5 minute read

MERLUZZO CON FINOCCHIO E LATTE

INGREDIENTI PER 4 PERSONE g. 200 di merluzzo dissalato • 1 finocchio piccolo • g. 20 di crème fraîche • yogurt liofilizzato • pepe bianco selvatico • olio extra vergine di olive taggiasche • g. 100 di latte • 2 cucchiai di latte in polvere • mezzo albume • g. 2 di sale • ml. 100 di aceto di siero di latte • g. 15 di zucchero • g. 100 di latte scremato • burro • g. 50 di stravecchio Piave • 1 cipolla piccola • 1 carota piccola • ½ costa di sedano • ml. 300 di acqua

PREPARAZIONE tornato da Roma e aveva scommesso la sua carriera a Tolmezzo, con tanto lavoro legato al territorio, il che per l’epoca era un concetto un po’ all’avanguardia.

Tenere 1 cucchiaio scarso di aceto di siero di latte per condire il finocchio e, con il rimanente, ottenere una riduzione del 60% aggiustando con un po’ di zucchero e sale. Scaldare g. 100 di latte scremato a 80 °C per 5 minuti e lasciare intiepidire. Aggiungere lo zucchero, il sale e montare in planetaria fino a creare una meringa ben ferma; ricavare delle piccole meringhe, porle sopra una placca e asciugarle in forno a 90/100 °C per 2 ore.

Preparare un brodo con le verdure e la parte di scarto del finocchio, cuocere per 40 minuti, infine aggiungere il formaggio e le croste del Piave e lasciare in infusione per 8 minuti, dopodiché filtrare e tenere in caldo, aggiustando eventualmente di sale. Versare in una ciotola l’albume con il latte in polvere, mescolare adeguatamente. Ungere con un po’ di burro una padella antiaderente e formare con un pennello di silicone delle cialde di cm. 8 x 3, lasciando che si asciughino 2 minuti circa su ambo i lati. Versare il latte intero in una casseruola, portarlo a 85/90 °C e lasciarlo riposare un paio di minuti. Sollevare con molta cura la pelle ottenuta e porla ad asciugare in un luogo caldo. Pulire il pesce dalla pelle ed eventuali spine, tagliare a cubetti e condire con olio e pepe.

Disporre la tartare di merluzzo al centro del piatto, adagiare un po’ di finocchio tagliato finemente e condito con olio, aceto di siero e sale; aggiungere la pelle di latte, la cialda, la crème fraîche, lo yogurt, la riduzione di aceto e la meringa. Servire anche del brodo caldo in una piccola ciotola.

Anche al Dolada, malgrado l’esperienza sia stata piccolissima perché eravamo sempre aperti e non c’era la possibilità di fare stage prolungati, Enzo [De Pra] è stato splendido: è uno dei pochi con la passione dentro.

Aveva questo dono dell’insegnare, ma non ti dava la ricetta, però c’erano in lui, fortissime, la cura e l’amore per la materia prima da trasmettere.

Un’altra bella esperienza, sempre brevissima, ma assolutamente utile, è stata da Vissani, perché ha la capacità di unire ingredienti e ispirazioni diverse. Lui è come un contenitore dove si può inserire veramente di tutto perché da ogni cosa sa creare sempre nuove suggestioni.

A differenza mia che utilizzo ingredienti differenti, ma faccio in modo che ogni elemento che compare nel piatto sia avvertito in maniera distinta, lui, invece, sa utilizzare ingredienti di ogni tipo per ottenere un gusto sorprendente che in natura quasi non esiste. Lui punta sulla sintesi, non sulla scomposizione e differenziazione degli elementi.

Qual è il piatto che la rappresenta di più e quale quello che è rimasto nel corso di questi anni?

Tutti i piatti sono miei e quello che mi contraddistingue è la capacità di farli riconoscere come miei.

È bello poi sentirsi dire dai clienti: potrei avere gli occhi chiusi e, ricordando un tuo piatto, avere comunque la percezione di essere qui. Ho lavorato molto per costruire la mia identità, ciò che mi distingue e che mi fa restare nella memoria dei miei ospiti.

La stella Michelin è arrivata per caso o era un obiettivo raggiungerla?

No, è arrivata inaspettata, per nulla programmata, eravamo ragazzini quando è successo.

C’è in programma la seconda stella?

No, cerchiamo di lavorare con impegno come sempre, valorizzando la casa e l’atmosfera, per il nostro piacere e per quello dei nostri ospiti, senza forzature.

Passando, invece, alla cantina, Elena, ho letto che la vostra vanta più di 2.000 etichette. Come avviene la scelta e l’assortimento?

La maggior parte del lavoro è stato fatto da mio padre nel corso degli anni, soprattutto sui vini cosiddetti “importanti”.

Quello che stiamo facendo adesso è un discorso relativo all’abbinamento, per esaltare i piatti creati da Fabrizia; diciamo che l’acquisto al momento è finalizzato a questo, poi, è chiaro che, se ci sono dei vini che, secondo me o Ovidio, che si occupa soprattutto della cantina, si prestano all’invecchiamento, li lasciamo in cantina.

Il discorso del vino è un po’ cambiato, perché prima si vendeva la bottiglia, oggi, invece, con questi percorsi gustativi, la gente si fa accompagnare, perché sennò si rischia di rovinare il piatto e il vino.

Qualcuno ha parlato di vostri “abbinamenti provocatori e azzeccati”. Quale può essere un abbinamento provocatorio?

I gusti sono un po’ più delicati rispetto a quelli di una volta. Molti nostri piatti, anche di selvaggina, si abbinano bene ai bianchi, che sono molto duttili, cioè ce la fanno a sostenere questi percorsi.

E se inizialmente le nostre proposte hanno lasciato perplesso qualche commensale, una volta provate, sono state apprezzate anche nell’azzardo.

Ogni stagione cambiamo le cantine che per la maggior parte conosciamo personalmente: sappiamo come lavorano e ci fidiamo. Noi cerchiamo di valorizzare le uve autoctone e in genere quelle italiane.

E mentre per alcuni piatti il vino è solo di accompagnamento perché cerca di non sovrastare il cibo, in altri casi, come nel nostro menù più lungo, il vino diventa un ingrediente che contribuisce a creare quell’equilibrio che Fabrizia ricerca, per esempio dando più sapidità o abbassando l’acidità, modificando così la percezione che si avrebbe se il vino non ci fosse.

Lei prima di tornare al Laite ha fatto una serie di esperienza diverse in varie realtà anche famose. Mi incuriosiva quella a La Torre del Saracino a Vico Equense, di Gennaro Esposito.

Sì, è stata l’ultima esperienza: fantastica! Avevo il desiderio di andare al Sud, per la ricchezza della materia prima, il clima.

Se assaggi un limone lì, ti domandi cosa hai mangiato fino a ora, perché nulla di quello che noi chiamavano limone ha quel sapore e quel profumo. Lo stesso dicasi per il pomodoro o altri prodotti.

Cosa si è portata a casa di quell’esperienza?

Soprattutto l’ospitalità del Sud, poi l’ordine e la pulizia: tutto deve essere perfetto, preciso.

E poi, il cuore del Sud! È chiaro, quello che va bene nelle varie strutture che ho frequentato, non è detto vada qui, ma ciò perché l’Italia è varia ed è giusto che sia così.

Non ha mai pensato che il suo futuro avrebbe potuto non essere qui?

Avevo in programma di viaggiare ancora e fare altre esperienze, ma poi gli avvenimenti mi hanno portata a fermarmi.

Ha pensato a un Laite2?

La nostra forza è la famiglia: chi viene qui sa che troverà lei e troverà me e a noi fa piacere. Aprire un nuovo locale significherebbe farlo gestire a terzi e non sarebbe il Laite, sarebbe altro.

Mise en place essenziale ed elegante. Ho dovuto lottare molto con mio padre perché fosse così. Prima la tavola era sì bella, ma molto addobbata, c’erano le candele, i sottopiatti...io, invece, volevo l’essenzialità in modo che l’ospite si possa concentrare sul piatto. E, secondo me, l’ordine, la mancanza di distrazioni favorisce il relax, che a tavola è fondamentale; un aiuto ce lo dà anche musica.

Tra le proposte degli aperitivi mi ha incuriosita l’Idrolato di fieno, quale ingrediente dell’HAI. Sì, anche questo è fatto per rimanere nel territorio, ha un buonissimo odore di fieno e, offerto in una location come la nostra, all’inizio del pasto, fa comprendere agli ospiti dove si trovano, anche per dare un’alternativa al vino.

This article is from: