INSONNIA SETTEMBRE 2020

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insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 124 Settembre 2020 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

SI TORNA A SCUOLA

Riproponiamo, con qualche marginale modifica per aggiornarlo ai tempi attuali, l’editoriale di maggio di Insonnia, uscito solo on line e quindi probabilmente non visto di Giannino Marzola, D.S. I.C. “B. Muzzone” - Racconigi da molti lettori

Probabilmente

DOPO L’EMERGENZA Sono tempi di emergenza. Sanitaria, economica, sociale. Destinati forse a continuare ancora a lungo, fino a quando non sappiamo. È difficile di questi tempi immaginare il futuro. Quando la casa va a fuoco ci si affanna a mettersi in salvo, a salvare quello che si può salvare, c’è poco tempo e voglia di pensare a come e quando si ricostruirà la casa. Ora l’incendio sembra aver perso vigore, almeno dal punto di vista sanitario, anche se sarebbe un errore abbassare la guardia. L’isolamento e la rarefazione dei rapporti sociali imposti dal lockdown sono dietro le spalle, anche se sofferenze e insofferenze non sono dimenticate. L’economia mostra qualche segnale modesto di ripresa, ma i numeri di gente che perde lavoro e reddito, di attività in sofferenza, del debito sono da capogiro. Eppure… Eppure c’è dell’altro. Lo abbiamo colto anche nei pensieri e nelle parole di tanti lettori che, raccogliendo l’invito della redazione, hanno manifestato il bisogno di raccontare il loro personale in Insonnia di aprile. Nelle risposte c’è tanto vissuto, ricco di mille sfaccettature; ma c’è anche tensione nel ripensare il presente per costruire un futuro diverso. Gli spunti sono veramente tanti. La devastante impronta umana sulla terra, il recupero del rapporto con una natura malata per causa nostra e la revisione del nostro modo di stare al mondo. Il valore dei rapporti sociali, della solidarietà, dell’umanità, il bisogno di tenersi per mano, perché nessuno si salva da solo. L’umiltà a fronte della scorpacciata di presunzione, arroganza senso di onnipotenza che la nostra specie coltiva.

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Quella che sembrava una certezza assoluta (il 14 settembre tutti a scuola), al momento in cui scrivo risulta ancora una possibilità non del tutto confermata. Però la scuola racconigese del primo ciclo di istruzione si è preparata ad accogliere tutti gli alunni e tutti gli insegnanti nei locali dei quattro plessi scolastici, debitamente modificati ed adattati alle esigenze imposte dalla pandemia che è ancora in corso. Durante l'estate è stato fatto un grosso lavoro di adeguamento e di preparazione dei locali, a cura del Comune di Racconigi e, in particolare, dell'Ufficio Tecnico. Gli interventi più rilevanti sono stati realizzati nella Scuola Secondaria, il cui aspetto interno è stato sensibilmente modificato. Con un consistente investimento è stata resa possibile la creazione di 9 nuove aule di grandi dimensioni ricavate dall'unione di aule preesistenti o dalla trasformazione di parti degli atrii; sono stati rifatti impianti elettrici, di illuminazione e di riscaldamento.

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Riceviamo e pubblichiamo

DIECI DOMANDE AL SINDACO SULL'AREA EX-IMPEAR Con la presente intendiamo sottoporre all’opinione pubblica cittadina un tema che sta occupando da qualche giorno i pensieri di molte famiglie che abitano nelle vie Caramagna Piemonte, Beato Murialdo, dei Sospiri, Ricavassa, Giovanni XXIII, S. Pio X, Don Gnocchi in prossimità del passaggio a livello della ferrovia. La nostra iniziativa è nata avendo avuto notizia dell’avvenuta vendita del sito della ex fabbrica Lamicolor (più noto come ex-Impear) e di una sua possibile nuova destinazione che ci suscita non poche perplessità.

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Domenica 20 e Lunedì 21 Settembre

REFERENDUM RIDICOLO, MA NON C’È NIENTE DA RIDERE di Melchiorre Cavallo

TAGLIO PARLAMENTARI: UN PO’ DI CHIAREZZA Oggetto del taglio I deputati passerebbero dagli attuali 630 a 400 (riduzione di 230) I senatori passerebbero dagli attuali 315 a 200 (riduzione di 115) Per il Senato non sono stati conteggiati i senatori a vita che, ovviamente, possono essere in numero variabile, ma comunque molto basso (qualche unità). La riduzione complessiva è quindi dagli attuali 945 parlamentari (previsti dalla Costituzione) a 600 complessivi. Attenzione: non c’è il quorum Per il referendum confermativo (a differenza dei referendum abrogativi per i quali abbiamo votato sinora) perché l’esito sia valido non è necessario che vada a votare il 50%+1 degli aventi diritto. L’esito è valido qualunque sia il numero di votanti. Il risparmio effettivo A conti fatti ogni italiano risparmierà, con il taglio dei parlamentari, un importo annuo di circa 1,40 euro. Di questo stiamo parlando. Ovviamente tale risparmio partirà solo tra qualche anno, quando avremo “smaltito” il costo del referendum (per ogni consultazione nazionale viene calcolato un costo complessivo di oltre 350 milioni di euro, corrispondente al risparmio di almeno 4 anni). La domanda legittima Per un risparmio così ridicolo è il caso di cambiare la Costituzione, riducendo il numero delle voci e l’apporto di idee?

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Racconto Illustrato

New Deal

BOLIVIA

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Dedicato a Emanuela Baldi di Bruno Crippa

Emanuela… la ragazza degli svariati cappelli, delle mille collane e dei tanti anelli, delle gonne lunghe dai mille colori, e della sua inseparabile bicicletta nera… Mi piace ricordarti così: solare! La tua passione per la pittura e la poesia ti riempivano la vita. Ricordo il tuo impegno profuso durante le prove teatrali su quel palcoscenico immerso nel verde del giardino dell’ex O.P. Ricordo la tua gioia per i complimenti ricevuti dal regista Koji per la tua interpretazione in uno spettacolo teatrale. Ricordo la tua presenza sulla tribuna ad assistere agli eventi di tutte le edizioni de La Fabbrica delle Idee realizzate da Cantoregi e poi colloquiare simpaticamente con attori e registi delle varie Compagnie ospitate, tra cui l’attore milanese Paolo Rossi nell’ultima edizione. …poi… La notizia della tua malattia, il ricovero in ospedale e tu sempre più silenziosa… silenziosa sì , ma i cappelli, le collane e le gonne sgargianti erano le stesse, così come lo era quel saluto con la mano e un sorriso entrando al “Plaza” per il pranzo ogni giorno.

E gli uomini piccoli piccoli, sono piccoli piccoli, grandi sono le attese ..... e grandi sono le pretese dei piccoli piccoli.

La scomparsa di Luciano Fico

Ciao Manu, nel tuo ultimo viaggio ti voglio salutare con quella poesia che mi avevi regalato e che esprime così bene i sentimenti che ti riempivano il cuore. Ne sono certo, mancherai a me e a tutti noi racconigesi: la ragazza della bicicletta nera, dai tanti cappelli, dalle mille collane e dalle gonne variopinte, amante della pittura, della poesia e della VITA !!!

Gli uomini che muoiono per la libertà, lasciano una traccia indelebile, nell'umanità, sono portatori d’intelligenza, sono portatori d'indipendenza, essi sono la fecondità, della terra perforata, dal potere perverso. L'anima dell'Universo.

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Reich scrisse, Ascolta piccolo uomo, tu non conosci perdono ... conosci solo gli ismi calcolatori, di morte e sofferenza, non conosci la distanza, che ti separa dal concetto di eguaglianza, non conosci persone, conosci solo le pene, che infliggi, ai deboli e agli sconfitti. Racconigi, 05/08/2003 Emanuela Baldi

Sarà stato per i continui richiami della colf ai pericoli che correva, forse anche per i film horror che avevano per tema proprio i campi di meliga, comunque sia, Libero aveva cominciato a guardare quel muro verde intorno alla sua casa con una certa inquietudine. Per molto tempo aveva vissuto a proprio agio nella sua proprietà, in quel rettangolo di verde ben curato che circondava la nuova casa. Gli aveva trasmesso una grande quiete fin dai primi giorni dopo il trasloco: amava il silenzio denso di quel posto, la serena disposizione delle aiuole, il morbido spessore dell’erba fresca sotto i piedi nudi. Certo, oltre la recinzione partivano interminabili e monotone sequele di campi, grigie d’inverno e poi di un verde impenetrabile d’estate, quando cresceva l’immancabile meliga a file strette e regolari. Non gli piaceva per niente quella monocoltura del tutto priva di fantasia e di bellezza, ma si era abituato al contrasto con il suo appezzamento: lo viveva come una protesta muta contro quel mondo senza colori e senz’anima. Da qualche tempo gli alti steli della meliga cominciarono ad incombere sulla sua recinzione: non si sentiva più al sicuro come prima, si sentiva invece continuamente osservato. Era come se dentro quel mare verde abitasse, da qualche tempo, una creatura malvagia, potente ed oscura. Libero aveva perso la sua tranquillità. Ogni sera spiava dalle finestre del piano di sopra fino a che il buio non dissolveva il paesaggio: anche i rumori della notte, però, non erano affatto rassicuranti. Strani segnali sonori sembravano rincorrersi tra le melighe, prima vicini, poi lontani; se aguzzava le orecchie gli pareva di poter cogliere anche dei misteriosi fruscii provenienti dai campi. La paura doveva essere quella roba lì: un crampo allo stomaco e la testa confusa,

mentre il cuore rimbomba nel petto. Aveva preso l’abitudine di tenere una spranga di ferro a portata di mano, quando dormiva: voleva essere pronto, se fossero venuti… Furono i figli ad accorgersi della sua sparizione. Dopo giorni di inutili telefonate, entrarono finalmente in casa sua e la trovarono vuota. Tutto era perfettamente a posto, compresa la spranga di fianco al letto. Unico segno anomalo un varco nella siepe che recintava il giardino. Oltre quel varco qualche impronta confusa che si perdeva nelle ombre tra i filari di meliga. Libero non è mai tornato in quella sua casa ed anche i giornali locali hanno ormai dimenticato quella strana storia. Gli abitanti del posto sostengono che, dal giorno della sparizione, i rumori notturni tra le file di mais non siano scomparsi, anzi! Da quel giorno preciso, porgendo l’orecchio alle voci della notte, si distingue un verso nuovo: un misto tra un grido di gioia ed un ululato. I vecchi si fanno il segno della croce quando lo odono, ma sembra che i bambini continuino invece a giocare sereni, come niente fosse…


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Riceviamo e pubblichiamo

DIECI DOMANDE AL SINDACO SULL'AREA EX-IMPEAR segue dalla prima

Il primo passo che abbiamo inteso effettuare è stato quello di acquisire direttamente dal Sindaco Oderda corrette informazioni sulla questione. Così lo scorso giovedì 3 settembre una nostra delegazione ha incontrato il Sindaco e gli ha sottoposto le 10 domande che potete leggere nel seguito. Il sindaco ci ha ricevuti con grande cordialità e si è impegnato a farci avere una risposta scritta. Restiamo pertanto in attesa al fine di poter svolgere valuazioni il più reali possibile rispetto alla situazione che si va delineando. Ecco le domande che abbiamo rivolto al Sindaco: 1. È vero che il sito della Lamicolor

è stato venduto? 2. È vero che il sito è stato acquistato da un autotrasportatore per farne un deposito di logistica legato alla ferrovia? 3. In caso affermativo, come sarà programmata la viabilità del traffico degli automezzi, nell’area via Caramagna, via dei Sospiri e corso Regina Elena? 4. In caso affermativo, la ditta di autotrasporti ha specificato la portata del traffico degli automezzi - sia giornaliera sia notturna? 5. Come è legata la progettazione del sottopassaggio ai nuovi progetti relativi al sito ex Lamicolor? 6. È stata fatta una previsione dell’inquinamento atmosferico che la nuova compagnia di automezzi produrrà? 7. È stata fatta una previsione dell’inquinamento acustico che la

nuova compagnia di automezzi produrrà? 8. Questi due nuovi progetti (sottopasso ed eventuale ditta automezzi) quali effetti avranno rispetto alla pericolosità delle strade della zona (via Caramagna, via dei Sospiri, corso Regina Elena con la scuola materna e i giardinetti di piazza IV Novembre)? 9. Quali vantaggi può portare questa nuova attività commerciale ai racconigesi? 10. Tali progetti sono stati discussi in consiglio comunale? Quando e da chi sono stati avallati? Cordialmente, I rappresentanti dei residenti: Maria Teresa Chiurato Sara Giordana Luigi Reynaudo Roberto Sabbadin

Domenica 20 e Lunedì 21 Settembre

REFERENDUM RIDICOLO, MA NON C’È NIENTE DA RIDERE segue dalla prima

Nella scheda che accompagna questo articolo emerge chiaramente che il risparmio effettivo derivante dal taglio dei parlamentari (tra qualche anno, quando sarà “smaltito” il costo del referendum) è di circa 1,40 euro all’anno per cittadino. Ridicolo. Ridicolo, ma vero. Ci viene chiesto di votare per confermare questa scelta. Chiedersi il perché, allora, andiamo a votare ritengo sia il modo migliore per capire come votare (il referendum non è abrogativo, ma confermativo, per cui non necessita del quorum, ovvero il risultato sarà valido qualsiasi sia il numero di votanti, per cui è importante andare a votare). ● Andiamo a votare perché qualcuno, incurante dei problemi veri, ha pensato che le criticità non fossero causate dalla qualità dei nostri politici, ma dalla loro quantità. Siccome la classe politica è scarsa e inaffidabile riduciamo il numero e abbiamo risolto i problemi. Ma siamo sicuri che sia un bene che un politico scarso e inaffidabile abbia più potere nelle sue mani (meno persone ci sono a decidere e più potere hanno i singoli che decidono, è matematico)? ● Andiamo a votare perché nel mondo sta tornando in auge, perico-

losamente, il concetto che il potere affidato a pochi dà maggiori garanzie di efficienza e efficacia. Pochi politici fanno più in fretta a decidere. Poi non conta tanto a favore di chi decidono (guarda caso dove ci sono pochi politici normalmente sono l’espressione delle classi dominanti). Continuando su questa linea si può tranquillamente arrivare a dire che il massimo dell’efficienza è rappresentata da un uomo solo al comando. È il sogno della destra più

nostalgica, che non ha imparato nulla dalle tragedie che le dittature producono. ● Andiamo a votare perché poche persone si sono chieste le motivazioni che hanno portato i nostri padri costituenti a prevedere l’attuale numero di parlamentari. Padri costituenti che, oltre ad aver scritto uno dei testi più moderni e avanzati, hanno anche pensato a tutto un sistema di governo che potesse rappresentare al meglio gli elettori, per

scrivere leggi che andassero nell’interesse di tutti e governare con i medesimi fini. Siamo nella condizione giusta per andare a modificare pesantemente quel prezioso lavoro? Siamo all’altezza dell’equilibrio e della lungimiranza dimostrata dagli autori della Costituzione? ● Andiamo a votare perché qualcuno vuole impossessarsi della frustrazione di chi non si sente rappresentato dalla nostra classe politica. E ha convinto queste persone frustrate che il miglior modo per sentirsi maggiormente rappresentati sia quello di ridurre il numero di rappresentanti. Un ragionamento che lascia sgomenti, soprattutto per la scarsissima considerazione delle capacità di pensiero degli elettori. ● Andiamo a votare per tanti motivi. Tutti, purtroppo, ridicoli. È molto probabile che anche il risultato possa essere piuttosto ridicolo, anche se non ci sarà nulla da ridere, perché saremo scesi di uno scalino verso una nazione comandata da pochi. Rimane la speranza che gli elettori non si accodino semplicemente a chi grida più forte e che esprimano un NO coraggioso a questo tentativo di ridurre la rappresentanza democratica, per poi poter ragionare seriamente su come migliorare la qualità della politica.


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SI TORNA A SCUOLA Probabilmente

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segue dalla prima

I lavori sono stati terminati entro la scadenza prevista del 31 agosto. Nella Scuola Primaria è stato sufficiente un lavoro di adattamento dei locali senza opere murarie aggiunte. Nella Scuola dell'Infanzia gli interventi hanno prodotto degli spazi dedicati ai diversi gruppi di bambini, in modo che non ci sia scambio e contatto tra i bambini dei diversi gruppi.

mascherina sarà obbligatoria o no durante le ore di lezione; pare certo che dovrà essere indossata in tutti gli spostamenti: ingresso ed uscita dalla scuola, accesso ai servizi igienici, movimenti nell'aula o al di fuori di essa. Di certo gli alunni dovranno esserne provvisti, se no non potranno entrare a scuola. Non abbiamo ricevuto alcuna informazione uffi-

Un'aula della Scuola Primaria pronta ad accogliere gli alunni

Bisogna che tutti gli alunni ed i loro genitori siano consapevoli di questo: la scuola che riapre non è quella che hanno lasciato a febbraio 2020. Le condizioni per la ripresa delle attività in presenza sono molto diverse e devono tenere conto, in primo luogo, della sicurezza. Sintetizzando al massimo, tre sono i principi cui ci dobbiamo tutti attenere: vediamo quali sono e quali conseguenze comportano nella scuola. 1) Distanziamento, sia in posizione statica che in posizione dinamica I nostri bambini e ragazzi sono sempre stati abituati al contatto fisico tra di loro, ed è giusto che sia stato così; ma ora il principio da rispettare è l’opposto. Gli alunni dovranno mantenere sempre le distanze tra di loro, si muoveranno il meno possibile, avranno un’aula fissa ed un posto fisso; cambieranno ambiente di lavoro solo nelle ore di Educazione fisica, che si svolgeranno come di consueto in palestra. Entreranno ed usciranno da scuola alla stessa ora di sempre, ma avranno ingressi ed uscite dagli edifici scolastici differenziati; faranno l’intervallo (uno solo, per tutta la mattinata) in fasce orarie diverse; durante le pause staranno fuori dell’edificio il più possibile; non saranno possibili contatti tra i membri di una classe ed i membri delle altre. 2) La maschera di protezione Stiamo aspettando di sapere se la

ciale sulla fornitura delle mascherine da parte del Commissario nazionale per l'emergenza COVID-19; quindi, secondo le Linee guida per l'a. s. 2020/21, la mascherina dovrà essere in possesso degli alunni. Potrà essere autoprodotta (di tela) o di tipo chirurgico. Senza la mascherina non si potrà entrare a scuola. 3) Il gel igienizzante In tutti i locali della scuola verranno collocati dispenser di gel igienizzante. La scuola ne ha già acquistato una quantità consistente, anche se ci dicono che ci verrà fornito (di nuovo: nessuna informazione di fonte ufficiale). L'igienizzazione delle mani dovrà diventare prassi abituale perché nel corso della permanenza a scuola ognuno di noi tocca numerosi oggetti che vengono toccati anche da altri: maniglie delle porte, corrimani, tastiere di computer, banchi e sedie, attrezzi per l'educazione fisica. A questo proposito vale la pena ricordare che gli alunni non accederanno più agli spogliatoi: il giorno in cui è prevista l'attività in palestra, dovranno arrivare da casa con abiti adatti e cambieranno soltanto le scarpe. Scuola dell’Infanzia Nella Scuola dell’Infanzia, non essendo possibile distanziare i bambini e prevedere la loro permanenza nei rispettivi banchi, è necessario garantire la massima sicurezza possibile

stabilendo un rapporto fisso tra insegnante – piccolo gruppo – spazio utilizzato – giochi utilizzati. Quindi, le tradizionali 9 sezioni, comprendenti 212 alunni e miste per età, verranno scomposte per dare origine a 17 gruppi stabili, ognuno dei quali formato da un numero variabile da 9 a 14 bambini, ad ognuno dei quali verrà assegnato uno degli spazi ricavati con i lavori effettuati all’inizio del mese di agosto a cura dell’Ufficio Tecnico del Comune. Di questi, 14 gruppi troveranno posto alla “Salvo D’Acquisto” e 3 alla “IV Novembre”. Sarà quindi necessario azzerare le attuali sezioni e comporre i 17 gruppi, garantendo sempre ai bambini la continuità didattica laddove questa non confligge con l’esigenza di garantire la sicurezza. Sono state chieste risorse aggiuntive pari a 11 cattedre di insegnanti dell’Infanzia, necessarie per garantire la copertura delle 40h per 5 giorni per tutti i gruppi. Ad oggi non è possibile sapere se tale richiesta verrà accolta. Nel caso in cui il numero di risorse aggiuntive sia inferiore alle 11, queste verranno assegnate ai gruppi più alti per età, in modo da garantire la permanenza a scuola anche al pomeriggio per i bambini più vicini all’ingresso nella scuola Primaria. D’altra parte questo permetterebbe di eliminare o ridurre l’impatto della pausa riposo pomeridiano per i più piccoli, la cui gestione in sicurezza comporta problemi di difficile soluzione. L’accesso e la fuoriuscita dei genitori, uno per ogni bambino, dovrà

sono stati distanziati. Tutti gli abiti di ogni bambino verranno inseriti in uno zainetto, o in una borsa, che verrà appeso all’appendiabiti dedicato. Il servizio comunale di mensa fresca è garantito, utilizzando spazi aggiuntivi per i bambini che ne usufruiscono. Scuola Primaria La disposizione delle classi nelle aule esistenti garantisce la possibilità di accogliere tutti i bambini. Il problema più grosso resta quello della mensa, verificato che la tradizionale collocazione nel salone al piano terra non è più praticabile per le necessità di distanziamento. Si ritiene opportuno mantenere l’impianto dei cinque giorni, con due pomeriggi di frequenza obbligatoria, e cercare soluzioni per fornire in sicurezza il pasto alle famiglie che lo desiderano. Due vie paiono praticabili: tutti gli alunni che usufruiscono del servizio restano nell’aula e viene loro servito un lunch-box; oppure, alcune classi accedono, a turno, al refettorio; altre consumano il lunch-box nell’aula di studio. Il Comune sta definendo con la ditta appaltatrice del servizio i dettagli organizzativi. Le assistenti alla pausa mensa non potranno più avere in carico gruppi di bambini provenienti da più classi, ma solo quelli della stessa classe; questo comporterà, purtroppo, un inevitabile innalzamento dei costi del servizio. La permanenza degli alunni nella loro aula, e tendenzialmente al loro banco, per otto ore (8.00 – 16.00)

Un'aula della Scuola Secondaria ricavata dall'unione di due aule precedenti, in fase di ultimazione

avvenire con l'opportuno distanziamento. Sono previsti 4 accessi per la ”Salvo D'Acquisto” (due per l'ingresso e due per l'uscita) e 2 accessi per la “IV Novembre”. L'adulto dovrà essere munito di mascherina e si tratterrà nella scuola solo per il tempo necessario a consegnare il bambino all'insegnante del proprio gruppo. Gli armadietti per depositare gli abiti

presenta evidenti criticità. Una volta consumato il pasto, le assistenti condurranno i bambini all’aperto, anche durante la stagione invernale, utilizzando tutti gli spazi disponibili (campetto di calcio, cortile retrostante l’edificio, giardini di Piazza IV Novembre) e conducendoli in passeggiata; i bambini verranno educati ad utilizzare i percorsi di viabilità


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sostenibile e protetta realizzati dal Comune di Racconigi, in modo che diventi per loro abituale utilizzarli; nel frattempo sarà possibile aerare adeguatamente le aule nelle quali

personale scolastico. Scuola Secondaria di 1° grado L’organizzazione della scuola subirà cambiamenti notevoli: le classi sa-

5 Gli ingressi e le uscite avverranno alla stessa ora ma da 4 accessi diversi. Indicazioni generali Attualmente e fino ad indicazione contraria non è prevista la misurazione delle temperatura all'ingresso della scuola: sono i genitori che devono sincerarsi delle buone condizioni di salute del bambino o del ragazzo prima di portarlo a scuola. Nel caso in cui un alunno manifesti malessere durante l'orario scolastico, verrà condotto in un'aula apposita, verranno allertati i genitori ed il 118.

Andrà tutto bene. Probabilmente Andrà tutto bene se tutti quanti ci sentiremo responsabili della salute collettiva e se spiegheremo bene ai nostri fanciulli che il loro comportamento deve essere diverso da quello a cui sono abituati. Non abbiamo scelta: non esiste la sicurezza assoluta; esiste la sicurezza più alta possibile e dipende da tutti noi. Non esiste alternativa: la scuola deve ripartire e riprendere la sua funzione di educazione e formazione delle giovani generazioni. Lo dobbiamo fare in condizioni che sono difficili e

Una nuova aula della Scuola Secondaria ricavata dalla chiusura di un atrio

i bambini ritorneranno al termine della passeggiata. Anche l'intervallo di metà mattina verrà trascorso, quando possibile, all'aperto. Solo quando le condizioni meteorologiche la rendano impossibile l’attività verrà sostituita da una pausa di riposo con giochi da tavolo all’interno dell’edificio. Gli intervalli verranno differenziati, in modo da evitare assembramenti nell’accesso ai servizi igienici; saranno previste due pause di 20', per alcune classi alle 10.15 e per altre alle 11.00, senza ulteriori variazioni all’orario generale della Scuola. Saranno 6 gli accessi alla scuola, segnalati da appositi cartelli. Nessun genitore potrà accedere nell'edificio, se non su richiesta del

ranno collocate nelle loro aule e gli insegnanti si muoveranno dall’una all’altra. L’orario giornaliero resterà lo stesso (7.50 – 13.40) ma si effettuerà un solo intervallo, di 15’, di norma all’esterno dell’edificio ed in un luogo specifico per ogni classe; questo permetterà l’aerazione dei locali. Il contatto tra alunni di classi diverse non sarà possibile. L’intervallo verrà collocato per alcune classi al termine della 3^ ora, per altre al termine della 4^ ora. Il Corso musicale proseguirà regolarmente con i suoi lavori, ma non sarà possibile aggregare i ragazzi di 2^ e 3^ in un’unica orchestra; anche durante le attività di musica d’insieme dovrà essere garantito il necessario distanziamento.

Un'aula della Scuola Secondaria ricavata dai locali usati come laboratori, in fase di ultimazione

In quel caso i genitori sono tenuti a presentarsi tempestivamente a scuola perché senza di loro il bambino non può essere inviato al Pronto Soccorso.

diverse da quelle che abbiamo sempre conosciuto. Buon anno scolastico, vi aspettiamo a scuola. Racconigi, 27 agosto 2020

Mercoledì 11 novembre, ore 21 Racconigi, SOMS - Teatro danza Abbondanza e Bertoni “La morte e la fanciulla” di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni La relazione con la vita e la morte

CUNEIFORME Prenotazioni: 335.8482321 - info@progettocantoregi.it Sabato 26 settembre, ore 21 Racconigi, SOMS – Spettacolo Il Mutamento Zona Castalia “Favola di un’altra giovinezza”, di Eliana Cantone e Giordano V. Amato La relazione con il sé e il tempo Mercoledì 30 settembre, ore 21 Racconigi, SOMS – Spettacolo Scena Verticale “Mario e Saleh”, di Saverio La Ruina La relazione con il diverso Venerdì 2 ottobre, ore 21 Bra, Teatro "Politeama"– Incontro Giovanni De Luna, Aldo Agosti “La passione per il calcio e la propria squadra: l'unica relazione che dura una vita” Ingresso libero Sabato 3 ottobre, ore 21 Bra, Teatro "Politeama" - Lella Costa “Questioni di cuore” Le relazioni d’amore Mercoledì 4 novembre, ore 21 Bra, Teatro Politeama - Lezione Luca Mercalli “Com'è cambiata la nostra relazione con l'ambiente. Com'era e come sarà dopo il Coronavirus” Ingresso libero

Venerdì 27 novembre, ore 21 Cavallermaggiore, Teatro San Giorgio – Incontro Nives Meroi “La montagna sacra: il rapporto con l’alta quota” Ingresso libero GLI ALTRI APPUNTAMENTI 10 settembre, dalle ore 21 Racconigi - "Camminando a Racconigi” con Anpi e Progetto Cantoregi per ricordare la nascita della Resistenza in Piemonte l'8 settembre 1943 16 settembre Libro di Fabio Milazzo “Una guerra di nervi. Soldati e medici nel manicomio di Racconigi (1909-1919), Pacini Editore 19 settembre Racconigi, SOMS - Spettacolo “La Felicità è uno schiaffo", di Giorgia Goldini, monologo comico poetico INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI: Linea Verde Viaggi by Bus Company tel. 0112261941 mail: info@lineaverdeviaggi.it 24 settembre, ore 21 Racconigi, SOMS - Presentazione del nuovo libro di Isabella Garavagno e Duccio Chiapello, “Galeone Liceo” (Araba Fenice) Ingresso libero 30 ottobre, ore 18 Racconigi, SOMS - Presentazione del libro di Bruno Avataneo, “Le ossa affaticate di Salomon Castelletti”, Zamorani Ingresso libero


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a cura di Guido Piovano

Lettera aperta di donne credenti (ampio stralcio)

LA PACE NEL MONDO NON PUÒ FARE A MENO DELLE SCUSE ALLE DONNE DA PARTE DELLE GERARCHIE ECCLESIASTICHE Non sono donne atee, anticlericali o agnostiche coloro che hanno promosso e sottoscritto questo testo; bensì donne credenti, donne che hanno orientato la loro coscienza verso una spiritualità semplice e al tempo stesso aperta al soffio della Ruah, donne assetate di verità e giustizia, in ricerca di orizzonti di fede sempre più profondi e dilatati, donne che credono e praticano – nell’umiltà, ma anche nel coraggio della testimonianza – la sororità e la fratellanza umana di cui Gesù è stato testimone lungimirante. È alla questione della presenza delle donne nella Chiesa che vogliamo riferirci: non è affatto una richiesta di spartizione di potere, di cooptazione all’interno del sistema clericale attuale, ma è, invece, la questione dell’assunzione nei fatti della centralità delle relazioni, cui rinvia l’enunciato fondativo: “Maschio e femmina li creò”. Le relazioni tra donne e uomini den-

tro la Chiesa sono da molto tempo malate, perché intrise di stereotipi ingessanti a proposito delle donne: visioni svilenti, che ne deformano l’immagine negandole integrità. Da tali premesse il disvalore del femminile è logica conseguenza. E non ci si risponda che la Chiesa venera Maria, la quale sarebbe superiore a tutti gli apostoli, e quindi con essa venera tutte le donne; perché è la persona incarnata che va rispettata, le donne in carne e ossa, non la loro trasfigurazione immaginaria. Di quanto “l’esaltazione ideale della donna sia servita a coprire la sua insignificanza storica” abbiamo fatto – ahimè – una millenaria esperienza. Il Vangelo aveva parlato un’altra lingua: quella del discepolato di uguali, per dirla con la famosa espressione della teologa Schüssler-Fiorenza; il messaggio evangelico è testimonianza di libertà per donne e uomini. Nella Chiesa cattolica sono state istituite – e ne siamo sostenitrici – le

Giornate Mondiali della Pace. Si auspica la pace, ma si riconosce contemporaneamente la contraddizione di un mondo che predica la pace invocandola però sulla base di relazioni false, intrise di sfiducia/diffidenza reciproca. Ma c’è una contraddizione ancora più originaria. Come mai non si coglie che la prima radice di una relazione di sottomissione, il primo nucleo fondante dei rapporti di dominio risiede nelle relazioni donna/uomo? Non ci sarà pace senza questa consapevolezza e senza una profonda conversione. […] Proprio in quanto donne di fede crediamo sia venuto il tempo, ora, perché la gerarchia della Chiesa cattolica chieda scusa alle donne, […] sintetizziamo brevemente alcune violazioni gravi di cui il clero maschile si è macchiato (con la complicità a volte di donne consacrate) nei confronti del sesso femminile: • Ha escluso per secoli la donna dal riconoscimento di essere Immagine di Dio, poiché l’imago Dei era attributo esclusivamente riservato all’uomo. • Ha strutturato attraverso i secoli una visione culturale della donna che ha gravemente nuociuto alle relazioni tra uomini e donne, legittimando con il carisma del sacro (è un disegno divino, si è detto per secoli) i rapporti di dominio e sottomissione che caratterizzano le culture patriarcali. • Ha spesso usato e sfruttato il lavoro delle donne consacrate come lavoro schiavo, senza riconoscimento economico e sociale. • Ha esercitato (non sappiamo quanto, perché tutto è coperto dal segreto) abusi spirituali, di coscienza e sessuali. • Ha contribuito, con la demonizzazione del corpo femminile e la costruzione dell’immagine della “donna tentatrice”, a legittimare la

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visione per cui sono le donne le responsabili degli atteggiamenti molesti/abusanti dei maschi. • Ha voluto controllare nei dettagli la sessualità e il corpo femminile, ignorando la sfera del desiderio sessuale femminile e mai mettendo in discussione le forme autoreferenziali e non interattive della sessualità maschile. • Non ha preso distanza radicale nei confronti del consumo della pornografia e della prostituzione, attraverso una messa in discussione profonda della sessualità maschile. • Non ha ancora intrapreso una seria riforma della liturgia, del linguaggio pastorale e catechetico, che riconosca la soggettività delle donne. • Non ha fatto ammenda di traduzioni dei Testi Sacri intrise di pregiudizio patriarcale. • Perpetua una visione squilibrata del rapporto uomo/donna attraverso l’esclusione delle donne non solo dai ministeri, ma anche da tutte le sedi decisionali all’interno della Chiesa. Riconoscere tali frasi ingiuriose sarebbe un primo passo, soprattutto se non fosse una semplice dichiarazione di principio, ma si accompagnasse ad atti concreti e ad un inizio di collaborazione con le donne impegnate a porre un argine, attraverso la generazione di una nuova visione culturale, al drammatico fenomeno delle violenze contro le donne e ai femminicidi. Prime firmatarie: Paola Cavallari, Paola Morini - Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne Carla Galetto, Doranna Lupi - gruppi donne Comunità di Base Comunicazioni e adesioni: cavallaripaola1@gmail.com Il testo integrale: www.libreriadelledonne.it

AMAZZONIA E GIUSTIZIA SOCIALE, LE SUE BATTAGLIE Lo scorso 8 agosto è morto DOM PEDRO CASALDÁLIGA vescovo emerito della Prelatura di San Félix de Araguaia (Mato Grosso - Brasile) e uomo sempre fedele al Vangelo e alla causa dei poveri. Aveva compiuto 92 anni. Di lui ricordiamo la lettera pastorale “Una Chiesa nell’Amazzonia in guerra contro il latifondo e l’emarginazione sociale”, con la quale fin dal 1971 denunciava crescenti diseguaglianze, accaparramento delle terre e sofferenza della popolazione. Ha scritto di lui Josè María Castillo: “Era un vescovo senza ornamenti, senza palazzo, senza automobile, che solo una volta è andato a Roma. Perché glielo ha imposto papa Giovanni Paolo II. E si è presentato nella Curia vaticana con un cappello di paglia. Era un mistico, un poeta, instancabile difensore dei più indifesi che stavano alla sua portata. E a tutto ciò si aggiungeva quella che è probabilmente la cosa più difficile della vita: è stato un uomo con una sorprendente libertà

di dire ai ricchi e ai poveri quello che doveva dire loro, perché fossero pienamente umani.”

PADRE NOSTRO di Pedro Casaldáliga Fratelli nostri che siete nel Primo Mondo: affinché il suo nome non sia bestemmiato, affinché venga a noi il suo Regno; e si faccia la sua Volontà non solo in cielo ma anche in terra, rispettate il nostro pane quotidiano rinunciando voi al vostro sfruttamento quotidiano. Non intestarditevi a ricevere da noi il debito che non abbiamo contratto e che continuano a pagare i nostri bambini, i nostri affamati, i nostri morti. Non cadete più nella tentazione del lucro, del razzismo, della guerra; noi faremo in modo di non cadere nella tentazione dell’ozio e della sot-

tomissione. E liberiamoci gli uni gli altri da ogni male. Solo così potremo recitare insieme la

preghiera di famiglia che il fratello Gesù ci ha insegnato: Padre nostro – Madre nostra, che sei in cielo e che sei in terra.


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REPLICHE

Ad aprile 2020 uscivamo con insonnia in versione informatica a causa della impossibilità di stampare in cartaceo per la chiusura della tipografia e in ogni caso nella impossibilità di distribuire il giornale con i mezzi da noi consuetudinariamente usati. Su quel numero pubblicavamo la promessa di stampare alcuni articoli in un numero su carta per permettere anche ai non possessori di computer di poter leggere questi articoli. Ci siamo trovati, noi della redazione (sia pure ancora via skype e quindi in video), per decidere quali articoli sarebbe stato opportuno ripubblicare; questa “ristampa” non costituisce una premiazione per chi verrà ripubblicato ed una bocciatura per gli altri. Il criterio di scelta è stato quello della durata nel tempo dell’interesse per il tema trattato; sarebbe inutile ripubblicare un articolo che poteva avere interesse solo per il momento in cui veniva letto quando era comparso sul giornale. NELLE PAGINE CHE SEGUONO, CONTRASSEGNATE IN TESTA

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Il 16 marzo del 2010 ci lasciava Mirella Macera

UN TEMPO SOGNATO, CHE BISOGNAVA SOGNARE di Marco Pautasso, per PROGETTO CANTOREGI

Il 16 marzo del 2010 ci lasciava Mirella Macera, architetto della Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio del Piemonte, storica direttrice del Castello e del Parco di Racconigi nonché, tra i suoi altri molteplici impegni, coordinatrice del restauro dei giardini della Reggia di Venaria Reale e responsabile del complesso cantiere di ristrutturazione della Cappella della Sindone, dopo l’incendio del 1997. Non mancheranno, nelle prossime settimane, alcuni momenti dedicati a celebrarne la memoria: il 16 marzo, nella Cappella della Sindone, dove si raccoglieranno nel suo commosso ricordo colleghi ed amici; il 20 marzo, presso il Castello di Moncalieri, in un convegno su Parchi e Giardini Storici; nel mese di giugno, nel suo amatissimo Castello di Racconigi, con un percorso espositivo che ne ripercorrerà la straordinaria carriera professionale. Sono passati 10 anni: sembra ieri ma, paradossalmente, pare trascorso un

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secolo da quel fuoco di fila di iniziative che ha reso il Castello di Racconigi, in pochi anni, un laboratorio di innovazione e modernizzazione dei beni culturali, accrescendone anche la forza attrattiva in termini artistici, naturalistici e turistici, culminata nel raggiungimento dei 200.000 visitatori annui e nel riconoscimento, proprio nel 2010, di “Parco più bello d’Italia”. Una vertigine, da cui, forse, non ci siamo più ripresi. Dal 2001 al 2010 Progetto Cantoregi ha ideato e realizzato, presso il Castello e il Parco di Racconigi, proprio sotto la guida di Mirella Macera – con il coordinamento di Renato Balestrino e, spesso, con il contributo documentaristico puntuale del compianto Mario Monasterolo -, molti allestimenti scenici, aderendo con passione e convinzione al suo audace e rivoluzionario progetto di un'istituzione museale che non si limita all'esercizio della sola funzione conservativa ma si fa motore di iniziative di sviluppo culturale, didat-

CON LA SCRITTA: NELLA PRIMA STAGIONE DEL COVID-19 dunque ripetiamo questi testi nella speranza di far cosa gradita a tutti quanti. In quel numero di aprile promettevamo anche di pubblicare un volumetto o quaderno, con la raccolta di TUTTI gli articoli scritti a proposito del Covid-19; al momento non ci sembra ancora il momento, sia perché è meglio essere scaramantici e non dire troppo presto che tutto è finito e poi perché in effetti i dati ed i numeri ci dicono che non è ancora il momento di cantare vittoria. Cogliamo l’occasione per suggerire a coloro che amano scrivere le proprie emozioni di mandarci i loro pensieri intorno a questo fenomeno che, a lato della tristezza che ci ha procurato, ha un che di surreale, non fosse altro che per questo dobbiamo approfittare dei suggerimenti che il nostro animo ci propone. Anche questi contributi saranno pubblicati.

tico e spettacolare. Gli esiti artistici di questa sua felice intuizione, che Progetto Cantoregi ha inteso immediatamente abbracciare mettendone al servizio la propria poetica, frutti di questo sodalizio professionale ma anche e soprattutto umano, sono stati, in ordine cronologico: Colori di Presepi Napoletani in una Casa di Re, Altre Voci Altre Stanze, Le dimori Interiori, Cappellani del Re, Saudade. Canto delle lontananze, I Roda. Compositori di giardini, Il Giardino d'Inverno, Un giardino per Josephine, Piccoli Principi, Regine a Racconigi, I Giorni dello Zar, Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo. Nell'intento di offrire un'opportunità diversa e innovativa di scoperta della residenza sabauda e dei personaggi che vi hanno soggiornato, hanno inaugurato un linguaggio espressivo del tutto nuovo, un unicum difficilmente etichettabile, anche se oggi, possiamo affermarlo con orgoglio, sicuramente riconoscibile. Sono stati variamente denominati allestimenti scenici, viaggi multisensoriali, itinerari dello sguardo e dell'ascolto, visite interattive, percorsi immaginari, performance multimediali. Hanno costituito una delle pagine più significative e originali di quel “teatro fuori dal teatro” che è da sempre la filosofia di Progetto Cantoregi, proponendo non rappresentazioni tradizionali, ma nuove pratiche performative, sorta di esperienze immersive sinestetiche dove si combinavano luci,

visioni, apparati scenici, installazioni plastiche, voci, musiche, suoni, favorendo, nei visitatori, nuove capacità immaginative. Per Vincenzo Gamna, per Koji Miyazaki, per la meravigliosa e numerosa famiglia di Cantoregi, e per chi scrive, quell'intenso, indimenticabile periodo che ha coinciso con il nostro approdo a Racconigi, è stato qualcosa di più di un'esperienza artistica, pur straordinaria e per certi versi irripetibile. L'abbiamo già scritto, ma ci piace ribadirlo, in questa occasione: è stato un sogno, o meglio, come canta Ivano Fossati, un tempo sognato, che bisognava sognare. Insieme a Mirella.


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Michela: “Vivere la vita per quello che siamo. È un dono grande” di Michela Della Valle

Mi presento per i nuovi lettori di insonnia che ancora non mi conoscono: sono Michela Della Valle, sono affetta da tetraparesi spastica neonatale e voglio parlare del rapporto della società con i portatori di handicap. Da quando sono nata, ho provato molte difficoltà perché a volte incontro persone che fanno discorsi che mi feriscono. Adesso, in quelle situazioni, non soffro più perché in qualche modo mi sono realizzata, però non capisco ancora come possa una persona abile, una persona con tutte le possibilità di muoversi senza dipendenze, come possa dire che la vita è brutta o che il suo corpo è brutto. Penso che la vita in sé sia difficile per tutti, però, secondo me, senz’altro da apprezzare. Io sono una ragazza che esce e vive nella società; mi piace stare in mezzo alla gente, ma sento sempre persone insoddisfatte, persone che non dicono mai “io sto bene”. Non lo dico per un mio vanto, però se chi entra in casa mia mi chiede “come stai, Michela?” io cerco sempre di rispondere “benissimo!” proprio perché apprezzo la vita e penso che chi mi viene a trovare è perché ha scelto di dedicarmi del tempo, mezz'ora o cinque minuti dipende da quanto ne ha. Come ho detto tempo fa, ho aperto un gruppo di aiuto dove cerco di tirare fuori i dispiaceri delle persone che partecipano. Però negli ultimi tempi incontro molti che non danno valore alla vita. Oppure persone che mi dicono “per te è facile, stai tutto il giorno, dal mat-

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tino alla sera, lì seduta e c’è chi ci pensa, qualcuno che i soldi li guadagna per te”. A un certo punto dico, “basta!”. Voglio vivere la vita e penso che, data la mia condizione, posso insegnare ad altri a viverla. A mio parere i giovani, oggi non vivono bene, hanno mille cose da fare e non apprezzano più niente. Ci sono in giro gelosie e invidie, ho sofferto tanto per questo, ma è vero che sono riuscita a raggiungere dentro di me un buon equilibrio. Però, devo dire, non da sola ma grazie principalmente a papà e nonna e grazie a tutti quelli che mi vogliono bene, amici molto cari che mi rendono partecipe delle loro cose.

Mi capita, poi, che in situazioni di gruppo non mi venga rivolta la parola, come se io non fossi presente, come se non ci fossi proprio. Capita ad esempio nelle cene di leva. In quelle situazioni, non volutamente, però; di fatto ho poco da condividere con coloro che magari hanno avuto figli, vivono i problemi della scuola e altre tematiche che mi sono estranee. A volte la gente mi dice “ma tu mangi normale?”. A volte sono io a dire “vado a fare la spesa” o “vado in farmacia”, oppure “devo cucinare”, o “mi sono lavata i denti” e vedo la gente che sorride quasi che io, esprimendomi così, non volessi riconoscere la mia condizione. Ma io penso: uno che

ha gli occhiali dice ben “ho visto questo, ho visto quello”, non dice “i miei occhiali hanno visto”. Per me, la mia carrozzina, la mia accompagnatrice sono i miei occhiali, o no! Un’altra cosa: vivo una certa ritrosia nell’aiutarmi, ad esempio, a fare la doccia; capisco, ma resta il fatto che io ho bisogno. Vivo male quando le persone non sono esplicite nei rapporti con me, ritengo che ciò che fanno per aiutarmi, lo debbano fare volentieri. Non posso vedere persone cui pesa ciò che fanno e tacciono. Voglio più franchezza, sincerità. Ancora: come sanno i lettori di insonnia, io vivo con difficoltà il fatto di dover rimanere a volte fuori dai negozi e da certi servizi perché la carrozzina non può entrare e mi dispiace dover dire che da quando insonnia ne ha parlato, non è cambiato molto. E poi c'è la questione del ritiro dei documenti e dei referti medici per i quali è necessaria la delega che crea comunque una discriminazione. Essa sottolinea la mia diversità. E questo lo vivo male. In qualche modo si mette sempre il dito nella piaga. Come se il disabile non meritasse alcuna considerazione. Mi chiedo: che piacere è far soffrire una persona? Un posto dove mi sento benissimo è invece dalla mia parrucchiera, perché lì davvero mi sento normale, c'è tutto ciò che mi serve. E non è il lusso. Bisognerebbe invece puntare su un solo obiettivo: vivere la vita per quello che siamo. Il dono della vita è una cosa grande.

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Tu mondo, SILENZIO!

LA SOLITUDINE DI UNA DONNA DI FRONTE ALL’ABORTO Articolo firmato

In questi giorni si discute sull'aborto puntando il dito contro donne che l'hanno fatto, con la stessa leggerezza con cui si discute di calcio o altro, come se si potesse sempre discutere di tutto e dire la propria opinione. Nessuno la chiede in questo caso l'opinione del mondo, come non la si chiede quando

si decide di mettere al mondo un figlio, così nessuno la chiede quando si decide di non farlo nascere. Cosa ne sa il mondo di una cosa così? Poco, pochissimo, tanto che c'è chi pensa che si vada in pronto soccorso per interrompere una gravidanza, come per farsi ricucire un dito. No, per interrompere

una gravidanza si deve intanto volerlo, e non è una cosa così semplice, perché caro mondo anche una donna che decide di abortire sa dal momento in cui effettua il test che è madre, esattamente come tutte le altre. E credete sia semplice? Tenere in mano quello stick travolte da qualcosa di così enorme?

Dovevi pensarci prima direte voi, ineccepibile. Ma mondo tu non eri lì neanche prima e che ne sai di com'è andata? Se prima lei ha preso precauzioni? I dati nel 2020 dicono che solo il 57% degli italiani utilizza un contraccettivo, che sia pillola, spirale, diaframma e anche preservativi. E chi se ne occu-


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pa è quasi sempre la donna, o almeno è lei a richiederlo, ma le "cose" si fanno in due, peccato che poi però il dito sarà puntato solo su di lei. Anche in questo caso è solo la donna a dover essere messa sotto accusa? La stessa donna che poi dovrà pagare le conseguenze di un atto concepito da entrambi? Giudicare è facile, a te importa la motivazione, come può una madre? Può perché magari non è dipeso da lei quell’atto, può perché magari non possono mantenerlo, può perché magari ha delle sue problematiche fisiche che le impediscono di portare avanti la gravidanza, magari le precauzioni le han prese e non hanno funzionato e hanno 18 anni e neanche un lavoro, può perché lo sa lei il perché. Tu invece mondo cosa ne sai di quello che le passa per la testa ogni minuto, ogni giorno, mentre valuta se può tenerlo, e se non lo tiene cosa accadrà, e se lo tiene come farà, cosa credi che si decide di abortire alzandosi dal water con lo stick in mano, mentre si tira lo sciacquone? Con la stessa velocità con cui tu mondo la giudichi? No! Ci vorrebbe una vita per una decisione così, ma lei sa che ha sì e no un mese al massimo, poi dovrà trovare un ginecologo che la visita, che la dichiara incinta e soprattutto che consenta a prescrivere l'aborto. E non è semplice, perché nonostante una legge lo permetta, ci sono moltissimi obiettori. Credi sia facile andare in ospedale, diventare un numero per questioni di privacy, effettuare esami, sostenere sguardi pesanti di chi sa perché sei lì e cosa hai deciso di fare. Credi sia facile arrivare lì quella mattina in cui accadrà, dopo quasi 3 mesi in cui il tuo corpo è cambiato, in cui sei pienamente e sottolineo pienamente consapevole di essere madre, essere visitata sen-

za la minima delicatezza, anzi, e questo è solo l'inizio. Essere lì in un letto con altre 5, in una delle tre stanze da 6 letti di quel particolare settore in cui si pratica la Ivg e solo quella. Entrare in sala operatoria, due tavoli operatori divisi da un séparé, alzarti per stenderti sul tavolo mentre il chirurgo ti mostra il cestino in cui finirà tuo figlio, e ti guarda con una freddezza mai vista, altro sguardo sommato a tutti gli altri, che mai dimenticherai. Sdraiarti e mentre stai per lasciarti andare all'anestesia, ripensi al foglio firmato in cui sollevi l'ospedale da qualsiasi conseguenza,

anche quella di non poter un domani avere più figli, e ti dici che forse sarà la tua punizione e che è giusta. Poi ti svegli e senti che non c'è più, sei di nuovo tu e sei di nuovo sola. Lì in mezzo a pianti e silenzi e sguardi di chi sa cosa senti ma che non ti chiederà mai perché lo hai deciso. E ti resta la nausea ma nessuna pietà, se non ti alzi da sola vomita di lato e poi pulisci, in bagno? Quando ce la fai vai, non siamo qui per accompagnarti. Già ma qui non c'è nessuno ad accompagnarti, nessuno. Che ne sai mondo che a 18 anni lì sei la più giovane e le altre, tutte italiane quel

giorno, hanno dai 25 in su, tutte adulte eppure sono lì? Come te lo spieghi? Nessuno gli ha spiegato che dovevano pensarci prima? Vuoi farlo tu? E allora fallo! Fallo nelle scuole, spiega già ai bambini che non arrivano da cavoli e cicogne, spiega che non è come nei film, che ci sono delle conseguenze e che forse l’aborto non è la peggiore, spiega che l’HIV non è scomparso, spiega che poi tu mondo quando saranno incinte non farai nulla per aiutarle ma sarai lì pronto con il dito puntato se da sole decideranno che non possono tenerlo. Dove sarai quando avranno bisogno di te e dov'eri prima di quel momento? Perché alcune se tu fai davvero il tuo dovere forse in quella stanza non dovranno mai finirci, perché useranno gli anticoncezionali sia lei che lui, o perché se succederà che resteranno incinte tu le sosterrai invece di giudicarle, perché sii sincero se abortisce a 18 anni la giudichi, ma se lo tiene la giudichi lo stesso. E poi accetta che anche se farai in modo da educare davvero alla sessualità e alla contraccezione e se sosterrai chi deciderà di tenere un figlio, accetta il fatto che ci sarà comunque chi per motivi suoi e solo suoi deciderà per un Ivg e tu non hai nessun diritto di giudicare, perché lei si è giudicata e si giudicherà da sola, per sempre. Penso caro mondo che sia qualcosa davvero delicato da trattare così superficialmente, quindi se leggendo queste righe non hai delle vere risposte, se non sai davvero cosa si prova, se tu per primo non hai fatto nulla di concreto perché anche solo una donna non debba fare quella scelta, e se non farai nulla neanche in futuro, resta solo una cosa che puoi fare, silenzio.

RACCONTO ILLUSTRATO Storia di uomini e pomodori è un storia vera. curiosità di seguirci per le tre puntate del racconto che La storia di un uomo e di tanti altri come lui che ognuno continueremo a pubblicare nei mesi di ottobre e novemdi noi potrebbe incrociare andando per la propria strada. bre prossimi. Alcuni nomi di persone e luoghi sono di fantasia, ma non c’è nulla di inventato in quello che raccontiamo. Proviamo a farlo con un linguaggio semplice senza cadere nel semplicismo. Perché il mondo è complicato e capita spesso che le cose non siano come appaiono. Come avranno modo di scoprire i lettori che avranno la pazienza e la


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Lettera aperta

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In ricordo di Roberto Sanson di Domenico Perrone

Ciao ROBERTO Ti voglio ricordare, oltreché per la sincera amicizia che ci univa, in modo particolare per la tua passione per la cultura e la storia della nostra città, dandone testimonianza, seppure parziale, in questa breve nota. Con te e grazie a te, insieme a Mario Monasterolo, Ubertino Longo, Carlo Sismonda, che ci hanno lasciato, e altri amici, nel 1995 venne fondata “ l’Associazione Amici della Storia di Racconigi”, in prosecuzione dell’opera di studi sulla storia locale iniziata dal Dott. Aldo Mainardi. Mi vengono in mente le interminabili serate in cui dovevamo tenere a “freno” la tue “vulcaniche” proposte di attività culturali da progettare. Ricordo il tuo impegno di coinvolgere persone, associazioni, enti (come solo tu sapevi fare) nell’organizzazione, reperimento risorse, realizzazione di eventi. I tuoi viaggi in Regione a Torino per il finanziamento del restauro del coro ligneo della chiesa di S. Chiara o il coin-

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volgimento di Monsignor Marchisano per gli affreschi dello stesso, o ancora i tuoi contatti con imprenditori locali per il restauro dello stemma di S. Giovanni sul portale della chiesa e delle meridiane sulla parete laterale e il restauro del grande affresco dell’Annunciazione sul portale di S.Domenico. E ancora la tua assidua attività per il recupero del patrimonio librario del fondo antico della biblioteca civica, con testi del 1500 e secoli seguenti, al tempo depositato presso alcuni locali malsani dell’ex Ospedale neuro, la loro pulizia, sistemazione e ricatalogazione (oltre 2.000), con la collaborazione di Bruna Paschetta e studentesse racconigesi; il recupero dell’archivio storico dell’ex Setificio Manissero, importante esempio della fase della preindustrializzazione; il recupero dell’archivio della SOMS. E come non ricordare il tuo impegno per la organizzazione della ricorrenza nel 1998 degli “ottocento” anni di Racconigi COMUNE, in cui sei riuscito, oltre al comune, a coinvolgere per l’evento, forse per

la prima volta, quasi tutte le associazioni racconigesi, con la celebrazione ufficiale in consiglio comunale straordinario, con ben 21 sindaci presenti, la mostra dei documenti storici comunali attinenti in S. Giovanni Decollato, la rappresentazione scenica degli eventi significativi degli otto secoli nella Chiesa di S. Giovanni, grazie alla tua opera per l’assenso tramite Don Aldo e la

comprensione “titubante” del Priore Don Felice, dato il luogo. Le rievocazioni storiche per le vie cittadine, con l’allora gruppo storico di Mario, per la festa del grano o per l’insurrezione per il pane avvenuta nel 1797, con ben 12 morti racconigesi, o ancora gli eventi di Racconigi porte aperte in cui vestivi, con estremo realismo anche per tua presenza fisica, gli abiti di padre domenicano, tanto da ingenerare (?) dubbi per una tua tardiva vocazione! Potrei ancora aggiungere la organizzazione del convegno sulla legge 180 Basaglia sulla chiusura degli ospedali psichiatrici, la collaborazione con la Soprintendenza alla catalogazione dell’archivio della parrocchia e così via su altri numerosi eventi in cui sei stato grande “motore”. Caro Roberto, mi e ci mancherà, oltre la tua amicizia, la tua sensibilità, l’entusiasmo e la creatività nel riscoprire e conoscere la cultura e la storia della nostra città.

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La rabbia di José Mujica verso il capitalismo “Il coronavirus non lo fermerà. Il dio mercato è la fanatica religione del nostro tempo” di Dominella Trunfio, 30 marzo 2020- Vivere Costume & Società

https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/coronavirus-mujica-capitalismo/

Prima o poi ripartiremo. Ci è sembrato doveroso domandarci cosa a quel punto saremo diventati, migliori o peggiori di oggi. Queste note di Mujica sul ruolo che potrà giocare l'uomo nella salvaguardia dell'ambiente in un mondo globalizzato dominato dal capitale ci è sembrato un buon inizio per la riflessione. (g.p.) ‘Il coronavirus metterà fine alla globalizzazione capitalista?’. Da casa sua, in un’intervista con Jordi Évole, l’ex presidente dell’Uruguay Josè ‘Pepe’ Mujica, apre uno spaccato sulla società ai tempi del Covid-19. “No, non sarà il virus a fermare il capitalismo”. Conosciamo bene Pepe Mujica, presidente emerito dell’Uruguay che già con il suo libro “Una pecora nera arriva al potere”, ci rimanda a insegnamenti importanti da rivoluzionario tranquillo. Adesso, costretto come tutti, alla clausura forzata, in videochiamata con Jordi Évole, personaggio pubblico e ideatore del programma tv “Lo de Évole”, attualmente sul web per via del coronavirus, racconta il suo punto di vista su una società investita

dalla pandemia e in continuo movimento, in cui sembrano essere cambiate abitudini e priorità. E per farlo non utilizza mezzi termini, anzi. La sua è vera e propria rabbia, e non la nasconde (usando anche qualche espressione molto forte)… “Non sarà il virus a decretare la fine del capitalismo. Questo deve venire dalla volontà organizzata degli uomini, che sono stati quelli che lo hanno creato”, spiega e precisa che “è l’uomo che deve distruggerlo. Il dio mercato è la religione fanatica del nostro tempo, governa tutto”, afferma Mujica. “Non so se sia una situazione reversibile”, sottolinea ma precisa che “dobbiamo lottare affinché lo diventi. Questo virus ci spaventa e prendiamo un certo grado di misure

quasi eroiche. Sul piano del mercato, della globalizzazione bisognerebbe rispettare determinati parametri”. ‘Pensa che da questa pandemia possa uscire qualcosa di buono?’ chiede ancora Évole.


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“Grazie a questo spavento generale potrebbe emergere un po’ più di generosità e meno egoismo. Ma mi domando perché i vecchietti continuino ad accumulare denaro. Parlo di miliardari, di gente che concentra la ricchezza”, dice ancora Mujica. “Non siamo in guerra, questa è una sfida che la biologia ci pone per ricordarci che non siamo i proprietari assoluti del mondo come ci sembra”. E continua: “Questa crisi così grave può servire per ricordarci che i problemi globali sono anche i nostri problemi”. E lancia un appello: “Dobbiamo combattere l’egoismo che ci portiamo dentro al fine di superare il coronavirus, dobbiamo diventare socialmente uniti gli uni agli altri”. D’altra parte, l’ex presidente dell’Uruguay mostra la sua delu-

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sione nei confronti dei leader mondiali nei confronti dell’attenzione verso il riscaldamento globale: “Non è un problema ecologico ma politico. Mai l’uomo ha avuto così tante risorse, capacità o capitale per fermarlo. Stiamo andando a un “olocausto ecologico” e stanno preparando una padella gigantesca per friggerci”, dice. L’ex presidente poi invia un messaggio a tutte quelle persone che stanno vivendo la quarantena del coronavirus: “La peggiore solitudine è quella che abbiamo dentro, è tempo di meditare. Parla con te stesso e cerca di immaginare una finestra sul cielo”. E infine, a tutti coloro che si sentono sconfortati in questo periodo, Mujica dice: “Finché avrai una ragione per vivere e combattere, non avrai tempo per la tristezza”.

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DIECI MINUTI CON LA BELLEZZA:

Eliminare il superfluo? di Rodolfo Allasia

In questa forzata quarantena in molti abbiamo preso atto che si può vivere con molte comodità in meno di quelle a cui eravamo abituati prima dell’emergenza e abbiamo ancora la speranza che di questo pensiero terremo conto anche dopo. Così, parlando con una amica, ho paragonato le nostre diminuite attività quotidiane alla riduzione di inutili dettagli nelle opere compiuta da un buon numero di artisti figurativi quando arrivano alla cosiddetta maturità. Partiamo del nostro concittadino Giuseppe Augusto Levis (18731926) così, quanto dirò, lo potrete confrontare dal vero nelle sue opere esposte nel Palazzo Comunale. Fino all’età di 25 anni circa Levis dipingeva i suoi paesaggi con una pratica che possiamo definire accademica: scarsità di colore, pennellata molto fluida, ricchezza di dettagli, il tutto inserito in un paesaggio che manca di anima poiché lo scopo del dipinto pare essere assolutamente decorativo. Lui stesso volle, nel testamento che questi quadri fossero distrutti. Buona tecnica ma fredda e impersonale. Dopo l’inizio del 1900 per almeno un paio di buoni motivi Levis

modifica totalmente la sua tecnica come pure il suo approccio alla pittura. Inizia a frequentare il suo maestro Delleani, ormai nella sua maturità artistica, (pennellata più decisa con pochi dettagli, dipinti in

plein air) con il quale inizia a dipingere anche lui all’aperto e dato che la luce cambia con rapidità anche il lavoro deve essere finito più rapidamente: eliminando i dettagli. Levis, arruolato al fronte durante

la prima guerra mondiale dipinge nelle trincee, sicuramente ad un ritmo ancora più accelerato (ne va della pelle!) ed emotivamente è per certo molto toccato dalle tragiche situazioni a cui assiste. Una pittu-


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di autori anche italiani; la natura morta sul tavolo è anch’essa di impianto classico e composta per mettere in evidenza l’abilità pittorica dell’artista nei dettagli. Anche i volti e le mani dei tre personaggi sono dipinti con diligenza e ricchezza di dettagli anatomici. Facciamo ora una analisi, sia pure sommaria, di un’opera della maturità (1656 all’età di 57anni) di Velasquez (ormai pittore di Corte di Filippo IV e ispettore artistico del patrimonio del Re: non ha necessità di dimostrare quanto sia egregia la sua abilità di pittore essendo molto ben pagato per il suo lavoro). In quell’anno dipinge “Las Meniñas” (olio su tela 318x276), un’opera che è unanimemente riconosciuta come il capolavoro dell’artista. La composizione oltre a voler rappresentare chiaramente la committenza reale descrive le rigide usanze della corte spagnola poiché ogni personaggio occupa un posto preciso secondo un ordine gerarchico ma la libertà con cui Velasquez costruisce la scena, inserendo se stesso mentre dipinge i due sovrani, rappresentati però nello specchio in fondo e quindi come se il Re e la Regina fossero vicino a noi che osserviamo il quadro, occupa poi una discreta parte del dipinto con il retro del quadro

quanto nell’aspetto scenografico-teatrale dell’opera, che risulta così viva e significativa di quel momento.

che sta dipingendo. Al di là della ‘modernità’ della composizione, da vicino possiamo notare con quale libertà dipinge i tratti anatomici di tutti i personaggi (quelli dei sovrani sono quasi evanescenti) e con quale parsimonia di pennellate (rapide e personali) costruisce i particolari degli abiti dei personaggi. Tutto ciò quasi a voler dire che l’importanza del dipinto non sta tanto nella esecuzione accurata

riprodurre. Per chiudere; è vero che coll’andare degli anni perdiamo così tante qualità da non permetterci più di essere noi stessi o abbiamo capito che cosa è l’essenziale per poter vivere in pieno la vita che ci resta; la nostra vita? O, per dirla in un altro modo: è più importante sapere quanto tempo ci resta o come occupare quel tempo che abbiamo?

Allora sono i mille particolari della nostra vita frenetica che hanno importanza per il nostro essere? Oppure questi servono unicamente a dimostrare tutto ciò che abbiamo accumulato o servono a far vedere al mondo di quanto potere disponiamo? Oggi che siamo chiusi nelle nostre case e non possiamo ripetere tutto ciò che facciamo regolarmente ci rendiamo conto che potremmo vivere con quello che si può mettere nello zaino per fare una passeggiata in montagna? O questa situazione è solo emergenza? Ed il pittore ha bisogno, che sia Levis o Velásquez, di tutte quelle minuzie che potevano far stupire l’osservatore oppure gli sono sufficienti quelle veloci pennellate che descrivono egregiamente le condizioni della vita di cui godevano in quel momento in cui realizzavano la loro opera? Il valore di quelle opere senza le pennellate superflue diminuisce o si accresce? Di solito si dice che cresce perché esprime lo spirito dell’artista, la sua personalità la sua natura, unica, impossibile da

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ra dura, materica, scabra. Dopo il 1920 le sue opere risentiranno di queste esperienze e la sua tecnica pittorica sarà ridotta all’essenziale; andrà a dipingere sulle nostre montagne, userà le spatole più che i pennelli; cresce la quantità di colore utilizzato ma anche la rapidità

con la quale lavora e questo rende impossibile l’esecuzione dei particolari, però ne acquista in espressività. Nel mercato artistico queste opere sono quelle che spunteranno i prezzi migliori. È praticamente impossibile copiare un quadro di questo tipo poiché è la mano e lo spirito dell’artista che determina l’opera finita, sarebbe come copiare la calligrafia di una persona che scrive con la penna ad inchiostro. Certo è possibile imitare lo stile ma non il suo gesto. Saltiamo indietro di circa trecento anni e analizziamo uno dei più grandi pittori spagnoli : Diego Velasquez (1599-1660). All’età di 17 anni Velasquez dipinge “Il pranzo” olio su tela 108x102 (per vederlo bisogna andare a S. Pietroburgo, voi dovete accontentarvi della nostra povera riproduzione), il tema è classico dell’epoca (tre età dell’uomo), quadri del genere ne possiamo trovare molti


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Maggio 2020

Luis Sepúlveda

Storia di un poeta e del magico dono che fece agli altri uomini di Luisa Perlo

I cieli cileni sono attraversati in questi giorni da un’ombra lieve, un’immagine dotata del senso dell’infinito, della imperturbabilità che solo la consapevolezza del non finito garantisce: è Fortunata, la gabbianella a cui Luis Sepúlveda, per mezzo del gatto Zorba, insegnò a volare e ad abbattere gli ostacoli. La sua tristezza è la nostra, da quando abbiamo saputo che il maledetto Covid-19 si è portato via lo scrittore, il menestrello, il poeta cileno, privandoci così del dono della sua parola. Raccontare la storia dell’uomo nato a Ovalle, in Cile, nel 1949, è come fissare lo sguardo in un caleidoscopio, dove frammenti di vita e di esperienza si mescolano e si riflettono per originare figure sempre diverse, ma sempre simmetriche. Avventuroso, idealista, sostenitore indefesso delle proprie convinzioni, pronto a battersi nel vero senso della parola con chi si frapponesse nel suo cammino verso l’utopia, verso il non luogo che sperava un giorno di veder concretizzato, Luis Sepúlveda è anche e soprattutto lo scrittore, colui che ha raccontato incredibili avventure e favole moderne che lo hanno portato al successo mondiale. La sua vita potrebbe far invidia anche ad Indiana Jones: nato già fuggitivo, cresciuto da un nonno anarchico che fece scaturire in lui l’amore per i romanzi d’avventura, visse il dramma del colpo di stato nel suo paese, che portò alla dittatura militare di Pinochet. Né il carcere né le torture e le condanne subite plasmarono il suo animo ribelle, che continuò a manifestarsi durante i suoi viaggi tra l’Europa e il Sud America, tra le spedizioni che lo portarono a vivere per lunghi mesi a contatto con gli indios o a partecipare alle lotte in mare di Greenpeace contro lo sterminio delle balene. Il tempo della vita di Luis Sepúlveda è stato un tempo denso e spesso, mai sfilacciato, in cui gli impulsi della ragione e quelli del cuore erano in perenne contrasto, senza che mai uno dei due venisse soffocato. E così l’uomo, il combattente, è stato anche giornalista, uomo di teatro e scrittore, quest’ultimo soprattutto nella seconda parte della sua vita. Poiché la sorte è beffarda, colui che era sopravvissuto ai getti d’acqua gelida delle baleniere giapponesi, alla prigione e alla tortura volute da Pinochet, ai proiettili delle mitragliatrici in Nicaragua e alle gigantesche zanzare dell’Amazzonia è stato sconfitto da un virus subdolo e potente, al quale ha dovuto arrendersi. Saranno i suoi libri a continuare a farlo vivere tra di noi, come sempre accade ai grandi scrittori capaci di raccontare il mondo da un punto

di vista insolito. Luis Sepúlveda lo ha fatto ad esempio nelle sue favole, libri con protagonisti gli animali che parlano e ragionano come quelli di Esopo e di Fedro, lasciandoci una morale semplice ma cristallina. Fu proprio la gabbianella Fortunata, con la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, a rivelare la sua capacità di trasformare in favola il suo vissuto, le sue ansie e le sue gioie. Ma poi arrivarono la Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, la Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, la Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà e infine la Storia di una balena bianca raccontata da lei, considerato un piccolo capolavoro, un pamphlet filosofico moderno. Facendo propria la tecnica dello straniamento, Sepúlveda ha ribaltato i punti di vista, è la lettura del mondo nell’ottica dell’animale a costituire il cuore del racconto, con un finale narrativo edificante, tanto semplice quanto incisivo. Il mondo, ci racconta l’autore, è costituito di dicotomie, di opposti, o c’è la vita o c’è la morte, o il bene o il male, o la povertà o la ricchezza e via discorrendo: pronti sempre a collocarci dalla parte del giusto, veniamo messi a dura prova nelle nostre caparbie convinzioni quando proviamo ad ascoltare la voce della balena, della lumaca, del cane. L’insegnamento è tutto lì, racchiuso in un finale che apre a mille possibilità, nella convinzione che la lettura sia una chiave d’accesso ad un mondo migliore: non saranno i letterati

a cambiare il mondo, ma certo il loro apporto sarà fondamentale. D’altra parte, sin dal suo romanzo d’esordio, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, il suo essere un menestrello moderno, un aedo senza tempo, era apparso evidente: come il vecchio Antonio Josè Bolìvar Proano, con i suoi segreti nascosti nel più profondo anfratto del suo cuore, anche lui è vissuto tra gli indios nella grande foresta e ha capito qual è il legame che deve unire l’uomo alla natura, troppo spesso ferita. Raccontare tutti i personaggi, molto spesso caratterizzati fortemente da pennellate autobiografiche, è impresa ardua, in quanto sono tanti, troppi e tutti ugualmente belli. A volte Sepúlveda è autobiografico esplicitamente, come accade nel resoconto del viaggio compiuto in Patagonia e nella Terra del Fuoco (Patagonia Express), altre volte lo ritroviamo tra le pieghe di protagonisti come Juan Belmonte, l’uomo che insieme alla sua compagna ha vissuto sulla propria pelle la dittatura e non riesce a scollarsela di dosso, maturando disillusioni, rimpianto e sfiducia, prima del guizzo di vita finale. Come non vedere l’autore tra le righe di Ultime notizie dal sud, storia di un fotografo e di uno scrittore in viaggio nella steppa patagonica, dove raccolgono immagini di una natura ancora padrona di se stessa e ascoltano storie popolate di fantasmi, di folletti, di un passato in bilico tra magia e realtà. Il passato in realtà non ti abbandona mai, è il frutto di ciò che si è stati, anche se lo scorrere del tempo modifica molte cose: lo sanno bene i protagonisti di L’ombra di quel che eravamo, storia di militanti sostenitori di Allende che si ritrovano a decenni di distanza per tentare un’ultima azione rivoluzionaria. A ben vedere, la vita di ciascuno è una storia e per Luis Sepúlveda la vita è piena di storie, che si snodano e si intrecciano mettendo a nudo difetti e qualità, menzogne e verità nascoste, basta saperla leggere: come fa lui stesso cercando di riannodare i fili delle vite disperse di alcuni ragazzini immortalati in una fotografia, col desiderio di scoprire il loro destino personale insieme a quello di un paese, il Cile, uscito da una lunga e sanguinosa dittatura (Ritratto di gruppo con assenza). Luis Sepúlveda ci ha lasciato le tracce del suo passaggio, della vita dell’uomo che è stato definito l’ultimo cantastorie e ci ha fatto dono di parole, poiché le parole sono come il vino: hanno bisogno di respiro e di tempo perché il velluto della voce riveli il loro sapore definitivo (La lampada di Aladino).


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L’importanza di una nuova carrozzina

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Michela: «I dolori che mi accompagnano nel quotidiano li ho fatti diventare miei amici» di Michela Dellavalle

Mi presento, mi chiamo Michela Dellavalle, sono affetta da una tetraparesi spastica neonatale. I lettori di Insonnia già mi conoscono perché ho più volte parlato delle mie esperienze di disabile e proposto su queste pagine le mie riflessioni. Questa volta vi voglio parlare di una esperienza bellissima capitatami negli ultimi mesi. Tutto è incominciato perché la mia zia mi vedeva sempre tutta storta sulla carrozzina; allora ha preso le cose in mano ed è riuscita a farsi fare l’impegnativa dal medico di base per una visita fisiatrica, che ho poi fatto il 31 ottobre dello scorso anno. In quella circostanza mi hanno consigliato di cambiare carrozzina e di andare a Torino in un Centro che si chiama “Ortopedia Cris di Giorgio Canelli”. Prima dell’incontro, la zia ha contattato questa persona - che non saprò mai come ringraziare - che le ha detto “mi mandi le foto così mi faccio un’idea della postura”; noi le abbiamo poi inviate tramite WhatsApp. Siamo poi andati al Centro con la Croce Rossa e là praticamente c’erano già due carrozzine da provare e mi hanno seduta direttamente su questa, senza fare cuscini, imbottiture o altro. È una carrozzina che mi soddisfatta del tutto perché sulle ultime tre carrozzine ero sempre storta e sono stata storta 12 anni prima di andare in questo Centro. Per questo, per i miei problemi alla schiena, quando i dolori sono forti, devo fare una cura antalgica specifica con un po’ di morfina. Dal 7 maggio ho questa carrozzina. Mi sembra proprio di essere seduta sopra un petalo di rosa perché è morbidissima, sto benissimo. In più la zia ha avuto la brillante idea di farla motorizzare a vantaggio di papà che sta diventando anziano e

della stessa zia che farà meno fatica ad accompagnarmi e perché volevamo facilitare la spinta alle mie compagne di viaggio Nicoletta e Maria. Sono contenta di pubblicare questo scritto e ho tante cose da dire: al Centro ho trovato persone competenti e umane e vi dico che se avete bisogno di una carrozzina rivolgetevi a me che io vi dò volentieri l’indirizzo. Già di mio, ho amato tutte le carrozzine che ho avuto, ma questa è proprio stata una benedizione perché mi ha cambiato la vita fin da subito. Per scorta ho tenuto l’altra e oggi quando vado in bagno, passando, la vedo e penso sinceramente “come ho fatto ad usarla per così tanti anni”, non tornerei indietro neanche mi pagassero oro. Aggiungo ancora che questa carrozzina mi permette di vedere cosa mangio, cosa ho nel mio piatto, sono molto contenta di questo. Sono serena e tranquilla perché posso mantenere la posizione dritta della schiena, anche se per ora porto una fascia, una cinghia che mi lega allo schienale e che terrò per i primi tempi perché essendo stata tanti anni all’indietro, ora mi vengono dei capogiri a stare più dritta e ho paura di cadere in avanti. Inoltre, ho ancora sempre le mie paure dovute alla malattia, tipo stare sola fuori da un negozio, paura di cadere anche se so che non cado. Io ho dato a tutte le mie carrozzine e ad ogni parte del mio corpo un nome - come posso spiegare questo? - per amarle ancora di più: così per le mani, di cui una non sta proprio aperta; quella mano si chiama Morena, poi c’è Fragolina; ci sono le gambe che si chiamano Guendalina e Petali di rosa, c’è il dolore alla schiena che è Arturo e la carrozzina che si chiama Pandora perché ha

cuscini soffici come un pandoro. Io parlo con loro chiamandole per nome come ci si rivolge ad una persona, ad esempio dico alla mano sinistra “Morena apriti, cerca di aprirti, rilassati” oppure “Arturo vieni in braccio che andiamo a dormire”. Tutto così, e questo mi aiuta tanto perché i dolori che mi accompagnano nel quotidiano li ho fatti diventare miei amici.

Lettera a Beppe al tempo del virus di Rocco Agostino

Ciao Beppe. Due anni fa sei sceso in questa fossa, vicino a Maria, seguito dagli accordi di una chitarra che accompagnavano Bella Ciao. Sai cosa ho trovato in questi giorni? La fotografia di quando rientrammo, con Gino Longagnani, da Ponza. Siamo davanti alla nostra stazione. Giovanna, tu, io, Gino sorridente, Roberto, Bruno Crippa e altri. Un bel ricordo. Un piccolo comitato d’accoglienza dopo un applauso da spellarsi le mani. A Ponza tu non venisti. Non te la sentivi. Una sfacchinata pure per te, un partigiano duro che aveva superato da qualche anno gli ottanta. Bella quella partenza! Gino sul treno, a Porta Nuova, sistemato nel vagone letto. In mano non so quale giornale. E Bruno, mio figlio, che lo riprendeva. Lui non sapeva ancora che sarei partito con loro. Quando s’accorse che il treno si muoveva ed io restavo sopra, fu veramente felice. Lo ero anch’io. Il giorno dopo avremmo girato tutti per i vicoli di Ponza, fatto e rifatto tanti gradini come li fecero, per anni loro, quelli che scrissero la Costituzione. A quei tempi, ci raccontava Gino, c’erano dei confini imposti, dei limiti invalicabili. Sai che non è male questo posto? Stai giusto all’ingresso del cimitero. Proprio sul passaggio. Non ti si può non vedere. Il Duemila e venti ci ha portato la bella notizia. In giro per il mondo c’è un virus. È la novità di quest’anno. Si va in giro indossando tutti una mascherina. Per precauzione. Per sicurezza. Da

febbraio che va avanti questa storia. Più o meno dalla data del tuo compleanno e di quello di Gino. Pure il 25 Aprile è stato una cosa strana. Niente sfilata e nemmeno una fiaccola. Sempre per il virus. Hanno scritto che voi partigiani, al tempo della Resistenza, superaste ben altre difficoltà. Vero. Ma ora è diverso. Non vedi più divise e mostrine tedesche. Non saltano fuori, dal buio, camice nere e ridicoli fez. Non ti accorgi di niente. Sai che c’è in giro il pericolo, ma non sta dietro ai riflessi che arrivano dai camion che salgono i tornanti. Il nemico è il virus. Si prende a tua insaputa i polmoni. Stanno morendo in tanti. Che ne dici della fotografia che ho scelto per ri-

cordarti? L’avevo scattata in occasione di una delle tue ultime interviste. A casa tua. I due che erano venuti a trovarti sono di Pinerolo e scrivono per un giornale locale. Una ragazza col caschetto e un appassionato di fotografia. Ci avevano lasciato un indirizzo. Adesso sono qui tutti a chiedersi cosa avresti fatto tu in questo frangente, col blocco delle persone a causa del virus. Credo che non avresti fatto niente. Avresti rispettato le regole e le disposizioni. In montagna, voi partigiani, ci andaste perché vi avevano pestato veramente i piedi. Non volevate addosso una coperta che vi faceva mancare l’aria e non volevate i soprusi di gente che menava le mani su popoli privi di casa e senza tutele. Sai che mai come quest’anno abbiamo sentito intonare Bella Ciao? Sarà stato un modo per farsi coraggio, per esorcizzare la paura che c’era in giro a causa del virus. L’hanno cantata dentro gli ospedali. Persino all’estero. Il 25 Aprile, non ci crederai, non è andata male. A Fossano un gruppo di giovani si è fatto avanti nella sezione dell’Anpi. A Racconigi, i ragazzi di Tocca a Noi hanno dato una diretta di riflessioni e letture. Federico Soldati ha letto un brano dal tuo libro “La mia vita per un sogno”. Ripeto, questo 25 Aprile, tutto sommato, non è stato male!


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UN NEW DEAL COLORATO DI VERDE

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Dall’emergenza a un nuovo modello di sviluppo di Giancarlo Meinardi

L’emergenza Covid ci ha colpito con una forza imprevista e forse imprevedibile, ha lasciato una impronta profonda nella società e nelle persone, ci accompagna tuttora e credo richieda di mantenere alta la guardia anche se non mancano coloro che si illudono sia ormai dietro le spalle. Una emergenza che ha fatalmente assorbito attenzione e risorse. Ma non è l’unica. Un’altra è sospesa sul nostro tempo, forse più strisciante e apparentemente meno eclatante nella sua forza esplosiva, ma potenzialmente più devastante. Come concludiamo nell'editoriale: “Oggi viviamo una emergenza sanitaria, un domani abbastanza vicino potrebbe scoppiarci tra le mani una nuova emergenza, quella climatica. Corriamo il rischio di lasciarci cogliere anche questa volta impreparati.”. Eppure non si tratta certo di una questione nuova. Di cambiamento climatico si parla da decenni, dell’impronta umana che lo caratterizza sono oggi quasi tutti convinti, anche se non mancano le voci negazioniste. Ma d’altra parte c’è ancora chi sostiene che la Terra sia piatta, per cui non dobbiamo stupirci. Ma preoccuparci sì. Preoccuparci quando alle evidenze scientifiche non corrispondono decisioni politiche, strategie economiche e comportamenti personali adeguati. Il discorso, pur complesso e articolato, può essere ridotto alla sua dimensione essenziale. Saltano agli occhi di tutti (esclusi terrapiattisti e simili, ovviamente) le manifestazioni sempre più estreme, frequenti, evidenti del cambiamento climatico. Anche la cronaca e il vissuto di questa estate ce lo confermano. Questo cambiamento climatico si differenzia dai tanti fenomeni simili nella lunga storia geologica del nostro pianeta per la rapidità con cui sta avvenendo e per il ruolo giocato dalla specie umana nell’alimentarlo. È oggi diffusa e consolidata negli ambienti scientifici l’idea che una causa non unica ma determinante siano le emissioni dovute all’utilizzo dei combustibili fossili, su cui si fondano gli stili di vita delle moderne società industriali. Sono le principali responsabili di un aumento rapido e inusuale delle temperature che trascina con sé una serie di fenomeni che hanno un impatto devastante sull’ambiente in cui viviamo e rischia di diventare incontrollabile in tempi brevi. Per evitare la catastrofe ambientale abbiamo bisogno di una drastica riduzione dei gas

serra, e abbiamo poco tempo per farlo, prima che il fenomeno diventi irreversibile. È questa l’emergenza che abbiamo di fronte. Una emergenza globale che richiede una risposta globale e pone il problema di un riorientamento profondo dell’economia, della società, degli stili di vita.

Una rappresentazione questa che a qualcuno potrà sembrare catastrofismo da quattro soldi di fronte al quale fare spallucce; potrà indurre qualcun altro a trovare rifugio in un fatalismo senza speranza. Mi permetto di non condividere entrambe le reazioni. Alla prima rispondono molti documenti dei più importanti organismi scientifici mondiali che lasciano pochi dubbi sulla natura del fenomeno che viviamo e sul suo impatto sull’ecosistema. Alla seconda risponde il moltiplicarsi delle azioni a livello pubblico e privato che vanno nella direzione di contrastare concretamente i processi in atto; tra mille difficoltà e contraddizioni, certo, ma non senza risultati. Bisogna riconoscere a questo proposito che l’Unione Europea sta svolgendo un ruolo importante ed è oggi tra le aree al mondo che maggiormente si stanno muovendo per contrastare il cambiamento climatico. È proprio in questi tempi di emergenza pandemica che l’Unione Europea sembra aver consolidato l’idea che la stessa ricostruzione post Covid debba passare per una revisione del modello di sviluppo pre Covid, più sostenibile dal punto di vista economico, sociale ed umano. E che in questa revisione un posto importante lo debba avere una strategia di contrasto del cambiamento climatico. È all’interno di questo quadro che può essere letto quello che ritengo uno dei più significativi provvedimenti previsti dal decreto rilancio in Italia. Per sgombrare il campo da obiezioni e sospetti a priori, preciso subito che non intendo entrare nel merito della strategia complessiva che l’attuale Governo in Italia sta sviluppando in questi mesi. Ognuno si tenga le sue valutazioni in merito come io mi tengo le mie. Vorrei invece entrare nel merito di quello specifico provvedimento che a mio parere può contribuire efficacemente (ovviamente in concorso con altri all’interno di una strategia organica) in Italia al contrasto del cambiamento climatico. Mi riferisco al provvedimento contenuto nel decreto rilancio che prevede un sostanziale rafforzamento del sistema di incentivazione degli interventi sull’edilizia abitativa diretti a migliorarne l’efficienza energetica. Ora che il decreto è stato convertito in legge e sono state pubblicate le linee guida che ne chiariscono i contenuti è interessante entrare nel merito di questo importante provvedimento. Lo faremo nel prossimo numero.

Te la do io la privacy di Zanza Rino

Qualche giorno fa ho incontrato mio cugino Otto Zanza, non lo vedevo dai giorni del lockdown. È uno di quelli che la sanno lunga. Mi ha attaccato subito un pistolotto su covid19. L’hanno fatta più grossa di quel che è… con quella menata delle mascherine e del distanziamento, adesso non si può neppure stare insieme a fare un po’ di casino… quella roba di Immuny, poi…

non sono mica ingenuo, io. Non mi faccio prendere in giro, sento puzza di bruciato. Non lascio i miei dati personali e privatissimi in pasto a non so chi, per farne cosa? Roba da Grande Fratello. Ci tengo, io, alla mia privacy. Non la scarico quella applicazione ficcanaso. Ma guarda che è quello che fai tutte le volte che usi una applicazione sul tuo smartphone. Devi dare tutta una serie di autorizzazioni, ad esempio rilevare la tua posizione e i tuoi movimenti, o accedere ai tuoi dati di navigazione su internet, o registrare le tue preferenze di consumo… roba di questo genere. Dovremmo stare sempre molto attenti alle autorizzazioni che concediamo. Boh… non so… mica posso perdere tempo a guardare tutto. Sono così utili quelle applicazioni… E poi come

vuoi che facciano a sapere quali sono i miei gusti… Guarda, la settimana scorsa avevo fatto una ricerca su Amazon per acquistare uno zaino da montagna. Il giorno dopo, mentre navigavo su un sito delle previsioni meteo, mi è comparsa una pubblicità sugli zaini. È una cosa che mi succede sempre più spesso. Inquietante. Perché mai? Anche a me succede continuamente, adesso che me lo hai detto ci faccio caso. Lo trovo così comodo, suggerimenti all’acquisto ben mirati sui miei gusti, una figata. Ma i dati sui tuoi gusti dove li hanno presi? E che ne so io… E poi non cambiare il discorso. Parlavamo di Immuny. Non mi va che qualcuno possa sapere dove sono andato nei giorni scorsi. Quella roba là… come si chiama… gheodisloca-

zione… mi pare… qualcosa del genere. Geolocalizzazione… vorrai dire. Ma guarda che i tuoi movimenti sono già registrati quotidianamente, se guardi Google Maps, per esempio… prendi il tuo smartphone, ti faccio vedere. Ma cosa dici, ecco qua, vediamo… figo… guarda qua ci sono tutti i miei movimenti, ieri che sono andato al bar e poi a fare un giro in campagna… ma guarda anche quando ho fatto quel viaggio in Spagna il mese scorso… ma come fanno a saperlo? Li hai autorizzati tu a registrare i tuoi movimenti. Davvero?... non me ne sono accorto, non so neppure quando l’ho fatto. Comunque Immuny… Ciao Otto, devo proprio andare. Salutami il Grande Fratello


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Una ricerca di Chiara Cosentino

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CULTURA RELIGIOSA IN BOLIVIA Intervista a cura di Anna Simonetti

Chiara Cosentino, classe 1997, dopo essersi diplomata al liceo artistico di Cuneo, si è iscritta al corso di laurea “Scenografia Teatrale” presso L’Accademia di Belle Arti di Torino, approfondendo con lo studio un interesse particolare verso realtà poco conosciute e lontane quali la cultura etnografica della Bolivia, realtà a lei molto cara. Si è laureata con 110 e lode e diritto di pubblicazione con la seguente tesi: “Pachakuti. Ritorno all'equilibrio, all'armonia e alla terra: maschere e danze nelle culture Aymara, Quechua e Camba.” Già nel numero di dicembre-gennaio, mentre era in Bolivia per la sua tesi, ci eravamo rivolti a Chiara per avere la sua opinione sul rischio di guerra civile in quel paese, oggi invece le chiediamo di parlarci della sua ricerca. Chiara, cosa puoi raccontare della tua ricerca, una ricerca che riguarda un mondo diverso, lontano da noi? Qual è stato il fulcro del tuo lavoro? Durante tutto il lavoro di ricerca mi sono resa conto che la cosa più importante per i nativi di Bolivia è la religione, in cui sono riusciti ad accumulare le pratiche religiose della chiesa cattolica romana con quelle degli Aymara, antecedenti all’arrivo degli Inca: sono culture veramente antiche ed è importante che non ne vadano persi i valori perché cambierebbe tutta la vita di un antico popolo. Legata alla religione in maniera inscindibile è la danza: tutto il mio lavoro si è basato nella ricerca prima della cultura religiosa, dei miti e dei riti, e poi come questi siano stati trasferiti nelle danze e di come le danze siano state influenzate e trasformate dalla colonizzazione spagnola. Quali gli aspetti positivi e quali i negativi di questa commistione di elementi? Ad esempio nella regione amazzonica si svolgeva un rito durante il quale veniva indossato solo un gonnellino per indicare il legame con la terra, da qui derivava un modo di esprimere la danza molto più spontaneo e veritiero. Con l’arrivo degli spagnoli furono imposti dei vestiti e se già l’impatto visivo divenne differente, anche nella danza furono apportate modifiche. Inoltre l’introduzione di alcune figure cristiane ha modificato il valore di alcuni riti: prima della colonizzazione veniva fatta una danza per onorare il dio Piyo, una specie di struzzo locale, i gesuiti imposero che il rito fosse dedicato ai santi Pietro e Paolo. Di positivo sottolineerei la capacità che i nativi hanno avuto ed hanno tuttora di una grande apertura verso le figure cristiane e la capacità di ricollegarle a quelle della propria tradizione. Per noi non esiste la figura della Pachamama, la Madre Terra, ma non hanno esitato a collegarla a Maria, la Madonna, ampliando i significati e i valori di Pachamama. Come nasce il tuo interesse per la Bolivia? So che i tuoi hanno vissuto un periodo in Bolivia, tu sei nata lì? No, sono nata quando i miei erano già qui, ma certamente racconti e storie di quel Paese hanno sempre fatto parte della storia di famiglia. La mia prima volta in Bolivia avevo 4 anni, ma ricordo

tanto di quel viaggio perché già allora avevo potuto dare immagini reali a persone e luoghi di cui sentivo parlare dai miei genitori. Sono stata anch’io in Bolivia e poiché era la festa nazionale (4 luglio) abbiamo incontrato nei villaggi numerosi gruppi che danzavano indossando costumi riproducenti le armature spagnole del ‘500… perché? Ci sono varie danze e ognuna assume caratteri in maniera diversa. Nella danza Morenada le figure dei conquistatori sono introdotte sotto forma di maschere come presa in giro, in maniera sarcastica: è la loro storia, del loro Paese ed è importante che sia raccontata e conosciuta da tutti anche nella sua parte più dolorosa. Come guardano al cambiamento imposto dalla colonizzazione e alle sue conseguenze? Sono consapevoli della mutazione, sanno però di essere l’insieme di ciò che erano prima e di ciò che sono diventati, e ormai, dopo tanti secoli, non riescono più a separare le due parti. Sono però consapevoli di cosa ha significato la colonizzazione tanto che in alcune zone non gradiscono la presenza di stranieri, specie se sono villaggi lontani, sperduti e poveri. Nella stessa Kami, dove siamo stati accolti bene, non credo che chiunque possa presentarsi senza il patrocinio di padre Serafino. Quali sono le zone in cui si percepisce questa chiusura? Le parti occidentali della Bolivia sono quelle più chiuse alla presenza di stranieri. Qui i colonizzatori sono arrivati con i fucili e la croce per imporre il cristianesimo. Nella parte orientale, in Amazzonia ad esempio, dove i gesuiti hanno portato il cristianesimo con l’arte e la musica, senza oppressione e violenza, i nativi sono meno ostili verso lo straniero. I canti che accompagnano le danze che significato hanno? In occidente, dove la religione è stata imposta in maniera dura, nei canti e nelle danze si nota moltissimo la lotta sostenuta dai nativi per conservare alcuni aspetti ancestrali; le danze più importanti che accompagnano i canti e che non possono mancare in nessuna festa sono la Diablada e la Morenada. La Diablada nasce da un mito antichissimo che

risale agli Inca e agli Aymara, quindi ancora prima dell’arrivo dei colonizzatori. Da sempre minatori, avevano identificato una divinità del sottosuolo Huari, dio della Mina, (noi possiamo identificarlo col Diavolo), che controllava tutte le ricchezze della miniera e aveva il potere di decidere se farli uscire vivi. Prima di entrare in miniera facevano e fanno tuttora un rito: prendono la statua di Huari e la portano davanti alla miniera, dove fumano, masticano la coca, offrono la birra e danzano, passando gran parte del lunedì a chiedere la sua protezione. Con l’arrivo del cristianesimo nasce un mito secondo il quale il dio Huari, resosi conto di non essere più adorato come prima perché al suo posto viene adorato Pachacamac, il Dio cristiano, creatore del cielo e della terra, per riprendere il dominio della sua gente scatena le quattro piaghe: le formiche giganti, il rospo, la vipera e l’iguana che però vengono sconfitte dalla figlia di Pachacamac, la Ñusta, che identificano con la vergine Maria. Per questo motivo, durante il carnevale ballano in strada per raggiungere Oruro, il santuario della Virgen del Socavón: in ginocchio percorrono tutta la navata e giunti davanti al prete giurano di ballare per la vergine Maria per i prossimi tre anni. Durante la danza indossano le maschere che rammentano le quattro piaghe per due motivi: per rendere grazie alla vergine Maria che li ha salvati dalle piaghe e per continuare a venerare Huari, dio della Mina, che dimenticato potrebbe scatenare di nuovo la sua ira. Spesso in questa danza viene messa in scena anche la lotta tra il bene e il male, introducendo la figura dell’arcangelo Michele che combatte e sconfigge il male (il diavolo) e i sette peccati capitali. Ecco quindi che canto, danza e scenografia danno vita ad uno spettacolo teatrale! È il cosiddetto Teatro della Festa, come viene denominato qui in occidente! Proseguirai nella tua ricerca? Non so, il Covid19 condiziona il proseguimento dell’università, ma forse mi piacerebbe di più tornare in Bolivia e in seguito lavorare qui in Italia. Auguri per il tuo futuro e grazie per averci proiettato in un mondo a noi lontano e sconosciuto!


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Piste ciclabili... si può fare di più Ciao. Ho letto il vostro articolo sull'uso della bicicletta. Io sono un ciclo-lavoratore, vado tutti i giorni in bici al lavoro (anche con la pioggia) da Chiusa di Pesio a Cervasca via Beinette e Cuneo per 22 Km in 55 minuti ad andare e altri 22 Km in altri 60 minuti a tornare. Sono orgoglioso. Sto sensibilizzando tutte le amministrazioni dei comuni che attraverso ogni giorno (ben 4 comuni!!) e dei comuni limitrofi. Ho realizzato questo "manifesto" che è una lettera che consegno di persona in bici ai comuni e poi penso di divulgarlo tra i cittadini. Ve lo mando a titolo informativo. Buon lavoro Giose Fornillo Chiusa Pesio 20 giugno ciclabili@fornillo.it

Lib

Libri di Michela Umbaca

“Tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia per restare fermo”. Il colibrì di Sandro Veronesi (vincitore del Premio Strega 2020) è la storia di Marco Carrera, un medico oculista

la cui vita, che solo apparentemente sembra scorrere normale, viene drasticamente e irreversibilmente sconvolta dall’incontro con lo psicoterapeuta della moglie, il quale gli rivelerà - andando contro ogni principio deontologico – una verità fino a quel momento ignorata e perciò drammaticamente pronta a sconvolgere la sua intera esistenza. Il personaggio di Marco Carrera è, in un certo senso, determinato da un duplice legame relazionale: quello familiare, con i genitori e i fratelli Giacomo e Irene, e quello platonico e strettamente “spirituale”, con Luisa, il suo primo grande amore. La costante nella vita di Marco Carrera, che in un primo momento sembra perseverare con veemenza la sua intera esistenza, è la morte: un susseguirsi di lutti, alcuni precoci, altri irrimediabilmen-

te voluti dal fato (quella della sorella prima, morta suicida all’età di 18 anni, e quella, la più crudele, della figlia Adele, dopo) fanno tuttavia de Il Colibrì un vero e proprio inno alla resistenza e alla vita umana. Veronesi dona, attraverso il personaggio di Marco Carrera, una percezione del mondo in cui, nonostante le avversità e le difficoltà, nulla è mai perso: continuare a muoversi, incessantemente, perché tutto non crolli rovinosamente, perché “sopravvivere non significa vivere di meno”.

Sandro Veronesi “Il colibrì” 2019, pp. 368, € 20,00 Editore: La nave di Teseo


20

Cin

Cinema

Settembre 2020 dopo il periodo di lockdown. Il cast vede nei ruoli principali John David Washington (figlio di Denzel Washington), Robert Pattinson, Kenneth Branagh e Elizabeth Debicki. Basato su un’idea complessa, ma anche affascinante, Tenet risulta a tratti difficile da seguire, nonostante la trama di base sia invece piuttosto semplice. Il montaggio serrato e il ritmo rendono le due ore e mezza di film assolutamente leggere e godibili: è evidente che si tratti di un ottimo prodotto,

dal punto di vista della fattura cinematografica. Quello che manca è la profondità nella caratterizzazione dei personaggi, che risultano un po’ piatti nel loro modo di agire e nelle loro motivazioni: è molto difficile empatizzare con i protagonisti e fare davvero il tifo per le loro sorti. Tenet è, inoltre, un film che si prende molto, molto sul serio, ma in alcuni momenti la

insonnia

storia si incarta e inciampa, come se le pur buone premesse del concept iniziale non riuscissero a mantenere del tutto le aspettative, e l’apparente complessità della trama fosse in qualche modo fine a se stessa. Da vedere, anche solo per curiosità, assolutamente al cinema – con tutte le precauzioni del caso.

TENET

di Cecilia Siccardi

Kiev. Un agente della CIA partecipa a una missione sotto copertura al teatro dell’opera, per ritrovare un misterioso oggetto. Le cose non vanno come previsto, e l’agente si trova presto invischiato in una trama di spionaggio internazionale per salvare il mondo da una misteriosa minaccia dal futuro. L’undicesimo film di Cristopher Nolan, che ne segna il ritorno in sala dopo Dunkirk (2017), è anche uno dei più attesi dell’anno, e la prima grande produzione a uscire nelle sale cinematografiche Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

I dubbi sulla capacità di imparare da questa esperienza tremenda per costruire il proprio futuro. Il bisogno di normalità, ma diversa. Una raccolta di buoni propositi e ideali destinati ad infrangersi contro le logiche del mondo? È già successo altre volte. Oppure tasselli sparsi ma coerenti di un progetto possibile? Ora viviamo un presente di emergenza, poi verrà il tempo di un futuro di ricostruzione. Ma il futuro può (forse deve) essere già adesso. Il futuro dipende da come, sin da ora, ci prepariamo ad affrontare la fase della ricostruzione. Non per riprodurre un modello di sviluppo che è esso stesso parte del problema; ma per provare ad immaginare e realizzare un modello di sviluppo diverso, più sostenibile dal punto di vista economico, sociale ed umano. E nel contempo praticabile. Forse questo non è il momento di idealismi sterili e spesso inconcludenti, ma di un pragmatismo saldamente ancorato a valori come quelli rivendicati dai nostri lettori e capace di immaginare un futuro diverso ma anche possibile. Sì, possibile. Lo dimostra la ricchezza di esperienze che esistono già oggi, anche in Italia, ma che hanno bisogno di diventare sistema. Indicano strade praticabili, ma implicano scelte strategiche coerenti e coraggiose da parte delle amministrazioni pubbliche, capacità innovativa delle imprese, una vera e propria rivoluzione

culturale di ognuno di noi. Soltanto parole? Forse no. Nessuno può pensare oggi che si possa prescindere da un rilancio delle attività economiche, se si vuole dare risposte al bisogno diffuso di lavoro e di un reddito dignitoso. Ma come può avvenire questo rilancio? È possibile dare nuovo impulso a una espansione edilizia che divora il territorio oppure ristrutturare il patrimonio edilizio esistente puntando sul risparmio energetico. Si può assecondare lo sviluppo di una filiera alimentare ad elevato impatto ambientale e sociale oppure sostenere filiere brevi fondate su un utilizzo sostenibile delle risorse e maggiore giustizia sociale. Si può investire nel mantenimento di una infrastruttura energetica centralizzata disegnata dal predominio dei combustibili fossili oppure percorrere la strada del rafforzamento di una infrastruttura imperniata sulle fonti rinnovabili e sulla produzione diffusa di energia. Si può continuare a rincorrere le emergenze di un territorio sempre più vulnerabile oppure avviare un programma di cura preventiva del territorio. Si può mantenere un modello di organizzazione del lavoro e di mobilità con pesanti ricadute su ambiente e salute oppure ridefinirli secondo una dimensione di maggiore sostenibilità. Qualcuno noterà che c’è un non casuale filo rosso che lega i diversi

temi, il rapporto tra uomo e ambiente. Oggi viviamo una emergenza sanitaria, un domani abbastanza vicino potrebbe scoppiarci tra le mani una nuova emergenza, quella climatica. Corriamo il rischio di lasciarci cogliere anche questa volta impreparati. Sono solo alcuni esempi, che dovrebbero aiutarci a capire che non conta solo rilanciare produzione, lavoro, redditi ma è decisivo il modo in cui lo faremo. Da questa prova tremenda sapremo uscire diversi? Forse no, ma perché toglierci la voglia di sperare? E di dare il nostro piccolo contributo per trasformare la E la gente rimase a casa e lesse libri e ascoltò e si riposò e fece esercizi e fece arte e giocò e imparò nuovi modi di essere e si fermò e ascoltò più in profondità qualcuno meditava qualcuno pregava qualcuno ballava qualcuno incontrò la propria ombra e la gente cominciò a pensare in modo differente e la gente guarì. E nell’assenza di gente che viveva in modi ignoranti pericolosi senza senso e senza cuore, anche la terra cominciò a guarire e quando il pericolo finì e la gente si ritrovò si

speranza in realtà? Per questo abbiamo voluto aprire su Insonnia uno spazio dedicato a questi temi, speriamo anche con la collaborazione di tanti nostri lettori che in queste settimane hanno vinto la loro ritrosia a scrivere. Abbiamo già cominciato nei numeri precedenti, toccando temi come il lavoro e la mobilità sostenibile. Continuiamo in questo numero e in quelli che seguiranno. Concludiamo con i versi che pubblichiamo qui sotto, che ci paiono particolarmente adatti a rappresentare il senso della nostra proposta.

addolorarono per i morti e fecero nuove scelte e sognarono nuove visioni e crearono nuovi modi di vivere e guarirono completamente la terra così come erano guariti loro.


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