Ticino 7 N02

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Permette un ballo?

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LATINE

Promozione Salute Svizzera raccomanda agli anziani di svolgere un’attività fisica di media intensità per almeno 2,5 ore alla settimana o una disciplina sportiva ad alta intensità per 1,25 ore alla settimana. Oppure di ballare. La danza giova a muscoli e articolazioni, stimola la circolazione sanguigna, migliora l’equilibrio, la memoria, previene la depressione.

“Agli anni ci penso solo quando qualcuno mi ricorda che li ho. Vivo senza guardarmi indietro e senza futuro. Sono felice di aver constatato che la creatività non ha un tempo, una scadenza. La paura dello scrittore è di svegliarsi una mattina e scoprire che non sa più scrivere, quella dell’artista è di rendersi conto che l’età gli

impedisce di creare. Mi piace ripetere che Picasso ha realizzato capolavori sino alla fine e che Burroughs è ancora lucido come quando aveva vent’anni. Una volta realizzato che la mente non si appanna, che l’immaginazione rimane forte e che la voglia di inventare non si affievolisce affatto, passa anche la paura d’invecchiare” (David Bowie a Massimo Cotto nel suo ‘Rock is the Answer’, Marsilio, 2021).

Nel gennaio del 1983, il Duca Bianco pubblicava ‘Let’s Dance’. Sono passati quarant’anni, William S. Burroughs è morto, Bowie pure “e anche io non mi sento tanto bene” (E. Ionesco). Mettiamoci le scarpe da ballo, e balliamoci sopra.

sabato 14 gennaio 2023 1 Ticino7 numero 2 A CURA DELLA REDAZIONE
Non escludo il ritorno
DISAVVENTURE
LA
DEL
FINE VIAGGIO

BALLANDODAVIDCON DAVIDBOWIE

Quarant'anni di 'Let's Dance'

Tra groove e blues

Una volta innescata la miccia, fu impossibile tornare indietro, complice anche un lungo viaggio nelle Isole del Pacifico per le riprese del film “Merry Christmas Mr. Lawrence”, che lo vedevano impegnato come attore. Per trascorrere quelle settimane lontano da casa, Bowie si preparò delle cassette audio con dentro la musica dei suoi artisti preferiti, soprattutto rhythm and blues degli anni 60. Questo lo portò a riflettere su quanto quella musica ancora gli piacesse e lo facesse stare bene. Virò di 180 gradi rispetto a quanto prodotto fino a quel momento e chiamò il nuovo Re Mida delle produzioni discografiche, proprio quel Nile Rodgers inventore degli Chic e di tutta la disco music newyorkese.

Il disco partì con l’attacco micidiale di “Modern Love”, un suono forte e compatto con dentro i colori della dance e le tinte forti del rock, complice la chitarra di Stevie Ray Vaughan che Bowie aveva ascoltato dal vivo l’estate precedente proprio al Montreux Jazz Festival: aveva fatto di tutto per averlo, nel nuovo disco prima e nel tour successivo subito dopo, per quei novantasei concerti del Serious Moonlight Tour che lo avrebbero riportato sul palco dopo cinque anni di assenza.

Obiettivo: n. 1

In ‘Let’s Dance’, uscito il 19 gennaio del 1983, per la prima volta nella sua carriera, David Bowie non suonò nessuno strumento. Si affidò completamente a Nile Rodgers e al suo gruppo di musicisti, che in tre settimane riuscirono a portare a termine quell’album che fece di Bowie una popstar mondiale e non più lo sperimentatore visionario degli anni 70. Del resto, la sua casa discografica, la Rca, non aveva intenzione di investire ulteriormente su di lui dopo le scarse vendite degli album della trilogia berlinese. Non si lasciò sfuggire l’occasione la Emi, altra etichetta globale che propose all’artista un contratto in esclusiva per una cifra monstre: 20 milioni di dollari come anticipo per i successivi tre album, con l’intento di riportarlo in cima alle classifiche. Obiettivo centrato al primo colpo.

Come gli impiegati

La collaborazione dell’estate precedente con Giorgio Moroder fece maturare il nuovo corso con una svolta ritmica senza precedenti. Nile Rodgers organizzò tutta la nuova cornice con arrangiamenti perfetti per lo scopo. David Bowie fu solo l’interprete. Un nuovo inizio. Disintossicato da alcol e cocaina che avevano avuto il sopravvento negli anni precedenti, Bowie accettò anche il nuovo modo di lavorare di Nile Rodgers: non più registrazioni notturne fino all’alba, ma turni regolari dalle dieci del mattino alle sei del pomeriggio, poi tutti a casa per riprendere il giorno successivo. Per uno come lui abituato a non

dormire mai e a vivere la notte nella più forte intensità, sembrò all’inizio un lavoro impiegatizio, ma nei suoi dischi successivi non rinunciò più a quell’organizzazione. Let’s dance fu n. 1 contemporaneamente in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove poi rimase per 198 settimane in classifica.

Mondo criminale

L’immagine della copertina così fisica e diretta, in quello scatto da boxeur con i capelli corti, lasciava ormai lontana l’ambiguità sessuale che era stata, negli anni precedenti, una delle chiavi del suo successo. Un’immagine e un’estetica androgina, elegante e decadente al tempo stesso; un’immagine che catturò tre giovani dandy londinesi chiamati Metro, che nel 1976 avevano scritto e inciso “Criminal World” proprio ispirandosi a quell’immagine di Bowie. L’atmosfera tardoromantica inglese perfettamente glamour venne però censurata dalla Bbc perché ritenuta sessualmente troppo esplicita. “Lei è una ragazza estrema in questo mondo criminale, ma ti insegnerà a far sparare la tua pistola...”. David Bowie decise di riprenderla, con un arrangiamento più efficace, e con la splendida chitarra di Stevie Ray Vaughan.

Imperialismo e pantere

Qualcosa di quel Bowie sperimentatore introspettivo degli anni precedenti resta in un altro piccolo capolavoro dell’album Let’s Dance: “China Girl”, canzone scritta insieme a Iggy Pop a metà anni 70 durante il loro soggiorno berlinese. Dura, ruvida, rock quella incisa all’epoca da Iggy Pop; molto più patinata e avvolgente quella del 1983. “China Girl” è una presa di coscienza del saccheggio culturale che l’Imperialismo inglese aveva attuato nelle colonie d’Oriente. Del resto, David Bowie era incantato dalla cultura orientale e, soprattutto, dalla magia del Teatro Kabuki. Non da meno Iggy Pop, che in quei giorni a Berlino s’innamorò di una ragazza vietnamita, Kvelan Nguyen, cui il pezzo è, naturalmente, dedicato. A chiusura dell’album, David Bowie decise di reincidere “Cat People”, il brano scritto l’anno precedente con Giorgio Moroder per la colonna sonora del film ‘Il bacio della pantera’ di Paul Schrader. Il regista aveva chiesto esplicitamente a Bowie un suo pezzo da inserire tra le musiche alle quali Moroder stava lavorando. L’atmosfera cupa, gotica e ipnotica, con la sua voce profondamente baritonale, venne completamente trasformata in questa nuova versione, dando così al pezzo suoni e colori molto più immediati.

“Under Pressure”. Fu con questo brano che nell’estate del 1982 iniziò la svolta musicale di David Bowie, a Montreux, sul lago di Ginevra, per registrare ‘Cat People’ in collaborazione con Giorgio Moroder. Con i Queen nella sala a fianco, nacque spontaneo il desiderio di fare qualcosa insieme, ma il micidiale giro di basso di “Under Pressure”, così vicino a quelli degli Chic, fece scattare in Bowie la voglia di andare oltre, di dare una dimensione nuova alla sua musica, che gli consentisse non solo di puntare al vertice delle classifiche mondiali ma di catturare una nuova generazione di ascoltatori che non erano cresciuti a pane e “Starman”, a pane e “Ziggy Stardust”. Il Duca Bianco sognava un disco con almeno quattro, cinque canzoni che ogni radio avrebbe messo in onda. Un disco in grado di arrivare al numero 1 in tutto il mondo. Un disco che si sarebbe chiamato ‘Let’s Dance’.

sabato 14 gennaio 2023 2 Ticino7
DI TUTTO UN POP DI SERGIO MANCINELLI
© KEYSTONE
Leggi & ascolta

Dischi dal retrobottega

Mario Venuti, Mai come ieri (1998)

Mario Venuti, nei suoi quasi trent’anni di carriera solista, ha probabilmente raccolto meno notorietà presso il grande pubblico di quanta ne abbia effettivamente meritato. “Colpa”, se vogliamo, di un pop che, seppur alleggerendo negli anni le sonorità più vicine alla musica brasiliana, rimane sempre raffinato e ricercato: anche troppo, per orecchie abituate a ritornelli immediati e melodie senza troppi sussulti. Alle spalle delle svolte più pop-rock dei primi Duemila, con annesse tre partecipazioni a Sanremo nel giro di tre anni (e un Premio della critica nel 2004), ci sono quindici anni di carriera, iniziata negli anni Ottanta a Catania con gli acclamati Denovo con cui già nel 1988 saliva sul palco dell’Ariston. Un pezzo di storia artistica del cantautore etneo che è racchiusa in Mai come ieri, album del 1998 che prende il titolo dal fortunatissimo singolo in duetto con Carmen Consoli, per cui Venuti nel 1996 aveva già scritto quella “Amore di Plastica” con cui la Cantantessa debuttò a Sanremo. Un lavoro variegato, aperto da cinque inediti fra cui, oltre alla title-track, spiccano la delicata “Sto per fare un sogno” e “Il più bravo del reame”, pezzo presentato, senza successo, alle selezioni per Sanremo Giovani del 1997. Il disco vira su una panoramica della storia musicale di Venuti fino ad allora, riproposta in chiave acustica e con una certa vena intimista pescando dal repertorio dei Denovo e dai primi due album da solista, Microclima e Un po’ di febbre, il tutto registrato in un’esibizione dal vivo depurata però dagli applausi del pubblico. Fra i brani della band d’esordio da segnalare “Un fuoco”, che nella nuova versione strizza ampiamente l’occhio al Sudamerica, grande fonte di ispirazione per Mario, e “Sant’Andrea”, spogliata delle sonorità anni Ottanta dell’originale e più morbida e intimista, impreziosita da una sessione d’archi che non fa rimpiangere i synth dell’epoca. E poi c’è tanto Brasile nei pezzi da solista, da “Niña Morena” a “Il libro della terra”: e infine, nella fin troppo sottovalutata “Fortuna”, qui ancora più in equilibrio su un filo teso fra l’Etna e il Corcovado e in duetto con Carmen Consoli a chiudere idealmente il cerchio iniziato con la prima traccia. Un bell’album per conoscere una parte importante della carriera di un artista che per qualità delle composizioni e dei testi merita un posto d’onore nel cantautorato pop italiano.

Suoni & rumori

Bauhaus, 4AD (1983)

Reduci dal successo del loro terzo album (The Sky’s Gone Out, 1982) e sull’onda della cover molto mediatizzata di David Bowie, “Ziggy Stardust” (vedi l’apparizione della band a ‘Top of The Pops’), pubblico e critica si apettavano grandi cose dal quartetto post-punk di Northampton. Ma la lavorazione e la registrazione del nuovo album (il quarto) si scontra con la salute del leader e voce Peter Murphy, divenuto icona gotica mondiale già a partire dal primo fortunatissimo singolo, “Bela Lugosi’s Dead” del 1979, tributo cineerotico al genere vampiresco. Il nuovo disco (Burning from the Inside, 1983) apparirà negli scaffali con la formazione già sciolta, e risulterà il meno organico del lotto, frastagliato e monco. Certo meno incisivo del secondo notevolissimo Mask (1981). Sull’onda dello scioglimento, nel 1983 appariranno alcune raccolte di singoli: Bauhaus 1981-1983 (per la Beggars Banquet) e 4AD, EP contenete i singoli apparsi per l’etichetta londinese 4AD, appunto. Le sei tracce mostrano l’evoluzione del gruppo dal suono minimale di “Bela Lugosi’s Dead” al primo album (In the Flat Field, 1980), oscuro ed energico capolavoro – così lo etichetterà anche il produttore e polistrumentista Steve Albini anni dopo – che mostra l’evoluzione dal suono punk-glam inglese verso una visione tormentata ed esistenzialista. Significativa in questo senso la cover di “Rosengarden Funeral of Sores” di John Cale. Più volte apparsi alla corte di John Peel (un doppio album raccoglierà tutte le sessioni della BBC), nei decenni a seguire Peter Murphy e compagni formeranno e riformeranno i Bauhaus. Per amore più del pubblico e degli incassi che per quanto musicalmente dopo quel 1983 sapranno produrre.

PS: Per rendere in qualche modo il favore ai Bauhaus, David Bowie suggerì al regista Tony Scott di utilizzare proprio il brano “Bela Lugosi’s Dead” come traccia di apertura della colonna sonora del film statunitense The Hunger (in italiano Miriam si sveglia a mezzanotte; siamo sempre nel 1983).

Patinato lungometraggio tra vampirismo, immortalità ed erotismo, vede tra gli interpreti anche Catherine Deneuve, Susan Sarandon e lo stesso Duca Bianco. Nella scena, ambientata in una discoteca, i Bauhaus fanno il loro cameo chiusi in una gabbia.

I miei migliori cento

Prefab Sprout, Steve McQueen (1985)

Originariamente l’ho comprato per la copertina che mostrava una Triumph Trophy TR6C della metà degli anni 60 con il calibro singolo e i tubi alti in stile scrambler, una moto che ho sempre voluto possedere. Non sapevo nulla dell’album e avevo poche aspettative, perché in quel periodo la maggior parte dei nuovi dischi erano semplicemente orribili e difficilmente si poteva giustificare l’acquisto di un intero album, figuriamoci andare alla cieca, senza averlo prima ascoltato. Ma questa volta la motocicletta Triumph mi ha preso. Probabilmente è rimasto a casa, su uno scaffale per almeno un mese prima che finalmente riuscissi ad ascoltarlo e wow... ne sono stato subito catturato. Prodotto da Thomas Dolby, il disco è una sequenza infinita di capolavori fusion jazz pop. I principali Prefab Sprout sono i fratelli McAloon, con Paddy che è il frontman e il ‘poeta’ dietro la magia dei suoi testi. Spesso paragonato a Morrissey per lo stile lirico e la presenza scenica, la sua voce è un marchio a sé stante, inconfondibilmente sua e solo sua.

Steve McQueen è stato subito accolto negli Stati Uniti da minacce di azioni legali e quindi è stato venduto con il titolo Two Wheels Good, dimostrando ancora una volta l’infinita follia litigiosa che domina l’Amerika, e sebbene io avessi la copia originale col nome alterato, per me questo disco rimarrà sempre Steve McQueen

Il motivo per cui questo album appartiene alla mia lista dei cento migliori album da ascoltare dall’inizio alla fine è esattamente questo: dalla prima volta che l’ho ascoltato, l’ordine delle canzoni non è mai cambiato e NESSUNA è mai stata saltata. Non ci sono grandi singoli, solo una meravigliosa progressione di bellissime canzoni che ti portano lungo il viaggio musicale del Thomas Dolby degli anni 80. Thomas Dolby AKA Thomas Robertson, lo stesso ragazzo che ha messo a disposizione le sue capacità in ambiti di sintetizzatori e produzione ai Def Leppard di ‘Pyromania’ con lo pseudonimo di Booker T. Boffin, in onore di Booker T. Jones e del suo suono di Memphis.

Un album liscio come il miglior scotch single barrel di trent’anni.

Figli delle stelle (vintage edition)

È il giorno in cui esce Ticino7, ma anche quello nel quale Claudio Baglioni viene lasciato dal passerotto. È l’equivalente della domenica per Fabio Concato, del lunedì per Vasco, del martedì per gli Stones, del mercoledì per Simon & Garfunkel, del venerdì per gli Articolo 31. Fatto salvo il giovedì, per il quale non ci viene in mente nessuna canzone (in “Seven Days”, comunque, Sting i giorni li cita tutti), il sabato italofono per eccellenza è Un sabato italiano, canzone e album del 1983. Per Mario Luzzatto Fegiz, Sergio Caputo – classe 1954, da Roma – è “il re delle tronche”, ovvero colui che meglio ha adattato e ancora adatta allo swing una lingua (quella italiana) che di tronche non abbonda di certo. La cosa è riuscita a pochi, da Carosone a Buscaglione, ad altri che non necessariamente finscono in ‘one’.

Letteratura del ‘Night’

Con Un sabato italiano (cade il 30ennale, anche libro nel 2013), la canzone italiana ha il suo Jumpin’ Jive, album di Joe Jackson che nel 1981 anticipò il cosiddetto ‘retro-swing revival’. Ma laddove il geniale britannico reinterpreta classici swing e jump blues degli anni Quaranta, nel 1983 il geniale Caputo – un solo Ep all’attivo, di professione pubblicitario a tempo pieno – li scrive ex novo, con lessico nuovo. A partire da “Bimba se sapessi”, originariamente “Citrosodina”, rititolata dopo l’intervento del marchio produttore della nota bevanda per digerire, cosa che fa oggi delle prime copie di questo disco una rarità da centinaia di euro.

Nella “Roma felliniana” della title-track a fare da scenografia, sfilano le intimità di “Mettimi giù” e la vita da vivere di “Io e Rino” (con videoclip); in “Mercy bocù”, le swing-sofferenze d’amore sono rette dai sintetizzatori, così come in “Week end”, “E le bionde sono tinte” e nell’altrettanto notturna “Night”, letteratura da locale notturno che cita Bessie Smith, Yves Montand e Fernandel (tronchi).

‘Ne approfitto per fare un po’ di musica’

“Cantami o Diva di quello che vuoi / Magari non gridarmi nelle orecchie mentre suono Jumpin’ Jive”. Tra Cab Calloway e, indirettamente, ancora Joe Jackson, “Spicchio di luna” è l’italian standard che chiude l’album, uno splendido slow che dall’incipit del suo ritornello – “Ne approfitto per fare un po’ di musica” – quel gran comunicatore di Sergio Caputo avrebbe più tardi tratto il titolo di un album dal vivo che è la summa di tutto l’imprescindibile suo, rappresentativo di astronavi che arrivano, italiani che ballano il mambo e viaggi alle Hawaii. Sogni e speranze che nel “Sabato italiano” del 1983 regalano – a ogni ritornello di quella canzone – un prezioso, circolare istante di ritrovata pace: “Il peggio sembra essere passato”.

sabato 14 gennaio 2023 3 Ticino7
DI MARCO NARZISI
Sergio Caputo, Un sabato italiano (1983) Ascolta ‘Mai come ieri’ DI BEPPE DONADIO DI
IL LIBRO

Loretta Bubola

È nata nel Canton Soletta il 23 febbraio 1966 sotto il segno dei pesci. Fatica a stare con i piedi per terra, ma – aggiunge lei –stare nel suo mondo le piace assai. Adora il mare e la natura e per questo motivo ha deciso di viverci una parte dell’anno. La vita l’ha portata a comprendere che l’ascolto è uno dei suoi doni ed è per questo motivo che ha trasformato questa qualità in un lavoro. A quarant’anni molla parzialmente la scrivania e il lavoro amministrativo e si reinventa tra fiori di Bach, yoga per i più piccoli e massaggi infantili. La sua missione? Mettersi al servizio degli altri ma, in primis, togliersi di dosso strati che la costringono e non la fanno esprimere per quella che è la sua essenza. La danza l’ha aiutata a liberare le emozioni attraverso il movimento corporeo. Da poco sta esplorando la sua voce per imparare a cantare. ‘Cambiamento’ è una delle sue parole preferite, oltre a essere linfa vitale e di ispirazione.

Un altro finale

Cosa significa essere donna oggi? Fare la brava figlia, sorella, moglie, mamma, suocera – qui non esageriamo –, amica? Non solo. Infatti, sempre più donne si prendono la libertà di affermarsi seguendo quel che ecegghia dentro di sé. Loretta è l’esempio di una donna che ha imparato con il tempo a dialogare con la sua bambina interiore. “Fin da piccola sono stata ben disciplinata, una persona che seguiva le regole; poi, da adulta, mi sono resa conto che questo modo di essere mi stava stretto. Non ero io veramente. Che ho fatto? Ho iniziato ad infrangere le regole e a prendere i miei spazi”. Loretta segue come da copione le orme del padre che la esorta a lavorare nell’azienda di famiglia, formandosi in ambito amministrativo, imparando per bene il tedesco e atterrando in una storia dal finale prevedibile, che si passa di generazione in generazione. Però, non è andata così: “Quando sono diventata mamma ho sentito che quella professione mi stava stretta; avevo voglia di dare il la a un nuovo capitolo della mia esistenza, e così è stato. Lavoravo nel settore dell’edilizia, mondo prevalentemente maschile, raramente potevo dire la mia. Ho vissuto quegli anni (28 per l’esattezza) trainata da un volere che non era pienamente mio. Quando ho fatto “click”, mi sono rimessa in gioco e ho ricominciato a studiare”. Prima fermata: fiori di Bach.

La chiamata

Come si fa a riconoscere ‘la chiamata’, quell’intuizione che non è frutto di un pensiero o di un rimuginio mentale? “Definisco tutte le cose più belle della mia vita come una chiamata divina che arriva quando meno te lo aspetti; ero in auto con il mio ex marito, lui guidava e io ero al suo fianco; ho esordito dicendo che avrei voluto lavorare con le neomamme e i bambini. Da lì, un susseguirsi di coincidenze e di tanta determinazione mi hanno portata a seguire una formazione in massaggio infantile”. Da lì, Loretta si forma in yoga per bambini, brain-gym e scopre ciò che le urla dentro, la sua direzione: “Avevo quarant’anni e mi ero permessa finalmente di essere la bambina che non ero mai stata seguendo i miei sogni. Ero piena di gioia. Lavorando con i bambini mi sono riconnessa alla mia bimba interiore”.

In contatto

Chi s’interessa del proprio bambino interiore ha affrontato o sta affrontando un cammino di crescita personale. Ogni adulto convive (e cioè, vive con) il proprio se stesso in miniatura. Ne approfondisce la conoscenza accogliendolo, ascoltandolo e intessendo le trame di una nuova conoscenza mirata a essere il classico adulto di cui avevi bisogno quando eri piccolo. “Io e la mia bambina interiore siamo ridiventate amiche. Ho compreso con il tempo che c’era questa presenza e ho semplicemente cercato di capirla. La piccina aveva bisogno di tante cose, e sai cosa? Non sempre credevo di essere in grado di essere all’altezza delle sue richieste, fino a che il mio corpo non si ammalava, non si irrigidiva. La resa è avvenuta quando ho mollato le resistenze e ho iniziato ad ascoltarla, abbandonando la paura di fallire. È stato meraviglioso ed ora io e ‘la piccola’ siamo in contatto costante”.

Fiori di Bach

«La salute è il nostro patrimonio, un nostro diritto. Tutto quello che dobbiamo fare è conservare la nostra personalità, vivere la nostra vera vita. Essere capitano della vera nave. E tutto andrà bene». Così diceva Edward Bach, medico ed omeopata inglese nato nel 1886 e scopritore dei rimedi floreali che tutti conosciamo con il nome di fiori di Bach. Trentotto rimedi floreali naturali in grado di lavorare sullo stato d’animo e sui blocchi emozionali delle persone, supportandole così in problemi psicologici, psicosomatici e fisici. “Tra i vari fiori io mi sento molto Vervain, che si contraddistingue per il suo travolgente entusiasmo contagioso. Sono un’inguaribile idealista. Dulcis in fundo, non posso non citare il fiore Clematis, indicato per chi, come me, ha l’animo gentile, la testa tra le nuvole e ha bisogno di tornare un po’ con i piedi per terra… ma non troppo!”.

sabato 14 gennaio 2023 4 Ticino7 INCONTRI DI NATASCIA BANDECCHI FOTOGRAFIE: © TI-PRESS / PABLO GIANINAZZI
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PRINCIPESSE

Diari di Oaxaca

Avevo comprato il biglietto aereo per il Messico nel febbraio di tre anni fa. La partenza era fissata il 17 marzo 2020 da Genova. Sono atterrato all’alba del 6 aprile dell'anno scorso, una pandemia e quindici ore dopo essere decollato da Zurigo. Nel frattempo, insieme all’aeroporto di partenza, sono cambiati sia il luogo in cui vivo che il mondo. E, a suo modo, pure il Messico. Non so come fosse prima, ma ho un mese di tempo per illudermi di capire com’è ora. (Decima e ultima puntata)

Sono seduto su un muretto di una piazza di Oaxaca. Sto finendo di leggere le ultime pagine che mi sono rimaste di ‘Diario di Oaxaca’ di Oliver Sacks. L’ho comprato nel 2005 e non l’avevo mai letto. E non è proprio vero che c’è sempre tempo, ma a volte sì. Questa è una di quelle.

Ho iniziato a leggerlo prima di arrivare a Oaxaca e, pur essendo un libro che parla di un gruppo di mezzi matti a cui interessano quasi solo felci (matti come tutti noi quando ci fissiamo con qualcosa per un po’ o per una vita intera, che siano piante, un cantante, un gatto o una squadra di calcio) mi è subito entrato dentro. Sacks era così, scriveva così: ci ha spiegato malattie neurologiche rendendole storie affascinanti – mondi alternativi che spiegavano il nostro, di mondo – trovandone anche i lati ironici, senza mai mancare di rispetto al malato e alla malattia.

L’empatia è – ancor più della scrittura, qui semplicissima – la sua principale dote. Leggere qualsiasi cosa scritta da Sacks è come leggere il diario di un amico, col suo permesso. È un’intimità che pochi riescono a creare, pochissimi tra gli scrittori-non scrittori come era lui, che alla fine faceva un altro mestiere.

Poco prima ero stato a visitare Monte Albán, le rovine a due passi da Oaxaca, considerate minori e quindi con pochissima gente. Saremmo stati due dozzine in tutto in un posto antichissimo ed enorme, un privilegio che a volte si tende a sottovalutare.

Leggere proprio lì quel che aveva scritto Sacks di quella gita a Monte Albán con gli amanti delle felci ha avuto quel potere magico di farmi trovare in un unico posto nello spazio e in più d’uno nel tempo. E andrei a ringraziarlo di persona, Sacks, se solo potessi.

non ha mai imparato una sola parola di spagnolo e della colazione con caffè e mezcal (tra i 32 e i 54 gradi), che a quanto pare è un’abitudine non solo sua: “Besos y no tragos”, mi dice. Il mezcal, che qui è una religione, si bacia e si assapora a piccoli sorsi; non si butta giù come si fa con la tequila, che a Oaxaca è figlia di un dio minore. Si beve, per carità, ma se c’è il mezcal, la tequila aspetta. E piante di agave, da cui si ricava il mezcal, sono ovunque per le strade intorno a Oaxaca.

Emiliano mi porta da Monte Albán fino all’altra parte della città e oltre, dove c’è l’albero di Tule, di cui ho letto proprio nel diario di Sacks: si tratta di uno dei più grandi e vecchi alberi del mondo. Pare abbia 1’500 anni, ma forse ne ha di più, potrebbe averne tremila. Nel dubbio sull’enorme pietra che fa da carta d’identità c’è scritto “più di duemila”. In pratica, questo albero probabilmente era già lì quando gli zapotechi stavano costruendo Monte Albán. Che, a pensarci, è una specie di cortocircuito mentale: che sia viva una cosa, accanto a te, che era viva quando erano vivi loro.

La mia persona giusta è un tassista,

che mi racconta come nella zona di Oaxaca ci siano decine di lingue locali che ora vengono anche insegnate nelle scuole. Le autorità hanno cercato di sopprimerle, soffocarle per un po’, ma non ci sono mai riuscite del tutto, e oggi le riscoprono. Emiliano racconta della nonna che

L’albero di Tule, che è largo 36 metri, ha un magnetismo che non riesci a capire a cosa sia dovuto, ma quando sei lì non riesci a smettere di guardarlo, girargli intorno. Pensi di passarci cinque minuti e poi non te ne vai più, come se a un certo punto, con un po’ di pazienza, sperassi ti possa rivelare qualcosa. Non mi dirà niente, o non ho capito. O non ho avuto abbastanza pazienza. Tant’è che Emiliano mi porta a comprare il mezcal e mi consiglia il tobalà in una bottiglieria che sembra l’antro di uno sciamano. Il tobalà ha un gusto più forte, ma è anche più raro e ricercato, perché è un tipo di agave spontaneo e che non si può coltivare, come invece accade per l’espadin, con cui si produce circa l’80 per cento del mezcal di tutto il Paese.

Scendo all’altezza del quartiere di Jalatlaco, che molti viaggiatori snobbano: la gente non ti parla, lo fanno i muri, che hanno

sabato 14 gennaio 2023 6 Ticino7 DISAVVENTURE LATINE TESTO E FOTOGRAFIE © ROBERTO SCARCELLA
Emiliano Arrivare a Monte Albán, sebbene non sia poi così lontano, è complicato, perché tutto in Messico è complicato. E Oaxaca, pur essendo una specie di capitale alternativa del Paese, non fa eccezione. Cucina e cultura, mezcal e arte: questa è l’anima, ma anche la superficie di Oaxaca. Tutto quel che sta nel mezzo va scoperto, capito, digerito, sempre che se ne abbia il tempo. Sempre che si trovino le persone, le situazioni giuste. Emiliano,

disegnato sopra di tutto: tanti scheletri, per cominciare, tra cui uno che suona uno strumento metà trombone, metà contatore della luce e poi tre uomini-uccello che sembrano quasi ripararsi dietro a un motorino di passaggio.

Nicola

Il centro di Oaxaca, poco più in là, si può dividere in tre sezioni: in basso la zona dei mercati, popolare, in alto quella dei musei, delle chiese più appariscenti e dei locali alla moda, in mezzo c’è lo Zocalo, la piazza principale, che è un concentrato di Messico in bilico tra l’anima più ruspante a sud, e quella più cosmopolita, poco più su.

Lo Zocalo è il luogo in cui si trova di tutto e dove tutto prima o poi passa, compresa una bambina che volteggia con in faccia una mascherina e in mano un unicorno gonfiabile.

I locali, in serie, sembrano musei viventi di un tempo andato: sono vecchi i nomi dei locali, sdruciti i vestiti di chi è seduto e annoiati i camerieri che si trascinano da un lato all’altro della piazza. I veri protagonisti sono però i musicisti, alcuni di strada, altri ingaggiati da qualche bar, che quasi si fanno una guerra a colpi di note per attirare turisti. La più gettonata, che mi resterà in testa a tal punto da metterne tre versioni diverse su Spotify, è “Cuarenta y veinte”, storia di un amore osteggiato tra un uomo e una ragazza con vent’anni di differenza. Nel testo ci sono tutti i cliché del caso: uno è l’autunno e l’altra la primavera, uno è l’esperienza e l’altra l’innocenza, come se certe patenti le prendessi con l’età e tutti alla stessa età. Non è mica così. Ma “Cuarenta y veinte”, oltre a essere l’inno non ufficiale di questo pezzo di Messico ha dentro una frase che può contenere dentro tutte le altre: “Es el amor lo que importa, y no lo que diga la gente”. Dagli torto.

Fra le tre versioni che ho deciso di scaricare sul mio telefono ce n’era una che mi colpiva di più. A cantarla non era un messicano, ma Nicola Di Bari. A volte il mondo è piccolo.

Oliver Anche lì allo Zocalo - tra una versione struggente e una più pop di “Cuarenta y veinte” - sotto un albero che mi sarebbe sembrato enorme se non avessi visto da poco quello che era già lì quando c’erano gli zapotechi e non c’era niente di quel che c’è ora, ho letto un po’ del diario di Sacks. Un libro che sarebbe pure corto, eppure sembra che sia disseminato dappertutto lungo un viaggio durato più di un mese.

Oltre al “Diario di Oaxaca” mi ero portato altri due libri: “Messico: istruzioni per l’uso” di Jorge Ibargüengoitia, che è stato il mio scioglilingua e anche lo spirito guida che mi ha raccontato con ironia il suo Paese, la sua gente, che poi alla fine siamo un po’ tutti noi, anche se magari il Messico l’abbiamo appena intravisto o non lo vedremo mai. Memorabile la sua descrizione di quelli che si alzano troppo presto. O di quelli che credono di avere un superpotere solo perché bevono il caffè amaro. E di come ci viene insegnata la storia, “che risulta noiosa, ma non per via dei fatti, che spesso sono vari e molto interessanti, ma perché a coloro che l’hanno confezionata interessava di più giustificare il presente, che spiegare il passato”.

Poi ho portato “La polvere del Messico” di Pino Cacucci, che mi scuserà se mai leggerà ’ste quattro righe. E se non mi scuserà, amen. Il suo libro merita quasi solo per un racconto dei combattimenti tra galli, di chi li allena, delle abitudini di un altro mondo fanatico (come per le felci, ma con il sangue e gli speroni sulle zampe) e assurdo ai nostri occhi.

Il resto del libro, strapieno di parole spagnole buttate lì anche quando non è il caso, mi pare un po’ troppo “tanto io so e ho capito più di voi, so e ho visto più di voi...”. A volte infastidisce. O magari sono solo io che ora penso di saperne più di lui. E così mi sono permesso di leggere solo quel che mi andava, seguendo alcuni dei punti fermi del decalogo di Pennac (il diritto di saltare le pagine, il diritto di non finire il libro…).

Ecco, io mi tengo stretto Sacks, che non ha bisogno di niente per dimostrare niente, se non mostrare se stesso e quel che vede, quasi scusandosi per l’intromissione. È stato bello fare un pezzo di strada assieme.

Poi ti dicono che viaggi da solo. Mica vero.

Frida

Nella città che canta l’amore tra un quarantenne e una ventenne, io stesso finirò intrappolato in quelle parole, come un destino inevitabile, dentro un pomeriggio troppo caldo per fare qualcosa che non fosse bere birra ghiacciata: aveva un nome che sembrava uscito pure quello da una canzone e si chiamava Frida de la Selva. Poteva essere e non è stato. Con lei però siamo finiti, in piena notte, in un locale che sembrava l’unico aperto in un raggio di chilometri, a bere e a parlare con i suoi amici, tutti camerieri, cuochi, baristi: c’era il sommelier che conosceva il Primitivo di Manduria e l’esperto di formaggi che sapeva elencare più formaggi svizzeri di me. Poi c’era il solito impallinato di calcio, lei che mi proponeva viaggi fantastici che non avremmo mai fatto e tanto mezcal che però tutti ingollavano e nessuno beveva “baciandolo”, a piccoli sorsi, come diceva Emiliano, il tassista che sembrava saggio solo perché mi ha portato vivo a destinazione e parlava di nonne che parlavano lingue che non si parlano più.

Frida il giorno dopo si smaterializzerà, come le note di una canzone finita; due dei suoi amici li incontrerò in giro: non sanno dov’è, o forse mentono. E poi, alla fine, chi se ne importa: tra meno di 24 ore sarò di nuovo a Città del Messico, tra 48 su un aereo che mi riporta in Europa. Il vantaggio e il limite delle canzoni, per chi le canta e per chi le ascolta, è che la storia è quella, inizia e finisce, sempre uguale. Al massimo si ripete. Nella vita non succede, e non puoi nemmeno chiedere di far suonare la stessa canzone - quella in cui eri dentro - ai musicanti della piazza: la magia non funziona, nonostante in giro ci sia quella ragazzina con l’unicorno.

Eppure l’atmosfera dello Zocalo, proprio come attorno all’albero di Tule, qualche chilometro più in là, si porta dietro qualcosa che ha a che fare con la magia del tempo, soprattutto al tramonto, in cui tutto pare eterno, sospeso. Resti lì, su una panchina o a un tavolino del bar, si direbbe a oziare, ma è qualcosa di più. O di meno.

sabato 14 gennaio 2023 Ticino7

SENZA PAROLE © DORIANO SOLINAS

2 BIGLIETTI PER JAZZCAT CLUB

del concerto “D*U*O* - FRANCESCA TANDOI & ELEONORA STRINO ” del 27 gennaio

Orizzontali 1. Doppia cascata in Valle Maggia 8. Località del Moesano 12. Prive di firma 13. Perry, avvocato da telefilm 14. Può essere matrimoniale 15. Strade alberate 17. Il nome dell’architetto Carloni (1931-2012) 18. Località della Verzasca 19. Simbolo chimico dello stronzio 20. Edoardo per gli amici 21. Un lago tra Maggia e Leventina 22. Andato col poeta 23. Divinità solare egizia 24. Gustave, pittore e incisore (1832-1883) 25. Lunghissimo periodo di tempo 27. Giorno della settimana 29. Un diminutivo di William 31. Una divinità nordica 33. Antico toponimo per la Svizzera 35. Prefisso per uguale 36. Incolumi, non feriti 37. Giudicata colpevole 38. Un pezzo degli scacchi 39. Sulle targhe di Gossau

Spedisci un SMS al 434 (CHF 1.–/SMS) scrivendo TI7 <spazio> SOLUZIONE e partecipa all’estrazione. Termine di partecipazione: giovedì prossimo.

PREFERISCI GIOCARE ONLINE? Vai su laregione.ch/giochi

40. Iniziali di Ceroni 41. Morbida, amorevole 42. Il nome di Foscolo 43. Bugiardi, contafrottole 45. Ha per simbolo chimico Au 46. Profondo in poesia 47. Amministratrice, gerente 50. Femmine di plantigrado 52. Sprovviste, non dotate 53. Articolo spagnolo 54. Altro nome della nafta 56. C’è a Verona 58. La fine di Sempronio 59. Irriguardosi, maleducati 61. Non situato all’interno 62. Precede il nome del prelato.

SOLUZIONE DEL 31.12.2022 VERDABBIO Soluzione completa su laregione.ch/giochi

Al vincitore facciamo i nostri complimenti.

ca, caverna 13. Un pianeta del nostro Sole 16. Collere, rabbie 18. Competizioni, sfide 19. Gambi di fiore 21. Precede il decimo 22. I primi passi 24. Una parte di Claro 26. Grassa, adiposa 27. La Monna di Leonardo 28. Relativi a un antico popolo balcanico 30. A Locarno c’è lo Zorzi 32. Un numero tondo 34. Vaso sanguigno 36. Si nutre di carogne 37. Sono lavate di capo 38. Si appoggia allo scalmo 39. Paura, panico 41. Un lago della Lavizzara 42. Un toro antico 44. Marca svizzera di orologi 45. Mansione, compito gravoso 48. Una forma quasi circolare 49. Il nome di Berset 51. Un capo… arabo 52. Alberi delle conifere 55. Principio di lirismo 57. Fine inglese 60. Iniziali di Respighi. © ceck 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 ORIZZONTALI 1 Doppia cascata in Valle Maggia VERTICALI

sabato 14 gennaio 2023 8 Ticino7
© ceck
GIOCA
TICINO7
CON
VINCI
Verticali 1. Antico strumento musicale a corde 2. Città nella contea USA di Madison 3. Un gioco con i numeri 4. Porta di armadio 5. Il Creatore 6. 999 romani 7. Antichi frigoriferi 8. Rientranza marina, insenatura 9. Divinità nordiche 10. I confini di Muzzano 11. Spelon8 12 43 56 58 31 18 30 22 60

Alpe Formazzora

Trekking in Valle Bedretto all’ombra del Poncione di Valleggia

Alpe Formazzora

Corte principale Formazzora, 1’652 m

Corti Stabbiascio, 1’914 m Val d’Olgia, 2’063 m

Ubicazione Val Bedretto

Periodo carico Metà giugno, metà settembre

Ultimo paese Ronco

Coordinate 679.296 / 148.494

Proprietà Patriziato di Mairengo

Gestore Boggia Alpe Formazzora di Mairengo

Tipo formaggio Semiduro grasso, 100% latte di mucca

Altri prodotti Burro, ricotta

Dicitura Scalzo Formazzora

Animali 85 mucche da latte, 20 maiali

Produzione Ca. 1’700 forme a stagione da 4,5-5 kg cadauna

Mungitura Mungitura meccanica

Caseificio Formazzora (trasporto latte con lattodotto)

Acquisto All’alpe è possibile acquistare formaggio, burro

A pochi passi dalla strada principale che da Airolo sale verso il passo della Novena, in località All’Acqua troviamo, sulla sponda destra del fiume Ticino a 1’652 metri di quota, l’Alpe, custodito e protetto da antichi larici che ci accolgono come numi tutelari. L’edificio è fra i più belli dell’intero Canton Ticino, grazie alla sua architettura che accoglie la pietra locale in una splendida struttura di travi a vista, instaurando così un dialogo diretto con gli elementi che lo circondano. Ma le forme tradizionali dell’esterno non devono ingannarci: l’Alpe di Formazzora racchiude come uno scrigno un moderno caseificio, nel quale il latte proveniente dai corti secondari, Stabbiascio (1’914 m.s.l.m) e Val d’Olgia (2’063 m.s.l.m), è convogliato tramite uno speciale «lattodotto».

A trasformarlo è però ancora un’arte casearia che affonda le sue radici

in una lunghissima storia di casari d’eccellenza (molti dei quali di origine valtellinese). La posizione agevole ne ha facilitato uno sviluppo che ha raggiunto dimensioni notevoli, con un’ottantina di mucche e una ventina di maiali. Sul posto vi è la possibilità di acquisto diretto dei prodotti da parte dei visitatori. Il bestiame è libero di pascolare fino alle pendici del Passo San Giacomo, che marca il confine con l’italiana Val Formazza: da qui passarono molti italiani che, in periodo bellico, cercavano rifugio presso la Confederazione.

Il prodotto, dalla pasta elastica e soffice e dal colore giallo paglierino, presenta un connubio di suggestioni che spaziano dalla preponderanza lattica e burrosa a note vegetali – testimonianza dei vasti pascoli – e di frutta secca. Esso è acquistabile agevolmente in loco.

Itinerario corte principale

→ Da «Airolo» si percorre la strada cantonale della «Val Bedretto» sino ad «All’Acqua» (1’614 m), 300 metri dopo questa località si imbocca una stradina che scende a sinistra fino a un ponticello sul fiume «Ticino» (da qui la strada è chiusa al traffico). Passato il ponte, si segue la strada sterrata sulla destra e in breve (350 metri) si raggiunge l’Alpe «Formazzora» (1’652 m).

Da «Airolo»: in auto 20 minuti.

Strada cantonale della «Val Bedretto». Posteggio ad «All’Acqua».

Escursioni

→ San Giacomo: dal corte «Val d’Olgia» (2’063 m), si segue il sentiero che sale indicativamente lungo la linea dell’alta tensione sino a «San Giacomo» (2’254 m), dove vi è una chiesetta e la casa delle guardie di confine (da questo punto seguendo un sentiero

BancaStato èlaBanca di riferimento in Ticino

pianeggiante di 4,2 km per 45 minuti si può raggiungere la Capanna «Corno Gries»).

Dal Corte Val d’Olgia a San Giacomo: sentiero bianco-rosso, 200 m disl., 1,1 km, 30 min.

Il

Abbiamo tuttibisogno di puntifermi, di certezze edisicurezze. Noi vi offriamo il costante impegno di esseredasemprecon il Ticino eper iticinesi.

sabato 14 gennaio 2023 9 Ticino7 bancastato.ch
noi per voi ALPEGGI A CURA DI SALVIONI EDIZIONI
ALPE FORMAZZORA, 1’652 M (© ELY RIVA, FABRIZIO BIAGGI)
Ai “Boggesi”
28 luglio 1358 i fratelli
venduto l’Alpe
Curiosità 4 6 ° 29 ’ 02 ’ ’ N 8˚27 ’ 39 ’ ’ E Scopri il percorso
Gasparus e Martinus hanno
per 155 lire al Patriziato di Tarnolgio (oggi Patriziato di Mairengo). Ancora oggi l’Alpe Formazzora è in loro possesso e viene affittata annualmente ai “Boggesi”.
sabato 14 gennaio 2023 10 Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE

Le bambine sostengono che qualche compagno di classe abbia visto tutte le puntate, noi adulti ribattiamo che è molto difficile che a 9-10 anni un bambino possa sostenere Mercoledì, la serie di Tim Burton dedicata al personaggio più famoso della Famiglia Addams. Eppure, benché la presenza di creature mostruose renda la visione certamente sconsigliata ai piccoli, non c’è niente di terrificante nel mondo di Mercoledì ricreato da Tim Burton. Il regista inglese mantiene intatta una caratteristica peculiare della Famiglia Addams degli anni Sessanta, quella di cui cantavamo la sigla e ammiravamo le stranezze in bianco e nero: il mondo degli Addams è capovolto ma genuino, assurdo e intrinsecamente sano. Sicché anche in questa nuova, riuscitissima, versione del mondo degli Addams firmata Tim Burton e incentrata su Mercoledì, si capisce presto che la chiave di lettura non è – come si dice – “da vicino nessuno è normale”. A rendere prezioso questo racconto non sono tanto la bontà e autenticità di Mercoledì sotto le apparenze da disadattata: Mercoledì è a tutti gli effetti una strana ragazzina disadattata. Non sorride, non abbraccia

nessuno, detesta la compagnia degli altri e non ne fa mistero. E, in fondo, al netto di un finale che cede a qualche accento buonista, Mercoledì resta ciò che è per tutta la serie: una ragazzina strana, appunto. Nella scuola che l’accoglie dopo una lunga serie di espulsioni di altri istituti, la giovane Addams è circondata da ragazzine licantropo, adolescenti medusa e sensuali sedicenni con amuleti da sirena. È soltanto la più evidentemente strana in questo circo di adolescenziali stramberie. Gli amori, le storie, i balli della scuola sono situazioni che Mercoledì e i suoi compagni vivono sopportando sé stessi e le proprie mostruosità. A qualcuno andrà bene, a qualcuno andrà male. E al termine di otto puntate irresistibili, capaci di creare momenti indimenticabili come l’arcinota scena al ballo della scuola, da settimane trend su TikTok, amerete Mercoledì non per quello che diventa, ma per quello che è sempre stata dall’inizio. Una ragazzina che ha una semovente mano mozzata e uno zio criminale come unici amici.

Caleidoscopio

Ho ritrovato questa panchina in un angolo oscuro del mio computer. È balzata fuori da una cartella dimenticata, come un miraggio, in tutto il suo misterioso candore. Mi sono chiesto: dov’ero, com’è successo, in quale momento della mia vita ho tentato di sedermi qui? Ma è stato inutile. L’ho spostata quindi nella cartella che ho chiamato PP (Panchine Perdute). Mi è già capitato di scattare una foto per questa rubrica e poi di scordarla. In genere riesco a recuperarle, ma questa continua a sfuggirmi. Ho un solo elemento: l’immagine risale al gennaio dello scorso anno e ritrae un luogo nella Valle di Blenio. Al momento d’inserire la panchina nella cartella PP, qualcosa dentro di me si è ribellato e mi sono detto che non potevo condannarla all’oblio. C’è qualcosa in lei che mi affascina e chissà, magari qualche lettore riconosce il luogo dalle montagne sullo sfondo. Mi sono anche detto che, a pensarci bene, questa panchina è il simbolo di una persona che cerca di ricordarsi qualcosa: la memoria è lì, custodita sotto la neve, in attesa della primavera.

ALTRI SCHERMI

UN CAVEAU INVIOLABILE

La nuova serie antologica Caleidoscopio si svolge nell’arco di 25 anni e segue una banda di ladri abilissimi nel loro tentativo di aprire un caveau apparentemente inviolabile. Sotto l’occhio vigile della più potente squadra di sicurezza aziendale del mondo e delle forze dell’ordine, ogni episodio rivela una tessera di un elaborato puzzle di corruzione, avidità, vendetta, complotti, alleanze e tradimenti. In che modo la banda di ladri ha architettato il piano? Chi la farà franca? Di chi ci si può fidare?

DUE SQUADRE

Il racconto che si delinea su più di due decenni offre la possibilità di conoscere bene i componenti delle due squadre in eterna lotta: i ladri e gli uomini della sicurezza. Leo (Giancarlo Esposito), a capo della squadra di ladri è intelligente e motivato, con la mente di un ingegnere e un meticoloso occhio per i dettagli. Roger (Rufus Sewell), invece, è un ex ladro che si è reinventato come esperto di vigilanza. Un uomo potente, che rivela una straordinaria capacità di manipolare le persone per i suoi fini.

QUALE EPISODIO?

La serie adotta un approccio alla narrazione non lineare, con diverse esperienze di visione. Gli spettatori possono iniziare da determinati episodi (come gli episodi “Giallo” o “Verde”) e poi approfondire il proprio ordine di visione con altri episodi (“Blu” o “Viola” o “Arancione”, seguiti da “Rosso” o “Rosa”) fino all’epico finale della storia “Bianco” (il colpo). L’ordine in cui si guarderanno influenzerà il punto di vista sulla storia, sui personaggi e sulle questioni in sospeso al centro della rapina. Un vero caleidoscopio!

L’URAGANO

Creata da Eric Garcia, anche autore di romanzi fantascientifici come “Anonymus Rex” e “Repo Man”, la serie è liberamente ispirata alla storia vera dei settanta miliardi di dollari, in obbligazioni, scomparsi nel centro di Manhattan durante l’uragano Sandy. Tra il 29 e il 30 ottobre 2012, l’uragano colpì New York e la zona di Manhattan, fortemente inondata, rimase priva di corrente per ore. Caleidoscopio, in streaming su Netflix, è composta da otto episodi che coprono l’arco temporale da 24 anni prima a 6 mesi dopo il colpo.

sabato 14 gennaio 2023 11 Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO Coordinate: 2'717'025; 1'149'357… o giù di lì Comodità: ★☆☆☆☆ Vista: ★★★★★ Ideale per… scavare nella memoria. Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direttore Beppe Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione, redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch • laregione.ch Servizio abbonamenti tel. 091 821 11 86 • info@laregione.ch Pubblicità Regiopress Advertising via C. Ghiringhelli 9, CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 90 • pub@regiopress.ch ticino7
DA QUALCHE PARTE INTORNO A LEONTICA DI ALBA REGUZZI FUOG Scegli il percorso SOPRA LA PANCA
MERCOLEDÌ NON FA PAURA
TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI

A Tenero ritorna Sportech

Da mercoledì 25 a venerdì 27 gennaio, al Centro sportivo nazionale della gioventù

Le giornate di Sportech, dedicate alla scienza e della tecnologia applicate allo sport, dopo tre anni tornano al Centro sportivo nazionale della gioventù (CST) di Tenero. L’ottava edizione, che si svolgerà dal 25 al 27 gennaio, si rivolge alle allieve e agli allievi delle scuole medie, professionali e superiori con l’intento di avvicinarli in modo didattico e divulgativo alla scienza e alla tecnologia.

Sono sette le macro aree che compongono l’offerta di Sportech: la biomeccanica e la fisica; la comunicazione; il corpo umano, la medicina sportiva e la fisiologia; i supporti tecnici; la neuroscienza e la psicologia; la riabilitazione e la prevenzione; le scienze d’allenamento, le scienze del movimento e l’alimentazione Per ognuno di questi ambiti sono proposte attività didattiche accomunate da una forte componente interattiva che permette ai partecipanti di apprendere i concetti e le applicazioni tecnologiche nello sport in modo pratico e divertente.

La manifestazione è organizzata dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) e dal Centro sportivo nazionale della gioventù Tenero (CST), in stretta collaborazione con l’Accademia svizzera delle scienze tecniche (SATW), il Dipartimento Educazione, Cultura e Sport (DECS), l’Ente Ospedaliero cantonale (EOC) e beneficia del media partenariato della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana (RSI).

Cronisti sportivi per un giorno

La RSI, Media Partner dell’evento, sarà presente anche con il laboratorio TV Lab, un progetto che mostra al pubblico quali professioni e attività si celano dietro a una produzione televisiva.

Le allieve e gli allievi avranno la possibilità di visitare l’unità mobile con una guida esperta e di improvvisarsi cronisti sportivi, presentatori, tecnici audio e video, il tutto con l’aiuto di una mini troupe di professionisti RSI. In questo modo si avrà la possibilità di toccare con mano strumenti e tecniche utilizzati quotidianamente nel mondo televisivo, in particolare in ambito sportivo.

Maggiori informazioni: sportech-tenero.ch rsi.ch/eventi

Le leggendarie discese di Wengen e Kitzbühel

È sufficiente nominarle e già vengono i brividi: Lauberhorn e Streif, le due piste più celebrate della storia dello sci tornano a regalare spettacolo a tutti gli appassionati.

In diretta su RSI LA 2, il Circo Bianco fa tappa dapprima a Wengen, nell’Oberland bernese (oggi in programma la discesa alle 12.25), e poi nel fine settimana del 20-22 gennaio a Kitzbühel.

Un classico doppio appuntamento che, oltre al consueto spettacolo regalato da due piste difficilissime e inserite in cornici naturali mozzafiato, quest’anno sarà anche l’occasione per salutare un campionissimo dello sci elvetico. Beat Feuz ha deciso infatti che queste gare, le più amate dal fuoriclasse bernese, saranno le ultime della sua splendida carriera, costellata da medaglie olimpiche (campione a Pechino 2022), titoli mondiali e ben quattro coppe di discesa.

Nel 1992 la Collezione Thyssen-Bornemisza, composta da ottocento opere che spaziano dal Rinascimento italiano alla pittura moderna, lascia Lugano alla volta di Madrid. Finisce l’epoca delle grandi mostre sulle sponde del Ceresio. I cancelli di Villa Favorita restano così chiusi per una trentina d’anni. Oggi una mozione chiede che vengano riaperti al pubblico, ma la formula per farlo non è facile da trovare.

Nel Locarnese inizia invece la storia di un’opera di Monet. Ospitato sulle sponde del Verbano negli anni ’30, il quadro ricompare due anni fa al Kunsthaus di Zurigo, suscitando polemiche. Secondo alcuni il capolavoro acquistato dalla Collezione Bührle negli anni della persecuzione nazista, andrebbe restituito ai proprietari precedenti, e cioè la famiglia ebrea che lo aveva esposto sulle isole di Brissago. Falò approfondirà queste due vicende legate all’arte nel Canton Ticino.

Colpito da un tumore incurabile, Raymond Boulanger rivela per la prima volta molti dei segreti che hanno costellato la sua vita di mercenario. Dalla CIA a Pablo Escobar, dai deserti libici al cartello di Cali, passando dall’Iran e dal Belgio.

Pilota temerario e uomo d’affari, Raymond Boulanger ha vissuto una quantità incredibile di avventure, la più nota delle quali è il “volo di Casey”. Nel novembre del 1992, dopo otto ore di volo disseminate di imboscate, atterra clandestinamente sulla minuscola pista dell’aeroporto di Casey, nel nord del Québec. A bordo ci sono 4 tonnellate di cocaina valutate più di un miliardo di dollari. I suoi complici, tuttavia, non lo aspettano sulla pista com’era concordato. Quello che doveva essere il suo ultimo volo diventa un incubo: perde la libertà

e i 40 milioni di dollari pattuiti per la ricompensa. Ma nonostante tutto conserva il sorriso e non manca una strizzatina d’occhio all’incontro con i media. E se il “pilota invisibile” riesce a mantenere la calma è perché ha vissuto avventure ben più pericolose di questa... Mercoledì 25 gennaio, sempre in prima serata su LA 2, la miniserie si completerà con il terzo e quarto episodio. Vita!

sabato 14 gennaio 2022 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 15.1 al 21.1 12 IN
PRIMO PIANO
Dal 14 al 22 gennaio in diretta su LA 2
2 Falò Giovedì 19 gennaio alle 21.10 su LA 1 Il pilota invisibile: dalla CIA a Pablo Escobar Ticino, l’arte ritrovata
Mercoledì 18 gennaio alle 21.05 su LA
Un documentario di Sebastien Trahan Con Michele Galfetti Falò

IN PRIMO PIANO Il robot

che fa scuola

Quale ruolo dovrebbero avere la robotica e la tecnologia digitale in un contesto scolastico?

Ne Il giardino di Albert, affronteremo il tema della robotica educativa partendo dal progetto Thymio, un piccolo robot sviluppato nel 2011 al Politecnico Federale di Losanna (EPFL) e di Zurigo (ETH).

Poche settimane fa, il padre di Thymio, Francesco Mondada, oggi direttore del Center for Learning Sciences del Politecnico di Losanna, ha ricevuto il Polytechnik-Preis, importante premio assegnato a chi lavora nell’ambito dell’educazione alle discipline tecniche e scientifiche, dalla Stiftung Polytechnische Gesellschaft di Francoforte, con il patrocinio del ministero tedesco dell’educazione. Un riconoscimento che premia un grande progetto che porta il progresso nelle scuole di ogni grado e ordine, dalla scuola dell’infanzia all’Università. Thymio oggi si fa spazio in un tempo in cui genitori, insegnanti, esperte ed esperti s’interrogano su quanta importanza dare al digitale nella scuola, in cui rischia di crearsi un solco fra quello che si fa in classe e il mondo della tecnologia.

Grazie all’importante lavoro di un team di ricercatori del Dipartimento formazione e apprendimento (DFA) della SUPSI, di docenti appassionati e di altre realtà locali, la robotica educativa è riuscita a trovare sempre più spazio anche nella Svizzera italiana. Ospiti della trasmissione – a cura di Fabio Meliciani – Francesco Mondada e Lucio Negrini, responsabile del Laboratorio tecnologie e media in educazione della SUPSI.

Schindler’s List

Il giardino di Albert Sabato 14 gennaio alle 18.00 su Rete Due

Il Giorno della Memoria

La RSI, in occasione del Giorno della Memoria per le vittime dell’Olocausto di venerdì 27 gennaio, propone sette appuntamenti cinematografici.

Martedì 17 gennaio, alle 23.25 su LA 1, aprirà il ciclo Schindler’s List, celebre pellicola prodotta e diretta da Steven Spielberg nel 1993. Il film rievoca la figura di Oskar Schindler, l’industriale tedesco che, durante la Seconda guerra mondiale, salvò la vita di oltre mille ebrei.

Dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe naziste, Schindler riesce ad accattivarsi la simpatia dei pezzi grossi delle SS e ad impiegare ebrei nella sua fabbrica, come manodopera a basso costo. Intanto inizia ad aprire gli occhi sull’assurdità e la crudeltà della follia nazista.

Il ciclo proseguirà con La conferenza e La spia della resistenza, rispettivamente martedì 24 e 31 gennaio su LA 1. Giovedì 26 gennaio doppio appuntamento in prima serata su LA 2, con Operation Finale e Hurricane Saranno infine Il Cacciatore di Nazisti e Lettere da Berlino i film protagonisti nel Giorno della ricorrenza, dalle 21.00 su LA 2.

Martedì 17 gennaio alle 20.30

al Cinema Otello di Ascona

Mercoledì 18 gennaio alle 20.30

al

Je suis noires

Giugno 2020. La folla è scesa nelle piazze di Ginevra, Zurigo e Losanna per denunciare il razzismo strutturale: un fatto senza precedenti in Svizzera, paese spesso percepito come un paradiso di pace e prosperità, ma dove il più delle volte il benessere apparente non riguarda le minoranze.

Questo avvenimento tocca profondamente la giornalista svizzera-congolese Rachel M’Bon che, insieme alla regista Juliana Fanjul, decide di dare voce a sei donne, che raccontano la loro ricerca di identità e la negazione della propria origine, che questo tipo di stigmatizzazione può causare.

La giornalista mette in discussione il suo passato e il suo presente e si pone come specchio nei confronti del suo Paese. Alle Anteprime ticinesi presenzierà Juliana Fanjul, co-regista del documentario coprodotto da RTS.

The Rookie In prima TV la quinta stagione

In un’età in cui la maggior parte delle persone è all’apice della carriera, John Nolan si è trasferito a Los Angeles per inseguire il sogno di diventare un poliziotto, dopo aver dimostrato un grande coraggio durante una rapina in banca nella sua piccola cittadina di provincia.

Circondato da reclute di vent’anni più giovani, dovrà destreggiarsi nel pericoloso, divertente e imprevedibile mondo delle strade di Los Angeles.

La nuova stagione vede l’agente Nolan trovarsi ancora una volta faccia a faccia con la serial killer Rosalind, mentre gli agenti Bradford e Chen lavorano sotto copertura con il detective Lopez e il dipartimento di polizia di Las Vegas per arrestare i leader di un’importante organizzazione criminale.

La serie – creata dal produttore e sceneggiatore di Castle, Alexi Hawley, e ispirata a fatti realmente accaduti – è un crime drama dai toni leggeri, in cui a momenti più comici si mescolano gli elementi tipici del poliziesco, dando vita ad un prodotto fresco e innovativo.

sabato 14 gennaio 2022 Ticino7 • Programma Radio&TV • dal 15.1 al 21.1 13
rsi.ch/albert Cinema LUX art house di Massagno
Da mercoledì 18 gennaio alle 21.10 su LA 1
ANTEPRIMA CINEMA rsi.ch/eventi
Da martedì 17 gennaio su LA 1 e LA 2
Francesco Mondada

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