INSONNIA SettembreOttobre 2021

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mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 133 Settembre - Ottobre 2021 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Siamo alla frutta Oderda, il punto di vista della maggioranza a cura della redazione

Vivo questi momenti in cui sto per scrivere l’editoriale, come la fine di un’epoca ma non so se in realtà questa epoca era già finita quando insonnia apriva le sue prime pagine e noi, quanti si trovavano nella sede della “Sinistra Racconigese” per formulare questo progetto, pensavamo di riunire coloro che non si sentivano rappresentati dalla politica operante in Racconigi. Riunire per cosa? Per vedere se tutti insieme avremmo potuto trovare punti in comune che ci potessero far sentire in una CASA COMUNE. Forse le intenzioni recondite erano anche altre, ma così tanto recondite da non conoscerle nemmeno noi per cui non posso oggi, 13 anni dopo (!), farle conoscere a voi, neppure ai lettori più fedeli. A giugno del 2008 avevamo come obiettivo immediato quello di mantenere svegli i futuri lettori perché avevamo paura che le “pastiglie” che ci propinavano potessero fare addormentare tutti quanti “... la TV spazzatura, i giornali vuoti (citazione del primo editoriale di Insonnia) erano loro le “pastiglie” che sentivamo pericolose e che avrebbero potuto farci cadere in una totale catalessi. Oggi ci rendiamo conto che hanno sicuramente vinto loro anche perché hanno trovato nuovi e potenti alleati. Un esempio che vale per tutti: i social. Riflettendo tra di noi per concludere questa lunga parentesi da “editori” ci siamo detti che il mondo è cambiato da allora, la politica è peggiorata, forse il mondo intero è peggiorato ed

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LA PISTA CICLABILE DELLA DISCORDIA

I disegni in materia di sostenibilità ambientale di chi amministra Racconigi a cura della redazione

MARCIA PER LA PACE PERUGIAASSISI 10 ottobre 2021 “Ciascuno di noi, uomini e donne di questo tempo, è chiamato a realizzare la pace: ognuno di noi, non dobbiamo ignorare questa responsabilità. Noi siamo tutti chiamati a realizzare la pace e a realizzarla ogni giorno e in ogni ambiente di vita.” Papa Francesco, 1 gennaio 2021 La crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri e vulnerabili;

Sindaco, dopo che col numero luglio/agosto abbiamo dato spazio alle opinioni dell’opposizione siamo qui perché noi di Insonnia riteniamo che le ragioni degli uni e degli altri vadano messe a confronto, questa è

da sempre la nostra filosofia. Cominciamo con una domanda preliminare: quando iniziano i lavori della pista ciclabile e quando si prevede che termineranno?

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Nuova Coop Neuro

I bisogni e le necessità di Racconigi

I primi risultati del questionario compilato da quasi 300 cittadini

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I giovani della Nuova Cooperativa Neuro

Nel mese di giugno, quando la Cooperativa Neuro ha concluso la cessione del ramo d’azienda alla Sorriso Market, gruppo Despar, e in seguito la trasformazione in cooperativa di comunità, ci è stato chiaro che il modo migliore per iniziare a lavorare per Racconigi fosse, appunto, chiedere ai racconigesi stessi di cosa

avessero necessità. Abbiamo allora creato un “questionario delle priorità”, pensando così di poter capire quali potessero essere non solo i progetti a cui lavorare, ma anche da quali iniziare e quindi come muoverci in un campo così vasto di possibilità e di idee. Le domande sono state immaginate in modo che ci venissero

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BARTOLO GARIGLIO pag. 5

Diversamente Chiesa

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papà

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TANGO

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Conosci Racconigi? a cura di Guido Piovano

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Anomalia di Luciano Fico

Racconigi non è solo parcheggi, bianchi o blu che siano. Anzi. Questa rubrica vuole essere un invito rivolto al lettore a guardarsi intorno nel nostro Centro Storico svuotato dalle automobili, alla ricerca di siti e particolari architettonici che nel quotidiano rischiamo di non vedere e che sono invece parte della nostra storia e del nostro quotidiano. Eccoci alla quinta immagine. Dove si trova nel centro di Racconigi l’abbaino riprodotto nella pagina? La risposta sul prossimo numero.

La loggia

Nel numero scorso vi abbiamo chiesto dove si trovasse una certa loggia molto elegante. Ebbene la potete trovare nella centralissima via Levis al n. 10, è sufficiente che alziate lo sguardo. Sono davvero numerose le logge che si possono ammirare nel centro storico di Racconigi.

“Anomalia”: sostantivo femminile. Presenza di elementi non riconducibili al modello prototipo di una classificazione o al normale svolgimento di determinate funzioni. Il bello dei dizionari è che sanno descrivere ogni parola estinguendo del tutto le emozioni che solitamente evocano. E così, anomalia cessa di essere un qualcosa che genera inquietudine e sospetto, se non paura proprio. La gelida descrizione del vocabolario, fa piazza pulita di tutta la vergogna, l’incertezza e la solitudine che Ester ha dovuto vivere fin da bambina. Per i piccoli il mondo è una terra straniera e devono lottare, trovando il proprio modo, per conquistare un qualche diritto a viverci. La famiglia dovrebbe essere il luogo dove tale fatica viene alleviata, ma quasi mai il trucco funziona. Anche per Ester quelle persone tanto amate furono una sfida, una cima impervia da conquistare. Una madre dedita ad insegnarle come non dar fastidio agli altri ed un padre tanto esigente quanto adorato: due ostacoli in più, nel mondo! Fin da piccola, cominciò a sentire, che il suo modo di stare nella vita era profondamente diverso da quello delle sue amichette. In lei pulsava un desiderio potente di manifestarsi, una gioia selvaggia di esistere. Quante volte, seduta nei banchi di scuola, aveva avuto il desiderio di gridare, solo per sentire la propria voce levarsi e svolazzare nell’aula come una rondine in cerca della finestra giusta per uscire. Il suo corpo la richiamava di continuo a contravvenire, come quella volta che non resistette al richiamo della pioggia e corse scalza nelle pozzanghere, lasciando che fossero gli schizzi di fango a decorare allegramente il suo visino ridente. Con l’adolescenza proprio il corpo si fece delizia e tormento: attraversato dalle energie ormonali, vitalizzato dal richiamo della natura, non riusciva proprio a stare dentro alle prescrizioni che gli venivano continuamente date! Gli anni sono trascorsi nel faticoso tentativo di mantenere ce-

late le parti di sé che proprio non sembravano essere ben accolte. Ester finì per sottrarsi alle occasioni di incontro, temendo di essere sbagliata: preferì costruire la sua vita sulla disponibilità agli altri e sulla gentilezza. In quello era diventata bravissima! Di certo si innamorò più e più volte, ma non si soffermò mai sulla tristezza di un addio precipitoso, di un tradimento o di un tentennamento: lei era anomala, lo era sempre stata, cosa c’era mai da stupirsi? Rimanendo sola fu naturale per tutti dare per scontato che dovesse essere lei ad occuparsi dei genitori quando divennero anziani: lei lo fece e ci mise anche tutta sé stessa. Ora, dei genitori rimane il ricordo e la bella casetta che lei ha ristrutturato. Ora, Ester assapora, forse per la prima volta, la libertà: sente che non ha più debiti in sospeso e che può, finalmente, dare ascolto alla sua anima inquieta e all’altrettanto inquieto corpo! L’età, che molte donne frena, per lei è diventata il trampolino per una nuova vita: a quasi sessant’anni non si vergogna più di essere diversa e adesso morde con rabbia gioiosa la vita che le si propone. Ester ha imparato che l’anomalia è una meravigliosa opportunità, che richiede una vita per essere colta. Ora, Ester sa che anche l’amore non tarderà a farle visita e lei è pronta con un bicchiere di vino in mano ed uno sguardo complice sul viso…


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Oderda, il punto di vista della maggioranza

LA PISTA CICLABILE DELLA DISCORDIA

I disegni in materia di sostenibilità ambientale di chi amministra Racconigi segue dalla prima

L’ultimazione dei lavori è prevista per il 31/12/2022, inizieranno non appena abbiamo concluso l’iter delle attività di esproprio che chiaramente in questo clima del non volerla fare diventano particolarmente complesse anche perché c’è una parte di mondo amministrativo che non accetta la soluzione democratica e continua a buttare benzina sul fuoco, peraltro a causa di un terreno marginale. Questa sarebbe stata l’occasione per mettere al centro l’interesse collettivo prima di quello dei singoli, soprattutto dal momento che non siamo partiti ieri: la prima giunta Tosello ha fatto il primo tratto, poi una modifica significativa al piano regolatore, poi un progetto depositato nel 2016 dalla precedente amministrazione Brunetti che ricalcava esattamente il percorso dell’attuale pista ciclabile. Sarebbe stato davvero bello, con un po’ di coerenza per la visione di sostenibilità che dobbiamo avere, arrivare alla conclusione di questo iter. La sfida era quella di riuscire a trovare le risorse finanziarie senza gravare molto sulle tasche dei cittadini. Siamo passati da un progetto che sarebbe costato 650.000 euro, 500.000 e più già approvati nella determinazione, troppo impegnativo per la città di Racconigi, a uno leggermente cambiato da 185.000 come nostra quota di cofinanziamento e 285.000 di finanziamento regionale. Penso che comunque questo movimento per la sostenibilità e dell’andare in bici non possa essere interrotto da alcuni racconigesi, quando lì abbiamo un via vai di persone alternato a trattori, auto e tutto il resto. Quello è un tratto che va messo in protezione almeno fino alla compressione alla fine del muretto del parco. A questo proposito: l’ultimo tratto è promiscuo, il livello di sicurezza è inferiore… Però c’è una differenza sostanziale che non c’è un muro da una parte, né un canale profondo due metri dall’altra come nel primo tratto, ma soltanto un canalino irriguo. Non è che ci divertiamo a consumare del terreno agricolo, se ne fa l’uso minimo indispensabile. Se non fosse così non avremmo messo in sicurezza il Maira, non avremmo fatto la tangenzialina… Questi elementi sono stati spiegati più e più volte anche in Consiglio Comunale, ma qui c’è il tentativo di delegittimare la scelta democratica e questo non va. Dovete chiedere una proroga per l’inizio dei lavori? Sì, abbiamo chiesto una proroga. Avete avuto un incontro con i cit-

tadini interessati all’opera che ha portato a contrasti rilevanti, Gianoglio ad esempio… Gianoglio era in disaccordo con la ciclabile per via di questo pezzo di esproprio. Ma lui non ha mai confermato che la scelta di dimettersi fosse dovuta a questo. Lui ha votato contro, ma come è giusto che sia; si chiama democrazia.I motivi per essere in disaccordo possono essere che non si crede nella cosa, come le minoranze, oppure che un agricoltore può avere dei diritti che vengono un po’ lesi, anche se in modo per la verità marginale. A noi però sta mancando quella che è la democrazia reale in questo paese, le minoranza sono legittimate a compiere tutte le azioni politiche che ritengono prima che il Consiglio Comunale approvi, dopodiché quando tu abbracci azioni che di politico non hanno più nulla, ma molto di amministrativo-burocratico è un fallimento della politica racconigese. Però su questo terreno le minoranze affermano che voi non avete ascoltato nessuno, è un’accusa forte. Io dico di no, noi proprio come scel-

unico attorno al parco. Avremmo però obbligato tutti gli interessati a percorrere mediamente il doppio di strada per raggiungere il paese. Se fai una scelta guardi quanto questa impatta nell’utilizzo quotidiano, soprattutto nel consumo di CO2. E poi sarebbe stato davvero scomodo. Ora però il tratto andrà regolato. Stiamo valutando attentamente tutte le opzioni al fine di rallentare la velocità. Continuiamo ad utilizzare le virgole burocratiche per incompetenza. Io lo dico, sono incompetenti. Ad esempio, sappiamo che i canali principali non sono lastricabili, semplicemente non sono lastricabili. Io poi sarei contrario, anzi noi stiamo facendo una battaglia per riaprire le acque invernali nei canali. Ecco una battaglia per l’ambiente! Non si poteva fare una scelta migliore? Sempre si può fare una scelta migliore, però quando la direzione è quella, non esiste LA scelta giusta. È stata fatta una delibera il 22 novembre 2016 ancora della giunta Brunetti, che cristallizzava tutto,

ta amministrativa abbiamo sempre cercato il confronto, cercato di dare spazio alle associazioni culturali, sportive ecc. Qui, se il piano regolatore prevede che la pista ciclabile sia lì, i casi sono due, o la fai o non la fai. La pista ciclabile non si può spostare alla destra del canale? Abbiamo considerato tante cose che però non hanno gambe, non c’è lo spazio. Oggi, per essere considerata valida al fine dei finanziamenti, deve essere almeno 2 metri e 30, in realtà ci stava, l’unica cosa è che sarebbe stato necessario realizzare un senso

consegnata in Regione, conteneva già il piano particolarizzato di esproprio esattamente sugli stessi terreni. Quando dico che c’è una questione morale su questo è perché tutto ciò non va bene, non va bene: o si dice espressamente che siamo contrari alla cosa oppure non va bene che si facciano azioni… non va bene. La cosa curiosa che appare è uno scambio di posizioni politiche tra destra e sinistra… No, non c’entra niente. Se noi guardiamo alla storia, i fortissimi verdi tedeschi sono di destra; cioè non c’è

destra-sinistra sull’ambiente, sulla sostenibilità, sugli stili di vita differenti. Non accetto questa logica, stiamo lavorando al Consorzio Terre Reali ed è un Consorzio turistico che consentirà di mettere a frutto quelle che sono le opportunità turistiche per albergatori, ristoratori… per tutto un sistema. Io ci ho lavorato tanto. Va bene tutto, ma dire che a Racconigi c’è solo una pista ciclabile mi fa dispiacere quando lavoriamo ad un piano per la sostenibilità: abbiamo ridotto le velocità, circolano molte più biciclette in paese, abbiamo fatto l’ultimo appalto per l’illuminazione pubblica, 52 tonnellate di CO2 equivalente all’anno in meno, una scuola media che sarà supersostenibile, già in fase conclusiva per quanto riguarda la predisposizione dell’appalto. Torniamo più strettamente al tema pista ciclabile, quale sarà il materiale col quale verrà realizzata, è asfalto, sterrato, cos’altro? Se la facessimo di terra non durerebbe; non è asfalto, è un conglomerato in tre strati che avrà l’aspetto finale color ocra tipico delle ghiaie, un pietrischetto rullato, poco impattante, come sono le piste ciclabili in tutto il mondo. Il terreno oggetto dell’intervento di scavo, circa 15/20 cm di profondità, verrà utilizzato sul posto per le banchine laterali di un metro con inclinazione di 45°. Naturalmente il primo tratto già esistente, rimarrà così com’è. La gente ha capito il senso di certe scelte come le chicane. Poco per volta ci si rende conto che c’è un effettivo decongestionamento del centro storico, è un percorso educativo, ci vuole tempo, guardate che i cattivi maestri e le folle hanno scelto Barabba! Siamo alla pagina zero di un sistema di sostenibilità, non è lontana un’area pedonale allargata in paese nei weekend… e dobbiamo ancora arrivare ad una segnaletica dedicata, a pittogrammi adeguati. Se vogliamo essere appetibili anche dal punto di vista dell’offerta turistica, ci vuole il Castello ma anche il paese, un sistema organico. Un passo alla volta. Finisce qui, il sindaco ci lascia con questo appello finale, e anche noi lasciamo che voi lettori, sentiti gli uni e gli altri, maturiate le vostre convinzioni.


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Nuova Coop Neuro

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I bisogni e le necessità di Racconigi

I primi risultati del questionario compilato da quasi 300 cittadini segue dalla prima

restituiti dei bisogni per ogni fascia così da diversificare le necessità reali e comprendere a fondo quali categorie avessero desiderio di cosa (per esempio, una persona tra i 36 e i 45 anni con figli che lavora da dipendente sicuramente presenterà bisogni diversi da una persona con più di 60 anni e in pensione). Abbiamo quindi cercato di capire inizialmente l’età, il sesso, la professione, i componenti della famiglia di ogni intervistato; poi chiesto se abitassero a Racconigi o meno, se si fossero traferiti e perché, quali fossero a loro parere i punti di forza della nostra città. Le due domande finali, forse le più importanti, riguardavano invece l’ambito in cui investire delle ipotetiche risorse economiche e quali delle attività che avevamo proposto potessero essere più utili. I risultati si sono dimostrati piuttosto interessanti e addirittura più proficui di quanto non ci aspettassimo, in particolare nelle ultime due domande. Nella penultima, riguardante l’investimento di risorse economiche, la grande maggioranza dei rispondenti (ben il 55,8%) sostiene che concentrerebbe le energie nell’ambito turistico; altri invece (30%) hanno indicato l’ambito lavorativo, seguito immediatamente (27,2%) dall’ambito sociale e poi, in percentuali minori, dall’ambito di sostenibilità ambientale, da quello dei trasporti, quello sanitario e infine quello assistenziale.

Infine, le risposte dell’ultima domanda sono quelle che ci hanno permesso di capire, finalmente nel concreto, cosa quotidianamente alle persone manchi a Racconigi e in quale modo quindi possiamo iniziare gradualmente ad attivarci. Il settore su cui si è riversata la maggioranza dei voti è stato nuovamente quello turistico, dove 136 persone si sono espresse a favore di attività di supporto al turismo, mentre 114 persone hanno votato per attività di recupero, riqualificazione e gestione dei beni in disuso. In seguito, 92 persone hanno appoggiato l’idea di attività di sostegno volte al corretto utilizzo di fondi, anche europei, e contributi in genere, 89 la messa a disposizione di spazi destinati ad attività culturali e di aggregazione, sede di manifestazione ed eventi, 86 la gestione ed organizzazione di eventi e manifestazioni, 82 la gestione di spazi e attività dedicati al supporto scolastico. Molto votate sono state anche la messa a disposizione di spazi comuni per il co-working e aule studio e le attività di supporto e gestione dello sport giovanile. Siamo sicuramente molto soddisfatti del risultato raggiunto e di quante persone hanno voluto aiutarci dando la loro opinione e la disponibilità (tramite mail) ad ascoltare le nostre proposte di progetti futuri.

Sport-Salute-Benessere. Insieme a corpi liberi

Postura non fa rima con geometria di Federico Bronzin

Come una nebulosa non ancora bene identificata, materia per dotti e presunti tali, lo studio della postura sta prendendo piede come una disciplina “innovativa”, una nascente stella della salute, destinata a cambiare la Vita a milioni di persone. Come succede in tutti i settori ufficiali trattanti la salute umana, anche la cosiddetta posturologia sta venendo incanalata in un intricato sistema di calcoli matematici, linee rette, diagrammi e quant'altro, a discapito di una visione più umana o, giusto per far rabbrividire la Scienza, più olistica, parte che, sono convinto, dovrebbe mai mancare. Per fare un esempio pratico, la scoliosi, ovvero la regina delle “patologie” posturali, viene diagnosticata esaminando spalle a diversa altezza, bacino sbilanciato, gibbo, asimmetria dei triangoli della taglia, eccetera, il tutto con in mano riga, goniometro, senza dimenticare un bel filo a piombo. In pratica, il miglior posturologo è il geometra. Risultato? Il pz. (orribile dicitura) viene

classificato, catalogato, condannato. Nonostante siano ormai numerosi gli studi scientifici che smentiscono la stretta correlazione tra “gravità” della disfunzione ed effettivo dolore del ricevente (da operatore della salute, mi piace di più), ci si accanisce sui numeri e le misure. Da chinesiologo specializzato in posturologia consiglio, laddove un medico vi riscontri una “anomalia” posturale, innanzitutto di accettarvi e amarvi per quello che siete, poi di non sentirvi malati, perché basta il più delle volte una buona ginnastica posturale a risolvere i dolori dovuti alla postura. E questo è il motivo per il quale la postura non dovrebbe essere argomento sanitario, bensì del benessere. Postura non fa rima con geometria. Postura fa rima con Natura, l'origine di ogni particella di noi, dalla nascita, passando per la nostra evoluzione, fino all'ultimo dei nostri giorni.


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OMAGGIO A BARTOLO GARIGLIO a cura di Guido Piovano

Bartolo Gariglio vive a Racconigi da quando è nato nel 1947, è insomma un racconigese “storico”. Da pochi mesi in pensione, è stato professore ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino, ed è autore di una ricca produzione di pubblicazioni frutto di una attività di ricerca durata quarant’anni che prosegue ancora oggi. Gariglio si è visto dedicare da due dei colleghi che più gli sono stati vicino negli anni della ricerca e dell’insegnamento il libro “Dalla parte della storia” che raccoglie una serie di saggi di studiosi/e vicini al lavoro di Bartolo e al mestiere dello storico. Come è scritto nella Presentazione del libro “L'insieme delle ricerche permette di toccare alcuni fra i principali temi affrontati da Gariglio nella sua lunga attività di ricerca: il cattolicesimo italiano dell'Ottocento e del Novecento, i protagonisti del pensiero cattolico-democratico, la Resistenza in Italia, la vita religiosa torinese, il pensiero e l'attività culturale di Piero Gobetti”. Tra gli scritti del libro mi preme parlarvi del saggio di Cecilia Dau Novelli, La memoria e l’immaginario: l’altro novecento delle donne italiane. In sole venti pagine lo scritto ci fa compiere un accattivante cammino tra le figure femminili più rappresentative dell’universo letterario e musicale italiano, che dalle Silvia e Lucia, creature angelicate e pure di Leopardi e Manzoni, attraversando l’immaginario femminile di papa Leone XIII col suo ideale di famiglia cristiana che bene viene espresso dalla donna angelo del focolare, giunge alle cattive ragazze del rock italiano, Martini, Bertè, Rettore e Nannini così lontane dal modello di donna di inizio Ottocento, consapevoli però che per loro la guerra non è mai finita. In mezzo, Anna Maria Mozzone e la questione femminile, la comparsa della casalinga, il processo di secolarizzazione della donna insegnante, infermiera, operaia, domestica e contadina che

deve fare i conti con l’ideale di donna-madre di fascismo e Chiesa ben espresso nella Mamma, solo per te la mia canzone vola cantata da Beniamino Gigli negli anni trenta, mentre cinema, pubblicità, radio, televisione, automobile inducono nuovi sogni e nuovi modelli di donna. Con Resistenza e Repubblica, l’Angelica di Tomasi di Lampedusa e la Mara di Carlo Cassola, donne adulte e sicure di sé, oscurano le Silvia e Lucia del Risorgimento, mentre la Bella ciao, donna amata e desiderata, è in grado di lottare a fianco del partigiano. Nel saggio due secoli di storia patria, il costume e l’immaginario popolare italiano si alternano in modo piacevole, non senza profondità. In ultimo, mi voglio soffermare sul saggio Alcune riflessioni sui cattolici nella storia d’Italia nel quale Francesco Traniello si chiede se esista una peculiarità italiana nella presenza dei cattolici nella storia d’Italia. Egli percorre gli anni che seguirono l’Unità d’Italia, dal Regno alla Repubblica e analizza come fu possibile passare dalla iniziale tensione tra Chiesa e Stato al predominio politico di un partito come la Democrazia Cristiana. Qui appare essenziale l’occhio dello storico che mette a frutto una ricerca di archivio documentata, seria e approfondita. Permettete che nella mia posizione di non addetto ai lavori, vi consigli la lettura di questo libro, secondo me non per soli specialisti. A proposito di Gobetti, Bartolo mi dice: «In un momento di crisi personale, erano i tempi del governo Berlusconi e mi sembrava che l'Italia andasse a scatafascio, mi sono interrogato su cosa potessi fare come intellettuale, come studioso e ho pensato ai 114 libri che Gobetti pubblica nel primo dopoguerra, negli anni del fascismo dal ‘23 al ‘25, scritti dalle migliori firme degli intellettuali antifascisti, escluso uno che Gobetti considera un fascista intelligente. Ecco, io ho ritenuto che fosse importante mettere a disposizione dei giovani, degli intellettuali questi libri di autori importanti, da Einaudi a Sturzo, a letterati come Montale, di cui pubblica “Ossi di seppia” nella edizione anastatica, così come sono usciti dalle mani di Gobetti, anche con errori formali del tempo e con una parte critica affidata a quelli che ritengo i maggiori studiosi dei singoli argomenti. Abbiamo iniziato nel 2011, siamo già a una novantina di volumi pubblicati su 114 e pensiamo di chiudere a fine ’25, alla vigilia del centenario della morte di Piero Gobetti. Un

Curatori Mauro Forno e Marta Margotti

“Dalla parte della storia” Scritti in onore di Bartolo Gariglio 2021, pp.224, € 25.00 Ed. Morcelliana

contributo molto apprezzato dagli studiosi specialisti. Ecco devo dire che questo mi ha aiutato a stare meglio. Bartolo, qual è la differenza tra ricerca storica e ricerca scientifica, o se preferisci, cosa c’è di scientifico nella ricerca storica? «La ricerca storica, se è tale, è fondata su una ricerca documentale, di archivio, attenta e approfondita, sulla lettura di tutti gli scritti usciti su quel tema in maniera tale che l’autore possa scrivere qualcosa di nuovo. La ricerca scientifica si fonda sulla ripetibilità dell’esperimento, invece nel campo storico io non credo, qualcuno c’è che ha tentato, a quanti vogliono scrivere una storia controfattuale come prova della validità della storia, riprendendo la ripetibilità dell’esperienza storica, nel senso di dire se le cose fossero andate diversamente, ci fossero state queste diverse condizioni, le cose sarebbero andate in questo modo». Nella tua attività, ti sei occupato molto della Chiesa: secondo te dove sta andando la Chiesa, ha un futuro, può reggere senza un radicale cambiamento? «Ritengo che la situazione della Chiesa in questo periodo sia molto problematica. È una realtà in cui convivono istanze molto diverse, la chiesa latino-americana, nordamericana, europea, indiana con differenti culture e sensibilità; tuttavia, secondo me, la Chiesa deve riprendere come ha fatto varie volte nei secoli una strada molto innovativa, tenere presenti le nuove realtà, le nuove problematiche l'importantissimo problema delle donne, del sacerdozio. Non si può esimere da un confronto serio con le istanze della storia, l'ha dovuto fare sempre, dalla Chiesa dei primi secoli che si confronta con la cultura greco-romana, accoglie quel che è accettabile, rifiuta quel che non è accettabile, a quella del mondo uscito dalla rivoluzione francese. Lo fa in ritardo con molte difficoltà, alla fine è costretta a farlo; l'avesse fatto prima come suggerivano alte figure religiose, i cosiddetti cattolici conciliatoristi, i cattolici liberali come Rosmini e Newman che suggerivano di operare una sintesi tra la cultura moderna e le istanze profonde del cattolicesimo, senza aspettare faticosamente il Concilio Vaticano II ed evitando le scomuniche del modernismo con le affermazioni che poi il Concilio in larga misura recupera, forse ci saremmo evitati tanti guai».


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Paolo Rodari intervista Carlo Molari

“DIO NON FA. EGLI FA SÌ CHE LE COSE SI FACCIANO” Parziale trascrizione da https://www.paolorodari.it/ carlo-molari-teologo-intervista/ a cura di Guido Piovano

[Oggi 92enne, Carlo Molari, ndr.] È il più grande teologo italiano dei nostri giorni, ha scritto su Twitter recentemente Vito Mancuso. E io sono d'accordo con lui. Carlo Molari, aiutante di studio all’ex Sant’Uffizio e poi docente di dogmatica nell’Università Urbaniana, nel 1978 chiese la pensione dopo che la prefazione al Dizionario teologico (Borla 1972) e il libro “La fede e il suo linguaggio” (Cittadella, Assisi 1972) vennero accusati di sostenere posizioni non conformi alla dottrina. […] «Oggi non c’è più alcun dubbio sul fatto che sia più fedele all’esperienza cristiana il darwinismo che la negazione dell’evoluzione. Oggi retrogradi sono coloro che ritengono che Darwin sia eretico. Il tempo ha dato ragione a Teilhard de Chardin». […] Carlo Molari, quindi su Darwin aveva ragione lei? «Negare l’evoluzione vuole dire non rendersi conto del cammino reale che i viventi stanno facendo sulla terra». Dio è la fonte dell’evoluzione? «L’evoluzione è possibile proprio perché Dio ne è la fonte, il principio. Ma se Dio è al principio significa che la sua perfezione non è ancora interamente espressa. Solo l’evoluzione può spiegare la complessità della realtà e il mistero di Dio». La storia è allora necessaria per l’uomo ma anche per la teologia cioè per la riflessione dell’uomo su Dio? «L’evoluzione richiede la storia. Gli antichi pensavano che in origine vi fosse un Adamo perfetto, ma non può essere. L’uomo deve diventare e diventa nella storia e così la percezione che noi abbiamo di Dio». Carlo Molari, quindi il peccato originale è fantasia? «Non esattamente. La dottrina tradizionale contiene una verità di fondo e cioè l’incidenza negativa di una generazione su quella successiva. La vita viene comunicata spesso con limiti e carenze. L’insufficienza della dottrina tradizionale consisteva nell’immaginare un inizio già perfetto e compiuto che sarebbe stato perduto, mentre era un traguardo da raggiungere. Tutto nella storia è in evoluzione. E,

mi spiace, ma anche il pensiero della Chiesa è così. Nella Chiesa ancora oggi c’è chi pensa che l’ortodossia vada salvaguardata e che ogni sua evoluzione sia male. Ma il male è proprio avere questa visione delle cose». Torniamo al 1978. Lei, Carlo Molari, venne giudicato eretico? «Non proprio eretico, piuttosto non in sintonia con l’insegnamento tradizionale e sicuro». Come reagì? «Provai a difendermi. Chiesi a chi mi accusava di tentare nuove strade e di favorire cammini avventurosi nei paesi di missione: allora per evitare questo rischio dobbiamo sempre restare indietro di vent’anni? Mi risposero chiedendomi di lasciare l’insegnamento. Avevo riscattato gli anni delle due lauree e così, pur cinquantenne, decisi di farmi da parte e chiesi, come avevo diritto, la pensione». Cosa non accettavano del suo pensiero? «Insistevo sul fatto che i cambiamenti culturali richiedono un continuo adeguamento anche delle forme dottrinali. E che, sulla scia di Teilhard de Chardin, anche il pensiero che abbiamo di Dio non può che evolversi». Chi è Dio per Carlo Molari? «Di lui non sappiamo nulla di assoluto. Possiamo soltanto abbozzare qualcosa, ma sempre adeguando

ciò che diciamo alla esperienza che compiamo, al fatto che evolviamo». Non possiamo dire nulla di definitivo di Dio? «Se sapessimo qualcosa di definitivo di Dio saremmo alla sua altezza, ma non lo siamo». […] Teilhard De Chardin esaltava l’aspetto cosmico di Cristo, Gesù salvatore di tutti gli esseri viventi esistenti nel cosmo. Condivide? «Questo aspetto è discutibile. Credo che Cristo sia salvezza dell’umanità, ma oggi non possiamo dire che l’umanità sia il centro del cosmo e quindi che Cristo abbia una funzione cosmica perché l’umanità è un piccolo frammento dell’universo. Non è escluso che vi siano altre forme di vita intelligenti e non credo che per loro Cristo sia la salvezza. Non siamo autorizzati ad affermarlo». Delle altre religioni cosa pensa? «Con ognuna dobbiamo dialogare per accogliere il loro dono e dare loro il nostro dono». […] Teme la morte? «Non direi, temo di più la sofferenza della malattia che potrebbe portare alla morte. L’ideale sarebbe morire in un istante. In ogni caso cerco di essere preparato. Alla mia età spesso penso: e se morissi ora?». Cosa avverrebbe? «Non so rispondere. Ciò che accadrà nessuno lo può sapere con sicurezza». Ma ci sarà qualcosa? «Io ho fiducia. È anche possibile che per alcuni vi sia una continuità mentre per altri no. In questo senso saremmo responsabili del nostro futuro. Saremo quindi ciò che abbiamo creduto di poter diventare». […] Perché però il male? «Non può non esserci perché è la condizione per crescere, per evolvere. La creazione è possibile precisamente perché è divenire, il divenire implica l’imperfezione, passare dall’imperfezione al compimento. Se Dio crea non può evitare il male perché deve iniziare dal nulla, dall’imperfezione. Anche noi quando operiamo dobbiamo correre il rischio dell’imperfezione, la fatica di superare il male». […]

Rashōmon di Zanza Rino

Ricordo che, quando ero ancora uno zanzarino giovane e ingenuo, ebbi l’occasione di vedere un film che forse qualcuno tra i non più giovani ricorderà, “Rashōmon” era il suo

titolo. Un film del 1950 diretto dal famoso regista giapponese Akira Kurosawa, protagonista l’altrettanto noto attore Toshiro Mifune. Nel film si narra dell’uccisione di un samurai per mano di un brigante e del vano tentativo da parte del tribunale di ricostruire i fatti attraverso le testimonianze dei diversi personaggi coinvolti nella vicenda (compreso lo stesso samurai ucciso, sentito attraverso l’intervento di un medium). Tutte diverse e spesso contrastanti. Un apologo che ha fortemente influenzato il mio sguardo sulla vita. I fatti sono fatti, si dice, e la “verità” è

una (forse), ma ci sono tanti modi di raccontarla. Non è solo questione di buona e mala fede, che pure c’entrano, ma è che ognuno ha il suo sguardo sulle cose. Non so come mi è venuta in mente quella storia a proposito delle vicende della pista ciclabile. C’è (ci sarà) una pista ciclabile, ci sono due racconti. Ce ne sono certamente di più, ma questo piccolo giornale che cerca di fare il suo lavoro, scusate la parola, “onestamente”, ha dato voce a quelle almeno. Naturalmente ci sarebbe anche il racconto dello zanzarino, ma non tutto si può raccontare e allora lascio a riposo

il pungiglione spuntato. Poca cosa. Ma anche i lettori avranno il loro racconto. E allora ognuno può scriverlo virtualmente nello spazio che si è liberato qua sotto [----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------]


insonnia

papà

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di Melchiorre Cavallo

È bello poter parlare di mio papà su Insonnia. È stato un lettore fedele. Aveva sempre il timore di non aver contribuito alla sopravvivenza del giornale. Più volte, durante l’anno, mi chiedeva se avevamo versato quello che lui chiamava “abbonamento”. “È giusto che anche noi diamo il nostro contributo”, aggiungeva. La morte di un genitore è sempre un taglio profondo. Senti il distacco dalle radici. Smetti di essere figlio, di sentire quella voce che, per prima cosa ti chiede: “Hai bisogno di qualcosa?”, “Cosa posso fare per te?”. Quello che scrivo di mio papà credo possa valere per tanti nostri genitori. È giusto ringraziare per quello che hanno saputo (e scelto di) essere per noi. Solo qualche mese fa papà mi diceva di essere molto soddisfatto della vita vissuta. Le sue testuali parole erano: “Dalla vita ho ricevuto molto di più di quanto avessi potuto sognare…”. Poi cominciava a elencare le “benedizioni” che il Signore (aveva una grande fede) gli aveva donato. Si concentrava molto sulla famiglia (la base della società, nel suo pensiero). La moglie era “il noi” (mai sentito dire “mio”, ma sempre “nostro”), io e mia sorella “i nostri angeli custodi”, i nipoti e il pronipote “i nostri gioielli”. “Non mi manca nulla, mi manca solo il tempo per vivere, perché sto bene e vorrei continuare ad andare a vedere domani”. Tra i tanti doni che mi ha trasmesso papà c’è anche quello della fede. Questo mi permette di non parlarne al passato, perché avverto forte la sua presenza. La vita terrena di papà è abbastanza emblematica di un’intera generazione. Nasce nel 1930 a Cavallermaggiore, in una cascina vicino alla Madonna del Pasco. Poca terra in affitto che consente a nonno e a due suoi fratelli (le tre famiglie abitano nella stessa casa, il che vuol dire 24 persone insieme) di “fare il giro” dell’annata. Istruzione, poca: Francesco comincia spesso l’anno scolastico in ritardo, quando sono finiti i principali lavori dell’autunno. Frequenta fino alla quinta elementare. Lui e mamma, quando si sposano (1960), fanno una scelta radicale: abbandonano la campagna, non senza qualche contrasto con il nonno (papà era il maggiore dei 4 figli maschi e aveva anche 4 sorelle). Mia mamma era di Migliabruna e scelgono di vivere a Racconigi. Primi tempi caratterizzati da ristrettezze: papà lavora in fabbrica a Torino e per 2 anni va in bici a prendere il treno a Carmagnola. Grazie alla tenacia, al gran lavoro e a una forte propensione al risparmio già alla fine degli anni 60 la coppia si trasferisce in una casa di proprietà. Dopo pochi anni finiscono anche i debiti. Intanto sono nati 2 figli (1962 e 1965). I figli si sposano (’86 e ’87) e poco dopo cominciano ad arrivare i nipoti. Grazie alle leggi vigenti all’epoca papà va in pensione a 55 anni e può iniziare una nuova vita, quella del volontariato: Croce Rossa, Avis, Pro Loco, Parrocchia, Compagnia Teatrale “El Fornel”. Sempre con ruoli di manovalanza,

da uomo tuttofare che ama stare dietro le quinte, e coltivare le sue passioni: l’orto e la montagna. Gli ultimi anni dedicati al riposo e a “godersi la famiglia”, non rinunciando all’orto e alla montagna, per quanto nelle sue (ancora notevoli) forze.

Nella apparente semplicità questa generazione ha vissuto cambiamenti sicuramente più impattanti di quelli vissuti dalle dieci generazioni precedenti. Papà mi raccontava che, quando lui era piccolo, a Cavallermaggiore le auto si contavano sulle dita di una mano e certamente anche a Racconigi la situazione era simile. Ciò che è sorprendente è la capacità di adattamento, di interpretazione di una realtà così in cambiamento da parte di persone che avevano, oggettivamente, strumenti molto limitati. Per non prendere troppo spazio riporto solo alcuni flash, per me emblematici. Papà non ha mai letto un libro sull’antimilitarismo e, probabilmente, non sapeva neppure cosa volesse dire. Nella mia infanzia ricordo una sola cosa che mi ha proibito tassativamente: possedere armi giocattolo. Non che all’epoca i giocattoli fossero molti, ma pistole e fucili giocattolo erano già diffusi. Non ho potuto usare nessuno di questi oggetti. “La guerra non è un gioco”, diceva. Sicuramente papà non ha mai letto trattati

di politica. Era però capace di analisi assolutamente non banali. Ad esempio mi faceva notare come al tempo del fascismo la dittatura fosse certamente imposta, ma che, comunque, se si fosse votato Mussolini avrebbe vinto comunque, perché aveva saputo incantare la gente usando la menzogna e cercando sempre di dire quello che la gente voleva sentirsi dire. Sfruttando l’ignoranza. Allo stesso tempo diceva che anche successivamente ci sono stati dei “Duce”, che, a suo giudizio, si sono comportati nello stesso modo. Pensava che le leggi non possono andare bene per tutti, ma devono andare bene per tanti, evitando i provvedimenti inutili o utili a pochi. Inorridiva, poi, quando sentiva parlare di famiglia (concetto sacro, per lui) da personaggi pubblici che nella vita privata avevano a suo giudizio infangato questo istituto. Ma, soprattutto, papà non ha mai letto alcun trattato di pedagogia. Eppure ha saputo interpretare alla grande il ruolo di padre. “Io per te ci sono, sempre” poteva essere il suo motto. Ci ha fatto sentire amati “a prescindere”, indipendentemente dalle nostre scelte e comportamenti. Nessuna predica. Solo fatti. La busta paga (allora ancora in contanti) messa nel cassetto perché chiunque della famiglia potesse attingerne, al bisogno. La gioia e leggerezza dello stare insieme che cominciava con la partenza per le frequenti gite in montagna: prima la preghiera e poi si cantava, insieme, per tutto il viaggio (mai rimpianto l’autoradio). Il “discorso” sintetico che, regolarmente, mi faceva prima dell’inizio dell’anno scolastico: “Ricordati che vai a scuola per te e non per me”, anche se era chiaro che per lui la nostra istruzione era importantissima, perché la vedeva come strumento di avanzamento sociale. Il non aver mai avuto bisogno di “alzare le mani” (questa è stata una gran fortuna, perché papà aveva mani enormi). La capacità di trasmettere i valori con l’esempio e non con le parole. Papà non ha mai pensato, quindi, ad un “approccio pedagogico”. Parlando del passato, però, mi diceva, quasi scandalizzato: “I figli erano considerati delle proprietà”. Solo in questi giorni ho capito fino in fondo la conseguenza di questo pensiero: lui non ci ha mai considerati “suoi”, ma come esseri in crescita affidati alle sue cure. Un pensiero di una modernità sconcertante. Così come è stata sconcertante la delicatezza con la quale ha interpretato il suo ruolo di padre, con la paura di “rovinare” prima che con il desiderio di “orientare”. Tutto questo, vissuto nella normalità quotidiana, mi sembra, ora, straordinario. Straordinaria la potenza che, nella vita di una persona, possono avere la fede e il cuore, inteso come amore per la vita e per le persone. Possono veramente trasformare chi le vive e illuminare tutto intorno. Non posso che ringraziare per avere avuto in dono questa luce. Melchiorre


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Una storia per non dimenticare – ultima parte FRANCESCO CASALE, DIARIO DI GUERRA (1943-1945) La sesta e ultima parte del diario (Appendice de “Indimen- Mentre continua l’angoscia di non sapere nulla delle sorti ticabile priore” di Umberto Casale) vede Francesco ancora della guerra, c’è lo spazio per uno scherzo con dedica. Poi prigioniero degli ex alleati tedeschi e al limite della resisten- … il sereno… (g.p.) za. “… se la Provvidenza non mi aiuta con il lavoro che mi fanno fare questi aguzzini, non resisterò certo più a lungo”.

Zenica domenica 14 gennaio 1945

Siamo partiti il giorno dell’Epifania da Sarajevo, per fare 80 km in treno abbiamo impiegato circa 24 ore, sempre sotto la neve, abbiamo sofferto il freddo ma in compenso non siamo stati disturbati dagli aerei. Appena giunti ci hanno portato nelle carceri, in ogni cella da due siamo in otto, uno sopra l’altro come sardelle, di giorno ci portano a lavorare al ponte che è stato bombardato e completamente distrutto, oppure a spalare neve sulle strade e sulle ferrovie coperte da una coltre di oltre un metro che ostacola il transito. Giorno e notte passano colonne di truppe che si ritirano verso Zagabria, sono sfiniti. Anche in questa zona siamo continuamente in allarme, i caccia anche con il brutto tempo vengono a mitragliare le colonne sulle strade facendo dei veri disastri. A 12 km da qui i partigiani hanno creato un fronte su un passaggio obbligato e ogni colonna che transita viene decimata, ben pochi arriveranno in Germania. Per noi prigionieri la vita si fa ogni giorno più difficile, chissà come e quando finirà.

Zenica domenica 21 gennaio 1945

Altri 15 giorni a Zenica sono passati, la prima settimana abbiamo lavorato al ponte, ed abbiamo spalato molta neve, al momento non c’è lavoro e ci tengono qui chiusi in carcere. Sia-

mo continuamente in allarme, ma si tratta di caccia con mitragliatrici, e noi fra queste mura di pietra se non vengono i bombardieri non dobbiamo temere, inoltre siamo a oltre due km dal ponte della ferrovia che attraversa il Bosna e dagli stabilimenti. Qui nel carcere c’è anche la sussistenza e diverse truppe tedesche, ma per la maggior parte siamo prigionieri italiani e partigiani perciò speriamo che non vengano a bombardarci. Per il gran freddo e lo strapazzo muoiono molti muli e cavalli, i tedeschi li scuoiano per prendere la pelle, e noi li spolpiamo per toglierci la fame, intanto si tira avanti.

Zenica domenica 28 gennaio 1945

Benché ogni giorno ci sia stato l’allarme fino a venerdì non c’è stato nulla di interessante, il lavoro se non ce lo procurano i partigiani o la neve, non c’è nulla da fare. Venerdì verso le 11 ha suonato l’allarme e una quindicina di aerei sorvolavano Zenica, siccome c’era molta nebbia sono stati costretti ad abbassarsi per vedere meglio le posizioni, non hanno bombardato, ma rifornito i partigiani sulle montagne circostanti, e un quadrimotore che volava più basso è stato colpito dalla contraerea e in pochi minuti è precipitato al suolo. L’equipaggio era composto da 9 uomini, solo tre si sono salvati. È il primo aereo che vedo abbattuto dai tedeschi. A Sarajevo sono stato quattro mesi, ogni

giorno passavano centinaia di aerei e la contraerea pur essendo una ottantina di pezzi non ha mai abbattuto un aereo. Venerdì notte una frana ha fatto deviare una tradotta a 25 km da Brad e subito hanno fatto partire da qui un treno attrezzi dei tedeschi con 35 dei miei compagni. Mentre stavano sgombrando la linea, ha cominciato a nevicare e una forte tramontana ha provocato altre due frane impedendo il ritorno del treno. Hanno fatto partire il resto della compagnia, circa 200 uomini tra prigionieri, civili croati e tedeschi, e dopo circa tre ore di lavoro nella tormenta la linea era sgombra. Stamani hanno portato una quarantina di uomini a Sarajevo e noi qui continuiamo a spalare neve e lo faremo anche domani perché continua a nevicare a larghe falde. Nonostante queste giornatacce di freddo e tormenta il nostro morale e un po’ sollevato: gli austriaci che ci fanno la guardia ci hanno detto che i russi avanzano rapidamente su tutto il fronte e una parte si trova già a Breslavia, cioè a 120 km da Berlino, e che la guerra sarà presto finita, intanto questi bruti che ci tengono prigionieri sembra si facciano un po’ più umani e non ci maltrattano più tanto come in passato.

Zenica domenica 4 febbraio 1945

Come avevo previsto lunedì abbiamo lavorato tutto il giorno a spalare neve, alla sera siamo rientrati, ma non abbiamo fatto in tempo a lavarci e a mangiare quel pezzetto di pane che è suonata l’adunata. In 20, io fra quelli, ci hanno riportato alla stazione e siamo partiti con la locomotiva spazzaneve verso Bradma, la corsa si è presto fermata e siamo dovuti scendere a spalare la neve sulla ferrovia. Per arrivare a Doboj e fare ritorno abbiamo impiegato due giorni e due notti, quasi cinquantadue ore consecutive di lavoro in mezzo alla tormenta con un solo pasto (una pagnotta e una scatoletta di carne ogni 4 uomini). Siamo rientrati a Zenica mercoledì a mezzanotte e giovedì mattina alle 5, come tutti i giorni, ci hanno riportato a lavorare. Da Doboj a Zenica ci sono 420 km, la strada carrozzabile come la ferrovia seguono il corso del fiume Bosna, e in tutto quel tratto ho visto una colonna ininterrotta di uomini, carreggio e automezzi in marcia lentamente verso Brad. Se è vero ciò che si sente dire, i russi sono alle porte di Berlino, speriamo sia realtà e che finisca tutto una buona volta.

Zenica martedì 13 febbraio 1945

Dopo dieci giorni consecutivi di lavoro oggi, dopo mezzogiorno, mi hanno lasciato a riposo. Venerdì mattina siamo andati oltre Vlasma a sgomberare e riattivare la linea che i parti-


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giani avevano interrotto, facendo deviare una tradotta che portava i segni della Croce Rossa, mentre era carica di munizioni, che purtroppo non sono esplose, e noi abbiamo faticato molto a scaricare i vagoni ribaltati e caricarli su altri vagoni. C’erano munizioni di tutti i tipi, compresi bombe per aerei di 2,5 e 5 quintali, dopo ventisei ore consecutive di lavoro senza mangiare. Terminato il lavoro ci hanno riportato a Zenica. Da una settimana ho finito la farina che avevo, quindi devo vivere con la sola razione che mi danno i tedeschi, ma questa è appena sufficiente per tenermi in piedi, da vendere non ho più niente, se la Provvidenza non mi aiuta con il lavoro che mi fanno fare questi aguzzini, non resisterò certo più a lungo.

Zenica sabato 24 febbraio 1945

In questi ultimi giorni abbiamo ultimato i lavori del ponte, poi smontato i barconi e caricato tutto il materiale sui vagoni, la compagnia dei tedeschi che lavorava con noi è poi partita. Stamattina alle sette anche noi abbiamo caricato il nostro misero bagaglio sui vagoni ed ora è tutto il giorno che siamo qui fermi alla stazione in attesa di partire, prima però devono riattivare la linea che i partigiani stanotte hanno rotto, poi che ci sia qualche locomotiva disponibile che ora non c’è. I caccia hanno girato sulle nostre teste tutto il giorno, facendoci fare molte corse per allontanarci dalla stazione, però non ci hanno mitragliato. Da ventiquattro ore c’è una forte battaglia in corso attorno a Zenica: i partigiani stringono il cerchio sempre più, stamattina eravamo ancora nel cortile delle carceri, mentre terminavamo di caricare, sono arrivate una trentina di granate di mortaio a pezzi sul recinto, c’è stato un po’ di scompiglio, ma nessun danno. Poi i partigiani hanno accorciato il tiro, dove si trovavano i tedeschi, fascisti e ustasci che hanno subito gravi perdite e si sono ritirati, se non arrivano rinforzi credo che Zenica sarà presto occupata.

Brad martedì 28 febbraio 1945

Siamo arrivati qui stamattina alle nove, ora, per proseguire il viaggio, bisogna trasbordare sui vagoni della linea internazionale, ma per il momento vagoni non ce n’è, quindi chissà quanto tempo staremo fermi tra queste macerie. Il ponte ferroviario che attraversa il Sava e già stato distrutto e rifatto tre volte, ora da due giorni funziona nuovamente, speriamo ci siano presto dei vagoni per attraversarlo prima che i bombardieri ritornino a distruggerlo. Questa zona è completamente disabitata, in tutto il tratto tra Brad e Bosanki per una decina di km quadrati non c’è neanche un pollaio in piedi: è tutto letteralmente distrutto. Anche oggi abbiamo fatto diverse corse per sfuggire ai caccia e per fortuna non abbiamo avuto danni. (Ieri a Doboj ho incontrato Manissero Domenico di Casa Nuova Poirino)

Vinkovci venerdì 2 marzo 1945

Dopo tre giorni e tre notti di sosta tra le sconsolanti macerie di Brad ieri sera siamo partiti e stamattina siamo arrivati qui a Vinkovci, cioè a 30 km dal fronte russo, infatti si sente già il rombo dell’artiglieria grossa. Oggi la giornata è stata calma perché i caccia ci hanno sorvolato una sola volta. Corre voce che ci portano sul confine ungherese, ma di preciso non si sa ancora niente. Al contrario di Zenica, dove c’era ancora mezzo metro di neve, in questa

piana c’è già un clima primaverile, speriamo di trovarlo anche dove ci portano. Il brutto è che con la sola razione soffro la fame, ma pazienza, finirà anche questa crisi.

Osijek lunedì 5 marzo 1945

Anche a Vinkovci siamo stati fermi tre giorni e abbastanza tranquilli nonostante che i caccia russi ci abbiano sorvolato ogni giorno da cinque a sei volte, ma senza mitragliarci. Siamo partiti questa mattina alle sette per fare una quarantina di km il treno ha impiegato sei ore, camminando a passo d’uomo, per paura che la linea fosse minata, sempre con i caccia russi in sorvolo: quando si avvicinavano ci facevano scappare tutti, compreso il macchinista, per sparpagliarsi nella campagna circostante, e ritornare ai vagoni quando i caccia si allontanavano. Questa manovra, nel breve tragitto, l’abbiamo fatta sei volte, ma senza subire danni. Ora per proseguire bisogna aspettare la notte perché il tratto di linea che si avvicina al Drava è battuto dall’artiglieria, speriamo in bene. Questa zona, al contrario di Sarajevo, è molto ricca: si trova farina e pane bianco in abbondanza, ma noi continuiamo a soffrire la fame ugualmente per il fatto che, anche se il treno sta fermo per delle giornate intere, questi bruti che ci fanno la guardia non ci lasciano allontanare più di due metri dai vagoni, mentre nei campi ci sono patate e grano turco che stanno marcendo, per mancanza di mano d’opera non è stato raccolto. Il sale è molto scarso in questa zona, così il magazziniere d’accordo con il maresciallo, hanno venduto quello che prelevano per il nostro rancio, così loro mangiano pane bianco e carne di maiale, e a noi danno quel poco di rancio anche senza sale.

Nasjcc martedì 6 marzo 1945

A mezzanotte siamo partiti da Osijek, arrivando qui alle cinque senza essere disturbati, alle sei i caccia ci hanno fatto la prima visita, naturalmente ci siamo allontanati dai vagoni, poi quando se ne sono andati il maresciallo ha subito richiesto l’adunata e assicuratosi che c’eravamo tutti, ci ha fatto accompagnare dalle guardie in una casa abbandonata, tenendoci chiusi fino a mezzogiorno. Dopo ci hanno riportato sui vagoni, ora sono le venti e siamo ancora in attesa di partire, non si sa se proseguiremo.

Nasjcc martedì 13 marzo 1945

Sono quasi sei giorni che sono in questa grossa fattoria ad una ventina di km da Nasjcc, oggi sono a riposo per fare il bagno e lavare i panni. Ci portano a lavorare sulla linea ferroviaria che i partigiani hanno ribaltato e tagliato le traverse a metà. Finalmente qui abbiamo trovato un po’ di tranquillità, anche se le formazioni di quadrimotori passano continuamente e sentiamo bombardare il fronte sulla Drava, che si trova a 25 km da qui. Giorno e notte, continuamente, si sente un boato continuo di artiglieria che fa tremare la terra, ma qui in aperta campagna si sta abbastanza bene. Da quando sono qui non soffro più tanto la fame: con un etto di zucchero i contadini mi hanno dato cinque chili di fagioli, in più si trova pane e farina a volontà a poca spesa, se dura cosi, non mi posso lamentare.

Nasjcc domenica 25 marzo 1945

Da quattro giorni abbiamo finito i lavori, quindi si fa una vita beata, nonostante ci facciano fare due ore di istruzione e due di ginnastica,

9 ogni giorno abbiamo tutto il tempo per farci gnocchi, tagliatelle, polenta per delle grandi mangiate. Dopo aver passato un inverno bruttissimo a Zenica, soffrendo freddo e fame, i giorni che abbiamo già passato in questa fattoria sono un gran dono della Provvidenza. Purtroppo si parla già di ripartire per una nuova destinazione, si attende che arrivino i vagoni, ma noi speriamo non arrivino mai, se prima non finisce la guerra. Ad ogni buon conto ci siamo fatti tutti una buona provvista di fagioli e di farina e se per disgrazia ci portano in una zona misera come Zenica, per un po’ non facciamo la fame. Da qualche giorno sul fronte della Drava regna la calma, al contrario dei primi giorni che siamo arrivati qui, non si sente più sparare, mentre invece ogni giorno vediamo centinaia di quadrimotori andare verso l’Austria e la Germania. Finché ci lasciano qui siamo tranquilli, dove andremo il Signore ci proteggerà.

Slatina 1 aprile 1945

Mercoledì abbiamo lasciato la fattoria (Pusta) e a piedi siamo arrivati a Caucic, dove abbiamo riposato una notte, quindi ripreso il cammino siamo giunti a sera a Slatina, cittadina da poco sgombrata dai partigiani che si sono ripiegati per congiungersi al fronte russo. Ora questa zona è presidiata dai cosacchi che combattono volontari per i tedeschi, le case sono più dell’ottanta per cento abbattute e quelle poche ancora abitate cercano di sgombrare perché prevedono che il fronte ripassi da queste parti molto presto. Oggi è la quarta Pasqua che passo nei Balcani, ed è la seconda da prigioniero. I tedeschi arrivando qui credevano di trovare una sussistenza, ma si sbagliavano, così da tre giorni non ci danno che un po’ di rancio senza pane, per fortuna abbiamo lasciato da poco la fattoria, perciò abbiamo provviste in abbondanza e anche senza sale ci rifocilliamo. Notte e giorno sentiamo il rombo continuo dei cannoni sul fronte, e ogni giorno stiamo all’ombra dei quadrimotori che ci sorvolano puntando verso l’Austria e la Germania. Questa città porta i segni di recenti combattimenti, ma di bombardamenti non c’è nessuna traccia, però ora i civili sono pochissimi, mentre c’è molta truppa tra ustasci e cosacchi, il brutto e che siamo anche noi prigionieri e vedendoci sorvolati da tanti apparecchi ogni giorno non è troppo allegro, ma speriamo in bene. Lettera che ha accompagnato il pesce d’aprile al collega Serra Il camerata che il pesce ti manda è sempre allegro, ed alla sera canta canta perché è il mese del pesce


10 è il più bello, così non esce. Specie quest’anno che vuol terminare la brutta guerra tanto bestiale i comandi son tutti decisi dispongono di uomini e mezzi precisi. Quando la guerra finita sarà allora il pesce si mangerà ti prego però tienimi presente che a fine conflitto pulir voglio il dente. Questo animale per te augurale deve passare dal tribunale ed il più “dritto” lo dovrà interrogare. Chi fu il complice dell’augurale caro collega ogni scherzo vale perciò tien da conto questo animale che ti è stato spedito per pacco postale. Come se fosse un confetto pasquale tienti gradito e non trascurare la bestiolina che tanto vale. È giunta ieri con l’ultimo convoglio sul piroscafo Pietro Badoglio il pacco viaggiava accompagnato da due artiglieri e un picchetto armato. Con l’indirizzo a caratteri chiari a Serra Agostino “l’internato” giunto alla costa l’abbiamo spedito. All’aeroporto ex zona di Tito sopra l’aereo fu caricato e col paracadute qui a Slatina fu gettato. Fu trovato da gente cosciente. E consegnare lo vollero al paziente uomo internato da mesi concentrato con poco mangiare e maltrattato. Tempo propizio desiderato giorno di festa per l’internato lo gira e rigira come un bambino quando ha in mano un balocchino. Questo pesce per lui è un passatempo specie nei giorni di malcontento caro Agostino sei biricchino perciò i (mali) in Croazia ti chiaman Piccino.

Banova Jaruga martedì 17 aprile 1945

Sino al giorno 12 siamo rimasti a Slatina, ci portavano a lavorare alla sussistenza dei cosacchi e si stava molto bene, poi nella notte è arrivato l’ordine di partire e marciare verso Zagabria a piedi. La compagnia è partita all’alba, io da due giorni con la febbre alta ho viaggiato sul vagone del magazzino con altri tre italiani e due tedeschi ammalati, la febbre mi ha tormentato fino a domenica sera, quando siamo giunti a N. Kapela, cessata la febbre purtroppo cessato anche quel po’ di tranquillità: questa linea che porta a Zagabria è l’unica rimasta ai tedeschi, le stazioni, tutte indistintamente piccole e grandi, sono state bombardate, quindi non c’è che un binario provvisorio che funziona, in più la linea e la strada sono sorvegliate dall’alba al tramonto dai caccia bombardieri che mitragliano e spezzano tradotte e colonne, rendendo il traffico specialmente di giorno impossibile. Non riesco a capire che intenzioni abbiano questi tedeschi, che si ritirano da tutte le parti, e che hanno Berlino già circondata, si fanno tutti massacrare piuttosto che cedere, so che la loro propaganda li fa tutti rabbrividire, se i russi devono ricambiare cosa hanno fatto a casa loro, la loro sorte è tutt’altro che allegra. Per quanto ne so, ho combattuto con molti russi, sia prigionieri come me, che armati nell’esercito tedesco per non morire di fame, ed ho potuto osservare che nulla è vero della propaganda che vogliono farci credere: sono più civili ed umani dei tedeschi. Il tedesco che ci ha

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accompagnati ieri sera mi ha detto che i russi hanno attraversato il fiume Drava da due giorni nei pressi di Osiekc e sono già arrivati a Brad, ora sono in pensiero per i miei compagni che marciano a piedi e difficilmente ci raggiungeranno. Da ieri alle 14 siamo fermi in questa stazione di B. Jaruga e non si sa se proseguiremo.

B. Jaruga 22 aprile 1945

Questa settimana è stata tremenda: fino a stasera siamo sempre rimasti fermi nella stazione con il materiale sui vagoni in attesa di ordini, della compagnia non si ha nessuna notizia, e qui è un inferno: al mattino, prima che si alzi il sole, io e i miei tre compagni lasciamo il vagone e ci allontaniamo nella campagna, perché ogni quarto d’ora passano i caccia a mitragliarci, verso le undici arrivano le formazioni di bombardieri e capovolgono tutto, finora il nostro vagone non è ancora stato toccato trovandosi in un lato esterno della stazione. Di giorno il transito è impossibile, la linea ferroviaria non funziona, ma di notte vediamo sulla strada una fiumana di truppe di tedeschi, ustasci, croati e civili che scappano verso Zagabria, perché le truppe slave avanzano ogni giorno. Io sono preoccupato e non so se abbandonare zaino e tutto e tentare la fuga, oppure aspettare la sorte qui. Oggi finalmente si sono decisi a farci scaricare il materiale e con due carri civili lo abbiamo portato in una casa distante un km dalla stazione. Ora non siamo più nel centro dell’obbiettivo dei bombardieri, spero di essere un po’ meno in pericolo, arrivati qui i civili ci hanno dato da mangiare, per il resto spero, come sempre, il Signore provvederà.

Banova Jaruga domenica 29 aprile 1945

Pur essendo sempre in ansia questa settimana è passata un po’ meglio, sino a giovedì, ogni giorno, i bombardieri sono venuti tutti i giorni a bombardare la stazione ed i caccia, dal mattino a sera, a mitragliare le truppe che vedevano, ora sono già tre giorni che non vediamo un aereo, sembra che la guerra sia terminata (fosse vero!!!). Io e i miei tre compagni di sventura siamo sempre in attesa di partire, ma quel momento si fa desiderare, il sergente tedesco che sta con noi passa tutto il giorno al comando ad attendere ordini, per il momento non hanno trovato nessun mezzo per trasportare il materiale e i viveri che abbiamo, la linea ferroviaria non funziona più da diversi giorni, anche se riescono ad attivarla provvisoriamente non ci sono più vagoni. Quelli che si trovavano nelle stazioni sino a Zagabria, cioè per un tratto di circa 100 km, sono stati tutti distrutti dai bombardieri, macchine non se ne trova, sono rimaste pochissime, e quelle poche le vediamo passare trainate dai cavalli, mancando anche la benzina. Da due giorni anche il fronte sembra un po’ allontanato e non sentiamo più le pallottole fischiare nelle orecchie. Per ingannare un po’ il tempo, io e i miei compagni, aiutiamo a fare qualche lavoretto la famiglia che abita in questa casa e loro ci danno da mangiare bene e abbondante, intanto si tira avanti. Della compagnia non abbiamo nessuna notizia, chissà dove è andata a finire.

Zagabria 5 maggio 1945

Dopo tanta attesa è venuto anche il giorno di

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lasciare B. Jaruga, il fronte che credevamo si fosse un po’ allontanato, in una notte ce lo siamo trovati addosso, già si trattava di lasciare tutto il materiale e fuggire, ma ancora una volta la situazione è cambiata, per portarci fuori dai guai sono bastati cinque giorni di calma. I bombardieri non si sono più fatti vedere, questa tregua è stata sufficiente per riattivare la linea ferroviaria provvisoriamente, e martedì notte con dei carri civili abbiamo nuovamente caricato il materiale su un vagone scoperto e mezzo scassato per raggiungere la compagnia che finalmente abbiamo saputo trovarsi a 10 km oltre Zagabria. Di primo acchito sembrava un sogno che i tedeschi fossero riusciti a far uscire la compagnia dal cerchio delle truppe slave avanzanti, quindi sono ancora prigionieri come noi, il nostro desiderio fu subito di raggiungerli e stare tutti insieme. Mentre si caricava il vagone i ferrovieri ci hanno detto della fine del Duce e della repubblica fascista e ciò ci ha molto rallegrato. Nella notte stessa siamo ripartiti e mercoledì sera siamo arrivati alla stazione est di Zagabria senza incidenti. Siamo stati fermi 24 ore e sempre da ferrovieri siamo stati messi al corrente della fine di Berlino e del Führer che ci ha dato una nuova speranza. Giovedì sera siamo passati nella stazione centrale e ci siamo fermati nella stazione nord per la notte, ieri mattina ci hanno attaccato a una locomotiva di passaggio che ci ha portato a Podsused. Il sergente tedesco è andato a cercare dove era accantonata la compagnia, dopo cinque ore di febbrile attesa, ho rivisto tutti i miei compagni inquadrati che venivano verso il vagone a prendere il bottino, tutti quanti mi hanno salutato con gioia. Dopo aver caricato ognuno il proprio bottino ci siamo incamminati verso una borgata sulla strada di Lubiana, dove siamo tutt’ora accantonati in pochi per casa, abbiamo attraversato il Sava su una zattera perché il ponte sulla strada e stato distrutto, ora siamo qui in attesa di ordini di marciare verso Lubiana. A sentire i civili sembra che la guerra debba finire da un giorno all’altro, noi all’infuori della morte dei due capi non sappiamo altro.

Cesenatico 11 giugno 1945

Per dimenticare un po’ la triste situazione in cui mi trovo e combattere la fame che mi tormenta, rammenterò la vita di questi 40 giorni dopo la capitolazione della Germania. Partiti da Zagabria il giorno 6 maggio il giorno 9 alle 16 ci trovavamo a 10 km da Cilli e con nostra sorpresa vedemmo i tedeschi scaricare le armi e buttarle nei fossi, il traffico da più di 4 ore completamente paralizzato, su ogni strada colonne interminabili di automezzi, carri di ogni genere ed una infinità di truppe. Corse la voce che la guerra era finita e noi pensammo subito di essere finalmente liberi, infatti il maresciallo tedesco che comandava la nostra compagnia, ci disse che da questo momento non siete più prigionieri, allora ci siamo fatti dare i talloncini per poter, in caso di bisogno, far conoscere la nostra situazione. Verso le 18 ci siamo messi in marcia verso Cilli, ma a 3 km dalla città siamo stati costretti a fermarci causa le esplosioni dei magazzini di munizioni a cui i tedeschi avevano dato fuoco. Alle prime luci del giorno 10 abbiamo ripreso il cammino e in meno di un’ora siamo arrivati a Cilli, dove abbiamo incontrato il primo partigiano, il quale ci ha intimato l’alto là, poi rico-


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nosciutoci come prigionieri ci disse di proseguire per Lubiana dove avremmo trovato una commissione italiana che ci avrebbe rimpatriato. In due giorni e mezzo di cammino siamo arrivati a Lubiana dove ci hanno rinchiusi in un campo con dieci mila tedeschi, dopo 4 giorni fecero uscire tutti gli italiani, eravamo circa ottomila, ci dissero che eravamo liberi, ma che dovevamo tornare a Zagabria e proseguire per Karlovac ed arrivare a Fiume perché da Lubiana a Trieste non si poteva passare causa i ponti su strade e ferrovie distrutti. Abbiamo fatto più di 600 km a piedi: lungo la strada i partigiani ci hanno depredato di tutto quanto ci restava del nostro misero corredo e, dopo venti mesi di prigionia sotto i tedeschi, senza mai darci niente da mangiare, purtroppo molti sono morti per esaurimento, e quelli rimasti ci siamo nutriti di sola erba dei prati. Dopo due giorni di sosta a Susak, ci portarono alla stazione di Fiume il 2 giugno, siamo stati fermi in attesa circa 8 ore prima che preparassero la tradotta. I civili, vedendo le nostre misere condizioni, nonostante il divieto dei partigiani, cominciarono a portarci da mangiare tutto quello che trovavano: ciliegie, patate, latte, sigarette e soldi, gli operai della raffineria rinunciarono alla mensa e hanno dato a tutti noi ottocento un bel piatto di pasta asciutta. Ricorderemo per sempre che Fiume ci ha ridato la vita. Alle 6 la tradotta fu pronta e si partì, ma non ci portarono a Trieste come promesso: a San Pietro del Carso ci fecero scendere e fermare per tre giorni. Per la prima volta, dopo 24 giorni, ci diedero una razione di gallette e un po’ di patate secche da mangiare. Il giorno 5 ci portarono a Trieste con il treno e con il battello a Muggia in un grosso ospedale. Da circa 8000 partiti da Lubiana ora qui siamo in 3600, degli altri non sappiamo niente, ci hanno fatto fare il bagno e la disinfestazione e per tre giorni ci hanno dato due ranci al dì. Poi, a scaglioni di 600 per volta, ci hanno consegnato agli inglesi che con autocolonne ci hanno portato il giorno 8 da Trieste a Udine, il giorno 9 da Udine a Treviso, il giorno 11 da Treviso a Cesenatico: qui credevamo di trovare un campo di smistamento, invece ci hanno messo insieme ai repubblicani e fascistoni, speriamo sia uno sbaglio, perché non è possibile che su 3600 uomini solo noi siamo finiti qui, mentre si dice che gli altri sono tornati a casa. Dopo tutto quello che abbiamo già passato, ora

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che siamo arrivati in Italia, ci troviamo in condizioni peggiori di prima, se non ci liberano presto andremo a finire tutti quanti se non al camposanto, al manicomio.

Cesenatico domenica 8 luglio 1945

Un mese è passato anche in questo campo, ormai ci siamo convinti che non siamo qui per sbaglio, ma per ordini precisi. In un primo tempo abbiamo cercato di far giungere al comando le nostre schede che dimostrano che fino al 9 maggio siamo stati prigionieri dei tedeschi, ma siccome il comando del campo è tedesco, e loro sono in maggioranza, credo che non abbiano presentato i documenti. Dopo 15 giorni ci interrogarono tutti, ora sanno la nostra qualifica, la vita nel campo non è cambiata per niente, si vive esclusivamente con la razione che ci danno, ma non lavorando si riesce quasi a stare in piedi, speriamo ci mandino a casa presto.

Cesenatico 29 luglio 1945

Sino a stamattina nulla di nuovo, a mezzogiorno hanno fatto l’adunata e ci hanno portato ad un nuovo interrogatorio: un capitano inglese ci ha interrogato in massa, ci ha detto che non riusciva a capire come mai noi 570 prigionieri dei tedeschi provenienti dai Balcani ci trovassimo in quel campo e, quasi scusandosi del trattaA piedi Km 548 6 maggio 1945 Zagabria 9 maggio 1945 Cilli 11 maggio 1945 Lubiana 18 maggio 1945 Cilli 20Maggio 1945 Zagabria 24 maggio 1945 Karlovac 26 maggio 1945 Ugolin 28 maggio 1945 Ravna Gora 29 maggio 1945 Delnice 30 maggio 1945 Susak In treno 2 giugno 1945 5 giugno 1945 In autocolonna 8 giugno 1945 9 giugno 1945 11 giugno 1945

Km Km Km Km Km Km Km Km Km

mento avuto in questi cinquanta giorni, ci ha promesso che per domenica ci avrebbero mandati a casa, mercoledì, al massimo ci avrebbero portato in un altro campo consegnandoci all’autorità italiana, la quale ci avrebbe lasciati liberi immediatamente, mentre invece tutti gli altri, cioè ex maes, brigate nere, guardie repubblicane e istriani non si sapeva ancora niente di preciso. Il nostro morale si è un po’ alzato, ora sanno che siamo qui senza colpa, speriamo sia la volta buona e ci lascino liberi.

Cesenatico domenica 12 agosto 1945

Sino a martedì della settimana scorsa siamo stari fiduciosi, poi è arrivato l’ordine di sospendere la partenza fino a domenica, ed è ripreso il malumore. Domenica sera sono usciti i primi tre prigionieri che avevano i parenti con i documenti del Comitato di Liberazione, lunedì ne sono usciti sette, e ogni giorno sono aumentati i parenti a reclamare i propri congiunti. Gli inglesi hanno poi cominciato a far uscire prima chi aveva un documento di riconoscimento, poi chi aveva almeno 500 lire per affrontare il viaggio, ieri ne bastavano 100, e oggi ne sono usciti 220 senza una lira. Credo che se continua così in settimana spero di trovare il modo di uscire anch’io, purtroppo questi giorni sono eterni, ma pazienza! A giorni sarà la volta buona, che Iddio mi aiuti.

80 90 90 80 48 65 40 20 35

Fiume - San Pietro del Carso San Pietro del Carso -Trieste Muggia Muggia - Trieste - Udine Udine - Treviso Treviso - Ravenna – Cesenatico

Racconigi 15 agosto 1945

Ieri mattina alle ore 10, con altri miei 99 compagni di sventura, gli inglesi ci hanno fatto uscire dal campo di concentramento. Liberi finalmente di ritornare alle nostre case, senza un centesimo in tasca, abbiamo iniziato l’ultima tappa del già troppo lungo pellegrinaggio. Da Cesenatico a Cesena ho fatto la strada a piedi in compagnia di altri quattro amici di prigionia che come me desideravano raggiungere presto Torino. A Cesena abbiamo trovato il primo autocarro il cui conducente, viste le nostre misere condizioni, ci ha trasportato fino a Rimini poi, sempre raccontando la nostra triste storia, abbiamo trovato un secondo autista che ci ha portati fino a Bologna, poi un altro a Parma, e così via fino a Torino. Da Torino ho preso il treno senza biglietto e sono giunto finalmente a Racconigi e con immensa gioia ho riabbracciato tutti i miei cari. Dio sia lodato! Da oggi ricomincia una nuova vita, spero di dimenticare presto il triste passato.


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10 ottobre 2021 MARCIA PERUGIA - ASSISI DELLA PACE E DELLA FRATERNITA' I care”: Cura è il nuovo nome della pace segue dalla prima

la crisi climatica sta peggiorando; la pandemia è ancora in pieno corso in tante parti del mondo; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari.

avvio la prima Marcia della pace PerugiAssisi organizzata dal professor Aldo Capitini. Un evento inedito che ancora oggi continua a muovere mi-

gliaia di persone impegnate per la pace e i diritti umani.

E’ tempo di riconcepire e riprendere il lavoro per la pace! Cosa possiamo fare oggi per la pace? Come affrontiamo le violenze in corso e le minacce che incombono sul futuro dell’umanità? Come possiamo accrescere l’efficacia del nostro impegno? Per fare la pace non bastano gli appelli. C’è bisogno di un nuovo, forte, diffuso impegno personale di tutte le donne e gli uomini che, dentro e fuori le istituzioni, vogliono sradicare le violenze, le ingiustizie e i conflitti che ci sono dentro e tra le società e aiutare le giovani generazioni a costruire una vita e un mondo migliore. Da 60 anni la Marcia per la pace PerugiAssisi riunisce persone che credono nella pace e si muovono per costruirla. Così sarà ancora il 10 ottobre 2021. Il 24 settembre 1961, alle 9 del mattino, prese

E’ tempo di ricominciare a lavorare per la pace! I prossimi 10 anni saranno decisivi. Per scongiurare nuove pandemie. Per fermare il cambiamento climatico. Per mettere fine alle guerre, realizzare il disarmo e impedire una nuova guerra mondiale. Per uscire dalla crisi sociale ed economica. Per ridurre le ingiustizie e le disuguaglianze. Per promuovere l’uguaglianza e la parità tra donne e uomini. Per effettuare la transizione ecologica. Per democratizzare la rivoluzione digitale. Per prevenire nuove grandi migrazioni,… Per vincere queste sfide, c’è bisogno di un nuovo, forte, diffuso impegno personale di tutte le donne e gli uomini che, dentro e fuori le istituzioni, vogliono aiutare le giovani generazioni a costruire una vita e un mondo migliore. “Dobbiamo sviluppare una mentalità e una cultura del prendersi cura capace di sconfiggere l’indifferenza, lo scarto e la rivalità che purtroppo prevalgono” (Papa Francesco). Cura delle giovani generazioni, cura della scuola e dell’educazione, cura degli altri, cura del pianeta, cura del bene comune e dei beni comuni, cura dei lavori di cura, cura della comunità e della città, cura dei diritti umani, cura dei diritti delle donne, cura della democrazia, della Repubblica e delle istituzioni democratiche dal quartiere all’Onu…

Questo è il tempo in cui tutti e tutte dobbiamo fare come don Lorenzo Milani e dire: I Care! Io ho cura.

La Marcia PerugiAssisi si svolgerà domenica 10 ottobre 2021, con partenza alle ore 9.00 dai Giardini del Frontone di Perugia e arrivo alla Rocca Maggiore di Assisi previsto per le 15. Il percorso è di 24 Km. Non è necessario portare il green pass ma serve molto IMPEGNO PERSONALE E CURA RECIPROCA Domenica 10 ottobre sarà una giornata segnata dall’impegno personale e dalla cura reciproca, all’insegna del motto di Don Lorenzo Milani “I care”, mi importa, mi sta a cuore, mi prendo cura.


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È USCITO “DIVERSAMENTE CHIESA”

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Guido Piovano, DIVERSAMENTE CHIESA, Tra utopia e profezia, pp. 260, € 15,00, 2021, Ed. Ilmiolibro. Lo potete trovare presso la cartolibreria Clerici, presso l'autore e su https://ilmiolibro.kataweb.it/. Come sono nate e cosa vogliono essere queste pagine Mesi fa collaboravo alla impaginazione del libro di un amico disponendo nel contempo di dieci anni di scritti che avevo pubblicato sul nostro Insonnia; fatto due più due, mi sono chiesto ”Possono diventare un libro quegli scritti?” e subito dopo “Ha senso che lo diventino?”. Mano a mano che il testo prendeva forma quattro argomenti mi confermavano nella scelta di trasformare in libro quella raccolta di scritti. Primo: i temi, le vicende, i personaggi protagonisti di quei dieci anni conservano una attualità che deriva loro, purtroppo, dal fatto che quasi nulla relativamente ad essi è oggi superato o risolto, forse neanche veramente analizzato. Secondo: esiste una diffusa sudditanza della cultura laica nei confronti della chiesa gerarchica che di fatto impedisce un chiaro confronto su molti dei temi più attuali. Oggi molto si dibatte sul ruolo della donna nella società, ma raramente lo si fa circa le discriminazioni che la donna subisce nella chiesa. Poco si discute, infatti, del no al sacerdozio femminile o del modello di donna cui la chiesa fa ancora riferimento. La femminilità è ancora un tabù se riferita alla chiesa! Allo stesso modo, un tema come l’accoglienza degli omosessuali è molto discusso e dibattuto, con dovizia di particolari a volte, aimè, attinenti alla cronaca nera, ma lo stesso non si può dire per il rapporto omosessualità chiesa, rispetto al quale commentatori e saggisti si fermano, come di fronte

ad un muro. Altri potrebbero essere gli esempi, si pensi al tema della laicità dello Stato, dalla scuola di religione al cappellanato militare, per non parlare di temi più interni alla chiesa come la dogmatica o il papato oggi. Terzo: le persone citate nel testo meritano che si faccia memoria delle lotte, delle testimonianze, della passione con cui hanno vissuto e che hanno trasmesso al mondo, spesso pagando un pesante tributo personale. Occorre non già riabilitarle, né santificarle, cosa che la chiesa a volte fa, ma semplicemente restituire loro la dignità sottratta. Quarto: mano a mano che il libro cresceva una mia personale consapevolezza prendeva forma e consiste nel fatto che il libro, sebbene frutto del contributo di molti, sia più che mai espressione del mio sentire, del mio immaginario, di ciò che io stesso sono. Concludo: sarebbe un errore vedere il libro soltanto come momento di rottura critica nei confronti della Chiesa, dunque un lavoro meramente distruttivo. Questo testo fin dal titolo esprime invece in modo sincero e schietto quanto la Chiesa possa e debba diventare diversa, quanto la si voglia rigenerata da un cambiamento che la collochi davvero sulla strada di Gesù. Il libro è dunque chiara espressione del forte desiderio profetico che è presente nella fede e vive nel quotidiano di molti credenti. (gp)


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ANDOMA AN ARGENTIN-A

Viaggio immaginario (ma non del tutto) attraverso musica, danza, poesia immagini di Rodolfo Allasia

Sabato 18 settembre nel salone SOMS i maestri Cecilia Diaz e Oscar Gauna in collaborazione col Progetto Cantoregi hanno messo in scena uno spettacolo, come scritto nel titolo di questa presentazione: “Andoma an Argentin-a”. Potrei presentarlo come uno spettacolo che vuole far innamorare gli spettatori sia dell’Argentina che del Tango. Il titolo in piemontese non è solamente dovuto al fatto che lo spettacolo si rappresenta in Piemonte (questa del 18 è stata la prima, ma girerà in altre città) ma anche per il fatto che i due maestri di Tango che ne hanno diretto la regia e le coreografie, da dieci anni dirigono una scuola, “Tango de Buenos Aires” che tiene lezioni a Borgo San Dalmazzo dove c’è la sede sociale, ad Alba, a Manta, a Savigliano e, dopo il Covid che ha bloccato tutte le scuole di danza, stanno pensando a nuove collaborazioni per poter operare in altri centri cuneesi. Cecilia e Oscar sono immigrati in Italia dall’Argentina dove hanno studiato ed esercitato questa danza proprio a Buenos Aires. Alla fine dell’‛800 ed all’inizio del ‛900 andare in Argentina per gli ita-

liani non era una vacanza ma una necessità per trovare lavoro; alcuni facevano la cosecha (raccolta del grano) anche per anni di seguito facendo i “pendolari” sui piroscafi, altri si fermavano per un lavoro fisso, mettendo su famiglia con gli autoctoni. Mi sono impressionato nel sentire il numero di italiani che sono stati per poco o molto tempo in questo stato dell’America Latina; solo in quel periodo sono stati 3 milioni! E molti di loro sono rimasti là per il resto della loro vita ed ancora oggi costituiscono il numero più alto di immigrati dalla nostra nazione. Spero che questo dato la dica lunga sulla opposizione di alcuni italiani all’odierna immigrazione di africani e asiatici nella nostra Italia. Lo spettacolo ha fatto fare agli spettatori un vero viaggio che inizia con Cecilia ed Oscar che ballano sul palcoscenico seguendo la “musica” del traffico di Buenos Aires, senza che siano necessari altri suonatori: un filmato che si proietta sul grande fondale della SOMS creando una suggestione non da poco; poi entrano in azione quelli del TRIO TRES POR TANGO che dal vivo ci introducono garbatamente, con i

loro strumenti dal vivo in questo ritmo e con differenti ambientazioni e costumi ci conducono a ballare con gli allievi dei maestri (tre coppie). Il Tango è una musica ed una danza in evoluzione a partire dall’inizio dell’‛800 quando anche le popolazioni di altri paesi, sudamericani o neri d’Africa, sfuggiti o liberati dalle colonie di schiavi Nordamericani, insieme a immigrati europei, confluirono nell’area del Rio della Plata all’ingresso nell’Oceano Atlantico ricco di commerci e di lavoro, portando tutti dietro il folklore proveniente dai paesi di origine. Come accade quando le culture si incontrano, se non ci sono motivi che lo impediscono, si fondono piano piano a formare una nuova cultura. Per capire questa nuova creatura i maestri hanno voluto farci conoscere i folklori di provenienza di quella parte di mondo e hanno portato in scena una scelta di motivi popolari tradizionali dai quali si può capire quali sono i sentimenti che ispirano

queste espressioni culturali. La liberazione dai dominatori stranieri: la Spagna innanzitutto, l’amore per la propria terra e per il proprio popolo, il desiderio di essere uniti, l’amore per il proprio uomo o la propria donna, il modo di dimostrare le proprie abilità e la propria forza e coraggio, ma anche le loro tristezze. Cosi formano e si modificano le culture, così nasce il Tango. Un ballo che si esprime all’inizio nei cortili più poveri fino ad arrivare nei Saloon borghesi ed eleganti. L’ultima parte dello spettacolo è dedicata ad Astor Piazzolla che, essendo vissuto nelle milonghe popolari e cresciuto in questi ambienti, ha voluto con la propria sensibilità rivoluzionare questa musica mettendo le ali con i ritmi più leggeri e lasciandola libera di volare. Ricorre quest’anno il centenario della sua nascita; Piazzolla è considerato da tutti gli amanti del Tango un vero rivoluzionario di questa musica. Una poesia recitata danzando, da Abril, esordiente nello spettacolo dei genitori, ci introduce nello spazio musicale di Astor Piazzolla e ci fa capire che il Tango è una liberazione perché la tua anima ed il tuo corpo trovano il momento per sentirsi insieme in un abbraccio senza catene. Questo spettacolo è stato apprezzato dal pubblico in sala che occupava TUTTI i posti concessi dalle regole anticovid, (aimè pochi) e per questo lo spettacolo verrà ripetuto a Racconigi sempre alla SOMS il 2 di ottobre alle ore 21. Il mio consiglio è di andarlo a vedere e sentire. Ve lo dice il presentatore di sala.


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Lib

Libri di Valeria Buscatti

Saremmo soddisfatti della vita vissuta se improvvisamente, entrando nel solito negozio per fare la spesa, rimanessimo coinvolti in una rapina e fossimo uccisi? Ecco il geniale inizio dell’ultima fatica (la quindicesima) della versatile scrittrice italiana (laureata in biologia) Sara Rattaro, che, grazie all’incipit del suo “Una felicità semplice”, spinge il lettore ad una profonda riflessione su sé stesso e sul significato della propria esistenza. E questa riflessione viene stimolata (come sempre nelle corde di questa autrice, molto amata dalle donne) con la solita scrittura elegante e diretta, al contempo dolce come il velluto e tagliente come il vetro. Cristina, colta nel momento della rapina, vede passare tutta la sua vita davanti a sé in una frazione di secondo e, in questo brevissimo lasso di tempo, riflette sul suo immobilismo e sulla paura che la frena dall’uscire dalla comfort zone in cui si è rifugiata, rimanendo ancorata al ricordo dell’amatissimo ed intelligentissimo marito morto troppo giovane, il suo

Cin

Cinema DUNE

di Cecilia Siccardi

L’anno è il 10191. La casata Atreides è guidata dal giusto e forte duca Leto Atreides. Suo figlio Paul, addestrato dalla madre Jessica, ha dei particolari poteri mentali e fa spesso sogni

unico e grande amore, e incapace di ricucire il rapporto con l’unica figlia, nata da questo rapporto, ormai distante emotivamente (e anche fisicamente) da lei. Improvvisamente la donna si rende conto che non sta realmente vivendo, ma sopravvivendo a sé stessa, rifiutando la possibilità di essere nuovamente felice accanto ad un uomo diversissimo da Andrea, per temperamento e professione (docente universitario di fisica il marito, esperto illusionista - mago – il possibile nuovo amore). E proprio attraverso la scelta di una professione così particolare, Sara Rattaro ci suggerisce che, della vita, a volte è bene non perdersi la magia, il lato sognante, cogliendo le infinite e particolari, oltre che inaspettate, possibilità che si diverte ad offrici, scompigliando i nostri piani così lungimiranti e perfetti. La protagonista è una donna cinquantenne: nello scegliere questa specifica età, l’autrice ci invita a riflettere anche sui cambiamenti epocali che le donne della generazione nata tra gli anni Sessanta e i Settanta del secolo scorso si sono trovate a vivere: cresciute molto spesso nel mito della famiglia tradizionale, hanno intorno a sé esempi di famiglie spezzate, di nuovi matrimoni, nuove convivenze, famiglie allargate e famiglie arcobaleno. Le donne di questa generazione si sono trovate frequentemente, insomma, a cercare vie alla felicità alternative e lontane dagli stereotipi in cui sono cresciute e questa ricerca ha spesso implicato molta sofferenza. Un’ultima riflessione che emerge da questo intenso romanzo è relativa al vero amore: forse amare veramente significa lasciare che l’altra persona si autodetermini, avendo ciascuno di noi il diritto di essere pienamenalmeno parzialmente premonitori. La loro famiglia è una delle più importanti e popolari della galassia, e si appresta a ricevere quello che sembra un grande onore: l’Imperatore ha ordinato loro di abbandonare il pianeta natale Caldan per trasferirsi sul desertico Arrakis, casa del popolo Fremen. Fino a quel momento era stata la potente famiglia Harkonnen a detenere il controllo di questo territorio e soprattutto dell’estrazione della Spezia, una polvere presente nelle sabbie del pianeta che viene considerata la sostanza più preziosa dell’universo. Nonostante il duca Leto Atreides sospetti che dietro a questa apparentemente generosa concessione si nasconda una trappola volta a indebolire il potere degli Atreides, obbedisce agli ordini e sposta i suoi uomini

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Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA

Email:

info@maipiusole.it

Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684 te sé stesso, anche e soprattutto nelle scelte che è chiamato a fare durante il percorso della sua esistenza. Lettura molto consigliata, soprattutto quando ci si trova di fronte ad uno dei bivi cui la vita ci pone davanti. Come sempre, questo libro è disponibile al prestito presso la biblioteca civica “Le Clarisse”.

Sara Rattaro “Una felicità semplice” 2021, pp. 243, € 16,90 Edizioni Sperling & Kupfer

e la sua famiglia su Arrakis. Dune è un film del 2021 di Denis Villeneuve, basato sull’omonimo romanzo di Frank Herbert. Costituisce la prima parte di almeno due film, e proprio qui sta il suo problema più evidente: si ha l’impressione di guardare un primo, lungo episodio di una serie tv. I limiti narrativi vengono però ampiamente compensati da altri aspetti, primo fra tutti quello visivo: si tratta di un film spettacolare, bellissimo da vedere, con costumi e scenografie curatissime. L’interpretazione di Timothée Chalamet dona al personaggio di Paul, il protagonista, grande profondità e credibilità; spicca anche il personaggio della madre Jessica, a cui dà il volto l’attrice svedese Rebecca Ferguson. Si aspetta con impazienza la seconda parte, ma, ahimè, biso-

gnerà attendere ancora qualche anno.


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Mus

Musica VAN MORRISON “Latest Records Project Vol. 1“ di Roberto Magri

Il 7 maggio 2021 è uscito il quarantaduesimo disco del settantacinquenne Van Morrison, ennesimo lavoro della sua lunga

carriera iniziata a metà degli anni sessanta con il gruppo dei Them, del quale è il fondatore e leader. Ventotto nuove canzoni divise su due CD o triplo vinile, per un totale di oltre due ore di musica in puro stile Morrisoniano. Il disco esce a due anni di distanza dal precedente lavoro “Three Choros The Truth“. Un album concepito, pensato, inciso e realizzato durante il periodo di isolamento forzato, dove Van Morrison era impossibilitato ad andare in tour. Le canzoni di “Latest Records Project Vol. 1“ sono senza tempo, grande musica che difficilmente potrà deludere i suoi fan. In questo diluvio di canzoni ci sono anche brani normali, e ci mancherebbe altro, ma mediamente il disco è di alto livello. Con la sua band passa in rassegna un po’ tutti i suoi stili musicali, con una voce calda e ancora forte, potente e inossidabile, una voce su cui gli anni sembrano non

aver inciso, spaziando tra le sue tipiche ballate. Il disco è musicalmente scintillante, il piano, il contrabbasso, l’organo Hammond, i coretti di accompagnamento è tutto amalgamato alla perfezione, da ascoltare con la dovuta attenzione, perché più di due ore di musica sono molte e si rischierebbe di perdere dei particolari che non permetterebbero di assaporare come si deve tutto l’insieme del lavoro musicale. Van Morrison è il re indiscusso del rock celtico, cantante strepitoso, performer pignolo e di orizzonti musicali amplissimi, dotato di un’intensità interpretativa ed un gusto sopraffino della musica che gli permettono, assieme al suo talento, di spaziare tra generi musicali diversi quali Blues, R&B, Jazz, Soul, Country, Swing e Rock. In conclusione un pensiero di Van Morrison, che ci permette di affrontare l’ascolto di questo suo

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ultimo disco dandoci un punto di vista diverso da quello dell’industria musicale: “Mi voglio allontanare dall’essere riconosciuto sempre per le solite canzoni, i soliti album. Questo “ragazzo” ha scritto circa cinquecento canzoni, forse di più, quindi? Perché promuovere sempre le solite dieci? Sto cercando di uscire da questo schema”.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Roberto Magri, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

un giornale così non può essere mantenuto “vivo”; ma, forse, con questi pensieri cerco semplicemente delle scuse per dirci che NOI siamo peggiorati, non fosse altro perché i nostri “sensi” sono “frusti”, come capita a tutti i vecchi, e forse è meglio trovarci qualche altra occupazione (alcuni di noi l’hanno già trovata e la svolgono egregiamente). Per riprendere il concetto iniziale di questo scritto leggo, ancora nel numero ZERO della rivista, un articolo firmato Pf. Occelli e con titolo “Adesso rimbocchiamoci le idee...” che fa capire che già allora pensavamo che fosse finita un’poca: “forse la sinistra italiana (in giro per l’Europa, comunque, non si sta meglio) ha perso il proprio fascino, la propria capacità di essere credibili (...)”. Sempre per consolazione personale e per cercare di capire se questi 131 numeri di Insonnia siano serviti a qualcosa in Racconigi e dintorni, abbiamo contato le persone che sono “passate“ nella nostra redazione o quelle che hanno scritto interessanti articoli come questo appena citato ed abbiamo constatato che sono state veramente molte e sono state persone valide che ancora oggi apprezziamo. Ma abbiamo contato anche quanti sono rimasti a lavorare alla pubblicazione del nostro mensile ed abbiamo tristemen-

te concluso che ci siamo a poco a poco “assottigliati”, forse i presenti continuano a formulare pensieri con una loro validità ma di qui a tradurre il tutto in parole comprensibili ed a mantenere svegli i lettori ce ne passa! Un saluto ed un ringraziamento va alla nostra Direttrice, Miriam Corgiat Mecio, a coloro che sono rimasti con noi per lungo tempo ma anche agli altri che hanno lavorato insieme a noi e se ne sono andati. Chiedersi il perché siamo rimasti in pochi servirebbe, ma a chi eventualmente volesse continuare nella pubblicazione e capire quali errori correggere per il futuro di Insonnia. Ringraziamo anche tutti coloro che ci hanno permesso di pagare mensilmente le spese tipografiche, senza di loro insonnia non ci sarebbe più da tempo. La TESTATA rimane e giuridicamente sospende le pubblicazioni ovvero resta in pausa, d’altra parte anche il Racconigese e perfino l’Unità sono in stand by, in attesa che qualcuno raccolga il testimone. Per noi sarebbe bello che qualcuno, più giovane, forte ed entusiasta, lo prendesse ORA questo testimone che porgiamo. Non siamo però propensi a cederlo a chicchessia perché, per noi, Insonnia non è una testata qualunque e non può andare

in mano a persone qualunque. Saremo però aperti su molti fronti. Abbiamo anche pensato alla possibilità di uscire con una cadenza meno frequente, ma questa formula suona un po’ come voler ritardare la chiusura; questa che abbiamo scelto ci è sembrata la soluzione più dignitosa. Vi sembra una soluzione pessimista? Possibile, ma di qui al nichilismo ce ne passa molta di strada! Per quanto riguarda il nostro futuro vorremmo ancora, se riusciremo a raggranellare qualche euro, raccogliere in

una piccola serie di quaderni una o più raccolte di articoli a tema, già pubblicati come “gli editoriali”, “il COVID” o altro come Guido Piovano ha fatto con la sua rubrica “Diversamente CHIESA” o Luciano Fico con i suoi “raccontini” intorno a psicologie individuali di soggetti conosciuti nella propria attività. Sarebbe come raccogliere un ricordo di una attività vissuta in Racconigi e vissuta con entusiasmo senza altri fini se non il confronto di idee. Vedremo se almeno questo sarà possibile. Hasta la vista!


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