, estremità 17. Lo si dà con le orecchie 19. Scappati alla fine 20. Lo è il Ceneri 22. Arte latina 23. Nuovo Testamento 24. Ricca di alberi 26. Sulle targhe di un appenzellese 27. Lo è pure il fuco 29. Li sostituisce l’accendino 32. Un tipo di birra 34. Forte, coraggioso 36. Il figlio di Ulisse 39. Si promettono coi monti 41. Atipico, deviante 42. Località presso Visp 43. Davanti ad Angeles negli USA

44. Il nome dello sceneggiatore Castelli 46. Iniziali del regista Comencini 47. Una delle Parche 48. Preposizione semplice 49. Lungo tunnel presso l’Albula 50. Dopo così nella preghiera 51. Ha

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per simbolo chimico Cu 52. Uomo di Addis Abeba 54. Attrezzo da boscaiolo

55. Prefisso per fuori 56. Parlare, proferire 58. Priva di firma 60. Joe, successore di Trump 61. Ricchi di vello 62. Uomo di Pechino 63. Uno inglese 64. Metafora, simbolo

Verticali

2 BIGLIETTI PER JAZZ CAT CLUB, concerto di JUDITH OWEN & HER GENTLEMEN CALLERS del 27 febbraio Buonafortuna!

1. Alture tra Siria e Israele 2. Pinna del pesce 3. Capanna sopra Gordevio

4. Digital Audio Broadcasting 5. Un componente della materia 6. Articolo maschile 7. Ha scritto Tempo di marzo 9. Electric Light Orchestra

10. La imbratta il cattivo pittore

11. Monti tra Polonia e Slovacchia 12. Località del Malcantone 14. Strappato, carpito 18. Ha per simbolo chimico Cs

21. Oscuro a metà 24. Una torre a Lisbona 25. Bestie in genere 28. Da lì partì Colombo 30. Il figlio di Dedalo 31. La casa della mucca 33. Diffondere, promulgare 35. Ha per simbolo chimico Au 37. Il padre di Matusalemme 38. Un personaggio di Carroll 40. Grande nazione asiatica 42. Ottone, pittore (1895-1957) 45. Un numero tondo 47. Il lago di Ginevra 48. Due puntini sopra una vocale 49. Lo tira la locomotiva 50. Un tipo d’auto sportiva 51. Ernest, scrittore (1823-1892) 53. Una divinità nordica 54. Cittadina sul lago di Garda 55. Il nome del pittore Nolde (1867-1956) 57. Il figlio di Anchise 59. Isabella per gli amici 60. Grande… inglese 62. Simbolo chimico del cerio

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L’oro rosso dai mille colori

Ricetta

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Maschere, coriandoli, stelle filanti, Guggen… ed è subito Carnevale. Il periodo carnevalesco ticinese è iniziato e con esso le sue tradizioni gastronomiche. Tradizione vuole che il periodo che precede la Quaresima sia ricco di cibi confortevoli e goduriosi, e allora spazio a dolci come ravioli, frittelle, tortelli, bignè e a cibi ricchi come la cazoela o il risotto allo zafferano con la luganiga. Immancabile! Meglio ancora se preparato con riso e zafferano nostrani. Ebbene sì, in Ticino, più precisamente nei campi dei Terreni alla Maggia, viene prodotto il riso Loto, si tratta dell’unica risaia in Svizzera. Ma parliamo dello zafferano: anche questa coloratissima spezia viene coltivata in Ticino. La troviamo un po’ su tutto il territorio: Bellinzona, Curzùtt, Castel San Pietro sono alcune località dove piccoli produttori hanno deciso di coltivarlo. La lavorazione viene fatta totalmente a mano: di mattina presto vengono

raccolti i bellissimi fiori lilla ancora semichiusi, si passa poi alla sfioritura dove gli stimmi – i famosi fili rossi - vengono estratti con estrema delicatezza. Il passo successivo è l’essiccazione, fase importantissima per la buona riuscita del prodotto. La resa, commisurata al lavoro, è minima, basti pensare che per un risotto per quattro persone servono circa 0,10 gr di zafferano, ovvero 20 fiori! Lo zafferano oggi viene prevalentemente utilizzato in cucina: risotti, pasta, salse, biscotti, torte, gelato. Consigli per utilizzarlo al meglio? Scaldare gli stimmi avvolti in carta da forno per pochissimi secondi, sbriciolarli, farli sciogliere in un pochino d’acqua calda e lasciarli in infusione, versare lo zafferano nella pietanza solo all’ultimo momento di cottura, affinché esso sprigioni tutto il suo sapore e colore senza perderne le proprietà.

Gnocchi con salsa allo zafferano e luganiga

4 persone | 20 minuti | Difficoltà media

1 kg gnocchi freschi ticinesi

1 cucchiaio d’olio

2 luganighe

2,5 dl di panna qb zafferano ticinese qb prezzemolo qb pepe della Vallemaggia

Sbriciolare le luganighe private del budello e farle rosolare in padella con l’olio. Una volta rosolate aggiungere la panna e lasciare che si rapprenda. A cottura quasi ultimata aggiungere il prezzemolo tritato e lo zafferano. Cuocere gli gnocchi in abbondante acqua salata. Unire delicatamente gli gnocchi alla salsa e lasciare insaporire. Servire gli gnocchi con un pizzico di Pepe della Vallemaggia.

Itinerario

Il fiume Breggia scopre rocce che aprono una finestra unica sul passato della Terra. È la particolarità del Parco delle Gole della Breggia che ne fa uno dei geotopi più importanti a livello svizzero. Una visita al Parco permette di compiere un viaggio lungo 200 milioni di anni di storia geologica e 2’000 anni di storia dell’uomo.

→ L’itinerario prende avvio sul colle di Castel San Pietro, dove si trovano i resti del castello medievale e la Chiesa Rossa che conserva stupendi affreschi gotici. Lungo il sentiero, l’acqua sembra voler segnare una linea del tempo, scivola e scava i calcari selciferi, i sedimenti marini più antichi del Parco. Scendendo

verso sud, questi si arricchiscono di argilla e di fossili, cambiano colore e via via si fan più recenti.

Al termine della discesa, l’attenzione cade sull’imponente struttura dell’ex cementificio Saceba, testimonianza di un passato industriale che oggi può essere approfondito partecipando al Percorso del Cemento. Il sentiero prosegue fino a raggiungere il Mulino del Ghitello, uno degli opifici idraulici più completi e meglio conservati della Svizzera. Ospita il ristorante Corte del Vino Ticino, che promuove il vino ticinese nella cultura gastronomica locale. Luogo ideale per una meritata sosta!

Attività

Bike’n’wine, pedalando nel Mendrisiotto alla scoperta del vino

Su prenotazione

Visita al Percorso del Cemento Su prenotazione

Macinatura Didattica, Mulino del Ghitello Su prenotazione

Swiss Wine Tour

Esperienze enoturistiche Prenotabili online tutto l’anno

Processioni della Settimana Santa di Mendrisio Dal 6 al 7 aprile

Cantine Aperte, Sottoceneri Dal 27 al 28 maggio

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sabato 11 febbraio 2023 10 Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE

Sanremo a prescindere

Questo è un articolo su Sanremo che potrebbe prescindere dalla visione di quello che è accaduto nell’attuale edizione. È un articolo su Sanremo (anzi: l’annuale articolo su Sanremo) che tradizionalmente pubblico sulle testate che mi ospitano. Anni fa, da una redazione ai confini di Massagno e su un giornale oggi ingiustamente sparito, scrivevo sul Festival tra lo sdegno dei giornalisti culturali, increduli che si potesse dedicare un’intera pagina a un evento del genere. Nel marzo 2020, di fronte alla pandemia e alle scuole chiuse e alle mascherine e all’isolamento, le mie figlie alzavano gli occhi al cielo sospirando per lo scampato pericolo: “Per fortuna tutto questo è avvenuto dopo Sanremo!”. Sanremo è, in casa nostra, uno dei pochissimi appuntamenti fissi, che sfugge alle logiche dell’on demand e dello streaming.

Oggi, mentre leggete queste righe e il Festival sta finendo, noi abbiamo ancora in casa il numero di TV Sorrisi e Canzoni più venduto dell’anno: quello con la foto di gruppo dei cantanti in copertina, con le interviste a ciascuno, i testi delle canzoni, gli aneddoti, le curiosità. Lo conserveremo per qualche mese. Continuiamo a leggerlo e sfogliarlo, come per prolungare quella

settimana di magica follia. Scopriremo poi chi ha vinto e chi ha perso, ma soprattutto chi passerà ogni giorno in radio e scalerà le classifiche e chi, tra presentatori e accompagnatori, è riuscito a bucare lo schermo, a farci divertire. A uscirne indenne oppure addirittura fortificato.

Intanto, oggi sappiamo già chi è in grado non solo di sopravvivere, ma di dominare quel tritacarne che è la televisione. Oggi sappiamo che neppure il Festival sfugge al ricatto dei social e al loro universo autoreferenziale e commerciale. Oggi sappiamo che la smania dell’autostima e l’imperativo di credere in sé stessi e nelle proprie possibilità sono padroni assoluti anche sul palco dell’Ariston. La lettera a sé stessa di Chiara Ferragni, quel mega selfie in diretta tv ascoltato da milioni di persone, non è altro che il più recente capitolo di un superficiale e compatto pensiero che, in ogni dove, ci invita a non dubitare mai delle nostre possibilità. Sia nella pubblicità di un profumo, in quella di una crema, in un albero di Natale piazzato di fronte al Duomo di Milano. Dobbiamo credere in noi stessi. È la cosa più importante. È ciò che serve a venderci meglio ogni cosa.

ALTRI SCHERMI

LOTTA PER UNO SCRANNO

Torino, fine 1800. Una sentenza della Corte d’Appello di Torino dichiara illegittima l’iscrizione di Lidia Poët all’albo degli avvocati, impedendole così di esercitare la professione solamente perché donna. Senza un quattrino ma piena di orgoglio, Lidia trova un lavoro presso lo studio legale del fratello Enrico, mentre prepara il ricorso per ribaltare le conclusioni della Corte. Attraverso uno sguardo che va oltre il suo tempo, Lidia assiste gli indagati ricercando la verità dietro le apparenze e i pregiudizi.

TORINO OTTOCENTESCA

La serie, sei episodi da mercoledì 15 febbraio su Netflix, rilegge in chiave procedurale la storia vera di Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia. Lidia, interpretata da Matilda De Angelis, viene aiutata dal cognato Jacopo, giornalista, che le passa informazioni e la guida nei mondi nascosti di una Torino magniloquente. La vecchia capitale sabauda viene rappresentata in tutto il suo splendore: da Palazzo Carignano a Piazza San Carlo, passando per il Parco del Valentino e la Basilica di Superga.

LA STORIA VERA

SOPRA LA PANCA

Nel corso di un anno solare il tempo non va sempre alla stessa velocità. Ci sono periodi in cui accelera: stiamo contemplando le sfumature delle foglie autunnali e, un attimo dopo, è già Natale. In altri periodi invece anche il tempo deve rifiatare, prima di rimettersi a correre. In genere tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio c’è una pausa, prima del Carnevale, della Quaresima e della Pasqua. A volte ho l’impressione che l’aria sia più vischiosa e che anche i gesti banali costino più fatica. Tutto è pesante – l’atmosfera, l’anima, le idee che non si sollevano – come se il cuore s’irrigidisse. Allora tento una cura omeopatica: durezza per durezza, passo da Cresciano e guardo le cave di granito scavate nella montagna. Poi raggiungo la piazza e mi siedo su una panchina di granito, sotto un affresco murale che mostra i lavoratori delle cave. Gli angoli lisci e squadrati della pietra entrano in contatto con la durezza dei miei pensieri e, in una strana reazione chimica, mi regalano un momento di pace. La piazza è tranquilla, c’è un filo di vento, fra un attimo sarà primavera.

IN PIÈZA

Ideale per… sciogliere la durezza.

ticino7

Nata nel 1855, si laureò nel giugno 1881 in giurisprudenza a Torino. Superò quindi l’esame dell’Ordine degli Avvocati e, con 45 voti su 50, fu iscritta all’albo.

Tuttavia, l’iscrizione di una donna “non piacque” all’ufficio del procuratore generale, che presentò ricorso alla Corte d’Appello sostenendo che alle donne era vietato dalla legge entrare nella milizia togata. Solo nel 1919 le donne furono autorizzate a ricoprire cariche in alcuni uffici pubblici. Un anno dopo, all’età di 65 anni, Poët fu finalmente iscritta al ruolo di avvocato.

E IN SVIZZERA?

Emilie Kempin-Spyri, nata nel 1853 ad Altstetten (Zurigo) è stata la prima donna in Svizzera a laurearsi in giurisprudenza. Nipote della ben più famosa Johanna Spyri, l’autrice di Heidi, la sua vita è stata una continua lotta per rivendicare il suo diritto alla professione. Una battaglia che logorò i suoi nervi tanto da finire nel 1899 in una clinica psichiatrica dove due anni dopo, a 48 anni, trovò la morte. Intanto, nel 1898, Anna Mackenroth diventava la prima donna svizzera autorizzata a esercitare la professione di avvocato.

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Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia DI ALBA REGUZZI FUOG
La legge di Lidia Poët La prima avvocata
TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI

Torna il Jazz di Rete Due con una nuova guida

Incontro con Lorenzo De Finti, che raccoglie il testimone da Paolo Keller

Riparte a marzo la stagione di concerti Tra Jazz e Nuove Musiche, prodotta da Rete Due con i consueti appuntamenti di alto spessore musicale che coinvolgono leggende del jazz ma anche artiste e artisti emergenti già consolidati a livello europeo e mondiale.

Ci sarà anche una grossa novità: dopo tanti anni, Paolo Keller lascia la direzione artistica e di produzione radiofonica della rassegna a Lorenzo De Finti, apprezzato pianista jazz e giornalista musicale.

Lorenzo, a te spetta il compito di proseguire l’impegno di Paolo Keller nella proposta jazz di Rete Due. Ti va di dire alcune parole sul suo prezioso lavoro in questi anni?

Paolo, che va in pensione, ha svolto un lavoro difficilmente quantificabile nella sua enormità: grazie al suo impegno, i nomi più grandi del jazz mondiale sono passati dalla Svizzera italiana, terra da sempre ricca di grande passione per questo genere. Lo testimoniano le numerose realtà locali sparse sul nostro territorio che, con grandi sforzi, volontariato e risorse economiche faticosamente conquistate, da sempre promuovono concerti, festival e rassegne dedicate al jazz, anche favorendo gli spunti di artisti ticinesi.

L’altro grande merito di Paolo è stato proprio l’aver coinvolto queste realtà nelle produzioni jazz di Rete Due, aiutando a portare strutture come il Jazz in Bess di Lugano, il Jazz Cat Club di Ascona, l’associazione Musibiasca, il Teatro di Chiasso e moltissime altre ad acquisire notorietà nel panorama internazionale.

Quindi un’eredità importante...

Esatto, devo molto a Paolo Keller, sia come musicista che come giornalista radiofonico e mi impegnerò a valorizzare ulteriormente ciò che lui ha costruito in tanti anni di paziente lavoro.

Che progetti hai per il jazz su Rete Due?

In particolare, cercherò di coinvolgere il più possibile un pubblico più giovane, anche di giovani musiciste e musicisti, che da noi, data la quantità e la qualità delle scuole di musica, certamente non mancano: questo cercando nel vastissimo numero di artiste e artisti di alto livello presenti sulla scena che propongono, o perlomeno tentano di farlo, un rinnovamento del linguaggio jazzistico, ormai sempre più “largo” nei suoi confini, ammesso che esistano. Tutto ciò anche prendendosi qualche rischio “calcolato”…

A tal proposito, cosa ci riserva la programmazione futura?

Dal 9 all’11 marzo entreremo nella magica atmosfera del Festival di Cultura e Musica Jazz di Chiasso dove avremo modo di ascoltare un gruppo svizzero che si sta facendo apprezzare in tutto il mondo con sonorità modernissime e coinvolgenti, gli Ikarus, per poi virare sul leggendario bassista Dave Holland con il suo trio, complici i compagni di lungo corso Kevin Eubanks ed Eric Harland

Lo Studio 2 ospiterà il 17 marzo la pianista Kirke Karja, giovanissima rivelazione del jazz europeo, proveniente da un paese piccolissimo, ma incredibilmente ricco di musica, l’Estonia.

Sempre nei nostri studi, il 25 maggio sarà la volta del pianista marchigiano Emiliano D’Auria, che con il suo quartetto ospiterà il trombettista Luca Aquino, da anni sulla scena internazionale con i suoi progetti sempre originali e la sua voce inconfondibile.

La stagione terminerà con un concerto alla Chiesa Evangelica Riformata di Lugano, protagonista il sassofonista e compositore svedese Mikael Godèe, accompagnato dal quartetto d’archi MalvaKvartetten, protagonisti di un mix di sonorità che sorprenderà per la capacità di trasmissione emotiva dei protagonisti.

Tutti i concerti saranno trasmessi in diretta su Rete Due, alcuni anche in video streaming: l’invito naturalmente è quello di partecipare a questi eventi arricchendo così il quadro con un colore decisivo: il pubblico, elemento fondamentale di ogni performance.

Chicche e delizie dal territorio e dagli Archivi RSI

Il libro Pancia mia fatti capanna e tanti video per (ri)scoprire luoghi e sapori di ieri e di oggi

Un mulino, una gelateria storica, l’acqua che sgorga dai nostri rubinetti, pasti e ricette delle nostre nonne e dei nostri nonni sulle nostre tavole, una capanna e altro ancora. Il nostro territorio è piccolo ma pieno di sorprese.

Sono chicche e delizie che emergono dalle preziose memorie degli Archivi RSI ma anche dalle ricerche più contemporanee raccolte e descritte nel libro Pancia mia fatti capanna

La serata promossa dalla SSR Svizzera italiana CORSI, vi farà viaggiare tra presente e passato alla scoperta del territorio della Svizzera italiana.

Insieme al presentatore della RSI Fabrizio

Casati, sul palco ci saranno Tom Alemanno e Luca Crivelli, autori del libro, e Federico Jolli e Bruno Bergomi, già registi RSI, che hanno selezionato i filmati d’archivio.

Potete leggere le interviste dei quattro ospiti di questa serata evento sul sito ssr-corsi.ch, dove è possibile iscriversi.

L’evento è aperto a tutte e a tutti.

Per motivi organizzativi è gradita l’iscrizione

sabato 11 febbraio 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 12.2 al 18.2 12 IN PRIMO PIANO
Lunedì 13 febbraio alle 18.00, Studio 2 RSI, Lugano-Besso Nella foto, da sinistra a destra: Federico Jolli, Bruno Bergomi, Tom Alemanno, Luca Crivelli Serata SSR Svizzera italiana CORSI

da abbattere? Animali

Dieci anni fa la vicenda dell’orso M13 che ora torna con un documentario in prima TV

Sono sempre più vicini alle nostre case e ai nostri affetti. In certi paesi di montagna, cervi e volpi si vedono passeggiare tra le abitazioni, quasi non ci temessero più.

I cinghiali mettono a soqquadro i campi agricoli e branchi di lupi aggrediscono greggi di pecore.

Che fare con questi animali, abbatterli o conviverci?

Un dilemma che si era presentato con forza all’opinione pubblica giusto dieci anni fa con una sigla diventata famosa.

Il 12 febbraio 2013, M13, il nome in codice dell’orso che aveva “osato” avvicinarsi troppo alle abitazioni, fu abbattuto in val Poschiavo, sollevando ampie discussioni, dibattiti accesi e creando profonde divisioni tra la popolazione.

La sua vicinanza, che non aveva provocato feriti ma causato danni materiali, aveva messo a dura prova la comunità della valle.

I fatti vennero riportati dai mass media a livello nazionale e internazionale: M13 era diventato, suo malgrado, il simbolo dell’abisso esistente tra gli esseri umani e gli altri animali allo stato selvaggio e della difficile, quando non impossibile, convivenza.

Con il documentario L’Ors, il regista Alessandro Abba Legnazzi ricostruisce gli avvenimenti di quei giorni fino all’abbattimento dell’orso. Intrecciando le vicende di cinque persone, che interpretano loro stessi e ricordano la loro esperienza diretta, e propone una ricostruzione corale, quella di una valle confrontata con la

fragilità e la nudità dell’uomo, fatte di paure e forti emozioni, di fronte a un evento straordinario. Ancora oggi il dibattito prosegue: qual è il miglior modo per l’uomo di rapportarsi alla natura?

Il documentario è una coproduzione RSI­RTR con Fiumi Film, di Promontogno/Samedan.

Le novità su Play Suisse

Dopo aver riscaldato i motori con la coinvolgente e rivelatrice serie documentario La Confraternita – I misteri del Tempio Solare, il mese di febbraio preannuncia molte altre novità.

Si parte subito col botto grazie al tanto atteso ritorno della serie SRF Neumatt che racconta la lotta di una famiglia per la sopravvivenza della propria fattoria. In contemporanea alla diffusione dei primi due episodi su SRF 1, è disponibile su Play Suisse l’intera seconda stagione in versione originale, sottotitolata o doppiata in italiano e dal 19 marzo anche su LA 2 con una doppia puntata settimanale. Da giovedì 23 febbraio saranno di scena tutte le emozionanti tappe nel Grigione italiano de In cammino tra i ghiacciai, prodotto dalla RSI e teletrasmesso lo scorso dicembre, mentre da giovedì 23 marzo continueranno gli avvincenti viaggi nel tempo alla scoperta della Svizzera italiana con La storia infinita

Tra le altre uscite di questi giorni figurano Angry Monk, Follia criminale e Mio fratello, amore mio

Come va?

Martedì 14 febbraio alle 21.10 su LA 1

Come va con il cuore?

Ogni giorno nella Svizzera italiana due persone hanno un infarto: come non sottovalutare i primi campanelli d’allarme?

Come intervenire tempestivamente e soprattutto come prevenire un infarto?

Affronteremo pure il tema dello stress e le conseguenze sul nostro cuore.

Sarà un puntata speciale anche perché, a un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, conosceremo Olga, una donna che ora vive Svizzerari grazie a un progetto nazionale di accoglienza di civili malati e feriti.

Sette edizioni, in diretta, e in prima serata, da martedì 10 gennaio a martedì 21 febbraio: cosa fare per stare bene e per sentirsi in forma? Come affrontare le malattie che, inevitabilmente, si presentano nel corso della vita? Il programma a cura di Nick Mottis, con la conduzione di Michèle Volontè e la regia di Chris Guidotti, affronta temi nuovi e attuali della salute e della medicina. Un viaggio approfondito all’interno del nostro corpo umano con al centro il vissuto dei pazienti che con grande generosità si raccontano alle nostre telecamere.

Il Mondiale torna in TV

Martedì 24 gennaio si è svolta a Besso la serata evento dedicata al Mondiale di calcio, dove voci e volti della RSI ­ Debora Carpani, Nicolò Casolini, Paolo Laurenti, Andrea Mangia e Giacomo Moccetti ­ hanno raccontato al pubblico dello Studio 2 i retroscena, gli aneddoti, le curiosità e le avventure personali durante Qatar 2022, tra situazioni esilaranti e momenti più difficili.

Nonostante la collocazione invernale, il paese ospitante privo di tradizioni calcistiche e gli scandali e le polemiche politiche che l’hanno accompagnata soprattutto nella sua fase iniziale, questa edizione sarà ricordata per una lunga serie di partite cariche di emozioni tanto da incollare migliaia e migliaia di spettatrici e spettatori davanti allo schermo, fino all’indimenticabile finalissima Argentina e Francia commentata da Armando Ceroni e Toni Esposito

L’incontro, presentato da Lorenzo Buccella, si ripresenta in una versione speciale curata per la TV che vi consentirà di riavvolgere in modo inedito il film di questi ultimi mondiali.

Mercoledì 15 febbraio alle 21.05 su LA 2

sabato 11 febbraio 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 12.2 al 18.2 13
IN PRIMO PIANO
Le pubblicazioni del mese sulla piattaforma streaming della SSR Il Buono, il Brutto e il Qatar approda su LA 2
playsuisse.ch
L’Ors Domenica 12 febbraio alle 23.00 in prima TV su LA 2

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