Ticino 7 N05

Page 1

Sarà perché ti amo

ticino7

Amore amore, amore un Festival

Nel 1985, Daniele Pace morì a cinquant’anni per infarto, dopo avere consegnato al Festival della Canzone italiana alcuni dei testi più belli e redditizi in termini di diritti d’autore. Cose come “La pioggia”, “Nessuno mi può giudicare”. E “Sarà perché ti amo”, cantata in tutto il mondo. Dietro zuccherose rime come “E vola vola si sa”, o “Se cade il mondo allora ci spostiamo”, Daniele Pace era uomo che fece della volgarità un’esperienza mistica. Da solo – nel disco di culto ‘Vitamina C’ – e all’interno degli Squallor, fondati insieme ad Alfredo Cerruti, Giancarlo Bigazzi, Totò Savio ed Elio Gariboldi, di giorno il gotha del pop italiano (autoriale e

di produzione artistica), di notte la parolaccia fatta arte. Nessuno degli Squallor è più in vita. L’ultimo ad andarsene è stato Cerruti, le cui parole al Fatto Quotidiano, le poche rilasciate in vita alla stampa, spiegano tutto: “Avevamo a che fare con i cantanti e i cantanti, non so se lei lo sa, sono degli scassac**** senza eguali. Egotici, arroganti, autoreferenziali (…) Gente micidiale. Usciti dai nostri incontri quotidiani con le stelle della musica, eravamo neri come la notte. Allora pensammo di donarci un po’ di luce. Parodiammo il nostro universo e in quel modo ci salvammo l’anima”.

sabato 4 febbraio 2023 1 Ticino7 numero 5 DI BEPPE DONADIO

L’amore

ai tempi delle neuroscienze

Che cos’è l’amore, in che cosa consiste?

La prima immagine che mi viene in mente a fronte di cotanto interrogativo è, forse per assonanza (mi si conceda la scappatoia), la coppietta protagonista delle vignette

“L’amore è...”: quelle con i tre canonici puntini di sospensione. Ve li ricordate? All’inizio degli anni 80 imperversavano su giornalini, biglietti d’auguri, t-shirt e gadget di ogni tipo.

Ciascuna vignetta raffigurava una situazione che vedeva i due innamorati in funzione esemplificativa rispetto al contenuto della frase: per esempio, “L’amore è...” - lei che fa crollare una pila di piatti sul pavimento e lui che la guarda indulgente“... non dire: Te l’avevo detto”. Nel complesso, li trovavo carini, sebbene il fatto che fossero nudi (ancorché rigorosamente asessuati) mi mettesse lievemente a disagio. A guardarle retrospettivamente, le vignette di Kim Groves – sembra che l’autrice neozelandese avesse iniziato a disegnarle per conquistare il futuro marito; nel periodo di massima diffusione, guadagnava fra i cinque e i sei milioni di dollari l’anno: quando si dice che l’amore porta fortuna! – appaiono frivole e un po’ stereotipate, sia per l’impostazione tradizionale e poco... inclusiva che per la versione tenera ma edulcorata del sentimento in questione. Di cosa si trattasse davvero avrei cominciato a capirlo solo una decina d’anni più tardi...

L’intenso amore romantico Da questa breve premessa, s’intuisce facilmente come io non sia per nulla in grado di dire che cos’è l’amore. Posso però abbozzare qualcosa su come funziona: le neuroscienze hanno compiuto progressi anche in questo ambito e ciò che hanno scoperto è interessante, anche se lascia irrisolta la questione principale. Partiamo dal dato che “l’intenso amore romantico è un universale interculturale. In uno studio condotto su 166 società diverse, Jankowiak & Fischer (1992) hanno trovato evidenza di amore romantico in 147 casi [nei restanti 19, gli antropologi avevano sbagliato il modo di porre le domande, sic]. Inoltre, l’amore romantico è associato a specifiche condotte fisiologiche, psicologiche e comportamentali […] compresi un aumento percepito dell’energia disponibile, attenzione focalizzata, tendenza a seguire l’oggetto d’amore, gesti di tipo affiliativo, difesa possessiva del partner, motivazione e comportamenti volti a conquistare il partner di propria scelta” (Fisher, Aron & Brown. Romantic love: a mammalian brain system for mate choice. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, 2006).

‘Sistema di attrazione’ Mammiferi e uccelli esprimono regolarmente un’inclinazione preferenziale per uno specifico partner e scelgono attivamente con chi stare. I dati disponibili indicano che questo “sistema di attrazione” è associato (a livello cerebrale) all’attivazione dei circuiti dopaminergici della ricompensa, e la ricerca con soggetti umani ha evidenziato risultati simili. Per esempio, in uno studio preliminare condotto nel 2016 è stato chiesto ad alcune persone, che si dichiaravano “profondamente innamorate”, di osservare per trenta secondi la foto del partner mentre il loro cervello veniva scansionato con la risonanza magnetica funzionale. Diverse aree si sono “accese” in maniera selettiva, fra cui quella tegmentale ventrale (Ventral Tegmental Area, VTA) destra: un gruppo di neuroni implicati nel sistema della ricompensa; quello che genera il senso di gratificazione e che, come tale, svolge un ruolo importante in termini di piacere, apprendimento, attivazione psicofisica generalizzata, focalizzazione dell’attenzione, motivazione a perseguire gli obiettivi e a conseguire risultati. Per queste stesse caratteristiche, la VTA è anche direttamente implicata nella dipendenza da sostanze (tossicodipendenza) e da condotte (addiction).

sabato 4 febbraio 2023 2 Ticino7
L’APPROFONDIMENTO DI MARIELLA DAL FARRA
“Mammiferi e uccelli esprimono un’inclinazione preferenziale per uno specifico partner e scelgono attivamente con chi stare”

Tossicodipendenza

In altri termini, “gli individui che si trovano felicemente nelle prime fasi dell’amore passionale esprimono attivazione nelle stesse regioni neurali che sono associate all’uso di droghe o allo sviluppo di condotte compulsive” (Fisher, Xu, Aron & Brown. Intense, passionate, romantic love: a natural addiction? How the fields that investigate romance and substance abuse can inform each other. Frontiers in psychology, 2016). Coerentemente, sul piano della condotta, gli innamorati manifesterebbero tratti analoghi a quelli delle persone con tossicodipendenza o addiction: “Per le persone innamorate, l’oggetto d’amore assume una pregnanza del tutto particolare (“salienza dello stimolo”); quando non è presente, ne soffrono acutamente la mancanza (“craving”). La vista o anche solo il pensiero dell’amato/a ha su di loro un effetto inebriante (“euforia/intossicazione”). Mano a mano che la relazione prosegue, l’innamorato/a cerca sempre più spesso l’interazione con l’amato/a (“aumento della tolleranza”). Se l’amato/a rompe la relazione, l’innamorato/a sperimenta sintomi d’astinenza proprio come chi dismetta una droga, che si manifestano con proteste, lamenti, letargia, ansia, insonnia o ipersonnia, perdita d’appetito o binge-eating, irritabilità e tendenza all’isolamento” (Ibidem). Inoltre, “come molte persone affette da tossicodipendenza o addiction, gli innamorati respinti tendono a estremizzare, arrivando a compiere azioni degradanti o fisicamente pericolose per riconquistare l’amore perduto” (Ibidem).

romantico (ii), si è sviluppata allo scopo di convogliare l’energia motivazionale su uno specifico partner, risparmiando il tempo e l’energia richiesti da corteggiamenti multipli” (Fisher, Aron & Brown, 2006). Insomma, l’amore sarebbe un modo per ottimizzare! Per fortuna c’è la terza componente a nobilitare la faccenda: “Lo stabilire un legame duraturo con l’individuo prescelto è sotteso dal sistema motivazionale dell’attaccamento (iii), che consente alle coppie di restare insieme per svolgere con successo i compiti genitoriali specie-specifici” (Ibidem). Questi tre sistemi motivazionali sono correlati a circuiti neurali distinti e non sovrapponibili fra loro, che interagiscono reciprocamente attraverso ormoni e monoammine per orchestrare la riproduzione e, più in generale, consentire quella progettualità che nelle sue diverse espressioni caratterizza la vita di coppia. Il drive dell’attrazione selettiva rappresenta quindi “l’hardware” sotteso a quell’infinito florilegio di poesia, musica, letteratura, filosofia e, talvolta, criminose intenzioni che definiamo “amore”. Come le canzoni ci spiegano da sempre, è un sentimento intenso, tanto da generare una forma di naturale “dipendenza”: un “normale stato alterato” che però, a differenza delle tossicodipendenze e delle addiction, tende a interessare indistintamente tutti gli esseri umani (Frascella et al. Shared brain vulnerabilities open the way for nonsubstance addictions: caving addiction at a new joint? Ann. N. Y. Acad. Sci. 2010).

deriva, correlati alla produzione di ossitocina, controbilanciano il senso di perdita. Si raccomanda inoltre, per mantenere un adeguato livello di dopamina, di svolgere attività fisiche e intellettuali (hobby, sport, esperienze estetiche o spirituali) che coinvolgano, stimolino, divertano, incuriosiscano e, auspicabilmente... distraggano.

Tre sistemi

Molto bene, dunque è solo questo? Un’attivazione selettiva della VTA che accende le parti ricche di dopamina dei gangli basali, innescando il drive (“sistema motivazionale”) del desiderio e della ricompensa? Ebbene, non è poco, visto l’effetto che produce... ma perché un circuito così potente è stato messo al servizio dell’attrazione selettiva? In realtà, i drive coinvolti nella formazione di una coppia sarebbero almeno tre: “Se la pulsione sessuale (i) si è evoluta per motivare gli individui ad accompagnarsi con una gamma di potenziali partner, l’attrazione preferenziale e talvolta esclusiva, ovvero l’amore

Disintossicazione

In caso di cuore spezzato, gli specialisti suggeriscono pertanto di adottare gli stessi accorgimenti usati in altri tipi di “disintossicazione”. In primo luogo, è opportuno fare sparire tutti gli oggetti associati o associabili all’amato/a (tipo biglietti, lettere, canzoni, foto, souvenir) nonché evitare accuratamente d’incontrarlo/a: questi contatti esacerbano la sensazione di craving e riattivano il circuito della ricompensa, interferendo con il processo di guarigione. Secondariamente, sarebbe utile dedicarsi ad attività che favoriscono l’espansione del sé (da non confondere con “l’io”, altrimenti si favorisce unicamente l’ipertrofia dell’ego) come il rapportarsi con un amico, o più amici, o magari un gruppo di mutuo-auto-aiuto, poiché il rispecchiamento reciproco e il senso di appartenenza che ne

La “chimica” dell’amore

Se il sistema motivazionale dell’attrazione selettiva, alias l’innamoramento, “viaggia” principalmente a dopamina (il neurotrasmettitore che tende a rendere le cose interessanti in generale), il drive sessuale è alimentato dagli androgeni, testosterone in primis: questi ormoni, secreti dalle ghiandole surrenali, sono responsabili, tanto negli uomini quanto nelle donne, della pulsione sessuale, ma entrano in gioco anche quando svolgiamo attività competitive, o di tipo performativo. La seduzione, eventualmente coronata da conquista, dell’oggetto d’amore è una condotta innescata dal drive dell’attrazione selettiva, ma determina un aumento della produzione di androgeni che attiva il circuito motivazionale sessuale. Per questo motivo, “con la persona giusta, più fai sesso e più ne vorresti fare - e più sei motivato/a a procacciartene.”

L’amore ai tempi della Bibbia

(certe cose non cambiano mai...)

Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella fra le donne? […]

Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille.

Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli grappoli di palma […] Dolcezza è il suo palato; egli è tutto delizie! Questo è il mio diletto, questo è il mio amico, o figlie di Gerusalemme.

Cantico dei Cantici 5 - 9; 6 – 10,11,16.

(Jeremy A. Smith. How love grows in your body. Greater Good, 07.02.13).

A tale proposito, sarà anche il caso di menzionare il fatto che l’esperienza dell’orgasmo attiva non meno di trenta aree cerebrali contemporaneamente, fra cui quelle coinvolte nel tatto, nell’immaginazione, nella memoria e nella ricompensa. Lo ha dimostrato la giornalista scientifica Kayt Sukel, che nel 2011 ha sperimentato un orgasmo mentre il suo cervello veniva scansionato con la risonanza magnetica funzionale presso la Rutgers University di Newark (ehi, anche questa è scienza!). “Il climax percorre l’encefalo come un incendio, illuminando la corteccia prefrontale e quella cingolata anteriore, mentre l’attività della corteccia orbitofrontale sinistra, coinvolta nei processi decisionali, si smorza.” (Ibidem). Se a questo si aggiunge che durante l’orgasmo il sistema nervoso rilascia serotonina e oppioidi (gli stessi, per intenderci, presenti nell’eroina), si capisce perché “il tempo dell’amore” non sia mai un buon momento per fare scelte importanti...

sabato 4 febbraio 2023 3 Ticino7
“Se l’amato/a rompe la relazione, l’innamorato/a sperimenta sintomi d’astinenza”
“È opportuno fare sparire tutti gli oggetti associati o associabili all’amato/a (tipo biglietti, lettere...)”
DA ‘LOVE ACTUALLY’, 2003

BARCELLONA

La statua di Colombo di Barcellona ha un sosia, anzi aveva, lungo la Rambla. Aveva cominciato per suggerimento di una guardia urbana: “Perché non fai la statua di Colombo?”. Consiglio accolto e dieci anni di lavoro. Poi arriva la pandemia, occupata all’inizio a rifarsi il vestito. E al rientro dalla pandemia, però, il pensionamento. Cristoforo Colombo prendeva il treno a Gavà, la mattina, poi metrò fino alla Ciutat Vella. Si piazzava nel tratto finale con le altre statue a cui furono interdetti, dalla pandemia in qua, gli altri tratti della passeggiata più famosa della città. Appena la moneta era fatta cadere, racconta – una piccola banconota in caso di abbienti russi – il Colombo di Gavà alzava il braccio a indicare le Americhe o il mare.

Arriva un giorno in cui alcune città di mare crescendo se ne allontanano. Come se non ci fosse più. Fino alla metà del secolo scorso, il mare di Barcellona apparteneva alle famiglie dei marinai che lo vedevano dalle finestre o ci arrivavano svoltando due strade. Alle navi che portavano materiale e merci per la città. Poi i quartieri sono “riqualificati” – la Barceloneta cerca di resistere come può – il porto mercantile si ridimensiona, cresce a dismisura quello turistico. E i cittadini hanno due o tre ragioni in più per sentire le spiagge lontane. D’estate vanno più su, oltre Blanes, o più giù (la direzione di Gavà): Castelldefells, Sitges, verso Tarragona. O restano a Barcellona, nelle parti lasciate dai turisti, che sono tante.

Forze

Barcellona si rigenera come ogni città vitale. Perfino Venezia non muore, trova forze dentro di sé, che fuori non si vedono e forse nemmeno dentro, e continua a vivere. Si completa la costruzione della linea 9 della metro che sarà una delle più lunghe d’Europa. Ha 24 stazioni attive ma ne avrà 51, per 47 chilometri di percorso. Sfiorerà il centro della città ma perlopiù unirà il sud-ovest al nord e al nord-est. Ma a Barcellona si può ancora camminare. Nei quartieri di Sants e di Gràcia, di Les Corts e Sant Antoni, di Poble Nou, cammini muovendoti non in un troncone di quartiere ma come in una Barcellona ridotta, con piazze, viali e stradine, un mercato dalla struttura ottocentesca, una biblioteca che ti richiama dai suoi muri trasparenti, un municipio che non è un piccolo palazzo grigio, ma il municipio di Gràcia, poniamo, quando era un comune autonomo (fino al 1897). Che l’unità di misura dell’essere umano sia il passo, dunque, puoi verificarlo anche in una città di quasi 2 milioni di abitanti se si chiama Barcellona. La quale resiste - agli insulti del governo di Madrid, alle ondate crescenti di turisti che quadruplicano gli affitti del centro e sfrattano gli abitantiperché ha un’anima popolare, concreta, ironica. Tre aggettivi che si possono aggiungere a quelli fatti da Pola Oloixarac nel numero che ‘The Passenger’ dedica alla città catalana: “Altera, elegante, guardinga”.

Cuore

Il suo nucleo antico, i quartieri ai lati della Rambla, il Barri Gòtic e il Raval, formavano una specie di cuore spaccato appunto dalla Rambla. Immagine sentimentale ma reale. Poi si rompono le mura, si toccano le comunità limitrofe, a metà Ottocento, in qualche caso con le armi. Un grande progetto urbanistico, pochi anni dopo, colma lo spazio intermedio con un tessuto lineare riguardo alle vie, quadrangolare per palazzi e corti e nasce la Barcellona moderna. Il progetto, e il grande quartiere che ne risulta, si chiama ‘Eixample’ in catalano, ‘Ensanche’ in spagnolo: allargamento. Una mattina di dieci anni fa, se mi è permesso un ricordo personale, cerco un tavolo alla biblioteca Nacional de Catalunya e ne trovo uno su cui qualcuno ha dimenticato le mappe dei vari progetti presentati per l’allargamento deciso; sembravano tutte uguali ma ha vinto la proposta di Ildefonso Cerdà, perché non erano tutti uguali. Il piano di Cerdà ideava per i quattro angoli di ogni isolato una “smussatura”, sulla carta, che nella realtà diventava una piazza.

Reportage

In uno dei numeri più recenti di “The Passenger”, la rivista-libro pubblicata da Iperborea, guida extravagante di città e Paesi (Olanda e Svizzera, finora, Giappone, Portogallo, California tra i Paesi, tra le città Berlino, Parigi, Roma), i lettori possono sfogliare la Barcellona di questi anni con qualcuna delle passate: come evolve l’Eixample (unendo gli isolati in super-isolati, rendendo la vita difficile alle auto, facile agli alberi e ai pedoni); la nascita del distretto tecnologico 22@ che era il futuro nel 2000 quando fu ideato, un po’ meno, pare, vent’anni dopo; la vita travagliata del Raval; l’impatto dei grandi eventi musicali; il mare e la sua relazione con la città visti correndo sui pattini. Reportage che gettano sui luoghi sguardi laterali, dall’alto, dal basso, obliqui, mossi nella grafica e illustrati come si addice a una rivista anche se pare libro. E covati, dal centro del volume – in corpo maggiore – da due testi di Enrique Vila-Matas dal taglio... ma da una certa altezza in su non si parla più di tagli. Sette pagine in tutto alla Vila-Matas, che fanno l’attrazione maggiore della rivista.

sabato 4 febbraio 2023 4 Ticino7
METROPOLIS DI MARCO STRACQUADAINI
‘EIXAMPLE’ PARC GÜELL SKYLINE CON LA SAGRADA FAMILIA PALAZZO DEL PORTO

Maestro Cesare

Cesare fa il cacciatore. E il maestro. Non gli piace urlare. Prende solo la carne che gli serve. Se la sua famiglia mangia due cervi, lui prende due cervi. Preserva il suo bosco e si rigenera nel silenzio. In classe combina dolcezza, ritmo e presenza totale. A fine pomeriggio, dopo aver lavorato con i bambini, va a correre, per buttare fuori la giornata, poi torna da suo figlio Tito e dalla sua compagna Giulia. Si chiama Cesare Veglio, è cresciuto ad Acquarossa e come tutti noi cerca di stare in equilibrio.

Gli hanno chiesto se quest’anno voleva dedicarsi a una classe particolare, una Usd, Unità scolastica differenziata, con bambini della Valle di Blenio e dintorni che vivono un momento di fragilità. Ha accettato. Però sa che tra un anno, massimo due, deve portarli a poter tornare ognuno nella propria classe, con i compagni della stessa età.

Cesare Veglio ha scoperto che gli piaceva lavorare come maestro quando ha iniziato il Dfa. «Mi piace vedere i bambini che imparano. Prima non sanno né scrivere, né leggere, né immaginare un paese; nessuno ha la ricetta magica di come portarli a salire quel gradino, ma ci proviamo; poi di colpo loro fanno quel salto e noi di nuovo non sappiamo se il nostro lavoro è stato utile o se avrebbero comunque imparato, anche senza tutte le nostre strategie. È una specie di meraviglia. Mi piace essere partecipe di quel gradino, in un modo o nell’altro».

Cesare ha poco più di 30 anni, ha cominciato a lavorare nel 2012 alle scuole elementari di Acquarossa, poi è stato chiamato a Olivone e ora è tornato al paese d’origine. Gli avevano detto: Mai troppo vicino a casa, che si conoscono tutti! Ma Cesare ha provato e ha deciso che andava bene.

Ha già lavorato con alcune classi problematiche e, lui dice, di allievi ne ha tartassati parecchi. Ma questi adesso fanno le Medie e tornano a trovarlo, quindi tanto terribile non deve essere stato. Ma come si fa? «Non tutti hanno bisogno dello stesso metodo: alcuni bambini hanno bisogno di sentirsi dire ‘basta’ , con altri non puoi nemmeno alzare la voce perché gli verrebbe un magone che puoi buttare via la giornata. Bisogna conoscerli e, piano piano, capire come comportarsi».

I suoi segreti

Cesare ha dei principi: prima di tutto l’equità. Riprendere tutti allo stesso modo, se uno l’ha combinata grossa per la prima volta oppure se è la ventesima. Questo per lui è essere equo. Il secondo segreto è non prendere mai niente sul personale. Può ricevere male parole e provocazioni, ma poi quando tornano lucidi i suoi allievi vanno ad abbracciarlo. «Non ce l’hanno con me, mi ripeto. Ci sono situazioni difficili e se ci fossimo dentro anche noi avremmo una grande rabbia e avremmo solo voglia di spaccare qualcosa. Come maestro, mi do due minuti per arrabbiarmi, poi volto pagina. Si riparte a costruire insieme». Terzo, le cento volte: «Io da piccolo mi ricordo di aver capito cose che mi avevano già spiegato, ma che capivo solo quando me le dicevano in un altro modo. Perciò provo e riprovo, rigirando i

concetti. Penso ci sia sempre la possibilità di dire diversamente, di trovare una porta aperta da qualche parte; quando non funziona, l’unica è riprovare, cambiare strategia, non perdersi mai d’animo». Insomma, il suo motto è: se un bambino non capisce, è il maestro che non sa farsi capire. «Con i bambini, ripeto cento volte, con gli adulti un po’ meno: ho altro da fare».

I bambini più difficili

Con loro non si grida quasi mai, perché sono bambini fin troppo abituati a qualcuno che li sgrida. Non ne combinano mai una giusta e quindi sono attorniati da adulti che gli fanno la ramanzina. La quale entra di qua ed esce di là, lo sappiamo. Allora bisogna sperimentare una cosa nuova: sedersi al loro fianco e ragionare. Con calma. «A inizio anno i miei cinque non potevano nemmeno stare tutti nella stessa aula, adesso invece lavoriamo quasi come una classe regolare». Il lavoro è difficile e richiede pazienza, ma qualcuno, secondo Cesare, deve credere in loro e fare il possibile, poi i risultati, in genere, si vedono.

La caccia

«Andavo a caccia con mio nonno e mio zio, in montagna, poi ho cominciato anche io. Vado con mio fratello o a volte anche da solo, mi piace. Caccio solo quello che mangeremo durante l’anno. Non voglio avere un impatto sulla natura, voglio mantenerla adeguandomi a lei. Se non prendo niente mi basta aver passato due giorni all’aria aperta». L’andare a caccia, dice, gli fa tirare il fiato. Conosce i selvatici, va nel ‘suo’ pezzetto di bosco, come quasi tutti in Valle. «Non sparo alle cerve o alle capriole con i piccoli, ognuno ha interesse a che la propria zona sia sempre popolata. Quindi prendiamo qualche maschio, perché se diventano troppi danneggiano la vegetazione: è come mantenere un equilibrio».

Ora che c’è Tito Tito è nato un anno fa. «All’inizio stava sempre con la mamma, io servivo a poco. Adesso invece interagisce di più con me, e questo mi rende felice. Vorrei diventare un suo compagno più che un suo maestro. Penso: io gli mostro quello che mi piace della

vita e se vorrà faremo tante cose insieme. E quando anche lui avrà i suoi interessi, se mi inviterà sarò io a seguirlo e sono sicuro che mi farà scoprire aspetti del mondo che non conosco». Cesare gli mostrerà le piante, gli uccelli, la neve fresca. Tito chi lo sa a cosa si appassionerà, è un bambino fortunato con una pagina ancora bianca davanti. «Per ora», dice Cesare, «mi ha già insegnato che esiste un amore diverso da tutti gli altri».

sabato 4 febbraio 2023 5 Ticino7
INCONTRI DI SARA ROSSI GUIDICELLI

MODA E INCLUSIVITÀ

Il mondo del fashion sta davvero diventando più fluido e democratico?

Si sono sempre sprecati fiumi di parole per raccontare la natura frivola ed elitaria della moda, ma troppo pochi accenti sulla sua capacità di insinuarsi nel nostro quotidiano influenzando l’estetica, i gusti e gli atteggiamenti. Senza quasi che ce ne rendiamo conto. Tuttavia, è la moda stessa a essere influenzata dalla realtà sociale dei tempi e, per quanto quest’ultima sia fluida e complessa, la nostra musa non la ignora mai, anzi la assorbe, la interpreta e la trasmette nelle sue proposte di stile. Tutto questo in una costante evoluzione che, a volte, diventa... involuzione. Così, tanto per scomodare un autorevole sociologo come Georg Simmel, possiamo dire che la moda è nel contempo sia il prodotto che il propulsore dei cambiamenti sociali. Ovvero specchio e proiezione degli avvenimenti.

Diversità e accettazione

Basti pensare a quanto la pandemia abbia influito sui processi di trasformazione, ai quali stanno contribuendo pure la guerra ancora in corso e la crisi energetica. Drammatiche realtà che hanno focalizzato la precarietà del corpo umano, ricordandoci i suoi limiti e fragilità. Ebbene il mondo del fashion, abituato a celebrare fisici perfetti dalle forme stilizzate e dalla bellezza selettiva, ha dovuto prenderne atto e recentemente sulle passerelle all’avanguardia hanno cominciato a sfilare vestiti e corollari, sicuro, ma anche valori e ideali di una nuova bellezza, fatta di diversità e di accettazione. Senza ipocrisia. La speranza, in procinto di diventare tendenza generale, è che le proposte siano sempre meno discriminanti, senza paletti di taglia, gender, cultura o età. Cioè che grassofobia, razzismo, ageismo e, in una parola, tutto ciò che comporta body shaming, venga superato con l’aiuto di una moda del tutto inclusiva. Con un linguaggio vestimentario capace di aderire alle nuove visioni a proposito delle disabilità, delle vulnerabilità e, nel complesso,

delle diverse tipologie fisiche degli utenti. Superando così modalità veicolanti immagini mutuate da una rigida idea del femminile standardizzata sulla taglia 36/38, trasferita nelle collezioni, come sulle pagine patinate delle riviste. Da ormai troppo tempo. Non illudiamoci che questo sistema smetta di esistere da un giorno all’altro, ma qualcosa, magari in modo lento e discontinuo, in questi ultimi due anni, si sta muovendo.

sfilare, è diventata perfino project manager nel campo della disabilità. “Vietato dire non posso”, scrive nella sua biografia. Certo non è facile contemplare nell’abbigliamento diverse forme di disabilità, ma sono in sperimentazione allacciature magnetiche, e a strappo, orli studiati, accorgimenti tecnici, soluzioni sartoriali personalizzate per rendere più semplice l’atto del vestire a chi ha limitazioni fisiche. Sempre senza snaturare l’aspetto estetico di un capo, perché tutti, ma proprio tutti hanno diritto all’eleganza e al piacere di sentirsi attraenti.

Il fascino delle curve

Molto è già stato fatto per le signore curvy, ovvero oltre la 52, tant’è che le donne con forme abbondanti non sono più costrette a frequentare il ghetto privo di fantasia e colore delle collezioni per taglie forti. Fino a pochi anni fa gli stilisti ignoravano chiunque si trovasse al di fuori dello standard 38-48, ma adesso le morbide bellezze, incluse anche le ragazze curvilinee, valutano il capo per l’occasione senza sentirsi limitate nella scelta. Un esempio da seguire è quello del rimpianto Alber Elbaz, riuscito in pieno a far quadrare il cerchio. La sua AZ Factory è stata progettata per vestire donne dalla XXS alla XXXL con gli stessi modelli disponibili con un range di taglie mai visto prima. Sdoganando un nuovo modo di concepire il guardaroba in chiave inclusiva senza nulla togliere al glamour, all’innovazione, alla vestibilità.

Nuvi concetti di bellezza

È giusto sottolineare che già nel 2016, cioè in tempi non sospetti, lo stilista americano Tommy Hilfiger, per primo, ha realizzato un’intera collezione per uomini e donne con disabilità. Sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, la tendenza sembra procedere spedita insieme a una gran voglia di fuggire da retaggi obsoleti. Addirittura nel 1999 il compianto Alexander McQueen fece sfilare a Londra l’atleta paralimpica Aimee Mullins, modella e attivista priva delle gambe, con indosso delle protesi su misura. Un messaggio di bellezza coraggiosa e rivoluzionaria arriva anche da Rebekah Marine conosciuta come la prima modella bionica, nata senza avambraccio e portatrice di protesi, ma ciò non le ha impedito di percorrere le passerelle dei brand più prestigiosi, a cominciare da Hilfiger, appunto. Dalle nostre parti, come già detto, le cose vanno più a rilento che a Londra e a New York, comunque dobbiamo essere fieri della affascinante salernitana Benedetta De Luca. Nata con agenesia sacrale, si muove da sempre su sedia a rotelle, ma è del tutto autonoma e, oltre a

Business is business

Grandi e piccole mutazioni coinvolgono davvero il mondo del fashion, tant’è che si direbbe superato lo stereotipo che lo definisce fatuo e melenso. Alla moda finalmente si riconosce una importanza sociale e culturale e, dati i molti progetti mirati a rendere più gradevole la vita alle persone con problemi, ha pure degli intenti umanitari ed etici. Senza però dimenticare che rappresentano pur sempre un interessante business. E siccome il detto pecunia non olet vale (molto) anche in questo campo, ecco un’altra dimostrazione che la nostra musa non è affatto avulsa dalla realtà...

sabato 4 febbraio 2023 6 Ticino7
TENDENZE DI MARISA GORZA
“Fino a pochi anni fa gli stilisti ignoravano chiunque si trovasse al di fuori dello standard 38-48”
BENEDETTA DE LUCA REBEKAH MARINE
AIMEE MULLINS

Benvenuti a Küstendorf

Io Kusturica in giro non l’ho visto, ma pare che ci viva davvero

“Plata o Plomo”. C’è scritto proprio così all’ultimo incrocio prima di arrivare a destinazione in un posto che è esistito in un film prima di esistere davvero. Ma non sono in Colombia.

Mi fermo. Dall’altro lato della strada c’è una coppia di vecchietti male in arnese che fa continuamente – e lentissimamente – dentro e fuori da una casa che sembra una stalla. Dove dovrebbe esserci un marciapiede che non c’è, i due espongono tutta la mercanzia pro-Russia che hanno trovato: magneti, bandiere e magliette con la Z e la faccia di Putin.

Ma non sono in Russia.

Sono a Kremna, in Serbia, a pochi chilometri dal confine con la Bosnia, in un paesino famoso nell’ex Jugoslavia per essere il luogo in cui due analfabeti si rivelarono indovini infallibili su tutti i fatti del XX secolo. Talmente infallibili che il primo, Milos Tarabic, fu imprigionato per aver predetto fatti spiacevoli al re di Serbia. Per liberarlo, il re pretese che indovinasse il sesso del puledro della sua giumenta che stava per partorire in cortile.

Tarabic disse: “Signore, la vostra cavalla ha nella pancia una puledra con la zampa posteriore destra troppo corta”. La puledra era una puledra e la zampa era davvero troppo corta. Tarabic fu liberato a patto che non prevedesse più nulla. E sì, sembra un film di Emir Kusturica, oppure un aneddoto bislacco che fa venire voglia a un aspirante regista dei Balcani di raccontare storie così.

Ora non sappiamo se nacque prima la puledra zoppa o il realismo magico dei Balcani. Quello che sappiamo è che a una dozzina di minuti di auto da Kremna, ora, c’è un posto che all’inizio di questo millennio non aveva un nome – perché a un pezzo di terra in mezzo alle montagne un nome non serve – e ora ne ha tre: Mecavnik, Drvengrad e Küstendorf.

Megalomania?

Dentro a uno di quei nomi, Küstendorf, come fosse un rebus, c’è il nome di chi il villaggio l’ha prima creato e poi deciso di non buttarlo giù quando avrebbe potuto non servire più: “dorf”, dal tedesco, vuol dire proprio “villaggio”, “Küst” sono le prime lettere del cognome di Kusturica. E quindi, “il villaggio di Kusturica”. Megalomania? Anche, senz’altro, basta conoscerlo un po’. Ma non solo. Il regista spiegò molto bene perché un villaggio immaginario, quello del suo film “La vita è un miracolo”, è

sopravvissuto al suo scopo originario diventando un luogo reale: “Durante la guerra ho perso la mia città, Sarajevo. È per questo che ho voluto costruire il mio villaggio. Porta un nome tedesco: Küstendorf. Là organizzerò seminari per le persone che vogliono imparare a fare cinema, concerti, ceramiche, dipingere. È dove vivrò e dove qualcuno potrà venire di tanto in tanto. Ci saranno, naturalmente, altri abitanti che lavoreranno là. Sogno un luogo aperto con una diversità culturale che lotti contro la globalizzazione”. E così è stato. Oggi c’è il villaggio, ci sono i festival, i concerti, i laboratori e, soprattutto, una promessa mantenuta.

Tra realtà e finzione

Camminare per Drvengrad è straniante, soprattutto di prima mattina, quando i turisti sono pochi e sembra davvero di poter curiosare in un villaggio addormentato tra realtà e finzione. Ci sono vecchie auto dell’epoca di Tito parcheggiate per strada, la piccola chiesa ortodossa in cui si prega per davvero, la pasticceria che sforna biscotti caldi e il ristorante che si mette in moto in vista del pranzo. Tutt’intorno è verde, quel verde intenso tipico dei luoghi che l’uomo l’hanno incrociato poco. Eppure anche da lì è passata la guerra, con i suoi uomini appresso. Chi vuole, oggi, può fermarsi a dormire, chi vuole esagerare può fermarsi a viverci, se ha voglia di lavorare oppure di affittare una delle grandi case in legno appena fuori dal villaggio. C’è un murale con la paganissima trinità Fidel Castro-Che Guevara-Maradona, un mercato dove le contadine del posto vendono miele, formaggio, c’è un asilo, un negozio di souvenir pacchiano come te l’aspetti e ci sono in giro un paio di tizi che ti chiedi se non se li siano dimenticati lì, una ventina d’anni fa, quando hanno finito di girare il film.

Man mano che la gente arriva, e che il parcheggio davanti si riempie fino ad avere bisogno di un ragazzino che s’improvvisa vigile urbano, il paesello bucolico diventa attrazione e quel che guadagna in vita lo perde in fascino.

Io Kusturica in giro non l’ho visto, ma pare che ci viva davvero –per la maggior parte del tempo – in una di quelle grandi case di legno protette da una recinzione aggiuntiva, sebbene facilmente scavalcabile. Per vedere il villaggio (e anche Kusturica, se ci tieni e se c’è) devi tirare fuori all’ingresso 200 dinari, meno di due franchi. Entri e sei in via Ivo Andric, il premio Nobel che ha fissato per sempre i confini emozionali dei Balcani con il romanzo “Il ponte sulla Drina”. Andric è uno dei miti di Kusturica, e i nomi delle vie sono stati dati tutti con questo criterio: c’è via Che Guevara, via Federico Fellini, via Novak Djokovic, via Bruce Lee e via Ingmar Bergman. Ci sono anche quattro piazze, due dedicate a registi russi (Nikita Mikhalkov e Andrei Tarkovsky), una all’iraniano Abbas Kiarostami, l’altra a Diego Armando Maradona. Il ristorante si chiama Visconti, il cinema Stanley Kubrick, l’anfiteatro Gavrilo Princip (sì proprio l’uomo che uccise a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, con quello che è il primo sparo della Prima guerra mondiale).

Nel bar dell’hotel i ragazzi al bancone hanno voglia di parlare tra loro più che di servire i clienti, e alla fine si ciondola finché qualcuno non decide che sì, forse un caffè si può anche preparare. I ritmi sono lenti, magari sono così o lo fanno apposta. O glielo dice Kusturica. Alcuni clienti si spazientiscono, altri si godono il panorama, io sbircio i muri del locale, che sono tutti indizi – solo un po’ più nascosti dei nomi delle vie – di ciò che ha ispirato il papà di questo villaggio apparentemente insensato, che ti lascia con piu domande che risposte. Come un buon film.

sabato 4 febbraio 2023 7 Ticino7
COSTUME TESTO E FOTOGRAFIE DI ROBERTO SCARCELLA
“Megalomania?
Anche, senz’altro, basta conoscerlo un po’. Ma non solo”

Orizzontali

1. Località in Valcolla 5. Lo Stato con Mogadiscio 12. Località del Mendrisiotto 13. Astio, livore 14. Divinità solare egizia 15. Accidentale, fortuito 17. Quarantacinque romani 18. Cittadina presso Monte Carlo 19. Il nomignolo del regista Brooks 20. Un punto a scopa 22. Drappo, panno 23. Un imperatore persiano 24. Ce l’ha il socio 26. Marte per i Greci 27. La lucertola dei muri 28. Lo sposo di Elena 31. Buchi, aperture 32. Una cellula sessuale 33. Raganella 34. Non concessa 35. Ticino al centro 36. Rea decapitata 37. Località delle Centovalli 38. Precede il nome del prete 39. Località del Luganese 40. Un antico cantore 41. Una barriera vegetale 43. Imbroglio, intrigo amoroso

Spedisci un SMS al 434 (CHF 1.–/SMS) scrivendo TI7 <spazio> SOLUZIONE e partecipa all’estrazione. Termine di partecipazione: giovedì prossimo.

PREFERISCI GIOCARE ONLINE?

Vai su laregione.ch/giochi

45. Ospedale Neuropsichiatrico Cantonale 46. Evidenzia una parte del testo 49. Sorpassata, antiquata 51. Il nome dell’attore Flynn 53. Alberi delle conifere 54. Il Santo di Gaza 56. Omettere, tralasciare 58. Davanti a Luigi sul calendario 59. Altopiano vicentino 60. Località in Val Morobbia.

Verticali

1. Una notissima Brigitte 2. Vale come adesso 3. Iniziali dello scrittore Zoppi 4. Un albero o un frutto 5. C’era a Locarno 6. Città dell’Algeria 7. Lo sono le Idared 8. L’oltretomba pagano 9. Simbolo chimico del litio 10. Antitetica, contrapposta 11. Una delle Arpie 13. È simile al crisantemo 16. Gigante sconfit-

to da Eracle 18. Povera, tapina 19. Lo producono le api 21. Norma, criterio 23. L’isola con Candia 25. Attrezzi per sportivi 26. È simile al finocchio 29. Diffondere, propagare 30. Frazione di Castel San Pietro 31. Località leventinese 32. Un fenomeno invernale 34. Un Passo tra Ticino e Vallese 35. Si fa spesso allo sportello 37. Dislivello, divario 38. Discrete, dignitose 39. Tangenti 40. Corpi celesti 42. Abitanti della foresta amazzonica 44. Diafana, impalpabile 47. Relativo alla morale 48. La sposa di Menelao 50. Il nome dell’architetto Carloni (1931-2012) 52. Il secondo figlio di Giuda 53. Lo fondarono Martinelli e Carobbio (sigla) 55. Il fiume di Modane 57. Sulle targhe di Aarau.

Ci siamo Soluzionipubblicitarie.

SOLUZIONE DEL 21.01.2023

APPENZELLO

Soluzione completa su laregione.ch/giochi

HA VINTO: Carla Bonariva (Minusio)

sabato 4 febbraio 2023 8 Ticino7
5X2 BIGLIETTI PER IL LAC, “La dodicesima notte (o quello che volete)” del 27 febbraio
ViaGhiringhelli 9 6500 Bellinzona T+41 91 821 11 90 pub@regiopress.ch regiopress.ch laregione
© ceck
GIOCA CON TICINO7 VINCI
23 55 46 24 30 34 48 50 43 2 © ceck 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 ORIZZONTALI VERTICALI SENZA PAROLE © DORIANO SOLINAS

“Titolare”: che vuol dire? I gerghi come un crogiolo linguistico

Viviamo di metafore: anche nel nostro esprimerci quotidiano. Lo facevano anche i gerganti. Qui segnaliamo il loro far metafore partendo dalla loro abilità tecnica. Fanno il passaggio semantico da ‘aver esperienza, essere abile nelle misture e leghe metalliche’ al significato generale di ‘capire, comprendere come vanno le cose del mondo’. Così i magnani valtellinesi facevano vanto della loro perizia nel ‘fare la giusta proporzione di metalli in vista di una lega metallica che durasse’. Ne trassero una metafora importante: quella del ‘capire il gergo’, che era capacità indispensabile per potersi sentire integrato ‘nel gruppo dei nostri’.

A lungo ci ha intrigato il valtellinese e grigionese titolar, capire il gergo. Giungiamo infine a poter stabilire una lettura del tipo: ‘saper fare la proporzione dei metalli in una lega’ > ‘capire il gergo’. È un traslato esperienziale. Nel verbo titolar echeggia il “saper fare il titolo”, dove titolo recava l’accezione tecnica di ‘rapporto che sussiste tra il peso del metallo puro contenuto in una moneta e il peso complessivo della moneta stessa’. Il ‘capire’ indicato quale ‘saper valutare, saper soppesare le cose, quasi un conoscere le proporzioni utili’.

Era vanto dei magnani di saper manipolare i metalli e farne delle leghe utili a stagnare ora una pentola bucata ora una del tutto nuova.

A rafforzare questa nostra nuova lettura giunge l’impeltrà con cui i gerganti di Bergamo designavano il fatto di capire, di comprendere il loro gergo: era, letteralmente, l’impeltrare, il mettere il peltro’, ‘avere la perizia di saperlo manipolare in modo adeguato’.

La nuova lettura non è né peregrina né isolata. Gli stessi parlanti dicevano anche impiombà, sempre nel senso di capire, intendere, udire (e, poi, anche ‘vedere’). L’invito è di rileggersi il bellissimo, pionieristico Vocabolario bergamasco di Antonio Tiraboschi, Bergamo, ed. Bolis 1873, Appendice, p. 23l. Vi cogliamo un’immagine desunta dal manipolare i metalli, nel caso specifico il piombo, non a caso designato nel gergo di Val Malenco come el mastru, il maestro, il metallo più importante (inchiesta personale del 5.4.1987). Il capire veniva designato quale ‘impiombare’ , valenza semantica che poi, nelle concrete circostanze del parlare, era estesa per analogia anche al ‘vedere’: va, rama öna lömusa per implombaga, va, porta con te un lume per vederci: letteralmente ‘per capirci qualcosa’.

Fucina singolare

Un fascinoso laboratorio linguistico: questa l’impressione che nasce in chi percorre gli usi dei gerganti, ossia di coloro che inventano e praticano il gergo. Esso non è un settore inalveato in sé stesso, bensì è dimensione capace di avanzare al linguista anche indicazioni di natura generale. Il gergo ci si para dinnanzi come una fucina singolare, in cui si fonde, armeggia e manipola, si rifà e si riconia in un continuo sperimentare con le leghe. I gerganti interessano anche per il loro mostrare la lingua in fieri, per il loro lasciarci intravvedere le parole nel loro germinare: una dinamica linguistica in statu nascendi. Nella lingua, che di regola è tràdita, gli esiti li conosciamo post festum, a cose fatte. Proprio per il suo essere un crogiolo più piccolo, il gergo ci dischiude invece parecchi spiragli: sbirciamo nei fornelli di una vigorosa “alchimia” che è invenzione e nel contempo divertimento. Si è tentati di dire che, in certa misura, il gergo è inventato per se stesso, con compiacimento: a momenti nasce come fiore d’invenzione, come arguta lettura del reale da propinare ai propri compagni di emarginazione per “incuriosirli”: il pane come ‘preghiera’ , il re come ‘succhiapersone’ (capace solo di chiedere imposte), il governo come ‘imbroglione che batte moneta di latta’ , il mondo come ‘vicolo stretto’ dove non hai quasi agio di muoverti. In altra prospettiva il mondo è visto come ‘farfalla’. Se ne sottolinea l’inconsistenza, la labilità: è il mondo come parpài sulla bocca dei magnani di val Colla, che risemantizzano:infatti il loro dialetto chiama ul parpai la farfalla (lat. papilio).

Naturalmente, nel loro “fare gergo” incidono anche altre componenti. È inutile stare a insistere sull’ironia, talora sul sarcasmo e su certo “ribellismo”. Fermiamoci piuttosto su contatti inattesi dal povero linguista, come quelli con il libro della cabala.

Gh’è ciapaa dent l cinq annunciavano allarmati i boscaioli lombardi quando le fiamme iniziavano ad aggredire il bosco. Come spiegare questo grido preoccupato?

L’eco della cabala

Abbiamo cercato a lungo. Infine, il cinque come ‘fuoco’ lo colleghiamo alla cabala. Nel passato e anche oggi (in comunità meridionali) cabala e mondo subalterno hanno contatti stretti.

Per questo per molti artigiani ambulanti e boscaioli dell’Ottocento e primo Novecento cinque equivale a ‘fuoco’. Tra boscaioli valtellinesi abbiamo colto spesso (al volo) annunci come: l’a ciapaa dent ol scinco!, attenti, il bosco brucia! (Val Malenco, sopra Sondrio, inchiesta del 2024). Ancora: a Brione Verzasca scinq, fuoco, da cui si fabbricava il verbo scingàss, bruciarsi: letteralmente, il ‘cinquarsi, il prendere il cinque’ (dicembre 2021). Anche tra romani di Trastevere (inchiesta dell’ott. 1982) appiccare il cinque è dar fuoco a un cumulo di paglia o, addirittura, per vendetta, a una cascina. Idem in Emilia e nei dintorni di Lucca. Largo, insomma, l’eco della cabala, di quel libro della smorfia che serviva e serve a scegliere i numeri da giocare al lotto: chi sogna il fuoco deve puntare sul cinque. Vanno registrate e osservate anche altre battute che correvano fino all’altro ieri tra gerganti (ambulanti, laveggiai, magnani, spazzacamini). Un esempio? Il passaggio semantico da ‘becco’ a ‘mezzogiorno’. Nemm, l’è becch, andiamo, è mezzogiorno, si dicevano l’uno l’altro gli spazzacamini verzaschesi (Lavertezzo 1975, Vogorno 1980, Frasco 2021). Lo spunto si ricostruisce pensando al contadino che privo di orologio riconosceva giunto il momento di andare a mangiare un boccone, dai crampi, dal becco allo stomaco provocati dalla fame. ‘Mezzogiorno’ insomma non come l’immagine dei dodici rintocchi, bensì come un momento più intenso, che vivi su te stesso, quando senti il becco della fame. Insomma, intrigano numerose invenzioni gergali: da tempo attendono un esame rinnovato. Per dei giovani studiosi volonterosi e intelligenti si prospetta un lavoro bellissimo. Il fatto è che, le loro parole, i gerganti le caricano sempre di colore, di partecipazione, magari anche sprezzando. Fanno sovente dell’ironia. Un esempio? Quell lì l’è l ciurlo, quello è il prete e anche un uomo da poco; poi anche vinello, vino da poco; infine: caffè lungo, senza sapore.

Il motto si radica in tanti riscontri, che da Palermo vanno fino a Firenze per poi estendersi al Piemonte e alle comunità lombarde. Già nel 1600 a Roma chiamano ciurlo l’ubriaco (Peresio). E i marginali di Roma a tener viva la parola fino ad oggi (2023): è ciurlo, è avvinazzato, da ciurlare, oscillare, barcollare per il troppo vino ingurgitato.

Il tutto dal radicale ciurl- ‘girare, oscillare, barcollare’ esplicatosi tra l’altro nel cinquecentesco fare il ciurlo che designava il giro di danza ballato su un piede solo; cfr. oggi ciurlare nel manico, tentennare, vacillare, essere incerto, attestata dai vocabolari dal 1850 (ma certo anteriore). Per non pochi abruzzesi poi (2015, 2023) la ciurlina è la donna volubile, la fraschetta.

Alcuni colleghi della Crusca vorrebbero stabilire un contatto tra ciurlo, caffè, e ciurlo, zurlo, prete: ciò rifacendosi al presunto comun denominatore del color nero. Ma si pecca di anacronismo, applicando la costanza del color nero al prete del Quattrocento, quando questi non portava ancora quella tonaca nera che viene imposta dal Concilio di Trento. Prima il nero non era per nulla stabilmente connesso al prete, che vestiva abiti colorati, variopinti; la gerarchia li riteneva disdicevoli.

Un fascinoso laboratorio linguistico Ancora una nota per dire del canéta: a lungo marginali e gerganti “vedono” il prete come un pigro, intento solo a vendere parole e preghiere. Costante, in molti gerghi, la negativizzazione del prete; gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Ma qui, in un cenno che vuol essere rapido, basti menzionare (udito nel 1978, 1983 e 2005) il verzaschese el canéta, il prete, letteralmente il lazzarone, quello che non lavora per paura di rompersi la cannetta di vetro che ha nella schiena. Ne vennero anche cognomi valtellinesi quali Canetta. Un fascinoso laboratorio linguistico: questa l’impressione che nasce in chi percorre gli usi dei gerganti, di coloro cioè che inventano e possiedono il gergo. Proprio per il suo essere un crogiolo più piccolo della lingua, il gergo ci dischiude parecchi spiragli: riusciamo a sbirciare nei fornelli di una vigorosa “alchimia” che è invenzione e anche divertimento e che a momenti si fa “enigmistica” per sfidare i compagni con cui stai

rifugiato, la sera e la notte, magari in un cascinale diroccato.

sabato 4 febbraio 2023 9 Ticino7 ETIMOLOGIA DI OTTAVIO LURATI
“faregergo”
“impiombare”
“impeltrare”
ciurlo, caffè, ciurlo, zurlo, prete
sabato 4 febbraio 2023 10 Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE

Alpe Pradasca

TREKKING in Val di Campo

Alpe Pradasca

Corte principale Pradasca, 1’742 m

Corti Pian Prevat, 2’008 m

Ubicazione Valle di Blenio

Periodo carico Da metà giugno a metà settembre

Ultimo paese Campo Blenio, 1’215 m

Coordinate 711.867 / 157.047

Proprietà Patriziato generale Olivone Campo Largario

Gestore Boggesi Valle di Campo

Tipo formaggio Semiduro grasso, 100% latte di mucca

Altri prodotti Burro, formaggini, ricotta, yogurt

Dicitura Scalzo Pradasca

Animali Ca. 130 mucche e 120 capi di bestiame giovane

Produzione Ca. 20/25 forme giornaliere da 5-6 kg cadauna

Mungitura Mungitura meccanica

Caseificio Pradasca (trasporto latte con veicolo)

Acquisto All’alpe è possibile acquistare tutti i prodotti

Percorrendo agevolmente la strada che si leva oltre Campo Blenio e attraversa l’intera Valle di Campo, dopo avere superato i Monti di Orsàira e i fitti lariceti della zona, si giunge all’alpe di Pradasca (1’742 metri sul livello del mare). Si può giungere all’Alpe agevolmente in auto, ma il consiglio è quello di prendere il sentiero lungo il quale ritroviamo bellissimi boschi, prati aperti e tranquilli borghi che solo marciando con tranquillità ci restituiscono un paesaggio che altrimenti non “gusteremmo”!

Il caseificio è costruito a forma di U e dal grande piazzale si intravede, oltre il plastico susseguirsi di pascoli e conifere, la Diga del Luzzone, che si incunea titanica nel monumentale paesaggio alpino. All’opposto appare invece in lontananza la Gana Negra, che con i suoi oltre duemilaquattrocento metri di altitudine, marca la direzione del

Itinerario corte principale

→ Da «Campo Blenio» (1’215 m), si percorre la strada asfaltata che parte dal paese in prossimità degli impianti sciistici invernali dopodiché, passando da «Orsàira» (1’454 m) e da «Ronco di Gualdo» (1’573 m), si raggiunge l’Alpe «Pradasca» (1’742 m).

Da Campo Blenio: in auto 15 min. Strada asfaltata aperta al traffico. Possibilità di posteggiare all’alpe.

Escursioni

→ Capanna Bovarina: dall’Alpe

«Pradasca» (1’742 m) si scende al bivio poco sotto l’alpe sulla strada asfaltata, da questo punto si segue la strada pianeggiante per 300 metri sino a dove termina, ai piedi di una presa d’acqua e alla partenza di un filo a sbalzo per il trasporto

Lucomagno. È in questa direzione che si incastona anche il corte secondario di Pian Prevat (secondo alcuni linguisti potrebbe derivare da prete e far riferimento a possedimenti della chiesa). A poca distanza dalla cascina si trova invece la rinomata Capanna Bovarina che si può raggiungere in poco più di 30 min.

Il caseificio, dotato di un’ampia cantina interrata, offre una varietà impressionante di prodotti: dal formaggio vaccino, dolce e aromatico, all’eccezionale yogurt, passando per ricotta e burro, senza dimenticare i formaggini di tipo «büscion» impreziositi da erbe quali la motellina delle Alpi e l’erba cipollina. Regista di una così vasta produzione è da svariati decenni un esperto casaro che, forte della sua autonomia di giudizio e della sua curiosità, ha saputo costruire una tradizione dotata di un’inconfondibile personalità.

di materiale, qui è possibile posteggiare. Si attraversa il bel ponte sul «Ri di Gana Negra» e sul versante opposto si segue il sentiero nel bosco che in breve conduce alla Capanna «Bovarina» (1’870 m). Sentiero bianco-rosso, 140 m disl., 1,4 km, 25 min.

Curiosità

Scopri il percorso

Metamorfosi ad alta quota!

Degli scisti (roccie metamorfiche) della Valle di Campo dice il professor Paul Niggli: «Queste filladi granatifere nere cupe presentano un aspetto pustoloso a causa della presenza di porfiroblasti di granato e contengono qualche volta resti di belemniti».

Giacimenti di calce e di gesso furono notificati, a Campo Blenio, quando si fece, nel 1895, l’inchiesta sulle cave e miniere svizzere (ancora nel 1858 si estraeva, a Olivone, in «molta quantità», il gesso). Conosciuta era la cava di calce di Orsera. Nella sua «Storia di Olivone», Guido Bolla rammenta che «in cima alla Valle di Campo, nella località denominata Neigra, furono trovati dei pezzi di scisto bituminoso». Nel territorio di Campo e Ghirone si estraeva, un tempo, l’oro. Varie miniere furono sfruttate in Valle Camadra, dove una località ancora oggi è chiamata «Buca dell’oro».

Fonte: Centro di dialettologia e di etnografia, Bellinzona.

sabato 4 febbraio 2023 11 Ticino7
BancaStato èlaBanca di
in Ticino
bancastato.ch
riferimento
noi per voi ALPEGGI A CURA DI SALVIONI EDIZIONI
Abbiamo tuttibisogno di puntifermi, di certezze edisicurezze. Noi vi offriamo il costante impegno di esseredasemprecon il Ticino eper iticinesi.
ALPE PRADASCA, 1’742 M (© ELY RIVA, FABRIZIO BIAGGI)
4 6 ° 33 ’ 31 ’ ’ N 8˚54 ’ 10 ’ ’ E

‘VOGLIO SOLO AIUTARTI’

“Occhio che questo ti ruba il lavoro”. Alla seconda persona che mi ha detto la stessa cosa ho deciso di prendere il toro per le corna (procrastinare è una cosa che progetto di combattere con forza in questo 2023) e affrontare l’aggeggio con cui tutti i miei conoscenti si sollazzano negli ultimi tempi: la chat di intelligenza artificiale. Vai sul sito, crei un account fornendo i tuoi dati (i dati sono la moneta di scambio di questo mondo in cui tutto è gratuito) e inizi a interrogare il sistema. Ho chiesto alla chat di intelligenza artificiale se conoscesse ‘Spare’ , il libro scritto dal principe Harry che sto leggendo perché vorrei recensirlo. Il sistema non conosceva il libro. Ho riformulato la domanda in modi diversi e in tutte le lingue, pensando che non fosse in grado di capirmi correttamente. Dopo qualche scambio, il sistema mi ha rivelato che è attualmente impostato sulle conoscenze fino al 2021. Quindi non posso sfruttarlo né per farmi scrivere un articolo su Sanremo 2022, né per scopiazzare una recensione sul libro del principe. Però possiamo parlare, mi ha detto il sistema.

Wakanda Forever

Mi ruberai il lavoro, gli ho chiesto? Tutt’altro, ha risposto la chat in un italiano tutto sommato corretto. Il mio compito –ha detto – è aiutare le persone come te ad essere più produttive, utilizzando me per le attività a basso valore aggiunto e lasciando a te il tempo per le cose più creative. Vorrei dirti, caro sistema, che in maniera un po’ romantica penso che la produttività sia nemica dell’arte. Ma forse è solo una scusa per noi pigri. Il sistema ha risposto a tono, mi ha detto che c’è una certa verità in quello che dico ma che, in fondo in fondo, “la scusa della pigrizia è spesso utilizzata per giustificare una mancanza di motivazione o una scarsa organizzazione del proprio tempo. Alla fine, dipende dalla persona e dalla sua capacità di equilibrare questi aspetti nella propria vita”.

Mi sono chiesta se ci fosse davvero bisogno di un sistema di intelligenza artificiale per cazziarmi e dirmi che sono inconcludente. Mi sono detta che certe cose le fa ancora benissimo mia mamma. Certo, lei conosce tutti i miei dati.

ALTRI SCHERMI

DOPO LA MORTE DEL RE

Dopo il passaggio nei cinema, mercoledì 1° febbraio debutta su Disney+ il seguito di Black Panther della Marvel, vincitore di 3 Oscar nel 2019 con il compianto Chadwick Boseman. In Wakanda Forever la regina Ramonda (Angela Bassett) combatte per proteggere la nazione dall’intervento delle potenze mondiali dopo la morte di re T’Challa. Quando Namor, re di una nazione sottomarina nascosta, l’avverte di un’imminente minaccia globale, i popoli si uniscono e forgiano un nuovo percorso per il regno di Wakanda.

UNA VECCHIA CONOSCENZA

Il personaggio di Namor, qui interpretato dall’attore messicano Tenoch Huerta (visto in Narcos: Messico), è apparso per la prima volta nell’universo dei fumetti della Marvel nel 1939. Originario di Atlantide, Namor agisce negli anni sia da eroe sia da antieroe, sempre in conflitto con gli umani colpevoli di devastare e depredare il mondo acquatico. Nonostante la tecnologia all’avanguardia e l’ipervigilanza, i wakandiani erano completamente all’oscuro di Namor e del suo regno, Tolokan.

Il regno si espande

Quando si cammina nella neve ogni cosa acquista una misteriosa potenza. Il silenzio pare più silenzioso, la vastità più vasta, la fatica più faticosa. Ogni passo ha il suo peso, la sua forza. Quando camminiamo per strada o su un sentiero privo di neve abbiamo percezioni differenti: senza pensarci troppo, come facciamo fin da quando siamo bambini, mettiamo un piede davanti all’altro. Sulla neve, invece, il piede sprofonda (pure se indossiamo le ciaspole) e lascia una traccia. La neve ogni volta scricchiola, dando una forma sonora al nostro incedere. Dobbiamo calibrare l’equilibrio, dobbiamo studiare il terreno per posare il piede nel punto adatto o nell’impronta di chi ci ha preceduti. Ogni metro è una conquista e, nello stesso tempo, una nuova partenza. Nella neve siamo obbligati a procedere lentamente e per questo, quando guardo un panorama innevato, penso sempre al mio lavoro di scrittore. C’è sempre una pagina bianca sulla quale imprimere un passo, anche quando tutto sembra fermo e le idee stentano ad arrivare. Ecco, il gesto di camminare nella neve aiuta a ritrovare la speranza.

VICINO ALLA CAPANNA PIANSECCO (BEDRETTO)

Coordinate: 2’679’310.8;1’149’770.6

Comodità: ★★☆☆☆ Vista: ★★★★☆ Ideale per… ritrovare la speranza.

ticino7

SOPRA LA PANCA

TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI

OMAGGIO A BOSEMAN

Il nuovo cinecomic della Marvel celebra l’eredità e la memoria di Chadwick Boseman, morto di cancro a 43 anni nell’agosto del 2020, che in Black Panther aveva magistralmente interpretato il ruolo di Pantera Nera, o T’Challa, re e leader religioso del Regno di Wakanda. Per la colonna sonora del film, anche Rihanna con “Lift Me Up”, scritta con il cantautore nigeriano Tems, con il compositore svedese Ludwig Göransson e con il regista del film Ryan Coogler, ha voluto ricordare l’attore scomparso.

NOLLYWOOD

Il successo di Black Panther prima e Wakanda Forever ora, con Angela Bassett già nominata come miglior attrice non protagonista alla 95ª edizione degli Oscar che si terrà il 12 marzo prossimo, ha lanciato senza ombra di dubbio un nuovo modello cinematografico di rappresentazione dell’Africa.

Futuristica e incentrata su sé stessa, sulle proprie culture, diaspore ed arti. Un cinema finalmente afrocentrico che ha rivitalizzato Nollywood (l’industria cinematografica nigeriana) permettendole di mettere in cantiere tanti nuovi lavori.

sabato 4 febbraio 2023 12 Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO
Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direttore
creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione, redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch • laregione.ch Servizio abbonamenti tel. 091 821 11 86 • info@laregione.ch Pubblicità Regiopress Advertising via C. Ghiringhelli 9, CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 90 • pub@regiopress.ch
Beppe Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia
DI ALBA REGUZZI FUOG

IN PRIMO PIANO

Donne in prima linea

Cinque film per cinque grandi figure femminili

Per celebrare la Festa della Donna di mercoledì 8 marzo, la RSI propone cinque film dedicati a figure femminili che si sono distinte nella storia non solo per le loro scoperte, opere o battaglie sociali, ma anche per la loro intraprendenza e caparbietà.

Dalla madre della fisica moderna Marie Curie alla scrittrice, saggista e filosofa britannica Mary Shelley, autrice di quello che viene considerato il primo romanzo gotico di fantascienza, Frankenstein; da Judy Wood – avvocatessa americana che da sola è riuscita a far cambiare la legge sul diritto di asilo negli USA per includere le donne tra le classi protette – a Eleanor Marx, figlia del filosofo Karl Marx e attivista britannica nel campo dei diritti delle donne e dell’abolizione del lavoro minorile, fino a Deborah Lipstadt, storica statunitense nota per i suoi studi sul negazionismo dell’Olocausto e per il libro Denying the Holocaust, nel quale accusò David Irving di aver diffuso notizie false sullo sterminio nazista degli ebrei.

La programmazione si apre questo martedì con Radioactive, il racconto della fisica, chimica e matematica polacca Marie Skłodowska Curie, nota per la scoperta del polonio e del radio e per essere stata la prima persona a vincere due Nobel in due campi scientifici differenti – uno per la fisica e uno per la chimica.

Il ciclo proseguirà i martedì seguenti con Mary Shelley – un amore immortale, Saint Judy, Miss Marx e Denial – La verità negata

Il grande ritorno del Carnevale

Non sembra, ma sono passati anni dall’ultimo Carnevale. È quasi incredibile pensare che questo è l’anno del ritorno alla normalità. Proprio oggi a Chiasso riprendono i grandi cortei e proprio oggi mi aspetto una folla come non si è mai vista.

Abbiamo voglia di tornare a sentire le musiche delle guggen, di rivedere carri colorati e ironici, e già il mio pensiero vola: chi sarà preso di mira quest’anno? Quali saranno i temi? Gruppi, maschere, il carnevale di bambine e bambini… le tendine, la festa! Ovviamente noi ci saremo!

Si parte con il corteo mascherato del Nebiopoli di Chiasso, dalle 14.00 su LA 1 con un sacco di novità. Vi posso anticipare che ci saranno delle riprese aeree pazzesche, quindi preparatevi! Ci saremo, ovviamente, anche a Bellinzona con il suo Rabadan. Il corteo di domenica 19 febbraio, in diretta dalle 14.00, sarà antici-

pato da collegamenti all’interno del programma Domenica di Carla Norghauer, giusto per tastare il polso della situazione e scaldare i motori come si deve. Anche in questo caso, lo ammetto, mi aspetto folle incredibili. Alla sera, intorno alle 19.30, ci sposteremo in Piazza Nosetto per Echi da un carnevale, la trasmissione che tira le somme di quanto successo.

Scopriremo insieme i vincitori del concorso, rivivremo i momenti salienti di questo carnevale 2023 e vi faremo vedere i dietro le quinte con immagini e servizi inediti. Insomma, non vedo l’ora di fare la storia, di raccontare ciò che porta con sé tradizione, cultura popolare e tanto, tantissimo divertimento e voglia di stare insieme.

Preparato il costume?

Domenica 10 febbraio alle 9.55 su LA 1

Lingua dei Segni in Ticino

Il riconoscimento dopo la votazione

Domenica 30 ottobre 2022: la popolazione ticinese ha approvato con larghissima maggioranza, con l’86,2% dei voti, il riconoscimento della lingua dei segni – così come le misure proposte a favore dell’accessibilità e dell’inclusione delle persone con disabilità.

Come sottolinea con entusiasmo la Presidente della Federazione svizzera dei sordi (FSS), Tatjana Binggeli,“Il riconoscimento è la base di cui avevamo bisogno per chiedere in modo concreto che i diritti delle persone sorde venissero rispettati e che potessero finalmente godere di pari opportunità”

Il Ticino, dopo Zurigo, Ginevra e Vaud, è così diventato uno dei cantoni in Svizzera ad aver ufficialmente riconosciuto la lingua dei segni. Un passo avanti, certamente, ma in concreto cosa cambierà? Marcello Conigliaro, il primo presentatore sordo in lingua dei segni italiana, ne discute con alcuni giovani sordi ticinesi. In questo primo reportage dell’anno di Segni, un viaggio speciale ricco di incontri tra speranze e aspettative.

Timer, ho visto un Re…

La programmazione RSI dedicata al Carnevale si completa con due altri coriandoli di programmazione.

Dal 20 al 24 febbraio su LA 1 - dopo le Feste di fine anno passate in cucina con i VIP della TVtorna Timer. Questa volta 5 presentatrici e presentatori della RSI sono alle prese con una sfida ulteriore: cucinare in 8 minuti una ricetta assegnata dai regnanti di alcuni nostri carnevali (Rabadan, Lingera, Stranociada, Re Naregna, Nebiopoli). Scherzi, interruzioni e una mano beffarda del destino cercheranno di ostacolare l’impresa.

Il debutto del programma sarà anticipato dalla pubblicazione di una serie di Speciali Carnevale da non perdere su rsi.ch/food, il canale tematico dedicato al cibo.

Dal 20 al 24 febbraio alle 19.45 su LA 1

sabato 4 febbraio 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 5.2 all’11.2 13
ogni domenica alle 08.00
Fabrizio Casati
Da Nebiopoli al Rabadan: Fabrizio Casati vi presenta la programmazione della RSI Da martedì 7 febbraio alle 23.20 ca. su LA 1
Sabato 4 e domenica 19 febbraio su LA 1

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.