INSONNIA_NOVEMBRE_DICEMBRE2021

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insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 134 Novembre - Dicembre 2021 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Lettera aperta del direttore a cura del direttore

Insonnia si prende una pausa. O meglio, dà l'arrivederci ai suoi lettori. E vorrei approfittare di questo ultimo numero, e in particolare di questo spazio a mia disposizione, per scrivere una lettera aperta. Una lettera che lasci aperto il dialogo con i nostri lettori: perché, nell'interrompere le pubblicazioni, non vogliamo chiudere la porta a chi avesse ancora voglia di salutarci o di proseguire il dialogo in altre forme e modi. Visto che sono in vena di correzioni, vorrei approfittarne per ribadire da subito e con forza che questo giornale non può essere considerato in nessun modo "mio", che pure ne sono l'inadeguato direttore, ma che Insonnia appartiene all'incredibile gruppo di lavoro che l'ha animato con sapienza, pazienza, dedizione e giusto spirito critico, nonché alla calorosa comunità che ha collaborato con un contributo, o con articoli, rubriche, o anche solo con la propria vicinanza. Perché se c'è una cosa che Insonnia ha saputo coltivare è il senso di comunità, e la volontà di raccontare Racconigi e il Racconigese con gli occhi intelligenti di chi vive il territorio con conoscenza e, allo stesso tempo, senza eccessivo compiacimento. Con uno spirito "glocal", insomma: locale ma non per questo campanilista, ma anzi proiettato sui temi dell'attualità globale. Sì, globale. Può sembrare un'esagerazione, ma non lo è.

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Nuovo fermento progettuale in città

VIA DEL MAIRA

Idee e iniziative che aprono ad un futuro che è già qui

a cura di Giancarlo Meinardi

UN TESTIMONE DA PASSARE E DA RACCOGLIERE

Alla scoperta del Maira dalla sorgente alla confluenza nel Po (o viceversa)

di Giuseppe Tebano

La redazione di INSONNIA

Tutti i granelli di sabbia se agglomerati con la giusta pasta diventano mattoni, tanti di loro insieme una casa, un condominio, una città.

Certo non è facile, ma sognare nuovi percorsi e progetti riduce di molto l’invecchiamento percepito;

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Sulla cima del Cervino Incontro con un alpinista racconigese

Il Maira è il nostro fiume, passa da Racconigi poco prima di confluire nel Po (nei pressi di Lombriasco) dopo aver percorso circa 110 chilometri dalla sorgente in alta valle Maira (a monte di Saretto). Molti ne avranno percorse le sponde per tratti più o meno lunghi. Questa estate ho tracciato l’intero percorso nei due sensi, cercando di mantenermi il più possibile vicino al corso del fiume ed evitando le strade principali troppo trafficate. Ne è nato un itinerario che dalla sorgente si sviluppa per una lunghezza di circa 105 km., 1.550 metri in discesa e 300 in salita, se si segue senza varianti; circa 125 km, 2.850 in discesa e 1.450 in salita, se si scelgono alcune varianti più impegnative. Naturalmente può essere seguito all’inverso, dalla foce alla sorgente, con impegno ovviamente assai maggiore. Ma ognuno può scegliere di percorrerne i tratti che preferisce, secondo i propri interessi, la preparazione e il tempo a disposizione, combinando a piacere le diverse possibilità. L’itinerario può essere interamente percorso in mountain bike o a piedi, ma per larga parte è percorribile anche con una gravel / city bike e simili o a cavallo.

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a cura di Giancarlo Meinardi

Incontro Ezio Camisassa, alpinista, amico e compagno di tante avventure, dopo la sua recente ascensione al Cervino. Istruttore nazionale di sci alpinismo del CAI Direttore della Scuola Alpi Ovest, scuola intersezionale di alpinismo sci alpinismo e arrampicata su ghiaccio, costituita dalle sezioni di Alba, Bra, Carmagnola, Fossano, Racconigi, Savigliano (72 istruttori).

segue pag. 7

DIARIO DI PRIGIONIA pag. 8

La via di Casa

Safet Zec

VIA SACRA DEL MAIRA

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pag. 11

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Conosci Racconigi? a cura di Guido Piovano

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È tempo di dormire di Luciano Fico

Racconigi non è solo parcheggi, bianchi o blu che siano, anzi. Questa rubrica vuole essere per il lettore un invito a guardarsi intorno nel nostro Centro Storico, alla ricerca di siti e particolari architettonici che nel quotidiano rischiamo di non vedere e che sono invece parte della nostra storia e del nostro quotidiano. Eccoci alla sesta immagine. In quale quartiere storico di Racconigi e su quale muro si trova la placca in muratura, 2 x 1,25 metri, qui riprodotta? Nel seguito, la soluzione.

Nell’aria galleggia, sospeso, il silenzio della notte: è un silenzio particolare, che Enrico conosce bene, che Enrico ama. L’unica ricompensa vera per gli insonni è poter gustare quel silenzio, che ti fa sentire distanziato dal mondo durante le ore più profonde e buie. Da quella distanza, da quella dimensione rarefatta e sicura, è più facile vedere i fantasmi che animano il nostro mondo. Enrico lo ha sempre pensato che la vita vera stia dietro alle apparenze quotidiane, che la storia delle persone sia nascosta, che anche gli oggetti abbiano una vita segreta. Per lui, la ricerca più appassionante è guidata dalla fantasia e dall’immaginazione, per non doversi accontentare di una realtà piatta e spiegata. Sono ormai tante, tantissime, le notti trascorse ad immaginarsi vite altrui, a costruire scenari e storie con la fantasia. Talvolta si è pure divertito ad immaginare sé stesso in terza persona. È bastato ogni volta uno spunto, un’immagine, un’atmosfera, a volte anche un solo sguardo, per riempire le pagine bianche di vite possibili. Stanotte gli è venuto sonno. Per la prima volta, da anni a questa parte, sente le palpebre farsi pesanti e comincia a vedere i sogni: è tempo di andare a dormire. Spenta la luce, uscito Enrico dalla stanza, al silenzio di prima si unisce il buio. Ora possiamo osservare tenui figure, appena appena luminose, che escono dal computer dove Enrico conserva i suoi scritti. Dapprima esitanti, poi sempre più decise, cominciano a muoversi autonomamente e si

L’abbaino Nel numero scorso vi avevamo chiesto dove si trovasse un certo abbaino molto particolare. Ebbene lo potete trovare al n. 21 della centralissima via Levis in fondo ad un piccolo vicolo che si apre sulla sinistra (spalle alla piazza degli uomini). Ci sono molteplici abbaini che caratterizzano il centro storico di Racconigi.

In questo numero, vi abbiamo mostrato una placca in muratura la cui scritta in italiano reciterebbe “UFFICIO COMUNALE DI CONCESSIONE”. Essa si trova in fondo al Borgo Macra all’angolo con la via Stramiano, immediatamente prima della chiesa della Madonna delle Grazie.

La placca

incontrano e si parlano e si riconoscono. Ben presto la stanza è colma di quelle strane presenze. Un anziano supereroe comincia subito a volare e cerca una via di uscita per non tornare nella sua triste stanza dell’ospizio. Sul divano siede con grazia una prostituta di colore e si fuma una sigaretta al caldo. Uomini e donne si intrecciano e si scrutano, senza mai riuscire a fermarsi in un abbraccio. Sul pavimento si muove silenzioso un robottino tosa erba e su di lui sta seduto un magnifico gatto grigio. Molti personaggi portano fuori la loro vena di pazzia, altri coltivano la loro malinconia. Ci sono poi improbabili trattative per la vendita di un Anno nuovo, i tentativi maldestri di un Diavolo fuori dal tempo e pure futuri abitanti di un mondo dove la Democrazia è un Luna Park ed il partner viene selezionato on line. Ci sono vecchie madri che muoiono e gioventù ebbre di futuro, che danno inizio a nuove vite. Seduti al tavolo si dividono una torta lui, lei e la nuova amica di lei, tremebondi esploratori di una sessualità che non sa più stare nei soliti confini. La stanza è piena all’inverosimile e, dalla memoria del PC, continuano ad uscire figure sempre nuove. Finalmente è l’anziano svolazzante che trova una finestra e la apre per puntare al cielo terso e ricco di stelle. Da quella stessa finestra cominciano ad uscire tutti gli altri: chi in solitaria, chi in coppia e chi in gruppetti. Tornano a vivere nascosti tra le pieghe delle nostre vite, ma ora noi lo sappiamo che loro ci sono: basterà una notte insonne ed un po' di curiosa immaginazione per incontrarli ancora…


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Nuovo fermento progettuale in città

UN TESTIMONE DA PASSARE E DA RACCOGLIERE

Idee e iniziative che aprono ad un futuro che è già qui segue dalla prima

se poi i sogni li fanno più persone contemporaneamente, qualcuno dice che sta già iniziando una nuova realtà. Di cosa stiamo parlando? Potendo spaziare dal locale, la nostra città, al nazionale fino a spingerci al globale, vogliamo passare il testimone, sicuramente qualcuno lo afferrerà per portarlo più in là, dove noi non potremmo farcela ad arrivare. Nella nostra città, parlando di staffetta, ne sta avvenendo una che ha i numeri per andare lontano. La Cooperativa di Consumo Neuro si è trasformata, dopo aver ceduto il ramo d’azienda della vendita al dettaglio e aver garantito nel passaggio al nuovo gestore tutti i posti di lavoro, in Cooperativa di Comunità Nuova Neuro Impresa Sociale. Una quindicina di giovani under 30, ai quali già se ne sono aggiunti altri che intendono offrire il proprio contributo progettuale, stanno muovendo i primi passi per raccogliere il testimone e offrire alla comunità attività e servizi che possano rivitalizzare il tessuto culturale, turistico, sociale e di aggregazione giovanile con la creazione di nuove attività e conseguente creazione di posti di lavoro stabili. La collaborazione con altre associazioni, imprese ed enti del territorio potrà svilupparsi in modo sinergico e con il fine ultimo di innalzare la qualità della vita nel nostro territorio. Anche la nostra testata, Insonnia, che per 13 anni ha svolto una funzione di stimolo alla discussione su tematiche sia locali che nazionali, sarà solo sospesa in attesa di trovare lo staffettista che potrà raccogliere il testimone e portarlo avanti nel tempo. Pensiamo che uno spazio in formato cartaceo o in formato on-line possa rivelarsi determinante al fine di mantenere vivo il confronto nella comunità locale e promuovere iniziative. Dal locale al nazionale: i passi fatti nel settore “energie rinnovabili” da una piccola cooperativa, Retenergie, nata nel 2008 e dal 2018 fusa con la

cooperativa ènostra che ha svolto la propria attività per molti anni a Racconigi, sono oramai riconosciuti a livello nazionale. Dal 9 ottobre una pala eolica che fornisce energia a circa 900 famiglie è stata realizzata a Gubbio con l’apporto finanziario di 600 soci; si tratta del primo impianto eolico collettivo in Italia. È stato emozionante rappresentare ènostra alla 17ma edizione del premio AICA che ci ha visti vincitori nella categoria "Innovazione nella Comunicazione" per l'attività comunicativa relativa alla realizzazione della Pala Eolica del Cerrone a Gubbio e per la trasmissione condotta da Gianluca Ruggeri "Il Giusto Clima" su Radio Popolare. Beppe Rovera, giornalista di Raitre, noto per la trasmissione Ambiente Italia, ha condotto ed intervistato tutti i finalisti, molti internazionali, approfondendo i temi e consegnando i premi. Premi certamente in tema con il tempo che stiamo vivendo: un albero da mettere a dimora in un giardino. Molti racconigesi sono stati tra i promotori di questa impresa, un sogno nel 2008, e ora consumano energia rinnovabile fornita da ènostra insieme a oltre 8000 soci in tutta Italia. Del tema energia presto si parlerà, anche da noi, delle Comunità Energetiche che verranno realizzate sul nostro territorio. La gestione è prettamente all’insegna dell’innovazione tecnologica e socio-economica garantendo, con la condivisione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, un significativo risparmio sulla bolletta dell’energia; i territori con i loro cittadini e le loro imprese diventeranno i protagonisti di un nuovo sistema elettrico decarbonizzato, decentrato e democratico che porterà benefici ambientali, economici e sociali. Se poi vogliamo volare più in alto troveremo impegnati, tra non molti anni, numerosi giovani,oggi protagonisti delle manifestazioni per i clima e per gli obbiettivi di contenimento della temperatura globale

e di riduzione della CO2, in imprese e amministrazioni locali o nazionali che avendo preso coscienza in giovane età delle problematiche ambientali e di sostenibilità, sapranno interpretare il ruolo di cambiamento che il pianeta si attende per continuare a darci ospitalità. La politica sarà necessariamente trasversale a queste tematiche, lo vediamo già oggi: non c’è destra o sinistra che sia esclusiva protagonista nelle proposte in tema di sostenibilità ambientale ma ci sono persone, all’interno di più schieramenti, che esprimono questi propositi e si adoperano per realizzare progetti in campo ambientale e di maggior vivibilità delle nostre comunità. Siamo noi cittadini i protagonisti di questa fase storica e abbiamo il dovere di suggerire ai nostri amministratori, a tutti i livelli, i progetti che necessariamente dovranno accompagnarci in futuro. I giovani saranno il perno di queste attenzioni e i costruttori di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, noi che passiamo il testimone dobbiamo solo scusarci di aver abusato oltre misura delle risorse del pianeta ed ascoltare, da subito, le giuste rivendicazioni ed i suggerimenti che le giovani generazioni sono già in grado di esprimere. È nostro dovere ascoltarle!!

Sport-Salute-Benessere. Insieme a corpi liberi

2X

di Federico Bronzin

Penso riuscirò mai a stare dietro al mondo. Sono anni che esistono innovazioni, eppure io me ne accorgo solo adesso. Vi faccio un esempio: ho da poco scoperto che, aprendo un audio-messaggio su whatsapp, sulla destra c'è un numero seguito da un X. Il numero può essere 1, 1,5, o 2, questo a seconda della velocità con cui si vuole sentire il messaggio. Lo sapevate già tutti? Ecco, lo sapevo che ero io l'unico 'strullo', per dirlo alla toscana. Al di là del divertimento nell'ascoltare le voci degli amici che diventano comiche, pensate alla geniale idea che ci permette di ascoltare i messaggi più velocemente: l'evoluzione passa dalle lettere portate a cavallo, transitando per i telegrammi, per arrivare ai cellulari e ai messaggi non più da leggere ma

solo da ascoltare, in più velocizzati. Per me è fantascienza. Si elaborano milioni di pensieri al secondo, si apprende tutto quello che c'è da sapere in pochissimo tempo. Si apprende, poi si accantona, poiché troppe nozioni fagocitano in cervelli ormai saturi. In questo modo si perde la creatività, il senso critico, tutto ciò si ripercuote negativamente sulla cultura e su noi stessi. Sulla cultura, perché passa la voglia di fare cultura, su noi stessi, perché un cervello che gira a mille non ha la sensibilità per ascoltare un corpo che, per sua natura, ha spesso bisogno di rallentare. Un piccolo giornale locale chiude i battenti perché le nuove generazioni vanno troppo veloci per badare a cose da vecchi, tanto ormai tutti possono far sapere in un istante a

più persone che tryfhrjrguirnrh. Non avete capito l'ultima parola? Probabilmente l'ho detta troppo velocemente, chiedo venia.


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INSONNIA

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HANNO SCRITTO DI NOI Francesca Galante, Racconigi 4 ottobre

Ho letto l'editoriale… ma quindi è davvero l'ultimo numero? Resterà un grande vuoto a Racconigi, per me, da quando sono a Racconigi Insonnia è sempre stato un grande orgoglio, mi dispiace davvero tanto! Ma capisco le difficoltà e spero tanto che qualcuno prenderà il testimone! Grazie comunque per averlo fatto esistere e avermi fatto fare un pezzo di strada insieme!

Valter Primo, Torino 7 ottobre

È con rammarico che ricevo la notizia ufficiale di quanto già mi aveva detto Franco: sarà per me il venir meno di un'occasione di informazione e commento che, pur se da poco ho avuto occasione di incontrare, son riuscito ad apprezzarla da molti punti di vista. Me ne rammarico, pur voglio esprimere a te e alla redazione i miei complimenti per la qualità del prodotto che avete animato. Siete stati un segno importante...

Michela Dellavalle, Racconigi, su questo stesso numero Il fatto di scrivere su Insonnia mi ha molto aiutato per-

ché quando ti sfoghi o ti esprimi riesci anche a cambiare il tuo stile di vita. A me è successo proprio così […].Quando mi accade di trovarmi di fronte a certe incomprensioni, ho imparato a rispondere, a volte ri-

spondo, cosa che non riuscivo a fare prima […] ora sì, grazie a Insonnia. Allora sono qui per ringraziare e spero che chi ha creato questo giornale possa trovare altri mezzi per esprimersi e per dare visibilità alle nostre problematiche, alle nostre ansie. Noi siamo soggetti particolari, tutti i momenti abbiamo bisogno dell’appoggio di tutti.

Dopo 13 anni e 131 numeri distribuiti gratis “Insonnia va in stand-by” da Il Saviglianese, 20 ottobre, pagine di Racconigi

“Quando una testata giornalistica chiude, il mondo è un po' più povero. E questo vale soprattutto per dei giornali come “Insonnia”, che portavano avanti delle idee, che potevano essere condivise o meno, ma facevano comunque sempre riflettere i lettori. Tenevano svegli, insomma. Per questo ci auguriamo, ed auguriamo gli amici redattori, che qualcuno lo raccolga questo testimone, e prosegua il lavoro con rinnovato entusiasmo”.

Insonnia pronto a passare il testimone da Corriere di Savigliano, 10 novembre, pagine di Racconigi

Il mensile, non di cronaca ma di confronto e ironia, nato per dare libero sfogo a idee e riflessioni, fa appello ai giovani. Dopo 13 anni, 135 numeri di 16 pagine (all'inizio

erano 8), tra le 1800 e le 2000 stampe in un mese, alcuni speciali, 2 piccole pubblicazioni, molte rubriche, battaglie condotte con la parola, il pensiero e tanti collaboratori, oggi anche insonnia entra in stand-by, in attesa che qualcuno raccolga il testimone …

Federico Bronzin, Racconigi, su questo stesso numero

Un piccolo giornale locale chiude i battenti perché le nuove generazioni vanno troppo veloci per badare a cose da vecchi, tanto ormai tutti possono far sapere in un istante a più persone che tryfhrjrguirnrh. Non avete capito l'ultima parola? Probabilmente l'ho detta troppo velocemente, chiedo venia.

25 novembre giornata mondiale contro la violenza sulle donne

L’Amore è Altro di Cristina Ferrero

In occasione della giornata del 25 novembre presso la Soms alle 21 è andato in scena lo spettacolo di musica e letture L’Amore è Altro. L’evento, sulle donne e per le donne - ma non soltanto -, ha visto diverse associazioni coinvolte del territorio racconigese: Museo della Seta, Mai + Sole, Progetto Cantoregi, Tocca a noi, oltre al patrocinio del Comune di Racconigi e al sostegno della Banca di credito cooperativo di Cherasco e con la partecipazione straordinaria dell’istituto superiore Arimondi-Eula. L’accompagnamento musicale è stato a cura del cantautore siciliano Francesco Riotta con brani di musica ‘meticcia’, frutto di ampie commistioni di suoni dall’Africa all’Europa, tratti dal suo ultimo album Progetto locale. Ma il cuore nevralgico della serata è stata l’intervista a Federica Giannini alternata alla lettura dei brani tratti dal suo libro Appunti di vita e di Cielo. L’autrice, che di professione fa l’astrologa, è prima di tutto una donna che parla alle donne. Una donna che ha vissuto in primo piano certe esperienze di violenza e che, con molta sensibilità, ma anche grande forza, ironia e senso di rivalsa è riuscita a trasporre questo suo dolore per iscritto e, a un certo punto, come un palloncino che all’improvviso si libra leggero nell’aria, è riuscita a trasformarlo in qualcosa d’altro. E a proposito d’altro, nonché al titolo stesso dello spettacolo, come durante la serata Federica ha più volte rimarcato, l’amore è raro e per diventare altro dovrebbe essere una scelta e non un bisogno quotidiano. Perché una relazione sana ha bisogno di fiorire e, proprio come una ricetta di cucina, ha bisogno di tutta una serie di ingredienti che si amalgamino alla perfezione fra di loro: rispetto, stima, supporto, fiducia, libertà reciproca e così via. Nulla dovrebbe più avere a che fare con la costrizione, la dipendenza, la sottomissione e la prevaricazione. Come ha scritto e dichiarato Federica Giannini,

l’amore è una cosa semplice. E, aggiungiamo noi, quando c’è, te ne accorgi… Del resto la serata è stata pensata proprio in occasione del 25 novembre perché dal 1999 l’ONU ha istituito questa data come giornata mondiale per l’eliminazione contro la violenza sulle donne in onore alle tre sorelle Mirabal, soprannominate le tre farfalle, che a Santo Domingo furono brutalmente assassinate dal dittatore Trujillo per la loro dissidenza al regime. Durante la serata, inoltre, sui baveri o sui maglioni degli uomini presenti in sala, spiccavano delle spille bianche, per ricordare la campagna del “Fiocco bianco”, voluta nel 1991 da un gruppo di politici canadesi a seguito di un massacro di 14 donne avvenuto due anni prima a Montreal. Il loro intento era quello di manifestare la loro opposizione alla violenza contro le donne. Un tema molto dibattuto,

questo della violenza, ma purtroppo sempre estremamente attuale. Basti un cenno breve alla condizione attuale delle donne in Afghanistan, al ritorno dei talebani e del fondamentalismo più oscuro… Perché la violenza - psicologica, fisica ed economica - degli uomini sulle donne è una triste pratica che si tramanda, almeno da qualche millennio a questa parte. D’altronde la discriminante femminile è vecchia quanto il mondo, quanto la stessa storia. Ma è proprio lì, al centro della storia, che vogliamo riportare le donne. Storia che, senza di loro, non sarebbe possibile. Perché è lì, da loro, dalle donne, dal loro ventre, che nasce la vita e, quindi, nasce la storia. Storia che però troppo spesso è stata inclemente nei loro confronti e lo è tanto più negli atti di quotidiana violenza e prevaricazione. In Italia, le donne hanno conquistato il diritto di voto nel 1946. 50 anni dopo, nel 1996, abbiamo ottenuto a livello legale che lo stupro fosse riconosciuto non più solo come un reato contro la morale, ma anche contro la persona. Come se fino ad allora la donna non fosse degna di essere considerata una persona, con diritti e doveri al pari di un uomo. Come se tutto fosse lecito, in quanto ‘esseri di serie B’, ‘figlie di un dio minore’. Questo però non significa che le donne, con pari diritti, debbano diventare uguali agli uomini. Anzi, il goal principale è rimanere sempre se stesse. Perché il cambiamento può solo partire da donne e uomini insieme. Le differenze vanno riconosciute, accettate, valorizzate e onorate. L’unica cifra comune, lungo il cammino della via dell’emancipazione, che per fortuna abbiamo iniziato a percorrere, anche grazie alle tantissime donne che lottando fuori e dentro casa ci hanno precedute, è il rispetto. Rispetto per noi stessi, per la vita e per tutti quelli con cui, uomini o donne, ci è dato di camminare fianco a fianco. E rispettando noi stessi e noi stesse, anche gli altri ci rispetteranno.


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Io mi sono sempre vista all'impiedi

“A cosa ti serve? Tu che te ne fai?”

Con questo scritto Michela saluta i lettori di Insonnia e ringrazia di Michela Dellavalle

Questo articolo si basa sul fatto che un disabile a volte, non dico che venga messo da parte, ma che non sia considerato come dovrebbe, ovviamente non da tutti, ma da qualcuno sì. Scrivo dunque per far comprendere questa mia difficoltà che nell'ultimo periodo avverto in modo più forte di qualche tempo addietro. Farò un solo esempio, con una premessa importante per dire che non mi riferirò né alla nonna Ermelinda né a papà, perché lui è un uomo esemplare che mi dà tutto, che non chiede né il perché, né il per come. Quando voglio fare qualcosa, quando mi voglio comprare qualcosa e succede che qualcuno che mi conosce bene mi chieda “A cosa ti serve?”, intendendo che nelle mie condizioni non me ne faccio niente… a me quella domanda fa tanto male, perché il fatto è che io ho gli occhi per vedere, come tutti, ho le stesse attese, le stesse voglie di tutti. Io, grazie a papà, grazie al suo aiuto, mi sono sempre vista all'impiedi.

Allora mi sono chiesta: chi fa questa domanda, quale piacere può avere dopo che ha detto “A cosa ti serve?”, o “Cosa te ne fai, tu?”. Quale piacere può provare nel ferire una persona, cosa può ottenerne? È possibile semplicemente che non se ne renda conto! I miei deficit io li riconosco, li conosco e li amo. Però mi piacerebbe che la gente fosse un po' più delicata nei nostri confronti e allora scrivo questo anche per vedere se è possibile che d’ora in avanti di tutto ciò venga tenuto conto, non solo per me, per tutti quelli nella mia situazione. Perché non sempre vivi come vorresti, spesso invece vivi solo come puoi. Io sono questa. A chi sono piaciuta, sono piaciuta. Ad esempio, ai lettori di Insonnia sono piaciuta tanto e sono grata per questa opportunità che mi è stata data, per il fatto che ho potuto esprimere i pensieri miei per quello che erano. Di questo ringrazio tutti, lo volevo dire, ringrazio tutti quelli che mi hanno dato l'opportunità di portare

Museo della seta news Premiazione e concerto al museo della seta Domenica 12 dicembre ore 15:00

Domenica 12 dicembre alle 15, presso il Museo della Seta, si terrà la mostra delle foto scattate all’interno della Photomarathon, sfida fotografica itinerante, tenutasi lo scorso giugno a Racconigi e organizzata dal Tocca a noi. Questi i temi trattati: • Racconigi: una storia di seta; • Social addicted; • Racconigi nascosta; • Al calar della sera; • Libertà e restrizioni; • Vizi. In concomitanza alla mostra, avverrà la premiazione con le seguenti modalità: due vincitori assoluti per la categoria reflex e uno per la categoria smartphone più un vincitore del tema social addicted, decretato dal pubblico votante sui social. I primi due vincitori riceveranno un premio a testa, mentre quello per i social addicted consisterà in un buono sponsorizzato dall’esercizio commerciale raffigurato nella fotografia vincitrice (gelateria Dolomiti). Alle 17, presso la chiesa di San Domenico, seguirà il concerto della Corale Le Verne, guidato dalla direttrice Paola Bellis con all’organo il maestro Bruno Manassero. Il concerto gratuito comprenderà brani natalizi della tradizione popolare in polifonia a quattro voci con intermezzo musicale della maestra cantante lirica più altri tre cantanti.

alla luce dal mio profondo queste sensazioni. Il fatto di scrivere su Insonnia mi

ha molto aiutato perché quando ti sfoghi o ti esprimi riesci anche a cambiare il tuo stile di vita. A me è successo proprio così: per stare sull’esempio di sopra, se prima me la prendevo tanto, adesso, come ho detto, sono capace anche di interrogarmi con calma su che cosa ne venga alla gente dopo che ha fatto certe affermazioni. Quando mi accade di trovarmi di fronte a certe incomprensioni, ho imparato a rispondere, a volte rispondo, cosa che non riuscivo a fare prima, sempre con educazione, però rispondo. Prima, magari davanti a una sposa o in altre situazioni piangevo, non mi sentivo realizzata, ora sì, grazie a Insonnia. Allora sono qui per ringraziare e spero che chi ha creato questo giornale possa trovare altri mezzi per esprimersi e per dare visibilità alle nostre problematiche, alle nostre ansie. Noi siamo soggetti particolari, tutti i momenti abbiamo bisogno dell’appoggio di tutti.


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a cura di Guido Piovano

SINODI

da un vocale di Franco Barbero

Luigi Sandri su Confronti ci pone di fronte ad un quadro internazionale: papa Francesco ha fortemente voluto che la Chiesa Cattolica arrivasse ad un Sinodo plenario, quello dei vescovi che durerà fino all'ottobre del 2023, nel mondo però si stanno svolgendo altri Sinodi. Sinodo vuol dire “camminare insieme”, nella chiesa tanto si è parlato di Sinodi, ma in realtà non era mai un camminare insieme, era un raduno delle gerarchie per decidere che cosa si dovesse insegnare e spesso imporre al popolo di Dio. Qui invece siamo davvero ad una iniziativa che potrebbe avere le caratteristiche di un vero rinnovamento evangelico. Tutto è da giocare, infatti c'è stato un certo ritardo in questa iniziativa, un certo contrasto specialmente in Italia delle gerarchie rispetto al papa che ha voluto, insistito e deciso che fosse realizzato il Sinodo. È una opportunità perché questo Sinodo, almeno nelle enunciazioni vuole essere un Sinodo che mette insieme uomini e donne con vera parità di decisioni. La chiesa cattolica o accetta un coro, una voce sinodali, o rischia di essere un treno che non ha più binario, perché abbiamo perso tutti i treni. Non guardiamo questo momento dall'esterno come parlassimo di qualcosa che riguarda altri. Riguarda il popolo di Dio, me, te, la nostra comunità, le nostre comunità, le nostre parrocchie, i nostri gruppi. Noi siamo fratelli e sorel-

le sinodali, dobbiamo prenderci questa responsabilità. È finito il tempo dei cristiani esecutori o spettatori, è il tempo dei cristiani e delle cristiane che sanno ragionare, confrontarsi, decidere insieme. Quando hanno deciso le gerarchie ci hanno portato davvero fuori strada. Il papa ha aperto il 9-10 ottobre il Sinodo della sua diocesi, perché il papa è vescovo di Roma e domenica 17 in ogni diocesi del mondo il vescovo locale farà la stessa cosa […]. Da ogni continente sorgono richieste di riforme audaci, l’istituzione di forme di reale partecipazione del popolo di Dio alle decisioni. Questo è il succo delle richieste più vivaci, più coraggiose, più evangeliche ed entro l’aprile 2022 ogni diocesi dovrà riferire, poi si procederà ad ulteriori appuntamenti. O noi prendiamo sul serio come chiesa cattolica generale questa occasione o creeremo un gigantesco mulino che gira a vuoto. Sta a ciascuno di noi prenderci quel poco di responsabilità, ma esserci. È interessante notare ciò che sta già avvenendo in Germania, Irlanda, Australia, là davvero il vento soffia forte. In Germania da due anni il cammino sinodale è in piedi e 230 delegati si stanno misurando su potere e divisione dei poteri nella chiesa, vita sacerdotale oggi, donne e vite di relazione nella ses-

sualità, nell'amore, nella cooperazione e sono state avanzate proposte con grande audacia. C’è dietro la paura del Vaticano che tenta di dividere, di fermare. Soprattutto la Curia romana, più che il papa, è quella che tenta di mediare sempre a ritroso. Anche la conferenza episcopale irlandese questa primavera ha deciso di avviare un percorso sinodale per la chiesa cattolica di tutto il paese che sfocerà in una assemblea sinodale nazionale entro i prossimi 5 anni. L’Irlanda fino a pochi decenni fa era cattolicissima, poi lo scandalo della pedofilia del clero ha veramente cambiato la situazione, tanto che il 62% dei votanti nel referendum approvò una legge civile che ammette il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sconfiggendo così l'arretratezza di una chiesa cattolica che aveva coperto gli abusi e non aveva promosso le libertà. Il risultato ha fatto tremare il Vaticano e alcuni hanno tentato di indebolire la posizione del Sinodo, ma l'arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin ha detto “ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani, del popolo”. Quindi anche nella gerarchia c'è qualche voce francescana che cerca di promuovere un rinnovamento. Un altro bellissimo Sinodo è già in fase avanzata: dal 2 al 10 ottobre si è riunita ad Adelaide la prima assemblea del Concilio plenario australiano. La successiva riunione del Sinodo australiano sarà dal 4 al 9 luglio del 2022. Hanno

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partecipato 230.000 persone con proposte ed un entusiasmo che davvero nessuno si aspettava in un continente che ha visto tanta freddezza cristiana. In Germania, Irlanda, Australia il vento soffia, c’è un’azione che viene dal basso, vedremo se queste decisioni saranno veramente effettuate ed effettive. L’Italia è un po' una cenerentola, c’è un episcopato che in larga misura ha cercato di non arrivare ad un Sinodo. Sarà vero che impareranno ad ascoltare, che si deciderà poi insieme? È tutto da vedere, in questa chiesa italiana ci sono alcune voci che stanno avanzando proposte precise, le nostre comunità cristiane di base, tanti movimenti, tante associazioni, una partita tutta aperta. La chiesa italiana diverrà anch'essa una forza trainante, oppure sarà a rimorchio e cercherà di frenare? Tocca a ciascuno di noi prendere voce, scrivere, protestare, organizzare momenti collettivi, non lasciare tutto nelle mani della gerarchia e del clero. Tocca al popolo di Dio farsi voce, proposta, organizzazione. Vi auguro di sentire in questo cammino la gioia della sinodalità, essere una chiesa che non esegue ordini, che non accetta dogmi detti con parole di 17 secoli fa. Essere una chiesa che dice la fede oggi e la vive nel mondo contemporaneo è una speranza e deve diventare la gioia, la responsabilità di ciascuna e ciascuno di noi.

GRAZIE Chiude il giornale, dunque chiude questa rubrica. Mi preme allora ringraziare gli amici di Insonnia che per anni mi hanno permesso di esprimere nella massima autonomia questi miei pensieri che sono testimonianza di una fede che vivo nella marginalità ecclesiale ma in sintonia con i tanti “profeti” che popolano il libro “Diversamente chiesa. Tra utopia e profezia” (Guido Piovano, pp. 261, anno 2021, € 15.00, Ilmiolibro) dove ho raccolto questi dieci anni di riflessioni. Con particolare affetto saluto voi lettori.

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di Zanza Rino

Non me ne vogliano gli italiani in questo anno miracoloso di bandiere sventolanti, inni nazionali e italianità urlata che niente come olimpiadi e calcio sanno alimentare. Intendiamoci, mi sono incollato al televisore come (quasi) tutti e ho tifato azzurro come tanti. Ma non so quanto mi sento italiano, meglio, non so quanto il mio sentirmi italiano mi accumuna a tanti italiani e mi fa partecipe di tante vicende italiane.

Che dire di quei leader politici che fino a ieri sbraitavano contro i terroni in nome della padanità e oggi sbraitano contro i “mori” in nome dell’italianità? E di quelli che cavalcano il mantra della libertà sopra ogni cosa, senza mai aver fatto veramente i conti con un passato che quella libertà ha violentato. Che dire dell’ipotesi di fare capo dello Stato chi il prestigio italiano ha sacrificato al proprio ego smisurato. E del leader di un movimento politico nato sul mito della democrazia diretta che si comporta da padrone e confonde la dimensione politica e quella personale. Potrei continuare all’infinito, ma mi fermo qua. Quella è la politica, si dirà. Ma il mio problema non è che ci sia qualche politico in cui non mi riconosco, il mio problema è che ci si riconoscono tanti italiani. Cosa abbiamo in comune, al di là del fatto che siamo tutti italiani? Il sangue?

È strano, ma c’è chi ci crede. Il colore della pelle? Conosco africani neri di pelle che sento più vicini di tante pelli bianche. La cultura? Quale? La storia? Quanto condivisa? E allora fatico a sentirmi italiano, o almeno italiano come si sentono tanti italiani. Poi però mi rendo conto che mi è capitato qualcosa. Nel mio modo di parlarvi da questa rubrica. Poco per volta sono scivolato dalla leggerezza dell’ironia alla pesantezza della predica. Forse non so più sorridere. E allora capisco che ho fatto il mio tempo. Ricordo la conclusione di uno dei monologhi che accompagnavano lo spettacolo De Senectute del compianto Vincenzo Gamna. Le ultime parole del vecchio che si sente arrivato alla fine del suo tempo: “A l’é ura ‘d saré la baraca” (non so se si scrive proprio così). Anche per Zanza Rino quel momento è arrivato.

Ma non è la fine del mondo…neh! E no, mi guardo intorno e vedo tanti giovani marciare nelle strade del mondo per difendere la Nostra Terra. Vedo giovani qui nel nostro piccolo paese darsi da fare. Vedo mille storie di umanità, solidarietà, responsabilità. E allora, ancora un piccolo ronzio… non mollate! E anche noi, veterani di Insonnia, non tiriamo i remi in barca. Qualcosa faremo ancora, per quel che sapremo fare. Vi saluto cari lettori e ne approfitto per una confessione, ora che è venuto il momento dell’addio: il mio nome non è Rino Ogni gioco anche bello Alla fine non può durare Metto giù il mio fardello Non è tempo di giocare Or che l’epilogo è vicino È il momento di confessarlo Non chiamatemi più Rino Il mio nome è - - - - - - - - -


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Sulla cima del Cervino

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Incontro con un alpinista racconigese segue dalla prima

Membro della scuola LPV (Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta), che titola gli istruttori regionali di sci alpinismo e alpinismo. Istruttore del Club Alpino di S. Marino. Mi ha colpito la notizia della tua ascensione al Cervino, per quanto ne so sei il primo racconigese. Non so se sono stato il primo, mi sembrerebbe strano. Chissà, magari salterà fuori, è comunque una bella novità. Raccontami qualcosa. Siamo saliti in due, io e Valerio Anfossi di Cavallerleone. Era da qualche anno che se ne parlava, quest’anno eravamo un po’ più determinati, un regalo per i 45 anni. Alla fine è nata abbastanza casualmente… stavo al mare con mia figlia e Valerio mi telefona… ho prenotato per il 27 agosto alla Carrel… andiamo? E così il 27 mattina siamo partiti per Cervinia. Da 2.000 metri si sale ai 3.600 della Carrel, punto di passaggio obbligato per chi sale dalla via normale italiana. Un avvicinamento di tutto rispetto. Presenta particolari difficoltà? Si sono fatte sentire fin dal primo giorno. Non tanto tecniche, quanto di lunghezza e di individuazione della traccia. Fino alla Testa del Leone è una grande pietraia (600 metri di dislivello), dove il percorso non è sempre evidente, qualche ometto, con la nebbia non sarebbe uno scherzo… lì è tutto grande, tutto lungo. Poi un lungo mezzo costa sotto la Testa del Leone, ghiaione, massi instabili anche grandi. Dal Colle del Leone cominciano le prime difficoltà tecniche, placche apparentemente facili, ma già te le immagini in discesa… fino alla corda con una parete verticale di una decina di metri, primo contatto con il Cervino e quindi arrivi al Carrel. Come è il Carrel? In periodo di covid, possono accedervi max 30 persone per volta. È “presidiato” costantemente da una guida / gestore, ma i servizi sono essenziali. Un fornelletto per scaldarsi qualcosa e qualche coperta, tutto il resto te lo devi portare. E dopo il Carrel? Poche altre cordate a distanza. Noi abbiamo tenuto il passo, in buona parte di conserva, tranne un paio di tiri sulla testa. Le difficoltà ci sono, anche perché la via bisogna un po’ cercarsela, lavorare di intuizione ed esperienza. Alle 9 facevamo la foto di vetta. Tempo bellissimo, ma molto freddo, credo meno 15/20. La bottiglietta di coca cola era completamente congelata. E poi? Breve sosta e poi giù. Le altre cordate non le abbiamo più viste, salvo una che è scesa dal versante svizzero, forse hanno rinunciato, per cui in discesa eravamo completamente soli. Discesa non banale, per salire dal Carrel abbiamo impiegato quattro ore e mezza, per scendere cinque e mezza. Alcune doppie, poi di conserva. A Cervina siamo arrivati alle 9 di sera, dopo dodici ore di discesa… è infinita. Poco tempo per gustarvi la vetta. Sì, come spesso succede. È così, la cosa più inutile del mondo… perché sali???? Però quando vedi l’alba in quel magnifico ambiente… e poi è una grande soddisfazione, per quello che rappresenta… ricalchi la storia dell’alpinismo… sei lì che fatichi e pensi…

ma questi, con le attrezzature che avevano, passavano le notti fuori, mangiando pane e formaggio! Ormai hai accumulato un bel po’ di esperienze, anche fuori dalle Alpi. Un confronto… Questa è una grande fatica, tecnicamente ne ho fatte di più impegnative ma non è mai banale, sei oltre i 4.000 per un po’ di ore, il percorso non è sempre proteggibile, se ti capita qualcosa può essere grave. È facile fare tardi, stare fuori la notte. Al rifugio c’erano due alpinisti che avevano passato la notte fuori, non erano sprovveduti altrimenti non l’avrebbero scampata a passare la notte fuori con quelle temperature. Quando sono arrivati al Carrel il gestore li ha fermati, li ha fatti mettere sotto le coperte e ha chiamato l’elicottero. Le esperienze che ricordi con maggior piacere? I viaggi di sci alpinismo fatti con te in giro per l’Europa, molto significativi, soprattutto per inventarsi la soluzione dei problemi, esplorare nuovi percorsi, sempre con il sorriso. L’Elbrus in Russia, 5.600 metri, lo spigolo Frendo all’Aiguille de Midi nel gruppo del Bianco (1.200 metri su una nord con difficoltà certamente più sostenute che sul Cervino), vie sul Gran Capucin e sul Dente del Gigante. Il gruppo del Bianco mi piace molto. C’è nelle tue esperienze questa dimensione che condivido, contare sulle proprie risorse, senza appoggiarsi ad agenzie / guide che ti accompagnano in vetta, tenendo conto dei propri limiti e capacità. Sì, è bello saper fare i conti con le proprie risorse. Al tempo stesso l’improvvisazione può essere pericolosa, meglio allora affidarsi a qualcuno, poi, mano a mano che acquisti esperienza e dimestichezza… Sono dimensioni diverse, ognuno poi si ricava la sua. Ho un po’ la scuola tua, la pensiamo allo stesso modo. E allora facciamo un po’ di storia, tu vieni dall’esperienza dell’Alpinismo Giovanile, cosa rappresenta questa cosa per te? Quello è stato il seme piantato li, è stato proprio

quello che mi ha fatto innamorare della montagna. Con l’età poi prendi consapevolezza delle tue possibilità, impari a prendere le misure. Tanto in montagna non la conti a nessuno, se ce la fai ce la fai, se non ce la fai sono cavoli tuoi. Un bel terreno su cui misurarsi con se stessi, fai quello che sai fare, non puoi raccontarti tante frottole. Nella sua semplicità è una scuola di vita. Qualunque sia il livello su cui si va. E questa è una cosa bellissima. Chiunque, a qualsiasi livello, può avere le stesse emozioni, sensazioni, paure, euforie. Sei partito dall’Alpinismo Giovanile, poi di strada ne hai fatta tanta. Hai seguito un percorso di formazione molto significativo. E, voglio ricordarlo, le competenze che hai maturato le metti a disposizione di tanta altra gente del tutto gratuitamente. Hai una professionalità, perché il livello di competenza richiesto è alto, anche se non fai il professionista. Nello spirito del nostro sodalizio. Gli unici professionisti sono le Guide e i Maestri di sci. Noi non lo siamo, ma il livello di competenze richiesto agli istruttori del CAI è alto, paragonabile a quello dei professionisti, e abbiamo le stesse responsabilità nei confronti delle persone che accompagniamo e si affidano a noi. Organizzate dei corsi? Tutti gli anni organizziamo dai 5 ai 6 corsi, di sci alpinismo e di arrampicata, facciamo sempre il pieno di iscritti. La Scuola Alpi Ovest è oggi la più attiva della provincia di Cuneo. E lavoriamo sul ricambio generazionale; ai nuovi istruttori diciamo che il loro primo compito è trovare chi un giorno li sostituirà, perché per tutta la trafila ci vuole del tempo. Chissà, magari tra qualche anno ci sarà il mio nipote Nicolò, quest’anno è venuto con me a fare le prime arrampicate in falesia. Gli piace. Spero che un giorno sarà tuo allievo. Ne sarei felice. Auguri per le tue attività future.


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Un diario manoscritto ci ricorda la prigionia di un racconigese MARIO REVIGLIO, DIARIO DI PRIGIONIA (1943-1945) Materiale raccolto ed elaborato da Roberto Sanson

Il “Piccolo riassunto…” È scritto a mano dall’autore con inchiostro nero su di un quaderno a righe (quinta classe) a 23 righe per pagina per un totale di pagine 28, numerate con cifra romana da I a XXVII. Il quaderno conta 36 pagine. Nella scrittura non sono tenute in conto, dall’autore, né i margini laterali né il numero delle righe. Nella traduzione dattiloscritta non sono state effettuate alcune correzioni rispetto all’originale, e sono state riportate tutte le cancellature eseguite dallo stesso. Il “Piccolo riassunto…” c’è stato dato per la dattiloscrittura dal nipote dopo il decesso dell’autore nel mese di marzo 2004, la riscrittura è stata eseguita nello stesso mese. Dati anagrafici dell’autore: Cognome: REVIGLIO Nome: Mario nato a: Racconigi il 22 giugno 1923 figlio di Lorenzo e di Godano Margherita arruolato di leva il 18 marzo 1942 nella leva della classe 1923 Comune di Racconigi Provincia di Cuneo. Chiamato alle armi è giunto il 15 gennaio 1943. Collocato in congedo illimitato il 28 maggio 1947. Ha prestato servizio come soldato nel 232° reggimento fanteria.

Allegati: Arbeitsbuch für Ausländer (libretto conta di copertina, controcopertina, 28 pagine, di cui nove scritte). Kontrolkarte für den Auslandsbriefverkehr . Arbeitskarte - Befreiungsschein, Diesen Ausweis, Gesundheitsblatt (tre documenti riprodotti su di un solo foglio). Foglio Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alto Adige. Foglio di licenza. Foglio di Congedo illimitato (fronte volta). Lettera di accompagnamento insegna e brevetto Brevetto ”Croce al Merito di Guerra”. Insegna (copia fotografica). Foglio matricolare e caratteristico tre fogli di cui uno fronte e volta).

6-5-1946 Piccolo riassunto durante la Prigionia dal 12 Settembre 1943 al 30 Giugno 1945 in Germania di Mario Reviglio Verso le ore 19 pomeridiane del giorno 10 – 9 - si muoveva la tradotta per la Germania, partendo da Bolzano; ove mi trovavo militare; verso le ore 20 di sera, Rannicchiati sui vagoni si varcava le alte montagne gelide del Brennero, passando così in territorio Austriaco. Venne distribuito un magro rancio a secco e poi rinchiusi nei vagoni, si prosegue il viaggio così per tutta la notte, trascorse pure la domenica, senza sapere a quale destinazione fossimo arrivati, passarono parecchie città fra le quali Insbrusc, Salisbur, Gocc; e non fu che verso l’una del lunedì 12 che ci fecero scendere, e dopo qualche minuto corse la voce che si trovavamo nella città di Crems a 70 Km da Vienna. Camminammo per circa un’ora inquadrati raggiungendo un vasto campo di smistamento distante 5 Km dalla città, e da quel giorno incominciò la vera vita di Prigionia, seguirono le iniezioni, rasatura dei capelli, disinfezioni ecc. e la fame si diffuse fra noi con maggiore celerità, diventando così nervosi irragionevoli bestiali. Diverse volte ci adunarono, invano cercando di trarre qualcuno di noi volontari, nella e S. S. germanica o nella repubblica o nell’esercito tedesco, perché collaborare coi tedeschi però sempre facendo un buco nell’acqua. Passarono così una ventina di giorni, finche arrivò il giorno della partenza, ma già eravamo informati che si andava al lavoro, chissà forse a star meglio o peggio. Negli Negli ultimi giorni di Settembre ritornammo a Linz grande città industriale dell’Austria. Venimmo destinati alla Erman Goring grande fabbrica di carri armati, a 5 Km dalla città. Ci portarono al campo 54 vicinissimo alle fabbriche. Forma-

rono le colonne, io fui annesso alla 6 colonna, formata in primo tempo da una decina d uomini come carpentieri e in secondo tempo a un centinaio di diverse categorie. Il primo ottobre fu il primo giorno di lavoro. Sveglia alle 5, alle 6 già stavo i polinai (?) della fabbrica per portar le colonne al lavoro. Il rancio in primo tempo era abbondante, ma con l’andar dei giorni veniva sempre meno ed immangiabile. Il lavoro non era pesante e i capi sopportabile. Si lavorava alla ditta “Negrelli”, fabbricazioni in cemento armato. Si segavano e inchiodavano tavole per l’armatura. Negli ultimi giorni di ottobre una triste notizia ci venne recata dagli ufficiali del campo, si ottenne che nel giorno dei santi e il giorno seguente si doveva lasciare il campo raggiungendone un secondo che si trovava a 4 km dalle fabbriche in direzione opposta della citta. Se.si voleva dire era peggio per la distanza dal campo al lavoro ma sarebbe stato meglio in caso di un allarme di notte in caso che avessero sganciato sulle fabbriche. Il mese di novembre passo ancora discretamente facendo presente che in primo tempo la vita del campo era sopportabile, ma poi sia per il cattivo tempo che si avvicinava, sia per il vitto che veniva giorno per giorno meno e schifoso, si andava di male in peggio. Due mesi furono occupati in quel lavoro, ma poi da carpentieri ci portarono da manovale ai muratori, lavoro pesante e faticoso, ma i capi (Austriaci) avevano per noi un po d’umiliazione. Sovente si passava il mezzo giorno nel rifugio e si mangiava quel magrissimo rancio di rape e acqua all’una e mezzo. Quale stella però proteggeva

la nostra nona (?). Arrivò così il Natale 1943 ‘Natale di fame di freddo e carichi di pidocchi e la giornata tra-

scorse con l’interminabile domande sulla situazione della guerra, poi ricomincio il lavoro quotidiano e la scarsi-


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tà del vitto andava aumentando. Passò il primo dell’anno, l’epifania e chi ne parlava di feste? Rammentando persino che alcune colonne lavoravano al giorno di Natale. Tristissimi giorni passavano e varie domande si facevano durante il lavoro alla sera di ritorno al campo, in branda, sulla situazione, la radio baracca era sempre in funzione, sbarchi di qua, bombardamenti di la e sempre si andava avanti. Notizie da casa nemmen per sogno, trascorse pure il mese di gennaio. In dicembre il lavoro fu occupato a portare mattoni per la costruzione di un nuovo reparto poi per mancanza di materiale fu sospeso e incominciarono i rifugi ai radiatori ed agli isolatori delle pressatrici, dei trapani torni ecc. ln diversi reparti regnava in quel tempo, in quei luoghi un gran rigore e severità in tutta la zona. Fu verso la fine di febbraio che cessarono quei lavori e insieme ai lavori cambiai anche il capo reparto venimmo destinati alla costruzioni di un for-

no in una fonderia e capitai sotto a un lazzarone di un tedesco che gridava da mattina a sera tirandoci persin qualche mattone o legnata sulla schiena. Ed ora tormentati dalla fame e indeboliti dal lavoro e dal schifoso rancio e travolti dal freddo si domandava perché potesse durare una vita simile. Alla mattina che piovesse come nevicasse non c’era rimedio, alle 5 già stava come chiamato da noi il mercante di schiavi. Alla sera stanchi dal lavoro tormentati dalla fame e dal sonno, si trovavamo sotto la fermata di un ponte con la fermata minima di un ora per aspettare il raduno degli uomini della colonna per il ritorno al campo; 4 Km era il percorso. Giunti al campo per una accorciatoia, si trovava una scala in collina con 130 gradini dove quasi tutte le sere da uno o due militari cascavano per la debolezza e il dimagrimento che ci avvolgevano. Giunti al campo si giungeva la baracca di corsa si prendeva la gavetta e poi in fila nel campo ad aspettare il nostro turno per

9 il rancio che consisteva poi in una mescolo di rape e acque e una raziocina di pane nero che doveva servire per il giorno dopo. Divorato quel po gia si sentiva il fischietto dell'appello erano le ore 20, si disgraziatamente non risultavano giusti gli uomini della compagnia l'appello poteva prolungarsi sino alle 23. Duro cosi quella vita infame fino al giorno 27 - 3 - 44. Potevo io immaginare qual'era la mia sorte da quel giorno; quando al mattino mi avviai al lavoro, già ero diventato come uno scheletro in cammino, quando giunsi sul lavoro, dovendo trasportare cariole di rottame da un locale all'altro, mi sentivo le gambe piegarsi sulle ginocchia e correre il rischio di cadere nell'abisso. In più le gambe mi si gonfiavano come un pallone e i dolori di pancia soffocanti completavano il mio stato. A tentoni passò la giornata. Alla sera mi recai all'infermeria chiedendo visita. giorno 17-3-44

Non so qual stella mi aiutasse, si trovava colà un capitano piemontese. Dopo la visita ebbi un giorno di riposo, però gli andai in simpatia, siccome il giorno seguente era di venerdì al sabato ritornai al lavoro, come pure il lunedì, ed alla sera ritornai alla visita come era stato detto dal capitano e sembrava che una lieta notizia dovesse giungermi infatti, già come era stato inteso al giovedì, il medico ma spettava e dopo una breve visita, ebbi la lieta notizia che entro 5 giorni di riposo sarei stato destinato all'ospedale di Pupping. Io non so spiegare con qual gioia e qual soddisfazione era giunto, ed in più il giorno 29 marzo 1944 festa di San Giuseppe m'era pure giunta una grande notizia. Fra i primi pacche giungevano al campi si trovava anche quello di casa mia. Venni chiamato dall'interprete di presentarmi al comando per il ritiro del pacco. Lo divorai in un primo momento cogli occhi e in un secondo con la nocca e in due giorni sparì.

notte. Dopo due mesi di permanenza ci misero in testa la dolce speranza del rimpatrio, ma più si prolungava l'attesa, più andava spegnendosi la speranza. Ormai si era già fatta un po di abitudine, pacchi e notizie giungevano da casa allietando così la lunga e dura prigionia. Un giorno del mese di maggio, non si voleva credere, un gruppo di francesi con zaini e valigie sulla schiena, si trovavano si tro davanti a noi per il ritiro delle coperte erano veramente in partenza per la loro Patria e per le loro case, un filo di speranza ci avvolse anche noi. Ma quando mai arrivava l'ordine di partenza? Chissa i francesi con più di permanenza al campo avessero più dovere di noi? Intanto i giorni passavano, trascorse tutta la primavera 1944 ed incominciò .... l'estate. L'esaurimento per me era ormai svanito, già un po di forze erano ritornate in me ma la noia aumentava sempre. Si domandava invano quanto poteva ancora durare, nella situazione dei fronti ci tenevano all'oscuro, se non qualche parola dei capi baracca che

uscivano sentendo la voce dei civili. Infatti fu in quei giorni che fu effettuato lo sbarco in Francia. Fu nei primi giorni del mese di luglio che si diramò un ordine dal comando tedesco che tutti i sotto elencati al gruppo rimpatrio, doveva effettuarsi una visita di controllo all'ufficiale tedesco. L'elenco era formato da una settantina di malati, fra i quali una decina dei più gravi rimase al campo, il rimanente furono idonei nelle aziende agricole come pure tocco a me. Dopo tanto tempo di attesa di riposo, ci attendeva di nuovo il lavoro. Chissà forse si andava a star meglio come vitto, ma si riprendeva un lavoro assai più pesante di quello trascorso. Il desiderio di uscire da quei dannati reticolati e quello di andar trascorrere una vita libera era grande. Ma al pensare che moli ostacoli non troncavano la via, facevano riflettere maggiormente sopra, ma non c'era via di scampo. Fra gli ostacoli c'era il mestiere, alquanto contrario al mio, la maledetta lingua, il carattere di famigliari ecc.

23 - 4 - 1944 Viaggio all'ospedale Giovedi 23 giunse la partenza dal luogo del suplizio dal campo dei lavori forzati e della fame. Mentre in un gruppo di 4 si allontanavamo, tristi pensieri ci balenavano in mente, vecchi amici di lavoro e di sofferenza, si lasciavano, vite infami andavano spegnendosi. Per la prima volta in territorio austriaco riuscivamo a salire su di un tram. che transitava un percorso da Lindth. a un villaggio oltre le fabbriche, raggiungemmo la città. Al dopo pranzo si partiva dalla città in via ferrovia per Pupping. il viaggio durò per qualche ora, raggiungendo il piccolo villaggio ove trovavasi il'ospedale. Di li incominciò una nuova vita. All'entrata ci presero il numero, dopo ci portarono alla disinfezione e bagno, non bisogna lasciare indietro che da due mesi prima ero carico di pidocchi ed ero giunto al punto che la pelle della schiena veniva via a pezzi sarebbe stato eminente un tifo pidocchiale se non avessi preso precauzioni in seguito. Terminata la pulizia ci sistemarono nelle baracche era terminato il lavoro ma non la fame. Cominciarono le

visite ed io ebbi subito una settimana di riposo, seguirono altri 7 giorni e poi un mese e infine fui elencato nei rimpatrianti con il riposo permanente. Ma se si voleva chiamare un campo di supplizio pure quello, a pensare che al mattino veniva distribuito un po di te “acqua calda” alle 11 distribuzione del rancio e consisteva in 200 grammi di pane nero ed un mestolino di rancio fatto di rape cavoli e qualche pezzo di patata e carne e un cucchiaino di marmellata o margarina e tutto ciò doveva durare sino al giorno seguente, per 4 giorni alla settimana: tre erano di due ranci. Sicché la situazione era grave tanto che si era costretti, terminato il nostro rancio, recarsi alle baracche francesi e serbe ad aspettare ciò che avanzavano "qualche cucchiaio di un magro rancio o qualche buccia di patata” col rischio di farsi prendere dai tedeschi e consisteva nel saltare il pasto per un giorno, e passare la notte al buio. Le giornate sembravano secoli mai arrivava la sera. Da quando si andava a letto, le pulci incominciavano il suo lavoro notturno, allora si grattava tutta la


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12 - 7- 1944 Giorno di partenza dall'ospedale Ed ecco che arrivò il 12 luglio, il giorno della partenza. Il giorno da cui terminava la vita dei lager, come sarebbe pure terminato il tormento della fame. Il giorno da cui incominciava un nuovo temperamento di vita, una vita fa migliore, una vita-alquanto di quella ormai trascorsa. Un nuovo treno si muoveva verso la città di Vels, partendo da Pupping, alle ore 10 del giorno 12 luglio 1944. Altri amici intimi e persin paesani si lasciavano per l'ultima volta. Saliti in treno in uno scompartimento stava il mio gruppo eravamo in quattro, accanto a noi stavano due militari tedeschi armati addetto al nostro accompagnamento. Si domandavamo come mai il treno non potesse proseguire il suo cammino verso la nostra Patria le nostre case. Illusioni altri mesi altre sofferenze, dovevano pesare su di noi. Alle 12 la locomotiva entrava nella città di Vesls. Una bella città posta in una vallata dell'altipiano dell nord Austria. Un bellissimo scalo stava all'entrata della stazione, che venne poi in seguito danneggiato dai bombardamenti e si vedeva in lontananza i dintorni della città nel verdeggianti collinoso. Un'ora fra la fermata in stazione, però si sali su di un altro treno che ci avrebbe portato poi a destinazione Infatti verso, le 2 si muoveva lasciando ala città, salendo fortemente. Incantevoli panorami si presentavano ai nostri occhi. Infiniti piantamenti di alberi da frutta, distese immense di patate, di segale si delineavano sotto ai-nostri occhi, come pure piccole pinete si presentavano qua e la perdendosi in lontananza. ln qual direzione al si andava non si sapeva. In una borgata di quei dintorni il treno si fermò alcuno di noi scese il quale in quel luogo doveva andare come macellaio. Il treno continuò il suo viaggio ancora per circa mezzora e giunse pure il momento di scendere noi ma non già per essere giunti alla nostra meta, ma bensi per continuare la ,strada a piedi. Accompagnammo un altro compagno ad una masseria distante un quarto d'ora di cammino dal luogo di partenza, proseguimmo poi in un'altra direzione e restammo in due. Camminammo per tutto il dopo pranzo e per di più dopo un'ora di strada, densi nuvolosi oscurarono l'orizzonte e grossi nuvoloni goccioloni cominciarono a cadere. Si domandava all'uomo di guida quanto si doveva percorrere ma mai si poteva sapere, però era una persona ragionevole ed aveva in se anche un po di bontà per noi, tanto che si fermò per ben 2 volte nei Gustaus (birrerie) che si incontravano sul cammin facendoci bere del mosto, poi si continuava la marcia. Strada facendo arrivammo sui binari di una ferrovia, ove dopo 10 minuti di sosta arrivò un tram che ci portò in una nuova destinazione, dove si andava non si sapeva. Dopo una mezzoretta di strada smontammo rincominciando il cammino a piedi. Erano verso le 17 di sera. Le gambe non ci portavano più dovendo salire e scendere continuamente, le stanchi e esausti di forze, facevamo sforzi enormi per continuare la marcia. Quanti Km erano trascorsi, non si sapeva. Gia calavano le tenebre quando giungemmo alla destinazione del nostro camerata, sicché la mia meta non era ancora

giunta, però appresi che in quel luogo dovevo riposare la notte e riprendere il viaggio il mattino seguente. Infatti fummo sistemati in quella masseria che doveva servire da lager. Alle 7 del mattino seguente giorno 13 ci fu la sveglia ed alle 8 si riprese il cammino, ero rimasto solo, accompagnato dalla guardia proseguivo per la mia meta. Riuscii a sapere che la mia permanenza distava ancora dal luogo ove l'asciai l'ultimo degli amici 12 Km circa. Arrivammo al lager ove dovevo poi appartenere verso le 11. Un soldato e un sottufficiale si trovavano colà addetti al campo. Dopo qualche sistemazione di mobili nelle camere ove ospitavano erasi fatto mezzogiorno e mi portarono in un Gastaus sul passaggio di una strada secondaria che portava da Siernig a Neu -Kofen. Piccole cittadine, e li pranzai in loro compagnia. Dopo un oretta uno di loro mi accompagnò al cascinale ove avrei dovuto rimanere sino al ritorno in Patria. Una bella cascina situata su di unaltura, circondata da magnifici alberi da frutta avente 50 ettari di terreno doveva essere per me il luogo di lavoro e di ospitalità. Appena giunti mi assegnarono subito il luogo ove dovevo riposare e lasciare il mio arredamento ritornando nell'entrata del cascinale fui servito dalla moglie del padrone; che consisteva in un pezzo di dolce di ciliegie. Il soldato dopo aver scambiato alcune parole coi proprietari ritornò al lager; ed io presi la falce e andai col padrone a segar erba benché il tempo fosse piovoso. Da quel giorno incominciarono vite alquanto diverse da quelle trascorse. Il lavoro era per me nuovo e pertanto, e per di più non riuscivamo a comprendersi, però un aria pura e anche qualche volta frescolina occupava quella zona in modo che aveva sempre un'appetito da lupi. Arrivai nell'epoca in cui il grano stava maturando come pure la segale e l'avena, però nei primi giorni il maggior lavoro era di pulire rape cavoli e bietole levando le erbe cattive. Nel mese di lug Agosto si incominciò a mietere, prima segale poi grano ed in ultimo avena. In quei giorni non c'era. tregua, sincominciava al mattino alle 4 e si lasciava alle 7 di sera, un lavoro continuo e un lavoro da bestie. Terminata l'avena nel mese di settembre, incominciò il fieno e nello stesso tempo si levarono le patate. Ora le giornate passavano con velocità, però si avvicinava l'inverno però e si pensava se si sarebbe trascorso in quel cascinale o a casa nostra, ma purtroppo l'inverno arrivò e se ne andò senza alcun esito. Terminata la raccolta delle patate che diventava ormai un lavoro noioso e faticoso assieme, incominciarono le giornate della trebbia girando a turno da un cascinale all'altro, venendo questi a sua volta da noi. Di tutte le nazionalità si trovavano in quei giorni durante i pasti; Francesi, Belci, Polacchi, Russi ecc.. Tutte le lingue si sentivano eravamo veramente cose inspiegabili. Nel mese di dicembre incominciò pure il lavoro della legna per il fabbisogno annuale. Allora liete giornate passavano, quando nevicava si stava nel fienile a trinciar paglia e fieno per le vacche e cavalli. Il cascinale era composto di 8 personali; il padrone, la moglie, padre e madre della moglie e una bambina, due ragazze un austriaca e una Polacca e un

vecchietto addetto ai lavori dei campi. Essendo i lavori terminati' molte giornate festive religiose non si lavorava, tantochè il Natale 1944 se ne andò si fece 5 giorni di festa e cosi se ne andò lietamente l'inverno rientrando nella primavera 1945, della pace e del ritorno alle nostre case. Lunghe giornate se ne andavano spaccando lega e segando paglia ed il rimanente nei boschi. Arrivata la primavera s'incominciò all'argar letame nei campi arrivò pure la semina. Si era nel mese di marzo 45, si puliva pure il grano e la segale e quei lavori continuarono sino alla liberazione. Passò ancora ancora tutto aprile ed al 2 e 3 maggio lontani colpi di cannone si sentivano giungere ai nostri orecchi, in primo tempo si credevano prove della contraeree, ma poi dopo fummo alla certezza che il cannone tedesco alleato sparava contro le ultime forze tedesche che fuggivano in ritirata. Ma già il comando tedesco aveva firmato la resa, ed il giorno 5 le truppe alleate entravano trionfanti nelle città dell'Austria, mentre i russi avanzavano su Vienna congiungendosi poi oltre. Io continuai ancora il mio lavoro leggermente sino al giorno 20. Riunitisi in un gruppo di 6 lasciammo i nostri padroni e si presentammo al comando alleato che distava qualche Km da dove eravamo e ci portò a Krempinter in un cascinale a 3 Km dalla città trovandosi già altri italiani. Ci lasciarono in quel luogo una quindicina di giorni, riportandoci poi nella città, però questa volta nelle baracche. Si era ai primi di giugno. Delle bellissime giornate passavano in quei luoghi. Gli americani ci dispensavano il rancio, il lavoro era per noi. finito, non si aspettava altro che arrivare quell'atteso giorno, per poter salutare per sempre quelle desolate terre. Altre due settimane si aggiunsero a quelle trascorse. Ma fu poi negli ultimi giorni di giugno che corse la voce

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alle nostre baracche, che tradotte partivano d’Italiani per l'Italia dai centri di Vels - Linz. Infatti al venerdì 21 giugno giunse notizia che al sabato partiva una tradotta da Vels. fatti bagali un camion ci portò al campo degli italiani in Vels. Sabato 22 giugno, stava pronta una tradotta diretta per l'Italia con la partenza dalla città alle ore 11. Fatti alcuni controlli e disinfettati i nostri abiti si saliva in tradotta e si lasciava per lultima volta le terre austriache. Con una soddisfazione più facile a comprendersi che a descriversi, si lasciavano tutte le sofferenze e vari lavori, gli spaventi e le vite infami, e si andava verso il bel sole d'Italia verso le nostre case e i nostri familiari. Si lasciavano infinite case ridotte in macerie come pure stabilimenti, industrie, bruciate, danneggiate, nodi di ferrovie stroncati binari in aria ecc. ecc.: cio che si lasciava in quei desolati paesi. Si viaggio tutto il dopo pranzo e tutta la notte, fermandosi la tradotta a 10 Km da Insbruck. E li ci fu una sosta di 4 giorni in un lager ai picchi di una montagna. Si riprese il viaggio il mercoledì sera verso le ore 21. Giovedì 27 si varcava la frontiera e si lasciava per sempre le fredde montagne del Brennero. A mezzogiorno giungevamo a Bolzano, non potendo proseguire per ferrovia interrotta. Autotrasporti militari ci portarono alle caserme dell'artiglieria che formavano campo di smistamento. Al Venerdì giunse un autotrasporto della diocesi di Torino, portandoci all'ultima delle nostre mete. Partì alle ore 16 pomeridiane ed alle 8 del sabato 29 giugno rientravamo nella città di Torino. Alle 17 prendevo il treno per Racconigi e un'ora dopo abbracciavo i miei cari con grande soddisfazione e gioia. FINE compilato il 6 - 5 -1946


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Solo cinque respiri

LA VIA DI CASA

Come trovare le chiavi e tornare nel giardino dell’Eden di Grazia Liprandi

Nella natura, in origine, tutti gli elementi sono in relazione tra loro, in equilibrio perfetto. Lo abbiamo imparato quando eravamo bambini, su quei sussidiari di un tempo senza le fotografie: osservavamo e disegnavamo la catena alimentare scoprendo che tutto era in equilibrio perfetto e naturale, anche ciò che a primo acchito poteva sembrare crudele. In questo equilibrio, l’uomo delle origini interviene con l’irruenza della sua creatività, sperimentando e scoprendo che è possibile modificare le relazioni per trarne vantaggi. E questo gli piace! Gonfia il suo ego. Così, a discapito della sua vera natura animica e armoniosa, si incaponisce nel distinguersi dal Tutto di cui è parte e inizia a manipolare gli equilibri. Ciò che prima era collettivo e sacro diventa per lui un possibile oggetto di proprietà. È questo l’incipit di un lungo viaggio di dominio e di potere dell’uomo sugli elementi naturali, e soprattutto di annientamento della sacralità di cui la natura è impregnata. E per sua volontà, in questo modo, l’uomo esce dall’Eden. Non perché qualcuno lo cacci come ci hanno raccontato erroneamente, semplicemente perché egli stesso si smarca e se ne va. Ogni religione ha la sua narrazione, ma tutte raccontano questo distacco, quell’estraniarsi dal Tutto, dalla propria vera natura divina, abbondante, creativa, fiduciosa, accogliente, includente, integrante. E nello scorrere della storia, l’uomo, innamorato della sua immagi-

ne, inizia un percorso vanesio che lo porta a distinguersi, differenziarsi, catalogare, selezionare e dividere giusto da sbagliato, buono da cattivo, mio da tuo... Per non avere dubbi e non correre il rischio della nostalgia di quell’Unità da cui proviene, egli teorizza questa separazione con la scienza filosofica, quella religiosa e quella medica, ma non si accorge d’essere, in questo suo fare impavido, l’unico vivente ad estraniarsi dall’equilibrio relazionale del pianeta. È lui l’estraneo, l’esiliato dal giardino dell’Eden dove tutto si muove come è giusto che sia.

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Non s’accorge l’uomo d’essersi messo fuori gioco da solo, ma di fatto non riesce più a comprendere gli eventi; li vive con paura e con difesa, dimenticando che ogni elemento contiene opportunità ed espansioni, come hanno sempre insegnato gli sciamani di ogni epoca e cultura. Paura è l’altra faccia dell’illusione. Paura di morire, paura di ammalarsi, paura del COVID 19 e di tutte le pestilenze che hanno preceduto o seguiranno l’attuale pandemia. Paura di tutto, di perdere potere, terreni, confini, libertà. Paura delle migrazioni mondiali, dei cambi climatici, di essere annientati … È così l’uomo, interpretando erroneamente ogni esperienza, dimentica di essere parte di un creato sacro, co-creatore della realtà che offre a tutti, ad egli compreso, proprio attraverso eventi difficili, un’occasione unica per rientrare in relazione con Tutto. Bisogna avere fede per ritrovare le chiavi di casa. Fidarsi della natura. Fidarsi del creato. Fidarsi della propria essenza e di quella insita in ogni evento. Bisogna credere che non siamo qui per caso, che tutto è perfetto, che tutto ha un senso. Bisogna sentire d’essere custodi di chi ci ha preceduto e di chi ci seguirà, parte essenziale nella continuità di una immensa catena umana. E fidarsi dell’esistenza che stiamo incarnando, che non c’è nessun cattivo che sta tramando contro di noi, che non c’è sfiga che ci perseguita. Bisogna fermarsi, sedersi, posare il

pensiero, l’ansia e la premura. Bisogna stare ad ascoltare il cuore, il respiro che va e che viene, gratuito e generoso, e provare a sintonizzarsi con l’aria che riempie d’ossigeno i nostri polmoni, e ringraziarla; sentire la terra stabile e solida sotto i nostri piedi, e ringraziarla. Provare a sorseggiare adagio un bicchiere d’acqua che rinfresca la linea mediana nel nostro corpo, e ringraziarla. Ringraziare ogni elemento. Ecco La chiave per tornare nel giardino dell’Eden. Bastano cinque lenti e consapevoli respiri, ripetuti ogni giorno. Bisogna provare con un briciolo di costanza. Ci proviamo anche a scuola, ogni mattina. E giorno dopo giorno i bambini sperimentano quel luogo sicuro e meraviglioso nel proprio cuore, dove si sta bene e si comprende ogni cosa. Così hanno iniziato anche loro a ringraziare per le cose che li circondano e sanno perfino inginocchiarsi: li ho portati a vedere l’autunno nel parco; con le loro vocine estasiate per ogni foglia che cadeva, sono corsi sotto un maestoso e vecchio platano e senza pensarci un attimo si sono inginocchiati gridando “Che belle queste foglie!”. Le hanno accarezzate, ammirate, qualcuno le ha baciate prima di raccoglierle. Bisogna essere come bambini per cogliere la meraviglia di una vita che muore lasciando a terra i suoi colori più belli. Perché nel Giardino dell’Eden ogni cosa è meravigliosa.


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DIECI MINUTI CON LA BELLEZZA

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Safet Zec

EXODUS E ABBRACCI di Rodolfo Allasia

spesso molto grandi e coinvolgono sul piano emotivo qualunque spettatore ed è per tutto ciò che io ne sono stato colpito: le pennellate ampie e senza ripensamenti non impediscono la ricerca di un naturalismo attento alle anatomie e alla composizione delle masse. Per ispirarsi, Safet guarda alla guerra nella terra di origine e alle emigrazioni che non si

Ammetto con vergogna di non aver mai sentito nominare prima dello scorso settembre questo artista sloveno, nato a Rogatica nel 1943. Safet Zec, da molto tempo affermato e noto al pubblico più attento anche in Italia dove si trasferì a causa della guerra nei Balcani, ha continuato la sua attività di pittore intento alle vicende politiche, economiche e sociali che interessarono alla fine degli anni ‘90 la Bosnia, i Balcani e l’intera Europa. Numerose sono le sue mostre su questi temi allestite in Italia, in Bosnia-Erzegovina e in svariate città europee, nonché negli Stati Uniti e in Asia. Per la sua pittura eseguita con tecnica classica, usa supporti come tela e carta, i formati sono

fermano, ma pone una attenzione particolare al destino del singolo. Le sue opere, grazie all’abilità da maestro, i colori terrosi accesi da sprazzi di rosso e bianco esprimono la drammaticità di queste esperienze come l’immigrazione e le guerre che causano violenze di ogni tipo lasciando corpi senza vita, soccorsi da abbracci disperati. I titoli dati dal pittore, scarni e sintetici danno immediatamente l’idea di che cosa ha colpito la sensibilità dell’artista nel corso del tempo e che cosa lui vuole comunicare al suo pubblico con le posture dei corpi e le luci che drammatizzano gli scenari delle sofferenze umane: exodus, naufragi, abbracci.

“Vorrei che la mia pittura contribuisse a consolidare e far crescere tale necessaria mobilitazione morale, che sola può squarciare l’insopportabile muro dell’indifferenza”. Attraverso queste sue parole il maestro dimostra come l’arte possa avere una funzione di denuncia e presa di coscienza di realtà che urlano contro la disumanità di una parte della nostra società ed il bisogno di riscoprire il senso dell’umanesimo. Non dobbiamo abituarci a questa situazione e a questi ignobili massacri che i mezzi di comunicazione ci presentano in modo spettacolare, quasi fossero solo scene costruite per raccogliere molte persone che ricercano false emozioni in una tranquilla sala per spettatori. La pittura deve evidenziare il dramma, non può e non deve lasciare tranquilli; coloro che visitano la mostra devono sentire l’odore del sangue e le urla dei morenti; si devono percepire le lacrime dei soccorritori e uscire dalle sale maledicendo tutte le guerre pensando solo a quali modi si debbano inventare per evitarle. Alcune mostre di Safet sono state allestite in ambienti come la chiesa della Pietà a Venezia o là dove le città hanno subìto bombardamenti e lui, con una concezione della vita e del suo valore come un inno ad ogni vittima innocente, invita a slanci di nobile umanità per tutte le generazioni che verranno. Un pittore così lo si può solo ringraziare per

essere riuscito a togliere dall’apatia i visitatori delle sue mostre, per aver suscitato in loro un grido rabbioso, l’orrore della guerra e dei suoi risvolti, cantato un’ode a tutte le vittime di qualsiasi nazionalità ed etnia per la violenza che l’uomo esercita sull’uomo.


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Alla scoperta del Maira dalla sorgente alla confluenza nel Po (o viceversa)

VIA DEL MAIRA segue dalla prima

Utilizza, quando esistono, tracciati creati appositamente e parzialmente segnalati (come il sentiero del Maira); dove questi mancano sfrutta strade di viabilità ordinaria (sterrate e eventualmente asfaltate a basso traffico) non sempre dotate di segnaletica specifica; per alcuni tratti percorre sentieri in genere ciclabili (magari scendendo dalla sella per brevi tratti se non si è esperti). Solo quando non vi sono alternative si appoggia per il minimo indispensabile a strade a maggior traffico. In linea di massima si può effettuare dalla fine dell’inverno alla fine dell’autunno, ma nel tratto montano il periodo utile è più ristretto. Consigliabile evitare i periodi interessati da piogge che possono renderlo poco praticabile a causa del fango. Nel pieno dell’estate i tratti in pianura possono essere poco piacevoli a causa dell’afa. Primavera e autunno secchi sono i periodi migliori. Il tracciato GPS sarà presto messo a disposizione degli utenti più tecnologici. È anche in preparazione una descrizione cartacea con relativa mappatura. Ci trovate le indicazioni essenziali per non perdere troppo tempo a cercare la strada. Sono indicazioni che valgono al momento di questa stesura (primavera /estate 2021), per cui la situazione nel tempo potrebbe cambiare. La logistica (soste, pasti, eventuali pernottamenti) non presentano particolari problemi. Ho testato tutto l’itinerario e ho pensato di fare cosa utile nel mettere a disposizione degli interessati l’esperienza fatta. Chi intraprende il percorso o parti di esso lo fa naturalmente sotto la propria esclusiva responsabilità. Qui pubblichiamo una anteprima dell’ultimo tratto, da Savigliano alla confluenza nel Po, corredato da una mappa semplificata di sintesi.

Savigliano - Cavallermaggiore - Cavallerleone (ponte della Pedaggera)

Distanza 14,5 km – Discesa 50 m – Salita 10 m Subito dopo il ponte sul Maira della strada Savigliano-Monasterolo imboccare il sentiero segnalato che si dirige verso nord sulla sinistra orografica del torrente. Seguire sempre il sentiero che si mantiene molto vicino al corso del torrente. Nei pressi di Cavallermaggiore imboccare una strada sterrata (palina di segnalazione) fino alla strada Cavallermaggiore – Monasterolo. Girare a destra e in breve, prima del ponte, girare a sinistra imboccando la strada per Cavallerleone. Dopo pochi metri imboccare sulla destra (palina di segnalazione) il sentiero che prosegue verso nord, fino a un ponticello della vecchia ferrovia ormai dismessa. Lasciato il ponte sulla destra, proseguire sulla sponda sinistra del Maira. Qui ci sono due opzioni. (a) Costeggiare su strada sterrata una piccola centrale idroelettrica. Superato

un ponticello su un canale proseguire diritto (non prendere la stradina sulla destra, più evidente ma senza uscita) seguendo un percorso non sempre evidente (pista campestre e sentiero), fino a raggiungere in località Pedaggera il ponte sul Maira della strada Racconigi – Cavallerleone. Passare sotto il cavalcavia e imboccare il sentiero ora ben visibile che prosegue sulle sinistra orografica (palina di segnalazione). Questo itinerario potrebbe non essere interamente percorribile a causa delle coltivazioni. In alternativa è possibile seguirne uno che si discosta un po’ dal torrente, ma è più evidente e agevole (b) Invece di costeggiare la centrale idroelettrica seguire a sinistra una strada in terra battuta che porta a Cavallerleone e si tiene talora più vicina al torrente talora se ne allontana, intersecando in alcuni punti il percorso precedente. A un primo bivio prendere a destra e, superato il ponticello menzionato in a), proseguire a sinistra sempre seguendo la strada in terra battuta (trascurare la diramazione a destra, senza uscita). La strada diventa asfaltata prima di entrare in Cavallerleone. Seguirla tenendo sempre la destra e dirigersi verso il ponte sulla strada Cavallerleone - Racconigi. Prima della rampa che porta sul ponte uscire dalla strada sulla sinistra e proseguire al meglio verso il torrente tra i bordi del campo e la strada. In breve si raggiunge il torrente (palina) dove il sentiero diventa ben visibile.

Cavallerleone (ponte della Pedaggera) – Racconigi – confluenza nel Po

Distanza 13 km – Discesa 40 m – Salita 10 m Dal ponte della Pedaggera il sentiero, tracciato di recente e interamente segnalato, prosegue sulla sponda sinistra del fiume. Serpeggia in una stretta fascia boschiva, costeggia per un tratto campi coltivati, passa a sinistra di una piccola zona umida e recentemente piantumata. È anche possibile, prima della zona umida, seguire un breve percorso alternativo (non segnalato) a destra che sale sulla barbacana, la percorre (attenzione, stretto ed esposto) e ridiscende ricongiungendosi al percorso segnalato. Proseguire su sterrato più agevole che raggiunge il Lago Verde e, dopo un breve tratto (cava sulla sinistra), continuare di nuovo su sentiero tra gli alberi fino a sboccare sulla strada Casalgrasso – Racconigi in corrispondenza del ponte. Attraversare il ponte per entrare in Racconigi, girare a sinistra in v. Stramiano e proseguire su questa strada (asfalto) costeggiando il muro del parco. È consigliabile una digressione molto interessante. Poco dopo aver imboccato v. Stramiano, girare a sinistra nella strada dell’Aulina che porta in breve all’inizio di un altro sentiero tracciato di recente e interamente segnalato, che

percorre ora la sponda destra. Si segue il sentiero che serpeggia a tratti vicinissimo all’acqua e richiede attenzione in alcuni tratti se percorso in bici. Il sentiero termina nei pressi di una cascina (cascina Baretti), dove fa un piccolo anello (seguire segnaletica) che riporta indietro fino al punto di partenza (circa 7 km. a/r). Riprendere il percorso principale lungo il muro del Parco verso Migliabruna. In corrispondenza del cancello delle Margherie si gira a destra, si costeggia sempre il muro del parco sulla strada ora sterrata e poi si gira a sinistra in corrispondenza del cosiddetto cancello Nero. Si prosegue costeggiando le cascine di Migliabruna Nuova e Migliabruna Vecchia (lato est), fino ad un bivio. È possibile seguire un interessante percorso alternativo. Al cancello delle Margherie si prosegue diritto, sempre su asfalto, transitando presso il Centro cicogne e anatidi e raggiungendo le ex tenute reali di Migliabruna Nuova e Migliabruna Vecchia (lato ovest). Si gira a destra, attraversando l’ampia corte di una o dell’altra e ci si ricongiunge girando a sinistra al percorso precedente, fino al bivio. Al bivio si prende a sinistra e si prosegue su strada sterrata fino all’intersezione con la strada Casalgrasso – Carmagnola. Alla sinistra c’è il ponte che scavalca il Maira e porta a Casalgrasso. Si gira invece a destra (direzione Carmagnola) e si percorre un breve tratto di strada asfaltata (attenzione al traffico). In corrispondenza dell’intersezione con una strada sterrata sulla sinistra (direzione nord) si imbocca quest’ultima e la si percorre fine all’incrocio con un’altra strada sterrata. Si gira a sinistra e la si percorre per breve tratto fino a dove è ciclabile. È anche possibile, dal bivio dopo Migliabruna, prendere il ramo di destra. Raggiunta l’intersezione con la strada Casalgrasso – Carmagnola (nei pressi della località La Motta) attraversare, girare a sinistra e poi subito a destra su una strada sterrata. Tenere sempre la sinistra ricongiungendosi con il percorso precedente fino a quando lo sterrato è ciclabile. Ormai in vista della foce del Maira si percorrono a bordocampo un paio di centinaia di metri e si arriva alla confluenza nel Po.


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Via Sacra del Maira

Sensazionale ritrovamento di un antico manoscritto... Per una curiosa coincidenza siamo recentemente venuti in possesso di un documento che sembrerebbe attestare l’esistenza nella valle del Maira di un antico percorso di pellegrinaggio e devozione, di cui oggi si è persa la memoria. Non abbiamo avuto il tempo di verificare l’autenticità del documento, forse proveniente dall’archivio parrocchiale di un piccolo Comune della media valle; né l’attendibilità della fonte da cui proviene, che non possiamo rivelare per l’impegno di rispetto della riservatezza che abbiamo preso.

Essendo questo l’ultimo numero di Insonnia prima della sospensione delle pubblicazioni, riteniamo opportuno pubblicarlo ugualmente, perché fornisce preziose informazioni su quella che sembra fosse conosciuta dai pellegrini come Via Sacra del Maira. E chissà che un giorno la frequentazione della Via del Maira di cui parliamo in queste stesse pagine non possa dare impulso alla ripresa di quella dimenticata tradizione. Ecco in anteprima il documento.

Via Sacra del Maira Che tu spinga sui pedali O consumi i tuoi calzari Viandante non t’angustiare Per la strada da trovare

Una sosta meritata A San Bur è dedicata Marmellata benedetta Da gustare senza fretta

La tua via è ben tracciata L’incertezza è cancellata Se sol segui la mia guida Con la fede di chi si fida.

Tra tutti è San Tin il più piccino Sta nascosto in un angolino Ma se il miracolo può fare Non si fa certo pregare

Se la segui fino in fondo Scoprirai un altro mondo Che si svela lungo le sponde Tra la foce e la fonte Ma la via non è solo Per il corpo un ristoro Ché lo spirito alimenta Di chiunque la frequenta Il viandante è pellegrino Quando affronta il cammino I chilometri sono tanti Ma ben sette sono i santi Son custodi della via sacra Che percorre tutto il Macra Una sosta per ognuno Fa punteggio senza digiuno C’è San Giut che dà conforto A chi ha patito un torto E a chi disperato Un po’ il gomito ha alzato E San Crau che dal Tirolo Venne un tempo tutto solo Lui portò i suoi precetti Per mangiare i cavoletti

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Libri di Valeria Buscatti

San Baiun è il più gradito Da chi in vita ha patito Ché l’amaro con lui passa Purché sia la glicemia bassa Santa Pas è invocata Da chi vuol esser lasciata Fuori da ogni tenzone Con un coniuge brontolone Se poi senti la fatica E il dolor d’una vescica Tornerà l’allegria Con l’aiuto di San Gria Quando al fin sarai arrivato Al traguardo sì agognato Avrai timbro e diploma Scritto in nero nel tuo idioma Sette santi, sette sigilli Puoi dormire sonni tranquilli Hai raggiunto la tua meta E la vita sarà più lieta

Un romanzo sulla rinascita questo di Mara Barazzutti, facente parte della collana “Scrivere donna” a cura della Neos Edizioni. La vita sa picchiare duro e non fa sconti a nessuno. Con questa dura realtà deve fare i conti la protagonista Luisa, che, dopo un grave lutto, deve trovare in sé stessa la forza di rinascere, cercando di non fuggire dalla vita che ritorna e che, beffarda e meravigliosa come sa essere, torna per concedere un’altra possibilità di felicità. Sta a noi decidere se accettarla o scacciarla via. Al lettore scoprire la decisione presa da Luisa…

E proprio questa forza anima l’intero romanzo, come viene scritto dall’autrice nella seconda di copertina: “A chi soffre, a chi vuole credere nelle seconde possibilità” e ancora, citando Andrea Mucciolo, “L’uomo non è grande quando vince, ma se ha la forza di tentare sempre”. E, forse, questa forza indomita e a volte un po’ folle sa appartenere alle donne.

Mara Barazzutti, “La vita di nuovo”, Neos Edizioni 2020, pp. 144, , € 14,00


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In morte del dott. Giuseppe Gazzera RICORDO DI UN AMICO COLLEGA Ha concluso la sua giornata terrena all’età di 73 anni il dott. Giuseppe Gazzera, psichiatra, maestro di comprensione e di amore per i pazienti, per i colleghi, per il personale. Intellettualmente ed affettuosamente onesto e sincero, attraverso i suoi ruoli di Direttore Dipartimentale Salute Mentale di Savigliano, Saluzzo, Fossano, nonché docente formatore presso la scuola infermieri di Savigliano, ha saputo donare professionalmente costante impegno e intelligenza nelle cure dei malati a lui affidati. Che dire! L’aggiornamento professionale continuo, lo studio, il brillante intuito diagnostico, le sue qualità di medico e di uomo hanno illuminato la mente di chi l’ha conosciuto. Marco Dellavalle Il dottor Marco Dellavalle è stato Primario all’ospedale neuropsichiatrico di Racconigi negli anni in cui Gazzera vi operava come medico psichiatra.

Lib

Libri di Valeria Buscatti

Non propriamente un romanzo, bensì biografia e autobiografia insieme (un genere misto, come spesso accade nella letteratura contemporanea), l’opera di Emanuele Trevi, vincitrice del premio Strega edizione 2021, racconta, in senso non cronologico ma quasi come flusso di ricordi, le vite di due amici fraterni dello stesso: Rocco Carbone e Pia Pera, intellettuali italiani, scrittori dalla penna fine, morti entrambi ancora giovani (Carbone in un incidente in motorino, Pera dopo aver combattuto coraggiosamente

Cin

Cinema THE FRENCH DISPATCH di Cecilia Siccardi

Il French Dispatch è un pochissimo letto supplemento del Li-

contro la Sla), forse non molto conosciuti dal grande pubblico ma assolutamente degni di essere letti, come ci suggerisce l’autore del libro. Qui si tratta il tema dell’amicizia, della vera amicizia, capace di dare senso profondo all’esistenza, quella che non tocca purtroppo in sorte a tutti gli esseri umani. Due persone che più diverse non potevano essere: Rocco Carbone, come suggerisce, quasi per uno scherzo del destino, il suo cognome, era scuro e duro come il carbone, dalla personalità disturbata e complicata (ad un certo punto della sua non lunga vita, gli fu anche diagnosticato un disturbo bipolare); al contrario, Pia Pera era una donna delicata e gentile, molto dolce, amante della vita all’aria aperta e spesso tratteggiata da Trevi intenta all’opera di prendersi cura del giardino di una tenuta che aveva ereditato, rendendo lo stesso un luogo magnifico. Come capita a volte nella vita, queste due personalità così diverse (ma entrambe sensibilissime), per una magica alchimia, diventano inseparabili, comprendendo nella loro amicizia anche l’autore, che scrive questo libro in loro memoria, libro che risulta certo velato di malinconia, ma il cui tratto dominante è quasi un senso di gratitudine per l’immenso

dono ricevuto, rappresentato proprio dalla possibilità di frequentare due amici così straordinari per molti anni. Il titolo si riferisce certamente alle due vite fisiche degli scrittori in questione, ma anche al fatto che ciascuno di noi vive due vite: la prima è appunto quella fisica, mentre la seconda è quella che viene percepita da chi ci vive accanto e che magari ci sopravviverà, ricordando quello che siamo stati. Non c’è modo migliore, afferma Trevi, per continuare a far vivere chi non c’è più, che affidarne il ricordo alla scrittura, capace di compiere la magia di far continuare a vivere, di rendere immortali coloro ai quali abbiamo voluto bene. E in questo libro altra grande protagonista è proprio la scrittura di Trevi: ci troviamo qui di fronte ad uno scrittore potente, dal tratto magnetico,

berty, Kansas Evening Sun, la cui redazione ha sede nell’immaginaria cittadina francese di Ennui-sur-Blasè. Quando l’improvvisa scomparsa del direttore, Arthur Howitzer Jr., decreta anche la fine della rivista, i membri della redazione si riuniscono per scrivere un necrologio, che verrà pubblicato nell’ultimo numero del giornale insieme a quattro articoli dei giornalisti più amati da Howitzer. Il reporter Herbsaint Sazerac traccia una prima descrizione di Ennui; la critica d’arte J. K. L. Berensen racconta la storia di un pittore squilibrato rinchiuso nel carcere del paese, la cui musa è una guardia carceraria; la giornalista Lucinda Kremenz testimonia le vicende di una protesta studen-

tesca combattuta fra barricate e scacchiere; infine, Roebuck Wright racconta una cena a casa di un commissario che sfocia in un rocambolesco inseguimento. The French Dispatch è l’ultimo, attesissimo film di Wes Anderson, e rappresenta una summa perfetta dell’estetica del regista. Una parata di star si avvicenda sullo schermo per dare vita ai quattro articoli, che vengono rappresentati come episodi a sé stanti, uniti dalla cornice narrativa della morte dell’eccentrico direttore della rivista. Storie e personaggi assolutamente improbabili vengono raffigurati con grazia e con l’inconfondibile poetica di Anderson: i suoi fan non potranno perderselo. Ironico e nostalgico, perfetto per

capace di raggiungere livelli altissimi e di delineare una persona con pochi, sapienti tratti. Capacità che non è così scontata in tutti gli autori. Come sempre, troverete a disposizione presso la biblioteca civica questa e anche le altre quattro opere entrate nella cinquina finalista dell’ultimo premio Strega.

Emanuele Trevi “Due vite” 2021, pp. 128, € 15.00 Neri Pozza (collana Bloom) Libro vincitore del Premio Strega 2021 lasciarsi incantare da un mondo ormai scomparso.


Novembre/Dicembre 2021

16

Mus

Musica Premiata Forneria Marconi

“I DREAMED OF ELECTRIC SHEEP – HO SOGNATO PECORE ELETTRICHE” di Roberto Magri

Dopo quattro anni di distanza dal precedente disco “Emotional

Tattoos“, eccoli con il loro diciottesimo album in studio, nella doppia versione italiano/inglese: “I Dreamed Of Electric Sheep – Ho Sognato Pecore Elettriche” il nuovo super lavoro della PFM uscito il 22 ottobre 2021, con un suono moderno che non dimentica le radici Prog. degli anni 70. Nata alla fine del 1971 (discograficamente nel 1972) da FRANCO MUSSIDA, FLAVIO PREMOLI, FRANZ DI CIOCCIO e GIORGIO PIAZZA, la band ha guadagnato radicalmente un posto di rilievo nella scena internazionale che mantiene tutt’oggi. Questo progetto vanta la presenza di due ospiti internazionali, IAN ANDERSON (Jethro Tull) e STEVE HACKET (ex Genesis, presenti nel brano “Kindred Souls / Il Respiro Del Tempo“, oltre a FLAVI PREMOLI già co-fondatore della PFM. Quest’ultimo album è un disco potente, in cui la musica della PFM pur evolvendosi resta fedele

a se stessa e al rock progressivo che da ormai cinquant’anni è il segno distintivo della band. L’ascolto è accattivante e strizza l’occhio agli amanti della musica in puro stile PFM con ampi spazi ai virtuosismi, con eccellenti esibizioni delle loro capacità tecniche, con ritmi avvolgenti e chitarre che spazzano via tutto. Protagonisti di una continua sperimentazione sonora, stimolata anche dai continui ricambi nella sua formazione, la PFM è ormai un’istituzione del progressivo italiano e la sua avventura oltre i confini nazionali le è valsa anche un posto nell’enciclopedia universale del rock. Il titolo di questo nuovo album si ispira esplicitamente al romanzo PHILIP K. DICK, il cui titolo esatto è “Do Androids Dream Of Electric Sheep“, da cui fu tratto il film “Blade Runner“. L’attuale formazione della PFM è composta da: FRANZ DI CIOCCIO (voce e batteria), PATRICK

insonnia

DJIVAS (basso), con LUCIO FABBRI (violino ,seconda tastiera, cori), ALESSANDRO SCAGLIONE (tastiere, cori), MARCO FOGLI (chitarra ,cori) e ALBERTO BRAVIN (tastiera, chitarra, seconda voce). Con l’uscita di questo nuovo lavoro, la discografia della PFM ha raggiunto il numero di diciotto album in studio, quattordici album dal vivo e diciotto raccolte.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Roberto Magri, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Diritti, immigrazione, nuove generazioni, lavoro, memoria, ambiente, e tanto altro: sono questioni di grande complessità e declinate su scala globale, e noi ne abbiamo parlato, sempre. Partendo dal nostro punto di osservazione, ma senza sottrarci a temi che, per quanto grandi, hanno una loro declinazione anche a Racconigi. Dalle nuove generazioni ai nuovi cittadini, dai diritti alla politica, abbiamo sempre cercato di raccontare un pezzo della cornice generale e, allo stesso tempo, di trarne delle informazioni utili per i nostri lettori. Se con il tempo si sono un po' sbiadite le energie e la motivazione per mettere insieme un prodotto come il giornale Insonnia - un compito tutt'altro che banale e semplice -, l'augurio è che lo spirito che ha animato le nostre pagine rimanga vivo a Racconigi, e trovi altre vie e forme. Certamente i diciotto mesi (e anche qualcosa di più) della pandemia, i lockdown, la paura e la solitudine sperimentate in questi mesi - e gli scenari incerti che ancora ci si prospettano davanti – non hanno aiutato il senso di comunità e, in qualche modo di fratellanza. Magari lo abbiamo visto sui balconi, negli applausi al per-

sonale medico e in un rinnovato senso di orgoglio. Ma progettare con gli altri, mettere in campo tempo ed energie per fare squadra e guardare al futuro è un po’ più faticoso di prima. Insonnia non ha mai smesso di farlo, e adesso si concede del meritato riposo. Voglio ribadirlo ancora una volta: il faro che ha guidato il giornale e la squadra che lo ha realizzato con amore e dedizione è stata sempre la nostra comunità di riferimento. È quello che avevo scritto anche nel mio primo editoriale “di presentazione”: come dire, la prima impressione era quella giusta, e questo valore così evidente nel Dna di Insonnia credo sia davvero il vero grande valore aggiunto di questo progetto. Ho trovato una realtà capace non solo di raccontare il territorio, i suoi umori e le sue speranze, ma anche di restarci in contatto, e così la ritrovo, con i medesimi valori e slanci, in questo ultimo numero. Mi auguro che la città sappia raccogliere il testimone. Non necessariamente con un’iniziativa analoga (rischieremmo di esserne un po’ gelosi, e nel caso mi auguro ci sarà concesso), ma nella quotidianità. Mi piace l’idea che abbiamo seminato uno sguardo verso gli altri e la comunità

che è curioso, finanche indagatore, ma mai oppositivo, e che questo possa rimanere, fosse anche nelle cose piccole e piccolissime: il modo di guardare i nostri vicini di casa, i nostri concittadini, le nostre istituzioni. Un aspetto che in un modo frammentato, diviso - tremendamente diviso, come fosse uno sport agonistico! - ha dato spazio e attenzione alla voglia di essere comunità. Per quanto riguarda me – torinese “adottata” dalla redazione racconigese – non mi resta che ringraziare la redazione di Insonnia, che ha accettato consigli, correzioni, ma anche

i silenzi-assensi quando rimanevo indietro nell’approvazione delle bozze. Un ringraziamento particolare va poi a Rodolfo, che si è fatto tramite e messaggero con la redazione con pazienza e ascolto. Grazie a tutti i lettori, a chi ci ha fatto i complimenti e a chi ci ha criticato, a chi ha chiesto rettifiche e a chi si è proposto per una rubrica o un articolo, a chi ha sempre sostenuto e a chi ci ha letto una volta sola. Insonnia non va a dormire.me avrebbe detto Forrest Gump, siamo “stanchini” e ci congediamo. Ma la porta resta socchiusa.


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