INSONNIA LUGLIO-AGOSTO 2021

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mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 132 Luglio - Agosto 2021 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Te la do io la pista ciclabile! a cura della redazione

C’È PISTA E PISTA Non basta una pista ciclabile per fare una politica “green”

LA CARTA STAMPATA di Rodolfo Allasia

a cura della redazione

Sono passati un po’ di anni da quando è stato realizzato il primo spezzone della pista ciclabile da Racconigi al Centro Cicogne e Anatidi. Da allora ne sono passate di biciclette in v. Stramiano, si sono succedute tre amministrazioni, le polemiche non sono mancate e… il mondo è cambiato. Allora sulle piste ciclabili, la loro opportunità e il loro senso le contrapposizioni non mancavano. Oggi è molto più difficile trovare chi mette in discussione una pista ciclabile, tutti o quasi le vogliamo. Ma allora perché la polemica di questi mesi a Racconigi? Perché c’è chi vota a favore e chi contro? La tentazione di ridurre tutto al solito balletto della politica è forte, da una parte l’amministrazione di turno dall’altra l’opposizione di turno e… il gioco delle parti è fatto. Non è così semplice. Ci mette in guardia il paradosso (apparente) di un consigliere di maggioranza che si dissocia dalle scelte dell’amministrazione di cui fa parte; e di una parte dell’opposizione, certo non contraria alle piste ciclabili, la quale si spacca tra chi vota a favore e chi vota contro. Naturalmente non manca il contorno delle accuse incrociate, talvolta ingenerose.

segue pag. 16

Cosa prevede il progetto esecutivo, in estrema sintesi? La nuova pista ciclabile prolunga il breve tratto esistente e prosegue fino al cancello delle Margherie con percorso dedicato lungo la sponda sinistra del canale, interessando una fascia di cinque metri (tre metri di pista, affiancati da un

metro per parte di fascia di rispetto). Dal cancello delle Margherie al Centro cicogne e anatidi prosegue su v. Stramiano in sede promiscua (condivisione con traffico veicolare) con limitazione di velocità a 30 km/h.

segue pag. 3-4

Questa formazione non s’ha da fare Il lieto fine del corso per aspiranti volontarie di Mai + Sole di Marilisa Rosso “Questa formazione non s’ha da fare” così pareva destinato il corso per aspiranti volontarie di Mai + Sole interrotto nel marzo del 2020 a causa del Covid. Come nel romanzo manzoniano, non è mancato il lieto fine. Finalmente giovedì 17 e venerdì 18 giugno siamo riuscite a riprendere e concludere un percorso iniziato 15 mesi prima… Silvia Vanni, Petra Senesi e Manuela Devalle (psicoterapeute che collaborano con Mai +Sole) riannodando i fili del discorso sospeso hanno riportato il gruppo a riflettere, confrontarsi, immedesimarsi in situazioni che la pandemia ha contribuito ad amplificare. È stato più volte ribadito come la sospensione del giudizio, la capacità di ascolto, l’empatia, il darsi tempo siano basilari per accogliere le donne vittime di violenza. Le soluzioni di chi cerca aiuto non sempre corrispondono a quelle di chi cerca di aiutare. Spesso raccontare la propria storia costellata di abusi e violenza rende più chiara la situazione in cui si convive da anni e il silenzio di chi ascolta si dimostra più efficace di molte parole. Dar voce a pensieri ed emozioni mai espresse, per vergogna e sensi di colpa, può aprire spiragli di consapevolezza mai provati prima, in grado di scardinare percorsi faticosi e aprire varchi di rinascita. La parte teorica del corso è stata intervallata da momenti in cui siamo state invitate a esprimere, attraverso diagrammi, le nostre caratteristiche personali intese come risorse o percepite come limiti. segue pag. 8-9

Il 5 febbraio di quest’anno sul venerdì (inserto del quotidiano La Repubblica) Curzio Maltese scriveva un articolo che ha destato in me un grande interesse fin dal suo titolo:”Era la stampa, bellezza” . Credo che questo giornalista abbia più o meno la mia età e forse è per questo che trovo spesso i miei pensieri coincidenti con i suoi scritti. Quel giorno l’articolo coincideva con una serie di mie riflessioni che purtroppo recentemente stanno diventando quasi una ossessione con la quale temo di stressare i miei interlocutori; come capita spesso per gli articoli che mi piacciono, ho ritagliato il pezzo e l’ho messo da parte per rileggerlo e convincermi, anche, che le mie riflessioni, se uno come Maltese può pubblicarle sul Venerdì, non sono del tutto fuori luogo. Ora sono costretto a citare le sue parole per esprimere bene i concetti che voglio scrivere. Curzio Maltese parla dell’andata in pensione dei linotipisti avvenuta più cinquant’anni fa e la definisce “la resa degli ultimi guerrieri.

segue pag. 5 DIVERSAMENTE CHIESA pag. 6

Abbazia di Padula

pag. 12

Diario di Guerra

pag. 10/11 MARCO CAZZATO

pag. 14


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Conosci Racconigi?

Luglio/Agosto 2021

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Dilemma di Luciano Fico

Racconigi non è solo parcheggi, bianchi o blu che siano. Anzi. Questa rubrica vuole essere un invito rivolto al lettore a guardarsi intorno nel nostro Centro Storico svuotato dalle automobili, alla ricerca di siti e particolari architettonici che nel quotidiano rischiamo di non vedere e che sono invece parte della nostra storia e del nostro quotidiano. Eccoci alla quarta immagine. Dove si trova nel centro di Racconigi la loggia qui raffigurata ? La risposta sul prossimo numero. (g.p.)

I comignoli a cura di Guido Piovano

Nel numero scorso vi abbiamo chiesto dove si trovasse una certa serie di comignoli non certo privi di originalità. Ebbene li potete trovare in via Ormesano al numero civico 3. Sono davvero tanti i comignoli che arricchiscono i tetti di Racconigi, basta che alziate lo sguardo e li potrete vedere.

È mattina. Finalmente. La notte sembra volerla trattenere prigioniera, con quelle vischiose prolunghe della coscienza che si mostrano talvolta come senso di colpa, talvolta come dubbio oppure, più spesso, come angoscia pura e confusa. La luce ancora grigia del mattino, quando il nero della notte stenta a lasciare il posto al nuovo chiarore, filtra attraverso le tende leggere, che si muovono con la brezza delle prime ore. Arianna si sente il cuore chiuso in una gabbia, come se la cassa toracica fosse improvvisamente diventata una pesante armatura di ferro. Sono le sei e tra meno di quattro ore la aspettano al poliambulatorio per la prima dose del vaccino! Lei lo sa che quella è l’unica difesa al momento disponibile contro ‘sto maledetto virus, lei è medico e lo sa. Eppure, una parte della sua anima rifiuta il semplice accodarsi alla prassi descritta come “quella giusta”. È una parte animale, istintiva, che fiuta i pericoli, che difende ostinatamente la propria sopravvivenza e la propria libertà. Arianna conosce bene quella piega della sua anima ed ha imparato ad ascoltarla, soprattutto quando urla, come adesso. La ascoltò quando si trattò di lasciare Marco, che piaceva a tutti, ma a lei cominciava a dare un senso di soffocamento. La ascoltò, con estremo dolore, quando dovette decidere cosa fare con quell’esserino in pancia a soli quindici anni. Adesso si rigira nelle lenzuola sudate dall’ansia con la mente occupata dalle tante immagini di uomini e donne visti morire in Ospedale, mentre imploravano con lo sguardo un altro respiro ancora. La voce dal profondo di sé stessa continua, comunque, a dirle di diffidare, la implora di non farsi cavia di un esperimento globale. Si vaccinerebbe per gli altri, lo eviterebbe per sé stessa: questo è il vero dilemma. Non appena affiora questo pensiero tanto chiaro, da sembrare banale, si aprono altre connessioni dentro di sé. Le voci si moltiplicano e riaf-

fiorano i ricordi… Ricorda, Arianna, le tristezze silenziose e gravide di dignità della nonna Maria: dieci figli ed un marito, sempre più sprofondato nel bicchiere e lei a sorridere ai nipoti, come a dire che la vita è così, mica si può pretendere che tutto vada bene. Ricorda i racconti di guerra: dei mariti risucchiati dal dovere e delle donne a strappare vita con i denti per i figli, che volevano continuare a mangiare, malgrado tutto; degli sfollati accolti in campagna e stipati in ogni angolo, a dividere quel niente che c’era; dei pochi oppositori al regime uccisi a bastonate in casa loro, di notte. “La vita è così…” direbbe nonna Maria. Il petto di Arianna si apre leggero ed i pensieri cominciano a trovare un nuovo senso. Sta comprendendo, che il dilemma “vaccino sì/ vaccino no” è solo il sintomo di una trasformazione profonda di cui non ci eravamo accorti. Da decenni l’unico valore su cui ci siamo abituati a costruire vita è stato quello dell’individuo: non siamo più in contatto con la dimensione collettiva. Gli echi del nostro passato tribale si sono spenti da tempo e lo schermo del nostro cellulare ci ha tutti risucchiati in un mondo dove l’altro esiste solo in modalità virtuale. Poi è arrivato il virus e la pandemia: quanto di più collettivo si potesse immaginare! Le notti di angoscia hanno mostrato ad Arianna il destino collettivo dell’umanità e solo le voci dei morti hanno saputo parlare del vero dilemma, che tutti ci sfida.


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C’È PISTA E PISTA

Non basta una pista ciclabile per fare una politica “green” segue dalla prima

Che ci dicono i nostri interlocutori? Molte cose, che ci sembrano riconducibili a tre critiche fondamentali per quanto riguarda il merito del progetto. Ci scuseranno, speriamo, se le esigenze di sintesi rischiano di semplificare il discorso e magari di tralasciare snodi interessanti. Ma se ci saranno richieste di integrazione o rettifica le accoglieremo volentieri. L’impatto ambientale, a loro avviso, è notevole, per i materiali utilizzati e perché “si mangia” una fascia significativa di ottimi terreni agricoli (5 metri di larghezza per 1.500 di lunghezza, più o meno). Come a dire: non basta una pista ciclabile per essere “green”. “Spesso ci si riempie la bocca di concetti, tanto di moda oggi, come la sostenibilità ambientale e l’essere politicamente green: ecco, constato con dispiacere che queste sono soltanto parole vuote” se si fanno interventi di questo tipo, ci dice Caterina Bergia. “Come consigliere comunale, pur essendo naturalmente favorevole alla realizzazione di piste ciclabili, non posso essere d’accordo e per questo ho espresso voto contrario”. L'ing. Lampertico, che ci metta gentilmente a disposizione una ricca documentazione, commenta “Che per fare un’opera sostenibile si vada a consumare terreno agricolo sembra contraddittorio”: l’impatto ambientale dell’opera è forte, i suoi effetti non reversibili. Ma non c’erano altre soluzioni, dicono da una parte. Sì che c’erano, ribattono dall’altra. E le proposte non mancano. C’è quella, suggestiva ma di problematica praticabilità, di un percorso che attraversi il parco del castello e si integri con il reticolo delle strade bianche esistenti. Ma ne vengono prospettate anche altre. Spostare la ciclabile sul lato destro del canale, utilizzando lo spazio esistente tra questo e sede stradale. Ampliato eventualmente, ove non è sufficiente, con una copertura parziale del canale in materiali leggeri (legno); oppure concordando con il demanio la traslazione parziale della bealera. Si andrebbe ad interessare, ci dicono, un metro o poco più di terreni coltivati (contro i cinque del progetto) che i frontisti sarebbero disposti a cedere anche gratuitamente (o comunque trovando un accordo bonario in tempi brevi), evitando dunque le problematiche e i costi della procedura di esproprio.

Con il vantaggio di avere un impatto ambientale assai più leggero, coerente con una visione più moderna delle piste ciclabili. Tema questo che ci pare di particolare interesse. I tempi cambiano, abbiamo detto, le sensibilità cambiano, anche in materia di viabilità sostenibile. Dallo studio di fattibilità proposto dallo studio Mellano, (amministrazione Brunetti) è passata solo una manciata

“ecologici”). Le ipotesi alternative risparmiano tanto cemento e asfalto, con vantaggio per l’ambiente, salvaguardia della produzione agricola e contenimento dei costi (per opere ed espropri). In effetti, ci dicono i nostri interlocutori, il costo di questa pista è esorbitante. Vero è che per la parte preminente è coperto dai fondi stanziati dal bando regionale del 2018 (quasi

meno costosa) l’alternativa della sede promiscua su tutto il percorso. Insomma, la sicurezza è fondamentale, ma sembra interpretata in modo un po’ ballerino. Sì, c’è il limite di velocità a 30 km/h, ma qualche cartello e qualche disegno sull’asfalto sono un po’ poco, soprattutto se poi non c’è chi li fa rispettare. Lo ricordano anche le indicazioni della Regione, che chiedono di valuta-

Come sarà il tratto in sede promiscua

d’anni, ma “è cambiato tutto, è cambiata la sensibilità” secondo Patrizia Gorgo. Non si sono prese in seria considerazione soluzioni alternative, sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista “filosofico”. Minimizzazione dell’impatto ambientale, sostenibilità, tornano spesso nel dibattito attuale, anche con riguardo ai percorsi ciclabili. Si può ragionare su piste ciclabili dedicate, realizzate con opere più o meno “pesanti”; oppure sulla valorizzazione di una rete ciclabile diffusa basata su tracciati già esistenti (come nel caso delle strade bianche così diffuse nelle nostre zone), adeguandoli alle esigenze con interventi “leggeri” (compattazione della sede stradale con appositi macchinari, tracciamento e descrizione dei percorsi, segnaletica ecc.). Se si legge il progetto esecutivo questa visione non sembra estranea, ma poi la strada seguita sembra un’altra. Una pista ciclabile dedicata non è certo un’autostrada, ma sempre di cemento, asfalto e simili si tratta (anche quando si parla di materiali

278.000 euro), ma resta a carico del Comune (e quindi dei racconigesi) una quota non indifferente (circa 185.000 euro coperti con accensione di un mutuo). Già, ma ci sono le esigenze di sicurezza (non eludibili, perché sacrosante e perché condizione essenziale per il finanziamento regionale) che giustificherebbero, secondo l’amministrazione, la scelta di tracciare la pista al di là del canale, evitando ogni contatto con il traffico veicolare di v. Stramiano. Anche qui le critiche non mancano. Ma come, ci dicono, se così è, dove vanno a finire le esigenze di sicurezza per la parte di percorso dal cancello delle Margherie al Centro Cicogne? La strada è quella, il traffico veicolare è lo stesso. E allora: se le esigenze di sicurezza sono le stesse, perché fino alle Margherie è indispensabile una pista dedicata e dopo le Margherie è sufficiente una sede promiscua? O si va fino in fondo e si fa tutta pista dedicata (ma i costi e gli espropri… mamma mia!) o non sembra così “insicura” (e certo

re il rafforzamento delle previste opere per la moderazione del traffico (pittogrammi indicanti percorrenza ciclabile e limite di velocità), con “opere che fisicamente scoraggino il raggiungimento di velocità superiori ai 30 km/h quali ad esempio dossi rompitratta, brevi tratti a corsia unica alternata per i veicoli, ecc.”. Sono indicazioni, qualcuno obietterà, non sono vincolanti; ma ad ogni buon conto non sembrano trovare grande riscontro se è vero che, come dice la consigliera Gorgo, sulla faccenda “l’amministrazione ha giocato al minimo”. E’ tutto? Quasi. Ma tutto non si può dire, qualcosa magari è troppo delicato o troppo complicato e ingarbugliato per farlo stare nelle pagine del nostro giornale senza approfittare eccessivamente della pazienza del lettore. Per ora ci fermiamo qui, nell’attesa di conoscere le argomentazioni di chi il percorso l’ha voluto così. Nella logica di un confronto di posizioni che permetta al lettore di farsi un’idea.


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Pista ciclabile

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Non disturbate il manovratore! Partecipazione tra teoria e pratica a cura della redazione

Delle critiche alla pista ciclabile per come è stata concepita diciamo in altro articolo. Naturalmente tutto è discutibile nel merito, ognuno ha le sue ragioni da difendere e noi cerchiamo di svolgere onestamente il nostro lavoro proponendoci di mettere a disposizione del lettore le ragioni degli uni e degli altri. Ma… ci dicono i nostri interlocutori, chi aveva il potere di decidere è andato avanti per la sua strada senza preoccuparsi molto delle ragioni degli altri. Così può succedere che l’attuale opposizione contesti all’attuale maggioranza quella chiusura alla partecipazione che veniva contestata dalla precedente opposizione alla precedente maggioranza. È cronaca di questi mesi, dai parcheggi blu alla pista ciclabile. Lasciamo da parte le oltre 2.000 firme inascoltate contro i parcheggi blu e concentriamoci sulle voci critiche (inascoltate anche quelle, sembra) sulla pista ciclabile. Quelle della minoranza in Consiglio Comunale (tutti meno uno) e di uno della maggioranza. Ma anche quelle dei frontisti (i proprietari dei terreni agricoli espropriati per realizzare la pista) e di 77 cittadini residenti nell’area di Migliabruna. Chi governa fa il suo mestiere, qualcuno dirà… governare. Ma che dire della sbandierata esigenza di partecipazione? Parole… parole… parole… dice la canzone. Ma le parole non sono fatti. Oggi è inutile pretendere di riaprire giochi che ormai sembrano chiusi. Ne scriviamo perché ci sembra giusto dare voce a chi non si riconosce nelle scelte fatte dall’amministra-

zione, lo fa con argomentazioni e ragioni degne di rispetto, lo fa non da oggi ma da tempo e quindi in epoca in cui le strade da seguire potevano anche essere diverse. Se ci fosse stato quel dialogo che invece, ci dicono, è mancato. Con i frontisti, ad esempio, che si sono opposti all’esproprio. I nostri interlocutori ci tengono a sottolineare che la loro opposizione al progetto riguarda il merito, ma prima ancora il metodo, espressione di un vero e proprio modus operandi di questa amministrazione che si è manifestato anche in altre occasioni. Con l’aggravante che nel caso in questione non si sarebbe rispettato un accordo tra il Comune e il frontista interessato. Accordo nel quale, a fronte della realizzazione del primo tratto di

ciclabile (quello già esistente), il frontista consentiva alla cessione in via bonaria dei terreni ad un prezzo concordato, contro l’impegno a non procedere a ulteriori espropri in futuro. In particolare chiedeva di fare passare l’eventuale ciclabile sul fosso (opportunamente intubato) fino alla intersezione con la bealera, e da lì “valutare” la prosecuzione “sulla sponda adiacente la strada, onde evitare compromissione con i terreni agricoli posti ad

Tratto interessato a espropriazioni per nuova pista ciclabile

ovest della bealera”. Vero è che l’accordo venne siglato nel 2011 dall’allora amministrazione Tosello e formalizzato nel 2012 dalla subentrante amministrazione Brunetti, e quindi non dalla amministrazione attuale. Le amministrazioni sono cambiate, ma il Comune che ha sottoscritto l’accordo è sempre lo stesso, ci dicono, e l’impegno è stato disatteso. Solo impegno d’onore? Non ci addentriamo nella spinosa questione, sempre impegno è, fosse anche “solo” d’onore. Ricorda la consigliera Gorgo che in Consiglio Comunale il sindaco Oderda, che aveva fatto parte della amministrazione Tosello, ha dichiarato di non conoscere il documento, però precisa “puoi anche dire… non ricordavo più… ma quando i frontisti stessi te ne parlano di nuovo non puoi fare finta di non conoscerlo”. E poi c’è (ci sarebbe, ma non abbiamo avuto l’opportunità di vederlo) il documento firmato dai 77. Con tanto di osservazioni, in particolare

in riferimento alle esigenze di sicurezza che non sarebbero assicurate per il tratto cancello delle Margherie - Centro Cicogne. In proposito la consigliera Gorgo dice infatti che sono venuti a sapere, in via informale, che “77 firmatari del nucleo di Migliabruna hanno fatto osservazioni sul punto”, che un incontro con l’amministrazione c’è stato, ma “tutte le osservazioni sono state respinte” in Consiglio Comunale. Alla richiesta, avanzata dalla stessa consigliera in Consiglio Comunale, “vorremmo che lei ci illustrasse le osservazioni fatte dai frontisti e dalle 77 persone, visto che qui in Consiglio si va a votare sul respingimento di tutte le osservazioni, che vanno quindi illustrate in sede di Consiglio… il sindaco… ha detto che se ne è già parlato a sufficienza e che noi siamo quelli che vogliono tornare sempre sugli stessi argomenti”. Ma noi “siamo lì per il mandato ricevuto e c’è il dovere di parlarne” finché ce ne è bisogno ribadisce la consigliera, e insiste per sentire le osservazioni dei frontisti e dei 77, senza avere, ci dice, risposta adeguata. Che dire, per concludere. Non intendiamo prendere parte sulla vicenda. Abbiamo sentito una campana, vorremmo sentire anche l’altra. Non certo con l’intento di cambiare le cose, sembra che non ce ne sia più il tempo e che in autunno dovranno partire i lavori, pena decadenza del finanziamento. Ma che tutta questa intricata vicenda ci lasci un senso di amarezza… questo lasciatecelo dire. Una sorta di sensazione di occasione persa. Certo, avremo la nostra pista ciclabile, che aspettavamo da tempo. Ma forse avremmo potuto avere qualcosa di meglio, più coerente con le sensibilità attuali. E forse avremmo potuto sperimentare un percorso partecipativo sempre invocato e raramente realizzato. Ma così va il mondo.


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LA CARTA STAMPATA segue dalla prima

Curzio Maltese

I linotipisti erano lavoratori che battevano i tasti di una macchina che trasformava in caratteri di piombo le parole scritte dal giornalista. Era un mondo magico quello per costruire una pagina da stampare e da qui la base di ciò che in momenti successivi avrebbe costituito la pagina del giornale e anche di un libro. La magia era la Linotype, inventata a fine del 1800 e che avrebbe sostituito la stampa con caratteri mobili dal procedimento molto più lento. Questo procedimento e la stessa Linotype non esistono più ma io ho avuto il privilegio di vederla ancora in azione nella tipografia Clerici che allora aveva sede dove c’è ora il negozio di elettrodomestici di Unieurocity, all’inizio del viale. Io non facevo quel lavoro, frequentavo le tipografie a causa del mio vizio di disegnare su giornali locali e seguirne poi la stampa su queste pubblicazioni; sarà per questo che sono uno di quelli che lavorano con passione alla pubblicazione di Insonnia scrivendo e disegnando sulle sue pagine e mi intristisco pensando che il nostro mensile sarà, un giorno, forse una delle ultime pubblicazioni periodiche su carta che escono in Racconigi (a meno che il giovane parroco non resista più di noi a stampare il suo bollettino). Tornando all’articolo di Maltese leggo: “Ormai da almeno un decennio, quando ti invitano ai corsi di giornalismo e scorgi una copia di un giornale spuntare dalla

tasca di un ragazzo, ti viene voglia di abbracciarlo. Hanno Internet. Faranno un altro giornalismo. Non so come sarà per gli altri, ma non è il mio.” È vero che i giornali si leggono ormai poco oggigiorno e queste lamentele si leggono su molti periodici e quotidiani che giudicano questo passaggio dalla carta stampata, grazie procedimenti informatici, ad un genere diverso, come un processo di informazione pericoloso. Ora si scrive anche sul telefono che è in grado di mandare il tuo articolo direttamente ad un altro aggeggio che trasforma in parole scritte le tue idee. Il telefono che fa queste operazioni lo hanno quasi tutti e quasi tutti possono diffondere le proprie

“ L’opinione pubblica non esiste quasi più, sostituita da un pubblico di spettatori che non è in grado di distinguere tra finzione e realtà. Nell’universo della pubblicità, la buona notizia non è quella vera ma quella più suggestiva, quella che si vende meglio.” E il futuro? Curzio Maltese non è senza speranze anche se sono sparite le Linotype e forse sparirà anche la carta stampata. Lui spera che le nuove generazioni leggano anche i maestri del giornalismo del passato e del presente e portino con sé questo stile nella trasformazione della nobile professione che di sicuro non morirà mai: il giornalismo, che comunque sarà più forte di qualunque spot pubblicitario.

idee. Tutto ciò appare come una conquista democratica ma io penso che non è sufficiente che tutti possano dire la loro opinione per fare di questo un concetto di democrazia; “ dicono che sarà molto democratico, ma qualche dubbio è lecito.” Inoltre, come abbiamo saputo, dalla Cina fino a Cuba di questi ultimi tempi per impedire la comunicazione di idee contrarie al governo al potere, espresse attraverso mezzi informatici è stata sufficiente una azione tecnologica governata dall’alto e tutte le voci di opposizione sono state spente. Come le informazioni si possono trasmettere velocemente le idee di opposizione si possono far tacere altrettanto velocemente. E ancora, ciò che viene scritto con i sistemi telematici per la abitudine all’uso veloce di questi mezzi di comunicazione, assume una caratteristica: la sintesi. Dire in fretta e con poche parole le cose che si vogliono comunicare è diventata una abitudine, lo hanno imparato anche i politici nel rilasciare le loro dichiarazioni e sovente tutto ciò si riduce ad una comunicazione superficiale, come il linguaggio pubblicitario; e la pubblicità serve a vendere.

Io spero che anche Curzio Maltese venga ancora a lungo letto dalle nuove generazioni e che il suo modo di scrivere sia di insegnamento a tutti coloro che hanno passione per questa comunicazione anche se scriveranno, col telefono. Giovani, per favore, non sintetizzate troppo.


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a cura di Guido Piovano

IL “NON LO SO” DEL PAPA: ECHI DI UN GRUPPO BIBLICO 4 gennaio 2018, Papa Francesco: «Sai, ci sono “perché?” che non hanno risposta. Per esempio: perché soffrono i bambini? Chi può rispondere a questo? Nessuno. Il tuo “perché?” è uno di quelli che non hanno una risposta umana, ma solo divina. […] Ma è un “perché” per il dopo, all’inizio non si può sapere. Io non so il “perché”, non posso neppure pensarlo; so che quei “perché?” non hanno risposta. Ma se voi avete sperimentato l’incontro con il Signore, con Gesù che guarisce, che guarisce con un abbraccio, con le carezze, con l’amore, allora, dopo tutto il male che potete aver vissuto, alla fine avete trovato questo. Ecco “perché”». L'altro giorno un terribile nubifragio su Racconigi: grandine, tanta acqua nelle cantine e nei sottoscala, alla fine

un arcobaleno annunciava la riappacificazione della natura con l'uomo. Era di nuovo pace tra cielo e terra. L'uomo è imperfetto, capace e libero di scegliere tra bene e male, capace e libero di ascoltare la voce di quegli uomini, i profeti, che ci hanno raccontato Dio, quegli uomini che nelle Scritture ci parlano della “volontà di Dio”. Pensate invece ad un uomo-robot, obbligato al bene in un mondo perfetto, mi viene da dire, un mondo dove la solidarietà non avrebbe motivo di essere, dove la cura dei più deboli, l'attenzione agli ultimi non avrebbero senso per assenza dei medesimi così come priva di senso sarebbe ogni forma di cooperazione umana. Cosa sarebbe l'uomo in un mondo simile: un robot, appunto. Dio per l'uomo ha scelto diverso: ci ha voluti liberi, in evoluzione conti-

nua e ben consapevoli di dover tendere al bene. Sappiamo cos'è il bene e sappiamo fare il male, siamo votati al bene, ma torniamo spesso a compiere il male. Già, ma quando la natura si scatena, non è l'uomo a compiere il male! Vero, ma riuscite ad immaginarlo un uomo capace di compiere il male in una cornice, in un mondo, perfetto? Dunque anche la terra, il vento, le rocce, il sole possono compiere il male, anche la natura può trasgredire, ma l'arcobaleno, ci dice appunto che loro “lo sanno”, e tornano al bene. Allora i bambini possono soffrire, ma l'affetto, la vicinanza, i valori della solidarietà sono tutto per loro. E per noi.

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Un cristianesimo triste e senza speranza, oserei dire, con una fede povera, ha sempre pensato di dovere “accettare la volontà di Dio”, con questo volendo dire di accettare con fiducia la malattia, la disgrazia, il dolore, come provenienti da un Dio che ci mette alla prova. No, Dio non ci manda le disgrazie; esse appartengono alla nostra condizione. Non dobbiamo “accettare la volontà di Dio”, ma “fare la volontà di Dio”, cioè aderire con forza al progetto di umanità che è fin dall’inizio nei piani di Dio, ma che Lui non può realizzare senza di noi. Il paradiso terrestre non è la realtà perduta di cui nel mito biblico, ma una realtà da costruire qui sulla terra, fin da ora.

AVANTI MARX! ATTO 1 - Con una lettera indirizzata al papa il giorno 21 maggio si è dimesso il cardinale di Berlino Reinhard Marx appartenente a quella chiesa il cui sinodo sta cercando a fatica di contribuire al proprio rinnovamento. Nella lettera, ricca di sofferenza e delusione, il cardinale assume su di sé colpe non direttamente sue e parla del sistema ecclesiale attuale come di “un fattore di rischio per i comportamenti abusanti […] che richiede cambiamenti e riforma della Chiesa”. Ha scritto don Gennaro Pagano, prete, psicologo e psicoterapeuta “Un gesto forte, drammatico, dall’alto valore simbolico […] Uno degli errori più grandi che la chiesa potrebbe fare e che forse sta facendo sulla questione dell’abuso è di considerarlo come un problema esclusivamente pratico e relativo al comportamento disdicevole di una chiarissima minoranza da condannare. È la storia della mela marcia da isolare per salvare l’ampia cesta delle mele belle e saporite. Ma quest’atteggiamento in una visione sistemica (e non a caso il cardinale Marx parla di sistema!) non ha ragion d’essere perché la mela marcia è espressione e sintomo di un’intera cesta di mele mal conservata e pertanto a rischio di diventare marcia per intero. Per questo per evitare realmente altre decomposizioni non basta gettar via la mela andata a male ma intervenire sulle regole di

conservazione, cambiandole, adeguandole, riformandole.” ATTO 2 – Papa Francesco respingendo le dimissioni del cardinale in una lettera ricca di echi evangelici lo invita a continuare nel suo ministero. Significativo è l’inizio della lettera: «Caro fratello, prima di tutto grazie per il tuo coraggio. […] Mi dici che stai attraversando un momento di crisi, e non solo tu, ma anche la Chiesa in Germania lo sta vivendo. Tutta la Chiesa sta in crisi a causa della questione degli abusi; ancora di più, la Chiesa oggi non può compiere un passo avanti senza accettare questa crisi. […] È urgente “esaminare” questa realtà degli abusi e come ha proceduto la Chiesa, e lasciare che lo Spirito ci conduca al deserto della desolazione, alla croce e alla resurrezione. È il cammino dello Spirito quello che dobbiamo seguire e il punto di partenza è la confessione umile: ci siamo sbagliati, abbiamo peccato. Non ci salveranno le inchieste né il potere delle istituzioni. Non ci salverà il prestigio della nostra Chiesa che tende a dissimulare i suoi peccati; non ci salveranno né il potere del denaro né l’opinione dei media (tante volte siamo troppo dipendenti da questi)». Come non vedere una relazione tra queste espressioni del papa e gli attacchi cui è sottoposto da una destra interna che gli è sempre più ostile!

Un pacco di… rifiuti di Zanza Rino

Non è Natale, ma l’ultimo Consiglio Comunale porta un bel regalo per i contribuenti racconigesi. Aumenta la TARI. Con voto favorevole della maggio-

ranza e contrario delle minoranze. E per fortuna c’è il Covid. Beh… lo dico meglio, altrimenti qualcuno, giustamente, mi manda a stendere. Per fortuna c’è un contributo statale (33.500 euro, più o meno) legato agli interventi per contrastare gli effetti del Covid, contributo che va a coprire una parte dei costi complessivi per il servizio (1.277.000 euro più o meno). Altrimenti il conto sarebbe più salato. Occhio, però! Il contributo vale per quest’anno… ma il prossimo… Intanto, mettiamo mano al portafoglio.

Lo so, c’è già chi è pronto a dire… ci sono i costi del servizio che lievitano… i cittadini non si comportano bene… il Comune fa quello che può… un aumento ci può anche stare… Beh sì, in effetti, quasi quasi un po’ di ragione ce l’hanno. Ma poi, per caso, mi capitano sotto gli occhi un paio di zanzarini degli anni passati, per puro caso neh! E che c’era scritto? Che la Tari era aumentata (allora è già successo, alla faccia delle promesse elettorali di diminuzione), che il servizio non era migliorato (niente di nuovo dunque, alla faccia delle promesse

elettorali di miglioramento), che il comportamento virtuoso dei cittadini non cade dal cielo ma va pazientemente costruito. Tante cose opinabili. Dirà sempre qualcuno. Può darsi. Ma la Tari è aumentata di nuovo. E Racconigi, che si era avvicinata all’80% di differenziata ed era diventata il primo dei Comuni del Consorzio ora è congelata a poco più del 70% (e qui stare fermo equivale ad andare indietro) ed è stata superata da parecchi altri Comuni (che invece continuano ad andare avanti). E questo non è opinabile.


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Sport-Salute-Benessere. Insieme a corpi liberi

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Ma di cosa vi stupite? di Federico Bronzin

Chissà quanto la notizia delle scuole medie di Caraglio è uscita dai confini comunali, o forse anche provinciali. La Stampa di Cuneo recita “Immagini scattate di nascosto durante la dad a insegnanti e compagni, poi modi-

ficate e accompagnate da insulti e allusioni sessuali”. Conseguenza (esemplare), 300 alunni sospesi. Tutti a gridare al clamore, allo scandalo; io, personalmente, ci vedo nulla di strano nel

sapere che alcuni dei 300 alunni delle medie possono aver compiuto tali azioni (genitori malati che passano la propria perversione ai figli, ce ne sono ovunque). Quello che trovo più preoccupante è che, se sono stati sospesi tutti, vuol dire che tutti (o la quasi totalità) hanno un cellulare. In un Paese che, petto in fuori, esalta la propria evolinvoluzione (errore di battitura), che fa della burocrazia un rigido baluardo a difesa delle regole, del rispetto e della privacy, poi fa diventare “essenziale” avere un cellulare anche per i bambini (perché a dieci-dodici anni si è ancora bambini), mi si consenta, qualcosa non torna. In un Paese che, pancia in fuori, assiste braccia conserte a una vertiginosa crescita di bambini sovrappeso (il sovrappeso è il primo stadio di una malattia) e che dà loro in mano un cellulare piuttosto che un pallone o una corda, è un Paese che non vuole bene alla sua gente. Nell'attesa, tra qualche generazione, che diventi normale l'inserimento sottocutaneo di microchip fin dalla tenera età, per collegarsi tutti allegramente alla rete, mi godo mia figlia che, a un anno e mezzo, di fronte a cellulare e palla (sperimentato), sceglie la palla.

Sport-Salute-Benessere. Insieme a corpi liberi

Tic-Tac, Tic-Tac, Tic-Tac di Federico Bronzin

Perché corri? Dove vai? Ti posso aiutare? Perché ti agiti in quel modo? Ma che è? Ti ha morso una tarantola?? La risposta a queste mie domande è sempre la stessa, quelle tre paroline magiche che, messe insieme, sono capaci di farmi venire i brividi ogni volta che le sento: “non ho tempo”. Già Seneca metteva in guardia il popolo, ponendolo davanti al paradosso della Vita umana: il tempo è il bene più prezioso, ma è anche quello che si spreca con più facilità. Ai giorni nostri (Seneca si sta rivoltando nella tomba), spendiamo il tempo davanti a cellulare, whatsapp, facebook, serie tv, pippe mentali, cosa metto stasera, chissà cosa pensa di me il cugino della cognata del fratello di Calogero, e via discorrendo. Il non ho tempo, immancabilmente, si ripercuote sulla salute, perché non siamo stati educati a guardare il nostro benessere, perché, a parità di prezzo, se ho tempo vado dalla pettinatrice (non me ne vogliano le parrucchiere) piuttosto che da un massaggiatore a farmi vedere la spalla che è da settimane che mi fa male, poi

tanto c'è l'antidolorifico. Oppure vado a farmi una corsetta perché ho la pancetta, tanto c'è la dieta magica. E così, oltre che povero, chi non ha tempo diventa anche malato, perché la salute, come

sempre, non è una priorità. Tic-tac, tic-tac, tic-tac, il tempo passa, inesorabile. Sta a noi usarlo nel modo giusto, sempre detto che ci sia ancora tempo.


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frustrazione sono le caratteristiche emerse con maggior frequenza e sulle quali ci Questa formazione non s’ha da fare lasiamo interrogate e discusso. segue dalla prima

L’empatia, la capacità di ascolto, la resilienza, l’ottimismo, la forza, la sincerità, la capacità di fare rete, l’importanza della relazione, la consapevolezza, il non avere fretta contrapposte al timore di non essere all’altezza della situazione, non saper dire di no, lasciarsi coinvolgere troppo, aver la presunzione di poter risolvere ogni problema,

Anna Simonetti

Due mani robuste si stringono con forza: è la solidarietà, solidarietà alle donne che subiscono violenza sia fisica che psicologica, devono sentire la solidarietà di tutte/i, non deve mai mancare. L’orologio segna il tempo: ognuno ha il suo tempo sia per raccontare sia per ascoltare, avere tempo è importante per la volontaria, tempo per interiorizzare la storia e riuscire a dare sostegno, tempo per chi chiede aiuto per riconoscersi nel suo tentativo di apertura verso l'esterno, non nascondersi più agli altri e soprattutto non nascondersi più a se stessa. I fiori sono il simbolo del tempo e della riflessione: i fiori vanno curati, sono fragili ed hanno un loro tempo di assorbimento della sostanza per poi svilupparsi. Non si può affrettarne la crescita e non devono essere tagliati. La loro vista allieta l'animo e distende lo spirito. Sotto ci sono le due categorie a rischio: i bambini e la donna. Nell’immagine una giovane, felice donna che si affaccia alla vita. A fianco, un groviglio di braccia e mani da cui spuntano volti di donne e di uomini, mani che offrono aiuto. Uomini e donne perché devono combattere insieme per cambiare la considerazione sessista della donna e questo deve iniziare ad accadere proprio nell’ambito della famiglia, prima cellula della società, in cui però accade il maggior numero delle violenze contro le donne. Sono tante le storie, dobbiamo raccontarle ma dobbiamo lavorare per costruirne di nuove, giuste e belle come la treccia che mani antiche ed esperte riescono ad intrecciare. Sarà un lungo percorso, sole o in compagnia, a volte sembrerà senza svolte, ma bisogna andare avanti, forse lentamente, su una strada che potrà essere anche solitaria. Nell'ultima immagine, due donne, alunna e insegnante, si scambiano sapere e conoscenza in un’aula scolastica, lo stesso potrà accadere all’interno di un'associazione, come Mai più sole, dove esperienza, confronto e sostegno saranno di aiuto per trovare la strada giusta.

Bruna Gagliardi

Marilisa Rosso

Oltre a prendersi il tempo necessario occorre che le volontarie si pongano ad una giusta distanza dai problemi che possono emergere durante i colloqui, riuscendo a distinguere le emozioni e i sentimenti che appartengono a chi chiede aiuto, da quelli che si innescano in chi ascolta. Le partecipanti al corso hanno prodotto dei cartelloni utilizzando immagini ritagliate da riviste per sintetizzare l’esperienza vissuta

Questi due incontri che l’associazione ha organizzato per le aspiranti volontarie, hanno ancora una volta sottolineato l’importanza di lottare contro la violenza che si abbatte sulle donne e l’importanza del sostegno alle donne violentate, ma sono sempre più convinta che se il sostegno deve venire senz’altro dalle donne, la lotta va fatta insieme a uomini giusti, compagni, figli… perché finalmente diventi bene comune della società il concetto che l’amore non è possesso, bensì rispetto. Non so quanto potrà essere il mio apporto all’associazione causa l’età, ma ho voluto e acconsentito a partecipare perché credo che non ci sia limite d’età per lottare contro la violenza che le donne subiscono da uomini con cui volevano condividere una vita all’insegna di amore e rispetto reciproco. P.s. La scelta di immagini e la loro successione sul cartellone sono state puramente casuali, ho scelto le immagini per se stesse, mi piacevano e le ho incollate una dietro l’altra così come veniva e… alla fine è venuta fuori la storia.

Un paio di sandali…... un percorso. Un viaggio. Se possiamo, perché non farlo magari con delle calzature comode...proprio come i sandali? La barca…oppure a bordo di una barca? Una donna…Si parla (principalmente) di donne, ma a volte anche di bambini. Donne, s'intravvedono parole e frasi su di un volto, il più delle volte illeggibili, incomprensibili. Bisogna scavare a fondo per far riemergere, per riportare alla luce storie e vissuti indicibili... affinché si possa leggere perfettamente ogni parola, ogni significato, per renderle consapevoli della propria condizione, di ogni episodio accaduto sulla propria pelle, sulla propria anima. Più ne parleranno con qualcuno meglio sarà per la loro condizione. La terra …È una questione a livello mondiale. In tanti paesi è anche peggio. Non ci sono organizzazioni autorizzate a dare aiuto a queste donne e ai loro figli. Donna con mascherina…In questo periodo di pandemia le cose sono anche molto peggiorate per la forzata convivenza h 24 nei vari lockdown imposti dai governi, dalla emergenza sanitaria. Ignoranza = Paura Silenzio = Morte ovvero l'ignoranza crea la paura, il silenzio genera la morte. IL cuore …Dobbiamo metterci il cuore.

Ogni donna che si rivolge all’Associazione deve essere accolta ed ascoltata con la massima disponibilità ed empatia. Sospendere il giudizio è il primo passo per farla sentire al centro di un percorso in cui diventi la protagonista delle proprie scelte. Il compito delle volontarie è di mettere la richiedente d’aiuto a proprio agio, osservando attentamente il linguaggio del corpo, regalandole il tempo necessario per raccontare la propria storia, grazie ad un ascolto attivo, basato sull’empatia e sull’accettazione. La donna deve sentirsi compresa, non giudicata, non forzata a prendere decisioni. Un aspetto importante delle relazioni interpersonali è rappresentato dalla capacità di stabilire confini sani ed equilibrati con l’altro. Ciò ha una valenza bi-direzionale ed è essenziale per entram-

be le parti. Chi chiede aiuto, senza un’adeguata distanza, potrebbe sentirsi nuovamente manipolata e non aiutata ad intraprendere scelte autonome, mentre per la volontaria potrebbero porsi problemi di confluenza, ovvero difficoltà a distinguere i propri sentimenti da quelli altrui. Importante è la consapevolezza che aiutare un’altra persona non significa stabilire a priori le modalità da intraprendere per l’altro, ma accettare le scelte che l’altro, in quel momento, ritiene più opportune. Consigli preziosi se “conditi” da delicatezza e rispetto.

Bottiglie… come contenitori (e contenuti...). Con forme e aspetti diversi, non cambiano la sostanza delle persone e dei loro contenitori e contenuti. Ognuno di loro è diverso nella loro uguaglianza. È questo che li accomuna. Un quadro… prendersi questo impegno…è un’arte! Una foto di un’altra epoca…Non dimentichiamo mai da dove veniamo. I nostri avi... Se abbiamo avuto un brutto passato, non necessariamente lo sarà anche il nostro futuro. Possiamo cambiare le cose. Lo si può fare con la consapevolezza, con la presa di coscienza, il coraggio, la fede.... Bisogna evolvere. Un obiettivo da raggiungere. Una meta per volta. Anche una al giorno se necessario. Perché sarà più facile arrivarci. Una sola al giorno. Per quanti sono i giorni della settimana, del mese, dell'anno... Lo sappiamo, i giorni sono tanti. Ma anche le mete raggiunte saranno tante...tantissime! Finché alla fine, raggiunte tutte le mete, si sarà raggiunto l'obiettivo prefissato in principio. Per sempre. Non si torna più indietro. Fine. Si inizia una nuova vita. Finalmente libertà!


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Liliana Franco

Claudia Cristofori Il viaggio da intraprendere

La prima foto: i contatori con un groviglio di fili…rappresentano i cervelli delle donne, i loro pensieri, la loro intelligenza, i loro dubbi, le loro passioni… le loro confusioni. Le altre foto rappresentano la forza delle donne, le loro potenzialità, il loro potere rivoluzionario. So che molte donne soffrono, subiscono violenze fisiche e psicologiche… ma io credo nelle donne e nel loro fare rete, nella loro resilienza. E penso che unite nelle sofferenze e nelle lotte possiamo trasformare un po’ questo mondo. Non so se va bene, ma è quello che penso e… sogno!

Il viaggio da intraprendere, quando si chiede aiuto, non può che partire da dentro e tramite un percorso personale, descrivibile metaforicamente con una barca, o ancor meglio con uno zaino in spalla, tramite il quale si può riprendere a guardare lontano e a realizzare i propri sogni, curando l'interiorità come il nostro più bel giardino. In questo percorso potrebbe essere difficile togliersi da un incastro sbagliato e, ancor più complicato, affrontare il cambiamento quando vi sono dei minori che, seppur non vedono, sentono e percepiscono tutto ciò che li circonda. Questo è un viaggio che si può fare soltanto insieme, tramite una rete che possa indicare la strada per ritrovare con forza se stesse, e la placida libertà della donna ritratta da De Chirico.

Cristina Fenoglio

Nella lotta alla violenza di genere, ho scelto queste immagini per puntare alla forza delle donne, racchiusa dentro ciascuna di noi. Una forza e un’energia che possono essere l’unico reale passpartout per il cambiamento e per l’affermazione dei nostri diritti, al pari, né più né meno, degli uomini. Nostri compagni di vita e d’avventura. E allora ecco che nel mio collage ci sono: un’immagine di una donna astronauta per non smettere mai di volare nello spazio, metaforicamente e non. Un rossetto rosso, simbolo della cura, della bellezza e dell’attenzione per noi stesse. Tre immagini di una montagna da scalare, come una vertigine, per-

ché per raggiungere la vetta della consapevolezza e dell’amore per noi stesse bisogna faticare. Ma gli sforzi e le sfide, col cuore in gola, dinanzi al panorama finale, ne varranno la pena. Quindi l’immagine di una donna che danza leggera verso nuovi orizzonti con un paio di farfalle al fianco, simbolo di rinascita e fantasia. Quella stessa donna che a volte si raccoglie in se stessa, come in un campo di fiori. I fiori dei suoi talenti e delle sue risorse interiori per far emergere ancora una volta la sua capacità di mettersi in gioco. Gioco mirabilmente impersonificato da una bimba con i pattini e qualche sbucciatura, ma presto pronta a rialzarsi e far dell’adesso e della sua giornata il suo miglior momento. Dunque l’immagine di una colomba con una lettera in volo perché la comunicazione nelle relazioni è importante. Proprio come due pappagalli in coppia che si guardano ed ascoltano reciprocamente, all’insegna di un rispetto e di un’intesa che si costruiscono giorno per giorno. Infine, l’immagine di una donna con il cappello d’alpino che osa e

non ha paura. Perché, chiunque tu sia, non esistono ruoli prestabiliti, ma solo possibilità che si nutrono di intelligenza, desiderio, volontà e magia. Sul retro l’immagine di una bimba che vola sull’acqua, lanciata e supportata dal padre che vorrà sempre vederla volare, oltre all’immagine di un volto realizzato a mosaico dove ogni tassello rappresenta una delle tante sfaccettature di noi stessi. Perché siamo animali semplici ma complessi. E la nostra ricchezza starà sempre in ogni parte che compone il tutto.


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Una storia per non dimenticare – parte V FRANCESCO CASALE, DIARIO DI GUERRA (1943-1945) Siamo alla quinta puntata del diario (“Indimenticabile priore”, Appendice, di Umberto Casale). Francesco, padre di Umberto, arriva a Sarajevo. Le circostanze sono sempre le stesse: fame, miseria, lavoro. Colpiscono e dicono molto della guerra le sue parole “…benché

siano i nostri nemici è desolante vedere tanti soldati così malandati: sono stanchi, sporchi, stracciati e affamati come noi che siamo loro prigionieri…”. E sempre abbandono e distruzione in ogni dove. (g.p.)

Bradina venerdì 1 settembre 1944

Da domenica ho lasciato Zenica, ma non ho avuto il tempo di scrivere le mie impressioni su questo paesetto, che altro non è che un buco in mezzo alle montagne dove si nascondono molti partigiani. Sono arrivato qui lunedì mattina e dopo mezzogiorno ho ripreso il treno per Sarajevo a fare la spesa viveri, sono tornato mercoledì sera. Da ieri, come i giorni passati a Sarajevo, si è in allarme aereo dalla mattina alla sera, vediamo continuamente formazioni di bombardieri passare, ma i più temuti sono i famosi caccia di Tito, che si abbassano e mitragliano Senza remissione le tradotte germaniche. Stanotte i partigiani hanno attaccato il caposaldo: finché si tratta di fucileria e di raffiche di mitragliatrice ci rifugiamo in mezzo ai vagoni, ma quando cominciano i mortai scappiamo in galleria. Ci siamo stati fino alle sei poi, dalle nove tutto calmo: né i partigiani né i tedeschi sparano più. Tutta la giornata è passata in allarme aereo. Sono passati molti bombardieri e i caccia si sono abbassati due volte a mitragliare. Qui non c’è più tutta la compagnia ma solo una sessantina di uomini, avevo due amici che erano come fratelli: uno, Guizzardi, è rimasto a Scopia all’ospedale con la malaria, e l’altro, Francioni, l’ho lasciato a Zenica, chissà quando ci rivedremo ancora.

Bradina martedì 5 settembre 1944

Stasera sono otto giorni che sono qui a Bradina, otto giorni così non li ho mai passati quando ero sul fronte greco-albanese nel nostro esercito, allora eravamo armati e si combatteva da pari a pari, ora da un anno siamo prigionieri, ne abbiamo viste di tutti i colori, qui però si oltrepassano tutti i limiti: di giorno ci fanno lavorare per riattivare la linea ferroviaria che ogni notte i partigiani fanno saltare con la dinamite, non si finisce mai e non si può lavorare mezz’ora di seguito, se non si scappa per gli aerei che ci sorvolano si deve scappare perché i partigiani ci mitragliano per non farci riparare la linea che da sei giorni hanno interrotto. È stata una vera fortuna domenica ritornare a Bradina, mentre si lavorava i partigiani ci hanno circondati e l’ufficiale tedesco ha dato l’ordine di rifugiarsi in galleria su un treno composto di quattro carri, due corrazzati e due comuni, sui primi sono saliti i tedeschi e noi sui normali. Nel tratto tra una galleria e l’altra sono arrivati molti colpi di mortaio, per fortuna uno solo ha colpito la locomotiva ed il macchinista è rimasto leggermente ferito, poi il treno ha proseguito in una galleria di 4 km. e siamo rientrati a Bradina.

Questo è quello che succede di giorno, di notte viene il peggio: questi dannati tedeschi ci fanno dormire su due vagoni in mezzo alla stazione, cioè si dovrebbe dormire, ma non lo abbiamo ancora fatto una notte. Come già dissi Bradina è un pozzo fra quattro montagne, a metà costa ci sono i tedeschi in postazione con una trentina di mitraglie, ma sulle cime ci sono i partigiani ugualmente armati, alla sera, per paura che questi scendano, i tedeschi cominciano a sparare e i partigiani naturalmente rispondono al fuoco e i colpi di mortaio vengono a finire tutti nella stazione e noi, per salvare la pelle, siamo costretti ad abbandonare i vagoni e a rifugiarsi in galleria dove trascorriamo la notte senza dormire.

Sarajevo martedì 12 settembre 1944

Da sabato mi trovo qui con il resto della compagnia. Quaranta uomini, mentre da Zenica venivano qui, il 7 c.m. sono stati portati via dai partigiani che hanno fermato il treno, tra questi anche Fissore, l’unico compaesano che avevo. Venerdì è stato bombardato per la prima volta il nodo ferroviario di Alipasin Mosto che si trova a due km da Sarajevo ed è stato completamente distrutto. Questa zona non era mai stata bombardata, i civili e tanto meno i militari si rifugiavano mai quando sentivano l'allarme aereo, perciò ci sono stati 2.500 morti. Per riattivare almeno una linea ci fanno lavorare 16 ore al giorno, i tedeschi cercano in tutti i modi una via di scampo per ritirarsi dai Balcani, ma credo che ormai sia abbastanza difficile, oltre i bombardamenti i partigiani paralizzano strade e ferrovie. I tedeschi ci fanno lavorare come dannati per

riattivare 500 m. di linea e alla notte i partigiani ne fanno saltare 1 Km., anche i ponti sono stati distrutti tutti 2 o 3 volte ed il materiale per la ricostruzione comincia a scarseggiare, purtroppo non passano più anche le tradotte dei viveri, e la nostra misera razione e ulteriormente diminuita. I civili che conoscono le nostre condizioni ci dicono di resistere ancora per poco tempo, che presto saremo liberati da questi bruti, speriamo.

Sarajevo domenica 24 settembre 1944

Finalmente oggi ci hanno fatto sospendere il lavoro due ore prima degli altri giorni, la situazione sembra peggiorare ogni giorno di più. Tra italiani, russi e civili siamo circa un migliaio a lavorare sulla linea ferroviaria che i partigiani regolarmente fanno saltare ogni notte, ma i tedeschi continuano a farci lavorare come schiavi, speriamo arrivino presto a liberarci: non ce la facciamo più. Da più di un mese non arrivano tradotte di materiale e le scorte stanno finendo.

Sarajevo domenica 15 ottobre 1944

L’ultima settimana di settembre è piovuto quasi tutti i giorni, e nonostante fossimo sempre bagnati fradici, abbiamo lavorato interrottamente. La cosa positiva è che con questo tempo gli aerei non ci hanno disturbato. Tornato il bel tempo e tornate le ricognizioni ogni giorno, siccome si tratta quasi sempre di ricognitori tedeschi, non ci lasciano più scappare quando suona il preallarme, ma ci fanno lavorare ugualmente nella stazione. A volte i bombardieri arrivano di sorpresa e non facciamo in tempo ad allontanarci, qualcuno prima o poi ci


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lascerà la pelle. Ora la linea ferroviaria sembra più o meno riattivata e ogni tanto si vede una tradotta partire, ma se arriva a destinazione nessuno lo sa. A sentire i civili sembra che i russi siano arrivati a Belgrado, la nostra speranza e che arrivino a Brad, chiudendo ogni via di scampo a questi bruti e liberarci. Noi non sappiamo più come tirare avanti, quei pochi fagioli e farina che ci siamo portati da Veles sono finiti e con la sola razione ed il lavoro che pretendono.

Sarajevo martedì 17 ottobre 1944

Stamattina non sono andato ad Alipasin, mi hanno fatto fermare qui in caserma a scrivere una targa, fino alle nove sono stato tranquillo, poi ha suonato il primo allarme, e siccome qui ci lasciano fuggire sono andato in montagna, si è visto solo un ricognitore, e alle undici sono rientrato in caserma. Mezz’ora dopo suona nuovamente l’allarme e non faccio in tempo ad uscire dal recinto della caserma che i bombardieri sono sopra di noi, per fortuna non sganciano il loro carico qui, ma ad Alipasin e colpiscono in pieno la ferrovia a trecento metri dove stanno lavorando tutti i miei compagni. Si contano una ventina di morti e un centinaio di feriti. Dopo mezzogiorno ha suonato due volte l’allarme, ma abbiamo visto solo ricognitori.

Sarajevo domenica 22 ottobre 1944

Stamattina sono partiti ottanta dei miei compagni, ma non si sa dove sono andati, né quando torneranno. Una cosa invece è certa: i russi hanno occupato Belgrado e sembra che puntino verso Brad. La nostra speranza è che arrivino prima che questi bruti riescano a portarci via di qui verso la Germania. Dalla costa dalmata sembra che i partigiani siano alle porte di Mostar, quindi fra non molto ogni via verso la Germania sarà chiusa, da qui partono tutti i giorni tradotte di materiale bellico verso Brad. Il brutto è che la scorta di Veles è finita, per comprarmi un po’ di pane ieri sono stato costretto a vendere l’orologio, ogni panino di un etto costa 100 kuna, quindi anche le kuna finiscono molto presto, poi la Provvidenza ci penserà.

fuori da Sarajevo hanno trovato la ferrovia interrotta. Per proseguire dovevano ripararla, ma appena scesi dal treno i partigiani cominciarono a sparare quindi più che in fretta sono tornati indietro. Allora i tedeschi hanno fatto delle postazioni e con le armi in mano hanno tentato di far andare avanti i miei compagni prigionieri a lavorare, restando loro al riparo. Naturalmente questi si sono rifiutati, allora uscendo dalle postazioni con le armi spianate li hanno fatti avvicinare alla linea e i partigiani immediatamente hanno ripreso a mitragliare, ma mirando solo ai tedeschi. Due morti e otto gravemente feriti e nessun italiano colpito. Dopo altri due tentativi falliti i tedeschi decisero di rientrare a Sarajevo. Stanotte all’una ha suonato l’allarme e quando i quadrimotori ci giravano già sopra ed avevano già illuminato tutto con i razzi le bombe sono cadute su Alipasin e noi non abbiamo subito danni.

Sarajevo mercoledì 8 novembre 1944

Ringrazio il Signore se sono ancora in vita: ieri ero a lavorare ad Alipasin Most con il resto della compagnia, perché cento sono andati a Zenica, alle undici è suonato l’allarme quando c’erano già una ventina di caccia a bassa quota su Sarajevo, e la contraerea aveva già aperto il fuoco, abbiamo fatto in tempo ad allontanarci di poche centinaia di metri che è arrivata una formazione di una trentina di quadrimotori che ha colpito in pieno la stazione. Poi, con l’intervallo di venti minuti, altre due formazioni che bombardarono allargando sempre di più il bersaglio, noi allontanandoci sempre più verso la montagna ci trovavamo sempre nella zona colpita. Dopo un’ora sono arrivati altri bombardieri, non più in formazione ma in ordine sparso, che hanno sganciato bombe un po’ dappertutto nel raggio di 5-6 km perciò molte sono cadute anche in città. Per fortuna qui ad Alipasin su 120 uomini solo 3 sono rimasti feriti, molti invece fra i civili e i militari. Oggi sono stato a lavorare in città ed ho visto le rovine di diversi palazzi che sono stati distrutti, anche la circolazione dei tram è paralizzata.

Sarajevo domenica 5 novembre 1944 Sarajevo domenica 12 novembre 1944 Mercoledì sono tornati gli ottanta uomini partiti domenica, i tedeschi volevano portarli vicino a Kraljevo per riattivare la linea, però a 30 km

Ogni giorno suona l’allarme 5 o 4 volte, ma sono passati 10 giorni senza bombardamenti, si tratta sempre di ricognitori, ieri al quarto al-

11 larme è arrivata una formazione di venti bombardieri che ha colpito nuovamente il nodo ferroviario di Alipasin Most, ma noi non abbiamo subito danni. Anche oggi l’allarme è durato 4 ore ma è passato solo un quadrimotore senza sganciare. In questi ultimi giorni, un po’ per la fame e un po’ per la paura di trovarsi sempre in mezzo ai bombardamenti, una sessantina di uomini della mia compagnia sono scappati: una parte è andata con gli ustasci o Demobran e un’altra in montagna, ma con questa stagione non so se avranno pin fortuna di noi che siamo ancora sotto il dominio di questi bruti.

Sarajevo giovedì 14 dicembre 1944

In questi ultimi quindici giorni la situazione è molto cambiata: sono venti giorni che vediamo passare colonne di macchinari e truppe a piedi che si ritirano in disordine provenienti dalla Grecia, Albania, Montenegro e Dalmazia. Tutti marciano verso Zagabria, le truppe a piedi sono sfinite, scalze e malconce, credo che ben pochi arriveranno a destinazione, il carreggio è trainato da muli, asini, vacche e buoi che requisiscono ai civili passando in ritirata. Questa situazione disastrosa ci fa vedere la nostra liberazione vicina, ma intanto ci fanno lavorare come negri e ci hanno ancora ridotto la razione, ma pazienza, la cosa che più ci conforta è che non riusciranno più a portarci in Germania. Speriamo di essere presto liberati da questi maledetti che ci tengono prigionieri da quindici mesi con un trattamento brutale perché non ci arruoliamo nel loro esercito.

Sarajevo Natale 1944

Questo è il quarto Natale che passo lontano dai miei cari, e da più di cinque mesi non ho loro notizie, l’unica cosa che mi resta è la salute, di questo ringrazio infinitamente il Signore, fiducioso che anche i miei cari lontani stiano bene. Per il resto va sempre più male, specialmente per noi prigionieri: una parte della nostra misera razione viene ancora rubata dal magazziniere e dal maresciallo tedeschi che comandano la nostra compagnia, a noi non è possibile reclamare poiché nessuno ascolta la nostra protesta (siamo prigionieri), in campagna non si trova più niente quindi bisogna campare con la miserissima razione, anche se ogni giorno lavoriamo dalle sei del mattino alle sei o sette di sera e il freddo rende ancora più critica la nostra esistenza, anche oggi che è Natale ci hanno fatto lavorare fino all’una. Cosa ci da un po’ di coraggio è la ritirata che vediamo passare da più di un mese, benché siano i nostri nemici è desolante vedere tanti soldati così malandati: sono stanchi, sporchi, stracciati e affamati come noi che siamo loro prigionieri, si vede che solo la ferrea disciplina e la paura della rappresaglia sono gli unici stimoli che li fanno resistere. Noi speriamo che questa resistenza nei Balcani duri poco, così che ci liberino da questa prigionia che ci ha già fatto vedere l’inferno.

Sarajevo 1 gennaio 1945

Oggi, capodanno, ci hanno fatto lavorare tutto il giorno e come per Natale la razione era più misera degli altri giorni. Per fortuna da quindici giorni non abbiamo più avuto bombardamenti, solo mitragliamenti alle colonne che si ritirano, ma a noi questi non danno fastidio. Il freddo aumenta ogni giorno, per terra ci sono trenta cm di neve, ed ancora continua a cadere. (continua nel prossimo numero)


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DIECI MINUTI CON LA BELLEZZA

SPLENDORI E ROVINE DI UN LUOGO SACRO MA NON TROPPO Abbazia di Padula nel Cilento di Rodolfo Allasia

Spesso gli edifici storici vengono definiti opere d’arte ma nel tempo subiscono radicali trasformazioni tanto da perdere la loro iniziale connotazione e non essere più riconosciuti come l’opera che portava i tratti, l’architettura e lo stile coi quali era sorta. Non sempre questi cambiamenti hanno “migliorato” la primitiva costruzione, nonostante le intenzioni dei finanziatori e il lavoro delle maestranze ingaggiate per i lavori. Seguire queste trasformazioni è come ricostruire i cambiamenti che una persona ha avuto nella sua storia personale; uomo o donna che sia. Anche le persone hanno subìto cambiamenti a seguito delle vicende della loro vita ma non sempre le conoscenze che abbiamo di costoro ci permettono di seguirne il decorso. Ho visitato la Abbazia di Padula nel Cilento e i profondi cambiamenti avvenuti nei secoli in

questa famosissima opera d’arte hanno destato in me un profondo interesse, una curiosità che mi ha inquietato. Sono stato abituato a pensare che è sempre stata la fede a determinare la nascita e i cambiamenti

avvenuti nel tempo in questi illustri monumenti ed invece qui ho dovuto prendere atto che ci sono state ben altre vicende a trasformare un edificio gotico in una costruzione prettamente barocca. Il Conte Sanseverino di Marsico e signore del Vallo di Diano, molto vicino al casato Angioino donò all’ordine religioso Certosino il complesso appena iniziato nel 1306 per ingraziarsi i reali Angioini del Regno di Napoli. La Certosa di San Lorenzo (così chiamata perché sorta sulle rovine (!) della chiesa a lui dedicata molto tempo prima) fu un grande dono fatto a quest’ordine fondato in Francia e quindi molto apprezzato dalla dinastia della corona francese. Già fin dal 1300 (anno in cui sorse l’Abbazia) mi sembra che la fede avesse ben poco a che fare con le cuspidi gotiche (mi immagino) lanciate verso il cielo di questo nascente edificio. Il luogo di costruzione, le alleanze dei prìncipi regnanti, l’economia e le posizioni strategiche dei passaggi delle merci, sembrano, a me, avere molta più rilevanza della fede che pure traspariva dalle opere d’arte che si andavano accumulando a Padula. Sanseverino era proprietario dei fondi su cui sorgeva la certosa, terreni fertili dove i monaci coltivavano frutta, ortaggi, viti, olivi, anche molto oltre il loro sostentamento; in misura molto maggiore per la commercializzazione facilitata dal controllo delle vie di co-

municazione verso i territori sotto Napoli. Per secoli la produzione dei beni all’interno di Padula e la concentrazione della manodopera in quel luogo furono la fortuna della Certosa. Caduti i Sanseverino a causa di una congiura, i loro beni passarono ai monaci che godettero anche dei proventi derivanti dalle tasse pagate al “priore”. Aggiunte alle donazioni dei terreni queste ricchezze fecero, dal 1400 al 1700, del sito di San Lorenzo uno dei luoghi più potenti del regno di Napoli. La ricchezza si traduceva in preziose suppellettili, opere d’arte, di arredo o per semplice esibizione di ricchezza e dimostrazione di potere. I monaci, “padri”, che pure vivevano in preghiera, meditazione e solitudine, provenivano da famiglie ricche e potenti e mantenevano un ricco tenore di vita anche qui, cosa che si rifletteva nei locali da loro abitati nella Certosa e nel giardino che ognuno di loro curava nello spazio retrostante la cella. Con i cambiamenti avvenuti nel ‘500 e ‘600 in barba allo stile gotico iniziale della Certosa l’architettura del complesso assunse lo stile barocco come lo osserviamo oggi, quasi un simbolo, questo, della cultura barocca del tempo. Il profilo artistico si accompagnava a quello commerciale. Questa fu la più grande Certosa a livello nazionale e tra le maggiori dell’Europa. Le ricchezze che Padula aveva accumulato dal XVI fino al XVIII secolo rappresentarono il periodo di massimo splendore del complesso di San Lorenzo. Nel 1500 divenne meta di illustri pellegrinaggi: Carlo V soggiornò con il suo esercito di ritorno dalla battaglia di Tunisi (condotta per fede?). Si racconta che per questa meta di pellegrinaggio furono utilizzate 1000 uova (per una frittatona). Durante l’ascesa napoleonica l’ordine certosino fu soppresso ed i monaci dovettero abbandonare lo stabile che fu destinato a diventare una caserma. Molte opere d’arte furono trasferite al museo reale dei Borboni di Napoli. Quando i certosini rientrarono, a seguito della caduta di Napoleone e il restauro del regno borbonico, i mo-


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13 pito è ben diverso da quello che emerge nelle celle (a volte grotte) di altri monasteri e io, sia pure con spirito laico, mi ritengo molto più sensibile al fascino di questi ultimi. Quando faccio visita ai luoghi

naci ebbero molto meno potere del periodo precedente e nonostante gli sforzi il loro ruolo non ebbe nulla a che fare rispetto ai secoli addietro. Dopo l’Unità d’Italia l’ordine fu di nuovo soppresso ed i monaci abbandonarono per l’ultima volta il complesso. Durante le due guerre mondiali poi, la Certosa fu completamente abbandonata e divenne campo di prigionia e di concentramento! Nel 1957 divenne museo archeologico e solo nel 1981 fu affidata alla soprintendenza dei beni archi-

sacri cerco risposte alle domande che mi sorgono spontanee; ho così capito che anche l’arte sacra non lo è del tutto e che altri interessi, ben lontani dal sacro hanno creato le basi per queste espressioni artistiche.

tettonici di Salerno che iniziarono i primi veri lavori di restauro. In seguito venne anche usata come set cinematografico ma nessuno dei film girati ha un tema sacro o di ambientazioni che ruotassero intorno alla fede dei suoi monaci. Queste informazioni le ho cercate in vacanza presso i luoghi visti e grazie alla curiosità cresciuta anche in questa visita constatando il palese contrasto tra Padula ed eremi dell’Umbria; luoghi quelli che generano una sensazione di ritiro fisico e spirituale. In San Lorenzo lo spirito perce-

Estate al museo della seta di Cristina Fenoglio

Dopo un giugno intenso con i laboratori di gioco-visita e trattura, l’inaugurazione della mostra La via verde della Seta, la sfilata storica, la caccia al gelso e l’adozione sempre più prossima della rotonda SP20, il Museo della Seta si prepara a un’estate un po’ più tranquilla, ma non troppo. Oltre,

infatti, alle consuete aperture domenicali (10/12 – 14,30/17) e a quelle straordinarie su prenotazione, sono in programma alcuni eventi eccezionali all’interno del progetto La via verde della seta, festa fra filande, setifici e archivi, realizzato grazie al contributo del bando Viva di compagnia di S. Paolo. Si comincia il 10 luglio al Filatoio di Caraglio, partner del progetto, con la proiezione cinematografica alle 21 del documentario Bigatis, interessante trasposizione teatrale

di Paolo Patui ed Elio Bartolini sulle storie e il lavoro nelle filande di donne friulane. Il film è stato realizzato dal CSS teatro stabile del Friuli e dalla Rai Friuli Venezia Giulia. Alla proiezione seguirà una degustazione di prodotti locali a cura del ristorante ‘Il nanetto’. Si proseguirà poi il 20 agosto, sempre al Filatoio di Caraglio mentre l’11 settembre alla Soms di Racconigi, con la proiezione del video dell’intero progetto e per chiudere in bellezza con il concerto del cantautore cuneese Muff.


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Marco Cazzato illustra Remarque

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di Rodolfo Allasia

Il 5 giugno scorso al Salone SOMS Serena Fumero e Marco Pautasso hanno presentato il libro edito da Neri Pozza “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque illustrato dal nostro amico, concittadino, Marco Cazzato. Tutta la capienza della sala (ridotta a causa delle restrizioni da COVID) era occupata dal pubblico che durante la presentazione ha mantenuto un rigoroso e rispettoso silenzio e se Marco ha detto che sperava di non aver annoiato gli ascoltatori posso sinceramente assicurarlo che nessuno del pubblico ha provato nemmeno un po’ di questa sensazione. Neppure la spiegazione tecnica del procedimento usato nel realizzare le illustrazioni di questo

capolavoro letterario è stata inutile; non lo dico solo io che potrei avere interessi di colleganza ma perché ho sentito altre persone che potevano non avere interessi specifici ma che sono restati attentissimi anche in quella parentesi. La proiezione delle illustrazioni disegnate da Marco ha accompagnato la presentazione per un lungo intervallo ed ha ulteriormente inchiodato il pubblico alle poltrone; il colore scelto nella stampa per creare le atmosfere di una folle guerra (vissuta dai giovani protagonisti cui Remarque dà vita nel suo splendido romanzo) è un tono che si accompagna in modo perfetto a quelle tragedie e alle emozioni vissute dai personaggi. Non è la prima volta che queste

tonalità fanno parte della tavolozza di Marco, è una delle tonalità del passato ma di un tempo vivo e terribilmente attuale; ci sono molti toni di colore per rappresentare il passato ma questi danno alle illustrazioni un che di surreale, fuori dal tempo. Sono ormai anni che Cazzato è passato da disegni “fumettistici” a immagini più realistiche ma lui non vuole abbracciate un realismo tout court, vuole staccarsi da temi che con la realtà entrano in gara, lui la realtà la semplifica e mescola fra di loro frammenti reali ma in una composizione assurda, senza una logica concreta, obbligando così l’osservatore a riflettere e porsi interrogativi profondi: in quale mondo siamo collocati? L’ho detto altre volte che la rappresentazione della figura umana scarna di particolari, spesso con ombre nette rende le figure molto più significative di altre disegnate con maggior numero di tratti che rendono la costruzione molto più accademica ed impersonale Le illustrazioni del “fronte occidentale” puntano l’attenzione sui vissuti dei personaggi, sulle loro emozioni, sulle fragilità, su vite lontane dalle battaglie ma presenti nei loro ricordi. Spesso sono solamente particolari evocativi. Nonostante la tecnica digitale

utilizzata per queste illustrazioni, Marco ha seguito il procedimento che da anni ormai regge i suoi disegni ovvero partire da un fondo nero e piano piano tirare fuori le luci necessarie per mettere in rilievo le figure di paesaggi, persone oggetti; se nella sua precedente produzione il nero di fondo è una carta goffrata che permette al pennello o alle matite di creare effetti di chiaro scuro che sono essi stessi la bellezza del disegno ora questo stesso procedimento lo si può ottenere con gli strumenti dell’informatica sullo schermo del portatile elettronico ed una buona applicazione grafica ma so che Marco preferisce ancora sempre la


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tecnica dell’artigiano ed io so che gli si confà maggiormente; dipingere con un vero pennello, mescolare veri colori, annacquati con acqua vera lo fa sentire più medievale e questi strumenti non lo assoggettano ad una tecnologia che dopo lungo tempo potrebbe far entrare in un mondo che, io so, non è completamente di Marco. Quella sera ho apprezzato anche il ringraziamento rivolto pubblicamente ai suoi genitori che gli hanno permesso di coltivare la propria passione che lo ha portato ad esprimere il suo sentire sotto forma di immagini. Io sono fiero di essergli amico e del percorso che caparbiamente lo ha portato ad essere ormai un artista riconosciuto ad un livello più che onorevole. Speriamo di poter ancora seguire le prossime opere di Marco Cazzato sia come illustratore che come pittore.

Lib

Libri di Valeria Buscatti

Entrato nella dozzina finalista del premio Strega 2021, il lavoro di Venturini colpisce per la capacità di fondere perfettamente insieme la comicità alla tragedia, i sogni, le aspirazioni anche elevate alla miserrima vita reale. Scrittura scorrevole, potente e visiva, oserei dire anche “olfattiva”, tanto l’autore è bravo nel farci percepire gli odori, anzi le puzze, che aleggiano sulla vita dei protagonisti di questa favola triste, amici (veri, come una famiglia) di tutta una sgangherata vita. Vita che, travolgente e inarresta-

Cin

Cinema UNA DONNA PROMETTENTE di Cecilia Siccardi

Cassie ha 30 anni, lavora in un bar e vive con i suoi genitori. Un tempo era considerata una

bile, attraversa Marco, un ragazzo tossicodipendente e sua madre, Alfreda, accumulatrice seriale, mai ripresasi dalla morte in mare dell’amato marito Mario, donna aggredita dall’obesità e da una incipiente demenza senile che la porta ad interpretare come reale l’incontro notturno con Sandra Mondaini (che la donna ha realmente conosciuto anni prima, abitando in uno dei villini del cosiddetto “villaggio Tognazzi” a Torvaianica). Sandra le appare triste, dispiaciuta che l’adorato marito Raimondo non riposi accanto a lei nella tomba. Alfreda si fa carico della sofferenza di Sandra e chiede aiuto al figlio che, con gli amici Er Donna (un bellissimo trans) e Carlo (un pescatore con grandi capacità fisiche), parte per un’avventura tragicomica, quella di trafugare le spoglie mortali di Raimondo Vianello dal cimitero del Verano, per ricongiungerle a quelle di Sandra Mondaini, che riposa al cimitero di Lambrate. “A forza di farsi scivolare le cose addosso, ad Alfreda si era impermeabilizzata l’anima. Però quella notte dell’anno in cui a Roma fu

due volte Natale le formicolarono le emozioni, allora infilò una mano in un guanto irrigidito dal tempo e prese un paio di ciocchi di legno, li gettò nel braciere arrugginito che teneva in veranda e accese il fuoco”. L’anno in cui fu due volte Natale a Roma fu quello in cui una nevicata inaspettata a febbraio ricoprì la capitale di un soffice manto bianco, ricreando l’atmosfera del Natale, anche se Natale non era. Allo stesso modo, Venturini utilizza i suoi personaggi, straordinariamente delineati, e con loro le storie di ciascuno, le loro gioie e i loro dolori, per proporre la tesi che, se si è capaci di mettere da parte la nostalgia, nei ricordi è spesso possibile trovare una positività da far riemergere, da tornare a far vivere, in modo tale da poter

studentessa di medicina brillante e una giovane donna promettente, ma un evento tragico ha fatto deragliare la sua vita: ha abbandonato gli studi e si è chiusa in se stessa, senza amici né legami al di fuori dei genitori e del suo capo. Trovare giustizia per il torto subito non è stato possibile, e così Cassie porta avanti una sua personale vendetta contro gli uomini. Quando nella sua vita entra Ryan, un ex compagno di corso, la situazione sembra migliorare; ma quanto può davvero fidarsi di lui? Promising Young Woman è un film del 2020, debutto alla regia di Emerald Fennell. Candidato a diversi premi Oscar, si è ag-

giudicato la statuetta per la Migliore Sceneggiatura Originale. Proprio i dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi sono infatti un grande punto di forza di questo film, incentrato sulla figura della sua protagonista, oscura ma capace di dolcezza, ambigua ma con un profondo senso della giustizia. Cassandra è interpretata da Carey Mulligan, che per il suo lavoro ha ricevuto unanime plauso da parte della critica. Promising Young Woman è un film coinvolgente, che intrattiene e fa discutere; ogni spettatore uscirà dalla sala con un’idea diversa sul controverso finale. Da vedere.

Roberto Venturini “L’anno che a Roma fu due volte Natale” 2021, pp.192, € 17,00 Edizioni Sem

affrontare la realtà senza perdere l’equilibrio (o a riconquistarlo in un tempo non troppo lungo, se lo si fosse comunque perso). Lettura consigliata ad un lettore che non teme di ricevere da una storia schiaffi in volto. Il libro è disponibile al prestito presso la biblioteca civica di Racconigi.


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Musica BLACKMORE’S NIGHT “Nature Light“ di Roberto Magri

L’ex Deep Purple Ritchie Blackmore con i suoi “Blackmores Night“, nel mese di marzo di quest’anno ha pubblicato l’undicesimo album in studio, dieci tracce di musica medievale/folk,

tra cui due brani strumentali ed una cover. Il titolo di questo nuovo lavoro è un inno alla natura confezionato a regola d’arte. I precedenti lavori della band si sono alternati tra alti e bassi, raggiungendo l’apice con “Secret Voyage” nel 2008. Il primo brano “Once upon december“ apre questo nuovo lavoro, ed è una ballata piena di elementi folkloristici. Anche se il rock latita ancora, in “Four winds“ il marchio di fabbrica comincia piano piano a farsi sentire e si entra nell’ottica medievale. “Father in the wins“ molto azzeccata, una classica hit, percussioni onnipresenti con l’accompagnamento del clavicembalo, ma quello che lascia incantati è il ritorno del ritmo cadenzato. “Darker shade of black“ brano strumentale con basso e note di organo in cui subentra il violino seguito dalla chitarra di Blackmore che dialoga con il clavicem-

balo per arrivare ad un assolo da brividi. In “Twisted oak“ i Blackmore’s Night con poche note riescono a comporre un brano con un ritornello orecchiabile, dove la voce di Candice Night si conferma dolce e coinvolgente. “Nature Light“ canzone che dà il titolo al disco, è una marcia medievale dove si svela il lato più ambizioso e solare del gruppo. “Der letzte musketier“ è il secondo ed ultimo brano strumentale inserito in questo lavoro, dove l’inizio ci regala un assolo con l’organo Hammond per poi sfociare in un blues tutto d’ascoltare. “Wish you were here“ cover di un brano dei Rednex, già proposta in “ Shadow of the moon “ nel 1997, ora suonata in una versione più rifinita. Con “Going to the faire“ si torna al suono medievale; “Second element” una ballad con accordi semiacustici di Blackmore, in cui poi si cimenta in un altro assolo

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di chitarra elettrica come solo lui sa fare, degna conclusione di questo ultimo lavoro. Come ha dichiarato la cantante Candice Night: “La musica dei Blackmore’s Night è una fuga dallo stress e dalla pressione dei tempi moderni”. In conclusione un bel CD senza tempo, nel suo suono molto armonioso e fresco che si può ascoltare ancora e ancora.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Roberto Magri, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Ci siamo chiesti se era possibile capirne di più e abbiamo cominciato a parlarne con due consiglieri di opposizione (Patrizia Gorgo e Caterina Bergia) e un tecnico (Ing. Paolo Lampertico), che ci hanno illustrato le ragioni che li portano a contestare “questo” progetto di pista ciclabile, sostenendole con una puntuale documentazione. Contiamo di trovare la stessa disponibilità a parlare da parte di chi “questo” progetto difende e di poterne dare conto nel prossimo numero di Insonnia. La prima considerazione che ci viene a fronte di questa conversazione è che siamo di fronte a una cosa complicata, con una storia lunga e ingarbugliata. Poiché non possiamo narcotizzare l’innocente lettore ricostruendone tutti i passaggi come sarebbe necessario, proviamo a distillare le questioni fondamentali. Lo facciamo con due articoli che sintetizzano le critiche di merito e quelle di metodo. Qualcuno dirà: eccoli qua, quelli che quando c’è

da parlare stanno zitti e quando, a cose (quasi) fatte, si svegliano invece di stare zitti parlano. Beh… i critici hanno qualche ragione. Siamo Insonni, ma non sempre svegli, e ci assumiamo la nostra parte di responsabilità. Ma non vogliamo fare i grilli parlanti. Noi siamo stati zitti, ma altri hanno fatto sentire la loro voce… però, ci dicono, inutilmente. E qui ci troviamo di fronte a una questione non marginale, se è vero che tutte le parti politiche ne fanno periodicamente un fulcro delle rispettive polemiche e delle ricorrenti campagne elettorali, a parti curiosamente intercambiabili. Quando si sta all’opposizione si chiede alla amministrazione di turno di prestare maggiore attenzione alle voci dei cittadini, quando si sta nel palazzo le istanze partecipative sembrano meno urgenti. Partecipazione: una bandiera o una chimera?

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