Ticino 7 N1

Page 1

E ti amo Rino

ticino7

MALTA PORTOGALLO

ITALIA, UNGHERIA

Leonardo, Einstein, Sartre, Roosevelt. Rino Gaetano non compare nella lista dei figli unici che hanno fatto la storia perché fu il fratello di Giuseppe e Anna (così doveva chiamarsi la canzone, ma si chiamò ‘Gianna’). ‘Mio fratello è figlio unico’, inno all’emarginato, denuncia dell’ipocrisia, è uno dei suoi manifesti.

“I tre moschettieri sono stati Antonello Venditti, Francesco De Gregori e Rino Gaetano, e peccato che quest’ultimo non sia più tra noi”, scrive il talent scout Vincenzo Micocci in ‘Vincenzo io t’amazzerò – La storia dell’uomo che ha inventato i cantautori’. Micocci, che Alberto Fortis voleva ammazzare (poi fecero la pace), non c’è più nemmeno lui. Nel suo libro ricorda di quando, all’inizio, Rino si rifiutava d’incidere le

proprie canzoni, portando in studio un amico affinché lo facesse al posto suo. “Non si considerava all’altezza, gli sembrava un atto di presunzione”. Dice ancora Micocci: “Pensando a lui mi viene in mente di accostare la sua vita e le circostanze della sua morte (…) alla figura di Gesù Cristo, che è stato capace di amare incondizionatamente uomini e donne, pur privilegiando queste ultime, che rappresentano la vita”.

(“Son figlio unico, la mia casa è vuota senza te”, da ‘Figlio unico’, Riccardo Del Turco, 1966. È la cover di ‘Trem das Onze’, del brasiliano paulista Adoniran Barbosa)

sabato 7 gennaio 2023 1 Ticino7 numero 1 A CURA DELLA REDAZIONE
SVIZZERA 43 %
53,9 % 60,1 % 71 %
figlio unico
Son

Figli unici

dello

Fra i molteplici cambiamenti che hanno interessato le famiglie nel corso degli ultimi decenni, uno dei più evidenti è la tendenza a fare meno figli. La Svizzera non fa eccezione, sebbene qui la maggioranza dei bambini abbia ancora almeno un fratello o una sorella. Secondo Eurostat, in Svizzera la percentuale di figli unici è pari al 43%, contro una media europea del 49,1% con Paesi che toccano picchi del 53,9% (Italia, Ungheria), 60,1% (Portogallo) e 71% (Malta). Così, se fino a una generazione fa essere figli unici rappresentava ancora una rarità, ora il numero di bambine e bambini senza fratelli o sorelle è in aumento.

Fuori dell’Europa, il caso di gran lunga più eclatante è quello della Cina, la cui politica del figlio unico, adottata nel 1979, ha drasticamente trasformato la struttura della società nelle ultime tre decadi. Gli psicologi (e non solo loro) s’interrogano da sempre su questa condizione, che le contingenze hanno reso nuovamente d’attualità.

A fronte degli autorevoli studi condotti sull’argomento, partirei però da un’impressione di carattere puramente soggettivo, basata cioè sui “figli unici” che conosco di persona. Se mi soffermo a riflettere su di loro - che sono diversissimi per età, genere, personalità e storia - c’è in effetti una caratteristica che mi sembra ricorrere. Ciascuno/a secondo il proprio stile, hanno tutti/e una particolare propensione a instaurare rapporti di tipo amicale, che talvolta risultano addirittura più importanti di quelli familiari o di coppia. Nella mia esperienza, i figli unici tendono cioè ad attribuire una particolare rilevanza al fatto di avere degli amici e al condividere con loro momenti di vita significativi, sia in forma diadica che in riferimento al gruppo di appartenenza. Indipendentemente dal fatto di essere più o meno estroversi, sono sensibili alla dimensione relazionale e amano il gioco di squadra, che si tratti di suonare in una band o di organizzare un pigiama party. I figli unici che conosco non sono né leader né gregari; semplicemente, amano stare in compagnia dei propri simili.

Dividere e condividere

Questo è ciò che osservo nell’ambito del mio poco rappresentativo campione di conoscenze, e siccome mi piace darmi ragione citerò subito un interessante studio pubblicato quest’anno da un team di ricercatori delle Università di Harvard (USA) e Hangzhou (Cina) sul comportamento di condivisione nei bambini figli unici e in quelli con fratelli e sorelle (Xiao et al., “Children with siblings differ from only children in their sharing behaviour” in Early Child Development and Care, 2022). La “condivisione” è un’attitudine pro-sociale che consiste nel “concedere l’uso, il godimento o il possesso parziale di un bene, anche nel caso in cui si configuri come mutuo utilizzo, godimento o possesso” (Merriam-Webster, 1969).

Al contempo, il termine si riferisce al processo di suddividere e/o distribuire qualcosa. I bambini iniziano a manifestare un certo interesse per l’equità della condivisione prima dei due anni, e a quattro esprimono chiaramente la propria contrarietà a fronte di un’allocazione ineguale delle risorse. Per esempio, in una ricerca condotta nel 2012, bambini di età compresa fra i sei e gli otto anni preferivano rifiutare un bene piuttosto che distribuirlo in maniera iniqua (Shaw & Olson. “Children discard a resource to avoid inequity”. Journal of Experimental Psychology, 2012).

Parallelamente, è stata evidenziata una tendenza, con l’aumentare dell’età, a favorire i membri del proprio gruppo o i

famigliari a discapito degli estranei. L’attitudine a “premiare” le persone più vicine inizia a manifestarsi intorno ai 5-6 anni, quando i bambini diventano capaci di distinguere fra un parente, un amico e un estraneo (Lu & Chang, “Resource allocation to kin, friends, and strangers by 3- to 6-year-old children” in Journal of Experimental Child Psychology, 2016). Questa osservazione è stata confermata dallo studio del 2022 (Xiao et al.) nel quale bambini di età compresa fra i quattro e i sei anni dovevano decidere con chi, fra i tre comprimari di una storia (fratello, amico, estraneo), il protagonista avrebbe condiviso il dolce che aveva portato al parco-giochi: i risultati indicano una preferenza a condividere con un fratello, piuttosto che con un amico, inclinazione che aumenta in misura direttamente proporzionale al crescere dell’età. Il dato più interessante, però, è che tale attitudine si riscontra soltanto nei bambini con fratelli o sorelle, mentre i figli unici tendono a “discriminare” molto meno i rapporti di fratellanza/sorellanza da quelli di amicizia, nel senso che gli “amici” venivano favoriti tanto quanto i “fratelli” della storia (a discapito dell’estraneo).

sabato 7 gennaio 2023 2 Ticino7 L’APPROFONDIMENTO DI MARIELLA DAL FARRA FOTO E ILLUSTRAZIONI ©SHUTTERSTOCK
%
Il peso
‘stile genitoriale’ L’attitudine a ‘premiare’ le persone più vicine inizia a manifestarsi intorno ai 5-6 anni Media europea 49,1

L’effetto del pregiudizio

La pregiudiziale nei confronti dei figli unici ha origini antiche: in ambito psicologico, risale a uno studio del 1896 condotto da E.W. Bohannon, ricercatore della Clark University, su un campione di mille bambini, quarantasei dei quali senza fratelli o sorelle. Bohannon affermò che i figli unici “hanno amici immaginari, non frequentano regolarmente la scuola, non vanno d’accordo con gli altri bambini, sono viziati da genitori troppo indulgenti e, nella maggior parte dei casi, non godono di buona salute”. Queste osservazioni non tenevano però conto del fatto che molti di loro abitavano in fattorie isolate e lavoravano nei campi, senza la possibilità di interagire con i propri coetanei, a differenza di quanto avveniva per i bambini con fratelli o sorelle.

Le più recenti revisioni di questi studi non sembrano avere scalfito lo stereotipo del “figlio unico”, la cui “sindrome” (così definita in un articolo del New York Times del 1968 a firma di A.A. Messer) è diventata nel frattempo

proverbiale. “Quando ero bambina”, scrive Chiara Dello Joio (“Why are people weird about only children?” in The Atlantic, 1.11.22), “il fatto che non avessi fratelli o sorelle era spesso fonte di sgomento e preoccupazione. La gente mi chiedeva: ‘Non ti senti sola? Scommetto che vorresti avere qualcuno con cui giocare’. A mia madre invece veniva domandato quando ‘mi avrebbe dato’ un fratellino o una sorellina. Tuttavia, mano a mano che crescevo, la compassione è stata soppiantata dal sospetto. ‘Sei una tipica figlia unica’ è diventato un mantra ricorrente [...]”. Messa così, viene da chiedersi se i figli unici siano soggetti a una forma di minority stress – ovvero, lo stress comportato dall’appartenere a una minoranza (per esempio, etnica, religiosa, inerente all’orientamento sessuale, politica ecc.) che, per il solo fatto di esserlo, viene stigmatizzata – il che potrebbe dare conto, quello sì, di eventuali peculiarità caratteriali.

Miti da sfatare e modelli genitoriali

Un altro dato evidenziato da questa ricerca è che i bambini con fratelli o sorelle si aspettano una reazione inequivocabilmente negativa da parte dei personaggi che non hanno ricevuto la loro “fetta di torta”, mentre i figli unici anticipano risposte meno nette. “I fratelli e le sorelle trascorrono molto tempo insieme, imparando a comprendere il punto di vista dell’altro [...]. Di fatto, i fratelli e le sorelle giocano un ruolo importante nello sviluppo della capacità di cogliere lo stato d’animo altrui, specificamente le emozioni, i pensieri, le intenzioni e i beliefs […].

Coerentemente, i bambini con fratelli o sorelle sono più bravi ad anticipare lo stato d’animo negativo suscitato dalla noncondivisione di quanto lo siano, mediamente, i figli unici” (Xiao et al. 2022). Queste evidenze mostrano le due facce di una stessa medaglia: i figli unici sono i soli beneficiari dell’attenzione e delle risorse dei genitori, quindi non hanno esperienza del conflitto e della competizione intrinseci ai rapporti di fratellanza/sorellanza (Mancillas, A. “Challenging the stereotypes about only children: A review of the literature and implications for practice”. Journal of Counseling & Development, 2006). Questa peculiarità si esprime, da una parte, nella maggiore valorizzazione dei rapporti di amicizia, che svolgono una funzione “surrogata” rispetto alla mancanza di fratelli o sorelle (dei quali peraltro non hanno sperimentato la componente competitiva); dall’altra, nella minore abilità di “leggere” la mente dell’altro, verosimilmente per mancanza di esercizio.

Tuttavia, se anche i figli unici si rivelassero un poco più lenti nel cogliere lo stato d’animo dell’interlocutore, ciò non significa che siano meno capaci di relazionarsi: un pregiudizio che da sempre li accompagna. “I bambini cresciuti senza fratelli o sorelle sono stati descritti come auto-centrati, poco amabili, egoisti, solitari e disadattati (Thompson, 1974), e sembra che Stanley Hall [eminente psicologo e primo presidente dell’APA, American Psychological Association, 1846-1924] abbia addirittura affermato che essere figli unici è un male in sé [...]” (Riggio, H. R. “Personality and social skill differences between adults with and without siblings”. The Journal of Psychology, 1999). In realtà, le ricerche più recenti non danno evidenza di una maggiore competenza sociale nelle persone con fratelli o sorelle rispetto ai

figli unici. Un interessante studio sull’argomento è stato condotto, sempre quest’anno, su un campione di bambini cinesi in età prescolare (Lin, X. et al. “Parenting styles and social competence in Chinese preschoolers: A moderated mediation model of singleton and self-regulation”. Early Education and Development, 2022). La ricerca verteva sulla competenza sociale, intesa come la capacità di risolvere i conflitti e mettersi d’accordo, temperare le proprie reazioni e dare inizio a un gioco. I risultati indicano che ciò che fa la differenza non è l’essere figli unici (o meno) bensì lo stile genitoriale, convenzionalmente categorizzato in tre tipologie: autorevole (genitori che si aspettano tanto ma sono anche molto disponibili); autoritario (genitori che chiedono molto ma “rispondono” poco); permissivo (genitori che, al contrario, chiedono poco e rispondono molto). Orbene, lo stile genitoriale autorevole risulta associato a un migliore sviluppo delle competenze sociali del bambino, anche se non ha fratelli o sorelle, e questo perché tende a promuovere una migliore capacità di auto-regolazione. Al contempo, sempre in questo studio viene evidenziato come lo stile genitoriale permissivo determini una carenza di auto-regolazione nei figli unici, ma non nei bambini con fratelli o sorelle. Ciò avviene perché, come indicato anche dalla precedente ricerca, l’interazione tra fratelli e sorelle costituisce una sorta di palestra naturale per imparare a stare insieme co-regolandosi reciprocamente, e questo fattore è così determinante da ovviare agli inconvenienti comportati dall’avere genitori eccessivamente indulgenti e protettivi.

Considerando le percentuali di figli unici nei diversi Paesi europei, la Svizzera risulta essere in controtendenza sia per la minore incidenza (43%)simile sotto questo profilo a Finlandia (43,5%), Svezia (42,6%), Norvegia (42,4%), Paesi Bassi (42,2%) e Danimarca (42,5%) - che per l’andamento decrescente nel corso degli ultimi dieci anni: siamo infatti passati dal 46% del 2012 al 43% del 2021.

FONTE : https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/ ilc_lvph05/default/table?lang=en)

sabato 7 gennaio 2023 3 Ticino7
“Auto-centrati, poco amabili, egoisti, solitari e disadattati” (era il 1974)
Svizzera 43 %
Il “caso” elvetico

Incapace di soli tudine

(ricordando Gianni Brera)

Gianni Brera e Beppe Viola erano fatti per diventare amici, a dispetto degli anni di differenza. È terminato l’anno anniversario della morte di entrambi: Viola, nato venti anni dopo, nel ’39, è morto dieci anni prima di Brera, nel 1982. Affinità elettiva di sport e di scrittura, e affinità nel guardare alle cose della vita. Comunanza nel vivere la passione sportiva bilanciandola con una salutare distanza. La stessa che permetteva al Brera polemista, uno dei vari Brera e tra i più conosciuti, di sgretolare agevolmente qualsiasi provocazione. Distanza dall’oggetto della polemica, dal provocatore e da sé stesso.

Inizio il terzo capitolo di Naso bugiardo, il suo secondo romanzo (1977) - banalizzato più tardi, nel titolo, in La ballata del pugile suonato - pensando che la sua scrittura narrativa regge meno o non regge al tempo, ma lette due pagine mi rimangio l’impressione. Lette altre due - l’incontro del Gugia con Ehé Pumpum e quello che segue - mi vergogno della frettolosità del giudizio. Rinunciando ai ritmi a precipizio degli articoli e degli articoli-racconto (arti-cuentos hanno iniziato a chiamarli in Spagna) e molto anche all’invenzione linguistica; riducendo la vitalità fino a misure sconosciute per lui, in cui la vitalità è quasi tutto, cosa restava? Resta un altro Brera quasi ignoto. Dalla voce bassa, intima, di cui è responsabile in parte l’amore per luoghi e per le persone della storia. E la dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che era proprio uno scrittore. La svista è avvicinarsi ai suoi romanzi - della cosiddetta trilogia di Pianariva fanno parte Il corpo della ragassa (1962) e Il mio vescovo e le animalesse (1983)aspettando di trovarsi il Gianni Brera integrale e più noto. Con tante parole che inventò, tra quelle che più di frequente pronunciava ce n’era una che trovò già fatta: “plebeo”. Si diceva “plebeo” e questo era un vezzo e una verità. E così dicendo si

metteva dalla parte opposta degli “intellettuali”, che lo detestavano o lo ignoravano quasi tutti. La vita lo portò a conoscere persone di ogni classe sociale, ma la voglia e la vena di scrivere gliela davano, diceva, “i tipi” a cui si “accompagnava” fin da ragazzo, tutti antieroi di cui raccontava le antieroiche gesta. Era nato nei luoghi e nelle condizioni di quei “tipi”, ma se la vita o si vive o si scrive - altra verità quasi intera - lui volle o poté solo scriverla. In una compagnia di amici anche esigua, specialmente in una compagnia degli anni Trenta o Venti del Novecento, c’è sempre il gradasso fino a rischiare la vita, altri che lo seguono più o meno da lontano... e poi c’è quello che guarda tutto e non si perde un dettaglio. Brera fu colto fin da ragazzo dalla coazione a fabulare e a favellare - “incapace di solitudine”, lo definisce il figlio Paolo -, per metà nata dal conversare con gli amici su tutto e su tutti, per esempio sugli antieroi locali, assenti in quel momento o passati, cosa che dà alla sua scrittura il vero passo dell’oralità. Ma la facilità alle invenzioni lessicali è solo una componente dell’esuberanza della scrittura. Lui ne dà questa genesi: quando scrivi rapidamente, a volte fino a quattro articoli in un giorno, devi improvvisare, e capita di improvvisare parole mai sentite. Ma c’è un’altra versione, sempre sua, venuta a seguito della polemica con Eco. Sono uno che “se ha dovuto inventarsi un linguaggio, non già una lingua (scherzèm minga), lo ha fatto perché non esisteva”. (Qui si vede un altro dei suoi giochi: infilare il dialetto in un inciso che diventa una vetrina). Continuo la lettura di Naso bugiardo e mi accorgo, sorpreso, che i dubbi non sono dissolti. La storia procede lenta, si ferma. I personaggi sono vivi, delineati, i dialoghi efficaci. Le crudezze e la licenziosità quanto pregiudicano il risultato? Cerco ancora nel romanzo, senza volere, l’altro Brera? Quello breve e degli scoppiettii lessicali, pieno padrone del campo, disinvolto fino alla sfrontatezza, libero. Chiudo il libro a pag. 121 e lo riapro a caso. Leggo frasi che non mi convincono ma non so perché. Mi domando in quale capitolo della storia letteraria che non lo accolse mai potrebbe includersi Gianni Brera. Una specie di neorealismo espressionistico? Concludo che si fa un torto di poco conto dicendo che il Brera dei romanzi è inferiore, purtroppo, agli altri Brera. Cosa che gli sarebbe e gli è dispiaciuta. A metà tra il giornalista e il narratore ci sono i pezzi dell’“Arcimatto© la rubrica che tenne a lungo per il “Guerin

Sportivo”. Stimolato nelle cronache sportive dalla massima pressione dei tempi, nella rivista è esaltato dall’assoluta libertà: dei tempi e dei temi. E resta il nome eloquente che si è scelto: Arcimatto. Allora pensi che nel triangolo Milano-VeneziaBologna, poligono dai lati ondeggianti come si addice a luoghi paludosi, nacquero varie scritture folli o storie di follie, dalla A di Ariosto alla Zeta di Zavattini. Passando per Delfini, Meneghello, Malerba, Mastronardi, Celati, sconfinando ai “matti” romagnoli, e ritrattisti di matti: Pedretti, Guerra, Baldini. Brera scrisse molto dei luoghi e delle persone, delle bizzarrie che la grande umidità pare favorire e rendere definitive. Il paese che ha inventato per i suoi tre romanzi, Pianariva, modellato sulla

nativa San Zenone al Po, ha una sostanza di pianura acquosa fin nel nome. “Sono cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti”, scrive in una pagina spesso ricordata. Termino la lettura del romanzo insieme a quella de Il Dio di Roserio di Testori. Il primo storia di un pugile, l’altro di un ciclista. Viene da pensare che Arbasino, quando scrive che Pasolini, Testori e anche lui, Arbasino, sono nipotini di Gadda, commette un atto di presunzione ma forse non dice una cosa insensata. Salvo la distanza abissale tra Arbasino e il popolo amato ed esaltato dagli altri due scrittori. Lo stesso vale per Brera. Ognuno dei tre è stato uno del popolo che crescendo e seguendo la passione delle parole se ne allontanava. Tranne poi cercare di tallonare proprio le parole del popolo, le sole di cui non erano più capaci. “Football, fussball in tedesco - elencava in uno dei suoi articoli, in un diverso ordine -, futbol in America del Sud, fòlber o fulbar in Val Padana”.

Non so quale titolo avrà questo articolo. Preparandolo, ne trovo alcuni casualmente. “Un taccuino durava una partita”, da una frase di Gianni Mura, mi pare bello ma non appropriato perché qui si parla del Brera narratore. “Dove l’Olona diventa Po”, forse andrebbe meglio. Come anche “Incapace di solitudine”.

sabato 7 gennaio 2023 4 Ticino7 LETTERATURA DI MARCO STRACQUADAINI
1977 1962
1983

Mirko Cotti Piccinelli

Ha 26 anni e attualmente vive a Mendrisio. È nato e cresciuto a Gravesano, dove tuttora vivono i suoi amici più stretti e i suoi genitori. Dopo la scuola media ha iniziato un apprendistato come impiegato di commercio al dettaglio, per poi cambiare percorso. Si è infine diplomato come impiegato di commercio alla CPC di Lugano.

Dopo il diploma ha fatto un anno di Servizio civile; nel mentre, insieme ad alcuni amici ha creato la pagina Instagram ticino_tour, che conta attualmente circa 28mila followers residenti nella Svizzera italiana. Al momento lavora presso laRegione come Social Media Manager, si occupa dei vari profili social, in particolare di Instagram. Gli piace andare in montagna e viaggiare, si considera un ragazzo intraprendente con molta voglia di fare, soprattutto per cambiare il nostro cantone, “che a molti dei miei coetanei e non solo –dice – va sempre più stretto”.

Sashimi

Località imprecisata nell’Alto Malcantone: un ragazzo, Mirko, è a passeggio. Precede il suo gatto, un grosso, magnifico esemplare di Maine Coon di nome Sashimi. A 7 mesi pesa già 6 chili e potrebbe arrivare a 12. Praticamente una lince. È senza guinzaglio e ha tutta l’aria di trovarsi perfettamente a suo agio. Il felino a un certo punto si ferma e scambia uno sguardo con il suo padrone. Che torna sui suoi passi e gli si avvicina. La comunicazione fra i due è silenziosa ma intensa, istantanea. Poi la strana coppia si riavvia: davanti il ragazzo, dietro il gatto, libero di viaggiare al suo ritmo, di scoprire e vivere il territorio come meglio crede. Non è la prima volta, ovviamente: la scena si è già prodotta più volte sul Lucomagno, sul Bigorio, sul Monte San Giorgio. Potrebbe presto accadere addirittura lungo il cammino di Santiago e «non sarebbe una forzatura, né la ricerca di un primato, ma soltanto un altro bel momento di condivisione. Fra noi le cose funzionano. So che Sashimi lo può fare». Mirko lo dice ricordando il rapporto stretto da bambino con i gatti della nonna, in Valtellina, poi con il suo, un bel micio nostrano, qualche anno dopo, a Gravesano, dove è cresciuto: «Mi accompagnava fino al bus della scuola, aspettava che salissi, poi se ne tornava a casa». Oggi, con Sashimi, la storia si ripete: «Uscire assieme, in libertà, è assolutamente normale. La gente mi ferma e si informa. Spesso la prima reazione è curiosa: mi dicono che il mio è un gatto fortunato. Credo che alla base di tutto ci sia la fiducia reciproca. Ma anche la mia sete di scoperta, di conoscenza, la mia indole da indomito curioso. E se lo sono io, figuriamoci un gatto!».

Community

La fitta parlata di Mirko Cotti è tipica di chi a fatica tiene il passo delle nuove idee che gli si affacciano. A 26 anni ha già tracciato, in Ticino, un suo profilo social riconoscibilissimo. Fondatore della pagina Instagram “Ticino Tour”, si sta distinguendo per le iniziative promosse a getto continuo per le sue “communities” di riferimento: una mostra-mercato per la piccola imprenditoria locale al Conza; il torneo di Squid Game a Manno, che per la prima volta ha portato la serie coreana nella Svizzera italiana; le piattaforme di discussione promosse fra i suoi “followers” sui temi più svariati; e una capacità organizzativa innata, che si sta esprimendo a 360°, come si dice in questi casi, con un occhio di riguardo per la beneficenza. «Quando è scoppiata l’emergenza per la guerra all’Ucraina mi sono sentito in dovere di fare qualcosa di concreto – dice Mirko –. Sapevo che prima o poi il dramma dei rifugiati avrebbe toccato anche il Ticino. Così, sfruttando i miei contatti social, e in particolare le 28mila persone della “community” di “Ticino Tour”, ho trovato un grosso hangar a Bioggio e con altri volontari lo abbiamo riempito con vestiti e generi di prima necessità raccolti in tutto il cantone. Da lì è nata l’Associazione Garage 18».

Non solo: c’è anche stata la raccolta fondi dopo il terremoto in Albania e per tre volte Mirko è andato a piedi da Como a Napoli: «Non c’era un perché di quella specifica tratta; forse solo la necessità di sentirmi vivo, e di vedere il magnifico golfo partenopeo». L’ultima delle tre volte, abbinando l’avventura a finalità benefiche. A proposito di percorsi, poi, la singolarità del suo rapporto con l’amato gatto è finita nella seguitissima pagina Instagram “Sashimi Travel”, dove è nato anche un concorso per il gatto più bello, sfociato in un gioco di carte con le immagini di tutti i felini partecipanti, la cui vendita ha portato a donare 500 franchi a un rifugio per animali nel Mendrisiotto.

Strade L’approccio di Mirko alla vita è molto pratico: osserva una situazione, vi intravede un potenziale di sviluppo e propone una strada da percorrere. È successo, ad esempio, con la pagina Instagram de “laRegione”. «Premetto che non sono un grande lettore di giornali. Tuttavia, “laRegione” a casa nostra è un riferimento. Ho sentito parlarne bene sia da mio papà, sia dai suoi amici. Così un giorno ho deciso di andare a curiosare la sua pagina Instagram. Beh, diciamo che non le avrei fatto vincere un premio al merito per come era fatta. Così ho chiamato chi se ne stava occupando al giornale in quel momento e gli ho proposto una collaborazione gratuita finalizzata alla crescita. L’obiettivo che abbiamo concordato era salire dai 2’000 “followers” di allora a 10mila. Ce l’ho fatta in un anno. Oggi la “community”, fra le più grandi in Ticino, è formata da 18mila persone che interagiscono fra

loro, commentano le notizie di cronaca postate sul social, si confrontano sui temi, se del caso propongono soluzioni laddove sono ravvisati dei problemi. È questo il vero senso di Instagram dal mio punto di vista: stimolare il dibattito per prenderne il meglio, e andare avanti come società». Ed è questo il concetto che Mirko intende portare avanti con il suo “target” di 13-25enni: «Parliamo di una comunità che si informa prevalentemente su Instagram e su TikTok, alla quale ci rivolgiamo quotidianamente con 4-5 notizie scelte, cercando di volta in volta la “bomba”, come è successo di recente con la storia del locarnese Jonni, che dopo essere sopravvissuto a un incidente, guarda te il caso, gira il mondo con il suo gatto Jek. Quel pezzo di Sascha Cellina, letteralmente, in Instagram è esploso, raggiungendo 35mila account».

Lo stesso coinvolgimento Mirko lo cerca in “Ticino Tour”, la sua pagina Instagram. «Tutto è partito da una constatazione che ho fatto in prima persona confrontandomi con molti miei amici: in Ticino non possiamo andare avanti a lamentarci che non c’è questo o non c’è quello, o che la mancanza di opportunità spinge i giovani come me a riparare all’estero alla ricerca di chissà cosa. Con “Ticino Tour” cerchiamo di valorizzare idee e iniziative, raccogliamo suggestioni e cerchiamo di favorire chi normalmente fa fatica a far sentire la propria voce. Mi riferisco ad esempio a tutto quel sottobosco di produttori locali, giovani che hanno storie da raccontare ecc. Tramite gli eventi che organizziamo ricaviamo degli spazi di visibilità per chi normalmente non ce li ha. E i numeri ci stanno dando ragione».

sabato 7 gennaio 2023 5 Ticino7 INCONTRI
DI DAVIDE MARTINONI; FOTOGRAFIE © TI-PRESS / ELIA BIANCHI NAPOLI
PAGINA INSTAGRAM DI @SASHIMITRAVEL
COMO PAGINA INSTAGRAM DI @TICINO_TOUR

2X2 INGRESSI

AL TEATRO SOCIALE DI BELLINZONA

Spettacolo “ Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi ” del 20 gennaio

Orizzontali 1. Tenebroso, oscuro 4. Creatori, ispiratori 11. Il fiume di Berna 12. Il nome dell’ex-ciclista Gianetti 13. Prodotto Interno Lordo 14. Il nome di Modigliani 16. Un undici madrileno 17. Incarico provvisorio 19. Piante delle Asteracee 20. Il nome di Calgari (19051969) 21. Parte dell’occhio 23. I frutti di Fra Galdino 24. Il nostro è temperato 25. Società Anonima 26. Dura sessanta minuti 27. Amabile, delicato 28. Materiale per bottiglie 29. Articolo maschile 30. Fuori pericolo, illese 31. Un San, stadio milanese 32. Con il Gatto in Pinocchio 33. Voce che ferma 34. Si contrappone al mittente 37. Un concorso coi numeri 38. Emissario del Ceresio 39. Lo è un braccio 40. Relativi alle strade 41. I con-

Spedisci un SMS al 434 (CHF 1.–/SMS) scrivendo TI7 <spazio> SOLUZIONE e partecipa all’estrazione. Termine di partecipazione: giovedì prossimo.

PREFERISCI GIOCARE ONLINE? Vai su laregione.ch/giochi

fini di Sagno 42. Lo dà lo starter 43. Località bleniese 44. L’auto americana 45. Simbolo chimico dell’osmio 46. Si raggiunge in filovia da Malvaglia 47. La comprende il peso lordo 48. Ci sono quelle di Magadino 49. Nome di supermercato svizzero 50. Ebrei, israeliti 52. Marina, ex-consigliera di Stato 53. Liquido viscoso 54. Una parte di Lugano Verticali

Schietto

SOLUZIONE DEL 24.12.2022 BUONNATALE Soluzione completa su laregione.ch/giochi

HA VINTO: Carole Formery (Stabio)

puro

Fra minimi e massimi

Insenatura, cala 18. Città della Sardegna 19. Apici, vette 22. Sponde 24. Urti, botte 25. Rettili, vipere 27. Balzo, zompo 28. Un formaggio ticinese 30. Domina Olivone 31. Periodo di stanca 32. Apice, cima 33. Misura per il legname 34. Il nome della Leuthard 35. Lavorato col vomere 36. La paga del professionista 37. Località leventinese 40. Desiderio, brama 41. Un indumento malese 43. Si oppone al bene 44. Piroga 46. Un uccello estinto 47. Informava dall’URSS (sigla) 48. Oscuri, tetri 49. Il nomignolo dell’attrice West (1893-1980) 51. Articolo maschile 52. Millecinquecento romani

Ci siamo Soluzionipubblicitarie.

sabato 7 gennaio 2023 6 Ticino7
ViaGhiringhelli 9 6500 Bellinzona T+41 91 821 11 90 pub@regiopress.ch regiopress.ch laregione
© ceck
GIOCA CON TICINO7 VINCI
Si contrappone alla teoria 4. Ammasso stellare del Toro 5. È cominciato da poco 6. Amò Leandro 7. In mezzo al caos 8. Lo sono l’Aida e l’Ernani 9. Capitale araba 10. Integro,
1 54 15 13 7 50 18 26 37 35 © ceck 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 ORIZZONTALI 1 Tenebroso, oscuro VERTICALI SENZA PAROLE © DORIANO SOLINAS
1. Località del Luganese 2. Innocua alla fine 3.
12.
15.
16.

Alpe Bolla e Froda

Trekking tra le corti di Froda, Sassello e Piatto della Froda

Alpe Bolla e Froda

Corte principale Corte della Froda, 1’765 m Corti Sassello, 1’581 m Piatto della Froda, 2’159 m

Ubicazione Valle di Peccia

Periodo carico Da fine giugno a fine settembre

Ultimo paese Piano di Peccia

Coordinate 688.306 / 145.140

Proprietà Patriziato di Peccia

Gestore Manuel e Brunella Ribeiro Pereira

Tipo formaggio Semiduro grasso misto, 75% latte di mucca e 25% latte di capra

Altri prodotti Burro, formaggella

Dicitura Scalzo Bolla Froda

Animali 90 mucche da latte, 20 manze, 170 capre e 20 maiali

Produzione Ca. 1’900 forme all’anno da 5-5,5 Kg

Mungitura Manuale per le capre e meccanica per le mucche

Caseificio Corte della Froda (trasporto latte con veicolo)

Dal piano di Peccia, una ripida sterrata attraversa le rinomate cave di marmo della valle – nelle quali non è raro incontrare gruppi di allievi scultori alle prese con giganteschi blocchi di pietra – inoltrandosi poi nel bosco di larici fino al corte della Froda (1’765 metri sul livello del mare). Da qui lo sguardo accoglie l’abbraccio di boschi e vette pietrose che incorniciano la valle, per poi scendere lungo le linee digradanti del fondovalle. Alzando gli occhi si scorge, quasi sospeso in aria, l’alto corte secondario di Piatto della Froda. A 2’159 metri di altitudine, il corte Piatto della Froda sorprende chi si inerpica sul ripido sentiero, ubicato com’è su di un suggestivo e inaspettato falsopiano, coperto di pascoli e nuda roccia, che permette di scorgere l’ampio paesaggio lungo la cresta che divide questa valle dal Lago del Sambuco.

Il formaggio dell’alpe della Bolla riflette la natura selvaggia dei pascoli, sui quali si avventurano tanto mucche quanto capre. Il prodotto è costituito dunque da una miscela di latte vaccino e caprino in proporzioni (rispettivamente 75% e 25%) che ricalcano la tradizione della valle. Donde l’inconfondibile equilibrio fra le due anime che caratterizza i formaggi valmaggesi e si traduce in un delicato sottotesto lattico fortemente punteggiato dalle note di sottobosco, di acidi grassi caprini, ma anche di patata, cuoio e agliacei, specie con l’avanzare della stagionatura. Presso il caseificio è possibile acquistare, oltre al formaggio, il burro e la formaggella.

Itinerario corte principale

→ Da «Piano di Peccia» (1’039 m) si imbocca la strada asfaltata che si inoltra nella «Valle di Peccia», poco dopo il paese si passa a lato di un nucleo di case con un grotto (dove si può ritirare la chiave per la barriera) e si continua fino a «Ghéiba» (1’197 m) proprio sotto la cava di marmo. Da questo luogo la strada sale sino all’imbocco di una galleria a 1’452 m. Si attraversa la galleria e sull’altro versante si segue sempre la valle a lato del fiume sino a «Sassello» a quota 1’581 m dove si trova anche il primo corte dell’alpe. Alcuni tornanti della strada permettono di oltrepassare delle fasce rocciose nel rado bosco, dopodiché la strada prosegue pianeggiante sino al «corte della «Froda» (1’765 m).

→ Da «Piano di Peccia» (1’039 m) si imbocca la strada della «Valle di Peccia» e dopo 2,2 km dal paese si

BancaStato èlaBanca di riferimento in Ticino

arriva a «Ghéiba» (1’197 m) in questa località si attraversa il fiume sul ponte e poco dopo si arriva alla barriera che blocca il transito alle auto che non hanno pagato il passaggio. Dopo la barriera non si segue la strada ma si prende il sentiero che si inerpica sui pendii sopra le gole del fiume sino a raggiungere la strada poco dopo l’uscita della galleria. Si segue la strada sino a «Sassello» (1’581 m), al terzo tornante un sentiero permette di evitare ulteriori curve della strada, dopodiché, riguadagnata la carreggiata lungo una tratta pianeggiante si raggiunge corte della «Froda» (1’765 m).

Dal ’92 tra Alpe e montagna

Manuel fa questo lavoro da quando aveva 17 anni. Arrivato in Svizzera dal Portogallo ha cominciato a lavorare “in cantina”: mettere le forme di formaggio nella salamoia, girarle, spazzolarle. Ora ha 46 anni e il lavoro del casaro gli piace. «Non è un lavoro duro per me, l’unica cosa che mi pesa adesso, per via dei menischi che ho rotto tempo fa, è camminare. Il mio lavoro non è solo fare il formaggio, ma anche mungere, andare a prendere il bestiame, fare la legna, pulire i pascoli, devo anche essere un po’ “veterinario”. Mia moglie sta qui all’Alpe per la maggior parte del tempo. Lavora quasi più di me: munge, pulisce, prepara da mangiare». Insomma, per le 1’800 forme di Vallemaggia DOP che arrivano dall’Alpe di Manuel e Brunella Ribeiro, il lavoro è davvero tanto, ma fatto con passione!

Abbiamo tuttibisogno di puntifermi, di certezze edisicurezze. Noi vi offriamo il costante impegno di esseredasemprecon il Ticino eper iticinesi.

sabato 7 gennaio 2023 7 Ticino7 bancastato.ch
noi per voi ALPEGGI A CURA DI SALVIONI EDIZIONI
CORTE DELLA FRODA, 1’765 M (© ELY RIVA, FABRIZIO BIAGGI)
Curiosità 4 6 ° 27 ’ 04 ’ ’ N 8˚35 ’ 15 ’ ’ E Scopri il percorso
sabato 7 gennaio 2023 8 Ticino7 TIPO UN FUMETTO DI ALESSIO VON FLÜE

Avere è bello…

ma desiderare è meglio

Hai per caso scovato sul tuo sito e-commerce di fiducia una spugna da cucina a forma di gatto siamese che ritieni cruciale nella spasmodica ricerca della felicità, ma appena ti è arrivata a casa hai d’improvviso perso interesse, tanto che ora più che un felino ti sembra abbia le sembianze di un topo? Non preoccuparti perché non sei viziato. O meglio lo sei, ma in perfetta sintonia con la logica consumistica della società capitalista in cui anneghiamo più o meno tutti perché così va il mondo. Anche se, detto tra noi, non è proprio un bell’andare. Lo schema sopra descritto, e che sovente si verifica nelle nostre capricciose vite, è paradossale nella sua banalità perché alla fine hai semplicemente desiderato una cosa che non avevi e poi purtroppo… l’hai avuta.

Chi comanda?

Ma andiamo con ordine e partiamo da lontano, anzi da molto lontano e precisamente dai Dieci comandamenti, perché sono addirittura due quelli dedicati al peccato del desiderio: il nono recita di non desiderare la donna degli altri e il decimo di non desiderare la roba degli altri. Confesso di trasgredire entrambi i precetti che secondo la Bibbia furono consegnati da Dio a Mosè, per cui forse non rappresento il cristiano moralmente irreprensibile per antonomasia. Però credo sia utile (oltre che da paraculi) domandarsi se l’essere umano possa scegliere di non desiderare.

Siamo noi che governiamo i desideri o sono i desideri che ci manipolano a loro piacimento?

La risposta che fornisce gran parte della psicologia attuale è salvifica da un lato ma ingannevole dall’altro; il desiderio, infatti, non dipenderebbe direttamente da noi.

Tale affermazione è rassicurante, perché se il desiderio non nasce dalla volontà possiamo liberarci dal fastidioso senso di colpa percepito ogniqualvolta bramiamo qualcosa (o qualcuno) che, secondo le regole della morale o della voce della coscienza, non dovremmo agognare così ardentemente; d’altro canto è una bella fregatura perché, non dipendendo da noi, non possiamo esercitare sul desiderio un rapporto di padronanza, facendo nascere quel concetto capace di mettere in crisi intere generazioni e che possiamo zoticamente riassumere in: “Ma che cavolo di vita… non sono padrone nemmeno del mio desiderio!”.

La lancetta del desiderio Negli anni Sessanta lo psicoterapeuta francese Jacques Lacan –che non credo immaginasse la dipendenza dell’uomo moderno dalla spugna da cucina a forma di gatto siamese – affermò che l’essere umano desidera qualcosa solo quando l’oggetto si trova in un regime di lontananza, e nel momento in cui viene ottenuto, la lancetta del desiderio si sposta automaticamente verso qualcos’altro.

In pratica, ciò che prima non avevamo a disposizione, una volta entrato a nostra disposizione… vorremmo fosse a disposizione di qualcun altro perché per noi è già diventato conosciuto, familiare, quasi “domestico”. E siamo in grado di applicare tale processo mentale tanto al frigorifero appena acquistato quanto al nuovo partner appena non è più così nuovo; ecco spiegato perché il gatto dopo cinque secondi assomiglia a una pantegana. Un altro interessante spunto di riflessione sul tema lo fornisce Madonna. La cantante. Precisazione ovvia ma necessaria avendo citato Bibbia e comandamenti. All’apice del suo successo, la rockstar mondiale disse che “il vero potere è non realizzare i propri desideri e non uscirne per questo distrutti”, citando indirettamente un dogma basilare nella psicologia perché, magari, non dipenderanno da noi, ma solo noi possiamo decidere di non soffrire per un desiderio che non ha trovato la luce. Indubbiamente sarebbe più facile se non vivessimo in una società governata dal principio del dovere che tende a farci percepire la vita un perenne sacrificio, eppure basterebbe provare a considerare il desiderio non come una necessità da raggiungere a ogni costo, ma come una forma di divertimento, evitando così di trasformarlo nell’ennesima dipendenza cui aggrapparsi e allontanando anche quella malsana tendenza umana a trasformare ogni cosa bella in una specie di schiavitù.

Scopi & desideri

In antichità gli Dei, quando volevano punire gli esseri umani, soddisfacevano tutti i loro desideri. Perché quando non hai più desideri, non hai più scopi nella vita. Oggi farebbero molta fatica considerando che la nostra wish list è praticamente infinita e che, grazie all’evoluzione (?), abbiamo perfino sviluppato la capacità di desiderare cose di cui ignoriamo l’effettiva esistenza. Per esempio, adesso non sarebbe bellissimo possedere una spugna da cucina a forma di Zeus adirato che scaglia saette?

sabato 7 gennaio 2023 9 Ticino7 COSTUME DI GIOVANNI LUISE
Siamo noi che governiamo i desideri o sono i desideri che ci manipolano a loro piacimento?
JACQUES LACAN @SHUTTERSTOCK
… abbiamo perfino sviluppato la capacità di desiderare cose di cui ignoriamo l’effettiva esistenza

LA BEFANA SIAMO NOI

La superiorità morale e culturale della Befana rispetto a Babbo Natale viene dalla sua piacevole cialtroneria. Spesso nella nostra infanzia dei prosperosi anni Ottanta, la Befana (per gli amici Befy) arrivava mentre eravamo in montagna a sciare da qualche parte, noi che avevamo genitori che facevano le vacanze nei periodi mainstream, senza strappare weekend semilunghi durante l’anno per risparmiare sulla pensione completa. Incurante dei nostri spostamenti, la Befana è sempre arrivata anche negli alberghi più sperduti in cima ai monti. E ci è sempre arrivata come sarebbe arrivata a casa: con regali improvvisati (mai incartati), mandarini a profusione, caramelle infilate nella calza per riempire gli spazi vuoti. E poi il carbone, immancabile, metafora della vita in cui c’è sempre qualcosa che non va e sporca le carte delle caramelle, ma non ne compromette mai il contenuto. Infine, nella calza, sempre una lettera. Con la sua lettera la Befana spiega le sue scelte (la quantità di carbone in primis) e formula sentiti auguri per l’anno appena iniziato, soffermandosi sempre sui suoi acciacchi di vecchia signora con le scarpe rotte.

La vita bugiarda degli adulti

Napoli sopra e sotto

Parabiago è un comune di ventottomila abitanti, a venti chilometri da Milano. È un luogo abitato fin dal XIII secolo avanti Cristo, quando era un villaggio di palafitte. Oggi sono sparite le paludi naturali ma restano quelle del traffico: ho un appuntamento in libreria, per una conferenza, e rischio di arrivare in ritardo mentre cerco un parcheggio. È quindi con animo frettoloso che attraverso le vie della città. Mi siedo giusto un momento su una panchina, a quell’ora sospesa in cui ancora c’è un resto di luce nell’aria, ma gli occhi già percepiscono il buio. Apro il taccuino, rileggo i miei appunti. In quel momento si accendono i lampioni intorno alla chiesa. Sulle prime non me ne accorgo nemmeno, poi alzo gli occhi e mi rendo conto, soltanto ora, di essere in una piazza. Sulla destra ci sono dei bambini, un cane, dei pensionati che discutono animatamente; sullo sfondo una fila di portici illuminati. Sono qui, oggi, a Parabiago. Mancano pochi giorni a Natale. Chiudo il taccuino. Invece dei miei appunti, comincio a leggere il poema che la realtà scrive tutto intorno a me.

SOPRA LA PANCA

La Befana viene per tutti noi, che queste feste le abbiamo passate in pigiama a provare a organizzare tombole e rimpatriate tra amici per poi finire appisolati ogni sera accanto al fuoco. Noi che finalmente abbiamo capito che Natale con i tuoi significa Natale appiccicati ai tuoi, senza uscire di casa se non per le messe dei giorni rossi sul calendario. La Befana è un’amabile signora cialtrona perché le feste le porta via dandoci la scossa: non solo siamo in un anno nuovo ma dobbiamo ricominciare a interessarci degli altri, rispondere alle e-mail.

La Befana è la festa che i genitori si ricordano la sera prima. Per la quale svaligiano l’unico supermercato aperto fino a tardi. La Befana è moralmente e culturalmente superiore a Babbo Natale perché nessun bambino le scrive lettere, ma lei scrive a tutti, nessuno chiede alla Befana ma tutti dalla Befana ricevono. La Befana è imperfetta, polverosa e sovrabbondante come dev’essere l’amore. La Befana esiste.

ALTRI SCHERMI

QUESTIONE DI CLASSI

L’ultimo romanzo di Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti pubblicato nel 2019, è diventato una nuova serie Netflix in sei episodi. Un ritratto possente e singolare del passaggio della protagonista Giovanna dall’infanzia all’adolescenza negli anni Novanta. Una ragazza in cerca di sé stessa in una Napoli divisa: la città degli alti, con la sua facciata di eleganza e bugie, e la città dei bassi, un luogo di eccessi e volgarità ma più reale. Alla deriva, la ragazza oscilla tra le due realtà, sprofondando in una per poi risalire nell’altra.

DIVENTARE DONNA

“Se vuoi diventare donna, se vuoi crescere, devi sbattere la testa, devi farti male”, urla zia Vittoria, una provocatoria e potente Valeria Golino, alla nipote adolescente Giovanna (l’esordiente Giordana Marengo). La giovane al suo primo incontro con la zia è segnata dalle parole pronunciate dal proprio padre (Alessandro Preziosi) che l’aveva definita brutta, perché troppo somigliante a quella zia cancellata persino dalle foto di famiglia. Quindi crescere per diventare cosa, per assomigliare a chi?

UNA CAPARBIA VITALITÀ

“La cosa che mi è piaciuta di più del carattere di zia Vittoria”, racconta Valeria Golino, “è proprio la sua caparbia vitalità, contro tutti e nonostante tutti.

Un vero e proprio proseguimento della poetica della Ferrante su un tipo di femminile non necessariamente accomodante”. La città di Napoli emerge musicalmente con i brani di gruppi quali “99 Posse” (presenti anche in una scena del film dove interpretano loro stessi) e “Almamegretta”, fino a Peppino Di Capri. Enzo Avitabile firma le musiche originali della serie.

ELENA FERRANTE

La sceneggiatura è curata dalla scrittrice in collaborazione epistolare con il regista Edoardo De Angelis. Senza aver mai svelato la propria identità, Elena Ferrante nel 2016 è stata nominata dal “Time” una delle 100 persone più influenti del mondo e i suoi romanzi sono stati tradotti in 45 lingue. Tra le opere di maggior successo della scrittrice, la famosa quadrilogia napoletana con 15 milioni di copie vendute, ma anche altri romanzi che sono stati adattati in film di successo (L’amore molesto) e serie TV (L’amica geniale).

sabato 7 gennaio 2023 10 Ticino7
LA FICCANASO DI LAURA INSTAGRAM: @LA_FICCANASO Coordinate: 45°33’31”N; 8°56’52”E Comodità: ★☆☆☆☆ Vista: ★★★☆☆ Ideale per… farsi sorprendere dalla realtà. Settimanale inserito nel quotidiano laRegione ticino7.ch • #ticino7 • facebook.com/Ticino7 Direttore Beppe Donadio Caporedattore Giancarlo Fornasier Grafica Variante agenzia creativa Editore Teleradio7 SA • Bellinzona Amministrazione, direzione, redazione Regiopress SA, via C. Ghiringhelli 9 CH6500 Bellinzona tel. 091 821 11 11 • salvioni.ch • laregione.ch Servizio abbonamenti tel. 091 821 11 86 • info@laregione.ch Pubblicità Regiopress Advertising via C. Ghiringhelli 9, CH-6500 Bellinzona tel. 091 821 11 90 • pub@regiopress.ch ticino7
DI ALBA REGUZZI FUOG TESTO E FOTOGRAFIA © ANDREA FAZIOLI

IN PRIMO PIANO

Gatto Arturo:

50 anni, 6 colori e tante avventure

Uno dei personaggi più amati della RSI - dal pubblico più giovane, ma non solo! – compie mezzo secolo di vita: il 1° gennaio 1973 un gatto di nome Arturo fa il suo debutto nella trasmissione “Ghirigoro”

Creato da Fredi Schafroth e Adriana Parola, il simpatico micione ha accompagnato generazioni di telespettatrici e telespettatori attraverso trasmissioni educative e divertenti gag sul territorio della Svizzera italiana, affermandosi come il personaggio simbolo dei programmi della televisione per i più piccoli. Con l’inconfondibile vestito a righe – quasi a simboleggiare l’arrivo della TV a colori –, la sua comicità fisica, che non richiede parole, e il suo essere curioso, pasticcione e irriverente, Arturo incarna in maniera ideale il bambino che c’è in ognuno di noi.

Idolo televisivo dei bambini degli anni ‘70, l’Arturo era famoso per le sue scorribande in monopattino, in bicicletta e automobile e per un’altra caratteristica molto particolare: non parlava, e nemmeno miagolava! Una trovata geniale che si è rivelata vincente, forse anche frutto della timidezza di Schafroth, architetto d’interni, artista e scenografo all’allora TSI.

Questo personaggio con gli anni è divenuto il simbolo di un modo di fare TV probabilmente irripetibile ma che conserva inalterate tutte le sue qualità. È possibile rivivere le sue avventure sul sito dei nostri archivi (rsi.ch/archivi) dove potrete rivederlo in azione negli episodi che vanno dal 1974 al 1979, un modo simpatico anche per riscoprire i vari contesti delle sue gag, nella Svizzera italiana di allora.

Come va? Il magazine a cura di Nick Mottis, con la conduzione da questa stagione di Michèle Volonté e la regia di Chris Guidotti, affronta temi nuovi e attuali della salute e della medicina.

Un viaggio approfondito all’interno della macchina umana con al centro il vissuto dei pazienti che, con grande generosità, si concedono alle nostre telecamere.

Nel nuovo ciclo di puntate parleremo di cuore, cervello, reni, bocca, denti e capelli.

Non mancheremo di trattare tematiche attuali e urgenti come le malattie neurodegenerative,

per cui la presa a carico della persona malata si pone come tematica centrale, oppure come l’obesità e la medicina riproduttiva. Particolare attenzione verrà data alla prevenzione e alla promozione di uno stile di vita sano.

La vita davanti e CSI: Vegas in prima TV

Con l’inizio dell’anno tornano le serie televisive in prima TV su LA 1.

Da domenica 8 gennaio su LA 1 alle 23.10, per la rubrica Made in Europe, sarà trasmessa in esclusiva La vita davanti, una commedia drammatica in 6 episodi prodotta da RTS che racconta – attraverso lo sguardo lucido del piccolo Lucas, incuriosito dai bizzarri adulti che lo circondano – le vicissitudini di una famiglia quasi normale che trascorre le proprie giornate a tergiversare su questioni superficiali, finché una tragedia ne stravolge la quotidianità.

Da mercoledì 11 gennaio alle 21.55 su LA 1 farà invece ritorno la seconda stagione di CSI: Vegas, sequel di CSI: Scena del crimine, dove rivedremo alcuni personaggi della serie madre tornare in servizio per aiutare la nuova squadra.

Con l’aiuto delle nuove sofisticate tecniche forensi, faranno ciò che sanno fare meglio: seguire le prove per preservare e servire la giustizia.

Il sindaco di Lugano ospite a Lo Specchio

alcuni capitoli della sua vita pubblica e privata. Cresciuto nel verde ancora non urbanizzato di Pambio-Noranco, dopo le esperienze nel giornalismo troverà il proprio destino nella politica cantonale e comunale.

Un destino che lo porterà, dopo il decesso dell’amico Marco Borradori, alla guida dell’esecutivo luganese. Con le domande di Damiano Realini, Michele Foletti si spingerà poi nell’intimità dei ricordi, degli aneddoti e delle passioni. Passioni evocate pure nel suo discorso del 1° gennaio quando ha ringraziato tutti coloro, privati, associazioni, enti e istituzioni che hanno partecipato alle iniziative di solidarietà o che hanno dedicato una parte del tempo al volontariato.

sabato 7 gennaio 2023 Ticino7 • Programma Radio&TV • dall’8.1 al 14.1 11
ogni domenica alle 08.00
popolare micione dall’inconfondibile vestito a righe ripropone le sue scorribande pasticcione e irriverenti su rsi.ch/archivi
Il
Da domenica 8 gennaio in prima TV su LA 1 rsi.ch/archivi Adriana Parola con l’Arturo alias Fredi Schafroth Sarà Michele Foletti a raccontare Domenica 8 gennaio
alle 19.20 su LA 1 Cosa fare per stare bene e per sentirsi in forma? Come affrontare le malattie che, inevitabilmente, si presentano nel corso della vita?
Come va con la nostra salute? Da martedì 10 gennaio alle 21.10 su LA 1 Sette puntate in diretta e in prima serata su LA 1 per raccontarci come stare meglio con il nostro corpo

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.